La pagina febbraio 2011

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Mensile gratuito

N째 02 - Febbraio 2011 (82째)


S a n Va l e n t i n o

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La medicina der sor Trecca - F Patrizi ; La pipì di Marchionne - P Fabbri Ho in testa il marketing - A Melasecche ; Il nonno di un’amica - B Ratini ; Animalisti, sieg heil! - V Po l i c r e t i ALFIO Lettere a San Valentino - A Liberati L’albero degli zoccoli - A Pieralli Il mistero della borraccia sparita - V Gr e c h i Stifone, l’enigma delle sue acque - A Rossi, S Menegon Il mistero delle acque di Stifone - VG; ASS. CULTURE SOTTERRANEE Cavour e l’occupazione dell’Umbria - R Stopponi Cavour e il suo tempo - Mostra Palazzo Primavera LICEO CLASSICO - Vaghe stelle dell’orsa... - C Mandosi, E Lucci Paese che vai gente che trovi - C Mansueti; Lampadine ecologiche - F Capitoli Cos’è un sogno - C Colasanti; Bestemmie e linguaggi volgari - G Talamonti Giulietta e Romeo - S Imperi ; Maratona di San Valentino - G Fiorini; ANTIMAGO RASPUS TOY BOY - L Be l l uc c i ; EMMA MARRONE - L B PROGETTO MANDELA ILARIO CIAURRO - Fo nd a z i o ne CARI T ALGEBRA - E Luc c i , G Ra s p e t t i SUTEL Astronomia - T Sc a c c i a f r a t t e , G Co z z a r i , P C a sa l i , F Va l en t i n i SUPERCONTI

LA

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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laboratori

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Amore, tra la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino. Unione ostacolata dai genitori di lei perché Sabino non è cristiano. Serapia si ammala gravemente e il centurione chiama al suo capezzale il vescovo Valentino che, dopo averlo battezzato, lo unisce in matrimonio alla sua amata. Entrambi cadono poi in un sonno profondo ed eterno. Da allora l’amore tra i giovani, i matrimoni, i messaggi sentimentali si riferiscono, per cristiani e non, al Santo Valentino, patrono di Terni, la cui festa è oggi conosciuta e celebrata in tutto il mondo. Nella nostra città, facendo salve le manifestazioni ad opera della Curia, che devono solo essere accettate e rispettate così come S. E. il Vescovo promuove, la parte per così dire laica, quella che attiene agli impegni organizzativi dell’amministrazione comunale, è stata sempre prerogativa unica di chi si è in realtà distinto per carenza progettuale. Assemblare una paccottaglia di elementi (dai Baci Perugina ai fidanzatini di Peynet, dai trattati ai messaggini d’amore, dallo sport alle canzonette, dalle rappresentazioni teatrali alla degustazione cioccolataria) o ammassando manifestazioni di ogni genere, più proprie per le fiere de paese, senza altro filo conduttore che il far rima con la parola amore o con il suffisso “ntino” o, peggio, erigersi ad impresari teatrali con i soldi pubblici (pagando cantanti e autori di presunta caratura nazionale) si configura come cattivo servizio fatto all’immagine della nostra città e del suo Santo Patrono. E infatti non è mai stato dedicato dai media, a differenza di molte parti del mondo, uno spazio considerevole alle manifestazioni esistenti a Terni su San Valentino. D’altra parte, effettuare riprese televisive delle bancarelle di mosciarelle o dei tendoni in cui si vendono zucchero filato, fusaie e caramelle, non rappresenta un servizio ambito per alcuna emittente, nemmeno per quelle locali. Noi ameremmo che molti giovani, di diversa nazionalità e di religioni diverse, in febbraio e a Terni, si scambiassero messaggi culturali, sociali, di solidarietà, d’amore cioè. Per questo, e al fine dell’interscambio culturale ed educativo, abbiamo già intessuto contatti intensi e proficui con uomini di cultura, insegnanti, associazioni, scolaresche di molte nazioni europee. Ci proponiamo di realizzare, insieme ai nostri partner, gemellaggi per San Valentino, consistenti in: individuazione di una tematica annuale di carattere sociale, culturale, solidale; lavoro annuale attorno a tale tematica; incontro in Terni, durante il mese di febbraio, per permettere ai giovani di comunicare le proprie esperienze, illustrare cioè l’azione solidale svolta nel loro Paese e avere l’opportunità di identificare valori comuni nonostante le proprie differenze culturali. Manifestazioni del genere consentirebbero di infondere nei giovani i sentimenti di solidarietà e di tolleranza, di favorire la comprensione reciproca, di stimolare la consapevolezza e la riflessione sulle differenze di culture e di valori, di incoraggiare a sfidare con rispetto e sensibilità i punti di vista che perpetuano diseguaglianze e discriminazioni. Così seguirebbero con autenticità gli esempi donatici da Serapia, Sabino, Valentino. E farebbero del bene anche agli adulti o, quanto meno, li aiuterebbero a cimentarsi con valori di degna caratura, rispetto alle logore e usuali manifestazioni cittadine e a disvalori che appestano ormai l’Italia intera. Giampiero Raspetti

Lab

P.zza del Mercato Nuovo, 61 - 05100 TERNI www.salvatidiagnostica.it - Dir. Dr. Luciana Salvati

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Settore Medicina di laboratorio Tel. 0744.409341 Patologia Clinica (Ematologia, Chimico-Clinica, Immunochimica, Coagulazione) Microbiologia e Parassitologia Clinica Riproduzione (dosaggi ormonali, valutazione fertilità maschile) Infettivologia - Allergologia - Biologia Molecolare Tossicologica umana e ambientale - Citologia Intolleranze alimentari - Malattie Autoimmuni

Settore AcquAriAlimenti Tel. 0744.406722 Microbiologica e chimica degli alimenti e delle acque Consulenza ed assistenza tecnico-legislativa in aziende alimentari Valutazione, progettazione, implementazione piani HACCP Corsi di formazione ed aggiornamento


La medicina alla vaccinara der Sor Trecca

Sor Trecca è quer dottore de Retequattro che conduce Vivere Meglio, la trasmissione medico-scientifica impepata di gaffe e pubblicità occulte dove si passa con nonchalance dalle barriere architettoniche dei disabili ai ritrovati di un’azienda di cosmetici per stirare le zampe di gallina intorno agli occhi. La bravura del nostro anchorman romanesco sta proprio nel riuscire a spacciare questi prodotti per medicinali e i progressi del pool antiruga come una vittoria per l’umanità. Si potrebbe contestare che la divulgazione medica è ben altra cosa, ma la tv è privata e solo il proprietario può criticare l’approccio ciociaro dell’Enciclopedia Treccana. Si potrebbe inoltre obiettare che un servizio amichevole su un’azienda di cosmetici potrebbe celare un pagamento occulto, non segnalato dalla scritta messaggio promozionale; un’informazione che aiuterebbe sia il fisco che lo spettatore a orientarsi tra notizia e réclame, dato che entrambe sono introdotte dal Trecca con il distico mo’ ecco/ambé e relative dimostrazioni umane in studio. Come quella volta che il nostro dottore della bbona forchetta, gettando un occhio medico alle cosce di un’ospite ex anoressica, ha finemente diagnosticato: anvedi che sì più caruccia mo’ che magni! Per poi passare la parola al dietologo di una tale Villa di Chieti, un cotonato belloccio ormai prossimo alla data di scadenza che, con un sorriso brillantinato, ha illustrato i progressi della lotta ai cuscinetti de ciccia: abbasta sostituire nell’aperitivo l’oliva nera a quella verde e si risparmiano dieci calorie! Applausi e via co’ Sor Trecca che intanto s’aripassava coll’occhi de fora ‘na chiappona sdraiata su un lettino… Tra le righe e le rughe, nello studio-barnum televisivo, si insinua intanto la prossimità tra cosmesi e medicina, ignorando che proprio la Santa Alleanza della Pelle di Pesca sta lottando per non essere considerata una scienza medica, altrimenti dovrebbe rivelare l’attendibilità della ricerca; cadrebbero allora, sul bancone del farmacista, i Sette Pilastri delle Rughe su cui si fonda il nostro credo anti-età, poiché la scritta “è testato che dopo dieci giorni di trattamento si ottiene il risultato” richiederebbe un vero test e non una spalmata sulle chiappe di una diciottenne. Per il momento, la battaglia medicina versus cosmesi è ferma al divieto da parte di quest’ultima di dare per garantita l’efficacia del trattamento. Co’ bbona pace der Sor trecca, ex medico personale di Licio Gelli (ambé!) e grande amico del proprietario di Retequattro il quale, trasgredendo la regola aurea del largo ai bellocci, ha affidato ad un grassoccio buontempone in lite con il colesterolo alto e la cinta stretta l’arduo compito di presentarsi Francesco Patrizi come paladino della salute.

La pipì di Marchionne Il problema principale, quando si parla di economia, è che la materia appare troppo tecnica; e tecnica, e difficile, lo è davvero: il mercato, il costo del lavoro, gli ammortizzatori sociali, il PIL, il rating, le bolle speculative… davvero complicato orientarsi. Però una buona ginnastica mentale è sempre quella di tornare alle basi più elementari che reggono dalle fondamenta tutto il complicatissimo edificio che poi si è sviluppato. E per capire gli aspetti elementari delle leggi di mercato talvolta può bastare entrare in un supermercato. Nel reparto dello scatolame, ad esempio, è facile trovare due vasetti di alici: stessa marca, stesso peso (90 grammi), e stesso prezzo. La cosa curiosa è che in una le alici sono semplicemente distese, senza fronzoli; nell’altro, invece, sono accuratamente arrotolate, una per una. Ora, arrotolare le alici è sicuramente un costo in più per l’azienda produttrice: ci sarà un componente apposito per farlo, dei meccanismi specifici di inscatolamento, e certo del personale addetto al controllo dell’arrotolamento. Eppure, questo costo in più non si riflette nel costo finale del prodotto. Nel reparto del caffè si possono facilmente incontrare scatole tra loro altrettanto simili: rossa, 250 grammi, caffè normale; verde, stesso peso, caffè decaffeinato: e il prezzo sempre identico. Il processo per decaffeinare il caffè non è affatto immediato; è ragionevolmente complesso e richiede azioni e macchinari specifici: anche in questo caso, però, il lavoro in più non si ritrova nel prezzo finale che il supermercato richiede all’acquirente. In qualche altro negozio molto specializzato si potrebbe provare una ebbrezza ancora maggiore: una nota marca di prodotti hardware mette in vendita due modelli simili di stampanti. Stavolta il prezzo è leggermente diverso, perché un modello, più lento, stampa solo tot pagine al minuto: l’altro, più scattante, nello stesso tempo riesce a stamparne di più. Sembrerebbe di essere tornati alla normale proporzionalità diretta tra costo e prezzo, ma è solo apparenza: in realtà le due stampanti sono davvero identiche, frutto dello stesso progetto: solo che alla più economica è stato aggiunto un componente che ha il solo scopo di rallentarne le prestazioni. Il paradosso è quindi completo: un prodotto è reso volutamente meno efficiente, venduto ad un prezzo inferiore, e per ottenere questo scopo se ne alza il costo di produzione, perché anche il pezzo che rallenta le prestazioni ha un suo costo in termini di materiale e mano d’opera. È altresì palese che i produttori di stampanti, così come quelli di caffè e di alici, sono tutt’altro che ingenui; eserciti di esperti avranno indagato e montagne di documenti saranno stati prodotti per mostrare che è più conveniente per loro vendere prodotti con costi diversi al medesimo prezzo, o addirittura venderne altri con basso margine pur di garantire ai clienti un ventaglio di offerte più ricco. Ma gli esempi mostrano bene come il costo del lavoro è solo una parte, neanche troppo rilevante, dei fattori che concorrono al prezzo finale del prodotto: cosa del resto ben chiara anche all’amministratore delegato della Fiat, che pochi anni fa dichiarava che, per una fabbrica del tipo e delle dimensioni come la sua, il costo del lavoro si aggira attorno al 7%. Sorprende allora un po’ che tutto il putiferio sui contratti di Mirafiori chiami così fortemente in causa le leggi di mercato: di quanto si abbassa il costo del lavoro se le pause cambiano da due a tre, da 10 a 15 minuti? Di una parte certo minima di quel già misero 7%. Eppure è con la minaccia del mercato che si paventa di passare la mano a paesi dove il costo del lavoro è ancora più basso. Del resto, è certo sempre per questioni di mercato che lo stesso Marchionne riesce ad avere un compenso milionario: se la Fiat non gli desse quel che gli dà, troverebbe altre aziende disposte ad offrirglielo. Quindi, cosa opporre a questa onnipotente legge economica? Si cita spesso, a proposito dello stipendio del più famoso indossatore di maglioni del gotha industriale, che il suo predecessore Valletta prendeva venti volte più dello stipendio di un operaio; ed era l’Italia del boom economico. Per lui si parla invece di 420, o di 480, o di 600, o addirittura di 1050 volte lo stipendio di un giovane metalmeccanico neoassunto. Ma forse è da considerare una delle ipotesi più caute e fermarsi a 480, perché è un numero indicativo: sono giusto i minuti che compongono le otto ore di un turno lavorativo; i minuti che l’operaio Fiat passa alla catena di montaggio, in piedi. Non è facile restare in piedi tanto a lungo, con pause ridotte e certo molto controllate, e magari con la mensa solo a fine turno, per non interrompere la produzione. Quello stesso operaio potrebbe pensare che a qualche decina di metri da lui, nei piani alti della palazzina uffici, Marchionne sta andando a fare pipì: con la passione verso il suo lavoro che lo contraddistingue, non ci metterà certo più di dieci minuti, prima di tornare alla scrivania. E l’operaio potrebbe anche pensare che in quei dieci minuti l’AD della Fiat ha guadagnato esattamente dieci volte di più di quello che lui otterrà per la sua intera giornata lavorativa. Due o tre pipì al giorno equivalgono al suo stipendio mensile. E’ la legge di mercato, potrà pensare: ma non è detto che il pensiero lo consoli. Piero Fabbri

I martedì matematici a cura di Giampiero Raspetti orario: 16,30 - 18,00 luogo: sala videoconferenze BCT CORSO C

per giovani dai 9 agli 11 anni

febbraio: 15, 22

marzo: 1, 8, 15, 22, 29

aprile: 5

Senso del numero negli animali, nell’uomo primitivo, nell’uomo civilizzato - Ampliamento del senso del numero - Astrazione - Contare

I mercoledì informatici a cura di Paolo Lucci CORSO C febbraio: 23

luogo: aula didattica BCT orario: 16,30 - 18,00 per giovani dai 9 agli 11 anni marzo: 2, 9

Introduzione all'informatica - Strumenti elettronici moderni per l'elaborazione delle informazioni e dei dati

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Ho in testa il marketing

Che cosa hanno in comune eBay, Google, Microsoft, Coca Cola, Disney e Barack Obama non ancora Presidente degli Stati Uniti? Tutti hanno in qualche modo studiato il cervello dei loro potenziali clienti. Sempre più aziende entrano nella testa dei consumatori con sistemi che studiano le reazioni a prodotti e pubblicità per capire cosa li spinge ad acquistare, che si tratti di un prodotto, di un servizio o di un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti. Coca-Cola studia il cervello delle persone per capire quale sia la pubblicità migliore durante alcuni grandi eventi come il Super Bowl; Google vi è ricorso per capire come disegnare le pagine di YouTube; Microsoft attraverso lo studio del cervello dei consumatori ha indirizzato l’ergonomia dei suoi prodotti. Quando un consumatore acquista un cioccolatino che ha appena visto

sull’espositore collocato davanti alla cassa in un supermercato cosa succede realmente? Le metodologie tradizionali ci dicono che si tratta di un tipico atto d’impulso. In realtà, se potessimo guardare dentro il suo cervello scopriremmo che la decisione è già stata presa prima, probabilmente all’inizio della coda o nei ripetuti passaggi davanti alla cassa mentre procede con la spesa. In questi momenti il cervello rileva ogni dettaglio e interagisce con l’ambiente maturando il desiderio di quel cioccolatino e la decisione di acquistarlo. Negli ultimi tempi il marketing si sta dotando quindi di nuove armi per intercettare e veicolare i gusti delle persone. Si parla di neuromarketing, che può essere quindi definito come lo studio dei comportamenti dei consumatori attraverso il monitoraggio del loro sistema nervoso. Si tratta di una disciplina

Il nonno di un’amica La natura è predisposta al dialogo con l’uomo ma l’uomo non è abbastanza attento per accorgersi che essa gli parla. Questo è ciò che accade generalmente; ci sono poi alcuni casi in cui un occhio più acuto degli altri si posa su un ramo, su un fiore, su un sasso. E scocca la scintilla. E’ come una nuova creazione: il pezzo di legno racchiude in sé una forma che sembra aver aspettato proprio perché qualcuno la rivelasse. Anzio Barbaccia, purtroppo recentemente scomparso, abitava a Fornole di Amelia e non aveva mai immaginato di essere una di quelle persone con gli occhi diversi fino all’età della pensione. Dopo un’avventurosa carriera da camionista in giro per l’Europa, si è accorto

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che un semplice pezzo di legno poteva racchiudere una forma, e che lui dovesse farla emergere per renderla più evidente. Raccontava che la prima volta in cui ha sentito l’impulso a cimentarsi nella scultura, è stato un giorno in cui era andato a caccia. Mentre cercava di prendere la mira per sparare a un uccello, lo sguardo gli era caduto su un ramo, simile a un crocefisso; quel volto appena accennato nel legno sembrava lo rimproverasse, e avesse voluto attirare la sua attenzione. Anzio aveva portato a casa il ramo e con una roncola aveva assecondato, per così dire, l’intenzione del legno. E da lì, fino all’età di ottant’anni, senza farne mai un’attività finalizzata al guadagno, ha realizzato sculture in legno, soprattutto d’ulivo -tipico dei din-

sperimentata sin dal 2002, ma negli ultimi anni, grazie all’adozione in massa da parte delle aziende (anche italiane), senza dover scomodare i colossi multinazionali, si sta trasformando in un campo sempre più importante per le scelte delle imprese, soprattutto di quelle che in cima alla filiera si rivolgono direttamente al consumatore finale. Gli strumenti per monitorare il cervello? Tra i più usati, l’elettroencefalografia per misurare l’attività elettrica di ogni area del cervello, e la risonanza magnetica funzionale che invece quantifica l’ossigenazione del sangue nelle varie regioni della massa grigia. Tutti i dati così raccolti finiscono poi in un computer che ha il compito di interpretarli. Ma non è solo il cervello ad essere studiato, anche altri parametri vengono tenuti sotto osservazione, come le variazioni del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, oppure l’espressione facciale e lo sguardo. Ma non tutta la comunità scientifica concorda sull’esistenza di un vero e proprio centro d’acquisto cerebrale. Come evolverà il neuromarketing? I segnali dicono che la diffusione sarà sempre più rapida, come lo è stata quella di internet. Il rischio di trasformare il popolo dei consumatori in un popolo di bue è reale. Tutti sono avvisati! alessia.melasecche@libero.it torni di Fornole- e dai tronchi sinuosi e nodosi ha fatto nascere sirene, immagini di Cristo legato, dolci figure di donne con bambino. Era affezionato alle sue sculture, che si possono ammirare qua e là nel suo paese, compresa la chiesa di Fornole, a casa dei suoi familiari e di qualche persona che ha avuto la fortuna di conoscerlo, parlarci e ammirare i suoi occhi diversi. Alcune immagini si possono vedere su internet (www.anziobarbaccia.it) grazie all’iniziativa delle nipoti. Beatrice Ratini

Animalisti, sieg heil!

Oggi si tende a concepire l’animale (domestico) se non proprio come titolare di diritti, come specie da tutelare e proteggere. Alcuni ritengono coerente con tale impostazione, considerare il cosiddetto randagismo piaga sociale, ad onta di tradizioni consolidate nei secoli: i gatti dei Fori, a Roma vivevano tranquilli, assistiti da persone che li amavano e accudivano, pur lasciandoli liberi. Oggi invece l’animale (domestico) non ha più la possibilità di vivere, per conto proprio, del cibo che abbonda negli scarti della nostra opulenta, schizzinosa civiltà. Chi si ritiene buon amico della specie è infatti convinto che un cane o un gatto, se non muniti di regolare padrone, siano destinati a morte certa o a vita di stenti, ignorando probabilmente che vita analoga fanno i popoli nomadi o anche alcuni individui, nomadi per scelta personale ancorché appartenenti a popolazioni stanziali, e che, per vivere, animali o uomini che si sia, un padrone non è indispensabile. Non hanno mai visto costoro, quei gruppi di cani che se ne vanno assieme allegramente, a spasso come adolescenti (ma assai meno pericolosi) e che torneranno a casa, se e quando gli andrà, se e qualora ce l’abbiano; e altrimenti vivranno comunque, bradi e tranquilli, alla giornata, come del resto i buddisti consigliano anche all’uomo. Ma questi pseudoanimalisti ritengono che tali animali debbano necessariamente essere infelici. E, nella loro ottusità, cercano di ovviare a tale opinata infelicità, intendendo il proteggere gli animali un po’ come le cattive madri lo intendono con i figli adulti: tenendoli lontani dal mondo perché non si facciano male. Ma i metodi che propongono per questo, fanno decisamente venire i brividi.

Qualche tempo fa infatti, il WWF ha promosso, a Terni, un convegno terrificante, sparuto di pubblico, ma ben fornito di relatori. Nell’intento, in sé condivisibile, di evitare l’abbandono di animali da parte di persone irresponsabili, oratori pieni di zelo si sono lanciati a proporre soluzioni, peraltro già sperimentate dal terzo Reich su zingari, comunisti ed ebrei: anzitutto una rigorosa schedatura; e in ciò anche Stalin era bravissimo. Poi una generalizzata castrazione (ma gentilmente chiamata sterilizzazione) equamente ripartita tra maschi e femmine, acciò non prolifichino. E persino (se chi scrive non ha capito male) un’altra schedatura; di persone inadatte a tenere animali domestici, cui quindi impedirlo ope legis. Vi spiccava uno striscione: DIFENDIAMO LA NATURA, proprio come all’ingresso di Auschwitz campeggiava il celebre ARBEIT MACHT FREI: ma si difende la natura impedendo, mediante mutilazioni permanenti, la funzione naturale per eccellenza: la riproduzione? Un commediografo, Chaiewfsky, ha scritto: Dio, salvaci dalle persone che fanno le cose giuste, perché le fanno sempre a scapito di qualcuno. A scapito di animali che non possono né difendersi né protestare, i nazianimalisti fanno quello che solo a loro sembra giusto: mutilano, menomano, distruggono, aiutati da cieche autorità politiche che, forse proprio in quanto tali, di natura poco sanno, di libertà niente capiscono. E credono forse che Hitler amasse gli ebrei, Stalin i trotzkisti, Pinochet i comunisti e che, come un campo di sterminio rende liberi attraverso il lavoro, una bella castrazione di povere bestie, difenda la natura. Sieg heil! Vincenzo Policreti


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L e t t e r e a S a n Va l e n t i n o : un epistolario mondiale Circa un mese or sono abbiamo ricordato come questo 2011 rappresenti il 75° anno in cui si celebra San Valentino in Giappone. E’ stato inoltre segnalato quale imponente flusso di lettere d’amore giunga tuttora dal Sol Levante a Terni; abbiamo infine indicato anche le relative ragioni, talora improbabili e tuttavia assodate. Essendo stata avviata nel corso del 2010 un’analisi globale del fenomeno delle lettere d’amore presenti nella Basilica di San Valentino, ci sarebbe però molto altro da dire. Anzitutto questo tipo di missive arrivano tra le mani dei Padri carmelitani, custodi del mistero del Santo, da almeno 30 anni. Suscita sicura sorpresa esaminare poi alcune statistiche: al patrono degli innamorati si rivolgono un buon 75% di donne, un 10% di uomini e un 15% di coppie. Solo italiani o giapponesi? No. L’Europa intera, penisola compresa, rappresenta il 59% di coloro che si rivolgono al Santo dell’amore. Ben il 38% dei devoti scrive infatti dall’Asia -continente ove la presenza cristiana è la più bassa rispetto a tutti gli altri. Come sappiamo, spiccano in particolare i fedeli nipponici, ma sono stati recuperati anche 25 messaggi in lingua araba e farsi. E, poiché la ricerca non è conclusa, i numeri sono destinati certo a crescere. Quale il contributo degli innamorati d’Italia? 1.220 le missive fin qui ritrovate, mentre quelle provenienti dal resto d’Europa sono oltre 30, con in testa la Germania. Virtualmente nessun continente è escluso, Africa compresa. Ci sono, ad esempio, le lettere d’amore di un certo Mustapha dall’Algeria e tre messaggi dalla Nuova Zelanda. Tornando all’Italia, la ripartizione regionale indica la prevalenza dei devoti campani e, a seguire, siciliani, toscani e laziali, veneti e lombardi. L’Umbria? In posizione di pesante rincalzo. C’è poi un significativo dettaglio da non trascurare: in questa compenetrazione tra fedi, in particolare con i taoisti, presenti fisicamente a Terni sin dagli anni ’70, non poche sono le lettere d’amore andate smarrite. Un articolo del novembre 1995, tratto dal settimanale “Oggi”, segnalava come già allora si seguisse al riguardo una ritualità speciale: chiunque lo avesse chiesto -taoisti o meno- avrebbe potuto veder bruciati i propri messaggi dinanzi all’altare di San Valentino. Ora dovremmo andare più a fondo e capire cosa scrivono donne, uomini e coppie quando si rivolgono al loro patrono preferito; e se la percezione dei sentimenti -e dei risentimenti, talvolta- più veri dell’umanità sia o meno la stessa, al di là dei confini geografici e sociopolitici. Nel 2011 tale analisi si indirizzerà sui libri dei visitatori, registri presenti nella Basilica a partire dal maggio 1988, silenziosi ma attenti testimoni non solo degli ultimi 23 anni della nostra storia, ma dell’amore del nostro tempo, delle ansie, delle speranze e delle gioie espresse -con un tratto di penna- da migliaia e migliaia di pellegrini. Giorno dopo giorno. Cuore dopo cuore. andrealiberatius@gmail.com

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Nelle brume della pianura una distesa di granoturco, i salici lungo un canale gorgogliante, i campi coltivati e, in sottofondo, i canti dei contadini. Si apre con queste semplici immagini suggestive L’albero degli zoccoli, il capolavoro di Ermanno Olmi che gli valse nel 1978 la Palma d’oro al festival di Cannes e, l’anno successivo, il David di Donatello e 5 Nastri d’Argento. La pellicola è ambientata a Palosco, nella campagna bergamasca, ed è interpretata da contadini e gente del luogo che non avevano mai visto una camera da presa e che si esprimono solo nel proprio dialetto locale (il film è sottotitolato in italiano). Spesso ci chiediamo come doveva essere la vita dei nostri avi quando non c’erano il telefono, la televisione, l’elettricità e l’acqua corrente. Ebbene, nel film di Olmi troviamo una descrizione fedele e precisa di una vita che oggi pare lontana anni luce. Eppure, parliamo di poco più di cent’anni fa. Ambientato negli ultimi anni del XIX secolo, il film narra un mondo che si è tramandato immutato di generazione in generazione e che, con qualche minima variazione, potrebbe benissimo descrivere la vita nell’alto medioevo o nell’antica Roma. Il ritmo degli eventi scorre lentamente come le acque del fiume che portano la giovane coppia a Milano dove, nella grande città sconosciuta, rimarranno stupiti di fronte agli scontri e alle proteste popolari che non capiscono. Un mondo fatto di silenzi scanditi dai ritmi naturali del sole e delle stagioni, dove gli unici suoni sono quelli della natura, sono le voci delle persone, degli animali e del duro lavoro quotidiano. Sì, perché la vita descritta da Olmi è una vita di fatiche, di dolori e di incertezza sul futuro. Una vita che da un giorno all’altro può essere sconvolta dalla malattia di una bestia da soma o dal maltempo. Una vita forse grama ai nostri occhi, abituati come siamo a desiderare sempre più di ciò che abbiamo. Eppure, la vita ritratta da Olmi è piena di una dignità temprata proprio dalle difficoltà, una vita figlia della consapevolezza e dell’accettazione del dolore e dell’insicurezza. La fame, la morte e la mancanza erano perennemente dietro l’angolo, quasi fossero inevitabili membri di famiglia. Da qui possiamo anche percepire l’importanza che allora aveva per le persone il sentimento religioso: la preghiera era vissuta pubblicamente come rito collettivo di socialità e di coesione della famiglia e, privatamente, come ultima istanza di salvezza. L’uomo moderno ripudia Dio, sicuro di poter domare il mondo con la scienza e la tecnologia, ma Olmi ci restituisce, invece, un uomo fragile, la cui esistenza è sempre in bilico tra eventi che non può controllare e dove il sentimento religioso appare come un logico e comprensibile anelito di serenità e di pace. Commovente, in questo senso, la scena della donna che, disperata dalla prospettiva di perdere la sua mucca malata, per salvarla le dà da bere dell’acqua di fiume che ha benedetto in una chiesetta con un rito tra il sacro e il pagano. La mucca guarisce. Non ci è dato di sapere se per caso o per intercessione divina, ma quel che sappiamo è che per quella donna il sentimento religioso è certamente qualcosa di concreto e tangibile: ella ringrazierà a lungo la Madonna cui si era votata. È un mondo dove la perenne indigenza ricordava ai contadini che c’era sempre qualcuno che stava peggio di loro e che era cosa buona e giusta condividere qualcosa, anche poco, con gli ultimi degli ultimi, come fanno i protagonisti con il mendicante Giopa. Offrirgli una ciotola con un po’ di polenta è un gesto di vera religiosità, semplice, genuina, sentita come un dovere di umanità, prima ancora che come un obbligo dettato dalla religione. Toccante anche la scena dell’innamoramento tra Stefano e Maddalena. Tanto è il rispetto per la giovane ragazza che Stefano, la prima volta che si avvicina a lei, le chiederà addirittura il permesso di salutarla. Dopo un lungo e silenzioso corteggiamento fatto di sguardi e di desideri non detti, i due giovani contadini si sposeranno e, altro atto di carità, adotteranno, su richiesta di una parente suora, il piccolo Giovanni Battista. E così, nonostante la povertà e le difficoltà, la vita andrà avanti. Dall’altra parte del ciclo vitale, il nonno Anselmo, che non può più lavorare nei campi, è comunque utile ad una comunità povera che non si può permettere sprechi: aiuta la famiglia tenendo i bambini, che lo amano tantissimo, cui tramanda con filastrocche e proverbi la tradizione e la cultura popolari. AP

“Il paradiso incomincia dall’amore che noi saremo capaci di volerci qui sulla terra” L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi

Sentiamo spesso parlare di ritorno alla frugalità e ai valori di un tempo, di vita più semplice e più lenta. Internet e le librerie sono piene di manuali che, complici essi stessi dello stesso perverso meccanismo consumistico, vorrebbero insegnarci come vivere più felici con meno. Ma sarebbe sin troppo facile e scontato rimpiangere questo mondo antico. Ben pochi di noi, in realtà, avrebbero davvero la forza di tornare, se non vi fossero costretti, a quella vita di fatiche e, d’altra parte, sarebbe da sciocchi e da ingrati non apprezzare tutte le comodità grazie alle quali possiamo vivere una vita più lunga, più sana e intellettualmente più stimolante e appagante. Questo film, trentatré anni dopo, sembra, allora, particolarmente appropriato per questi tempi dove l’etica e la moralità dei comportamenti sembrano essersi ridotti a una mera questione di legalità, dove l’enorme arricchimento di pochi, conseguito a scapito di tanti, ci inculca un modello di vita abbagliato dal sogno di una facile ricchezza, dove il lavoro, onesto e faticoso, viene disprezzato e soccombe al gioco elettronico d’azzardo della guida spericolata di capitali finanziari spietati che assurgono al ruolo di successo da lodare e da imitare. In questo mondo, dove giovani ragazze senza speranze vengono trovate con banconote troppo grosse per le loro piccole vite, un film come quello di Olmi pone un freno a questa folle corsa e ci riporta con i piedi per terra. In maniera semplice, umile e con una commovente profondità fatta di emozioni e di speranze silenziose Olmi tocca nel profondo i nostri cuori con la rappresentazione di vite povere ma felici di uomini e donne affaticati da un’esistenza difficile, eppure orgogliosi della propria dignità e delle proprie tradizioni. Insomma, L’albero degli zoccoli è un film di rara bellezza che ho scoperto solo adesso e che ha provocato in me una profonda impressione. Un film importante il cui messaggio senza tempo oggi, quando è grande lo smarrimento della società, andrebbe sicuramente riproposto al grande pubblico nella speranza che induca nelle persone qualche seria riflessione. In fondo, l’Arte, quella che provoca in noi delle emozioni vere, dovrebbe servire anche a questo. Andreas Pieralli - Scrittore - http://andreaspieralli.blogspot.com

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Il mistero della borraccia sparita

Se conoscete un vecchio, fatelo raccontare: farà bene a lui e a voi. Esaminate poi le storie, ragionateci e studiateci sopra e vedrete che spesso anche il racconto più fantasioso e assurdo può nascere da eventi realmente accaduti e a volte anche verificabili. Quando non c’era né televisione, né radio nelle case degli italiani e la maggior parte degli abitanti erano contadini, le storie, le superstizioni, gli avvenimenti e il sapere locale venivano tramandati oralmente. Nelle lunghe sere invernali, accanto al fuoco del camino, unico posto caldo oltre alla stalla, ci si radunava in semicerchio e mentre le donne sferruzzavano un paio di calzettoni di lana, si raccontavano le storie che si tramandavano di generazione in generazione. Per i più giovani voglio ricordare che solo dal 1950 in poi la diffusione degli apparecchi radio raggiunse quasi tutte le abitazioni espandendosi anche nelle campagne. Ed ora veniamo alla storia. Tanto tempo fa, poi vedremo di quantizzare quanto tempo fa, un uomo teneva alcune cavalle al pascolo estivo sui monti sopra Vacone, luogo sacro per i romani. A causa del caldo le poche fonti del posto erano asciutte e quest’uomo era costretto, quasi ogni giorno, a salire sul monte, tirare su l’acqua da un pozzo e riempire i trocchi per dissetare le sue bestie. I trocchi non erano altro che tronchi d’albero scavati

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che fungevano da abbeveratoio. Quando arrivava sul posto trovava le sue cavalle che lo stavano aspettando, avendolo sentito mentre saliva lentamente incitando l’asina che era più interessata a strappare cardi da terra che a camminare spedita. Riempiti con acqua fresca gli abbeveratoi, mentre le cavalle si dissetavano, il padrone sedette all’ombra, tirò fuori dalla tracolla di pelle un fazzolettone grigio a quadretti e se lo mise sulle ginocchia. Aprì i lembi del fazzolettone e ne estrasse un pezzo di pane e un bel pezzo di formaggio fresco di pecora. Con un coltello a punta ricurva, detto ronchetta adibito a mille usi - tagliò un pezzo di formaggio e se lo mise in bocca, seguito da un pezzo di pane; ogni tanto beveva un sorso di vino da una borraccia. Intanto, mentre masticava, dava uno sguardo alle cavalle che avevano il loro da fare per scacciare le mosche e i tafani che le tormentavano giorno e notte. Tutte le cavalle avevano bevuto, tranne una. Si ricordò allora, pensandoci bene, che non l’aveva mai vista bere insieme alle altre, nemmeno nei giorni precedenti: si avvicinava ai trocchi per stare in compa-

gnia, limitandosi a scacciare le mosche, ma non beveva; allora l’uomo si maledisse per la sua superficialità e tornò a chiedersi perché non bevesse. Esaminò la bestia con cura ma non notò alcunché: anzi era la più bella e la più in carne di tutte, segno questo che mangiava, beveva e stava bene in salute. Ma quando e dove beveva? Era un mistero! Si ripropose allora di osservarla fino a sera per vedere se le veniva sete. Dopo un po’ di riposo le cavalle ripresero a pascolare inoltrandosi lentamente nel bosco, ognuna per una direzione diversa e l’uomo seguì a distanza quella che non aveva bevuto. Essa si mantenne sempre nella zona più impervia del monte, costeggiando le rocce che si innalzavano in alcuni punti per circa tre metri, in altri meno, in altri ancora fino a quattro o cinque metri. Al di sopra delle rocce si intravedeva un altro livello di rada boscaglia scoscesa, adatta più agli stambecchi che ai cavalli. Verso il tramonto la cavalla si fermò accanto a un costone roccioso con una grande fenditura: si vedeva che era già stata più volte in quel posto per lo sterco accumulato in terra. La cavalla si voltò verso il padrone come per invitarlo ad osservare meglio poi infilò la testa nella fenditura e iniziò a bere. L’uomo sentiva il rumore dell’acqua ingoiata dalla bestia e avvicinandosi alla parete vide che dove finiva la fenditura c’era una piccola pozza d’acqua di una trentina di centimetri, dove la cavalla stava immergendo il muso. Non si capiva se l’acqua venisse da sotto o scendesse da sopra e tutto som-

mato all’uomo non interessava più di tanto. Si bagnò le mani nell’acqua freschissima e pensò di lasciarci la borraccia col vino rimasto, per berlo il giorno dopo. La sistemò nella parte più interna della fenditura in modo che non fosse visibile a un casuale scopritore della sorgente e ridiscese in groppa all’asina verso la sua casa. Il giorno dopo, verso le quattro del pomeriggio, tornò sul monte. L’acqua nei trocchi era quasi finita per cui si mise a riempirli. Finito il lavoro bevve un sorso di freschissima acqua dal secchio ma pensò che un sorso di vino sarebbe stato più gradevole. Si incamminò verso l’anfratto e una volta arrivato infilò la mano tra le rocce per prendere la borraccia. Ma la borraccia non c’era. Me l’hanno fregata, pensò subito. Continuò a tastare alla cieca fra quelle pietre frastagliate, infilando il braccio nell’acqua fin dove poteva arrivare: sentiva solo acqua e pietre e niente altro. Si mise allora l’anima in pace maledicendo il momento in cui aveva abbandonato la sua amata borraccia e se ne tornò a casa. Non raccontò la cosa a nessuno, temendo di diventare lo zimbello del paese. Molto tempo dopo (qualche mese? Un anno? O più? -non lo sappiamo-) il nostro andò a macinare il grano al mulino di Stifone che sfruttava la grande forza dell’acqua sorgiva, all’interno del fiume Nera. Scaricò il grano e iniziò a macinare. Mentre la macchina operava con un frastuono infernale che si sommava al rumore delle acque, lui uscì all’aperto per mangiare un

boccone, fare due chiacchiere con gli altri contadini e allontanarsi un po’ da tanto rumore… e… accidenti, ma quella era la sua borraccia… la sua borraccia appesa a un chiodo, sul muro. Ecco chi gliela aveva fregata! Ora avrebbe fatto i conti con lui! Entrò con calma dentro il mulino, chiamò il padrone mentre il sangue gli andava al cervello e chiese di chi fosse quella borraccia. Ah -disse il padrone- l’abbiamo trovata tempo fa impigliata nella ruota ad acqua… forse è caduta a qualcuno nel fiume, chissà dove e chissà quando, e piano piano è arrivata qui. Questa parte di fiume che usiamo noi viene da sottoterra, da sotto la montagna di Narni, e ogni tanto troviamo qualcosa… qualcuno dice che porta pure l’oro… L’uomo allora rivendicò la sua borraccia raccontando la sua storia e il mugnaio non ebbe alcuna difficoltà a credergli. Questo evento mi è stato raccontato e credo sia avvenuto molto probabilmente prima della scoperta dell’energia elettrica, quando i mulini e i frantoi si trovavano tutti lungo il fiume per sfruttarne la forza motrice. A Terni c’era la massima concentrazione di questi macchinari ma anche Stifone, nel suo piccolo, si dava da fare. La borraccia che viaggia sotto terra dai monti di Vacone fino ad arrivare a Stifone, può sembrare uno di quei racconti fantastici e improbabili. Se qualcuno di voi ha visto il DVD storico-scientifico Il mistero delle acque di Stifone può comprendere agevolmente che quanto detto può essere realmente accaduto. Vittorio Grechi


Stifone l’enigma delle sue acque Alle estreme propaggini Nord-Ovest dei monti del massiccio del Monte Cosce, nel territorio del comune di Narni, il fiume Nera si è fatto strada nella roccia scavando nel corso di millenni una profonda e suggestiva gola. Qui, aggrappato alla sponda sinistra del fiume si trova una piccola frazione: Stifone. Attualmente offre all’occhio del visitatore il fascino un po’ decadente dell’antico borgo ormai quasi abbandonato. Tracce delle attività produttive che qui si svolgevano sono presenti ovunque. Sono tutte attività legate alla presenza dell’acqua, mulini e vecchie centrali idroelettriche. Anche se l’azione inesorabile del tempo le ha ormai rese delle rovine, in effetti non sono poi passati molti decenni da quando sono state abbandonate. Ma come mai una così massiccia presenza in una località così piccola? La risposta si trova nel sottosuolo di Stifone, che racchiude un mistero geologico ancora non completamente chiarito. Le sponde del fiume, infatti, sono qui costellate da una serie di sorgenti che riversano nell’alveo del Nera una quantità d’acqua stimata di circa 13000 litri al secondo, che fanno di Sifone una delle risorgenze più importanti d’Italia. La portata così elevata, la costanza di questa portata nel corso dell’anno, a dispetto delle variazioni stagionali e annuali delle precipitazioni, la particolare composizione di quest’acqua, tanto ricca di sali da non essere considerata potabile, ma proprio per questo motivo di un incredibile colore turchese, sono gli elementi che hanno indotto la ricerca geologica, in particolare il dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Perugia ad approfondire gli studi su questo sistema. Le domande a cui si è cercato di rispondere sono fondamentalmente: Da dove viene tutta quest’acqua? Perché sgorga proprio qui con flusso costante? Da dove prende il carico salino cosi elevato? Le risposte a questi interrogati mettono in gioco un’area di ricarica di più di mille chilometri quadrati, con dei flussi talmente profondi da non risentire delle variazioni delle precipitazioni. In questi percorsi profondi l’acqua incontra strati geologici antichi ricchi dei sali di cui si arricchisce. Nei pressi di Stifone è determinante la presenza di un articolato sistema di faglie e fratture che attraversano la gola, fungendo da collettori per l’acqua, convogliandola quindi verso le sorgenti. Alla ricerca geologica si è affiancata ora la ricerca speleologica, che sta seguendo la traccia fornita dalla geologia per verificare la possibilità che le sorgenti siano collegate a qualche sistema carsico nelle montagne alle spalle delle sorgenti, dove probabilmente le acque profonde si mescolano con le acque meteoriche provenienti dalla superficie. Augusto Rossi Simona Menegon

Il mistero delle acque di Stifone Nel 2008, misurando la temperatura interna di una grotta sul monte S. Annunziata, sopra Narni, si trovò una temperatura di 16°C, molto superiore alle temperature misurate nelle altre grotte della zona. Per risolvere l'enigma i ricercatori sono partiti dalle sorgenti di Stifone che erogano complessivamente 13000 litri/sec con flusso costante tutto l'anno. Il bacino stimato di raccolta dell'acqua è di dimensione regionale e pari a 1200 Km2. La sorgente della Morica è la più grande: eroga 2000 litri/sec a 16°C e si trova a 6 m di profondità. Le analisi delle acque sono state fatte dall'ISRIM di Terni ed è stato trovato che le concentrazioni di Calcio e Magnesio risultavano 10 volte superiori all'acqua del rubinetto. L’acqua dunque non è idonea per l’uso potabile. Alcuni anziani abitanti di Stifone ricordano: la storia della borraccia ritrovata, la totale assenza di calcoli nei bevitori di quell'acqua salata, i manfricoli cotti con tale acqua erano e sono squisiti. Dagli studi effettuati presso l'Università di Perugia risulterebbe che le rocce attraversate dalle acque di Stifone sono rocce evaporitiche formatesi circa 200 milioni di anni fa in ambiente subtropicale. Si ritiene inoltre che le acque circolino sotto terra per centinaia di anni prima di giungere a Stifone e che siano composte da una miscela di acque profonde VG molto saline e di acque più superficiali e meno saline. Lo studio e le immagini dell’esplorazione di questo luogo sono raccontati nel documentario “Il mistero delle acque di Stifone” il cui DVD è disponibile contattando l’associazione Culture Sotterranee. Sotterranee L’Associazione Culture Sotterranee di Terni si propone di esplorare gli aspetti meno conosciuti del territorio che ci circonda con particolare interesse al mondo ipogeo. L’associazione si vuole proporre alla cittadinanza come il nuovo riferimento per la ricerca, l’esplorazione e la documentazione del nostro territorio sia nel sottosuolo che nelle aree montane. Tutto questo si concretizza nella realizzazione di progetti di ricerca esplorazione e documentazione che andranno ad arricchire la cultura locale e la sensibilità verso le tematiche della tutela e della valorizzazione del territorio. Chi è interessato può contattare l’associazione scrivendo a redazione@culturesotterranee.it

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Cavour e l’occupazione dell’Umbria Nella primavera del 1860 la minaccia di Garibaldi, che si sarebbe scatenata contro il Regno delle Due Sicilie, incombeva anche sullo Stato della Chiesa. Il conte di Cavour nell’intento di lavorare, con uno sforzo pari al disegno che stava progettando, per bloccare le forze di Garibaldi, che dopo la conquista di Napoli intendeva rivolgere il suo sguardo verso Roma, era oltremodo preoccupato per la causa della monarchia sabauda. Verso la metà dell’agosto 1860 ordinava la concentrazione di forti contingenti di truppe al confine umbromarchigiano, rassicurando nel contempo il governo di Roma che tali misure costituivano una protezione contro eventuali tentativi dei rivoluzionari di occupare lo Stato Pontificio e la stessa Roma. In realtà il concentramento di queste truppe ai confini nascondeva da parte di Cavour il segreto proposito di impadronirsi di un’altra porzione del territorio pontificio. Il 31 agosto, ottenuto il tacito assenso di Napoleone III, avvertiva il gen. Fanti, ministro della guerra e comandante dell’arma mobilitata, di tenersi pronto tra l’8 e l’11 settembre a sferrare l’offensiva. Le operazioni iniziarono l’8 settembre senza una regolare dichiarazione di guerra. L’occupazione dello Stato Pontificio da parte delle truppe sardo-italiane e di un gruppo di volontari si svolse su tre direttrici di marcia che da Nord investirono il territorio pontificio, prendendo possesso in poco meno di un mese delle Marche, dell’Umbria, della Sabina e di parte del Lazio. I territori situati a nord ovest di Roma furono invasi da una colonna mobile di volontari toscani, circa ottocento uomini, che assunse il nome di Cacciatori del Tevere. Fu organizzata con il consenso di Cavour e partì da Chiusi al comando del col. Masi. Passato il confine tosco-pontificio, la colonna del Masi occupò Città della Pieve ed il 12 settembre Orvieto che capitolò nelle prime ore del pomeriggio. Il 17 settembre i Cacciatori del Tevere ripartirono da Orvieto e passando per Bevagna e Bagnorea, l’attuale Bagnoregio, conquistarono il giorno successivo Montefiascone. Proseguendo la sua marcia, la sera del 20 settembre Masi giunse a Viterbo. Da qui il grosso dei volontari si spinse ancora più avanti passando per Caprarola e Ronciglione, entrando, nella stessa giornata del 24 settembre, a Civita Castellana, già sgombrata dai pontifici. Con lo scopo di penetrare, poi, nel cuore dello Stato Pontificio, il 2 ottobre Masi occupò Rignano Flaminio, Fiano Romano e Castelnuovo di Porto. La città di Roma era ormai a portata di mano e le compagnie vennero scaglionate lungo il Tevere, per il cui traghettamento furono riunite. Arrivarono a Poggio Mirteto, dove avrebbero dovuto trovarsi le truppe regolari dell’esercito sardo-piemontese al comando del gen. Filippo Brignone pronte a marciare su Roma. Purtroppo non c’era nessuno. Allora il col. Masi inviò una staffetta a Terni, nel frattempo occupata dalle truppe sardo-piemontesi, per sapere dal gen. Brignone quali fossero le intenzioni del Governo e se avesse potuto dirigersi alla volta di Roma. Fu questo un momento molto difficile per il fatto che Brignone fece riferire a Masi che ogni speranza di proseguire la marcia verso Roma era svanita e che contemporaneamente aveva dato disposizione di abbandonare i territori del Lazio già occupati. Come è noto, Napoleone III era intervenuto presso il governo sardo informandolo che, se avesse consentito all’occupazione dell’Umbria e delle Marche, non avrebbe per nulla violato l’integrità di quella parte dello Stato Pontificio, allora chiamata “Patrimonio di S. Pietro”. Cavour aveva infatti telegrafato in data 30 settembre al gen. Brignone: “Francia insiste perché non avviciniamo a Roma. Masi si ritiri”. L’8 settembre, in seguito a questo perentorio ordine, il colonnello ripiegò su Magliano Sabina e da lì definitivamente su Orvieto dove giunse il 20 ottobre 1860. Finì così l’impresa dei Cacciatori del Tevere. E’ interessante ricordare che durante le operazioni militari, Cavour fu costantemente informato di tutti i passaggi. Ciò smentisce l’affermazione di svariati storici seconda la quale Cavour aveva a cuore soltanto le vicende dell’Italia settentrionale. L’occupazione dell’Umbria da parte del V Corpo guidato dal gen. Morozzo della Rocca, partendo dalla Toscana, penetrò in territorio nemico acquisendo immediatamente Città di Castello e, poi, Perugia. Nonostante aspri combattimenti, Spoleto, difesa da 588 uomini al comando del maggiore O’Relly, fu liberata il 17 dal dominio pontificio. Il giorno successivo il gen. Brignone proseguì la sua rapida marcia verso Terni. Vi entrò il 20 settembre, ponendovi il suo quartier generale. Il 22 settembre fu la volta di Narni. Nella stessa giornata si concluse l’avanzata delle truppe regolari dell’esercito sardo-piemontese in direzione di Roma, con la conquista di Otricoli. Il 25 settembre Brignone si spostò da Terni per incontrarsi a Civita Castellana con il Masi e definire le linee strategiche delle operazioni in Umbria. All’occupazione militare dell’Umbria seguì l’emissione di una serie innumerevole di decreti che abolivano le vecchie disposizioni pontificie e avrebbero regolamentato tutti gli aspetti della vita civile, militare ed amministrativa. Il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli in qualità di commissario generale straordinario nell’assumere la sua missione così si espresse con il seguente proclama: “Cittadini delle Provincia dell’Umbria! Vengo in nome del Re, che nella comune letizia dei Suoi Popoli non vi aveva dimenticati! Spinto dalla carità di patria, non da ambizioni di regno. Egli vi stende la paterna sua mano, e studia ogni mezzo di alleviare i lunghi dolori che patiste nel nome d’Italia. Dolori gloriosi che non furono infecondi per la nostra libertà, perché se le armate straniere furono disfatte a Palestro e a Solferino, l’autorità temporale del Pontefice fu disfatta a Perugia dalle stesse sanguinose violenze dei suoi soldati di ventura. Rinasca in voi oggi la fiducia; concordi, animosi, fidenti apparecchiatevi alla difesa della Patria: liberi dal dominio forestiero, esercitate il primo, il più sacro diritto di un popolo, quello di deliberare sulle proprie sorti. Geloso custode della vostra volontà nazionale, io tutelerò la libertà di tutti. Popoli dell’Umbria! Deliberate sulla sicurezza di coscienza. A difesa dei vostri voti stanno la lealtà del Principe, la spada del primo soldato dell’Indipendenza. Orbene quanto è stato succintamente narrato, quanto non risultata esplicitato negli eventi sopra ricordati è frutto eslusivo della mente, della volontà, della lungimiranza del CONTE CAMILLO BENSO di CAVOUR, che nel pensoso silenzio della sua azione costruiva il tessuto civile ed umano della NUOVA ITALIA!”. R o be r t o St o ppo ni

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Cavour e il suo tempo Mostra a Palazzo di Primavera nel 150° dell’Unità d’Italia

La Provincia di Terni per la cultura

La Provincia di Terni per la cultura

Fino a giovedì 20 febbraio a Palazzo di Primavera sarà possibile visitare la mostra itinerante Cavour e il suo tempo, allestita dalla Provincia di Terni in occasione del centocinquantesimo dell’unità d’Italia e del bicentenario della nascita dello statista piemontese. Rivolta prevalentemente ai giovani, affinché dall’approfondimento della conoscenza della storia italiana sappiano rinvenire elementi utili alla crescita civile, sociale, economica del paese, è incentrata sulla figura dello statista e sui processi storici che portarono all’unità d’Italia. Proiettata nel presente, intende fornire interessanti spunti di discussione a partire dal cambiamento della percezione dell’identità nazionale in un’epoca, come la nostra, di cambiamenti profondi. La Provincia di Terni è la prima in Italia ad ospitare l’importante esposizione inaugurata a gennaio scorso dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e curata dalla Provincia in collaborazione con la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, l’associazione Amici della Fondazione Cavour e la Fondazione Cavour con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni e il patrocinio di Regione Umbria e Comune di Terni. Il taglio del nastro è stato dato il 13 dicembre scorso con un convegno, moderato dal capo redattore del Tg3 Umbria Alvaro Fiorucci, dal titolo A 150 anni dall’Unità d’Italia, identità e mutazioni, che ha avuto come relatori Ernesto Galli Della Loggia (storico e giornalista), Romano Ugolini (Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia e Presidente dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano), Anita Garibaldi (Presidente della Fondazione Giuseppe Garibaldi), Gino Anchisi (vice presidente dell’associazione Amici della Fondazione Cavour), Domenico Petruzzo (dirigente del Miur di Perugia), Francesco Consalvi (presidente della Consulta provinciale degli studenti). Siamo orgogliosi - ha affermato il presidente della Provincia Feliciano Polli - di ospitare una mostra di questa importanza. Un evento eccezionale che qualifica il territorio provinciale e la Provincia come istituzione. E’ una grande opportunità anche per avviare da Terni il dibattito sul valore del Risorgimento italiano e sull’importanza dell’unità del nostro paese in un momento di forte crisi a livello internazionale. Una crisi che fa sentire i suoi effetti anche in Italia e a Terni e che si cala in un momento particolare anche per la politica nazionale. L’esposizione non è destinata ad un ristretto ambito di specialisti ma, per il suo carattere divulgativo-didattico, ad un vasto pubblico. Abbiamo voluto offrire un’occasione particolare di studio e riflessione sui significati profondi che portarono alla nascita del nostro stato con l’intento di rafforzare la consapevolezza del filo invisibile, ma ben saldo, che ci lega e unisce, a partire dal Risorgimento. Da questa storia, esaltante e solida, dobbiamo trarre gli stimoli per affrontare e superare le difficoltà di oggi nonché la spinta per costruire il nostro futuro. Presentata a Plombières les Bains nel luglio 2008, ricorrenza del 150° anniversario dell’incontro segreto tra Napoleone III e Cavour, la mostra ha riscosso notevole interesse di pubblico e l’apprezzamento di storici italiani e francesi. Cavour e il suo tempo ripercorre gli ambienti e i contesti storici in cui si formò lo statista italiano, evidenziando lo spirito, il metodo e l’originalità della sua azione politica. Si compone di trentaquattro pannelli e di quattro televisori al plasma dislocati su tre piani che trasmettono un dvd appositamente realizzato. Offre un percorso affascinante ed inedito che permette al visitatore di apprezzare il clima del tempo e di ricostruire uno degli aspetti più importanti del nostro passato. E’ aperta al pubblico dal martedi alla domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00 rientrando così tra gli eventi valentiniani. Dopo il 20 febbraio sarà esposta in diversi comuni del territorio provinciale.

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Vaghe stell Sezione triennio - 1° premio

Nel torpore e nell’assopimento del primo mattino, quando le luci dell’alba filtrano dolcemente attraverso le imposte e affievoliscono il sonno profondo della notte, appare in sogno al poeta l’effigie di una fanciulla morta in tenera età che egli aveva profondamente amato. Il poeta, trovandosi in uno stato di semi-coscienza non riesce immediatamente a comprendere il perché di quella presenza e le rivolge delle domande finché ella non gli rivela di essere davvero morta. In questo dialogo al confine tra sonno e veglia, tra vita e morte, i due discorrono sulla comunanza del loro infelice destino e sul significato della morte e rievocano il tratto di vita percorso insieme, profondamente segnato dalle pene d’amore e dalla infelicità. Questo incontro di anime in bilico tra realtà e fantasia, tra reale e soprannaturale trova il suo apice nell’anelante contatto fisico tra i due ed infine si estingue definitivamente nella lucida consapevolezza del risveglio. L’intero canto si svolge nella sottile e intangibile dimensione che separa la vita dalla morte, il sonno dalla veglia o, usando un lessico leopardiano, il caro immaginar dall’arido vero: lungo questo filo impercet-

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tibile avviene la comunione tra le due anime che gradualmente maturano una lucida consapevolezza della morte fino all’addio finale che prelude alla coscienza del definitivo ed eterno distacco tra i due nell’abisso che separa i morti dai vivi. La morte è infatti uno dei temi centrali della poesia ed è intesa in termini materialisticomeccanicistici come un distacco definitivo dal mondo, come un eterno oblio o, per usare termini leopardiani, come un orrido abisso in cui si sprofonda senza vie d’uscita o punti di contatto con la dimensione terrena. L’unico filo invisibile che lega queste due dimensioni così nettamente separate è la rimembranza, ossia la rievocazione intenerita degli ameni inganni della vita terrena intesa come parziale sollevamento e addolcimento dalle angosce esistenziali e dall’incombere della morte (mi soccorro la rimembranza or che il futuro è tolto ai giorni nostri). L’impalpabile figura della fanciulla appare sospesa in un’atmosfera evanescente e rarefatta, tipica del sonno, ma anche della dimensione del ricordo in cui cose e persone perdono il loro spessore ontologico, astraendosi e diventando

paradigmi dell’esistenza umana. Tuttavia la vaghezza e l’indefinitezza della dolce dimensione del ricordo (cara e tenerella salma) si inasprisce talvolta nella lucida e amara osservazione della realtà (misera spoglia, sudori estremi ecc.). Collegati al tema della morte sono anche quelli della giovinezza e dell’infelicità. Il poeta vive in una condizione di alienazione esistenziale in cui si stempera la nettezza dei confini tra la vecchiaia e la giovinezza, in quanto entrambe accomunate da una profonda angoscia esistenziale: la giovinezza non è infatti contraddistinta per lui da spensieratezza e felicità, ma è invece continuamente tormentata da uno stato di perenne inquietudine (Obblivio ne ingombra i tuoi pensieri e gli avviluppa il sonno). L’infelicità è intesa da Leopardi come una condizione ontologica dell’uomo e connaturata profondamente nella sua essenza (Nascemmo al pianto che rievoca il verso Negletta prole nascemmo al pianto dell’Ultimo Canto di Saffo). L’infelicità è quindi un dato di natura, un’imprescindibile status dell’esistenza umana in cui non trova spazio alcun tipo di conforto (perduta speme) se non quello parziale della rimembranza (D’angoscia porto gravido il cor): quella del poeta è dunque una negra vita. La poesia Il sogno, essendo stata scritta da un Leopardi ancora non maturo, presenta tratti tipici della poetica del vago e dell’indefinito che caratterizza i suoi primi componimenti lirici: ad esempio, la giovinezza, pur nella prospettiva dell’esperienza personale del poeta, risulta essere poco distante dalla vecchiaia (poco da vecchiezza si discorda il fior dell’età mio), è più generalmente intesa come il periodo più dolce e sereno dell’esistenza umana poiché supportato dalle illusioni che

vengono poi demistificate in età adulta quando l’arido nero si svela all’uomo. Inoltre, altro tratto importante è lo slancio vitale ed eroico e il disperato attivismo del poeta (tema presente anche nella poesia La sera del dì di festa) che si ribella contro il destino avverso e si erge titanicamente contro i limiti dell’esistenza umana e la sua precarietà (d’angoscia gridar volendo, e spasimando e pregne di sconsolato pianto le pupille). Questo slancio energico si stempererà e si estinguerà in una rassegnata e lucida osservazione nei canti pisano-recanatesi, in cui il poeta raggiunge un miracoloso equilibrio tra arido vero e vero immaginar (ad esempio in A Silvia, la poesia si conclude con la cruda immagine della fanciulla oramai morta che indica da lontano la sua tomba ignuda). Il vertice lirico della poesia si trova nell’affannoso, effimero e precario contatto tra le due anime. La figura della fanciulla, così come quella di Nerina ne Le ricordanze e quello di Silvia, è collocata su di uno sfondo astratto e impalpabile, tipico della dimensione del sogno e del ricordo e proprio questa evanescenza rende sfuggente ma estremamente intenso il contatto tra le due anime (L’affannosa dolcezza palpitando all’anelante seno la stringo). Nella poesia Il sogno infatti permane quel contatto, quel filo invisibile che lega le due dimensioni, quella della vita e della morte, del passato e del presente, filo che verrà definitivamente reciso nei canti pisanorecanatesi dal disinganno e dalla demistificazione delle illusioni. In A Silvia, ad esempio, il ricordo appartiene irreversibilmente al passato ed è sigillato nel cuore che non potrà più tornare. Nella poesia di Leopardi tutte le figure femminili assumono un valore paradigmatico: Silvia diventa il simbolo della illusioni della giovinezza, della trasognata

Premio letterario

Vag

Il Liceo Classico “G.C.Tac scolastico 2010/2011, la p letterario “Vaghe stelle dell’O Maria Chiara e Marianna, tre tragicamente scomparse, le q la comunità scolastica, un vi Il concorso, che consiste in testuale, saggio breve, tema) Leopardi con particolare rife è indirizzato agli alunni de quelli frequentanti la terz Comune di Terni.

A questa prima edizione hann scuole Medie (I.C. Oberdan, I.C I.C. Marconi, I.C. Giovanni XX Nucula”) e 29 alunni del Liceo C

speranza nel futuro e della spensieratezza fanciullesca mentre Saffo diventa allegoria dell’estrema infelicità umana che sfocia in un rapporto disarmonico con la natura e in un’amara riflessione sulla negatività ontologica dell’esistenza umana (Negletta prole nascemmo al pianto). Comunque, ogni figura femminile diventa spunto di una più profonda riflessione sulla morte, sulla precarietà della vita e sui limiti della condizione umana che si riconnette al più generalizzato contrasto, presente nell’animo del poeta, tra la limitatezza e la caducità delle cose e la propensione spirituale dell’io romantico verso un’alterità sottratta alla conoscenza dell’uomo che, secondo una prospettiva metafisica, trascenda il tempo e la morte. Chiara Mandosi III PN Liceo Ginnasio “G.C. Tacito”


e dell’orsa... Sezione scuole medie - 1° premio

he stelle dell’Orsa… ghe

cito” ha indetto, per l’anno prima edizione del Premio Orsa…” in ricordo di Giulia, e allieve capaci e meritevoli, quali hanno lasciato, in tutta ivo ricordo di sé. n un componimento (analisi ) sul pensiero e sull’opera di erimento al tema del ricordo, ella terza liceo classico e a za media nelle scuole del

no partecipato 111 alunni delle . Campomaggiore, I.C. De Filis, XIII, Scuola media “Da VinciClassico “G.C. Tacito”.

Silvia è un po’ lo specchio di ogni giovane: speranze, desideri serbati nel cuore e progetti per l’avvenire di un futuro che alfine non si rivela esattamente come l’abbiamo immaginato. La ragazza, simbolo delle fantasie giovanili e personificazione del sogno, è chiamata dal poeta a ricordare, in un tempo che appare infinito, le vaghe illusioni della sua giovinezza, quando era ancora allegra e spensierata, non appesantita dai problemi e dalle numerose responsabilità che gravano, invece, sugli adulti. Ingenua e pura, immersa tra mille progetti ed idee, riempiva di gioia canora le vie del borgo di Recanati, quando tutto, perfino il paesaggio, durante il mese di Maggio odoroso, veniva afflitto dal sole cocente. Era in quei pomeriggi che il Leopardi, lasciando per un attimo i leggiadri studi di greco e latino si recava al

balcone e, mirando la bellezza del panorama circostante, luminoso e rischiarato dalla luce dell’astro, limpido il cielo, candide le soffici nubi, le colline di un verde brillante e l’azzurro mare in lontananza, ascoltava il perpetuo canto della fanciulla, dolce tanto da riscaldare il cuore. Anche a me è successo che le parole di una poesia abbiano dato voce ed immagini ai miei sentimenti ed emozioni più profonde. Poche parole costituiscono il mio carme preferito: Mattina, di Ungaretti. Il dettaglio di essa che, in assoluto, mi ha più colpita, è stato come sia riuscito il poeta, con così pochi termini, in mezza riga scarsa, a comunicare emozioni a tal segno. Ma la genialità non sta nello scrivere tanto, spesso le parole quando sono troppe, perdono di significato, quelle non dette celano i significati più profondi. Sono un’appassionata di poesie e ne ho lette risalenti a tutti i secoli, di ogni situazione descritta, allegre, tristi o semplicemente dal carattere descrittivo, particolari, talvolta così minuziose e dettagliate da farmi apparire l’immagine qui di fronte a me, come fosse reale, o come se avessi vissuto in quel luogo, in quell’epoca, in quel giorno, in quell’attimo fuggente racchiuso ed intrappolato tra le pagine di un libro da qualche frase di una lirica o di una canzone libera. Credo che Mattina sia il filo che lega la concretezza e l’astrazione, il parallelo, l’anello di congiunzione tra ciò che vediamo e ciò che è celato; tra realtà e fantasia; tra la vita guardata dall’esterno e quella guardata dall’interno, poiché spesso, la nostra visione dell’esistenza è errata o perlomeno, non è fedele. Ciò che è non è come appare, entra in campo la soggettività di ciascuno di noi, la quale ci fa notare una cosa e non un’altra. Non sempre è bello l’esplicito, anzi, non è affatto così. Come affermò Leopardi ne

Il sabato del villaggio, migliore è l’attesa della festa piuttosto che la festa medesima. I sogni e le speranze, creati con la fantasia, sono traditi dalla cruda realtà. Purtroppo la vita non è tutta rose e fiori, non si può mai godere pienamente di essa essendo ciascuno di noi parte del mondo e dell’universo che lo circonda. Un dettaglio, un tassello del puzzle di cui siamo costituiti sarà sempre rubato, anche se non ce ne accorgiamo, da qualcun’altro o da qualcos’altro. Nasciamo, viviamo, moriamo e diventiamo terra, polvere dalla quale si origineranno nuove cose, magari nutrimento per le pianta che verrà mangiata dall’erbivoro di cui, probabilmente, un altro si ciberà. Il ciclo vitale è un po’ come il sorgere del Sole: nasce la mattina, rischiarando a poco a poco il cielo con la sua timida e pallida luce; si innalza e, stagliandosi a mezzogiorno sopra le nostre teste, impone con fare regale, la sua potenza luminosa; muore, similmente a come è nato, alla sera, per poi rinascere ancor più luminoso, immenso nell’infinità degli abbracci che rivolge al nostro pianeta. A sua volta, il mondo intero gli risponde, ansioso di vederlo sorgere, la terra e gli alberi sorridono, gli animali si risvegliano, così come l’umanità: tutti sono pronti ad iniziare una nuova giornata, ed attendendo che il calore li avvolga e riscaldi i loro cuori. Perché la luce del Sole mattutino è una promessa di felicità, dono di freschezza e di vita, essendo la vita medesima ad esso subordinata. Chi non si illumina d’immenso nello scostare le tende, nell’affacciarsi alla finestra, nell’uscire in cortile e nello scorgere il nascente Sole, la speranza che promette, la gioia ed il calore sulla pelle? Ed è proprio questa la domanda implicita di Mattina: “Chi è il soggetto? Chi s’illumina d’immenso?”.

Sarà la mattina stessa rischiarata dal Sole o forse l’umanità intera, illuminata dalla speranza riposta nel nuovo giorno? E cos’è l’immenso? Qual è quella cosa che, nella piccolezza del mondo, nella grettezza di certe azioni o di certi sentimenti si estende senza limiti nello spazio e nel tempo? L’incommensurabile, lo sconfinato, l’intensità e l’estensione infinita? Solo la luce. Immenso … come può una semplicissima parola, una voce fra tante che si perde nel brusio di una frase o di un discorso simboleggiare la luce? La speranza, in realtà, non è riposta nel principio di un nuovo giorno, bensì nella luce da cui è rischiarato: la luce è vita, la vita è anche anima e l’anima è la luce. Quando tutto sembra perduto, quando il buio più profondo ci avviluppa ed il dolore abbatte ogni speranza, è quello il momento in cui si ha maggior bisogno di luce. L’unico modo per non mollare, per non lasciarsi affliggere dalle difficoltà è trovare il lato positivo (la luce) di ogni cosa, nonostante, alle volte, possa sembrare impossibile. Ardua è l’impresa, ma la speranza deve essere l’ultima a morire. Ritengo (e mi rivolgo a

molte persone che la speranza l’hanno già persa) che il vero significato della vita non stia nel compiere grandi imprese o nel dimostrare chissà cosa assumendo “maschere” diverse per ogni occasione e finendo, spesso, per non riconoscere più la vera faccia, ma nel cercare la luce e nel fare della propria vita un salto nella felicità. Non si deve tentare di essere ciò che gli altri vorrebbero, soltanto noi ci conosciamo interiormente, e nemmeno per intero (c’è il lato inconscio), si vive veramente soltanto quando si capisce a fondo questa piccola verità. L’esistenza di ciascuno di noi è brutalmente scalfita, graffiata, ferita, oppressa e violentata dall’alone di buio che ci circonda, l’importante sta nel trovare il giusto equilibrio tra ragione e sentimento, nell’arrivare a toccare la linea sottile che congiunge il bene e il male, essendoci sempre nel male un po’ di bene e nel bene un po’ di male. Quello che conta veramente è essere un lampo nelle tenebre e vivere la propria realtà in equilibrio, cogliendo l’attimo e riuscendo ad illuminarsi della speranza che deriva dalla mattina, senza privarsi di guardare nell’immenso. Elena Lucci III G Sc. media “Da Vinci-Nucula”

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P aese che vai gente c he tr ovi

Vi è mai capitato di svegliarvi una mattina e di avere voglia di cambiare la vostra casa pur non avendo un euro in tasca? A me si! Sarà forse la deformazione professionale ma, spesso, cambio la disposizione dei mobili nelle varie stanze; con un po di manualità, di inventiva e soprattutto di tempo mi cimento in lavori manuali che impegnano il corpo e sgombrano la mente.

Nello scorso numero ho parlato del colore e di come uno spazio può cambiare aspetto con il colore giusto e quanto può influire abbinare correttamente coloreprofessione. In questo articolo, invece, faccio una piccola introduzione su cosa bisogna prendere in considerazione prima di arredare correttamente una stanza. I fattori da considerare sono tanti,

ma principalmente ed inizialmente ne prenderemo in considerazione solo due: 1. La cultura In Italia siamo abituati ad arredare gli spazi chiusi mettendo i mobili lungo le pareti e lasciando libero il centro in modo da dare l’illusione di avere un’area più grande a disposizione. Nei giardini preferiamo il prato inglese (dove tirare quattro calci ad un pallone) con qualche pianta ai lati. In Giappone, è esattamente il contrario. Essendo il Giappone un paese che manca di grandi spazi aperti i giapponesi sono abituati a sfruttare al meglio i piccoli spazi, le stanze sono prive di mobili alle pareti e quei pochi che ci sono vengono collocati al centro, hanno una vera e propria cultura dei giardini, piccoli ma curatissimi, non sono solo belli da vedere ma anche da vivere. Nel passeggiare in un giardino giapponese bisogna prestare molta attenzione a

dove mettere i piedi in quanto ci sono percorsi ben delineati che stimolano l’interesse della persona. In America la cultura cambia ancora. Negli uffici lo spazio per gli impiegati non va oltre lo spazio effettivamente richiesto dalle esigenze di lavoro; ad esempio la scrivania è posta in modo che l’impiegato si possa anche distendere per rilassare braccia, gambe e spina dorsale e non si senta troppo costretto, ma lungi dal progettare un ufficio all’italiana, riservato solo ai vertici. 2. L’ergonomia L’ergonomia è la scienza che studia il giusto rapporto tra l’uomo ed un oggetto od uno spazio. Il paese (la cultura) e l’ergonomia sono due fattori strettamente legati in quanto l’uno è subordinato all’altro e viceversa. In Italia le nostre case e i nostri mobili sono studiati per un uomo che è alto mediamente 174 cm mentre se si va nei paesi del

nord come la Germania, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia le misure cambiano, le sedie sono più alte e più larghe, così i tavoli. Tutto eccede di qualche centimetro per far sentire a proprio agio persone che rispetto a noi sono mediamente più grandi, in questi paesi le persone sono tra le più alte del mondo con una statura media per l’uomo di 185 cm, ad esempio i piani delle cucine sono più alti di 10 cm, al contrario se andiamo nei paesi orientali come la Cina, il Giappone, le Filippine troveremo tutto più ristretto dagli oggetti, all’arredo, all’abbigliamento e quindi agli spazi in quanto un uomo medio è alto circa 165 cm. Tutte queste piccole considerazioni diventano molto importanti nel caso in cui la casa da arredare non sia la nostra... quindi tenete a mente... paese che vai gente che trovi! Claudia Mansueti info@claudiamansueti.it

Le lampadine ecologiche che inquinano l’ambiente Tassa di 22 centesimi per lo smaltimento che non c’è La legge 151 del 2005 ha fatto scattare, a partire dal novembre 2007, il pagamento di un eco-contributo di 22 centesimi più iva per ogni lampada a basso consumo acquistata. In cambio dovrebbe essere assicurato il ritiro delle lampade non più funzionanti, in appositi centri, allo scopo di evitare la dispersione delle sostanze tossiche contenute al loro interno: mercurio e polveri fluorescenti. La legge interessa non solo i 130 milioni di lampadine a basso consumo di tutti i tipi, ma anche tutti gli apparecchi elettrici e elettronici, piccoli e grandi, dai cellulari ai frigoriferi. Chi li produce deve assicurarne il recupero, attraverso l’apposita raccolta organiz-

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zata dagli operatori economici nei loro punti vendita e la raccolta differenziata dei Servizi di Igiene Ambientale dei Comuni. Le apparecchiature raccolte dovranno poi essere inoltrate ai centri RAEE (acronimo che sta per Rifiuti da apparecchiature elettriche e elettroniche capaci di riciclarle. In sostanza i produttori delle apparecchiature elettriche e elettroniche devono garantire la vita del prodotto, il recupero e il riciclaggio. Invece, nei negozi in cui sono commercializzati questi prodotti, non c’è traccia dei contenitori per la raccolta differenziata, né c’è l’intenzione di accollarsi quintali di lampade fuori uso in attesa che si

metta in moto il meccanismo di raccolta. Provare per credere, i più vi risponderanno: Sì, da quest’anno applichiamo il sovrapprezzo ecologico su lampade e apparecchiature elettriche. Siamo stati informati dai produttori della costituzione di alcuni centri di riciclaggio. Ma il servizio di raccolta non è partito. Nell’attesa le lampade finiscono nei normali cassonetti della spazzatura. Allora perché imporre un nuovo balzello se il sistema di raccolta non è ancora partito? Perche si tratta di un obbligo previsto dall’Unione europea che in Italia abbiamo recepito con un’apposita legge, la 151 del 2005 - spiega il responsabile del ministero

dell’Ambiente e presidente del Comitato di controllo e vigilanza Raee. La legge è operativa dal 13 agosto 2005. La nostra inadempienza (il pagamento del balzello) poteva fare scattare una procedura di infrazione per l’Italia. Conclusioni A Terni la raccolta differenziata dei prodotti RAEE ancora non c’è. L’ASM Terni S.p.A. -Servizio Igiene Ambientale- ha solo attivato i centri di raccolta differenziata (CERD) a S. Martino e Maratta. Questo è un servizio quasi sconosciuto alla maggior

parte dei cittadini e, comunque poco utilizzato per la sua scomodità. Gli impianti di riciclaggio in Italia sono solo sette e tutti concentrati al Nord. Dal 2007 paghiamo 22 centesimi in più per ogni prodotto elettrico (piccolo e grande) acquistato. Domanda Che fine hanno fatto (e fanno) i nostri soldi? franco.capitoli@teletu.it


Cos ’ è un

sogno?

Innumerevoli volte vediamo davanti ai nostri occhi l’esemplificazione impoverita di quello che potrebbe essere il sogno di una vita, la realizzazione di un’esistenza o semplicemente il desiderio che il nostro cuore aveva covato a lungo. A cosa mi sto riferendo? Alle immagini che ci passano davanti agli occhi, come fossimo passeggeri distratti su un autobus che ogni giorno fa sempre lo stesso percorso che non riesce più a farci emozionare col paesaggio, tanto che dobbiamo affidarci alla nostra fantasia per far passare il tempo o abbandonarci a sterili chiacchiere con qualcuno per arrivare fino a casa e poterci rintanare nei nostri mondi ovattati e al sicuro da qualsiasi cosa noiosa il mondo ci stia tenendo in serbo. Quante volte vedendo l’ennesima pubblicità di una famiglia felice sentiamo il livello dei trigliceridi arrivare a toccare livelli inauditi? Quante volte vedendo l’ennesima immagine per strada di una coppia innamorata che si abbraccia o semplicemente si tiene per mano, invece di essere felici per loro, sentiamo dentro qualcosa che stride? Quante volte, guardando un film o leggendo un libro, ci ritroviamo a pensare che sono cose che succedono solo nei film/libri e che quindi non c’è nient’altro di meglio da sperare? E invece no, per la miseria! E invece quella pubblicità non ci piace perché ci fa vedere qualcosa che potrebbe davvero esserci se solo facessimo pace con noi stessi prima di voler intavolare una relazione degna di nota! E invece quel gesto di tenerezza fatto da due persone che si vogliono bene potrebbe addolcirci la giornata se guardato con occhi nuovi o comunque diversi da quelli cinici di prima! E invece certe cose se finiscono nei libri e/o nei film vuol dire che un minimo di fondamento reale ci deve essere in un modo o nell’altro, quindi... perché non a noi? E lo so che non si deve cominciare una frase con la “e”, ma davvero è di fondamentale importanza? Al momento non mi pare proprio. Non so se è semplicemente il periodo fitto di impegni, scadenze e cose da fare e studiare che mi ha portato a questa considerazione ma ogni tanto penso sia altamente formativo uscirsene con un bellissimo, sentito e sofferto “non me ne importa niente: voglio solo provare ad essere felicemente soddisfatto di me stesso”. Certo, non bisogna fermarsi sterilmente lì. Bisogna rimboccarsi le maniche e cambiare quello che di noi non ci piace e che ci ha portati a non stupirci più di niente, se non delle cose brutte. Che ci ha portati a stare fermi su quell’autobus guardando annoiati fuori dal finestrino o parlando di cose stupide con la prima persona che ci capita davanti. Alzatevi, cambiate di posto e parlate con chi volete davvero parlare oppure state in silenzio solo stando vicino a chi volete stare vicino, cosa avete da perdere, in fondo? Oppure rimanete seduti dove siete e lasciatevi meravigliare da qualcosa che non avevate notato qualche giorno fa: cos’è quello? Uno stendino con delle lenzuola buffissime? E quell’altro? Oh, ma è un piccione che vola da un tetto all’altro! Spiegatemi cosa c‘è di male a rimanere meravigliati e sorpresi dalla quotidianità. Il miracolo sta proprio qui. Ovvio che qualcuno si possa stupire davanti ad uno spettacolo come l’aurora boreale. Come non commuoversi davanti ad un mare in tempesta o ad un tramonto tra le montagne? Non ci vuole un’anima particolarmente incline alla magia del mondo che ci circonda per potersi emozionare così. Perché, non si può reputare poetica la visione di qualcosa che è sempre stato nello stesso posto ma che un giorno riesce a colpirci perché toccato da un raggio di sole o perché soggetto a dei strani giochi di luce ed ombra? Ecco, perché limitarsi a vedere la poesia nelle cose che già di per sé la contengono in embrione? Perché non lasciarsi andare a qualche piccola follia interpretativa? Perché non lasciarsi prendere la mano e farsi portare lontano? Chi può dire cosa sia un sogno? Lasciatevi carta bianca e decidetelo voi. Chiara Colasanti

Bestemmie e linguaggi volgari… carenza educativa di famiglie, scuola e società La sensazione dominante di chi mostra un minimo di attenzione al panorama attuale della nostra società, è che i legami e i rapporti che la costituiscono si stanno gradualmente dissolvendo. Lo possiamo vedere nella spasmodica lotta per il consenso che si determina in quasi tutte le occasioni di confronto fra qualsivoglia soggetti, siano essi politici o commentatori sportivi, concorrenti di reality show o portatori di opinioni diverse. I dibattiti non vengono legittimamente sostenuti da argomentazioni a sostegno dell’una o dell’altra posizione, ma sfociano quasi sempre in una demonizzazione dell’avversario di turno, concepito, spesso, come nemico da abbattere, fino a farlo oggetto di invettive e degli insulti più volgari possibili. Mentre un soggetto espone le sue convinzioni il cameraman non manca mai di inquadrare, come da copione, quella componente di fazione opposta, invitata direttamente per il contraddittorio o facente parte del pubblico, che oscilla la testa qua e là in segno di disapprovazione. Un messaggio diseducativo che va rimosso con l’acquisizione di una cultura collettiva che ponga al primo posto il rispetto dell’altro. Fino a qualche tempo fa un fenomeno saltuario che prontamente produceva vigorose reazioni in nome di valori e princìpi perduti, ma che nella cosiddetta civiltà contemporanea è diventato piuttosto ricorrente tanto che passano inosservati i tentativi disperati di correggere le debolezze del sistema. Tutte le misure intraprese di volta in volta, per bloccare nelle intenzioni i vari danni d’immagine portati alle relazioni umane, hanno sistematicamente l’effetto che tutti vogliono; cioè nessuno. Gli scenari sono i più disparati, si va dalle manifestazioni sportive alle trasmissioni televisive o radiofoniche in cui viene consentito l’uso di un linguaggio volgare, a volte perfino blasfemo. E’a tutti noto il clima che circonda il calcio a livello nazionale dove gli ultras hanno buon gioco a scatenare problemi di ordine pubblico, ad alimentare ondate razziste e propositi devastanti, ad offendere e malmenare gli arbitri e a volte gli stessi giocatori, a loro volta, in molti casi, colpevoli di provocare reazioni nel pubblico con atti e con messaggi verbali irriverenti. E ciò non accade solo nel calcio, ma in tutti i raduni sportivi compresi quelli con i più innocenti obiettivi amatoriali, come ad esempio il podismo e le camminate salutari domenicali. L’arbitro in questi casi è il commissario tecnico, l’organizzatore o il volontario che si presta per la riuscita della manifestazione. Cosa fare se i pochi provvedimenti punitivi vengono in massima parte edulcorati in nome della comprensione sociale, del perdonismo da tifo, dell’accondiscendenza benevola da parte della pubblica opinione salvo, poi, svegliarsi di botto e prendere atto che le vittime sistematicamente prodotte dal sistema avrebbero meritato una più decisa presa di posizione? Occorrerebbe avere tutti il coraggio di rifiutare certe manifestazioni e certe trasmissioni, di schierarsi sempre contro chi, nello sport e nella vita, assume atteggiamenti violenti e usa un linguaggio fuori dalle righe, specialmente se raggiungono milioni di persone e, negli orari non protetti, anche i bambini; un modo efficace di raddrizzare le cose, consapevoli, però della difficoltà ad attuarlo ed, inoltre, del fatto che la condanna e la ricerca dell’auditel non modificheranno atteggiamenti analoghi in futuro. In concreto, invece, non si può far finta di ignorare che il problema risiede nella carenza educativa di famiglie, scuola e società, che quelle intemperanze sono sintomi di violenza, di sopraffazione e che si è persa l’abitudine a controllare civilmente il dissenso e la propria opposizione. Che ci si deve aspettare, d’altronde, dalle manifestazioni di opinioni personali da contrapporre a quelle degli altri se giornalmente in televisione si assiste al turpiloquio, all’offesa continua, alla bestemmia, alla volgarità becera di sopraffare l’interlocutore alzando la voce? Nessun comportamento sociale è avulso dal tempo che lo vive. Tant’è; né basta il richiamo alla moderazione di una voce che si perde nel deserto. O siamo tutti a reagire oppure teniamoci, come ogni popolo, il re che si merita. Giocondo Talamonti

Locale climatizzato - Chiuso la domenica Terni Via Cavour 9 - tel. 0744 58188

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La Circoscrizione Nord presenta la

Compagnia ARTò in

Z|âÄ|xààt x eÉÅxÉ di PP Parzanese

Regia

Silvia Imperi

19-02-2011 Chiesa del Carmine ore 21,00 S.I.

Parzanese, autore del 1842 riprende l’opera shakespeariana staccandola da tutti gli stilemi legati a rapporti familiari e battaglie personali. Parzanese è un prete che scrive in versi ma scrive in un modo misterioso per il suo tempo, talmente misterioso da essere disconosciuto. Nello spettacolo che la compagnia ARTò ci presenta, la storia, suggestionata da simboli e riletta in chiave contemporanea, inizia subito dopo il matrimonio tra i due. I personaggi coinvolti sono cinque: Frate Lorenzo, il padre di Giulietta, Capuleto, la sorella del padre, Agnese, Giulietta e Romeo. Gli interpreti sono Valter Toschi, Massimo Dionisi, Angela Zampetti, Mario Merone, Silvia Imperi, attrice e regista, le scenografie di Attilio Del Pico, le luci di G F Media Service, le riprese di Greca Campus, il coordinamento musicale di Gerardo Nuzzolo, costumi Armanda Tarquini. Giulietta e Romeo di P. P. Parzanese è un testo che denuncia il patriarcato, legittima il tentativo di Giulietta di emanciparsi, ridescrive l’ambivalenza tra il femminile sacro e demoniaco, introducendo un nuovo personaggio la zia di Giulietta, Agnese, donna in bilico tra il bene e il male, donna di enigmi che conosce gli strumenti del femminile e li usa anche contro se stessa per proteggere la struttura gerarchica familiare. L’ autore racconta la Pietas classica attraverso la figura del padre Capuleto, uomo di rabbia e di paura, ma commovente, e desacralizza la figura del frate che si veste dei panni dell’alchimia.

Le presenze alla Maratona di San Valentino sono superiori alle previsioni e tali da far pensare, con una vena di ottimismo ed anche un po’ di presunzione, al traguardo dei mille atleti partecipanti a questa prima edizione. Presenze numerose: alcuni alberghi hanno da tempo comunicato il tutto esaurito. Particolarmente gradite le presenze di atleti provenienti dalla Germania e dall’Inghilterra; graditissima quella di Laura Yasso proveniente dalla Pensijuania, una giovane atleta fulminata dalla bellezza del percorso e dalla straordinaria cordialità che ha percepito nei contatti con la nostra realtà. Non meno importante l’adesione di Ivan Cudin atleta di Udine recente vincitore della ultra-maratona Atene Sparta, primo italiano a vincere questa incredibile corsa di 246 km., ma anche 3° assoluto al campionato del mondo 24 ore di Brive dove ha percorso ben 263,841 km. Si sono poi uscritte molte coppie che percorreranno i 42 km insieme per testimoniare i propri sentimenti. Le tante iniziative messe in piedi dall’organizzazione stanno coinvolgendo tutta la comunità ternana e così questa maratona sta diventando la maratona dell’Umbria, una iniziativa che mancava e che sicuramente potrà solo crescere diventando un progetto dal grande avvenire. Intanto insieme alla maratona stanno fiorendo a Terni tante iniziative per celebrare San Valentino, il Santo diventato simbolo dell’amore universale. In un mondo quanto mai materialista dove imperversano, a tutti i livelli, la maleducazione, le ingiustizie sociali e le contrapposizioni di ogni tipo, non è anacronistico celebrare il Santo dell’amore anche attraverso manifestazioni sportive come la Maratona di San Valentino. E la risposta dei podisti è stata sorprendente. Sorprende questa voglia di esserci, in un momento economico difficile, in un periodo stagionale non certo ottimale; ebbene grande è stata la risposta, legata certo allo stupendo ambiente attraversato dalla corsa, alla tradizionale ospitalità della gente umbra, al fascino immutabile del richiamo del Santo dell’amore. Sabato 19 febbraio -alle ore 17,00- una Santa Messa, animata dalla Corale del Cuore, sarà celebrata nella Basilica di San Valentino per tutti i podisti presenti a Terni. L’obiettivo del gruppo organizzatore è proprio questo, creare cioè una iniziativa che esuli dal contesto, seppur importante, del fatto sportivo e che si proietti in una visione più profonda, l’insegnamento lasciatoci in eredità da San Valentino, con l’obiettivo che questo patrimonio, impreziosito da contesti promozionali come appunto la Maratona di San Valentino e adeguatamente diffuso, diventi linfa per la nostra comunità. Giuliano Fiorini Presidente dell’ASD Amatori Podistica Terni

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ANTIMAGO RASPUS Cari inferiori, mentre vi illumino d’incenso disvelo il vostro miserevole destino. Appecoratevi dunque e imparate a memoria le 3 litanie che seguono. Ricordate di ripeterle, ogni mattina, proni, almeno 77 volte. Il Dio Sole, che dona, da sempre, vita a tutti, si prodiga ora (chi potrebbe mai crederci se non degli ectoplasmi?) proprio per servire voi, oroscopodipendenti che, in quanto da tal supestizione avvinti, vivete ancora nella primissima infanzia del prepensiero prescientifico. Voi credete, avendo magari studiato qualche cosuccia a memoria ed avendo rubacchiato financo una laurea (alcune malelingue dicono che in Italia diploma e laurea si possono ottenere anche a pagamento), di saper afferrare la modernità, di essere à la page, mentre in realtà arraffate solo scemenze, superstiti come siete della più antica inciviltà, quella in cui l’uomo niente sapeva e tutto mistificava. La divina stella si farebbe così ancella dei vostri turbamenti e, dal momento che durante il mese è allocata nel riquadro aureo del facciodelbeneatuttelechiappebelle, renderà socievoli, brillanti, simpatici tutti gli appartenenti al vostro segno demenziale. Allora, anche i più ributtanti avversari (d’amore o di lavoro) colleghi di “segno”, saranno, di botto ed inevitabilmente, socievoli, brillanti e simpatici e, per effetto della legge oroscopea in cui avete sempre creduto, voi e i vostri luridi nemici sarete un tutt’uno, come pappa e ciccia, come culo e camicia, come fede e lele. Marte è un maledetto rompimarroni, in questo periodo! Sta sempre arrabbiazzato. Semina zizzania fra voi e i vostri collaboratori che, da lui sobillati, fabbricheranno prove per mandarvi in galera. Ma, grazie al Sole che splenderà ancora, vi affibbieranno solo 35 anni di carcere duro, con le attenuanti generiche, però! Una gran bella soddisfazione! La situazione migliorerà alla fine del mese, ma potrebbe anche peggiorare. Venere vi sarà invece molto, molto favorevole. Festini e orgette a go go! Tradirete mogli e mariti e vi insozzerete con trucide lesbiche e con ridicoli viados, per non dir degli infanti. I vostri coniugi non saranno d’accordo, ma che ve ne frega? Sono all’antica, loro, credono ancora alle favole e alla famiglia patriarcale! Non ti curar di lor, ma tromba e basta! Voi siete per la libertà vera, totale, sessuale, asessuale, artigianale, fatta in casa o comprata nel zoccolume. Siete moderni, voi. Maschi, femmine, trans, addirittura transditrans: tutto accattate! Il futuro siete voi! Se non siete sposati, fate attenzione alle cosiddette persone per bene, quelle che, all’insegna del motto Tradizione e Civiltà, vorrebbero l’esclusiva nell’amore, condurvi all’altare, far figli. Non ti curar di lor, ma incorna e passa! Giove favorisce i rampanti. Con il suo aiuto, potete abbondantemente evadere il fisco ed esportare capitali. Infognatevi pure in tutti i giochi d’azzardo che conoscete. L’astro imperatore farà in maniera che perdiate tutti gli averi degli altri, ma non i vostri. Occasione d’oro, dunque! Farete carriera nei partiti! Per ben riuscire è però indispensabile che ripetiate in ogni dove (soprattutto su giornali, tv, radio...) la seguente litania: Sadà trombà, sadà rubà, per peppe! Molto popolo si schiererà con voi e insieme osannerete a ogni sorta di ruberia e zozzeria! Attenzione, Mercurio consiglia: Anche di fronte alla più smaccata evidenza... negate, negate... negate sempre! Le mutandine però, almeno, infilatevele! CO P PA TETA


TOY BOY: Ragazzo escort per il gusto di fare nuove esperienze La fidanzata del giovane, vittima di un amore senza amore TERNI - Ti amo, sei la luce dei miei occhi, sei unica per me. Erano queste le parole che spesso Martina, ragazza di 27 anni, si era sentita ripetere dal suo fidanzato Filippo, anch’egli coetaneo, nei momenti d’intimità. Un fidanzamento ufficiale, iniziato sei anni fa, coronato da teneri regali, poesie, sorprese, viaggi, tanto amore e con l’idea di andare a convivere presto. Peccato che dietro questo mondo apparentemente perfetto, Filippo nascondeva un segreto: quello di fare l’escort. La vicenda scaturita da una serie di sms anonimi, mandati sul cellulare della giovane con numero privato, invitavano la ragazza a non fidarsi del proprio fidanzato, sorpreso più volte in giro di notte con particolari compagnie. Messaggi cui la ragazza all’inizio non ha dato molta importanza, tanto da non parlarne con il ragazzo, fino a quando una sera, decisa a far chiarezza sulla vicenda, ha incominciato a controllarlo negli orari notturni. Vera attrice impeccabile, per trenta giorni lo ha pedinato senza farsi scoprire, accompagnata da un'amica, riprendendo con l’i-phone gli spostamenti del giovane e continuando a fingere di non sapere nulla dei misteriosi incontri che Filippo intratteneva, quando era con lui. Una sofferenza che aumentava di giorno in giorno -racconta la ragazza- ma che la rabbia non ha mai fatto trapelare, neanche con una lacrima in sua presenza. Di giorno sorridente e tranquilla, di notte silenziosa pedinatrice con l'angoscia e un dubbio irrisolto: Non può essere vero! Deve esserci una spiegazione. Incontri furtivi in varie abitazioni della città di Terni, spiega Martina, altre volte era Filippo a salire sulle auto che lo andavano a prendere sotto casa. Forse non mi rendevo conto di ciò che stava accadendo -dichiara con voce ferma e decisa- sapevo che ero dalla parte della ragione, potevo coglierlo sul fatto, ma ho voluto aspettare, per vedere fino a che punto poteva mentirmi. Lei solare e serena non si sarebbe mai immaginata una situazione del genere, non poteva pensare che l’uomo della sua vita si prostituiva. Una sera l’ho invitato a cena -racconta con gli occhi lucidi- gli ho chiesto se aveva dei segreti con me. All’inizio ha fatto finta di non capire, poi dopo avergli mostrato i video, mi ha abbracciato e piangendo mi ha chiesto scusa, implorandomi di perdonarlo: Sono annoiato dalla vita, non lo faccio solo per soldi, volevo provare cose nuove. Un ragazzo bello, laureato, con un lavoro e con un grande amore al suo fianco, ma sfortunatamente “annoiato dalla vita”, ridotto a giocattolo sessuale di uomini e donne, forse anche loro stanchi della vita, che per pochi soldi lo usavano per i loro desideri erotici. Mi ha chiesto di ritornare insieme, ma io non ho voluto -continua Martina- non posso sopportare di stare con una persona che per due anni non ha fatto altro che mentirmi. Due anni di rapporti clandestini con sconosciuti, di ambo i sessi, tutti dichiarati dal giovane, che in preda ad un profondo sconforto ha poi chiesto alla fidanzata di non parlarne con nessuno, troppa la vergogna per quegli atti, per quel suo concedersi senza amore, senza sentimento e per puro gioco. A tre settimane di distanza dall’accaduto, dopo aver chiuso la sua relazione che sembrava meravigliosa, Martina dichiara di essere più serena con se stessa, di provare ancora dolore per Filippo che non ha avuto rispetto per lei, ma pronta a guardare avanti. Non serve piangersi addosso -dichiara convinta- se ti lasci bloccare dalle cose brutte della vita è la fine e non si vive più. Guardare oltre è la soluzione migliore, il bene alla fine trionfa sempre. La tenacia e la volontà di questa ragazza sono una vera speranza, in un mondo, dove il rispetto e l’autenticità dei sentimenti, sembrano essersi smarriti dietro inumani istinti. Pulsioni dell’essere che andrebbero censurate, per il vergognoso epilogo cui conducono. Lorenzo Bellucci

Emma Marrone sul palco dell’Ariston La forza di una grande voce per una grinta che nasce dal cuore È stata ribattezzata la nuova Gianna Nannini, per quella sua particolare grinta nel cantare, per quel suo originale modo di stare in scena in grado di appassionare tanti spettatori diventati subito fans e pronti a cantare le sue canzoni. Si presenta così Emma, un nome che non ha bisogno del cognome o di altri appellativi semantici per essere identificata, una voce in grado di catturarti l’anima fino a condurla nei più sensazionali spazi sonori, dove la musica diventa il solo modo per comprendere appieno la vita e le sue sfumature. Emma è così grintosa, possente nella sua estensione vocale, che ogni sua performance canora è uno sfavillio di sensazionali sonorità, pronte a sbocciare nel cuore di chi le ascolta. Fiorentina di nascita, ha sempre vissuto ad Aradeo in provincia di Lecce, la terra dove ha avuto i primi contatti con la musica e con quella che sarebbe diventata la sua più grande passione: il canto. Una gavetta lunga e ricca di fortunati incontri che l’hanno portata a cimentarsi in numerose prove: dal reality show di Italia 1 Superstar Tour, condotto da Daniele Bossari nel 2003 e da lei vinto; alla formazione del gruppo Lucky Star insieme a Laura Pisu e Colomba Pane con relativo contratto discografico con la Universal; per passare all’esibizione agli Italian Music Awards per il lancio del singolo Stile; ed infine l’entrata nel 2009 nel talent show di Canale 5 “Amici” di Maria De Filippi, che ha coronato il suo sogno rendendola vincitrice. Da questa esperienza sono nate canzoni come Davvero, Folle paradiso e Meravigliosa, che hanno portato Emma in vetta alle hit parade, permettendogli di firmare un nuovo contratto con la Universal Music, in qualità di solista, pubblicando il suo primo EP, Oltre, divenuto un album di grande successo. Vendendo oltre 150.000 copie lo scorso 28 maggio ha partecipato ai Wind Music Awards, ed è stata premiata con il Multiplatino da Gianna Nannini. Un incontro che desiderava da tempo e che nella stupenda cornice dell’arena di Verona ha trovato finalmente realizzazione, commuovendo la giovane cantante e l’intero pubblico. Un percorso lungo ma sicuramente pieno di soddisfazioni e perfette combinazioni, quello di Emma, tanto da renderla una regina del pop italiano tra le nuove leve della musica. Dopo il grande successo riscontrato nel 2010 Emma è finalmente pronta per il salto di qualità, quello per il prestigioso palco del teatro Ariston. Proprio tra pochi giorni nella serata del Festival di Sanremo 2011 dedicata ai duetti, il 18 febbraio, accompagnata dal cantautore Francesco Renga e insieme ai Modà, duetterà in una versione inedita della canzone Arriverà, brano presentato in gara nella categoria Big. Contraria alla partecipazione della giovane cantante è Maria De Filippi, che in un'intervista rilasciata al Corriere della sera, ha dichiarato: Fosse dipeso da me Emma Marrone non sarebbe mai andata a Sanremo 2011. Le ho detto subito: Non pensare di vincere, ti faranno nera. Una considerazione inaspettata, considerando che nelle ultime due edizioni di Sanremo, a trionfare sono stati proprio due vincitori del programma Amici: prima Marco Carta, nel 2009, e l'anno scorso Valerio Scanu, la presenza di Emma sembrerebbe quasi una conseguenza ragionevole degli scorsi successi. Nulla contro Sanremo -ha tenuto a precisare la conduttrice- ma i ragazzi provenienti dai talent come Amici o X Factor vengono considerati a volte unicamente come prodotti commerciali televisivi e non come giovani talenti che cercano la loro strada. Si tratterebbe solo, dunque, di una preoccupazione materna nei confronti dei propri pupilli. A chi gli chiede se c’è la possibilità di una nuova vincita al Festival la cantante ironicamente risponde: Per me sarà impossibile vincere? E chi se ne frega. Dove sta scritto che l’anno prossimo mi ricapita l’occasione di venire al festival? La solista leccese, a parte ogni possibile consiglio se andare o no al Festival, ha già accettato, pronta ad emozionare con il suo stile, la sua talentuosa voce e la voglia di regalare meravigliose sensazioni. LB

ilconvivioterni@virgilio.it

Chiuso di Domenica

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Strana idea di straniero

News d a l g r u ppo di Dr am m at ur gia Questo mese vi offriamo notizie fresche in diretta dal Gruppo di Drammaturgia, grazie alla collaborazione di Andrea, coordinatore e ri-ordinatore del testo dello spettacolo. Come ormai ben sapete (o almeno speriamo) il tema dello spettacolo teatrale di quest'anno, in occasione dei centocinquanta anni dall'Unità d'Italia, siamo proprio noi, gli italiani, la nostra storia, ma soprattutto i criteri in base ai quali ci si può definire italiani o stranieri. Il Gruppo di Drammaturgia ha focalizzato la propria attenzione su questi temi, riordinando quello che Andrea ha definito il caos creativo della storia d'Italia. Nessuna anticipazione e, su questo punto, sono davvero intransigenti. Unico indizio: fra i personaggi figurerà un grande campione dello sport. Lo spettacolo ha preso spunto dalle esperienze dirette dei ragazzi, dalle letture, dalle passioni e soprattutto dalla loro idea di Italia. I tempi sono stati molto stretti per allestire e organizzare un laboratorio di scrittura, quindi i due mesi e mezzo di lavoro sono stati dedicati alla ricerca del materiale: brani in cui diversi nomi noti della letteratura italiana hanno cercato di dare una definizione di Italia e di italiani; tra questi Pasolini e Flaiano. I ragazzi hanno contribuito alla scrittura vera e propria offrendo spunti, suggerimenti e annotazioni, ma la parte più divertente deve ancora venire: l'allestimento e la messa in scena dello spettacolo. La collaborazione con il laboratorio di Scenografia è stata fondamentale: nell'immaginazione di una storia è importante la ricerca di suggestioni, che sono state tratte anche dalla fantasia di Fellini, e l'intervento del laboratorio di Scenografia ha portato anche ad avere idee visive piuttosto che drammaturgiche. L'unica anticipazione che siamo riusciti ad ottenere riguarda l'Italia, che è stata vista come un enorme deposito di un rigattiere in cui 150 anni sono stati accumulati come un'accozzaglia disordinata che testimonia un fervido Eleonora Landi , Giulia Aguzzi caos creativo.

Prossimi appuntamenti Lungo cammino verso la libertà - Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani e delle loro violazioni - Auditorium Palazzo Primavera, ogni martedì dalle ore 15.30 alle 17.00. 8 febbraio L’ANTISEMITISMO NAZISTA: la persecuzione e i ghetti. 15 febbraio I GENOCIDI, parte I: Che cosa è un genocidio, la Convenzione sul genocidio (1948), il genocidio degli Armeni, il genocidio di Stalin, il genocidio dei cambogiani. 22 febbraio I GENOCIDI, parte II: Il genocidio cinese in Tibet, il genocidio in Cina durante la rivoluzione culturale, le Foibe, la pulizia etnica in Jugoslavia, il genocidio degli italiani in Libia, il massacro di Katyn. 1 marzo I GENOCIDI, parte III: I desaparecidos in Argentina, lo sterminio dei nativi americani, il genocidio del Ruanda, il bombardamento di Tokio, lo stupro di Nanchino, Hiroshima. 8 marzo I GENOCIDI, parte IV: Il genocidio degli ebrei, parte I: le tecniche di distruzione, dalle eliminazioni caotiche ai campi di sterminio 15 marzo I GENOCIDI, parte V: La resistenza ebraica: il ghetto di Varsavia, la soluzione finale. Trasmissione radiofonica Allarmi siam razzisti a cura del laboratorio di comunicazione di Progetto Mandela ogni venerdì dalle ore 17.30 alle 18.30 su Radio Galileo.

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Quando si parla di immigrazione, si tende a collegarla a vari luoghi comuni. Uno dei tanti è che la presenza di immigrati nel nostro paese sia sinonimo dell’aumento del tasso di criminalità. Quelli che vengono sono i peggiori o meno immigrati, meno criminali, ecco ciò che si sente dire molto spesso. Bene, iniziamo a smentire questo luogo comune con un po’ di dati. Innanzitutto, il tasso di criminalità degli stranieri non è molto diverso da quello degli italiani, secondo i dati del Ministero dell’Interno: gli italiani che delinquono sono lo 0,7 % della popolazione mentre gli stranieri sono l’1,4%, molto vicini al dato che riguarda la popolazione italiana. Inoltre da una ricerca condotta nel 2008 dalla Banca d’Italia, risulta chiaramente che il numero dei permessi di soggiorno nel periodo 1990-2003 si è quintuplicato, mentre la criminalità ha mostrato una lieve flessione, in altre parole, come è espresso chiaramente nel rapporto finale, “ in linea teorica non c’è stato un aumento diretto della criminalità in seguito alle ondate di immigrazione in nessuno dei reati presi in considerazione (reati contro la persona, contro il patrimonio e traffico di droga)”. Quindi, nonostante la percezione vada nella direzione opposta, non si può affermare che i flussi migratori abbiano rappresentato di per sé un pericolo o un aumento del pericolo già esistente per la popolazione italiana. Sicuramente è vero che da quando l’immigrazione è diventato un fenomeno in aumento, in particolare tra il 2001 e il 2005 (secondo le rilevazioni dell’ISTAT e del Ministero dell’Interno), le denunce a carico di stranieri sono aumentate leggermente, passando da 513 mila a 550 mila, ma bisognare considerare che allo stesso tempo la popolazione straniera è raddoppiata e che nel dato sulle denunce si tiene conto degli stranieri senza permesso di soggiorno. Per contro, la quota degli stranieri denunciati sul totoale degli stranieri regolari in Italia si ferma al di sotto del 2%. Si possono anche considerare i dati dell’Istat che riportano come le condanne a carico di stranieri siano rimaste praticamente stabili, si va dal 26,6% del 2001 al 26% del 2006: naturalmente tra questi vengoni conteggiati anche gli irregolari. In più, dai dati riportati dal Ministero dell’Interno, si nota, com’è ovvio, che il numero dei reati commessi dagli stanieri può essere messo in relazione con la loro condizione di vita. Il 3% delle denunce riguarda le rapine in banca, il 6% quelle negli uffici postali, circa il 70% i borseggi, il 9% gli atti di libidine. In conclusione si può dire che siano i fatti stessi, (dati, statistiche ecc.) a contraddire questo luogo comune, senza l’ausilio di motivazioni aggiuntive. Immigrazione non è sinonimo di criminalità! Camilla Calcatelli

Gioventù, Cultura e Cittadinanza: un biglietto per l'Europa San-Sebastiàn. Ragazzi, se tutto va come dovrebbe, ve ne andate a San-Sebastiàn, Spagna, grazie ad un Progetto Europeo, nel quale siamo coinvolti tramite il Coordinamento ternano per i Diritti umani e la Pace. Sguardi increduli. Giovani sguardi increduli e sorridenti. I ragazzi del Mandela parteciperanno al Programma Europeo Gioventù in azione, con il Progetto dal titolo Gioventù, cultura e cittadinanza che coinvolge 3 realtà europee ( Spagna, Italia e Inghilterra) che trattano temi affini quali la cittadinanza (argomento affrontato durante lo scambio culturale del 2010) e gli eventi culturali giovanili. E' un percorso, questo. Noi, i ragazzi del Progetto Mandela, noto gruppo culturale ternano, da un mese a questa parte, ci prepariamo per i quattro giorni di trasferta programmati per Aprile 2011. Dunque, ricerca di informazioni, videoconferenze con gli altri gruppi giovanili partecipanti, monitoraggio delle attività culturali giovanili di Terni e elaborazione di idee da portare poi all'ultima fase del Progetto: Bruxelles. Il Parlamento Europeo sarà felice di accoglierci e di ascoltare le nostre idee con il fine di ricevere informazioni e, di conseguenza, migliorare l'approccio della Comunità alle politiche giovanili europee. L'età media dei giovani partecipanti che rappresenteranno la città di Terni è 14-18 per un numero totale di sei studenti più due accompagnatori-educatori, che ci guideranno durante il percorso formativo. Lunedì 24 Gennaio presso la Sala Laura di Terni, una videoconferenza a tre ha, per circa un'ora, unito decine di ragazzi distanti diverse migliaia di chilometri. L'inglese è stato il nostro punto di forza e contatto e la lontananza il nostro micidiale veleno, naturalmente. Con tutti gli inconvenienti che una semplice videocamera e un microfono possono portare, l'esperienza si è conclusa al meglio con la promessa di scambiarci ancora e a breve informazioni e di rivederci a San-Sebastiàn. Per circa due mesi, il Mandela, in particolare noi ragazzi del Gruppo di Comunicazione, sarà impegnato a scovare nuovi talenti o meglio, mettersi a conoscenza dei vari gruppi culturali, indipendenti o comunali, gestiti dalle giovani Chiara Stefanelli menti; con l'intento di tenervi informati.


F o n d a z i o n e Cassa di Risparmio di Terni e Narni

I larr io Ci au rro Ila

Una favola sempre bella da “ vedere”

Tanti autorevoli personaggi hanno, nel tempo, parlato di Ilario Ciaurro esprimendo la loro più ampia stima nei confronti del particolare profilo di questo artista. So’ annatu a trova’ Ilario, pittore delicatu, trasparente, novantenne (Pietro Lanfiuti Baldi). Nel leggere le loro critiche ho potuto constatare come, nella maggior parte degli autori, spesso affiorasse la sensazione di avere a che fare con un particolare artista che operava sotto l’influsso di una personalissima magia, quella che gli consentiva poi di dare alle sue opere un tocco, una sfumatura di dolce irrealtà nella realtà che esprimeva. C’era infatti una speciale caratteristica nelle sue opere: esse penetravano profondamente, e continuano a farlo, nell’animo di chi le osserva, lasciandone una traccia indimenticabile. In una riunione fra amici e colleghi gli fu chiesto: Come e perché l’artista - qualunque ne sia il livello - è portato a creare? Ciaurro così rispose: L’artista crea perché ne sente l’esigenza insopprimibile, ossia perché urge in lui la necessità di esprimere il proprio mondo interiore. E questo mondo interiore si è manifestato in lui quando all’età di nove anni dipinse il suo primo quadro. Così iniziò la sua carriera artistica, qualcosa nel suo animo era sbocciato, sì, prematuramente, ma era sbocciato, per fiorire poi in modo mirabile in seguito. A tale proposito è bene sottolineare che la coerenza dello sviluppo artistico del pittore, pur attraverso le molteplici variazioni, le esperienze, i contatti culturali del momento, sia costituita dal colore, elemento che lui stesso definì “essere quello che crea la forma”. Di lui ha detto Guido Mirimao: La sua tecnica può sembrare arpeggiata sulla tastiera. Così scriveva Felice Fatati: Non occorre andare più indietro o spingersi oltre per inquadrare il vero fermentante periodo aureo nella pittura di Ciaurro. Noi 1’abbiamo guardata a lungo questa pittura e con estrema naturalezza l’abbiamo filtrata dentro e in parte restituita sotto altra veste: è onesto riconoscerlo. O come ci sarebbe potuto accadere di render poetici e non sensibilistici un uccello morto, un fiore secco, un vago sentore di viole o di giunchiglie, un brivido d’acque al tramonto, una perlacea distesa di ulivi, un dorato incresparsi di ocre e di colline, senza la pittura di Ciaurro?

L’opera d’Arte, in qualunque modo sia stata realizzata, è tale solo quando produce un’emozione. Alla luce di tale principio è facile definire la produzione di Ilario Ciaurro, ma nel suo caso sarebbe opportuno anche sottolineare che l’emozione che suscitano le sue opere dipende anche dalla poesia che esse contengono. Marcello Ghione

Ciaurro So’ ‘nnatu a trovà Ilario, novantenne, pittore delicatu, trasparente, che vulitivu su le tele stènne calore, amore, luce, perché sente che de la vita ogn’attimu va spesu perché ciò che cià datu je sia resu. Figure, fiori, sogni, panorami, immagini incantate, nostalgia, ha profusu pe’ tant’anni a piene mani - atmosfere de malinconia che è l’eterna compagna d’un poeta che sa che l’arte è un mezzo, no ‘na mèta. Pietro Lanfiuti Baldi Ilario Ciaurro - Donna all'organo, 1974 Olio su compensato, 116 x 77 cm Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni

Ilario Ciaurro - Vista su Parigi Olio su compensato, 34 x 47 cm Collezione Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni

Ilario Ciaurro nasce a Napoli il 14 marzo 1889. La sua nascita nella città partenopea può dirsi casuale: in quel periodo la madre, napoletana, si trovava a Napoli, presso la sua famiglia, per riposo. E’ invece a Terni, dove suo padre, napoletano anch’egli, s’era trasferito fin dal 1881, e dove già un anno prima di lui era nato il fratello Italo, che Ilario cresce, scopre per la prima volta la sua vocazione per la pittura, studia e si forma. Consegue a Perugia, presso quella Scuola d’Arte, il titolo di insegnante di disegno presso le scuole secondarie. A Lonigo, dove viene trasferito, fa la sua prima esperienza di professore e di educatore artistico. Durante il soggiorno a Lonigo frequenta l’Accademia di Belle Arti di Verona. Dopo Lonigo, pur non trascurando la pittura, si dedica alla ceramica d’arte. Si trasferisce pertanto prima a Gualdo Tadino, poi a Gubbio e infine a Orvieto. Inseritosi con impronta moderna nella tradizione che nell’arte dei Vasellari ciascuna di quelle località già vantava illustre nei secoli, riesce a dare nuovo impulso a questa antica e nobile espressione artistica fino a rilanciarne i prodotti in varie nazioni europee e del mondo. Svolge contemporaneamente un’attività pittorica molto intensa: allestisce personali in diverse città d’Italia e partecipa alle principali manifestazioni artistiche nazionali. In particolare prende parte attiva a quelle a carattere regionale, tra le quali di notevole importanza le Sindacali Umbre. Nel 1948, dopo le varie vicende vissute durante il periodo dell’ultima guerra, ritorna a Terni, dove si stabilisce definitivamente fino al 1992, anno della sua morte. MG

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Dall’ italiano al linguaggio simb o l i co inte rnazionale d el l ’A l g eb r a

Il nostro modo di scrivere i numeri, ed in conseguenza il nostro modo di eseguire con essi le quattro operazioni, ed in generale i calcoli, non risale agli antichi Greci, ma agli assai più moderni Arabi. Se il modo più comodo di scrivere i numeri è una conquista dell'uomo, che si è cominciata a diffondere in Europa circa sei secoli fa, ancora più giovane è l'Algebra che richiede, oltre alla numerazione moderna, anche altri concetti: un ampliamento del significato di numero, l'introduzione di simboli per rappresentare operazioni ed espressioni contenenti, non soltanto numeri dati, ma anche numeri incogniti. Ma che cos'è l'Algebra? Per lo scopo che ora mi propongo possiamo definire l'Algebra la scienza delle equazioni. Va fatto notare che molti dei giochi matematici per ragazzi si risolvono con

le regole dell'Algebra, utilizzando una o più equazioni. Mm ... equazioni, ... ma cosa sono ? Invece di dare una rigorosa definizione matematica di equazione, vediamo di ricavarne il reale significato da un esempio pratico. Esempio: Tra due anni un uomo avrà il doppio degli anni che ha adesso suo figlio. La somma delle loro età è, oggi, 67 anni. Quanti anni ha, oggi, il figlio? E il padre? NOTA. Questo semplice problemino è caratterizzato da due relazioni tra quantità: 1) Tra due anni un uomo avrà il doppio degli anni che ha adesso suo figlio 2) La somma delle loro età è, oggi, 67 anni. Regola Prima (e fondamentale): tradurre le relazioni tra quantità (note ed incognite) del problema sotto forma di semplici equazioni, ovvero, sostituire le quantità note con numeri, quelle incognite con simboli (lettere dell'alfabeto) e le relazioni tra esse con operatori logicomatematici (+, -, *, /, =, … ecc..). Applichiamo la Regola Prima alla relazione 1). Chiamiamo con y l'età che ha (oggi) il padre e con x

ALGEBRA

quella che ha (oggi) il figlio: le lettere x ed y stanno da indicare numeri incogniti, sconosciuti che, per il momento, non so quali siano e che conto di determinare. Tra due anni il padre avrà, leggendo la prima relazione del problema, 2*x anni che corrispondono a y + 2 anni (essendo y l'età che ha, adesso), pertanto possiamo scrivere: y + 2 = 2*x (prima equazione). NOTA. Questa scrittura simbolica ha lo stesso significato della frase scritta nel problema, solo che, ora, essa è in un linguaggio differente, più conciso ed essenziale, assolutamente internazionale. Vediamo di semplificare un po' questa prima equazione ricorrendo al buon senso pratico. Se, in una relazione di uguaglianza (come quella sopra), aggiungiamo o sottraiamo una stessa quantità a ciascuna delle due parti (a destra e a sinistra del segno di =), la relazione stessa non cambia. Detto ciò, se sottraiamo una stessa quantità (ad esem-

pio, 2) sia ad “y + 2” che a “2*x”, rimane valida la relazione di uguaglianza anche per le nuove quantità che si ottengono, ossia: y + 2 - 2 = 2*x - 2 Poiché, y + 2 - 2 = y , si ottiene, alla fine che: y = 2*x - 2 (prima equazione modificata). Applichiamo ora la stessa Regola Prima alla relazione 2). Tale relazione si traduce facilmente (utilizzando le stesse lettere simboliche x ed y ) in: x + y = 67 (seconda equazione). Adesso, sostituendo alla quantità incognita y la quantità 2*x - 2 (dall'equazione 1 modificata), si ottiene: x + 2*x – 2 = 67. Infine, aggiungendo la stessa quantità (in questo caso, il valore numerico 2) ad entrambe le parti nell'uguaglianza, si ha: x + 2*x - 2 + 2 = 67 + 2

che, semplificando (x + 2*x fa 3*x , -2 + 2 dà 0, 67 + 2 è pari a 69) diviene: 3*x = 69. Da quest'ultima relazione è abbastanza ovvio ricavare che la quantità incognita x (l'età del figlio) risulta uguale a 23. Quindi, l'età del padre sarà necessariamente: 67 – 23 = 44 anni. Da tutto questo discorso, la cosa più importante da ricordare è che “le due uguaglianze y + x = 67 e y + 2 = 2*x sono tutte e due vere solo se scegliamo che sia: x = 23 e y = 44”. NOTA. Forse, se vi siete un po' persi nei meandri dei passaggi matematici, vi consiglio di prendere carta e penna e di rifare pian pianino tutto il ragionamento. Elena Lucci Classe IIIG, ScM O. Nucula

La teoria delle equazioni

La teoria si trova esposta nell’opera Kitab al-jabr wa al muqabalah, di Abu Jafar Mohammed ibn Musa al-Khwarizmi (780-850), che visse presso la corte del califfo al-Ma’mūn, in qualità di responsabile della sua biblioteca, la famosa Bayt al-Hikma, Casa della Sapienza, di Baghdad. Abu Jafar Mohammed ibn Musa al-Khwarizmi significa “Maometto, padre di Jafar e figlio di Musa, di Khwarizmi”. In suo onore la parola algoritmo, che designa ogni metodico procedimento di calcolo. La versione latina del libro, intitolata Liber algebrae et almucabola, comincia con le parole “Sic locutus Algoritmi” ed è stato un testo fondamemtale nelle università europee fino al XVI secolo. Poiché in Kitab al-jabr wa al muqabalah l’autore espone le regole di trasporto (al jabr) e riduzione (almu qabala) dei termini di un’equazione, potremmo oggi tradurre con Calcolo con reintegrazione e riduzione. Si tratta del portare i termini di una equazione da un membro all’altro, come per esempio nel passaggio da GR x + 7 = 22 a x = 22 - 7.

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Alcuni dicono che non fu Aristotele il primo ad avere questa opinione, ma alcuni Pitagorici. Ho trovato anche uno scritto di Ocello, di stirpe lucana, intitolato Sulla natura del tutto; in esso egli non solo dice che il tutto è ingenerato e indistruttibile, ma dimostra anche che è il cosmo. Philo, de aetate mundi p. 5, 2

Andiamo in orbita - L’esplorazione di Marte

(Parte Prima)

Di dimensioni intermedie tra la Terra e la Luna, chiamato anche Pianeta Rosso a causa dell’ossido di ferro che ricopre la sua superficie, Marte da sempre è stato fatto oggetto di studi e nell’immaginario collettivo ha rappresentato il posto nello spazio, dove trovare condizioni di vita simili alla Terra. Non a caso eravamo a conoscenza che sul pianeta si succedevano le stagioni (inclinazione dell’asse di rotazione e durata del giorno simili alla Terra), le temperature al suolo variavano tra i meno 140 ai più 20 gradi centigradi ed esisteva una tenue atmosfera. Verso la fine del secolo diciannovesimo, il nostro Schiaparelli e l’americano Lowell, utilizzando i telescopi più potenti del momento ed approfittando di condizioni osservative ottimali, ipotizzarono che quelle linee scure che si intersecavano fra di loro, altro non erano che canali costruiti da esseri intelligenti per trasportare acqua dai poli verso l’equatore. Per più di mezzo secolo, giornali, riviste, libri, films banchettarono lautamente con questi esserini verdi, calvi, con il naso a trombetta, ma tutti questi sogni si infransero miseramente non appena la sonda americana Mariner 4, nel 1965, inviò a terra le uniche 22 foto ravvicinate che mostravano un pianeta arido, senza vita, con tempeste di sabbia. Prima di allora, a partire dal 1960, l’Unione Sovietica aveva spedito verso Marte ben cinque sonde, senza raccogliere alcun risultato positivo. Per cinque lustri si intervallarono una dozzina di sonde sovietiche ed americane, ma, causa guasti ed inconvenienti vari, a parte qualche foto, ben poca cosa si raccolse. Dobbiamo aspettare il 1975 e il programma delle sonde Viking 1 e 2 americane che comprendevano una navicella in orbita ed un lander che ammartava sul suolo, per ricevere 50.000 foto! Di seguito l’URSS invia due sonde per esplorare i piccoli satelliti di Marte (Phobos e Deimos, due asteroidi catturati dalla forza di gravità), ma nella rete cadono solo alcune foto di Phobos. Per non essere da meno, gli americani falliscono con il Mars Observer (si perde nelle vicinanze di Marte) ma nel 1975 finalmente mettono a segno un grande successo con la missione Mars Global Surveyor che esegue una mappatura completa dell’intero pianeta. Si scopre così che il Monte Olimpo con i suoi 27.000 mt. di altezza è la montagna (vulcano) più alta del Sistema Solare e la Valles Marineris è un frattura profonda 7 Km. larga 200 Km e lunga oltre 4000 Km.. Altri due lanci falliti da parte di Russia e Giappone con le rispettive sonde Mars 96 e Nozomi a cui segue un successo americano con la Path Finder che porta il primo rover a scarrozzare sul suolo marziano. Per chiudere in bellezza il secolo ventesimo, altre due sonde americane si perdono appena arrivate (Mars Climate Orbiter e Mars Polar Lander). Pensate che fino all’anno 2000, su un totale di 30 missioni internazionali, 20 sono stati gli insuccessi. Scherzosamente alcuni ricercatori attribuivano la causa ad un demone galattico divoratore di sonde marziane! (Segue) Tonino Scacciafratte - Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

Una

costellazione

al mese

Bussola e Poppa

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo

Le costellazioni di questo mese, la Bussola e la Poppa, sono di origine recente: derivano dalla divisione della Nave Argo, una delle 48 costellazioni tolemaiche, effettuata dall’abate de la Caille nel XVII secolo in quattro nuovi raggruppamenti di stelle: Poppa, Carena, Vela e Bussola. Nella mitologia greca la Nave Argo era l’imbarcazione usata dagli Argonauti, guidati da Giasone, per recarsi a sottrarre il prezioso vello d’oro dell’ariete sacro. Il mito del viaggio di Giasone e degli Argonauti ha molti riferimenti in cielo. A parte l’intera nave, che Atena avrebbe voluto ricordare eternamente in cielo per celebrare la riuscita della ricerca del vello d’oro, altre costellazioni richiamano questa leggenda. Il vello d’oro è associato all’Ariete, Ercole e i due gemelli, Castore e Polluce, sono tra i protagonisti dell’impresa, Chirone, tutore di Giasone, è immortalato nella costellazione del Centauro ed infine Asclepio, il medico di bordo, sarebbe ricordato dalla costellazione di Ofiuco. Ma torniamo alla piccola e oscura costellazione della Bussola (Pyxis) che viene considerata come bussola della Nave Argo, anche se al tempo dei Greci non era in uso la bussola come strumento di orientamento. E’ situata ai margini della scia luminosa della Via lattea, ad est della Poppa e a nord delle Vele, in una zona di cielo particolarmente povera di stelle appariscenti, mentre lo sfondo è ricco di astri a partire da magnitudine sette. La figura della costellazione è delineata da tre stelle di terza e quarta magnitudine, allineate in senso nord-sud: si tratta di astri intrinsecamente molto luminosi, ma la loro grande distanza ne fa diminuire la luminosità. La Poppa è una vasta e ricca costellazione australe, visibile per buona parte anche alle nostre latitudini. Si estende in direzione nord-sud per circa 40° e tutte le stelle brillanti sono nella parte meridionale per cui solo la pi (π) e la zeta (ζ) sono comunemente visibili, almeno ad occhio nudo, tra le stelle principali. Peraltro, un osservatore siciliano, sotto un buon cielo, può cogliere la costellazione nella sua interezza. Per rintracciare la sua stella principale, la zeta, si può partire da Sirio del Cane Maggiore, dirigersi verso la delta della stessa costellazione e raddoppiare la distanza. La stella pi, invece, assieme alle sovrastanti stelle del cane Maggiore, forma una sorta di croce. Giovanna Cozzari

L’assenza della Luna favorirà un cielo oltremodo buio e quindi adatto per l’osservazione di oggetti deboli come nebulose e galassie. Ne approfitteremo quindi per osservare in prima serata la famosa Nebulosa di Orione (M42) e a seguire M51 la galassia “cannibale” nella costellazione dei Cani da Caccia. Potremmo osservare anche un ammasso aperto (M45). Come di consueto ad occhio nudo passeremo al setaccio l’intera volta celeste dissertando su semplici nozioni di geografia astronomica. TS

Ricordate la magnitudine di una stella? Più grande è la magnitudine meno luminosa è la stella, più piccola è la magnitudine più luminosa è la stella. Il Sole ha magnitudine -26; Sirio -1; la Luna piena -12,7; limite dell’occhio umano +6 (vedi La Pagina ottobre 2008). GC

Osservazioni per il giorno venerdì 25 Febbraio 2011

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Pillole di Astronomia


Eistainne e la Relatività ‘Na vorda volevamo anna’ a ffa’ la solita scampagnata famijare... e Zzichicchiu, ‘llu spilorciu, ‘n so come ha fattu... è riuscitu a ffacce pija’, pe’ ddu’ famije, solu la macchina mia... e ssemo partiti. Io e essu davanti e l’andri sei cristiani de dietro. Quilli t’hanno ‘ncuminciatu a lamentasse perché dicevono che stevono stritti come ssardine... e Zzichicchiu che je faceva... Ma via che lu spaziu ce sta! A Lunardi’ accellera che ‘rrivamo prima!... Non è ch’annamo ‘n bo’ troppu forte?... Daje daje!... Ahò... se cce fermono li pulizziotti... ce fanno soffia’ su li diti!... Senti... fatte guida’! Eistainne... cià spiegatu che spaziu, tempu, velocità... tuttu è rrelativu rispettu a l’Universu! Po’ darsi che ppe’ andri... chissà quanti ce n’entrono ‘ncora qui dentro e ppe’ qquilli chissà quantu annamo pianu! N’hai saputu mai che sse ppijamo ddu’ ggemelli appena nati, unu l’allevamo qui su la Terra e ‘n andru lu mannamo su ’n razzu a velocità de la luce... quanno quillu artorna... n’arconosce più lu fratellu perché je s’è ‘nvecchiatu e essu sta ‘ncora ‘n fasce? Famosa è ‘lla formula Energia ‘guale a emme pe’ lu quadratu de la luce... dove emme è la massa!... ’Lla formula te fa capi’ che massa e ‘nergia so’ la stessa cosa. Te spiego mejo. Mentre Niutonne credeva che la massa de li corpi armanesse sempre ‘guale, anche se sse moveva più forte, pe’ Eistainne, invece, essa se ’ngrossava! Quistu perché, se ‘llu corpu se moveva, quarcunu doveva spignelu... ce doveva cioè fatica’... e tutta ‘ll’energia che cce buttava... annava a ‘ncrementa’ la massa... chiaru? Mentre su la bomba ‘tomica è tuttu lu contrariu, è la massa che va ‘ncrementa’ l’energia. A ’n certu puntu eccote li carabbinieri! Io ho pensatu... Se Zzichicchiu cià raggione... pe’ la massa, se po’ di’ che quanno ce fermamo, ‘rtornamo a postu... ma pe’ la velocità quella mo’ l’hanno vista! ‘Nfatti cianno fattu ‘na murda... che quasi quasi je lasciavo la macchina pe’ ppagajela e rivoltu a l’amicu mia ho ‘sclamatu... A qquilli che tuttu è rrelativu no’ je n’è fregatu gnente... ma la formola de Eistainne co’ la emme come mmurda l’hanno ‘pplicata lo stessu! PC

ASTROrime... Le Pleiadi Son del ciel le gallinelle...(o chioccette) son di Alcyone le sorelle... Taygete Elettra Merope Celeno Maia Asterope. Atlante è certo il padre... Pleione è pur la madre... e tutti quanti in coro troneggiano nel Toro. (costellazione) L’ammasso è assai brillante... o meglio scintillante... se visto al cannocchiale... spettacolo spettrale. (nebulosità intorno) paolo.casali48@alice.it

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A c c a d d e a fe bbra io... 15 febbraio 1961 Eclisse totale di sole in Italia

Per quelli della mia generazione esiste un ricordo dell’infanzia legato ad un fenomeno naturale tra i più spettacolari e suggestivi. La mattina di mercoledì 15 febbraio 1961 infatti, ebbi l’opportunità di vivere un’esperienza indimenticabile proprio all’ora in cui di solito ci si reca a scuola (circa le 8,30 del mattino). In pochi minuti il paesaggio circostante divenne buio e le stelle apparvero nel cielo in pieno giorno, la temperatura calò in modo avvertibile, nonostante la stagione rigida già di per sé, lo stupore Gmunden (Austria) e la timorosa meraviglia del momento Eclisse totale di Sole dell’11 agosto 1999 assunsero la forma del silenzio. (foto di Stefano Valentini) In particolare, nel momento che precede la fase di totalità si potevano osservare giochi di luce molto spettacolari. Intorno sembrava tutto ovattato, ma dopo pochi minuti, con la stessa rapidità con cui calarono le tenebre, il sole gradualmente uscì dall’ombra del disco della luna e tutto magicamente tornò come prima. Un evento davvero indimenticabile, perché il ricordo delle emozioni e delle sensazioni provate in quei pochi minuti mi ha sempre accompagnata, anche se non sono mai riuscita a darne una descrizione. Un’eclisse di sole si verifica quando la Luna si trova tra il Sole e la Terra e proietta su quest’ultima la sua ombra, rendendo il Sole completamente oscurato nei punti della superficie terrestre che si trovano nella zona d’ombra. Questo fenomeno avviene perché il Sole e la Luna, pur avendo dimensioni ben diverse tra loro, si trovano ad una distanza dalla Terra che fa sì che ci appaiano grandi uguali: il Sole ha un diametro circa 400 volte quello della Luna, ma nel contempo è anche 400 volte più distante. Ed è per questo motivo che, quando i centri di Sole, Luna e Terra si trovano perfettamente allineati la Luna può oscurare il disco solare e dar via al fenomeno dell’eclissi totale. È indiscutibile che un fenomeno del genere abbia da sempre catturato l’attenzione dei popoli di tutto il mondo fin dall’antichità. Molti sono i miti e le leggende nate riguardo alle eclissi, considerate generalmente presagio di sventura e morte. Già nella Bibbia il profeta Amos dice funestamente: “In quel giorno dice l'oracolo del Signore - farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno! Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento: farò vestire ad ogni fianco il sacco, renderò calva ogni testa”. È cinese la più antica registrazione di una eclissi di sole, che risale al 2134 aC, anche se gli storici ritengono che la datazione possa avere un errore di circa 200 anni. La prima registrazione precisa è dell’anno 454 e recita così: “Periodo del regno di Hsiao-chien, I anno, VII mese, giorno ping-shen, primo giorno del mese. Il Sole fu eclissato: fu totale e tutte le costellazioni brillarono in cielo”. In India invece, durante l’eclisse, erano usi immergersi nelle acque di un fiume per aiutare il Sole a difendersi da un drago che lo stava divorando, mentre in Giappone venivano ricoperti i pozzi per evitare che durante l’oscurità dell’eclisse potesse cadere dal cielo del veleno nell’acqua. Molto più positivi invece erano i Tahitiani e gli Eschimesi: i primi interpretavano l’eclisse come l’unione amorosa della Luna e del Sole, mentre i secondi credevano che il Sole e la Luna lasciassero temporaneamente il cielo per venire a controllare che sulla terra tutto procedesse per il meglio. Mercoledì 11 agosto 1999, 38 anni dopo quella indimenticabile mattina del 1961, a Gmunden, in Austria, ebbi l’opportunità di assistere ad un’altra eclissi totale di sole e fu quasi sconcertante sentire affiorare di nuovo quel sentimento di stupore, di timore e di meraviglia che pensavo fossero solo emozioni che poteva provare una bambina di 7 anni di fronte ad un evento certamente naturale, ma che può essere definito “una magia”. Fiorella Isoardi Valentini

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L’osservatorio astronomico di S. Erasmo è aperto gratuitamente per i cittadini l’ultimo venerdì di ogni mese dalle ore 21,30.

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