Numero 92 - Febbraio 2012
Mensile a diffusione gratuita di AttualitĂ e Cultura
Fototeca La Pagina
Un insegnamento di vita
Wi s ł a w a
Szymborska 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 - 13 14 - 15 16 - 17 18 19 20 - 21 - 22 23 24 - 25 26 27 28 29 30 - 31 32 33 34 35 36 37 38 - 39 40
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Librerie indipendenti - P Fabbri Il Perù e la guerra delle caramelle - F Patrizi GERMOGLI - Conoscere il nostro territorio - La Pagina L’unione fa la forza... e il risparmio! - A Melasecche Rubrica di psicologia - S Marsiliani, P Pernazza L’amore è potere. Il potere non è amore - V Policreti Contro il burlesque - VP INTERPAN Non vedi il futuro? Alza la testa! - C C o l a sa n t i CONSORZIO DI BONIFICA TEVERE NERA La solitudine dei numeri primi - P Seri A Praga per vedere Picasso, Goya e Dalì - A Pieralli Il giorno della memoria: Natale a Buchenwald - V Grechi LICEO CLASSICO - M D’ Ul i z i a , B Gr i f fa n i , L B o n a cci n i PROGETTO MANDELA - C Ca l c a t e l l i , T H ei d l a n d , A L a b i a n ca FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TERNI E NARNI LABORATORI SALVATI AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI NUOVA GALENO ALLA SCOPERTA DI... il mio amore per te - L Santini Da tutto il mondo gli innamorati scrivono a San Valentino - A Liberati Cosa c’è sotto l’ex convento di San Valentino? - AL LIBRI PASTICCERIA CARLETTI MOLINO DEL DUCA - CESI ISTANBUL la porta d’oriente - L Bellucci I love Marrakech - C M a n s u e t i ALFIO COMUNE di NORCIA NERO NORCIA AMARCORD TERNANA - M B ALLEANZA TORO Astronomia - T Scacciafratte, E Costantini, P Casali, M Pasqualetti, TS SUPERCONTI
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Abbiamo assistito a La gita, spettacolo documentario del Centro per i diritti umani - Progetto Mandela per la Giornata della Memoria. Dire “abbiamo assistito” è enormemente riduttivo perché è vero che si stava comodamente seduti in poltrona a vedere attori, sentire parole, veder scorrere documenti. È anche vero però che il nostro cuore, le nostre emozioni, la nostra rabbia, la nostra testa, il nostro stomaco erano coinvolti in quella rappresentazione di eventi e situazioni di una storia neanche tanto lontana. Una storia di 70-80 anni fa. La gita non è un itinerario turistico o una scampagnata domenicale: è semplicemente il trasferimento, mediante grossi pulmann, di malati di mente, disabili fisici e mentali, persone con malattie ereditarie in centri specializzati prima nella sterilizzazione poi nell’eliminazione delle stesse, grazie a camere a gas e forni crematori. L’idea veniva dal solito sostenitore della superiorità della razza ariana, un certo Adolf Hitler. La scusa dell’eliminazione era non solo la difesa della razza stessa rispetto a chi poteva costituire una diminutio della loro perfezione, ma anche economica in quanto lo stato poteva risparmiare un sacco di soldi necessari al loro mantenimento e a quello del personale necessario al funzionamento delle cliniche. Intervenne naturalmente la solita propaganda capillare per convincere il popolo tedesco sull’opportunità di questa eliminazione. In 12 anni si sa che vennero sterilizzate oltre 400.000 persone. Il numero degli eliminati, rimasto sconosciuto, è calcolato in circa 200.000. Questi numeri vanno quindi aggiunti a quelli dello sterminio degli ebrei, degli zingari e tutti i gruppi etnici o religiosi non desiderabili dal Terzo Reich. Fatta questa doverosa premessa di inquadramento, ci sentiamo in dovere di spendere alcune parole non sugli eventi storici in sé che, riteniamo, non hanno bisogno di alcun commento: del resto non ci sono più le parole adeguate per raccontare la tragicità di tali accadimenti e di tali aberrazioni.Vogliamo però fare queste considerazioni. Questo spettacolo-documentario è stato un modo veramente straordinario ed efficiente non solo per ricordare, ma soprattutto per fare storia. Questo è stato un modo tangibile e profondo per far capire che cosa sono i diritti umani. Grazie al Progetto Mandela e al suo suo ideatore Marcello Ricci, che con la sua opera che dura da 25 anni incentrata sui laboratori, sugli spettacoli teatrali e sulla capillare diffusione di corsi nelle scuole e presso i giovani, si batte per la conoscenza dei diritti umani. Grazie alla regista Irene Loesch con l’assistenza di Silvia Cox e agli scenografi Tommaso Onofri e Michele Meschini. Grazie agli attori (Donatella Calamita, Luisa Contessa, Elisa Gabrielli, Simone Mazzilli, Francesco Mecarelli) che con la loro appassionata e professionale interpretazione hanno aggiunto forza e qualità allo spettacolo. C’è un altro ringraziamento che dobbiamo fare. A questo punto dobbiamo per forza parlare del finale dello spettacolo che è stato la chiave di volta per trarre un insegnamento dal racconto di quei tragici eventi. Dopo aver sentito le elucubrazioni mentali di un regime che sterminava i disabili, i malati, i diversi e aver assistito alla partenza di un pulmann con queste persone ritenute inutili alla società e per questo destinate alla loro soppressione, sono saliti sul palco un gruppo di utenti del centro diurno Il Girasole, i diversi della nostra società, quelli stessi che un tempo erano considerati “da abolire”. Abbiamo allora applaudito tra un fiume di lacrime: noi con loro e loro con noi. Spettatori, diversi, attori. Noi tutti esseri umani, uguali in dignità. Uguali nella speranza di un mondo migliore. Questi sono i diritti umani. Questo è amore. Noi, nella città di San Valentino, abbiamo lanciato il vero messaggio d’amore: il rispetto delle persone. Loretta Santini
Librerie indipendenti
Torino, via Ormea: libreria CS_libri. L’ultima volta ci sono entrato prima di capodanno: non molto grande, a pianta quadrata, densa di soppalchi per rubare spazi al soffitto e riempirlo di remainder, di tramezzi per strappare metri quadri al pavimento e ricavarne degli studi per il lavoro dei librai, che lì dentro esercitano anche l’arte dello scrittore, dell’editor di testi, di recensore, dell’editore. Perché è una libreria piccola, ma è orgogliosamente anche una libreria editrice. Un luogo dove i libri vengono venduti, ma prima vengono letti, e poi consigliati, talvolta discussi; un luogo che raccoglie autori di racconti e di romanzi, che pubblica saggi e antologie, e una rivista di recensioni, ogni numero della quale è un libro essa stessa. A differenza delle ampie e luminose librerie di catena, è difficile muoversi, lì dentro: bisogna mettersi di taglio per far passare l’altro cliente che risale lo stesso esiguo spazio che tu invece discendi, murati entrambi tra tavoli e scaffali grondanti libri; bisogna allungarsi in precario equilibrio per sbirciare il titolo di quella novità in vetrina, persa fra libri universitari e testi classici, rischiando di far un disastro nell’elaborata e densissima esposizione, perché in quella vetrina ci sono cento libri diversi, e non cento copie ben allineate dello stesso bestseller patinato. Ci entro proprio come entro al bar, perché ognuno dovrebbe avere una libreria dove andare a stare, e non solo a comprare: per sfogliare un tascabile come si ordina il caffè, per chiedere pareri sull’ultimo Murakami come si commenta l’ultimo gol dell’Inter. Incastrata nella parte di Torino che si appoggia sul Po, a meno di cento metri dalla facoltà che ho frequentato per anni, la CS è la mia libreria. Ma non ci entrerò più, se non per un’ultima volta: si svuota, svende, liquida, versa sull’altare della crisi il suo sangue di carta e inchiostro. A fine marzo chiude, impossibilitata a sopravvivere. Terni, via Goldoni: libreria omonima alla via. La prima volta che ci sono entrato, probabilmente, era per comprare il foglio protocollo del mio primo tema di quarta ginnasio. Dietro il banco una signora bionda, magra e con gli occhiali, paziente e gentile. E paziente doveva proprio esserlo, perché alle otto di mattina la libreria era sempre affollata di cartelle e liceali, di zaini e ragazzini delle medie, e di studenti d’ogni ordine e grado, tutti armati di monete da dieci lire per acquistare quei fogli protocollo a righe o a quadretti; in qualche caso fortunato, addirittura una biro o una matita. L’ultima volta che ci sono entrato è stato forse un anno fa, più o meno sotto Natale. Stessi locali, un aspetto evoluto più verso l’atmosfera di libreria rispetto a quello più antico di cartolibreria: e anche qui soppalchi, lotta con lo spazio, e corridoi stretti tra uno scaffale e l’altro. Anche qui bisogna stringersi per far spazio ad altri clienti, se si cerca nella stessa categoria di lettura; ma è una piacevole promiscuità complice, quella dei lettori negli spazi ristretti: e sono quasi sempre sorrisi d’intesa che volano, mentre si fa manovra tra il reparto Narrativa Straniera e quello di Storia e Filosofia. Anche perché i lettori sono curiosi: “cosa cercherà, accucciato laggiù in
fondo? Vuoi vedere che è una cosa che potrebbe interessarmi?”. E i librai sono pazienti: non sono tanti i negozi in cui puoi quasi scordarti del cliente, se lo vedi che vagola nei pochi metri quadrati trasformati in lunghi labirinti lineari dagli scaffali. E i librai sanno, in qualche misteriosa maniera, come sono fatti i clienti delle loro librerie. “Prendo questi, pago con carta di credito, un attimo che le mostro un documento…” vengo a Terni di rado, sono anni che non entro alla Goldoni, e i due signori dietro al banco non possono certo sapere che venivo sempre qua, quarant’anni fa o giù di lì. “Non serve. Chi ruba o clona le carte di credito non lo fa per acquistare libri”. Alzo lo sguardo dal portafoglio, sorpreso. Il sorriso dall’altra parte del banco è cordiale e saggio. Mentre i libri finiscono in busta, si finisce col parlare perfino d’una sorta di vaga nobiltà di alcuni “ladri di libri”, come quello che, una volta, aveva aperto la vetrina e selezionato per il furto solo alcuni precisissimi titoli, lasciando tutto il resto in buon ordine. Rido e sorrido con lui, mentre intanto una cliente chiede un’informazione su un libro per ragazzi, e il libraio comincia a rispondere, e medita sulla possibile dislocazione del libro richiesto, e parte verso il piano superiore. Sono piacevoli, gli acquisti in certe librerie. Un paio di mesi fa, le vetrine della libreria Goldoni mi accolgono vestite dalle saracinesche, nonostante il clima e l’orario di shopping natalizio. Un avviso segnalava che la Goldoni non c’era più, anche se avrei potuto trovare le stesse persone (e chissà, forse anche la stessa aria complice, ma non ne sono sicuro), nel nuovo punto vendita che la più nota delle librerie di catena apriva in via Battisti. Gli spazi lì sono ampi e le luci generose e chiare. Le vetrine mostrano le novità come fanno sempre, secondo la logica, probabilmente esperta e convincente, stabilita e studiata da esperti. E dentro i libri, in scaffali chiari e ordinati, con spazi in cui due avventori possono incrociarsi comodamente, senza minimamente sfiorarsi. E forse è una fortuna che le librerie di catena esistano, chissà. L’aria che tira è così cupa e scura, per l’editoria, che forse senza di esse la distribuzione libraria sparirebbe del tutto, chissà. Però è strano che una libreria debba assomigliare più ad una corsia di supermercato che ad una biblioteca. Se è così che si vende di più, se è così che noi lettori acquistiamo più libri, allora c’è qualcosa di sbagliato: in noi, più che nelle librerie. Come gli aeroporti, le librerie di catena sono tutte uguali, o quasi. I librai sembrano più commessi che librai, e forse gli insegnano ad esserlo, chissà. E noi perdiamo qualcosa, come al solito. Per la crisi, certo. Per le nuove tecnologie che piano piano faranno sparire la carta, per gli sconti selvaggi che i supermercati potevano fare, fino a poco tempo fa, sui libri di maggior richiamo, gli unici che lì si vendevano. Perché i libri si sono sempre venduti poco, figuriamoci adesso, in tempo di crisi. Eppure è in tempo di crisi che nei tabaccai e nei bar si vedono capannelli di persone attente agli schermi dove si fanno venti estrazione all’ora; è in tempo di crisi che in TV si vedono più pubblicità di gioco online che di detersivi, è in tempo di crisi che i videopoker ronzano continuamente in tutti i locali, dai ristoranti alle lavanderie. È certo colpa della crisi, se certe attività non sopravvivono, e chiudono. Ma se a chiudere per prime sono le attività che vivono di cultura e di conoscenza, mentre le ultime sono quelle che sistematicamente travasano soldi dai poveri cristi verso i ricchi sfondati, allora la colpa non è solo della crisi. È soprattutto colpa nostra. Piero Fabbri
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Il Perù e la guerra delle caramelle Una pioggia di caramelle bombarda una folla di bambini esultanti che si ingozzano a piene mani con manciate di pilloline ipercaloriche… questa pubblicità, andata in onda per anni, era stata considerata diseducativa poiché invitava subdolamente i minori a fare un consumo eccessivo di zuccheri. La medicina era riuscita a far sentire la propria voce sul mercato e il mondo delle caramelle aveva alzato la bandiera bianca dello sugarfree; ma era una finta resa, la guerra vera del consumismo bulimico non si fermava certo davanti agli avamposti della dieta ipocalorica o alla trincea della fitness-mania. Tonnellate di caramelle erano lì pronte per essere liberate e avevano bisogno di una nuova guerra lampo per smaltire le sovrapproduzioni di mercato. Allora le multinazionali degli zuccheri, camuffate da ONG, partirono per sondare nuove terre amare che il consumismo non aveva ancora inzuccherato. Dopo anni di ricerche ed esplorazioni, l’Eldorado dei golosi è stato finalmente trovato: il Perù. Non è certo un paese in ascesa capitalistica, ma è vero anche che le caramelle non costano molto. Così i peruviani si sono ritrovati, in poco tempo, sommersi di pilloline colorate ripiene di cioccolato uscite da un cilindro cartonato (omettiamo il nome della marca arcinota anche in Italia). Come bambini sprovveduti, i popoli andini hanno cominciato a ingozzarsi del nuovo prodotto senza riuscire più a controllarsi e hanno inserito in maniera disordinata le caramelle nella loro alimentazione, sostituendole ai legumi nelle minestre, alle erbe da masticare, ai cereali nelle insalate, fino a considerarle alla stregua di medicine antidolorifiche. Nessuno gli ha spiegato i pericoli a cui andavano incontro: l’obesità, le carie e, soprattutto, la piaga con cui abbiamo contagiato il Terzo Mondo, ovvero il diabete, una pandemia vera e propria che si è abbattuta sul Sudamerica mettendo in allarme i medici delle organizzazioni umanitarie. La battaglia per riportare questi popoli ad una dieta equilibrata si porta appresso più caduti degli scontri con Sendero Luminoso. La crisi mondiale, d’altra parte, ha portato i conquistadores multinazionali a cercare nuovi consumatori laddove un tempo non si pensava che ci fossero, così è tornato in auge un modo di dire che risale ai tempi di Francisco Pizarro quando, per indicare una ricchezza inestimabile, si diceva per l’appunto che vale un Perù! I diabetologi e i dentisti in prima linea stanno comunque lì a ricordarci che la malattia congenita al consumismo non è stata ancora debellata: infatti nessuno ha sperimentato un vaccino che sappia difenderci da noi stessi e dai nostri stravizi. Francesco Patrizi
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Germogli intende, attraverso la realizzazione del Progetto Germogli, sensibilizzare alla conoscenza, alla cura e alla conservazione dell’ambiente e dare impulso alle attività progettuali, in particolare dei e per i giovani, alcuni dei quali saranno i futuri amministratori della nostra città. A tal fine il Progetto Germogli fornirà un quadro generale dei vari aspetti che concorrono a dare la fisionomia della Provincia di Terni e a individuarne le peculiarità che lo rendono riconoscibile e anche unico. Il Progetto Germogli prevede 12 incontri che si svolgeranno, presso il Liceo Classico di Terni, secondo il calendario allegato. L A P A R T E C I P A Z I O N E È G R AT U I T A Per iscriversi, comunicare l’adesione: telefonando al numero 0744.424827 per email a info@lapagina.info presso la libreria Alterocca, in Corso Tacito.
CALENDARIO Martedì 6 16,30 - 17,00 17,00 - 18,00
Giovedì 8 16,30 - 17,10 17,30 - 18,10
Martedì 13 16,30 - 17,10 17,30 - 18,10
Giovedì 15 16,30 - 17,10 17,30 - 18,10
Martedì 20 16,30 - 17,00 17,00 - 18,00
Giovedì 22 16,30 - 17,10 17,30 - 18,00
INCONTRI
Marzo 2012 PRESENTAZIONE GERMOGLI Cultura e territorio in Provincia di Terni Giampiero Raspetti PROVINCIA DI TERNI Inquadramento storico Loretta Santini Marzo 2012 L’AMBIENTE Aspetti geologici, acque, aree protette Pietro Rinaldi TERNI La città Paolo Leonelli Marzo 2012 TERNI Toponimi ternani Walter Mazzilli AREE ARCHEOLOGICHE Aree etrusche e romane Loretta Santini Marzo 2012 TERNI Curiosità storiche Angelo Ceccoli ECCELLENZE D’ARTE Chiese, rocche Loretta Santini Marzo 2012 GERMOGLI Progetti per i territorio Giampiero Raspetti LE TRADIZIONI Prodotti e cucina tipici, le feste Loretta Santini Marzo 2012 FUTURO DI UN TERRITORIO Prospettive Sandro Pascarelli GERMOGLI I vostri progetti Giampiero Raspetti
L’unione fa la forza... e il risparmio! Vi piace qualcosa, la volete a tutti i costi, ma il prezzo è troppo elevato? Siete appassionati di balli latino americani? Oppure volete risparmiare sulle piccole manutenzioni o fare il tagliando alla macchina a un prezzo scontato? Cosa fate? Maniaci dello shopping, curiosi e normali consumatori, non potete perdervi il nuovo e recentissimo fenomeno del social shopping. In poche parole, un nuovo metodo di e-commerce che utilizza il web con le potenzialità dei social networks rispolverando il noto adagio “l’unione fa la forza”. Nato negli USA e approdato nel 2010 in Europa, il fenomeno è cresciuto del 162% in pochi mesi e ha già conquistato circa 9 milioni di italiani. Con la crisi che avanza, la parola d’ordine è low cost. Le statistiche dicono che il 12% degli internauti fa acquisti online e il social shopping sembra essere il vero fenomeno del momento dato che propone beni e servizi con sconti che vanno dal 50 all’80%. Dove è il trucco? C’è, ma non si vede. Se tante persone sono interessate allo stesso bene o servizio, possono presentare al venditore, tramite un sito internet dedicato (Groupon, Groupalia, Letsbonus, Getbazza, Jumpin, etc. solo per citarne alcuni e recentemente anche una sezione dedicata alle offerte sul sito di eBay), un unico ordine complessivo che, dato il numero di possibili clienti, determinerà uno sconto quantità. Gli acquirenti avranno accesso al servizio desiderato, ad un prezzo conveniente e inferiore rispetto ad un ordine presentato singolarmente, e il venditore, dal
canto suo, cederà il proprio bene o servizio ad un elevato numero di persone, ben felice di abbassarne il prezzo. Quindi, volete trascorrere un week end in un romantico hotel? Riempite tutte le camere e il gestore si dimostrerà “ben disposto” a favorirvi tagliando il conto. Si inizia iscrivendosi gratuitamente ad uno dei numerosi siti presenti nel web, compilando una scheda con le proprie preferenze e gusti sui servizi e sui prodotti che generalmente si ricercano e poi ci si lascia guidare tra le numerose proposte presenti. Gli sconti, come detto, si attivano solo al raggiungimento di un numero minimo di iscritti e l’offerta, solitamente, ha un periodo limitato nel tempo, di solito dalle 24 alle 72 ore. Se il numero minimo di acquirenti non viene raggiunto, niente da fare. Se invece entrambe le condizioni vengono soddisfatte, allora si riceverà un codice, un coupon e, successivamente si potrà procedere ad ordinare il bene desiderato o a prenotare il servizio attraverso i canali diretti dei venditori che hanno preso parte all’offerta. Comodamente da casa, oltre ad acquistare, si potrà al contempo fare un giro per le vetrine più attraenti, chiedere agli altri utenti collegati allo stesso sito web, si potranno domandare informazioni sul prodotto e chiedere un feedback a chi ha già comprato prima di voi. Ma attenzione, “non è tutto oro quello che è social”! Le truffe possono esser dietro l’angolo. È necessario informarsi sulla serietà delle offerte e diffidare da quelle “troppo belle per essere vere“. A questo punto non mi rimane che augurarvi: buon divertimento e buoni acquisti! alessia.melasecche@libero.it
Rubrica di psicologia Attualmente si parla sempre di più di psicologia, in diversi contesti: da quello individuale a quello relazionale, ma anche scolastico e lavorativo. La figura dello psicologo sembra stia diventando indispensabile, ma c’è ancora poca chiarezza su chi sia lo psicologo, che cosa faccia e che differenza c’è con altre figure professionali ad esso affini. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza spiegando prima di tutto che cosa è la Psicologia. La Psicologia è la scienza che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. Tale studio riguarda le dinamiche interne dell’individuo e i rapporti che intercorrono tra quest’ultimo e l’ambiente; inoltre studia il comportamento umano e i processi mentali che intercorrono tra gli stimoli sensoriali e le relative risposte. Capita inoltre di frequente di imbattersi nelle seguenti domande: Che differenza c’è tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra? Che cosa fanno di diverso? Sicuramente tutti si occupano del benessere e della cura della persona, però è bene delinearne le differenze per evitare malintesi e notizie fuorvianti. Lo Psicologo ha conseguito una laurea di 5 anni presso un Ateneo italiano, un successivo anno di tirocinio, il superamento dell’esame di Stato, e si è iscritto all’Albo professionale di una regione o Provincia italiana. Senza l’iscrizione all’Albo non si è Psicologi, ma soltanto dottori in Psicologia. Lo psicologo può lavorare in vari contesti: nella prevenzione e nella progettazione di interventi, può fare delle diagnosi anche attraverso l’ausilio di test. Lo Psicoterapeuta è invece uno Psicologo o un Medico abilitato a svolgere anche attività di psicoterapia, dopo aver frequentato un’ulteriore scuola di specializzazione della durata di almeno 4 anni. Lo psicoterapeuta può svolgere oltre a quelli elencati per lo psicologo anche gli interventi sulle patologie psicologiche,
perché durante la specializzazione ha immagazzinato una serie di conoscenze e di tecniche per la cura delle suddette patologie. Lo Psichiatra, invece, ha un percorso differente: è laureato in Medicina ed ha una specializzazione in Psichiatria con una formazione prevalentemente “medico-farmacologica”. Lavora spesso in equipe con lo psicoterapeuta, laddove sia necessaria la somministrazione di farmaci. Chi si rivolge ad uno specialista della salute mentale (che per comodità chiameremo PSI)? Bisogna chiarire innanzitutto che chi si rivolge a psicologi, psicoterapeuti o psichiatri non è necessariamente anormale, disturbato o matto, anzi il voler mettersi in discussione e voler migliorare se stessi è un sintomo di “salute mentale”. Dallo PSI può andare chiunque abbia problemi o semplicemente senta la necessità di chiarire se stesso e le proprie idee in determinati momenti della vita poiché è stato dimostrato che noi non conosciamo completamente noi stessi. Lo PSI non giudica ma cerca di comprendere e non si meraviglia di fronte a nessun problema perché sa che situazioni difficili, ansie, pensieri e paure a volte assurde fanno parte della vita di tutti. Essendo vincolato al segreto professionale, non può riferire a nessuno, nemmeno ai familiari del paziente, quello che gli viene comunicato durante la seduta. A differenza dell’amico sa dare un consiglio più obiettivo e utile perché conosce i sistemi per controllare le situazioni problematiche e per analizzarle. L’amico, spesso in buona fede dà il consiglio che a lui può sembrare giusto ma che non sempre si adatta o centra il reale problema del paziente e le migliori strategie per risolverlo. Lo PSI invece, analizzando il problema, trasmette al paziente la metodologia per affrontarlo e A cura delle dr.sse superarlo. Silvia Marsiliani e Paola Pernazza psicologhe-psicoterapeute
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L’A M O R E È P OT ER E IL POTE R E NO N È A M OR E L’attrazione tra i sessi è la cosa più importante che il Padreterno abbia fornito all’uomo. Quando Dante la chiama L’amor che move il cielo e l’altre stelle, pur intendendo parlare di Dio, dice qualcosa che va più in là del suo stesso pensiero cosciente. Attrazione che prende innumerevoli forme, da quella immediata del coito a quella sublimata dell’arte, passando per tutte le gamme possibili, dal flirtino all’Amore Eterno. Tre quarti dell’arte sono dedicati, direttamente o indirettamente, al sesso, proprio a cominciare dalle Madonne, omaggio all’archetipo stesso della maternità che non è certo ultimo obiettivo della sessualità; e a continuare con quei Discoboli, Veneri, Davide che guarda caso sono sempre splendidi esemplari di giovani dalle evidenti, appetitose capacità riproduttive. Pochissimi gli artisti e quasi tutti moderni, che abbiano ritratto soggetti striminziti. Ma l’abilità del cervello nel ricoprire di elegante decenza i nostri istinti primordiali non deve indurci in errore: vitalità ed eros coincidono quasi sempre, fatto salvo, s’intende, il piacere di nutrirsi, che ha tuttavia colpito assai meno, nei secoli, la fantasia umana. Chi ha una forte vitalità ha di per sé una forte carica sessuale; può anche darsi che la inibisca per scelta o per nevrosi e in tal caso l’energia si scaricherà in qualche altro modo, ma l’origine resta largamente sessuale: Freud aveva ragione da vendere. E se talvolta non la troviamo in manifestazioni, pure energetiche quale la guerra, è perché la guerra è morte e non vita. E’ perfettamente naturale e perciò stesso morale, che chi riesce a sfruttare la grande forza del desiderio, detenga un formidabile
potere; regola questa che, nata dall’ambito sessuale, si è andata estendendo ad altri ambiti. Inducendo forti desideri si ottengono alti profitti, si parli di merci, medicine o droghe. Ne sono prova i prezzi degli accessori sexy, dalle mutandine vendute a 50 volte il valore del pochissimo tessuto, alle divertenti diavolerie erotiche dei negozi porno. Nel campo privato questo implica che chi è oggetto del desiderio altrui abbia, per questo stesso fatto, un potere sulla persona che quel desiderio prova. Ma poiché Amor [ch’] a nullo amato amar perdona, il desiderio produce come risposta e salvo eccezioni, desiderio in chi viene desiderato. Ciò fa sì che il potere dell’uno trovi un contrappeso nel potere dell’altro e che i due poteri, controbilanciandosi, diano luogo al più delizioso fenomeno che Dio, in un momento di grazia e di allegria, abbia creato per l’uomo: l’amore. L’amore condiviso è una delle pochissime occasioni non fallaci di vera felicità per il genere umano. Non fallaci non perché eterno (magari!), ma perché (a differenza, p. es. dal denaro) non è simbolo di qualcos’altro, ma rappresenta se stesso. A chi non ha la fortuna di poter provare amore non resta che bramare il potere. Ne siano fonti politica, denaro o prevaricazione, il potere nasce e resta inevitabilmente un simbolo rispetto all’amore; quindi, un surrogato. Allo stesso modo, nei piatti dei ristoranti marinari scadenti, la puzza di pesce sostituisce il profumo del mare.
PSICHE
Dr. Vincenzo Policreti Ps ico lo go , ps ico terapeuta - policreti@libero.it
CONTRO IL BURLESQUE Il Burlesque, per chi non lo sapesse, è uno spogliarello parodistico nel quale la donna non “si concede” allo spettatore, come avveniva (e avviene ancora) negli spettacoli di spogliarello tradizionali, ma in qualche modo ride dello spettacolo che sta dando, squalificandone quindi implicitamente il contenuto. Il Burlesque ha un momento di grande successo, un po’ come tutto ciò che è moda in un dato periodo. Ma le mode non nascono per caso: esse interpretano esigenze sentite nel momento in cui nascono e non è quindi privo di interesse cercar di capire cosa ci sia dietro una moda nascente. E qui cominciano i guai. Perché il messaggio che sta dietro il Burlesque è distruttivo. Vediamone il perché. La donna che si spoglia davanti ad un uomo (a meno che non abbia superato i 60, sia omosessuale o sia sua moglie) comunica, con quell’atto, che a quell’uomo sta per darsi. La spogliarellista per il solo farlo davanti a una platea, comunica a ciascuno spettatore: Io sto per darmi; e quel fortunato cui mi darò, non potresti per caso essere tu? Il desiderio dello spettatore è provocato dal desiderio (simulato o no) dell’attrice; e infatti se l’attrice si spogliasse al modo in cui lo fa quando è sola, stanca e vuole soltanto andare a dormire, difficilmente sveglierebbe il desiderio di alcuno (salvo degli adolescenti, che si eccitano anche davanti a sedie e tavoli, purché abbiano gambe). Com’è in tutto il teatro, di qualsiasi genere, l’emozione provocata si limita alla fantasia: è la regola del gioco e gli spettatori la devono accettare. Ma l’importante è proprio il messaggio, che
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nel caso dello spogliarello è di valorizzazione della sessualità: Il sesso è bello, io te lo faccio sognare e anche sognarlo è bello. Completamente opposto è invece il messaggio inviato dal Burlesque. Proprio perché la spogliarellista qui ride di ciò che fa, irrimediabilmente essa lo squalifica. Ma ciò che viene squalificato qui è l’eros, vale a dire la forza vitale che sta alla base della riproduzione e quindi della vita stessa, quindi il rapporto tra i sessi che della vita, piaccia o no, è il sale, quindi il piacere di vivere, quindi il piacere stesso: partiti dalla squalifica del piacere, alla stessa squalifica si torna, dopo avere distrutto eros, coppia e vita. Bel risultato! Qualcuno obietterà che anche nello spogliarello classico la donna ha un atteggiamento allegro, ridente, ammiccante. Certo: ma la cosa è totalmente diversa, perché qui si ride all’interno di un rapporto intravisto, sperato, ambiguamente promesso. Al contrario, la donna che si spoglia nel Burlesque, manda il messaggio: Dello spogliarmi (leggi: dell’eros) io rido, è un giochino, non mi interessa e quindi non farti l’idea di avermi: non sono una scema. Lo spogliarello è figlio della Belle epoque, il Burlesque prende invece dal femminismo la parte peggiore: quella che anziché valorizzare la donna, pur di mortificare l’uomo la mortifica sacrificandola. Lei si farà anche le sue belle risate: ma da sola, applicando qui davvero, ma all’inverso, il paradosso dell’uomo che si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie. E’ bello ridere nell’eros. Ma se si ride dell’eros si contribuisce al deteriorarsi di un mondo che, più si riempie dei colori artificiali delle pubblicità e VP delle sue tante sirene, più diventa sbuio, triste e grigio.
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Non vedi il futuro? Alza la testa! Io non ci sto: questo è il mio futuro... in fondo basta poco: serve solo alzare il culo! La situazione non è certo delle più rosee: più si va avanti più ce se ne accorge e tutto il grigio che ci circonda sembra che penetri fin dentro le ossa; proprio lì dove dovrebbe esserci il nostro nucleo vitale. Siamo circondati da cattivi esempi; siamo completamente succubi delle notizie dei telegiornali; siamo in condizione di schiavitù intellettuale. Ultimamente sto cambiando idea sugli esami che la nostra beneamata Università pubblica ci obbliga a fare. Sono sempre stata convinta che le materie affrontate siano materie utilissime sulla carta, ma praticamente dal valore nullo (o comunque falsato, per così dire!) per quel che riguarda il poter affrontare il mondo del lavoro e, più in generale, il mondo che ci circonda una volta che usciremo dal portone della Facoltà con quella benedetta (e a lungo sognata!) coroncina di alloro in testa. Il professor Carlo Focarelli mi ha convinta del contrario, sia durante le sue lezioni di diritto internazionale (che purtroppo ho potuto seguire a singhiozzo per accavallamenti vari ed eventuali: altro punto a sfavore dell’organizzazione universitaria per cui ho più di un dente avvelenato!) che grazie ad un suo articolo pubblicato a giugno 2011 su Ragion Pratica: “La mercificazione dell’istruzione universitaria nel sistema economico mondiale”. Il passaggio che più mi ha colpito (e davvero conquistata, portandomi a riportarlo qui) è stato quello che mi è sembrato un dipinto piuttosto particolareggiato e calzante della nostra realtà odierna: “Il processo va di pari passo con il sopravvento della concezione occidentale di scienza e di ricerca, della tecnologia e della scienza applicata, estesa all’ingegneria sociale, e con la concomitante crisi della cultura umanistica di un tempo, del resto a sua volta soggiogata dai poteri dominanti di allora. La strategia è di far morire la capacità poetica di vedere il reale e le sue manipolazioni. Il risultato è una manipolazione globale di tutti su tutti, pur di avere elettori, compratori, lettori, seguaci, pubblico, in definitiva dipendenti, e pur di sopravvivere individualmente. E mentre qualcuno, manipolando, si arricchisce, altri, la maggioranza (ma anch’essi tentando, come possono di manipolare) si vedono vivere liberi di fronte al televisore o a internet e passano le migliori ore a comunicare sul cellulare ed a vagare con occhi persi ma felici nei percorsi prefabbricati dell’ultimo shopping centre”. Che dire? Leggendo queste parole mi sono sentita fotografata alle spalle, anzi, dall’alto.
NUOVA SEDE
Aggiungiamo anche il fatto che l’altro esame da preparare per questa sessione è quello di marketing, materia grazie alla quale mi sono resa conto di quanto siamo controllati, istigati e portati “mano nella mano” verso alcuni prodotti/comportamenti/personaggi e addirittura pensieri. Ovviamente la reazione non è quella di una persona che si sente in pace con se stessa e con la società che la circonda che non smette di scioccarla ogni giorno di più: il disastro della Costa Concordia letteralmente spalmato ovunque (a tal punto che molti non ne possono più sentir parlare!) ma mai approfondito per bene anche dal punto di vista dell’equipaggio e di chi ha fatto di tutto per evitare il peggio (ho passato una delle settimane più belle di sempre su quella nave e ho parecchi amici che ci han lavorato e ci lavorano: meno male che c’è Internet per poter mettere i puntini sulle i!); lo scandalo del festival di Sanremo e della scelta dei 6 giovani in gara che non sono stati realmente i preferiti dal pubblico online (come se non si sapesse che sono le major a giocarsi il tutto e la gente ha ben poco margine di scelta!); la retrocessione “in classifica” del nostro beneamato Paese, declassato a Paese di serie B per un’agenzia che molte altre volte, con le sue ricerche, classifiche e messaggi ha fatto nient’altro che peggiorare la situazione già esistente... ma che cosa stiamo aspettando? Non vogliamo rinunciare a quell’autonomia di potere che abbiamo acquistato in questi anni nei nostri piccoli angoli di mondo? Dobbiamo stare ben attaccati al nostro piccolo orticello per evitare di rimanere senza nulla, senza nessuno, senza potere? Bèh, ecco spiegato il sottotitolo dell’articolo (preso da una delle canzoni di uno dei giovani rapper più in voga al momento, Fedez, nella sua Alza la testa) che pur non essendo il massimo della finezza fa arrivare il messaggio chiaro e forte: “La rivolta è il linguaggio di chi non è mai ascoltato! Mai forte con i deboli, mai debole con i forti: ci maltrattano da vivi per poi piangerci da morti!”. Bèh, io davvero non ci sto: voglio vivere libera (senza virgolette!) il mio futuro! Chiara Colasanti
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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI Le avventure del sig. Rossi nel 2012 Vogliamo nel presente articolo recensire il celebre romanzo di Paolo Giordano uscito nel 2008? Assolutamente no! Già fatto e da parecchio tempo dagli addetti ai lavori; tuttavia il giovane e bravo scrittore non ce ne vorrà se usiamo il titolo della sua opera come metafora della condizione del cittadino italiano all’inizio del 2012 perché ci calza proprio a pennello. I numeri primi, rispolverando vecchie reminiscenze matematiche, sono quelli che sono divisibili o per 1 o per se stessi; sono in pratica entità solitarie nell’infinito mare dei numeri, né più né meno come lo è l’italiano medio trascinato nei marosi di una crisi globale che il governo guidato dal sen. Monti, i partiti che lo appoggiano e le forze sociali dicono a parole di voler risolvere, ma che in pratica sappiamo bene che a pagare sarà lui e soltanto lui per l’ennesima volta. L’anno nuovo per il sig. Rossi è cominciato mica male, all’annunciato e riannunciato ripristino dell’I.C.I. (ah, non si chiamerà più così, cambia il nome, non la sostanza) sulla prima casa si devono aggiungere una serie di rincari a cominciare dall’ormai rituale aumento dei carburanti con l’aggiunta delle accise che variano da regione a regione (a proposito l’Umbria, ad onta del populismo di facciata del suo governo ha le accise più alte!) a cui naturalmente ad effetto domino seguiranno luce, acqua, gas... Un bel problema per chi deve campare di sola pensione! Ma per il sig. Rossi le cose non finiscono qui: deve pagare il canone alla Rai che più di uno chiama pateticamente mamma Rai, forse per stuzzicare il mammismo strisciante dell’italiano medio ad onta del suo ostentato maschilismo (ma dico, ci siamo o ci facciamo, da quando in qua una mamma si fa pagare per ciò che fa?), poi la ciliegina sulla torta, l’obbligo delle catene a bordo dell’auto, anche se francamente di neve finora se ne è vista poca, con una spesa media intorno ai 100 euro e oltre! Con questo non vogliamo essere tacciati di insensibilità nei confronti della sicurezza stradale, della vita del cittadino che in ogni governo devono essere prioritarie, ma, visti i precedenti, viene il ragionevole dubbio che tali provvedimenti, giusti, giustissimi in linea di principio, siano stati presi per favorire potentati politico-economici. Vedremo cosa ne penserà la magistratura tra qualche mese! Alcuni dei provvedimenti presi mi ricordano, sia pure con le debite differenze, i tempi in cui capo del governo era l’on. Andreotti, una vecchia volpe, il quale non aumentava, ma ritoccava i prezzi senza intaccare i santuari che ben conosceva. Francamente penso che qualsiasi governo avrebbe potuto prendere tali decisioni… purché determinato a farlo, senza scomodare una schiera di professori bocconiani. Ho parlato di determinazione e proprio qui sta il bello perché i governi precedenti, lasciamo perdere il colore, avevano terrore di perdere il consenso degli elettori… troppo rischioso... così sono andati avanti in modo irresponsabile con rinvii su rinvii… e il debito cresceva… Ora gli eminenti proff. della Bocconi stanno facendo il lavoro sporco che i loro predecessori non hanno voluto fare, tanto non hanno problemi di elettorato; nessuno li ha votati, non si devono preoccupare della popolarità, dei sondaggi, degli indici di gradimento. Il sen. Monti, ha assicurato che dopo la stangata inizierà la tanto agognata fase 2, quella che dovrebbe interessare la crescita… staremo a vedere e intanto dico al sig. Rossi: riprendi fiato, riposati, ricomincia la corsa! Indubbiamente qualcosa col nuovo governo è cambiata perlomeno nella forma: toni pacati anche nelle divergenze di opinione, serietà e compostezza nel porgersi al pubblico, minore visibilità televisiva da parte dei vari ministri, moderazione nel linguaggio e negli atteggiamenti nelle trasmissioni televisive. Cosa da non poco per noi precedentemente abituati alle battute caustiche, spesso inopportune e di cattivo gusto dell’ex premier Berlusconi, al suo sorriso stampato anche dove non era necessario, ai vari membri del governo che si presentavano come prime donne, manco fossero al teatro, a trasmissioni televisive che volgarità e insulti rendevano
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simili ad una corrida o meglio ad un pollaio in cui i galletti di turno si spennavano a dovere. Ma la casta dove è finita? Che fine hanno fatto i partiti che la compongono? Si sono dati? Sarebbe ora! No, manco per idea, la casta è viva e vegeta e pronta a trovare tutti gli espedienti per difendere i propri privilegi goduti sulle spalle dei cittadini; ha solo cambiato tattica; vista la grave crisi, si è messa in seconda fila, limitando le proprie performances e appoggiando, manco a dirlo, l’attuale governo. Il Berlusca è sempre lì anche se non in prima fila: poche apparizioni, poche le solite battutine a cui eravamo avvezzi, ma dichiara con il consueto sorrisetto beffardo di non ritirarsi, circondato come è da un codazzo di scudieri e prestanome. Il Bersani si fa invece sentire spesso, insistendo sempre sul senso di responsabilità, con quell’accento marcatamente emiliano che lo rende tanto nazional-popolare. Ricorda per una curiosa combinazione l’on. Ciriaco De Mita (lungi da me, mi si perdoni, simili commistioni… altri tempi, altra storia, altra sponda, lo sappiamo!) il quale, nonostante gli incarichi prestigiosi, i viaggi all’estero, i colloqui con i leader di mezzo mondo, non riusciva a togliersi l’accento marcatamente irpino. Dietro di lui la sua ombra l’on. Anna Finocchiaro, sì proprio lei, la ricordate? Quella statua greca che in era berlusconiana si presentava ai microfoni con lo sguardo basso, la voce chioccia, annunciando catastrofi apocalittiche, una perfetta Cassandra! Ora qualcosa è cambiata: l’ho vista abbozzare un qualcosa simile ad un sorriso… il che lascia ben sperare! Responsabile si dichiara anche l’aitante on. Casini, sorride gioioso, tanto in termini elettorali ha tutto da guadagnare e poco da perdere… forse è ancora sotto l’effetto delle vacanze trascorse alle Maldive, brindando, magari con qualche avversario, alla faccia della crisi! Eh, tu sig. Rossi le vacanze non te le puoi permettere, devi pagare le tasse, le bollette, devi provvedere agli studi dei figli, arrivare a fine mese senza andare in rosso... hai troppo da fare… rassegnati e basta. Non mancano in questa situazione i duri e puri di turno tra cui la Lega dell’ultrapadano on. Bossi che ha rispolverato la vecchia e logora bandiera della secessiùn, imprecando contro Roma ladrona, dimenticando che fino a pochi mesi fa non ha per nulla disdegnato i palazzi dell’odiata Roma e i cospicui vantaggi che ne derivavano. I signori sopracitati sono già proiettati verso la campagna elettorale, stanno già affilando le armi senza nemmeno dissimulare troppo. Quanto alle forze sociali, non è questa certo la sede per entrare nella questione specifica, alcune di loro farebbero meglio a rimettere l’orologio, visti i rivolgimenti causati dalla globalizzazione, gli effetti economici ed antropologici di quest’ultima sul mercato del lavoro e sulla classe lavoratrice nel suo insieme. Infine riguardo agli anchorman di programmi televisivi impegnati e ai conduttori di trasmissioni satiriche, sì proprio quelli che fanno sentire il sig. Rossi o come un naufrago della Concordia o come un cittadino della Repubblica di Bananas, devono fare appello a tutta la loro creatività, alla loro abilità se vogliono mantenere gli indici di ascolto, dal momento che se ne è andato il Cavaliere (male per lui che si è messo in tale condizione) comodo bersaglio per ottenere senza sforzarsi troppo popolarità e scrosci di applausi. Caro Rossi, non lo hai ancora capito? Adesso tocca a te pedalare, a te rimboccarti le maniche, come hai già fatto negli anni cinquanta e negli anni Settanta, senza aspettare che qualcuno dall’alto tolga per te i ragni dal buco. Quel qualcuno, stanne certo, non verrà, quindi… Coraggio, You Can! Pierluigi Seri
A Praga per vedere Picasso, Goya e Dalì Dopo la bellissima mostra su Modigliani dell'anno scorso, anche quest'anno la Galleria Vernon offre un nuovo fantastico progetto: un'esposizione sul tema della Tauromaquia con quadri di Pablo Picasso, Francisco Goya e Salvador Dalì oltre che dei maestri cechi Emil Filla e Karel Čapek. Una concentrazione tale di opere meriterebbe già di per sé una visita a Praga, per non parlare naturalmente della bellissima capitale ceca che viene visitata fedelmente ogni anno da decine di migliaia di italiani. Quest'anno, dunque, c'è un motivo in più. La mostra, che rimarrà aperta fino al 9 aprile 2012, si tiene nella bellissima Casa Municipale in stile Liberty nel cuore stesso di Praga. Il tema della tauromaquia, ovvero della lotta con i tori, è il filo conduttore di questa esposizione che vanta opere importantissime, nonché molto difficili da ottenere in prestito, quali, per esempio la tapisserie originale in grandezza naturale della Guernica di Picasso (Carton du Guernica), l'intera serie sulla tauromaquia del grande Francisco Goya che, al pari di Picasso che vedeva nella lotta con la forza bruta del toro un'allegoria della resistenza all'oppressione del regime di Franco, attraverso questo tema voleva lanciare un messaggio forte contro la dittatura dell'epoca. Dalì, invece, rappresentato con cinque opere fantastiche, leggeva la corrida in chiave surrealista interpretandone l'aspetto di eterno rituale magico le cui origini si perdono nella notte dei tempi (basti pensare al mito greco di Teseo e del Minotauro). Insomma, questo evento culturale rappresenta un'occasione davvero unica per conoscere da vicino le interpretazioni dei grandi artisti del tema dell'eterna lotta tra il Bene e il Male, tra la razionalità e l'intelligenza dell'uomo e l'irrazionalità e la forza bruta del toro. Andreas Pieralli
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Il giorno della memoria: Natale a BUCHENWALD Antonio era fra quelli che odiavano non solo gli gnocchi, ma tutto ciò che aveva origine dalle patate. Beatu chi l’assotterra e tristu chi l’arcaccia1 diceva ogni volta che si nominavano le patate in sua presenza. D’altra parte bisognava pure comprenderlo: era stato per molto tempo prigioniero nella Germania nazista e quel poco mangiare che gli veniva dato era a base di patate, rape e pane nero. Dalla prigionia si era riportato, oltre all’avversione per il tubero e per i crucchi, una gavetta militare di alluminio tutta istoriata, coperchio compreso, con scritte zigrinate fatte con la punta di un coltello premuto a forza e mosso alternativamente a destra e a sinistra. Ricordo che sul coperchio, ora scomparso, c’era scritta una frase che mi è rimasta impressa nella memoria: ... Non più rape secche mamma…ora maccheroni. Ma come mai Antonio era finito in un campo di concentramento? Partiamo da quando era militare di leva, insieme ad altri ragazzi di Arrone, proprio mentre la seconda guerra mondiale stava prendendo una brutta piega per le Potenze dell’Asse Roberto (Roma, Berlino, Tokio). Dopo un certo periodo di addestramento li mandarono a casa in licenza, ma Radio Scarpa -voci ufficiose, di solito bene informatesosteneva che, appena tornati al Reggimento, li avrebbero mandati tutti al fronte. I ragazzi allora cosa fecero? Andarono a salutare i parenti e immancabilmente vennero invitati a cena da ogni famiglia, come si usava allora. La cena aveva lo scopo di stare insieme per sentire le novità da chi era stato in una città lontana, cosa si diceva, com’era la vita in caserma, che film avevano visto e quale canzone andava più di moda. Ovviamente c’erano anche le ragazze che avevano così l’occasione di conoscere il commilitone del fratello o del cugino e pendevano dalle labbra di chi raccontava della vita in città, infarcendo il racconto di esagerazioni e di spacconate. Accadde così che tutti i ragazzi del gruppo di Antonio, lui compreso, si fidanzarono con ragazze del posto e tra pranzi, cene e balli i 10 giorni di licenza sparirono in un soffio. Ritornare in caserma con la poco piacevole prospettiva di andare in guerra abbandonando fresche fidanzate e baldorie, era una cosa che dava a tutti il voltastomaco. Ma che dico? Non era voltastomaco bensì un peso, un macigno che impediva persino di respirare. Allora, con l’incoscienza dei vent’anni, decisero di non tornare. Tantu co’stu casinu de la guerra chi ce cerca? dicevano tra loro per farsi coraggio…io vado a durmì là la cappanna là la Moglia2 diceva un altro… vojo propriu vedè chi m’artroa…3
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Era anche tradizione degli abitanti della Valnerina darsi alla macchia e non rispondere alla leva militare: era accaduto con Napoleone Bonaparte e stava per accadere di nuovo con i partigiani.E così fecero. Le fidanzate felici, perché incoscienti anche loro, mentre i genitori e i parenti stretti si erano prodigati, anche con litigi e minacce, per far rispettare la legge temendo guai molto più seri. Le madri, a onor del vero, non si erano riscaldate troppo: temevano, una volta partiti i figli, di non rivederli più (…disperso sul campo di battaglia…) o di rivederli morti. Così passarono un po’ di giorni, poi i carabinieri li presero uno ad uno, li rimandarono in caserma dove furono processati, condannati e inviati per punizione sul fronte greco. Da notare che, nonostante la dittatura fascista e la guerra in corso, non furono fucilati per diserzione, in quanto i giudici si resero conto che era stata solo una bravata giovanile. La campagna militare, che era iniziata con eccessiva baldanza (Spezzeremo le reni alla Grecia!), non stava procedendo bene, tanto che fu necessario anche l’intervento delle truppe tedesche. Arrivati poi all’8 settembre i tedeschi disarmarono i nostri e li obbligarono a scegliere: continuare a essere alleati loro, rinnegando il Re, oppure essere traditori e quindi prigionieri. Nel primo caso li avrebbero inviati sul fronte russo -il più lontano possibile dall’Italia e questo ci dà la misura del livello di fiducia che nutrivano nei nostri confronti- in appoggio ai soldati del Reich, mentre nel secondo caso la prospettiva era la prigionia in Germania. Qualcuno optò per la Russia, ma la maggioranza dei soldati scelse il male considerato minore e quindi furono spediti nel campo di concentramento di Buchenwald. Durante la reclusione nessuno di loro venne a conoscenza delle camere a gas e dei forni crematori: furono informati solo dopo, quando gli americani, conquistando il campo, riuscirono a liberarli, La vita da prigionieri di guerra non era certo fatta di rose e fiori ma, rispetto a quello che accadeva sul campo di battaglia, poteva essere considerata una specie di pacchia. D’inverno andavano a scaricare i vagoni merci che trasportavano derrate alimentari sotto scorta armata. Antonio riusciva a trovare sempre qualche seme di granaglie nelle fessure del treno e in circa tre mesi ne aveva messo da parte quasi un chilo. Conservava questa grazia di Dio, nascosta nella baracca, in un barattolo vuoto di conserva di pomodoro. Si rischiava di essere fucilati sul posto se si veniva scoperti, ma la fame era così tanta che morire per denutrizione era molto più probabile. D’altra parte la brodaglia, che chiamavano rancio, serviva solo a tenerli a malapena in vita, non certo a farli saziare! Nella stagione propizia andavano a lavorare nei campi e anche se la vigilanza era molto stretta e le perquisizioni frequentissime, Antonio era riuscito a racimolare qualche piccola patata nascondendola nelle mutande. Per andare nei campi dovevano attraversare a piedi un bosco, dove ogni tanto faceva capolino un bel capriolo. Nonostante la fame attanagliasse anche l’esercito tedesco e la carenza di proteine avesse raggiunto livelli preoccupanti, i caprioli venivano rispettati. Gli Italiani invece, se fossero stati liberi, avrebbero fatto una carneficina e non solo dei paurosi quadrupedi. Mentre marciavano nel bosco, se appariva un capriolo, a tutti veniva la tentazione di catturarlo e ognuno aveva la ricetta migliore per cucinarlo. Ma erano solo esercizi della fantasia, perché l’occhio vigile e il grilletto facile delle guardie teutoniche non ammettevano scherzi. Eppure un friulano grosso come Primo Carnera ci riuscì. Con la scusa di soddisfare un bisogno corporale impellente, gli fu
consentito allontanarsi alquanto dal gruppo, controllato a distanza da una guardia col fucile puntato su di lui. In quel breve frangente riuscì a sistemare un laccio con nodo scorsoio, servendosi di una cordicella di acciaio -il filo del gas di una moto- fregato chissà dove. Dopo avere informato i compagni di baracca, furono stabiliti i turni del gabinetto nei tragitti dei giorni successivi. I tedeschi non si insospettirono, perché lo stato di salute dei prigionieri era talmente scadente che le scariche di diarrea erano all’ordine del giorno. Era l’antivigilia di Natale quando il friulano uscì dal bosco sotto il controllo del moschetto di una guardia e si mise in marcia in coda al gruppo. Si era scaldato le mani portandole a coppa davanti alla bocca e poi se le era infilate nelle tasche dei capaci pantaloni. Alto, allampanato e con i vestiti che gli cadevano addosso per quanto era magro, sembrava uno spaventapasseri in movimento più che un essere umano. Quando arrivarono al campo iniziava a fare buio e qualche granello di neve gelata incominciava a cadere. Appena entrato nella baracca il friulano mise il dito indice ritto sul naso e intimò il silenzio. Gli brillavano gli occhi mentre con un filo di voce diceva: Se Dio vuole passeremo un buon Natale. Ne ho preso uno piccolo ma a noi basta, disse toccandosi la coscia destra con la mano aperta che sembrava la pala di un mulino a vento. L’eccitazione si impadronì di tutti e tutti si avvicinavano per toccargli i pantaloni, che sembravano flosci e invece contenevano un piccolo capriolo morto, soffocato da una corda d’acciaio e con essa appeso alla cintura dei capaci pantaloni. Il friulano si faceva toccare ma continuava a zittire tutti, un po’ per darsi delle arie di caporione, un po’ per far cessare i brusii e i gridolini: se una guardia avesse visto tutta quella eccitazione poteva farli denudare per poi perquisire a fondo tutta la baracca. Allora addio cenone! Quando tutti tornarono coi piedi per terra stabilirono la strategia per la sera dopo, vigilia di Natale. La bestiola venne scuoiata da mani esperte, condita con quasi tutto il necessario reperito nei pacchi della Croce Rossa, incartata con carta di giornale bagnata e infilata nel tubo della stufa. Antonio, unendo il suo barattolo di semi vari a qualche rapa secca racimolata da altri e a qualche piccola patata trafugata dai campi, fece una pentolata di una specie di minestrone. E siccome non fumava, cedendo la sua razione di sigarette del pacco della Croce Rossa, in cambio di un più invitante barattolo di sugo di pomodoro -c’era sempre qualcuno che preferiva
fumare, invece di mangiare- si era procurato il condimento necessario per migliorare il piatto in questione. Insomma la vigilia di Natale fu memorabile. Fu memorabile perché la vigilia di Natale ti mette sempre addosso una sensazione piacevolmente strana, di attesa di non so che di piacevole, a qualsiasi età, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza. Memorabile perché tutti pregustavano una mangiata se non in quantità, almeno di qualità notevolmente superiore allo standard di prigionieri di guerra. Memorabile ancora perché l’eccitazione di fare qualcosa di non permesso -e quello che non era permesso era assolutamente vietato -era il naturale sfogo di chi era costretto sempre a ubbidire. Mettiamoci anche che i controlli delle guardie del campo, contagiate dall’atmosfera natalizia e dalla neve che scendeva dolcemente, si erano attenuati e di conseguenza questo fatto aveva ridato un po’ di baldanza a tutti. Mentre veniva servita quasi mezza gavetta a testa di quella specie di minestra, fu tirato fuori il capriolo dal tubo della stufa, con la carta esterna mezza carbonizzata. Rimossi i vari strati di carta, apparve il capriolo che emanava un profumo delizioso tra il lesso e l’arrosto, in quanto la cottura lasciava proprio a desiderare. Che la cottura lasciasse a desiderare è una mia illazione: sono convinto che a nessuno venne in mente di criticare l’operato del cuoco. Mangiarono carne e minestra e alla fine anche un frutto sciroppato a testa, sempre omaggio della benemerita Croce Rossa. Questo succulento cenone poteva far presagire un decente Natale, anche se prigionieri, penserete voi. Niente affatto: durante la notte furono tutti presi da violenti attacchi di diarrea e ci fu un notevole via vai dalla baracca alle latrine, che durò fino a giorno inoltrato... Antonio comunque ce la fece a tornare, anche se ridotto pelle e ossa, tanto che la madre stentò a riconoscerlo. Molti invece non tornarono e tutti sappiamo perché. Vittorio Grechi
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Beato chi sotterra le patate e tristo chi le ricava fuori. Tanto con questo casino della guerra chi ci cerca?…..io vado a dormire nella capanna della Moglia (località nei pressi dell’attuale Villalago che indica un pantano, un luogo fangoso con acqua che sgorga da tutte le parti). 3 Voglio proprio vedere chi mi ritrova. 2
Terni - Via dello Stadio 63 Tel. 0744 401995 13
Quelli che hanno visto la Gorgone Come sottrarre la Giornata della Memoria al rischio, sempre in agguato, dell'imbalsamazione retorica? Come evitare che l'istituzionalizzazione della data si traduca in una ritualità asfittica e inutile? Come provocare una riflessione che si radichi e sedimenti, senza disperdersi nella commozione estemporanea? Sono queste le domande che si ripropongono con urgenza ogni anno, quando, all'approssimarsi del 27 gennaio, la scuola sollecita i propri studenti a fissare l'attenzione su “quelli che hanno visto la Gorgone”, secondo la perifrasi di cui Primo Levi si serve per indicare l'ultima tappa della degradazione dei morti per fame nei campi di sterminio, i musulmani, ma che può prestarsi a esprimere anche la condizione di altre vittime del nazismo. Nella tradizione mitica della Grecia antica, la Gorgone era l'orrida testa di donna, incorniciata da serpenti, la cui vista provocava la morte. Ebbene, la Gorgone s'è insinuata anche dentro la comunità tedesca, nei suoi ospedali, nei suoi orfanotrofi, nei suoi ospizi, in un’angosciosa epifania sanitaria. Quest'anno l'attenzione è stata concentrata, pertanto, sullo sterminio dei disabili tedeschi, nell'ambito dell'Aktion T4, decretata dal Reich alla vigilia del secondo conflitto mondiale e attuata con metodi simili a quelli poi applicati agli Ebrei: camere a gas e forni crematori. Sebbene l'Aktion T4 fosse stata sospesa nel 1941 per la sorda resistenza di una parte della popolazione, lo sterminio non si interruppe del tutto, assumendo le forme che i medici definirono come eutanasia selvaggia, somministrata con farmaci o provocata dalla denutrizione. Il numero totale delle vittime non è conosciuto ma stime approssimative lo fissano intorno a 200.000. Il monologo Ausmerzen di Marco Paolini, reperibile in Rete, e lo spettacolo teatrale La gita, allestito dal Centro per i diritti umani di Terni, hanno fornito ai ragazzi l'occasione per una riflessione, di cui si propongono due testimonianze. Prof. Marisa D'Uliz ia
Il corridoio Alcuni anni fa, non ricordo di preciso quanti, vidi un servizio d’un telegiornale, quello del primo canale, se non erro. Il servizio descriveva la progettazione e la costituzione d’un museo che raccoglieva ricordi e documenti del naufragio della RMS Titanic. Un immenso hangar recuperato, dipinto d’un profondo blu notte, al cui centro si posizionava un gigantesco finto iceberg: un enorme e scenografico scoglio di PVC che faceva da sostegno ai numerosi pannelli dell’esposizione. Ogni visitatore riceveva, abbinato al proprio biglietto d’ingresso, una sorta di documento/passaporto che riportava il nome d’un passeggero; solamente alla fine del tour avrebbe potuto scoprire se il proprio alter ego era sopravvissuto al naufragio. Ricordo che tutta operazione mi era apparsa piuttosto infelice. L’intero percorso e la struttura all’interno della quale era stato pensato mi facevano pensare più ad una sorta di casa dei fantasmi, di quelle che si incontrano nei luna-park itineranti e nei parchi-avventura, che ad un luogo della memoria. Il naufragio della RMS Titanic poi era per me una tragedia dovuta ad un caso particolarmente sventurato. La storia dell’uomo è costellata di incidenti, spesso con il loro seguito di lutti, e quando siano dipesi unicamente dal caso, io preferirei lasciare quelle povere anime alla quiete della terra. Non vedevo il vantaggio che ne sarebbe potuto venire: la possibilità che una vita possa essere interrotta da un’intemperanza del fato è implicita nella condizione umana, dunque struggersi per tutte le morti ingiustificate del mondo avrebbe potuto produrre ben poco giovamento. Poi, pochi giorni fa, nel leggere un articolo sui deportati triangoli rosa di Fuhlsbuttel sono nate in me delle idee sorelle: che nella storia dell’uomo vi sono stragi difficilmente giustificabili, anzi ne compaiono in gran numero; che queste sono state tutte prodotte non da un capriccio della sorte ma da una momentanea sospensione dell’umana dignità; inoltre, che ognuna di esse deve necessariamente divenire parte integrante della memoria collettiva, così che possa servire, se non da freno ad ulteriori turbolenze della coscienza, almeno da memento dell’immensa complessità dell’uomo. Se vi fosse un museo come quello dedicato al transatlantico di Jack e Rose, ma riempito delle storie dei morti ammazzati del Reich (inabili al lavoro, omosessuali, malati mentali, oppositori politici, Rom, Sinti e Testimoni di Geova), delle storie degli armeni del ’15 e degli ucraini del ’32 e del ’33, delle storie degli eccidi in Cambogia, Ruanda e Bosnia, farebbe un qualche bene alla gente? Una grande stanza in cui fosse conservato un frammento d’un occhiale, un nastro, una penna, un panno, un pezzettino di vita d’ogni morto ammazzato assieme ad altri cento suoi fratelli. E sotto ad ogni coccio, una o due righe che spiegassero la ragione della dipartita: Questo fazzoletto appartenne a Sergio De Simone, di anni sette, ammazzato ad Auschwitz nel 1944 perché giudeo, oppure: Questo bottone una volta fu di Mia Avdic, di anni venti, ammazzata a Ciorakovo nel 1992 perché musulmana bianca. Un corridoio lungo chilometri da percorrere in silenzio mentre si scorrono i nomi, alcuni simili ai nostri, altri dal suono esotico. Come si sarebbe potuto chiamare un uomo della tribù degli Herero? Be' lo scopriremmo: il governo tedesco in Namibia ne fece fuori circa centoventimila tra il 1904 ed il 1907. Nell’Europa orientale invece, negli anni ’30 di quello stesso secolo, il governo dello Stato sovietico, con l’intento di acquisire le terre fertili d’Ucraina per poterne riversare i guadagni nella nascente industria, offrì una mano ad una natura quell'anno eccezionalmente avara: adottò misure intese ad aggravare la carestia, che in quel periodo aveva colpito la regione, facendo morire a milioni gli indigeni, i quali da morti certo furono molto meno refrattari a cedere i propri poderi per la grande collettivizzazione. Nel 2003 l’ONU dichiarò l’Holodomor (la fame procurata) strage organizzata, dunque nel corridoio pure loro. Il Medz Yeghern, l’olocausto degli Armeni, è un’altra grande strage che occuperebbe il suo bello spazio, ne sono sicura, con spazzole, pettini e orologi, guanti ed elastici. Il governo dei Giovani turchi, succeduto all’Impero Ottomano negli anni che precedettero la Grande Guerra, era ragionevolmente convinto, a quanto sosteneva, che gli Armeni potessero allearsi con i Russi: dunque, nell’aprile del ’15, cominciò a deportare e massacrare sistematicamente uomini e donne, anche giovanissimi. Di didascalie se ne dovrebbero scrivere oltre un milione. Molti dicono che con i nomi e le storie patetiche si fa del sensazionalismo e non della sensibilizzazione. Io stessa talvolta ho sospettato che, a citare i nomi, si corra il rischio di creare nell’ascoltatore soltanto pietà, e che questa si possa sostituire al ragionamento critico, alla consapevolezza. Ebbene, leggendo, in quell’articolo sui deportati di Fuhlsbuttel, la vicenda dei due innamorati di Dusseldorf ammazzati per la colpa d’essere entrambi maschi, ho maturato invece l’idea che se non sono delle facce e dunque delle vite che tieni in mente mentre leggi quei numeri a cinque o sei zeri, tante letture e tanti scritti hanno poco senso. Che la memoria collettiva che portiamo sempre sulle labbra questo dovrebbe essere, un lungo corridoio pieno di nomi e poi pettini, ditali, fazzoletti da taschino, guanti… Bianca Griffani III IF
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Quanto buio può esserci nella luce Questo è l’eugenetica: la filosofia scientifica che autorizza a sterilizzare qualcuno perché non si riproduca Eugenetica. No, non dice nulla, non vengono ricollegati a questo termine eventi, numeri, date... forse qualcuno potrebbe provare a darne una definizione scientifica, ma pochissimi strabuzzerebbero gli occhi come di fronte alla parola Shoah. Questa sì, questa funziona. Shoah vuol dire un tempo e un luogo, milioni di vittime, minuti di silenzio, orrore imperituro. Esattamente tutto ciò che deve essere: nulla sarà mai abbastanza per ripagare quell’abominio. Ma, giunti ancora una volta al 27 Gennaio, giunge anche la dolorosa consapevolezza che, oltre Auschwitz, c’è ancora troppo da ricordare. Eugenetica. Questa parola la conosce bene Marco Paolini, attore teatrale, regista e drammaturgo che, con il suo monologo Ausmerzen: vite indegne di essere vissute, delinea in maniera efficacissima lo sterminio dei tedeschi affetti da malattie genetiche o handicap fisici, basato su un programma di purificazione della razza che aveva come obiettivo primo quello di favorire la formazione di un γένος pulito e perfetto. Secondo le stime, questo folle progetto ne incontrò circa duecentomila di ostacoli, e non esitò ad eliminarli con i metodi che ci sono purtroppo ben noti, perché furono poi riutilizzati nella lotta contro gli Ebrei: camere a gas e forni crematori. Paolini, con un amarissimo sorriso e abbondante sarcasmo, afferma che chi ha sterminato sei milioni di persone “da qualche parte dovrà pur aver imparato”. Il razzismo, prima dei campi di concentramento, è stato provato sulla pelle di decine di migliaia di Tedeschi ritenuti indegni di sopravvivere. E c’era ancora prima, moltissimo tempo prima. Il razzismo non è un’invenzione di Hitler, non è mai nuovo: è la giustificazione ideologica della colonizzazione americana, è il principio che manda avanti per secoli la tratta degli schiavi, è il pretesto all’imperialismo ottocentesco. Il progresso avanza sulla pelle altrui. E’ vero o no? La seconda rivoluzione industriale, con la radio, il cinema, l'automobile, l'aspirina, la lampada elettrica, ne celebra il trionfo. La luce, finalmente, la luce della scienza in mezzo a tanto buio. Intanto Francis Galton porta in auge l’eugenetica, il cui primo convegno internazionale si svolge a Londra nel 1912. Qu’elle etait belle, la Belle Époque! La Germania nazista non si inventa nulla, nemmeno quando accoglie a braccia aperte la pratica della sterilizzazione, già attuata, ad esempio, negli Stati Uniti. Però fa un passo avanti, sollecitata dalla guerra. La guerra che richiede continui approvvigionamenti, che porta via braccia per lavorare. Con la guerra tutti capiscono cosa è la fame. Nella logica del denaro, se sei utile hai diritto di mangiare, ma se sei inutile vai eliminato non solo in quanto peso per la società, per la brava gente che ti vive intorno, ma anche perché il tuo sangue è guasto e non devi avere l’opportunità di mettere al mondo individui parassiti quanto te. Questo è l’eugenetica: capire quali vite non sono degne di essere vissute. Da qui L’Aktion T4, programma di eliminazione di malati con danni fisici e mentali. T4 è l'abbreviazione di Tiergartenstrasse 4, l'indirizzo del quartiere Tiergarten di Berlino dove erano situati gli uffici della Gemeinnützige Stiftung für Heil und Anstaltspflege, l'ente pubblico per la salute e l'assistenza sociale. I medici di famiglia passano di casa in casa, convincono i genitori a firmare carte che autorizzino a sottoporre i figli disabili a un trattamento destinato inevitabilmente a concludersi con il soffocamento in qualche camera a gas o con la morte per overdose da psicofarmaci. A poco servono le parole dell'allora vescovo di Munster, Clemens August Von Galen, nella predica del 3 agosto 1941: “Se anche per un'unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli improduttivi - benché limitato in partenza solo ai poveri e indifesi malati di mente - allora in linea di principio l'omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi dal lavoro o in guerra, e noi stessi, quando diventiamo vecchi, deboli e quindi improduttivi”. A quel punto, aggiunge il vescovo, nessuno sarebbe al riparo: una qualsiasi commissione di burocrati potrebbe inserirci nella lista, nessuna polizia indagherebbe, nessun tribunale giudicherebbe. “Chi potrebbe affidarsi ancora a un medico?”, chiede con angoscia. Il programma eugenetico intacca il nucleo primo dello Stato, la famiglia, pretendendo dalla parte la stessa perfezione razziale del tutto. E tale programma non prevede solo una pars destruens ma anche una pars construens, che si traduce in accoppiamenti programmati per la nascita di bambini che non conosceranno mai i loro genitori, creature cresciute in orfanotrofi per essere educati come puri tedeschi. Gente senza radici, senza passato. Ecco dove è arrivata la Belle Époque con tutta la sua luce, ecco dove ha condotto il progresso della scienza, che pure tante volte è prezioso: a una sorta di delirio di onnipotenza, che riconsegna la comunità civile alla legge del più forte, in una sorta di regressione barbarica senza freni. Paolini nel suo spettacolo ne fornisce la prova lampante, dando volti e nomi alle vittime dell’eugenetica e concludendo con una riflessione a mio giudizio assolutamente fondamentale: la scienza non forma la coscienza. Impariamo a tutelare l'autonomia dell'una e dell'altra, in un equilibrio armonico, che valorizzi entrambe. E impariamo anche a tenere a mente una cosa, senza che ci sia nessuna ulteriore orribile morte a ricordarcelo: se il buio ci rende ciechi, non è detto che la troppa luce non possa fare lo stesso. Lucia Bonaccini III IF
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A n i m e s a l v e
Noi del gruppo di comunicazione del Progetto Mandela abbiamo dato inizio alla nostra rubrica radiofonica. Come ben sapete il tema di quest’anno è incentrato sugli ultimi. Ma chi sono questi ultimi? Ascoltate la radio! Nelle prime tre trasmissioni abbiamo incominciato a parlare di alcune categorie: i Rom, gli omosessuali, i disabili. Vi riassumiamo quindi il risultato del nostro lavoro. Iniziamo dal primo gruppo: i Rom. I rom propriamente detti sono un gruppo etnico che vive principalmente in Europa. Le comunità rom non hanno una religione propria ma adottano la religione del popolo presso cui si stabiliscono, usandola come mezzo di integrazione. Molti organismi di tutela dei diritti umani, nonché studiosi ed esponenti del mondo della cultura, hanno denunciato che nei media italiani l’immagine sociale degli zingari viene costruita quasi esclusivamente nel racconto di fatti di cronaca, quasi sempre nera, piuttosto che nell’ambito di una discussione sulla tutela di una minoranza etnica riconosciuta dall’ONU, con la rappresentazione dello straniero lontano da Noi, dello straccione e del parassita. Ciò ha reso la loro integrazione difficile o impossibile, tanto da far pronunciare a proposito il Parlamento europeo in una risoluzione che esorta gli Stati a facilitare ed a tutelare l’integrazione dei rom nella società e a monitorare le attività di coinvolgimento promosse da vari finanziamenti europei, anche assicurandosi dell’impiego del finanziamento stesso. Le popolazioni non-rom costituiscono l’ambiente sociale dove vivono i rom. I rom vivono in mezzo ai gagè (così ci chiamano loro), all’interno di una struttura che è destinata da un lato a resistere a tutti i tentativi di genocidio culturale (dopo essere sopravvissuti all’olocausto), dall’altro a sfruttare con successo le risorse economiche e territoriali dei gagè, convivendo in un’ostilità estrema e collocandosi in tutte le nicchie nelle quali intravedono una possibilità. Passiamo adesso a parlare di un’altra categoria a cui spesso vengono negati i diritti fondamentali: gli omosessuali. Partiamo dalla definizione di omosessualità. Per omosessualità si intende il comportamento o l’attrazione sentimentale e/o sessuale tra individui dello stesso sesso. Per quel che riguarda l’accettazione degli omosessuali da parte delle religioni dobbiamo dire che purtroppo gli organi autoritari attuali e le dottrine delle più grandi religioni nel mondo vedono l’omosessualità in termini negativi. Ciò porta inevitabilmente ad una scarsa accettazione della società, come abbiamo potuto appurare andando in giro per la città armati di registratore. Dalle nostre interviste è emerso infatti che da gran parte delle persone l’omosessualità è vista come una cosa non tanto contro morale ma più “contro religione”. Anche chi si dimostra tollerante, alla domanda: Sei pro o contro i matrimoni gay?, si dimostra fortemente influenzato dalla posizione della Chiesa cattolica al riguardo che, partendo dal presupposto che il matrimonio sia finalizzato alla procreazione, “condanna e giustamente condanna” - riportando l’affermazione di un nostro concittadino. C’è anche una minoranza tra gli intervistati che considera l’omosessualità una malattia. Dal punto di vista legislativo il parlamento europeo prende coscienza che l’omofobia è uno dei problemi più urgenti da affrontare da parte della società ed invita gli stati membri ad intensificare la lotta all’omofobia mediante un’azione pedagogica, ad es. attraverso campagne contro l’omofobia, condotte nelle scuole, nelle università [..] e sollecita gli Stati membri ad adottare disposizioni legislative volte a porre fine alle discriminazioni subite dalle coppie dello stesso sesso in materia di successione, proprietà, locazione, pensione, fiscalità sicurezza sociale ecc. Passiamo infine a parlare dei disabili che devono combattere ogni giorno contro la scarsa attenzione ai loro diritti. Per disabilità si intende la condizione personale di chi, in seguito ad una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. Non si può questa volta parlare di intolleranza da parte dei singoli, ma di una discriminazione a livello sociale che riguarda la mancanza di strutture adeguate a supportare le persone portatrici di handicap. Non sono i disabili ad essere un peso per la società quanto la società ad essere un peso per i disabili, ecco un’affermazione che riassume bene il concetto uscita da un’intervista. Ovviamente il riconoscimento di uguali diritti per le persone disabili non è venuto da sé, come niente nella storia della lotta per i diritti umani. Infatti fino a pochi decenni fa questi venivano fortemente emarginati, ne sono esempio l’Aktion t4 operata dal regime nazista, o la numerosa presenza di manicomi, anche nel territorio italiano, fino all’emanazione della legge Basaglia e la conseguente abolizione di questi. Per la prima volta il problema è affrontato dall’ONU a metà degli anni settanta, in cui ci si limita ad una semplice dichiarazione per poi arrivare ad una vera e propria convenzione nel 2007, di cui riportiamo i punti salienti: Ogni persona con disabilità ha diritto al rispetto della propria integrità fisica e mentale su base di uguaglianza con gi altri... Gli Stati adottano tutte le misure adeguate a garatire che le persone con disabilità possano esercitare il diritto alla libertà di espressione e di opinione... Nessuna persona con disabilità può essere soggetta ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata... Le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione (sia quella primaria gratuita e libera, sia quella secondaria... Gli Stati riconoscono il diritto al lavoro delle persone disabili su base di uguaglianza con gli altri e devono vietare la discriminazione fondata sulla disabilità per tutto ciò che concerne il lavoro in ogni forma di occupazione e devono assicurare parità di opportunità ed eguaglianza di remunerazione per un lavoro di pari valore, condizioni di lavoro sicure e salubri, la protezione di molestie... Ecco dunque un breve profilo di alcuni di quei gruppi che abbiamo individuato come ultimi della società, soggetti a discriminazioni, spesso senza voce, di cui continueremo ad approfondire la conoscenza con voi tramite la trasmissione Allarme siam razzisti! ogni venerdì su radio Galileo alle 17,30. Camilla Calcatelli, Teresa Heidland, Alessandro Labianca
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Vi t e i n d e g n e di essere vissute Per la giornata della Memoria 2012 il Centro per i Diritti Umani ha trattato con uno spettacolo coinvolgente la storia dell’eliminazione dei disabili e dei malati durante il Terzo Reich. Vogliamo qui tracciare una breve storia della terribile AKTION T4 contro le vite indegne di essere vissute. Già in Mein Kampf, Adolf Hitler aveva teorizzato la necessità di proteggere la razza ariana germanica da tutti quei fattori di corruzione che avrebbero potuto indebolirla. All’interno di questo progetto di eugenetica non trovavano posto i malati incurabili e i disabili fisici e psichici, ritenuti una minaccia per l’economia e un terribile pericolo di degenerazione per la purezza della razza. Anche i medici abbandonarono l’idea di lottare contro la malattia e davano di fatto un’autorizzazione scientifica alla soppressione fisica dei malati. Il primo passo fu, nel 1933, l’emanazione della “Legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie” che introduceva la sterilizzazione forzata delle persone ritenute portatrici di malattie ereditarie. Il risultato fu la sterilizzazione di più di 400.000 persone durante i 12 anni di regime. Parallelamente venne varata una intensa campagna di propaganda per convincere il popolo tedesco della giustezza della sterilizzazione e dell’eutanasia: film, grandi mostre e periodici vennero diffusi capillarmente. I medici furono incaricati di raccogliere tutti i dati necessari per stimare quale parte della popolazione dovesse essere sterilizzata e controllare le nascite di bambini deformi o psichicamente disabili. Prima ancora che fosse varato ufficialmente il piano di eutanasia, la Direzione Sanitaria del Reich iniziò ad eliminare i bambini giudicati fisicamente o psichicamente disabili: furono diverse migliaia le piccole vittime. Il 1° settembre 1939, su carta intestata della Cancelleria, Hitler diede un ordine molto generico per l’inizio dell’azione di eutanasia che di fatto lasciava carta bianca ai medici. La sede dell’organizzazione venne istituita a Berlino al civico numero 4 della Tiergartenstrasse. Da qui il nome in codice per l’operazione di eutanasia coperta da assoluto riserbo: Aktion T4. Verso l’autunno del 1939 cominciarono a partire i questionari indirizzati agli istituti psichiatrici del Reich. Ufficialmente si trattava di un censimento per conoscere le capacità lavorative dei malati. I direttori delegarono il personale amministrativo degli istituti che riempivano i moduli in tutta fretta e in modo totalmente superficiale e senza saperlo condannarono a morte migliaia di malati mai realmente visitati.
Una volta decise le persone da eliminare la sede centrale di Berlino preparava delle liste di trasferimento che inviava ai singoli istituti avvertendo che si preparassero i malati per la partenza. I pazienti venivano caricati su grossi pullman grigi dai finestrini oscurati e trasportati in uno dei sei centri di eliminazione: Grafeneck, Bernburg, Sonnenstein, Hartheim, Brandenburg, Hadamar dove erano stati predisposti delle camere a gas camuffate da sale docce e forni crematori per l’eliminazione dei cadaveri. Ai parenti veniva spedita una lettera di condoglianze standard che annunciava la morte per una causa qualsiasi e comunicava che per ragioni sanitarie il cadavere era stato cremato e che l’urna con le ceneri era a disposizione. Ma questa attività di morte non poteva rimanere a lungo segreta. Gli abitanti vicino agli istituti sapevano perfettamente che il fumo nauseabondo che si alzava dal camino della clinica era il frutto della cremazione. L’arcivescovo di Münster, Clemens August von Galen, in un sermone durissimo il 3 agosto 1941, condannò l’eutanasia e denunciò lo Stato come autore delle uccisioni e sempre più frequenti erano i familiari che rifiutavano di consegnare i loro congiunti agli istituti. Hitler di fronte alla marea di proteste decise di sospendere l’Aktion T4 nel 1941, ma l’eliminazione dei “malati di mente” non era terminata: iniziava quella che i medici tedeschi chiamarono “eutanasia selvaggia” somministrata con farmaci o la famigerata dieta E, la morte per denutrizione. Il 27 giugno 1945 la polizia militare americana scopre le Statistiche di Hartheim: una relazione di 39 pagine, redatta nel 1942, con le cifre relative ai risparmi realizzati grazie all’Aktion T4. Secondo il documento, le 70.273 disinfezioni hanno fatto risparmiare più di 885 milioni di marchi. Nel business della morte somministrata in massa, l’essere umano rappresenta solamente una variabile di questo orrore economico. Il numero totale delle vittime non è conosciuto, stime parlano di circa 300.000.
Appuntamenti del Corso: Lungo cammino verso la libertà 14 febbraio 2012 L'ANTISEMITISMO NAZISTA: la persecuzione e i ghetti. 21 febbraio 2012 I GENOCIDI - parte I: Che cosa è un genocidio, La Convenzione sul genocidio (1948), Il genocidio degli Armeni, Il genocidio di Stalin, Il genocidio dei cambogiani. 28 febbraio 2012 I GENOCIDI - parte II: Il genocidio cinese in Tibet, Il genocidio in Cina durante la rivoluzione culturale, Le Foibe, La pulizia etnica in Jugoslavia, Il genocidio degli italiani in Libia, Il massacro di Katyn. 6 marzo 2012 I GENOCIDI - parte III: I desaparecidos in Argentina, Lo sterminio dei nativi americani, Il genocidio del Ruanda, Il bombardamento di Tokio, Lo stupro di Nanchino, Hiroshima. Foto di Gabriele Ponzo
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La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni rende omaggio a Otello Fabri, esponente di spicco del panorama pittorico umbro del Novecento, con una mostra antologica che si terrà nelle sale espositive di Palazzo Montani Leoni, a Corso Tacito, dall’11 febbraio al 31 marzo. L’esposizione offre una visione completa della produzione del pittore e incisore ternano scomparso dieci anni fa. La mostra, infatti, guida il visitatore in un viaggio ideale attraverso un lungo percorso artistico, che ha visto Fabri originale interprete delle diverse tecniche pittoriche e grafiche: olio, pastello, acquarello, disegno, incisione xilografica e calcografica, tutte padroneggiate con grande maestria. Una intensa produzione artistica, la sua, che, scalata senza stacchi dai primi anni Sessanta al 2001, lo ha fatto conoscere e apprezzare tra i maggiori pittori della sua terra, in Italia e fuori dai confini nazionali. Venezia, Parigi, Nizza, oltre la nativa Terni e Roma dove si avviò la sua formazione originariamente sensibile alle suggestioni di quella Scuola, sono stati i luoghi centrali della vicenda di Otello Fabri, importanti per l’evoluzione del suo linguaggio pittorico, la messa a fuoco di nuovi temi del mondo poetico e la diffusione della sua opera. Un ruolo particolare lo ha svolto Venezia: la fioritura del suo profilo urbano, i monumenti, la grande tradizione pittorica lagunare segnatamente settecentesca, hanno trovato nell’opera di Fabri una vera e propria celebrazione originale e luminosa. L’artista considerava Venezia la sua seconda città, e a Venezia, peraltro, è maturata la sua vocazione incisoria, un aspetto considerevole del suo magistero artistico, collocabile in posizione di spicco nell’ambito dell’incisione italiana del Novecento. Parigi e Nizza, il polo francese delle fonti e frequentazioni artistiche di Otello Fabri, rimandano alla grande stagione della pittura postimpressionista, di area tra simbolista e nabissiana, che è l’altro fondamentale referente della sua pittura felicemente giocata sulle fluenze della linea e sulla fioritura espansiva del colore. Promossa, organizzata e finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, la mostra dischiude aspetti della ricerca di Fabri pressoché “inediti”, nel senso che ripropone dipinti da decenni conservati nelle collezioni, oggi rivisitabili grazie ai numerosi privati che li hanno messi a disposizione accanto alle opere dei familiari e ad alcune di quelle acquisite dalla Pinacoteca comunale di Terni negli anni Settanta. La mostra, che si dispiega dal 1960 al 2001, anno della morte di Fabri, conta 72 olii e 15 tra acquarelli e pastelli mentre l'attività incisoria viene ricordata attraverso alcune incisioni e relative lastre. Insieme ai soggetti più noti come i nudi e le figure femminili per lo più rappresentate in situazioni di interno o in esterni qualificati come luoghi e paesaggi, si possono ammirare dipinti dell’artista meno conosciuti ma non meno pregevoli, come i paesaggi ricorrenti nella stagione giovanile, quando non mancano attenzioni alla pittura toscana risalente a Ottone Rosai assieme alle già ricordate suggestioni romane, alcuni scorci di Terni e aperture sulla campagna umbra. Esposti anche i ritratti di tre Sindaci di Terni conservati a Palazzo Spada e l’opera collocata presso il Museo civico Villa Colleredo Mels di Recanati. Il critico d’arte professor Micieli, curatore della mostra e già autore del catalogo generale dell’Opera Incisoria di Otello Fabri, ha curato altresì un volume che non è solo il catalogo delle opere esposte, ma una vera e propria monografia compiutamente estesa all’intera vicenda e personalità artistica di Fabri. Ricco di documentazione iconografica, di testimonianze critiche e letterarie e di apparati critici e bibliografici, è sicuramente il testo su Fabri più aggiornato e completo sino a oggi realizzato.
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• Titolo mostra: Otello Fabri. Antologica Opere 1960-2001 • Promozione, organizzazione e finanziamento Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni • Curatore: Nicola Micieli • Catalogo monografia: Otello Fabri, a cura di Nicola Micieli • Sede espositiva: Palazzo Montani Leoni, sede della Fondazione Carit, Corso Tacito 49, Terni • Durata della mostra: 11 febbraio - 31 marzo 2012 • Orario visite: venerdì, sabato, domenica ore 11.00 -13.00 / 17.00 -19.00 • Inaugurazione: venerdì 10 febbraio 2012, ore 16.30
D i s t u r b i d el col on? C A L PR E ST! Un aiuto fondamentale nella diagnostica dei disturbi gastro-intestinali
La Calprotectina è una proteina presente nel citoplasma dei granulociti neutrofili con funzione di regolazione del processo infiammatorio. Fino ad oggi per valutare lo stato infiammatorio della mucosa intestinale era necessario ricorrere ad esami invasivi, tuttavia recentemente ha trovato sempre più credito l’uso di marcatori non invasivi per la determinazione della flogosi intestinale. Tra questi, la determinazione della concentrazione fecale della Calprotectina è senz’altro l’esame di scelta. Solo una parte dei pazienti con disturbi intestinali ha in realtà una malattia organica; la maggior parte di essi, invece, soffre di una malattia funzionale, chiamata Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) che è considerata la causa più comune dei disturbi sopra indicati. Il CALPREST è un test che aiuta appunto a differenziare i pazienti affetti da patologia organica (ed in particolare da Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali:MICI) dai pazienti con patologia funzionale. Inoltre è stato recentemente dimostrato come il livello di Calprotectina nelle feci sia correlato in maniera significativa con lo stato di attività della malattia dei pazienti con Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn. La misura della Calprotectina tuttavia non può rimpiazzare le tecniche endoscopiche di imaging e l’istologia che rimangono il “gold standard” per la diagnosi definitiva. Un risultato positivo di CALPREST, in quanto indice di infiammazione intestinale, permette di identificare i pazienti da avviare a successiva indagine diagnostica. Sulla base di quanto sopra descritto la determinazione della Calprotectina fecale può quindi essere utilizzata nelle seguenti condizioni: - Diagnosi differenziale (IBS / MICI) - Controllo del decorso delle MICI e conseguente corretta strategia farmacologia - Indice pre-clinico delle ricadute - Come test di screening nei casi di diarrea cronica.
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AZIENDA OSPEDALI ERA Prof . Mearini, ci parli del suo reparto, prego. Il nostro nuovo reparto nella realtà, ma anche nella dizione, è abbastanza anomalo. Si chiama proprio Chirurgia Urologica Andrologica e Tecniche Mininvasive, a differenza di come tradizionalmente vengono definiti i reparti di urologia, cioè Urologia o Clinica Urologica. Noi costituiamo una novità assoluta da ormai 4 anni anche nella dizione, perché abbiamo cercato di indirizzare le nostre soluzioni terapeutiche verso percorsi abbastanza innovativi, rivolti in particolare all’applicazione di tecniche cosiddette mininvasive, con particolare riguardo alla chirurgia laparoscopica e alla chirurgia robotica. Utilizzo soluzioni di chirurgia laparoscopica da moltissimi anni, quasi dagli albori della metodologia. Sono venuto a Terni e la chirurgia mininvasiva che si utilizzava era quella standard della chirurgia tradizionale. Si cominciavano allora i primi interventi di chirurgia minininvasiva a livello addominale, ma non c’era nulla a livello urologico, anzi addirittura non c’erano neanche gli strumenti quindi era difficile che si potesse agire senza gli strumenti in una chirurgia così all’avanguardia. Siamo comunque partiti e abbiamo cominciato a portare avanti queste nuove idee con molta difficoltà, attestata dal fatto che dal 2008 a oggi non abbiamo mai avuto un nostro reparto, ma i nostri pazienti sono sparsi nei vari piani dell’ospedale. Nonostante queste difficoltà i risultati sono stati molto buoni. I risultati ottenuti in questo periodo sono stati veramente entusiasmanti e quindi abbiamo riscosso sempre più credito e abbiamo avuto l’opportunità, offerta dal Dott. Gianni Giovannini, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera, di acquisire nuove strumentazioni soprattutto per la laparoscopia ed infine, da questo anno, è arrivata la tecnologia che oggi viene considerata all’avanguardia. Mi riferisco alla chirurgia robotica che è una chirurgia che forse ancora oggi deve essere perfettamente inquadrata. In che senso, scusi? Perché nella realtà è una chirurgia estremamente costosa e quindi se viene utilizzata in maniera dissennata non è improbabile che, come è successo in molte realtà nazionali ed europee, possa risultare catastrofica per qualunque azienda. Se i costi infatti crescono in maniera esponenziale e i risultati che questi costi generano non danno le risposte terapeutiche richieste dai cittadini, allora si peggiorano i problemi invece di risolverli. Costano così tanto questi apparati? Non mi riferisco solo ai costi della tecnologia che certo sono alti, però costituiscono comunque un investimento, mi riferisco ai presìdi dedicati a questa macchina. Le forbici, ad esempio, vengono utilizzate solo per questa macchina e così i porta aghi e tutte le altre utility. Quindi in realtà il consumabile ha un costo rilevantissimo, ragion per cui la metodica va utilizzata cum grano salis. Si può e si deve applicare soltanto nei casi in cui, come insegna il livello internazionale, è riconosciuto che la sua applicazione porti sicuramente dei vantaggi. Occorre allora selezionare i malati in maniera tale che questi vantaggi siano sempre ottenibili perché se si applica la tecnologia a tutti i malati, anche a coloro in cui i vantaggi previsti sono improbabili, si ingenerano dei costi per dei risultati impossibile da ottenere. Va quindi eseguita con grande criterio. Occorrono specialisti alla guida di questa macchina ? Sì, è importante che questa tecnica sia fondamentalmente utilizzata da coloro che hanno la voglia, la capacità, soprattutto l’idea di limitare il proprio campo d’azione e dedicarsi solo a queste tecnologie. Specifico meglio. Io faccio l’urologo da 25 anni; inizialmente ho praticato la chirurgia tradizionale, quella che volgarmente viene definita “a cielo aperto”, ma successivamente, stando al passo con i tempi, mi sono ampiamente dedicato alle metodiche mininvasive. Adesso sono arrivate le tecnologie robotiche e io cerco di far sì che quando intervengo con tecnologia robotica il risultato sia almeno in linea con quello che si ottiene nei centri europei. Specifico meglio. Io ho dei colleghi in Francia, Germania, Belgio… che fanno i chirurghi ed applicano solo quella metodologia quindi trattano pazienti molto selezionati, solo con quel tipo metodologia. Oggi infatti per offrire il massimo della qualità non si può fare i tuttologi. Chi fa il tuttologo, oggi, non fa nulla. La nostra sanità e la nostra Regione hanno bisogno di professionisti che siano un’eccellenza in poche cose. Se uno si butta su tutto e cerca di fare tutto, il risultato finale sarà tutto di bassa qualità e quindi i nostri concittadini migreranno in altre sedi. Perché? Perché tutti accendono il computer e leggono i risultati che si ottengono qui o a Parigi o a Londra o da qualunque altra parte d’Europa e vedono chi fa il meglio per
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risolvere il loro problema e allora lì vogliono andare. Ognuno di noi, giustamente, vuole avere il massimo del risultato quando si parla di salute. Io ho limitato molto il mio raggio d’azione, pur essendo nelle condizioni di fare moltissime altre cose, proprio per dedicarmi a quello che a me piace di più e soprattutto quello su cui la mia conoscenza e la mia cultura si sono negli ultimi anni specializzate, aggiornandosi continuamente. L’esimio Lucio Lombardo Radice, mio insegnante all’Università di Roma, diceva spesso: occorre essere esperti di un sol cassetto, pur avendo riguardo per tutta la cassettiera… E’ difficile far passare il messaggio della specializzazione perché specialmente noi chirurghi, che siamo un po’ folli altrimenti non potremmo fare questo mestiere, abbiamo l’idea di essere molto vicini a Dio, forse siamo anche un pochino meglio, e sappiamo fare tutto e possiamo fare tutto. E questo è completamente sbagliato. Forse era vero 20 anni fa, oggi non è più così. Ma la verità è che non si può ottenere questo se non si ha il coraggio di limitare il proprio raggio d’azione a poche cose, ma di alta qualità. Perché noi oggi siamo nella globalizzazione, che vige ancor più nella sanità. Se tra 5 anni la Cina, dalla quale acquistiamo già oggi capi di vestiario perché costano poco, dovesse offrire la più alta qualità sanitaria, noi andremmo in Cina perché nel momento in cui uno sta male è disposto a tutto. In Italia quanti saranno gli specialisti urologi… 100… 1000? In India io immagino che tra 10 anni saranno 10000, in Cina 500000 quindi saranno più bravi di noi. Noi possiamo reggere la competizione mondiale solamente se facciamo al massimo livello poche cose. Il suo rapporto con l’Ospedale di Terni ? Non nascondo, innanzitutto, di essere molto orgoglioso di lavorare in un ospedale pubblico, di vivere questa esperienza, perché ho la fortuna di poter aiutare in un momento particolare i miei concittadini. Poter trattare la gente che sta male e poterla reinserire nel
SAN TA MA RIA DI TERNI
contesto sociale in perfetta salute è veramente appassionante. Io sono toscano, parto dalla mia terra ogni mattina alle sei e arrivo a Terni alle otto. Lavoro tre giorni alla settimana a Terni e due giorni a Perugia. Sono quindi un professionista itinerante. Penso però di aver dimostrato un grande attaccamento a questa città se mi sono impegnato così tanto e ho portato buoni risultati realizzando il 30% in più del budget che l’Azienda ci aveva richiesto. Il mio rapporto con l’ospedale di Terni non solo è ottimo, ma auspico addirittura che fra qualche anno il centro urologico ternano sia il più importante d’Europa. Noi rappresentiamo infatti la specialità che tratta molte patologie disfunzionali percentualmente sempre più presenti anche perché aumenta l’età media della popolazione. Un uomo su due ha necessità dell’urologo per problemi di minzione legata all’ostruzione da patologie prostatiche, una donna su tre soffre di incontinenza urinaria. Se quindi si punta sui bisogni della gente si dovrà fare quello di cui la gente ha bisogno trasformando la sanità secondo le nuove evidenze epidemiologiche offrendo soluzioni terapeutiche sempre più innovative. I suoi pazienti ? Oltre il 35% dei miei pazienti, ancor oggi sparsi nell’ospedale, viene da fuori Regione. Abbiamo liste di attesa per patologia oncologica che si attestano intorno ai 3 - 4 mesi, mentre per la patologia non oncologica siamo di gran lunga sopra l’anno. Anche per quest’ultimo caso, in molti provengono da fuori Regione, costituendo così soldi freschi per la nostra Regione. Complimenti allora per le sue capacità e per il suo ottimismo! Grazie e… ricordi! Per fortuna che c’è l’urologo, di cui tutti hanno bisogno. P ro f. Ettore Mearini Direttore Chirurgia Urologica Andrologica e Tecniche Mininvasive
Da tempo nell’Azienda Ospedaliera di Terni sono attive ed operative delle strutture complesse, sia a Direzione universitaria che ospedaliera, in cui è prevalente l’utilizzo di pratiche chirurgiche mininvasive con applicazionie delle più moderne tecnologie. L’Azienda Ospedaliera di Terni, conformemente al piano triennale di attività 2010-2012, si è dotata di un sistema robotico di ultima generazione (Da Vinci SI) che possiede la caratteristica di integrarsi perfettamente con le apparecchiature di informatizzazione della sala operatoria rendendo possibile la telechirurgia, metodologia assistenziale in rapida evoluzione in grado di accomunare équipes chirurgiche localizzate in varie sedi e vari paesi. Potranno pertanto beneficiarne anche le attività didattiche e ricerca. La Chirurgia Robotica ha dimostrato vantaggi sia negli esiti oncologici che nei risultati funzionali, sia a breve che a lungo termine. In alcune specialità ed in particolare in alcune patologie, ad esempio cancro della prostata, risulta la strategia chirurgica di primo impiego. La stessa tecnologia trova applicazioni sia in chirurgia digestiva che in chirurgia ginecologica, mentre le nuove frontiere sono rappresentate dalla chirurgia endocrina e da altre discipline in fase sperimentale. Dall’attivazione della nuova tecnologia -18 aprile 2011-, la casistica operatoria registra, fino al 25 gennaio 2012, 40 interventi di Chirurgia Digestiva, per oltre l’80% oncologica, e 31 interventi di Prostatectomia Radicale (RALP Robot Assisted Laparoscopic Prostatectomy) nei quali l’incidenza di complicanze post-operatorie risulta particolarmente bassa. E’ indiscutibile quindi che la chirurgia mininvasiva, in modo particolare quella robotica, esalti il concetto di multidisciplinarietà sia specificatamente nell’atto chirurgico (sala operatoria e personale all’uopo dedicato) che nell’area di degenza postintervento. Con l’apertuta dell’area di degenza, si completa l’iter diagnostico terapeutico del paziente superando le difficoltà finora presenti nel setting assistenziale per carenza di spazi di degenza dedicati. Contemporaneamente non dovranno essere trascurate l’evoluzione delle prestazioni assistenziali e la didattica ad esse collegate. L’intervento è consistito nella ristrutturazione di una vecchia semi-ala dell’Ospedale dedicata all’Otorino, in cui sono previsti 16 posti letto, suddivisi in stanze da due letti con bagno in camera, un ambulatorio dedicato alle patologie Urologiche, uno Ecografico, ed altri locali di servizio. Dr. Gianni Giovannini Direttore generale Azienda Ospedaliera S.Maria di Terni
Chirurgia Laparoscopica La chirurgia laparoscopica è una metodica che consente di effettuare interventi chirurgici senza ricorrere alle classiche incisioni con il bisturi della chirurgia tradizionale. Sotto la guida di una telecamera, il chirurgo opera con appositi strumenti inseriti in addome attraverso piccole incisioni della parete. In tal modo si riduce il trauma chirurgico, rispettando maggiormente l’integrità anatomo-funzionale dei tessuti e dell’intero organismo. I vantaggi della chirurgia laparoscopica rispetto alla chirurgia tradizionale consistono in: - minor dolore nel post-operatorio - rapida ripresa delle attività fisiche - degenza più breve - migliore estetica
Chirurgia Robotica L’uso del robot, di recente introduzione, consente un’applicazione più vasta della chirurgia laparoscopica poiché il robot permette una precisione e movimenti simili alla mano del chirurgo. Nella chirurgia robotica il chirurgo opera su una consolle e muove, attraverso dei veri e propri joystick, gli strumenti (il robot) collocati all’interno dell’addome o del torace del paziente. Gli strumenti guidati dal robot compiono movimenti e rotazioni che non potrebbero essere altrimenti eseguiti dal chirurgo specie se all’interno dell’addome chiuso, situazione tipica della chirurgia laparoscopica. I vantaggi della chirurgia robotica sono, oltre al minor sanguinamento per una migliore accuratezza della emostasi il rispetto di strutture anatomiche che, grazie alla visione tridimensionale, garantisce anche il rispetto di funzioni vitali rendendo l’intervento chirurgico meno dannoso.
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Foto Angelo Papa F. Tomassoni
G. Giovannini
C. Marini
F. Bistoni
Catiuscia Marini, Presidente della Regione Umbria, e Franco Tomassoni, Assessore regionale alla sanità, hanno comunicato che sono pronti i fondi per la ristrutturazione dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni. I 24 milioni di euro destinati a rendere l’ospedale ternano sicuro e adeguato alle professionalità mediche e alle richieste degli utenti, sono stati infatti sbloccati dal Consiglio dei Ministri. Per la Marini investire sull’azienda ospedaliera ternana, che ha una funzione strategica non solo nella cura e nell’assistenza dei cittadini umbri, ma anche di quei tanti pazienti che provengono da fuori Regione, è una vera e propria priorità della sua Giunta. Il Rettore dell’Università di Perugia, Francesco Bistoni, ha confermato l’impegno per la nuova facoltà che dovrebbe entrare in funzione entro il mese di marzo.
Chirurgia Urologica Andrologica e Tecniche Mininvasive SERVIZI OFFERTI Visite ambulatoriali di: Urologia, Uro-oncologia, Andrologia, Uro-ginecologia. Diagnostica biomolecolare. Litotrissia. Endoscopia urologica. Ecografia urologica. Biopsia prostatica ecoguidata. Urodinamica. D IRE T TO RE P rof . E t t o re M earini D IRI G E N T E M ED IC O I L IV E L L O D r. E m a n u e l e Cottini D r. A l b e rt o P a nsadoro D o t t . ssa Ka t i f e nia Ioannidou S P E CI A L I S T I IN FO R MA Z IO N E D r. A l e ssa n d ro A ndrisano D r. E m a n u e l e L epri D r. F ra n c e sc o B arillaro D OT TO R A N D O D I R IC E R C A D r. G i o v a n n i C ochetti L AB O R ATO RI O D I B IO T E C N O L O G I E I N UROLOGI A D o t t . ssa M a ri a R ita Serva - Urologo Assegnista di Ricerca D o t t . ssa M a ri a G iulia E gidi - Biotecnologo Dottore di ricerca in Genetica e Biologia Cellulare
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Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882
- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro
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Da tutto il mondo gli innamorati scrivono al nostro Patrono Caro San Valentino, ti scrivo questa letterina per dirti che ho trovato il fidanzato. Si chiama Giovanni, ha 29 anni, fa l’architetto, ha gli occhi blu universo e un sorriso che nemmeno la Primavera riesce a farne uno simile. Io non so quanto ho camminato, quanto ho pensato, quanto ho immaginato per trovarlo. E quanto l’ho cercato! L’ho cercato in ogni fiore, in ogni raggio di sole, in ogni bacio già dato, ma anche in ogni angolo buio, in ogni ragnatela, in ogni granello di polvere. Poi è comparso, con le sue lunghe dita musicali, con la sua fertile fantasia, i suoi dolci errori… Le parole, altamente ispirate, dianzi declinate, sono contenute in una tra le migliaia di lettere d’amore recapitate negli ultimi 30 anni dagli innamorati dei quattro angoli del pianeta presso la Basilica di San Valentino a Terni. Su questo tema è stata dunque effettuata una specifica ricerca nel corso dell’anno 2011 su autorizzazione del Vescovo di Terni-Narni-Amelia, Mons. Vincenzo Paglia, e del priorato della Provincia Romana dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, sotto la supervisione del direttore dei Beni Culturali Ecclesiastici della locale Curia, don Claudio Bosi. I risultati di tale analisi, qui proposti in sintesi, hanno consentito di fare luce su un fenomeno religioso-epistolare di caratura mondiale che trova il suo naturale punto focale sul colle ove sono custodite le spoglie del Patrono di Terni. Questo fenomeno, conformemente alle lettere giunte dalla sola Italia e sulla scorta delle relative date di affrancatura, ha registrato il suo picco storico a metà degli anni ’90 del secolo scorso. Il lavoro condotto su tali missive e la susseguente opera di elaborazione dei dati offrono numerosi spunti di riflessione: al patrono degli innamorati si rivolgono anzitutto un buon 75% di donne, un 10% di uomini e un 15% di coppie. Quanto all’Italia, la ripartizione regionale delle lettere indica una chiara prevalenza di devoti campani e, a seguire, siciliani, toscani e laziali, veneti e lombardi. L’Umbria occupa invece posizioni di pesante rincalzo. Altri numeri: 1.220 le missive di provenienza nazionale sin qui ritrovate; altre 49 hanno invece origine europea –prevalenza tedesca. Ulteriori 25 messaggi sono in lingua farsi e araba, principalmente redatti dalla terra degli ayatollah. Nessun continente è virtualmente escluso. Vi sono rappresentate anche le Americhe, con gli Stati Uniti –il tempio dei Valentines o Valentine’s cards ha prodotto due decine di lettere recapitate in basilica, soprattutto dalla East Coast- e tre missive dal Sud America. Un certo Mustapha ha spedito un messaggio d’amore dall’Algeria, ma pure alcuni nigeriani hanno lasciato segni della loro devozione. Dell’Oceania abbiamo messaggi nei soli libri dei visitatori, presenti dal 1988 nella basilica. E’ tuttavia il Giappone a sorprendere, detenendo la quota di valentiniani più nutrita: da lì, ogni anno, giungono presso il convento ternano un numero imprecisato, certamente pari ad alcune migliaia di lettere, anche grazie al fatto che i relativi cartoncini sono inclusi nelle confezioni della cioccolata Morozoff, dal nome dell’immigrato russo che a Kobe –città nipponica con cui Terni è gemellata non a caso- introdusse la tradizione a partire dal 1936, rendendo via via più popolare il culto di San Valentino in una popolazione di taoisti e scintoisti. In particolare, grazie all’interpretazione e traduzione del dottor Jacopo Tacconi, seminarista ternano che ha vissuto a lungo nel Sol Levante, sono state analizzate 763 missive con le rispettive richieste degli innamorati. Tra le curiosità degne di nota, si segnala che le buste, oltre alle relative lettere d’amore, hanno incluso talvolta immagini della persona amata. E sul dorso di queste fotografie era spesso scritta a mano una preghiera. Le lettere redatte dalle donne, diversamente da quelle inviate dagli uomini, presentano una cura decisamente maggiore nella scelta della carta, sovente colorata, nonché di peso e qualità maggiori. Le donne non di rado corredano il messaggio con disegni, segni e sogni immaginifici. I soli cuoricini sono impressi da donne e uomini. Delle oltre 1.200 missive inviate dall’Italia, 35 di esse erano dirette a favorire, per intercessione del Santo, l’amore non per sé, ma per coppie di amici, di vicini di casa, ma anche di persone del mondo dello spettacolo. Quanto alle richieste, si passa da lettere che rappresentano l’amore dei bambini per i propri genitori a quelle dei più anziani preoccupati per la solitudine dei propri figli. C’è chi, tra i genitori, scrive al Santo reclamando un suo generoso aiuto per la scuola, nonché chi crede che la basilica funzioni come un’Agenzia matrimoniale; si passa poi all’adolescente innamorata del calciatore, al tormento della ex di un attore poi divenuto una vera star; dalla quarantenne apparentemente senza più speranza alla domanda di grazia per un proprio cucciolo, ma anche per vedersi crescere i capelli, nonché per un deciso calo del peso; da coloro che confondono San Valentino per Babbo Natale a chi lo vuole “ricco, bello e famoso”; da chi, come la ragazza con cui abbiamo aperto la sintesi della nostra ricerca, ringrazia San Valentino per il dono di un nuovo piccolo cuore a chi rinnova con fede e forza la propria promessa d’amore al compagno malato. Terminando, poi, con tutti gli altri. Che invocano sempre San Valentino per un amore, rivolgendosi nobilmente al patrono e invero subito applicando categorie umanissime volte a restringere l’indagine in modo deciso: così, nelle loro lettere, gli innamorati rivendicano costantemente di non essere affatto disposti a un amore qualunque, ma soltanto a… “quello giusto”! Andrea Liberati
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Caro SV, ti prego di insegnarmi ad amare profondamente e con cuore le persone. Aiutami a diventare una ragazza sensibile e materna. Proteggi il mio attuale amore e, se nel caso non fosse quello giusto, fa che in futuro mi capiti il vero amore, quello con la “A” maiuscola. E fa che io rimanga sempre amica con il mio ragazzo di oggi. Elisabetta Caro SV, ti scrivo questa letterina per dirti che ho trovato il fidanzato. Si chiama Giovanni, ha 29 anni, fa l’architetto, ha gli occhi blu universo e un sorriso che nemmeno la Primavera riesce a farne uno simile. Lo amo tanto, è la metà che mi mancava per formare la famosa sfera platonica, ed ora che è al mio fianco sono tranquilla, finalmente, e felice. Io non so quanto ho camminato, quanto ho pensato, quanto ho immaginato per trovarlo. E quanto l’ho cercato! L’ho cercato in ogni fiore, in ogni raggio di sole, in ogni bacio già dato, ma anche in ogni angolo buio, in ogni ragnatela, in ogni granello di polvere. Poi è comparso, con le sue lunghe dita musicali, con la sua fertile fantasia, i suoi dolci errori. Ti prego, SV, ascolta questa mia preghierina, questa supplica che giunge dall’inchiostro della speranza, questa cantilena soffiata al tuo orecchio d’oro: proteggilo, cullalo, tienilo in equilibrio: dove non riuscirò ad arrivare io, arriverai tu. Stai attento, è sensibile, è fragile come un fiore sbocciato per sbaglio in inverno. Ha bisogno di essere curato e accarezzato, deve essere seguito sempre: quattro occhi funzionano meglio di due, e se gli altri due guardano da lassù, dal Cielo… Io lo amo, lo amo. Non c’è dubbio. Aiutami a passare il resto della mia vita con lui. San Valentino, mandami un segnale per farmi capire che hai ascoltato ciò che avevo da dirti. Io ti ricambierò. Continua il tuo silenzioso e celeste riposo, e scusa se hai dovuto consolare i pensieri di una ragazzina di vent’anni, per giunta innamorata! Ma tu conosci quanto sia bella e terribile la corrispondenza d’amorosi sensi… Grazie. Grazie. Chiara Caro SV, ti scrivo un po’ in ritardo per raccontarti la mia storia. Sono una ragazza di 24 anni innamorata e felice di esserlo di un ragazzo malato. Esegue dialisi tre volte alla settimana e ciò lo limita in tutto, dallo sport al lavoro, dallo svago alle ferie. Io sono felice con lui e voglio rinunciare a tutto per lui. Voglio condividere la mia vita con la sua e quando lo vedo soffrire, soffro con lui. Ecco, ti scrivo per chiederti la grazia che stia bene, solo questo conta per me. San Valentino, Gesù, ascoltate, Vi prego. Esaudite una preghiera particolare per mio figlio Mattia. Che la droga gli sia lontana. Grazie. Una mamma Valentino, aiutaci a custodire la purezza del nostro Amore. David e Tosel
SV, ti prego: fa che tutto vada bene con Sandro e che possa mettermi con Giuseppe. Fa che ad Alessandro io piaccia. Fammi questa grazie, ti prego. Francesca Caro SV, ti scrivo questa lettera per domandarti una grazia. Anch’io ti chiedo di farmi trovare la mia anima gemella; spero sia buono, sincero, umile, forte e generoso. E anche carino se non è troppo. E ti scrivo pure per alcune mie amiche che sono anche loro alla ricerca dell’anima gemella. Ricordati di Francesca, Maria, Paola, Anna, Ines, e di tante altre mie amiche e no. E che il mio amore sia sempre ricambiato. Laura Caro SV, scusa per il foglio, ma non ero preparata all’evenienza di scriverti. Come sai, io in questo momento sono sentimentalmente infelice. Mi piace Emanuele, ma soprattutto amo da morire Massimo e, come tu sai, lui è per me tutto. Ti chiedo di essere felice, amata. Ti chiedo, in particolare, Massimo. Poi sarai tu a decidere. Mi metto nelle tue Sante mani. Aiuta una persona disperata che crede in te perché, se tu non mi aiuterai, non saprò a chi rivolgermi. Aiutami come hai aiutato tante persone T.V.T.B. Sonia Ciao SV. Fa che Renzo si accorga di me. E’ cattivo sperare che si lasci con Alessia, ma lei non prova niente. Ti prego, aiutami a conquistarlo. Grazie di tutto. Roberta Caro San Valentino, questa è la prima volta che ti scriviamo, e mi dispiace perché avremmo dovuto farlo molto prima. Ti scriviamo per chiederti una grazia che mi sta molto a cuore: noi, io e mio fratello, non abbiamo ancora trovato la persona giusta. Ti prego, con tutto il cuore, affinché tu interceda per noi, in modo che si possa essere felici anche noi. Aiutaci, non negarti, Santo benignissimo. Abbiamo bisogno di te. Ti abbracciamo commossi. Daniele e Maria Caro SV, innanzitutto buon compleanno! Scusa la scrittura traballante, ma sto scrivendo in macchina, mentre sto venendo a trovarti da Perugia. Vorrei chiederti un favore: non è che per caso conosci un bravo ragazzo, sui 30 anni, che ha voglia di costruire un rapporto abbastanza serio? L’ho già chiesto al tuo collega Babbo Natale, ma quello fa sempre orecchie da mercante. Aspetto fiduciosa una tua risposta che spero arrivi presto, prima che mi ammuffisca definitivamente. Ciao! Tua Sandra San Valentino, mi affido e affido a te il mio cuore e il mio amore. Ti prego, aiutami a trovare chiarimento con Gianni e a rivedere Andrea. Grazie. Chiara Caro Valentino, l’amore l’abbiamo già; ci mancherebbe un lavoro per me e uno scudetto per la Fiorentina a mio marito. Grazie Simo & Tommy
Foto su un libro del 1985 mostra cosa c’è sotto l’ex convento di SV. In tutta l’area scattano indagini del sottosuolo con il Georadar Da circa un anno, Diocesi di Terni, Soprintendenza archeologica dell’Umbria e ricercatori free-lance stanno silenziosamente lavorando a un innovativo piano per San Valentino: il progetto di un museo-memoriale finalizzato a descrivere in modo nuovo la storia del patrono universale degli innamorati, rappresentando con esso il nostro stesso profilo culturale. La necessaria rilettura di documenti, pubblicazioni e vecchi scritti relativi alla storia della basilica, se, da un lato, sta consentendo un approccio ancor più informato ai nuovi piani, dall’altro conferma quel che taluni potevano finora soltanto ipotizzare: non solo, come è noto, l’area della basilica poggia su un preesistente sito romano e, forse, preromano; ora abbiamo la riprova che, sotto l’ex convento, insistono delle strutture antiche. Negli anni ’70, infatti, il carmelitano Fedele Santini fu tra i pochissimi a visitare alcuni locali ipogei, facendosi immortalare in una foto poi pubblicata in un suo libro, intitolato “San Valentino”. Dopo il fortunoso recupero di quel volume -e di quella immagine- è scattata una difficile ricerca al fine di rintracciare i testimoni oculari viventi, coloro che avevano visitato quel che Santini chiamò “mitrei”, ovvero nove cappellette con volta a botte, strutture sotterranee raggiungibili esclusivamente attraverso una serie di cunicoli che si snodano sotto la basilica. Una caccia dall’oggettiva difficoltà: 1) l’accesso dei cunicoli fu murato tra gli anni ’80 e ’90: al momento non esistono memoria storica, né tracce documentali e architettoniche di tali tamponature, così come non ci sono registrazioni di passaggi sotterranei, né delle strutture sottostanti presso alcun archivio; 2) è irreperibile l’autore, citato nel libro, della suddetta foto -tale Piccirilli; 3) la generazione dei carmelitani dell’epoca è pressoché perduta. La ricerca ha dunque assunto natura filologica, storica e persino anagrafica, perché reindirizzata a rintracciare i bambini che, in quel tempo, frequentarono padre Fedele Santini e che probabilmente potevano aver visitato le strutture ipogee. Mossa vincente, portata avanti attraverso alcune tracce rinvenute nei ringraziamenti in appendice al libro scritto dal carmelitano scomparso. Sono stati trovati tre bambini di allora -oggi un primario ospedaliero, un pubblicitario e un filosofo: invitati singolarmente presso la basilica, costoro hanno fornito indicazioni univoche sull’accesso ai cunicoli, la cui porta di ingresso, perfettamente murata e invisibile, è stata individuata nel seminterrato dell’ex convento, oggi in uso all’ADISU e alla Facoltà di Scienze Politiche. Nel novembre 2011, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria, abbiamo demolito la tamponatura e riguadagnato accesso a strutture di epoca ben più risalente rispetto al complesso seicentesco attualmente visibile. Quasi nessuno ricordava più nulla di tali luoghi, abbandonati per secoli; poi resi transitoriamente accessibili; infine, di nuovo impenetrabili da circa un trentennio. Ma ora il velo di mistero sul sito urbano e mondiale del patrono degli innamorati è stato appena sollevato. E chi può dire che lo stesso nostro Santo non abbia avuto conoscenza di ambienti così suggestivi? Secondo alcuni specialisti del settore, i cunicoli rinvenuti, scavati nella roccia, sono di età romana. Ma presto cercheremo di sapere anche i motivi per i quali questi tunnel furono scavati a una quota che, oggi, è pari a ben otto metri sotto il livello medio del suolo. Intanto sta facendo la sua parte anche la Fondazione Carit: richiesta da Soprintendenza dell’Umbria e Diocesi di Terni per un finanziamento di € 100.000 finalizzato alla realizzazione di un museo-memoriale su San Valentino, la Fondazione ha assegnato proprio un primo stralcio, leva essenziale per un progetto tra i più importanti dopo gli scavi del 1934 e del 1969. Un primo finanziamento che si sta utilizzando per chiamare a Terni i migliori geofisici a livello internazionale e poter procedere all’analisi del sottosuolo dentro e fuori la basilica al fine di individuare nuovi resti archeologici tramite le tecnologie più avanzate oggi in uso, con l’utilizzo di macchinari georadar e geoelettrico. Si tratta di indagini che restituiranno la fotografia tridimensionale degli strati di terreno inferiori e delle eventuali strutture oggi nascoste, consentendo di limitare i successivi scavi alle zone di reale interesse. Alla fine del mese di febbraio 2012 avremo un responso ufficiale da parte dei tecnici, ma già adesso possiamo anticipare che i risultati sin qui ottenuti sono più che promettenti. Fondamentale resta la stretta collaborazione tra la Soprintendenza archeologica dell’Umbria, la Curia di Terni-Narni-Amelia e la Provincia Romana dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, cui, anche da parte mia, quale cittadino ternano, va un sentito e deciso ringraziamento. AL
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Il libro di Bruna Antonelli, Terni. Donne dallo squadrismo fascista alla liberazione (1921 - 45). Appunti per una storia, entra con attenzione dentro la vita delle donne che hanno vissuto durante il periodo della dittatura fascista e della Resistenza. Entra con affetto e con grande rispetto, con garbo, cercando di individuare nella routine della vita quotidiana quei segni identificativi del fascismo affinché noi, donne e uomini di oggi, possiamo riconoscerli e declinarli al presente. Questo ho colto principalmente dalla narrazione delle donne affidata al libro, una narrazione che evidenzia quanto affermato da Miriam Mafai nel 1987 in Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, e cioè che la resistenza offre alle donne la prima occasione storica di politicizzazione democratica. Leggere la storia della sarta Italia M., della sua voglia di confrontarsi con il mondo dell’alta moda e percepire il dolore della frustrazione, dovuta all’opera di scoraggiamento da parte del marito, di non poter aprire un atelier per vendere e mostrare le sue produzioni -attività inconcepibile per una donna che pure aveva la capacità di gestire un laboratorio con 10 dipendenti-; leggere delle Centurinare e dell’ingegner Chiappero, ci dà il polso del tessuto relazionale, sociale e politico dittatoriale del periodo fascista. Avere sempre più strumenti e chiavi di lettura per individuare le dinamiche sociali che portarono al fascismo e consentirono che si prolungasse per oltre 20 anni ci aiuta senza dubbio a riconoscerlo oggi. Non mi ricordo chi ha detto che quanto l’Etica si disgiunge dall’Estetica, allora si ha il fascismo. Io credo che mai più di oggi questo sia percepibile a livello quasi fisico. La volgarità del linguaggio e delle immagini che tentano di riportare la donna indietro di decenni è uno degli aspetti di questo rigurgito fascista che sta umiliando il nostro Paese. La Guerra di Liberazione e la Resistenza non hanno ancora portato a termine la loro funzione sociale, garantita poi dalla Costituzione italiana ancora oggi disattesa ed oggetto giornaliero di attentati. La Democrazia e la Libertà non si possono dare mai per acquisiti, sono due valori, due beni comuni, che necessitano di continua attenzione e vigilanza soprattutto da parte delle donne, prime a soffrire gli effetti del fascismo, prime a organizzarsi per ragioni anche solo strettamente logistiche. Spetta a noi questo compito di tutela. E allora grazie a Bruna che in questo periodo di revisionismo o meglio di rovescismo storico e di capovolgimento delle immagini, non si stanca di farci capire che i fascisti si vestono anche in camicia bianca. Carla Mariani Carla Mariani, è stata responsabile dell’Archivio Storico e dell’Ufficio per la Pace del Comune di Narni, ha scritto il libro Fischia il vento ... Narni, 8 settembre 43 - 13 giugno 1944, a cura dell’Archivio Storico del Comune di Narni, edito dal Comune stesso.
INTRODUZIONE AL MONDO è il titolo del primo libro di un giovane autore, che si sta laureando in filosofia all’Università Cattolica di Milano. Si chiama Idolo Hoxhvogli, è nato a Tirana ed è cittadino italiano dalla nascita. Ha ottenuto il Premio Letterario Internazionale Naviglio Martesana, edizione 2008 per il racconto Due i porti, una la città, il Premio Aspromonte (edizione 2009), Premio Internazionale di poesia Wilde (edizione 2008) per la silloge poetica Tracce di occhi stanchi e altri premi di prosa e poesia. Suoi scritti sono presenti in numerose riviste italiane e straniere, tra cui Gradiva International Journal of Italian Poetry (State University of New York at Stony Brook), e Cuadernos de Filologia Italiana (Universidad Complutense de Madrid. Ricordiamo in particolare Il porto somma la terra al mare nella rivista Viola (Svizzera), n.8, 2010, Per me nessuna città nella rivista Le rouge e le noir, n.44, 2010 (Belgio), ecc. Leggendo il suo libro Introduzione al Mondo, ci viene in mente l’opera Saggi Scettici (Longanesi, 2011) del grande filosofo Bertrand Russell e anche il testamento di Einstein, Come io vedo il mondo, che insieme riassumono il brillante pensiero critico di due nobelisti sulle nostre società. La loro critica al sistema, generalmente non gradita alla classe politica dominante il nostro tempo, trova in Introduzione al Mondo quasi l’equivalente letterario filosofico di un giovane osservatore dal talento indiscutibile. Con un linguaggio molto ricco, con forma e stile originali, Idolo H. compone il cammino del suo racconto: dalla città dell’allegria e dalla conversazione degli abitanti alla tragedia di una bambina tra urli continui di allegria. Ogni sua frase va a frugare tra le pieghe della vita attuale della società, mettendo a nudo le sue fragilità e le scelte non sempre felici. Se per la creatività di un artista è importante la sua personalità, dovremmo dire che per il giovane autore Idolo H. sembra consolidato il suo profilo umano, il carattere e il suo concetto di libertà; concetto, non inteso come tale, ma come espressione reale della sua personalità, da ritenere fortemente indipendente. Molti filosofi hanno considerato gli strumenti moderni di propaganda e di pubblicità come il più grande rischio per le democrazie occidentali, ovviamente se usati impropriamente. Citiamone uno: Karl Popper. Poiché il cittadino libero ha poche possibilità di intervenire sugli effetti della propaganda, resta all’artista il compito fondamentale di una rappresentazione, visione critica della vita, che a sua volta necessita di una forte personalità. In questo senso l’Introduzione al Mondo del nostro giovane autore fornisce una prova brillante di capacità d’osservazione, di libero pensiero e di creatività in una società che, oggi più che mai, sembra in serie difficoltà esistenziali. Chiudiamo questo breve appunto, riportando la dedica dell’autore: Le radici, secondo i più, si trovano nel passato. In questo modo pongono un’ipoteca sul soggetto e il suo avvenire, perché il passato è stato una volta e per sempre. Con una sinistra operazione della speranza sferro un montante al fegato e un gancio al volto di questi “più”. “Le radici”, li convinco mentre sono al tappeto, “sono nel futuro come nel passato, perché ciò che siamo non dipende solo dal tempo trascorso, ma anche dalla rappresentazione che abbiamo di noi nel tempo che ancora deve venire”. “In questo momento”, dico loro, “la vostra identità è più segnata dai colpi che avete subito o dal fatto che non vi alzerete?”. A tutti coloro le cui radici sono nel futuro, a loro è dedicato questo libro. Elettra Bertini - Alberto Fràsher
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SPECIALE WEDDING CAKE!
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Dal 1989 i nostri genitori prima e noi figli ora, cerchiamo di soddisfare il palato dei nostri clienti, lasciando inalterato il gusto e la sapienza della produzione ARTIGIANALE, applicando al tempo stesso, un aggiornamento continuo e costante su mode e tendenze del settore della pasticceria artigianale di alta qualità: non solo pasticceria fresca e secca, ma molto importante è per noi il settore delle torte nuziali. Il punto culminante di ogni matrimonio è l’ingresso della torta, proprio per questo la sua preparazione coinvolge numerosi addetti che, con passione, professionalità ed armonia, portano con successo alla realizzazione del perfetto risultato finale. La pasticceria tradizionale italiana si differenzia molto dallo stile anglosassone (inglese-americano), ma negli ultimi anni si è assistito ad una autentica contaminazione per quanto riguarda la realizzazione di torte monumentali e altamente scenografiche... parliamo quindi di WEDDING CAKE: la sua realizzazione cambia totalmente il modo di intendere la torta nuziale. Scompare la base o alzata del dolce, dato che è il dolce stesso a coprire la base su cui viene montata; le nuove tecnologie permettono di utilizzare glasse o paste molli per le coperture esterne per consentire poi alla mano del mastro pasticcere di realizzare la sua opera d’arte; le basi in polistirolo espanso che vengono utilizzate, possono essere modellate su richiesta, dalle forme tondeggianti a quelle più moderne e lineari... colori, decorazioni floreali, forme geometriche o di altro tipo, tutte preparate a mano, vengono realizzate su richiesta per l’ allestimento finale. Il risultato è una piccola opera d’arte che dura... il tempo di una foto! Simone Carletti - Pasticceria Carletti: dal 1989, il dolce di moda! Contatti: Via Luongonera Savoia 34/36 - Terni, Tel. 0744.279937 Via Ippocrate 51 - Terni, Tel. 0744.220307 - Fax 0744.283567 Web: info@carletticatering.it - http://www.carletticatering.it
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DIARIO DI VIAGGIO Il suono evocativo dei muezzin che si sfidano dai minareti con i loro richiami alla preghiera, ci accompagna in questo secondo giorno di viaggio a Istanbul, mentre camminiamo per le strade del centro storico, composto di una vivace popolazione. Rapiti dalla folla, giungiamo nel quartiere di Sultanahmet, custode di magnifici edifici risalenti alle epoche bizantina e ottomana. Ammiriamo la fiabesca Moschea Blu, realizzata dal sultano Ahmet I nel XVII secolo, composta da 250 finestre e più di 20000 piastrelle di iznik, verdi e blu che la decorano. Tanti i mussulmani all’interno chini a pregare, mentre i visitatori osservano le numerose magnolie colorate che si inerpicano sui muri fino ad arrivare con ritmo radiale a decorare la cupola centrale. Davanti a tanta magnificenza ci sentiamo piccoli, la stessa emozione che proviamo entrando nella Basilica di Santa Sofia, oggi museo, una delle architetture religiose più grandi del mondo. Inaugurata dall’imperatore Giustiniano nel 537 e trasformata nel XV secolo in moschea è ricca di fregi bizantini e mosaici, illuminati dalla luce soffusa di piccole lanterne. Qui echeggia la storia, i numerosi candelieri di ferro battuto e le vasche per le abluzioni, insieme ai grandiosi medaglioni con calligrafie arabe, sono i segni di un luogo unico. Per il pranzo ci spostiamo in uno dei tanti meyhane che accolgono ogni giorno molti turisti curiosi di assaggiare kebab e pietanze condite con spezie e salse dal sapore piccante. Il fumo dei narghilè ci avvolge all’interno di una sala da tè mentre seduti su dei cuscini e bellissimi tappeti, beviamo del cay, tipico tè turco, servito nei fragili bicchieri a forma di tulipano. Alcuni Mevlevi, o dervisci rotanti, ballano la loro vorticosa danza rotante ipnotizzando il nostro sguardo. Questi, seguono una forma mistica dell’Islam, usando il linguaggio allegorico del corpo per esprimere l’amore per Allah, una danza rotante che rappresenta l’unione con la divinità. Dopo la pausa decidiamo di visitare, a pochi metri dalle due moschee, l’opulento Palazzo Topkapi realizzato verso la metà del XV secolo. Dopo la conquista di Costantinopoli, Mehmet II fece costruire una residenza all’altezza della fama dell’impero ottomano, non un singolo edificio, ma un mosaico di palazzi, cortili, padiglioni, giardini, ricco di stucchi e tesori, con terrazze, dove la vista spazia dal Mare di Marmara al Bosforo, dal Corno d’Oro alle isole dei Principi. Proprio in questo complesso museale, rimaniamo ammaliati dai preziosi gioielli conservati nelle sale del Tesoro, dove le bacheche illuminate mostrano pugnali arricchiti da gemme e diamanti, e suppellettili dall’enorme valore, oltre che il diamante da ottantasei carati, uno dei più grandi al mondo. Il misterioso Harem sito in un’altra ala del palazzo, è talmente affascinate che guardandolo ci si dimentica che le concubine vi erano segregate a vita. Il dorato delle decorazioni, insieme al blu dell’iznik, crea un gioco cromatico dal tratto naturale e ricercato. La fantasia nell’osservare tanta bellezza architettonica si perde in numerose immagini che affiorando alla mente raccontano il sapore di un’epoca lontana. Uscendo dal palazzo ci dirigiamo presso la Cisterna Basilica, un sito di grande interesse archeologico, la più importante delle cisterne sotterranee della città. Costruita nel VI secolo durante il regno di Giustiniano, in grado di raccogliere le acque dell’Acquedotto di Valente, nel quartiere dei Bazar, per convogliarle ai principali edifici pubblici e religiosi, è composta da 336 colonne, tutte illuminate da una luce arancione dal basso e immerse con il basamento nell’acqua. Qui ascoltiamo un silenzio rotto dallo sgocciolare dell’acqua che penetra dalle infiltrazioni del soffitto e le due teste di Medusa poste ai piedi di due colonne rendono ancora più intrigante l’ambiente. Stregati dagli sguardi delle donne turche con i loro visi incorniciati dal leggero copricapo di stoffa in cotone, abbiamo subito l’idea di trovarci in un’altra terra, dove i costumi e le usanze conservatrici, creano una differenza con l’Occidente. Poche donne girano con il velo integrale, il burqa, celando così la loro bellezza e i loro occhi pieni di sensuale fascino. Decidiamo di unirci al loro cammino e giungiamo nel pittoresco quartiere dei Bazar, Beyazit – Kapali Carsi, caotico e ricco di ogni cosa.
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Qui lo sguardo si perde nei numerosi vicoli, dove i negozi espongono le loro particolari merci. La bravura del contrattare il prezzo con il commerciante è una delle arti più in voga per portarsi a casa a poco prezzo magnifici oggetti lavorati a mano. I banconi di molti negozi sono carichi di sacchi in juta pieni di spezie colorate, gli orafi espongono nelle loro vetrine bracciali e collane preziosissime, negozi di lampade orientali colorano ogni angolo del Bazar mentre il profumo delle noccioline tostate accende la voglia di uno spuntino. Nelle ore pomeridiane, soprattutto in primavera, a Istanbul, regna una potente tradizione definita keyif, l’arte turca del riposo: uomini anziani seduti davanti ai negozi o sulle panchine dei parchi, baciati dal sole, che senza leggere il giornale, parlare di politica o ascoltare musica dall’iPod, si rilassano. Lo stesso vale per i giocatori di backgammon, durante una partita si sentono solamente il suono dei dadi e il tintinnio del cucchiaino del tè che scioglie lo zucchero nei bicchieri. La gente è molto tranquilla e ci fa sentire bene accolti, l’ospitalità è la vera perla di questa gente che, stimolata dall’idea di un luminoso futuro nella Comunità Europea, manifesta il massimo entusiasmo per i visitatori. Uscendo dal Bazar decidiamo di dirigerci al porto e di prendere il traghetto per compiere una romantica crociera lungo il Bosforo, dove la città appare stretta nell’abbraccio dell’acqua e dominata dalla Torre di Galata costruita nel 1348 dai genovesi, alta 62 metri e dal tetto conico. La torre in passato era il punto più alto delle fortificazioni genovesi di Galata e in epoca ottomana fu utilizzata per avvistare gli incendi che divampavano regolarmente in città. Dalla barca ammiriamo il sontuoso Palazzo Dolmabahce il più imponente fra i palazzi affacciati sul Bosforo, realizzato in marmo bianco nella metà dell’Ottocento. Mentre il traghetto scivola verso la parte più a nord, possiamo osservare i due grandi ponti autostradali a più corsie che collegano l’Europa con l’Asia e le antiche ville di legno colorato che si affacciano sulle sponde ricordano vagamente lo stile delle abitazioni di Amsterdam. I palazzi storici di Beylerbeyi in stile barocco e quello in marmo di Kucuksu colpiscono la nostra attenzione; interessanti anche le architetture ottomane del villaggio di Bebek, famoso per i suoi caffè chic. Torniamo a terra e, attraversando il Ponte di Galata, il panorama è meravigliosamente diverso, l’intenso profumo di pesce si mescola al forte odore di porto. Mentre dal pontile superiore numerosi pescatori tolgono dall’amo piccoli pesci, nella parte sottostante al ponte, sfavillanti ristoranti si fanno la concorrenza per vendere il loro menu. Ne scegliamo uno e mangiamo un delizioso pasto a base di merluzzo e peperoni, mentre il sole svanisce rosso, dietro la parte alta di Istanbul, evidenziando uno skyline di cupole e minareti, cedendo il posto alle luci della città. Istanbul è la grandiosa porta d’Oriente, dove si incontra tutta la modernità di stampo occidentale e la ricca cultura dell’oriente, in una simbiosi perfetta. Felici di aver visto tante meraviglie, ma allo stesso tempo stanchi, decidiamo di abbandonarci al vapore di un caldo bagno turco, nell’Hamam di Cemberlitas Bath, risalente al XVI secolo nel cuore della città antica e realizzato dall’architetto Sinan uno dei più famosi del tempo. Tra i vapori e il silenzio, sdraiati seminudi sul basamento di pietra liscio, assorbiamo il calore tenue, mentre la memoria rimembra le tante bellezze viste. Istanbul è una città che ruba il fiato e il sonno, non vorremmo mai andare a dormire, perché le cose da vedere e vivere sono tantissime. La sensazione che avvertiamo è come se la città ci stesse aspettando da tempo, le cose scorrono leggere e morbide, il vento scioglie i pensieri e fa vibrare il corpo. Questa città è la casa dell’anima e quando dobbiamo lasciarla, sentiamo un nodo alla gola che vorrebbe trattenerci per sempre.
ISTANBUL la porta d’oriente
Lorenzo Bellucci lorenzobellucci.lb@gmail.com
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I love
MARRAKECH Prima di visitarla ho sempre pensato a Marrakech come a una città sporca, caotica e di cui aver paura. Ho scoperto invece una città meravigliosa. Al caos ci si abitua dopo mezza giornata trascorsa a perdersi per i vicoli della Medina, allo sporco ci vuole un po’ di più, ma si deve pensare che è una città nell’entroterra del Marocco e alle porte del deserto quindi ad ogni alito di vento si alza una polvere impercettibile al tatto, ma non agli occhi che fanno fatica a rimanere aperti. Il primo stupore è stato quello di vedere la città dall’aereo. Mi ha colpito il colore dei palazzi, tutti uguali (“rosso Marrakech” così lo ha poi definito la nostra guida). Una volta atterrati il caos regna sovrano: strade dissestate, macchine di ogni genere e nazionalità, ma rigorosamente con almeno 20 anni di vita, intere famiglie (4 persone) su improbabili motorini che al loro passaggio lasciano una scia grigia e puzzolente. Il nostro autista non ci porta direttamente al Riad che abbiamo prenotato, ma ci lascia qualche centinaio di metri prima, nel bel mezzo di una piazzetta affollatissima dove ognuno svolge la propria attività quotidiana come se fosse nel salotto di casa. C’è chi frigge delle pizzole, chi aggiusta il proprio motorino, chi ripara un armadio, chi vende teli, spezie, saponi, profumi, dolci tutti fatti in casa. Noi rimaniamo impietrite da tutto ciò e mentre ci dirigiamo verso il Riad cerchiamo di non attirare l’attenzione di questa gente. Un Riad è una tipica abitazione marocchina che si distribuisce su diversi piani. Il nostro ha una porticina talmente piccola che faccio fatica, (io che sono alta un metro e sessanta) a passarci. Questa minuscola entrata spalanca a noi un’enorme meraviglia fatta di argenti e lusso sfrenato. Ci apre una ragazza che ci accoglie con un Salam aleikum, la seguiamo lungo diversi corridoi e saloni e rimaniamo incantate dalla bellezza e dallo sfarzo del posto. La calma e il silenzio ci stupiscono, si sentono solo i rumori della casa, il gorgoglio di una fontana e il cinguettio di qualche uccello. I colori ci sono tutti, ma sono talmente ben utilizzati che il risultato finale ci lascia senza fiato. Ogni parete è dipinta con un colore, lilla, pesca, violetto, verde acqua, rosso porpora, blu majorelle, marrone e tutti con la tecnica dello spatolato. Le porte sono arabeggianti e dipinte minuziosamente, i divani e le poltrone in legno intagliato e con grandi e comodi cuscini variopinti. Tappeti in ogni dove e, meraviglia delle meraviglie, un terrazzo sul tetto arredato con lampade tipiche, tavoli in legno, chaise longue e vasche idromassaggio in ogni angolino. La bellezza di questo posto contrasta nettamente con il panorama che vediamo intorno: case incompiute e dissestate si estendono a perdita d’occhio e una miriade di antenne TV troneggiano sui loro tetti. Decidiamo di uscire per assaggiare la città, ma il nostro Riad è a pochi passi dal Souk quindi proviamo e come preannunciato, subito ci perdiamo. Decidiamo di assoldare Hamid, un ragazzo che per pochi soldi ci fa da guida tutto il giorno e quelli successivi.
Locale climatizzato - Chiuso la domenica Terni Via Cavour 9 - tel. 0744 58188
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w w w. l a p i a z z e t t a r i s t o r a n t e . i t lapiazzetta.terni@libero.it
Grazie a lui abbiamo visitato la città, musei, giardini, Souk e Medina e non ci siamo mai perse. Forse è stato un bene perdersi il primo giorno in quanto il nostro girovagare e chiedere ci ha fatto incontrare moltissime persone, tutte molto cordiali e disponibili, pronte ad accompagnarci ovunque anche senza mancia. Ci siamo imbattute in vicoli dove si vede la vita e come è vissuta, dove il mezzo di trasporto più usato è l’asino con il carretto che loro scherzosamente chiamano “macchina berbera” e dove il motorino è un bene di lusso anche se ha 20 anni e va a 30 km/h. In questi vicoli ci sono i loro Hammam (bagno turco), costano 10 dirham (1€) e se lo possono permettere una volta alla settimana. Non hanno niente e vivono alla giornata eppure riservano un sorriso a tutti, sono cordiali e non hanno paura di perdere il loro tempo se gli chiedi qualcosa. Mi piace Marrakech, mi piace l’architettura, l’arredamento, il cibo, mi piace l’odore anche se a volte è così forte da risultare disgustoso, mi piace la gente sempre allegra, ma sopratutto mi piacciono i colori, caldi e accoglienti che rispecchiano pienamente la gente che ci vive. Claudia Mansueti info@claudiamansueti.it
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49ª
Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Nero Pregiato di Norcia e dei Prodotti Tipici La più importante rassegna espositiva dell’agro-alimentare in Umbria, che fa di Norcia la primadonna degli ultimi due week-end di febbraio, invita tutti ad immergersi nel suo suggestivo e ghiotto panorama dell’esplorazione del gusto. Nero Norcia, Norcia la 49ª edizione della Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Nero Pregiato e dei prodotti tipici, torna ad avvicinare il pubblico ai sapori e ai saperi genuini del luogo e a far scoprire le eccellenze gastronomiche di altre regioni italiane, confermandosi palcoscenico privilegiato per raccontare i territori come veri e propri giacimenti golosi e culturali. Tra continuità ed innovazione, la celebre kermesse dedicata a Re Tartufo propone anche quest’anno un ricco ed articolato programma. La grande festa della tipicità gastronomica, della tradizione locale e della cultura aspetta solo te. Il Sindaco di Norcia Gian Paolo Stefanelli
NERO NORCIA 2012
C O MU N E D I N OR C I A
P r o g r a m m a
1° WEEK-END ore 10.00
ore 16.30
ore 17.00 ore 17.30
ore 18.30 ore 10.30
ore 10.30 ore 12.00 ore 15.00 ore 16.00 ore 16.00 ore 16.30
ore 10.30 ore 10.30 ore 11-17 ore 12.00 ore 16.00
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Venerdì 17 febbraio Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Tavola Rotonda: Qualità, tipicità e sicurezza dei prodotti agroalimentari. A seguire: Firma del protocollo d’intesa tra il Comune di Norcia e il Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) finalizzato alla tutela e alla garanzia dell’alto livello qualitativo e della sicurezza delle produzioni agroalimentari presenti a Nero Norcia 2012 Porta Romana Inaugurazione di Nero Norcia 2012 alla presenza di un rappresentante del Governo Italiano, del Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, del Prefetto della Provincia di Perugia, S.E. Dott. Enrico Laudanna, dell’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, S.E. Mons. Renato Boccardo, del Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Perugia, Marco Vinicio Guasticchi e delle autorità civili e militari del territorio Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Accoglienza da parte del Sindaco di Norcia Gian Paolo Stefanelli Interventi istituzionali Presentazione del Paniere dei Prodotti della Mostra da parte della cantautrice Silvia Salemi, madrina della manifestazione A seguire, illustrazione di: Incontro di sapori, Progetto di gemellaggio eno-gastronomico con le Regioni italiane: Campania - Scatti in Mostra, 3° Concorso Fotografico estemporaneo Visita agli stand espositivi Sabato 18 febbraio Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Convegno sul tema: Il tartufo: prodotto di sviluppo del territorio. Esperienze a confronto a cura del Comune di Norcia, con la partecipazione dei Comuni aderenti all’Associazione Nazionale Città del Tartufo, di tutte le associazioni di categoria interessate, del Presidente e dei membri della XIII Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati Piazza Garibaldi Visita guidata gratuita ai monumenti della città e al Museo della Civiltà Contadina Piazza Duomo Dimostrazioni dal vivo degli antichi mestieri: La scultura in creta Piazza Duomo Dimostrazioni dal vivo degli antichi mestieri: L’artista. Creazione di eco-maschere Piazza Sergio Forti Spettacolo comico di Cabaret: Donne du du du da da da, le incursioni tipiche di Rocco il Gigolò di Zelig. Con Antonio Mazzancella, cabarettista ed imitatore RAI e Radio DJ Auditorium di San Francesco Convegno sul tema: Vendita diretta agricola: la rete di Campagna Amica a cura della Federazione Regionale Coldiretti Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Presentazione della pubblicazione: Norcia 1861 – Da Papalini ad Italiani a cura degli studenti del Liceo Classico dell’Istituto di Istruzione Superiore R. Battaglia di Norcia Domenica 19 febbraio Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Presentazione del libro di Andrea Di Nicola: Le vie dei commerci sulla Montagna d’Abruzzo nel basso Medioevo: Norcia, Amatrice, L’Aquila, Rieti Piazza Garibaldi Visita guidata gratuita ai monumenti della città e al Museo della Civiltà Contadina Agenzia Postale di Norcia Annullo Filatelico “Nero Norcia 2012” – progetto di Poste Italiane Piazza Duomo Dimostrazioni dal vivo degli antichi mestieri: Il fabbro e il maniscalco Piazza Sergio Forti Cucina Show con Marco Bottega, cuoco della trasmissione di Rai1 La Prova del Cuoco
2° WEEK-END
Venerdì 24 febbraio ore 10.00 Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Riunione della Giunta della Camera di Commercio di Perugia ore 11.00 Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore A cura della Camera di Commercio di Perugia, Tavola Rotonda sul tema: Conservazione dei prodotti del tartufo e lavorazione dei prodotti della nostra tradizione Sabato 25 febbraio ore 10.30 Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore A cura della ASL n. 3 dell’Umbria,Tavola rotonda sul tema: Servizi sanitari in Valnerina A seguire, inaugurazione della nuova sede presso Palazzo Accica del Distretto Sanitario “Casa della Salute” da parte del Presidente e dell’Assessore alla Sanità della Regione Umbria ore 10.30 Piazza Garibaldi Visita guidata gratuita ai monumenti della città e al Museo della Civiltà Contadina ore 12.00 Piazza Duomo Dimostrazione dal vivo degli antichi mestieri: Il casaro. Il formaggio prende forma in piazza ore 15.00 Piazza Duomo Dimostrazione dal vivo degli antichi mestieri: Il Norcino ore 16.00 Piazza Sergio Forti Concerto Jazz del trio: Three on the floor ore 16.30 Via Circonvallazione XXIII Autosciatoria per auto d’epoca. Arrivo degli equipaggi ore 17.00 Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore A cura di Daniela Marini, del Comune di Norcia e della Soprintendenza Archivistica per l’Umbria, incontro sul tema: Archivio Pro Nursia, documenti sulla prima Pro Loco di Norcia dal 1936 al 1990. Storia dell’impegno locale per lo sviluppo del turismo e delle manifestazioni tradizionali Domenica 26 febbraio ore 9.00 Prova attitudinale cani da tartufo su tartufaie naturali - iscrizioni sul campo. A seguire, premiazione in Piazza S. Benedetto ore 10.00 Sfilata della Banda musicale di Rocca Santo Stefano (RM) ore 10.30 Piazza Garibaldi Visita guidata gratuita ai monumenti della città e al Museo della Civiltà Contadina ore 11.00 Palazzo Comunale - Sala del Consiglio Maggiore Presentazione del volume: Tartufi, frutti della terra, figli degli dei di Sergio Rossi, con la partecipazione dello stesso autore e dell’editore ore 12.00 Piazza Duomo Dimostrazione dal vivo degli antichi mestieri: L’arte della ceramica ore 15.00 Palazzo Comunale - Sala dei Quaranta Premiazione dei vincitori del 3° Concorso Fotografico estemporaneo Scatti in Mostra ore 16.00 Piazza Sergio Forti Cucina Show con Mauro Improta, cuoco della trasmissione di Rai1 La Prova del Cuoco.
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L’Associazione Ternana Astrofili compie 10 ANNI: 10 buoni motivi per farne parte Di anno in anno, il pubblico di appassionati di astronomia che vengono a curiosare negli oculari dei telescopi di S. Erasmo, S. Lucia di Stroncone e in quelli amatoriali che portiamo sulle piazze di Terni e località limitrofe, cresce in modo significativo e, tanto per dare un’idea, l’anno da poco concluso ha visto la partecipazione, tra scolaresche e visitatori, di oltre cinquemila unità. Questo dato da solo ci inorgoglisce e, perdonatemi questa piccola presunzione, sta a significare che il nostro contributo per la divulgazione delle scienze astronomiche è di qualità e di un certo spessore. Il motivo principale, però, che mi spinge a scrivere questo articolo, è il fatto che molti di costoro tornano regolarmente più e più volte, evidentemente desiderosi di osservare più oggetti celesti, di comprenderne i movimenti nel cielo, di ottenere chiarimenti a celati dubbi cosmologici; è il fatto che presenziano a molte delle nostre conferenze; è il fatto che leggo nei loro occhi un sincero stupore mano a mano che riescono ad entrare in quel meccanismo di comprensione sulla grandiosità delle distanze, dei tempi e degli spazi che in astronomia fanno impallidire chiunque. A tutti costoro dico solamente che saremmo ben lieti di aumentare le nostre fila con la loro presenza e, visto che sono più un tecnico che un letterato, mi permetto di elencare numericamente e per sommi capi, quelli che a mio avviso sono i vantaggi che si ottengono avendo in tasca il tesserino di socio ATA: - utilizzo dell’Osservatorio Astronomico Comunale di S. Erasmo, per osservazioni visuali, per uso fotografico e per ricerche in campo spettroscopico; - utilizzo dell’Osservatorio Astronomico di S. Lucia di Stroncone (privato), per ricerche in ambito internazionale riguardanti gli oggetti minori del Sistema Solare (asteroidi e comete), stelle simbiotiche, stelle variabili, supernovae; - partecipazione a conferenze e seminari che si tengono regolarmente in sede (S. Lucia di Stroncone) oppure in diverse sale comunali; - partecipazione ad eventi astronomici particolari: eclissi di Sole e Luna, sciami meteoritici, congiunzioni e transiti di pianeti, passaggi di comete etc., con supporto e sostegno di astrofili qualificati; - osservazione del Sole con strumentazioni specifiche per le macchie e protuberanze solari; - partecipazione alla fiera dell’Astronomia e dell’Elettronica che si tiene annualmente a Forlì; - partecipazione a viaggi nazionali ed internazionali, con visite ad osservatori professionali e in occasione di eventi astronomici rilevanti; - supporto teorico e pratico per la realizzazione di fotografie astronomiche; - partecipazione a Star Party in località con minore inquinamento luminoso come ad esempio Prati di Stroncone, Polino, Monti Sibillini, Gran Sasso; - poter contare sul supporto e consulenza per il corretto funzionamento di apparecchiature astronomiche amatoriali. Se l’astronomia è nei vostri pensieri e nei vostri cuori, l’A.T.A. è il posto giusto dove approdare! Tonino Scacciafratte Per informazioni: www.mpc589.com e-mail: tonisca@gmail.com Cell: 328 6850580 – 329 9041110
Parliamo delLA LUNA Le eclissi - Prima Parte Nel numero precedente, parlando delle fasi lunari, ho riferito che durante un ciclo lunare si verificano due allineamenti, rispettivamente: Sole-Luna-Terra, durante la fase di Luna Nuova e Sole-Terra-Luna in quella di Luna Piena. Stando a quanto scritto, sarebbe lecito aspettarsi l’avvenimento di due eclissi, una di Sole ed una di Luna, ogni lunazione. In realtà questo non avviene. Perché? Una eclissi, sia essa di Luna o di Sole, si può verificare Eclisse parziale di Luna - 16 agosto 2008 solo quando i tre corpi vengono a trovarsi perfettamente allineati tra loro. Cerco di spiegarmi meglio: la Terra ruota intorno al Sole seguendo un’orbita (eclittica) disegnata su di un piano immaginario. Anche la Luna, girando intorno alla terra, percorre un’orbita, anch’essa descritta su di un piano, inclinato di circa 5 gradi e 9 primi rispetto a quello dell’eclittica (Fig.1). E’chiaro che questi due piani si intersecano lungo un segmento, detto Linea dei Nodi che è pari alla lunghezza del diametro dell’orbita lunare, al cui centro viene a trovarsi la Terra, e gli estremi sono denominati Nodi. Se la Terra e la Luna, immaginiamo, avessero orbitato sullo stesso piano, si sarebbe verificata un’eclisse di Sole ed una di Luna ogni ciclo lunare, in corrispondenza della fase di Luna Nuova e di Luna Piena. In questo caso, la linea dei nodi sarebbe stata sempre corrispondente alla congiungente TerraSole. In realtà, la diversa angolazione dei due piani orbitali, fa sì che l’allineamento tra i tre astri interessati non si verifichi sempre perfettamente, ed è per questo che il fenomeno non è frequente. Durante l’eclisse di Luna, è la Terra che al momento, trovandosi in mezzo tra Sole e Luna, determina il cono d’ombra attraverso il quale transita il nostro satellite. Avendo il pianeta dimensioni rilevanti rispetto alla Luna, ne consegue un cono d’ombra molto esteso, in grado di investire più o meno la Luna a seconda della precisione dell’allineamento che si determina tra i tre astri. Più precisamente, il cono d’ombra provocato dalla Terra, è circondato da una fascia anulare di penombra, specialmente apprezzabile osservando il disco lunare durante le eclissi parziali. Durante l’eclisse totale, la Luna viene investita in entrata, prima dalla penombra, poi dall’ombra netta del nostro satellite quindi nuovamente dalla penombra in uscita. Galileo assunse come prova della sfericità della Terra, l’osservazione della rotondità dell’ombra proiettata sulla superficie lunare dal nostro pianeta, durante un’eclisse. La foto di figura 2 è molto esplicativa di quanto rilevato dall’illustre scienziato. Non posso non dedicare una parte di questo spazio alla descrizione (indescrivibile) delle sensazioni emotive che tali fenomeni astronomici sono in grado di offrire a chi li osserva. L’eclisse di Luna, specialmente se totale, dura diverse ore. L’astro assume colorazioni e sfumature tali che le parole non sono in grado di descrivere . Il consueto giallo pallido del disco lunare, fondendosi col grigio della penombra e col rosso di cui si tingono i raggi solari attraversando l’atmosfera terrestre, assume delle sfumature surreali. Il grigio più scuro (a volte quasi nero) dell’ombra della terra avvolge l’immagine in un’atmosfera di mistero... spettrale per gli animi inquieti. Spesso, la parabola emotiva giunge alla commozione nel sentirsi immersi nella profondità che assume lo spazio intorno alla Luna, accentuato dalla sfericità conferita al disco lunare dal gioco di luci e ombre che ci offre la particolare situazione astronomica. Enrico Costantini
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20/21 Lujo 1969 L’andra sera… io… Zzichicchiu e le dorgi consorti stavamo a ffa’ ‘na passeggiata romantica tra li castagni de le Cimitelle e… A Zzichi’… hai vistu se qquante stelle de meno che cce stanno su lu celu?... Ma è loggicu Lunardi’… non vidi che Lluna Piena che cce sta!?... Ciài raggione… co’ ‘stu chiarore pare ggiornu… e ppo’ è ccucì ggrossa che ppare da staje propiu ggiù ssotto… me vène voja de zzompaje sussopra!?… A ppropositu… ma è ssicuru che ‘lla vorda l’americani ce so’ ‘nnati?... Ce so’ ‘nnati… ce so’ ‘nnati Lunardi’… ‘n t’aricordi tra lu 20 e lu 21 Lujo de lu ‘69 co’ l’Apollo 11?... Co’ Armestronghe e Aldrinne e… co’ Ccollinze che stava a ‘spetta’ ‘n orbita per “aria”… ‘n picculu passu dell’omu e ‘n grossu passu dell’umanità... A Zzichi’… io ce credo ma de jiacchiere n’ho ssintite tante… la bbandiera che sventola senz’aria… le stelle che ‘n se vedono… le facce de l’astronauti che sse vedono lo stesso anche se stanno all’ombra ‘n do’ è bbuju fittu fittu... l’ombre che ccianno direzzioni diverse come se cce stassero più lluci… le fòto su la Luna che sso’ rritoccate… A Lunardi’... ammappete quanno te cce metti l’artrovi tutte… guarda che ‘gni cosa cià ‘na spiegazzione loggica… la bandiera sventola sulu quanno la scòtono… le stelle ‘n ce stanno perché stanno a ffotografa’ lu sòlu… le facce de l’astronauti all’ombra se vedono perché so’ rrischiarate da lu sòlu lunare… l’ombre non so’ pparallele perché lu terrenu non è ppiattu…e ppo’… senti ‘n bo’… ma s’era tutta ‘na bbuatta le fòto che l’artoccavono a ffà… le potéono arfa’… ccucì j’arvenivono mejo!… A Zzichi’… a mme mesà che cciài raggione… però perché ‘n ce sta ‘na bbuca ‘n do’ hanno allunatu?… Come fa a stacce ‘na bbuca… se ssu la Luna ‘n ce sta l’aria e la porvere se disperde ‘n tutte le direzzioni?... A Zzichi’… mesà che rriciài raggione… però co’ ‘lli tubbi de scappamentu de lu Lemme perché non ce sta gnente de bbruciatu?… A Lunardi’… lo gasse che scappa da lu Lemme vistu che ssu la Luna ce sta lu vòtu se raffredda subbitu e non se pòle ‘bbrucia’ gnente… e ppo’ senti Lunardi’ … te vojo leva’ ‘gni dubbiu… se non c’erono annati come facéono a mmantene’ ‘llu segretu co’ tutti ‘lli cristiani coinvordi!?... A ‘llu puntu mi’ moje… vedennome ‘n bo’ titubbante… m’ha fattu.... A Lunardi’… ancora ‘n te sì ccunvintu!?... Pe’ ffurtuna che a tte non t’hanno coinvordu sinnò… frasca come sì… j’avristi fattu scupri’ tutti l’ardarini! paolo.casali48@alice.it
ASTROrime... Rigel È una stella ben distante (circa 900 a.l.) bianco azzurra assai brillante... (40.000 Soli) ed è il piede del gigante (Orione) anche lei supergigante. (diametro= 70 Soli) La sua vita è assai più corta (pochi milioni di anni) del tranquillo Sol brioso… perché brucia la sua scorta (combustibile nucleare) con un passo spaventoso. PC
LA SICUREZZA DEI TUOI INVESTIMENTI
Una soffitta sull’Universo Il giorno successivo Leonardo attese la notte con molta ansia e, una volta sicuro che il suo papà e la sua mamma si fossero addormentati, salì in soffitta dove Overlook lo stava aspettando, ansioso anche lui di fare da Cicerone tra le meraviglie del nostro cielo. Decisero di iniziare il loro tour dalla Luna, primo corpo celeste che indubbiamente salta agli occhi. Overlook raccontò al ragazzo di come alla fine degli anni sessanta, il 21 luglio 1969 più precisamente, i due astronauti Neil Armstrong e Edwin Aldrin concretizzarono un sogno che l’uomo coltivava sin dagli albori della civiltà: mettere piede sul nostro satellite, ovvero un corpo celeste che orbita attorno ad un corpo diverso da una stella (corpo che brilla di luce propria, come il Sole, a differenza di pianeti ed asteroidi ad esempio che brillano perché sono illuminati dalla luce delle stelle). Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità si disse allora. Gli occhi di Leonardo si illuminarono a questi racconti ed iniziò a tempestare di domande il telescopio: quanto dista la Luna da noi, perché ci sono tutti quei buchi e quelle zone più scure, perché a volte la vediamo tutta, a volte mezza, a volte un pezzo, a volte per niente, che cosa sono le eclissi… Calma, calma ragazzo! Una domanda alla volta! Devi sapere che la distanza dal nostro pianeta al nostro satellite è di circa 384.400 km ed il tempo che la luce riesce a percorrerli è di circa 1,3 secondi… ma vediamo se riesco a farti un esempio concreto per farti capire meglio… sei mai stato a Roma?... Sì sì, un sacco di volte, dista circa 100 km da Terni vero?... Esatto. Facciamo finta che sono 100 km esatti ed impieghiamo un’ora a percorrerli mantenendo una velocità costante di 100 km orari... Ok… Bene. Per coprire la distanza Terra-Luna dovresti andare a Roma e tornare 1922 volte e non fermandoti mai impiegheresti un po’ più di 160 giorni, quindi oltre 5 mesi… capito ora?... Chiarissimo! Penso proprio che non mi azzarderò mai a fare un viaggio del genere!... Passiamo ora alle altre tue curiosità… i “buchi” che vedi non sono altro che i crateri generati da impatti con rocce spaziali o da attività vulcaniche poiché la Luna non ha una atmosfera che la protegge. Pensa che ce ne sono circa 30000, considerando quelli di almeno un chilometro ed il più grande ha un diametro di circa 2500 km, quasi cinque volte la distanza Terni – Milano ed è profondo circa 13 km. Osservando la Luna si possono notare zone più chiare ed altre più scure. Le zone più chiare sono gli altipiani, quelle più scure sono chiamate erroneamente mari. Alla sua nascita, i materiali più leggeri salivano alla superficie e successivamente solidificandosi formavano gli altipiani, in seguito le colate di lava hanno riempito le cavità formando i “mari”. E perché vediamo sempre la stessa faccia?... Ciò dipende dal fatto che la Luna impiega lo stesso tempo per orbitare intorno alla Terra e per ruotare su se stessa, questo spiega il perché ci mostra sempre la stessa parte, anche se in realtà non riusciamo a vedere solo il 50, ma il 59% della sua superficie. Michela Pasqualetti m ik y pas 78@ v irgilio.it
Assoc iaz ione Te r nana Ast rof ili Ma s s imilia no Be ltr a me V i a M a e s t r i d e l L a v o r o , 1 - Te r n i tonisca@gmail.com 329-9041110 www.mpc589.com
L’o s s erv at o ri o as t ro n o m i co d i S . E r a s m o è a p e r t o gratuitamente p er i ci t t ad i n i l ’u l t i m o v en erd ì d i o g n i m e s e d a l l e o r e 2 1 , 3 0 .
Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osse r vaz ioni pe r il gior no ve ne r dì 2 4 f e bbr a io 2 0 1 2 Venere e Giove dopo molti mesi di visibilità, sono stati oramai inghiottiti dall’inquinamento luminoso di Terni a ponente e, per osservare un pianeta, dobbiamo aspettare di veder spuntare Marte verso le 23 dal profilo di Torre Maggiore. Punteremo quindi il telescopio in prima serata verso la bellissima nebulosa di Orione M42 e a seguire su M35, un ammasso aperto nella costellazione dei Gemelli. L’osservazione ad occhio nudo di tutte le costellazioni invernali è affascinante, con Orione e i suoi Cani (Maggiore e Minore) sovrastati dal Toro, Gemelli, Cancro e Leone. TS
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