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Il paniere del Manager di Stato
Giampiero Raspetti La parola latina ratio traduce i termini greci diánoia, nóesis e lógos. Dianoia (diánoia) è, da Pitagora a Platone ad Aristotele, opinione, facoltà intellettiva, senso. Nohsij (nóesis), pensiero. Logoj (lógos), parola, dialogo, ragione. Per Guittone d’Arezzo l'omo è ditto animale rassionale, e senno più che bestia à, ch'è ragione. Animale rassionale, dopo circa 700 anni, è colui che fonda i propri ragionamenti sulla scienza e sui suoi metodi. Ci si riferisce (Diz. Panzini, 1905) alla convinzione della superiorità della ragione sull'intuizione o, per dirla con Piovene, a chi al di sopra del sentimento afferma i valori della ragione. Ma ratio significò, ab origine, conto, calcolo.
Francesco Patrizi Vi ricordate la Scala Mobile? Non quella che ti conduce al piano superiore nei Grandi Magazzini, ma il sistema di aggiornamento automatico del salario rispetto all’aumento del costo della vita. È stata in auge fino agli anni ’80 e veniva calcolata seguendo l’andamento dei prezzi di particolari beni di consumo, il cosiddetto paniere. In pratica, quando aumentavano il pane e il latte, scattava un aumento corrispettivo dello stipendio. Fece litigare molte categorie per trattamenti ritenuti iniqui e venne soppressa dal Governo Amato nel 1992; d’accordo con i sindacati, venne sostituita con un modello basato sull’inflazione programmata segue a pag. 4
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... Ancora sul bullismo
Donare il cordone ombelicale
Maurizio Bechi Gabrielli
Alessia Melasecche
Il problema bullismo appare ancora, sia pure sporadicamente, sulle pagine dei giornali. Bene! Dopo anni di superficialità ed omertà è emerso un problema dell’universo giovanile troppo sottostimato nelle sue implicazioni sul futuro dei ragazzi che ne sono coinvolti. Un po’ come il nonnismo nelle caserme: se ne parla solo quando ci scappa il morto, ma
Una mamma e il suo bambino al momento della nascita: gioia, speranze, desideri, ma anche il naturale timore per un futuro che talvolta può essere incerto. E’ quindi comprensibile la preoccupazione di come poter in qualche modo proteggere al meglio quella creatura indifesa grazie alle nuove scoperte della scienza.
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Astro dei ciel
N° 1 - Gennaio 2007 (41)
Piero Fabbri
Stress natalizio Claudia Mantilacci
Il momento era quello cruciale della scolatura della pasta. Con le mani ben attente agli schizzi d’acqua bollente e gli occhi intenti a sorvegliare che nessuno spaghetto numero cinque scivolasse via dallo scolapasta verso il lavandino, restavano solo le orecchie ad avere un piccolo margine di libertà. E loro, le orecchie, decisero di ascoltare quel che
E anche quest’anno siamo passati indenni, o quasi, attraverso i baccanali che accompagnano le festività natalizie. Attraverso un tourbillon di cene aziendali, aperitivi con gli amici per scambiarsi i regali, corse all’ipermercato per gli acquisti dell’ultimo minuto, baci sotto il vischio tra persone che un attimo prima - in sala riunioni - si sarebbero saltate alla gola,
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Guerra in Iraq: meglio cambiare, no? Francesco Borzini Scriveva con cinica lucidità Eugenio Montale che: La vita oscilla tra il sublime e l’immondo. Con qualche propensione per il secondo. Lo stesso si potrebbe dire per la Storia, anche quella con la “S” maiuscola, che nel suo quotidiano divenire si dipana in una continua oscillazione tra il serio e il faceto, tra segue a pag. 7
Oriente e Occidente
YOU, TUBE che non sei altro!
Adelaide Roscini
Vincenzo Policreti
La festa dell’Epifania è quella dell’annuncio al mondo della nascita di Gesù. E’ legata alla figura dei tre re magi che giungono da lontano per diffondere la notizia altrettanto lontano. Questa è una storia cha ha avuto molteplici revisioni e interpretazioni nel corso dei secoli. Ad un certo punto si arriverà ad attribuire a ciascuno
Tra un po’ ognuno di noi sarà in grado di presentare se stesso davanti a milioni di utenti internet: il sistema You Tube nato proprio a questo scopo permette di dare a chiunque lo desideri, una visibile notorietà. Il mondo intero potrà vederci e udirci mentre critichiamo il governo, discettiamo di filosofia, avanziamo proposte nuove cui nei media tradizionali mai
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Pace e pregiudizio
Testa o Croce
Maria Beatrice Ratini
Egidio Pentiraro
Parlando di pace si rischia la retorica. Rischiando di caderci, provo ad affrontare il tema partendo da una condanna: quella al pregiudizio. Spesso il pregiudizio ci impedisce di confrontarci in modo autentico con gli altri. E’ facile bollare le persone al primo incontro, classificarle in una categoria specifica; in questo modo sembra di poterle
Testa: Le armi della critica È sempre consigliabile usare le armi della critica per analizzare i fatti della storia, dell’economia, della politica, della cultura, del costume, della religione anche se appaiono dissacranti. Si utilizzino sine glossa, quindi senza adattamenti di sorta. Le armi della critica sono gli strumenti della ragione e della conoscenza.
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Espressioni correnti sono così... ragione di una progressione, ragioneria, grandezze espresse in forma di rapporto, frazionarie, commensurabili, dette appunto razionali se hanno un ché in comune, cum misura. Sette ottavi (7/8) significa che, divisa una torta in 8 parti, se ne divorano 7, di quelle parti. Ma anche: divisa l’altezza di una donna in 8 parti, le si cuce un vestito lungo 7 volte quella ottava parte (molto di moda ai miei tempi!). Ci sono poi, e qui viene il bello (non proprio bello per Ippaso di Metaponto, il profanatore), grandezze che non hanno alcunché in comune, né un ai né un bai, nemmeno un atomo, neanche un sospiro. Non ci sono dogane, tra loro, né consolati né rappresentanze diplomatiche. Non c’è il più piccolo elemento che appartenga tanto all’uno quanto all’altro: elementi non permeabili, non raffrontabili, non dominabili, impossibilitati finanche a belligerare. Ovviamente tali grandezze, (notissime, molto più numerose e potenti delle prime), non possono essere scritte in forma frazionaria e si chiamano quindi irrazionali (non in ratio), come i famosissimi radice quadrata di 2 o p greco, la p (pi) dell’alfabeto greco. A ben vedere stiamo sempre ed esclusivamente riferendoci all’uomo, alla sua parte razionale (conforme cioè al buon senso comune) ed alla sua incarnata ed indissolubile irrazionalità. Al suo mondo ragionevole, popolato da elementi rapportabili e misurabili, intrecciati dalla suadente fantasia creativa, ma anche al suo mondo non controllabile, non misurabile, quello degli impeti, delle passioni travolgenti, della fantasticheria, della tempesta emotiva. Entrambi siamo noi. Finiti ed infiniti. La ratio ci dà la vita, ma è la non ratio per cui vale la pena di vivere. La favola è fantasia, creatura dunque del tutto razionale. Il credere alle favole è invece irrazionale, ma... è anche così dannatamente bello! E’ così bello credere a Babbo Natale! E non è certo razionale né ragionevole rendere i propri figli avulsi, scollegati dal contesto in cui vivono
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esiliandoli dalla sua dolce carezza o impedendo loro di vivere delicatamente il Presepe, anche se non si è credenti. Si risulta così solo vittime di un infelice razionalismo. Tutto il mio essere logico e matematico ha bisogno di sperare e sognare. Bisogno di logica, bisogno di favole. La favola di un Paese ove, dal 2007, non si compia più il miserevole mischietto tra famiglia di diecimila, mille, cento, dieci anni fa, senza cogliere differenze e trasformazioni... senza voler capire la realtà... in breve, calpestando per calcolo e per principio. Ove regni l’eterno amore cristiano e francescano e non crudeltà, sospinta da vicende temporali. Ove i politici non siano più i furbetti del paesino e si differenzino almeno un poco da calciatori e veline evitando di produrre continuamente del becero gossip con i giornalisti (chi fa parte del governo poi parli solo con i ministri, nei luoghi e nei tempi deputati!). Ove sia allontanata dalla scena pubblica la politica mentecatta fatta solo di battutine, anatemi, frasi d’effetto, prive però del benché minimo significato! Ove il politico si esprima finalmente in modo razionale, quasi da matematico; esponga cioè chiaramente e non demagogicamente, senza cambiare i numeri in tavola o trasformare ignobilmente la più solare verità pro domo sua, anche al fine di seminare odio e zizzania. Ove si seguano serenamente e dignitosamente i moniti provenienti dai Capo dello Stato! Ove si mettano al bando i responsabili di terribili attacchi alle istituzioni, di brogli elettorali, presunti o reali, di processi che non processano, di stragi senza stragisti, di evasione totale dalle responsabilità personali o del pontificare su come gli altri devono amare, soffrire, morire, senza per altro neanche sapere cosa sia amare gli altri, soffrire davvero, morire dignitosamente. Poche le Madri Teresa di Calcutta all’orizzonte! Testimoni pochissimi ed umilissimi, maestri tanti e boriosissimi! L’avverarsi del sogno è dunque un ragionevole augurio per un razionale, quindi normale, 2007. Che erwj (èros) e logoj siano con noi! G. Raspetti
w w w.ind agend i.c om
Mensile di attualità e cultura
Re g i s t r a z i o n e n . 9 d e l 12 n ovem b re 2002 p resso il Trib u n ale di Terni Re da z i o n e : Te r n i V. C arb on ario 5, t el. 074459838 - f ax 0744424827 Ti p o graf ia: Um b riagraf - Tern i I n c o l l a b o r a z i o n e c o n l ’ A s s o c i a z i o n e C u l t u r a l e F r e e Wo r d s
Direttore responsabile
M ic h e le R ito L ipos i
COMI TATO DI DI REZI O NE
Serena Battisti, Elettra Bertini, Pia Giani, Lorella Giulivi, Giuliana Orsini, Alessia Melasecche, Francesco Patrizi (vicedirettore), Egidio Pentiraro, Giampiero Raspetti (direttore), Alberto Ratini, Albano Scalise, Giuseppe Sforza.
Società Editrice Projecta - Tel. 3482401774 i n f o @ l a p a g i n a . i n f o
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... Ancora sul bullismo
non si fa nulla per combatterlo. Fortunatamente gli episodi di bullismo di queste settimane non si sono spinti a questi estremi. Pur tuttavia ha molto colpito la violenza manifestata in alcune situazioni. La reazione dei benpensanti è stata, naturalmente, inflessibile: bisogna colpire senza pietà i cattivi, isolarli dalla società civile, metterli in condizione di non nuocere. Le autorità di ogni tipo e ad ogni livello si sono mosse, anche perché quell’episodio ha scoperto un universo fatto non solo di atti di bullismo, ma di molestie, violenze, stupri e via aggredendo. Con un unico grande protagonista: il videofonino. Ma, in coerenza con quanto scritto sullo stesso argomento il mese scorso, non facciamo di tutta l’erba un fascio e distinguiamo le situazioni. Rimaniamo al bullismo. Qualche Questura ha prodotto depliant o spazi sui siti internet per parlare di questo problema e proporre soluzioni, mostrando un’attenzione prevalente agli aspetti educativi e preventivi, elemento questo, peraltro, presente da tempo nelle iniziative delle forze dell’ordine, come ben sanno coloro i quali hanno modo di collaborare con gli uffici preposti di polizia e carabinieri. Bene! La Scuola, ministro in testa, ha emanato direttive chiare e nette. A quello che è dato leggere sui giornali, l’attenzione del ministro si è concentrata soprattutto sugli adulti educanti, ai quali è stato chiesto in primo luogo di essere dei modelli positivi, poi di assumersi le proprie responsabilità, senza comunque rinunciare ad essere degli educatori. Bene! Si è fatta viva la Politica, che, col distacco dai problemi reali che ormai la contraddistingue, ha suggerito come mezzo risolutivo e assoluto la videosorveglianza. In sostanza si chiede: scopriamo chi sono e puniamoli come si deve! Male! Non si è fatta viva la Sanità, se non i consueti singoli servizi (quando non si tratta di singoli operatori di buona volontà). Ormai l’attenzione alle problematiche sanitarie con più elevato radicamento sociale è molto sfumata e marginali, nel panorama dei servizi per la salute, sono quelli che si occupano di psichiatria, dipendenze, disabilità, prima ancora di quanto lo siano gli utenti di questi stessi servizi. E questo, spesso, nonostante gli sforzi dei singoli dirigenti o
direttori. Male! Ma è male soprattutto che la cultura che si sta affermando tra la gente sia quella di separare i cattivi dai buoni, buttando fuori i primi dai contesti sociali nei quali vivono (tra l’altro per metterli dove? La proposta del carcere minorile è dietro l’angolo), senza porsi minimamente il problema di capire su quali radici si innesti il comportamento antisociale. Certo, ci sono i soliti psicologi, sociologi o psichiatri che tuonano che la colpa è delle famiglie, che è come sparare sulla Croce Rossa. Il punto è che se non si esce dalla logica della colpa non si cava un ragno dal buco. Il problema non è capire chi è il colpevole (procedura che serve solo a potersi chiamare fuori); occorre comprendere i meccanismi, i contesti e i significati che tengono in piedi e determinano l’aumento dei comportamenti antisociali. Ada Fonzi, una nota psicologa, in una trasmissione televisiva di qualche settimana addietro, ha affermato che faticava a definire i comportamenti attuali dei giovani come atti di bullismo perché troppo violenti. Secondo lei, negli atti di bullismo è presente un che di gioco che oggi manca. Cosa si potrebbe dire in proposito? Semplicemente che molti ragazzi oggi vivono come uno scherzo ciò che in passato era considerato un atto violento. Oggi il tasso quotidiano di violenza nella società è più elevato e vissuto, alla fine, come normale, per cui una trasgressione anche minima si esprime con comportamenti oggettivamente violenti. Ma prima di arrivare alla violenza dei comportamenti antisociali c’è la violenza della pressione esercitata dalla
spinta al consumo e all’acquisto degli oggetti (c’è più pubblicità che contenuti nelle televisioni); c’è la violenza di molti programmi televisivi; delle aggressioni telefoniche di chi vuole a tutti i costi venderti qualcosa, e che si arrabbia se non sei interessato; c’è la violenza di chi ti obbliga a spendere tempo oltre il lecito solo per affermare il diritto di avere qualcosa che dovresti avere senza fatica; quella di chi può permettersi di evadere il fisco e fare altre cose illecite, tanto poi c’è il condono; quella dei S.U.V. che ti sorpassano a destra tanto sono più grossi; del dover dimostrare che sei innocente dall’evasione fiscale, dal ritardo di un pagamento, o da chi sa che altro solo perché il servizio preposto si è sbagliato; c’è la violenza di chi ottiene vantaggi grazie a privilegi economici, di potere, o magari sanciti per legge. E che dire sui videofonini di cui si parlava prima? Sono i ragazzi
che spettacolarizzano gli eventi o sono gli adulti che amano il gossip più spinto, la notizia clamorosa, i sentimenti esasperati, la polemica pretestuosa? Allora, ancora una volta si può dire che nessuno può chiamarsi fuori! Facciamo il nostro per aiutare i ragazzi a fare il loro. Costruiamo un presente a misura d’Uomo, costruendo noi stessi come Uomini e Donne del nostro tempo (fare del velleitario anticonformismo non serve) che non dimenticano di esercitare la loro Umanità. Recuperiamo ed esercitiamo la nostra capacità di provare emozioni, scambiare calore umano, vivere sogni e passioni positive. Checché ne dicano, loro, i ragazzi, vogliono solo imitarci in ciò che ci vedono fare, con l’ambizione di riuscire poi a fare meglio di noi. M. Bechi Gabrielli m.bechigabrielli@fastwebnet.it
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Il paniere
da contrattare, comparto per comparto, ad ogni rinnovo dei Contratti Nazionali del Lavoro. Ebbene, dopo una lunga assenza dalle scene, quando si pensava che l’economia italiana avesse intrapreso un’altra strada, ecco che ricompare, quatta quatta, la Scala Mobile. In pochi se ne sono accorti, non il lavoratore dipendente che va a comperare il pane e neanche la moglie dell’operaio che sosta perplessa al bancone surgelati… l’adeguamento dello stipendio all’aumento del costo della vita è stato applicato ai manager pubblici. Nel trattamento previsto dalla Finanziaria per i manager di Stato (per intenderci, Alitalia, Ferrovie dello Stato etc) era previsto un trattamento economico con un tetto massimo di 250 mila euro; questo trattamento è poi diventato di 500 mila euro con un premio-qualità (deciso da chi? secondo quali parametri?) pari a un terzo, cioè con un tetto (massimo?) di 750 mila euro. Da 250 mila a 750 mila c’è un bel dire, la prima proposta nasceva dall’esigenza di stringere le cinghie delle aziende statali, la seconda probabilmente dal bisogno di non far fuggire i manager più in gamba tutti nel privato (che paga molto di più dello Stato). Ma comunque la si veda, tra intenti moralizzatori e cedi-
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menti alle leggi della concorrenza, non si capisce da dove sbuchi fuori questa Scala Mobile. E non provate a chiederlo al Governo, perché hanno la faccia di rispondere che, nella fretta, non se ne sono accorti… Non ci resta che immaginare quale sarà il paniere di riferimento dei manager di Stato. Quali saranno i prodotti che decreteranno l’adeguamento del loro stipendio al costo della vita? Il pan carrè e le uova di lombo? Non facciamo facile ironia, probabilmente rientrano nel paniere l’ingaggio di Vittorio Sgarbi per una festa (dicono che sia l’ospite più esoso), le veline che ballano in salotto, un’ospitata da Bruno Vespa, un servizio fotografico su Gente… in più occorrerà calcolare il prezzo forfettario delle foto-ricatto dei paparazzi e delle intercettazioni piccanti (che sono costosissime: pensate che solo nel 2005 lo Stato ha speso la bellezza di 307 milioni di euro per intercettare persone sospette; per l’istruzione hanno stanziato meno della metà!). A questo punto non ci resta che immaginare l’incontro tra la moglie di un operaio e quella di un manager di Stato al supermercato: - Signora, ha visto quanto è aumentato il latte? - Non lo dica a me, signora mia, ho a cena la Ventura, se sapesse quanto è rincarata… F. Patrizi
P a c e controllare e di conseguenza ci fanno meno paura, dato che spesso l’imprevedibilità ci spaventa. Può sembrare strano, ma la stessa cosa succede anche con le persone che conosciamo bene; in questo caso, però, il nostro pregiudizio deriva da comportamenti precedenti dell’altro. Se consideriamo nostro cugino un rinunciatario, per noi continuerà a essere tale anche se dovesse prendere una decisione coraggiosa. Capita anche di autocondizionarsi, sempre per colpa di pregiudizi, ma ancora più nascosti e inconsci perché sono quelli che abbiamo verso noi stessi. Infatti possiamo avere sempre gli stessi atteggiamenti perché ci piace dare una certa immagine di noi stessi, per non deludere, per evitare critiche, e soprattutto per pigrizia. Cambiare costa fatica, e in più, se una formula funziona perché rischiare? Lo sanno bene molti cantanti di successo; spesso sentire una canzone di Tizio è come sentire tutte le canzoni di Tizio. I preconcetti portano sempre a una fissità, e quindi a un’apparente sicurezza, ma se non ci sono curiosità di scoperta e ricerca, cosa si può mai costruire di vero? Vivere in pace non è farsi gli affari propri isolandosi dal mondo, anche perché quello ti viene sempre a cercare e, che tu voglia o no, in un modo o nell’altro, invade i tuoi spazi. La pace, di cui si parla tanto, richiede impegno costante, apertura al confronto, disponibilità e spirito d’adattamento. Non può quindi convivere col pregiudizio. Il primo passo? Riconoscere i propri pregiudizi, che sanno camuffarsi molto bene, e spesso sono così radicati in noi che neanche ci accorgiamo di averli. Per esempio, i cosiddetti intellettuali, che dovrebbero essere i più aperti al dialogo, in realtà si circondano solo di loro pari, perché evidentemente gli altri non sono degni di nota. Spesso poi i politici, che in una democrazia dovrebbero per statuto essere pronti allo scambio di opinioni, fanno reciprocamente orecchie da mercante, e uno schieramento non prende neanche in considerazione le idee di chi è lontano dai colori e dai simboli della propria bandiera. M. B. Ratini
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Sono gli utensili dell’intelletto da impiegarsi rispettando sempre un sincero spirito di ricerca e sempre ricorrendo alle fonti. Solamente con le armi della critica è possibile distruggere il falso, ridicolizzarlo, combattere ogni tipo di fondamentalismo. Croce: i placebo per ansiosi Nelle televisioni, nella carta stampata, in Internet, nei media di ogni sorta, a fianco di notizie vere, anche se spesso discutibili, si trova senza discriminazione alcuna dell’autentica spazzatura. Ad esempio - soprattutto in questo periodo - oroscopi, divinazioni di ogni genere di maghi, maghesse, veggenti, occultisti, et similia. Evviva! C’è liberta d’opinione e anche di idiozia, ma ci piacerebbe che - per i distratti - venisse istituito un avviso speciale per distinguere questo tipo di informazioni. Proporremmo di chiamarlo Bollino del ciarlatano. Inviterebbe a usare Testa ogni volta che si inciampa in notizie tentanti per scacciare emozioni negative o per essere rassicurati. In definitiva esse possono essere considerate dei placebo per ansiosi. Tuttavia, se gli oroscopi e i maghi, i ciarlatani di ogni sorta, sfruttano la credulità altrui in modo apparentemente innocente, se la gente fa spallucce pensando che Non è vero ma ci credo, se tutto questo accade ed è tollerato, è altrettanto vero che esistono altre ciarlatanerie ancor più pericolose perché il mestiere del ciarlatano è vecchio e multiforme come il mondo. L’etimo del termine italiano è ciarlare, vale a dire parlare a vanvera. Se alcuni lo fanno, esaltando le loro pretese qualità divinatorie e taumaturgiche, altri sfruttano
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C ro c e
le loro capacità affabulatorie, propinando altri tipi di informazioni nefaste. In questi casi ci appare che la moneta resti in bilico tra vero e falso e ciò non avviene per svista ma per scelta. Così in televisione, sui giornali, in Internet ma anche in letteratura si spaccia per vero, in modo invitante, ma sempre mirabolante e stuporoso, ciò che è falso e mal provato. Si vogliono degli esempi? Avete mai sentito parlare dei Cerchi nel grano tracciati da entità misteriose? Avete letto Il Codice da Vinci in cui la pittura diventa una chiave allusiva per comprendere l’incerta leggenda del Santo Graal? Nel primo caso si fa leva sull’angoscia di conoscere se siamo gli unici inquilini dell’Universo, nel secondo sull’ansia di sapere chi è stato l’uomo Gesù. Due esempi di pozioni di placebo per ansiosi. Se ne potrebbero elencare tanti altri. A volte, ed è ancor peggio, è quasi impossibile discernere. Ciò avviene in un certo tipo di televisione che crea spettacoli per il grande pubblico. Spettacoli per patate da divano, coach potatoes, come si dice negli US, dove questi show sono stati inventati. Lo stesso accade nei cosiddetti dibattiti o nei telegiornali in cui si abusa di un principio giornalistico sano, quello di esporre i fatti col metodo del pro e contro inducendo opinioni artefatte per omologare le platee a modelli voluti e propinando anche in questi casi un sonnifero per menti ansiose. Un suggerimento per il 2007: si faccia più attenzione a queste cose. Un consiglio per tutti: Alzate la testa, altrimenti l’informazione vi calpesta. E. Pentiraro
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raccontava la TV, maledette. E così ascoltarono che Totti (gran bel giocatore) l’indomani avrebbe accompagnato sua moglie (gran bella figliola) a fare l’ecografia. Un buon terzo degli spaghetti si sono tuffati diritti nello scarico, a causa dello strano movimento della testa, voltatasi di colpo sopra la spalla nel tentativo di capire su quale diamine di trasmissione fosse sintonizzato il perfido schermo. Un altro terzo si sparse tra lavandino e pavimento, quando gli occhi lessero - nell’angolo in basso a destra dello stesso - che proprio di autorevole telegiornale nazionale si trattava, e non d’uno special di TeleGossip 3000. Gli spaghetti restanti, ormai remiganti in una quantità di sugo decisamente eccessiva per il loro numero esiguo, avevano ormai già preso contatto con i succhi gastrici quando, dalla stessa perfida scatola, venivano mostrate amene interviste prenatalizie, con divagazioni sulle stelle cadenti e sulle stelle comete. Tipi di stelle che il giovane intervistato - complice la definizione e la cronista - mostrava intendere come del tutto simili a quelle stelle che invece non cadono. La giornalista chiudeva l’ardito pezzo di colore auspicando, visto il clima astronomico e natalizio, la visita di qualche alieno proveniente (naturalmente) da un’altra galassia. E allora lo sdegno ha iniziato lentamente a salire (mettendo in pericolo la digestione degli spaghetti), forse perché il ritmico e ripetuto perché, perché, perché dava un pericoloso andamento peristaltico a tutto l’apparato digerente. Ma insomma, poi, perché mai scandalizzarsi? Non è obbliga-
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torio, in ultima analisi, sapere che le stelle cadenti sono davvero poco più che polvere, una piccola nebbia sullo zerbino di casa Terra; che le comete non sono stelle comete, ma solo comete, pezzi di ghiaccio di dimensione non certo elevata, anche se riescono a pavesare una coda lunga milioni di chilometri. E non è neanche obbligatorio sapere che le stelle più vicine sono comunque tragicamente lontane, remotissime, e più lontane di esse sono solo le galassie (appunto), che ne contengono miliardi, e che sono anche miliardi di volte più lontane. Non c’è l’obbligo, davvero, di spaventarsi con il tentativo di visualizzare l’Universo. E ci si può davvero, senza il rischio di finire in galera, interessare di più all’ecografia alla pancia d’una bella signora che cammina sottobraccio ad un bravo calciatore. Solo che uno - forse - può ancora reclamare il diritto di non aspettarsi certe notizie in un sommario di telegiornale. O di avere almeno tanta astronomia quanta astrologia sulle reti nazionali. Ma è come chieder la luna, vero? Molti anni fa, lo sport era considerato solo argomento laterale e leggero, e gli spasimi d’amore delle attrici erano relegati in pochi giornali specializzati. Poi, la rivoluzione mediatica non solo ha concesso più spazio ad entrambi, ma con un autentico colpo di genio si è riusciti a fondere i due luoghi dello spirito: il calciatore deve accoppiarsi con la velina, in modo che uno stesso servizio sia perfetto magnete di attrazione per tutti, calciofili e gossipari. Colpo perfetto, con gli inserzionisti pronti a pagare fortune per avere il loro prodotto pubblicizzato in concomitanza della interessantissima ecografia. E i nostri figli lì, a voler essere come Totti. Per avere a fianco belle donne, essere assai più noti di qualsiasi galassia e avere gli obiettivi della TV puntati in fronte quando si va a fare l’ecografia. Naturalmente senza avere neanche la più piccola idea di come possa funzionare una TV o un’ecografia. Queste sono cose per sfigati che non sanno fare er cucchiaio. P. Fabbri
Donare il cordone ombelicale Un’amica, da poco mamma, mi sollecita la trattazione di un tema su cui c’è ancora molta disattenzione. Studi recenti hanno dimostrato che il sangue contenuto nel cordone ombelicale è ricchissimo di cellule particolari, le staminali emopoietiche, presenti anche nel midollo osseo, preposte alla formazione di globuli rossi, bianchi e piastrine. In alcune malattie come la leucemia o in gravi forme di anemia, il midollo osseo viene danneggiato e non è più in grado di assolvere alla propria funzione. Trapiantando allora le cellule staminali ombelicali è possibile ripristinarne la funzione. Da qui l’importanza di poter prelevare quelle cellule con un procedimento molto semplice, a cordone ormai reciso, senza alcun rischio per la madre ed il bambino. Quel sangue, se valutato idoneo, viene congelato e conservato in azoto liquido a -196°, in attesa di richiesta da parte dei centri trapianto. Per sicurezza la mamma viene sottoposta ad un duplice controllo, uno prima del parto, l’altro sei mesi dopo la nascita del piccolo in modo da assicurarsi che non sia portatrice di malattie infettive e che non soffra di anemia o di malattie ereditarie. Tale donazione ha quindi il vantaggio di poter conservare il sangue per molti anni, in modo da renderlo disponibile al momento del trapianto. L’uso di queste cellule staminali presenta alcuni vantaggi rispetto all’utilizzo del midollo osseo: il sangue è immediatamente disponibile, ci sono meno rischi di contrarre malattie infettive, non esistono pericoli per chi dona (donare il midollo osseo, invece, è un’operazione invasiva), è minore il rischio di incorrere in un rigetto. Nonostante i numerosi vantaggi, però, soprattutto per gli adulti, si tende, ancora oggi, a privilegiare il trapianto di midollo in quanto non sempre le cellule staminali del cordone sono disponibili in quantitativi sufficienti a garantire un buon esito, ma la scienza sta facendo enormi progressi su questo fronte. La Commissione Europea ritiene, infatti, che gli studi
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Chiusura settimanale Domenica
sulle applicazioni cliniche delle cellule staminali siano una priorità e perciò destina notevoli risorse alla ricerca medica in questo settore. Ci auguriamo che il centro di ricerca, attivato recentemente a Terni, inizi a funzionare al più presto con grande serietà e soprattutto con risultati di livello. La prima donazione è avvenuta in Francia, nel 1992: il sangue del cordone ombelicale di una mamma fu prelevato subito dopo il parto e utilizzato per salvare la vita a un bimbo affetto da una grave anemia. Da allora, la donazione si è diffusa in tutto il mondo. Così, oggi, in Italia, grazie alla generosità di tante mamme, sono attive banche pubbliche in cui confluiscono i prelievi fatti in circa quaranta ospedali. Occorre altresì precisare che la legislazione italiana vieta l’istituzione di banche, pubbliche o private che siano, per la conservazione del sangue del cordone ombelicale per uso autologo, ovvero per se stessi e i propri congiunti, consentendone, invece, la donazione. La donna che volesse conservare il proprio cordone ombelicale per uso autologo può farlo, ma lo deve inviare all’estero, previa autorizzazione del Centro Nazionale dei Trapianti, ente del Ministero della Salute. Alla richiesta di autorizzazione è obbligatorio allegare una documentazione attestante l’avvenuto colloquio con il Centro, procedura che richiede tempi di attesa forse un po’ troppo lunghi, anche in casi dichiarati di parto imminente. In totale il Centro Nazionale Trapianti ha effettuato finora 1400 counselling, questo è il nome della procedura citata, di cui 1350 nel 2006. Di fatto è stata autorizzata la conservazione di 16 sacche cordonali al giorno in banche private all’estero di cui, però, purtroppo non è possibile monitorare le misure di controllo e di conservazione, oltre alle modalità di trasporto con cui il sangue viene restituito, rendendolo in realtà spesso non più impiegabile, per non parlare dell’esborso economico connesso, non da tutti sostenibile. E in Umbria? Se ne comincia a parlare, ma si tratta ancora di un’eventualità
episodica, non per mancanza di donne disposte a donare il proprio cordone ombelicale, quanto per il fatto che non in tutte la strutture è possibile farlo. C’è comunque la necessità di intervenire in materia con una legislazione moderna che consenta a chi voglia donare il proprio cordone ombelicale di farlo, garantendone, magari, in contemporanea, la rintracciabilità, così che, se un giorno fosse necessario, e non fosse già stato utilizzato da altri, sia possibile impiegarlo rapidamente per curare il proprio figlio. Questa possibilità potrebbe scongiurare il temuto calo delle donazioni nel caso in cui fosse mai in futuro consentita la conservazione autologa. Va comunque ricordato che, ad oggi, in Italia, non tutti i punti nascita permettono la raccolta e la donazione del cordone, che quindi viene distrutto nel 95% dei casi. Forse è venuto il momento in cui i nostri legislatori affrontino seriamente e con saggezza sia alcune tematiche di forte spessore etico e di grande attualità, sia la necessaria revisione della materia in tema di utilizzo dei cordoni ombelicali, per evitare che l’attuale situazione impedisca la possibilità di curare un giorno i propri figli, e quelli degli altri, nel caso di patologie gravi. A. Melasecche alessia.melasecche@libero.it
T E R N I - V. d e l l a S t a z i o n e , 3 2 / 3 8 Te l . 0 7 4 4 . 4 2 0 2 9 8
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S t r e s s n a t a l i z i o
pranzi e cene con parenti-serpenti che finiscono immancabilmente per esacerbare conflitti familiari che, senza la convivenza forzata dei dì di festa, sarebbero rimasti solo delle piccole divergenze d’opinione. Spesso si sono uditi degli appelli a ritrovare il vero spirito del Natale, lo spirito religioso della natività di Cristo e lo spirito universale di pace, fratellanza e speranza per l’Umanità. A ritrovare lo stato d’animo dei natali dell’infanzia in cui l’emozione di scartare regali non era accompagnata allo stress da shopping prenatalizio, in cui la gioia dei pranzi in famiglia non andava di pari passo con lo sfinimento della pianificazione e messa in atto di un pasto che poi, in ogni caso, non soddisferà mai pienamente tutti e sarà ulteriore fonte di tensione per la volenterosa massaia che avrà cominciato a prepararlo con 10 giorni d’anticipo. In cui - al tempo delle elementari - si mettevano in scena delle vere recite natalizie dove si cantavano delle vere canzoncine natalizie (con annesse invidie per gli alunni più bravi o semplicemente più telegenici, cui venivano riservati i ruoli principali) e non quegli odierni succedanei in cui non si possono recitare scene della natività cristiana né cantare gingles che nominino Gesù per non offendere gli alunni di altri credi religiosi. Al giorno d’oggi sembra che tutto ciò che circonda il Natale sia fonte di tensione e di preoccupazioni, che non si riesca più a viverlo come un’occasione di ricongiungimento familiare, come una
possibilità di perdonare e dimenticare vecchi torti e antichi attriti. È una sensazione bellissima fare dei regali alle persone che si amano, ricevere un sorriso sincero come ringraziamento per l’ingegno e l’affetto impiegati nella scelta del cadeau più affine ai gusti del destinatario; ma quando all’elargizione del dono si accompagnano stress, ansia, conti in tasca, musi lunghi e preoccupazioni si perde tutta la magia che questo scambio di pacchetti dovrebbe generare. Nei giorni di festa appena trascorsi si è avuto modo di osservare come, questa progressiva perdita dello spirito natalizio, abbia contagiato non solo chi vive un Natale laico ma anche i credenti che - prima di apprestarsi, tutti vestiti a festa, alla messa di mezzanotte - si riservano cene familiari intrise di conflitti, divergenze ed ostilità. Qui non si vuole mettere in atto un’apologia dello spirito religioso del Natale, che rimane comunque un argomento troppo personale e privato, ma si vorrebbero esortare i lettori a ritrovare la felicità intrinseca nello stare con i propri cari, nel donare a chi si ama, nel ricordare la sensazione di pace e di allegria che accompagnava i Natali dell’infanzia, quando tali ricorrenze erano sinonimo di felicità e spensieratezza. Ed è proprio questo l’augurio migliore che si potrebbe fare per il Natale venturo: sia spensierato come un bambino che, appena sveglio la mattina del 25 dicembre, corre subito a vedere cos’abbia lasciato Babbo Natale sotto il suo albero. C. Mantilacci Auguri!
YOU, TUBE che non sei altro! sarebbe concesso il minimo spazio (siete mai riusciti a veder pubblicata una sola vostra lettera a un giornale importante?). Sì, ma anche mentre copuliamo, facciamo pipì o emettiamo flatulenze. E questo è il punto. La tecnica stessa del sistema non solo non prevede, ma impedisce qualsiasi filtro critico tra il messaggio in partenza e quello in arrivo: tra il mio buono (o cattivo) gusto, la mia grande (o minima) intelligenza, la mia informazione (o mitomania) da un lato e orecchi e occhi di chi ascolta e vede, dall’altro. Si tratta delle ultime conseguenze di quella rivoluzione che, iniziata col web non è ancora conclusa e che in sintesi si può definire: il libero accesso di cani e porci alla comunicazione globale. Le conseguenze sono inimmaginabili e proprio per questo tutti si lanciano a immaginarle e a fare previsioni in base al principio Ogni can mena la coa, ogni minciòn vuol dir la soa e nella fondata speranza che caso mai esse si rivelassero (com’è probabile) clamorosamente sbagliate, nessuno poi se ne ricorderà. Anche chi scrive vuole, impavido, lanciarsi nelle previsioni e così, da can che mena la coa, può ipotizzare scenari completamente opposti. Ipotesi catastrofista L’accesso di tutti alla rete eliminerà la televisione. Già oggi i giovani tendono a cercarsi le notizie nel web anziché nei telegiornali e, dato il livello di obiettività di questi ultimi, è difficile dar loro torto: che un ignoto blogghista non sia peggio di un Emilio Fede o di un Paolo Guzzanti potrebbe anche essere. Ma in questo caso è assai probabile che il livello di ciò che viene fruito scada sotto lo zero. Ben difficilmente infatti si può sostenere che il trash già abbondante in tv e destinato - secondo questa ipotesi - a dilatarsi a dismisura, sia evolutivo solo perché piace alla maggioranza. Se questo fosse il criterio, potremmo tranquillamente abolire le scuole, i musei e l’intera cultura perché alla maggioranza numerica interessano meno del calcio, del gossip, del porno. Senonché i popoli progrediscono quando e se pensano. Se quest’ipotesi s’avvererà, la nostra civiltà finirà nell’immondizia travolta, giustamente, da qualsiasi altra civiltà sia portatrice di un pensiero e di una cultura. Ipotesi utopista L’accesso facilitato al web segnerà la fine di quei governi e di quelle dittature che si basano sulla censura e sull’ignoranza come è anche, sia pure entro limiti considerati accettabili, la nostra (la recente Finanziaria docet).
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Le notizie filtreranno comunque, rimbalzeranno da un computer all’altro attraverso sistemi sempre più efficienti e sofisticati, dando inizio al primo vero episodio di democrazia della storia: quella in cui a chiunque sarà consentito finalmente di far sentire la propria voce. Ipotesi paradossale In tal caso c’è da aspettarsi che i governi ricorrano a tecnologie altrettanto sofisticate per ripristinare le forme di censura divenute inefficaci. E, dati i mezzi di cui dispongono, c’è da aspettarsi che ci riescano benissimo: la maggior libertà possibile potrebbe paradossalmente quindi portare ad una dittatura totale come quella descritta da Orwell in “1984”. Ipotesi pragmatista L’accesso di tutti alla rete avrà lo stesso effetto che ha la stampa di carta moneta senza copertura. L’inflazione di notizie di cui sarà, nella pletora generale delle informazioni, impossibile verificare l’autenticità, porterà all’insignificanza totale delle stesse. In tal caso i governi non avranno nemmeno bisogno della censura, proprio come nel romanzo citato, il Grande Fratello non si curava di controllare i prolet. Ipotesi scettica (E’ il pensiero di mia figlia diciassettenne). Non accadrà nulla, il mondo continuerà ad andare come prima, ma ci saranno in rete tanti cretini in più. V. Policreti
Or ie nt e e Occidente dei tre la rappresentanza di un continente o di una età della vita dell’uomo. Ma la storia più originale attribuisce loro provenienza orientale e attività pagane. E’ interessante immaginare come il Cristianesimo canonico abbia dialogato con molta tranquillità e passione con l’estremo oriente nel quadro della visita dei magi. Una visita che è costata un lungo viaggio e la fiducia in una stella che poteva essere sì un angelo del Signore, come alcune testimonianze sostengono, ma che poteva essere comunque una buona stella e basta. Essi sono astrologi, sono maghi, provengono da lontano e portano con sé tre doni che qualcuno interpreta come simbolici. In questo racconto evangelico, le culture e i popoli si mescolano senza pregiudizi. C’è dapprima l’incontro dei magi con Erode, rappresentante dell’impero romano, poi c’è quello con la famiglia di Gesù, descritto come benevolo e tranquillo, quasi un esempio di ospitalità greca. Infine c’è l’incontro con il divino e il sacro: con l’angelo che li distoglierà dall’ordine di Erode di tornare a indicargli il luogo della nascita del cosiddetto nuovo re. Il loro comparire nei vangeli apocrifi, e bene in quello di Matteo, e il loro durare nell’attenzione dell’arte e della religione, manifestano un esempio di dialogo pacifico tra culture e credenze. Colorano e profumano sorprendentemente d’oriente una storia che ha avuto, invece, in occidente la sua maggiore risonanza e influenza. A. Roscini
Guerra in Iraq: meglio cambiare, no?
l’immensità del suo scorrere impetuoso e l’infinita, a volte immonda, piccolezza dei singoli atti che la compongono. In questo inizio 2007 molto si è parlato dell’esecuzione di Saddam Hussein, intollerabile satrapo medio-orientale, un tempo alleato strategico dell’Occidente, divenutone nemico mortale e, ad oggi, penzolante trofeo da esibire di fronte alla marea montante dello scetticismo planetario su una guerra che si è rivelata persino più stolta dei suoi corifei. L’uccisione di un uomo è comunque atto che fa tremare le vene ai polsi, anche se ad esserne vittima è un tiranno paranoico, sadico e con la coscienza macchiata da litri e litri di sangue innocente. Un atto comunque terribile e sacrale, che si suole immaginare pregno di macabra ritualità e di una sua straziante grandezza. Le trombe propagandistiche erano pronte, tanto che George Bush II, con lo sguardo corrucciato delle occasioni che contano, esplose la frase che immaginava destinata a suggellare la fine della tragica epopea dell’Iraq baathista, affermando che con la morte di Saddam giustizia era fatta, ponendo così una pietra miliare sulla strada per la costruzio-
ne della democrazia irachena. Certo gli europei con la loro fissazione per i diritti civili non avrebbero fatto mancare le loro proteste contro la pena di morte e la caduta del tiranno non avrebbe certo fatto cessare la teoria di autobombe che insanguinano Baghdad, ma la scena, raccontata dalle immagini ufficiali nella sua drammatica compostezza e nella sua storica grandezza, aveva certo una sua plastica potenza. La propaganda americana, però, non aveva fatto i conti con l’efficacia di una terribile arma postmoderna: il videofonino. Proprio una di quelle scatolette infernali, che siamo abituati a pensare nelle mani laccate e ammiccanti di una Paris Hilton, ha aperto in un click il suo obiettivo sull’esecuzione del tiranno iraqueno. E in men che non si dica ha fatto rimbalzare ai quattro angoli del web l’immonda gazzarra che ha accompagnato la fine del dittatore iraqueno, tra schiamazzi, sberleffi, urla belluine e cori ritmati da ultras della Curva Sud. Così le immagini di un’esecuzione che voleva farsi Storia sono state trascinate nell’immonda piccolezza dei filmati più cliccati della rete, perdendo di valore e svelando la loro
cruda, umilante inanità. Il Panopticon internettiano, che combinando l’onnipresenza dei video-telefoni all’interconnessione del web, riversa, sui pc di tutto il mondo, gigabyte di pruderie o di bullismo, ha svelato con un colpo la nudità del re mostrando, come già le foto di Guantanamo, la crudele meschinità della guerra e della sua supposta giustizia. La reazione della Casa Bianca, conscia dell’effetto boomerang che si stava producendo, non si è fatta attendere e si è mostrata persino al di sopra delle aspettative. Lungi dall’assumersi qualsiasi responsabilità dell’accaduto ha scaricato il barile sull’autorità irachena, facendo sapere al mondo intero che durante l’esecuzione il Presidente stava riposando (sic!) nel suo ranch in Texas e che quindi non ha avuto modo di visionare il filmato incriminato. Dunque, se durante la guerra in Vietnam la retorica bellicista fu spazzata via dall’encomiabile lavoro di coraggiosi reporter, oggi basta il click di un videofonino per disvelare la tragica farsa che si sta consumando da quattro anni a questa parte, in Medio Oriente. F. Borzini
La condanna del bullismo è patetica, anzi ipocrita Prima digestio fit in ore, dicevano i latini indicando nella bocca l’inizio della digestione. Traslando il concetto, si può anche affermare che la prima educazione avviene in famiglia. Qui si danno gli esempi, i consigli, le punizioni perchè il comportamento dei figli si conformi alle regole del vivere civile, cioè della società. Ma questa ultima varia a seconda delle mode e dei tempi, per cui per una generazione può diventare lecito quello che era precluso alla precedente, dato che cambiano i modelli di riferimento e le abitudini sociali codificati dai mass-media. La prova? Tutti i ragazzi sotto i diciotto anni vestono alla stessa maniera, al nord come al sud: pantaloni sbracati, mutande in bellavista, ombelichi al vento, scarpe da jogging, telefonino in una mano, spinello nell’altra, lettore mp3 corredato di cuffie alle orecchie. Di chi è la colpa? Non sono un sociologo, ma poiché ho passato quaranta anni nella scuola, dividendo con generazioni di giovani ansie, paure e gioie dell’adolescenza, sento il dovere di dare una chiave di lettura del fenomeno, più in veste di addetto ai lavori che non presumendo di indicare soluzioni. La filiera, dunque, si compone di tre soggetti: famiglia, scuola e società con quest’ultima in veste di giudice spietato, nel senso che rifiuta o emargina elementi di scarso valore, così come il mercato boccerebbe un prodotto difettoso o inutile. Andando a ritroso, la Scuola ha le sue colpe, in specie per aver ceduto al miraggio di voler elevare la quota statistica dei diplomati, chiudendo ambedue gli occhi sul grigiore dell’appiattimento qualitativo, elargendo debiti, facili promozioni, rilassamenti e buonismi con la conseguenza di demotivare i migliori e premiare i fannulloni, convinti, come le famiglie di appartenenza, che il diritto allo studio, sancito dalla Costituzione, significhi diritto al diploma. Latita paurosamente il concetto di meritocrazia con annessi i valori di sacrificio, impegno, correttezza e rispetto per gli adulti, genitori o docenti che
siano. Altrettanto assente è la prospettiva di considerare la Scuola come propedeutica all’ingresso dei giovani nella società. Gli studenti fasulli sdoganati dalla scuola, sono destinati ad alimentare la schiera dei disoccupati o, nella migliore delle ipotesi dei sottooccupati, i quali, presa coscienza dalla penosa inconsistenza vivacchiano senza pretendere, senza aspirare, privi di stimoli ed inventiva. Ma i mali maggiori vengono dalla famiglia, troppo accondiscendente e permissiva, troppo cedevole ed acquiescente nei confronti dei figli. I genitori hanno colpe spaventose da farsi perdonare: dalla scarsa presenza in famiglia alla precarietà del ménage, dall’incapacità a fissare modelli comportamentali a quella di imporre principi di autorità. La forza di dire no nei momenti opportuni e giustificare i motivi della negazione, è di gran lunga maggiore rispetto alla concessione di un sì, sempre e comunque. Mette in pace la coscienza del genitore, crea meno stress, procura meno conflitti. Ma il guaio è che l’atteggiamento buonista della famiglia non risponde solo ad una logica utilitaristica; è diventato costume diffuso, un cancro sociale sviluppatosi sull’onda delle pretese dei diritti senza doveri. La speranza che sia la Scuola a correggere gli errori di formazione civica dei ragazzi è una pia illusione. Lo dico con amarezza. Le carenze comportamentali non subiranno miglioramenti nel corso degli studi perché è la stessa famiglia a condannare ogni iniziativa scolastica che abbozzi schemi autoritari. La condanna del Bullismo è patetica, anzi ipocrita. Ciascuno faccia la sua parte nel ricreare le condizioni di vivibilità sociale. Alla fine, come un giovane cresca, si sviluppi e venga assorbito dalla comunità con i giusti requisiti di digeribilità è un problema che investe ogni cittadino. Ma cominciamo dalla bocca. Ing. Giocondo Talamonti
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Mostra dei Presepi delle scuole e delle cartoline di Natale La Provincia di Terni per la cultura
Natale 1995 PAX ET BONUM
S H A L OM
Pax et bonum: il messaggio universale sintesi della perfezione francescana, accompagnerà i partecipanti alla manifestazione Città di Terni Natale 1995. La Sua Spiritualità pervaderà il corteo cittadino inneggiante fratellanza, le mostre e i presepi delle scuole, i concerti per la pace, le attività teatrali, l’esposizione cittadina degli alberelli, punti di incontro per offrire doni che la Caritas distribuirà ai bambini dell’ex Jugoslavia. Il giorno 28 dicembre, nella Chiesa di S. Francesco, in Terni, dall’incontro tra i frati dei Santuari di Assisi e di Greccio, dell’Eremo di Narni, dei Conventi di Cesi e di Amelia, riecheggerà il messaggio francescano di speranza. Nel sereno abbraccio che gli studenti e le istituzioni di Terni avranno con il Centro Internazionale per la Pace fra i Popoli ed il Santuario Francescano del Presepio di Greccio, fiorirà, in Piazza S. Francesco, l’albero delle adozioni. Ogni famiglia che adotta un bambino deporrà una pietra sui rami d’acciaio. Le pietre proverranno da Betlemme, Gerusalemme, Assisi, Greccio. Nel simbolo dell’albero le anime della città guardiana del verde parco della Valnerina, della città che venera San Valentino, suo Patrono, protettore dell’amore gentile, della città che invia inni alla pace e alla solidarietà tra i popoli nel nome di S. Francesco, si uniranno con l’anima della città dell’acciaio, che Terni ha sempre avuto e che, attraverso gli acciai speciali ed i nuovi materiali, esalterà in nuova vitalissima linfa. Gli studenti, dal cuore sempre verde di speranza e rosso d’amore, nell’immergersi in tali dimensioni evidenziano aspetti pregnanti della istituzione scolastica. Una scuola che vive gli alti valori, che si mobilita per progettare e concretizzare, che invia messaggi d’amore e di pace, che segnala profondamente la sua partecipazione alla vita culturale e sociale, indica con chiarezza e determinazione la centralità del suo ruolo. Studenti, insegnanti ed Istituzioni stringono, per l’occasione, una forte alleanza. La speranza è quella di riuscire, esaltando tali collaborazioni, ad ospitare ogni anno in Terni, città dell’accoglienza, scolaresche provenienti dai vari angoli della terra ove lo spirito francescano non sia ancora regnante e per celebrare e conclamare Pax est bonum.
Shalom! La piazza canta, la piazza prega, la piazza è piena di persone inebriate dal sacro fuoco della speranza. Un attimo, poi, un attimo eterno, di quelli da ricordare nei libri di scuola, di quelli da tenersi dentro come una pugnalata in pieno petto. La piazza si agita, la piazza freme, e piange, e si dispera, e non capisce ma intuisce. Uno sparo ha spezzato le ali del falco diventato colomba, uno sparo che tuona e rimbomba ancora, come le frasi terribili pronunciate dal fanatico assassino di Rabin: L’ho fatto in nome di Dio. Parole incredibili, che ci fanno tornare indietro nel tempo e ci fanno capire (sempre che ce ne sia bisogno) che c’è ancora gente capace ci uccidere per un Dio, per un ideale o per mero egoismo. Ma quello della morte di Rabin è solo un esempio delle mille barbarie che ogni giorno prosciugano una stilla della nostra speranza, e i polsi fratturati di una bambina zingara a Roma, così come i campi di concentramento nella ex Jugoslavia, paiono dirci che no, non si vede più nessuna luce in fondo al tunnel. Eppure qualcosa c’è (non so se sia un’illusione, ma so che c’è e ciò mi basta) che sembra rimanerci dentro, dandoci la forza dì continuare a lottare, una speranza dalla voce flebile e nascosta in un angolo come nel vaso di Pandora. La speranza di poter iniziare a costruire, pian piano, mattone su mattone, magari tra noi giovani, magari nelle nostre scuole, una cultura nuova che sappia forgiare una società davvero diversa. Una cultura della tolleranza, in contrapposizione al-
Giampiero Raspetti - 1995
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l’aberrante fanatismo religioso ed ideologico che chiude gli occhi ed arma le mani di migliaia di persone in tutto il mondo, una cultura della solidarietà che riesca ad arginare l’egoismo dilagante della società dei consumi. Il mondo che ci circonda con i suoi orrori sembra non concederci possibilità alcuna, ma noi siamo così folli da voler provare lo stesso, e così vogliamo iniziare proprio con un gesto simbolico: la costruzione a Terni, durante le celebrazioni natalizie, del cosiddetto Albero delle adozioni. Un albero di pace fatto con i mattoni e le pietre di Assisi, Greccio e proprio di Betlemme e Gerusalemme. Pietre, queste ultime, che più delle altre sapranno raccontarci i fremiti e le ansie di quella gente (Palestinesi ed Israeliani) che, contro ogni forma di oltranzismo irrazionale, stanno tentando di costruire un nuovo mondo fondato sui valori di pace e tolleranza. Francesco Borzini - 1995
IMPRESE - TERNI
Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa
Natale con Noi,
una manifestazione nata da una felice intuizione di persone di scuola, quali Sandra Bianconi e Giampiero Raspetti nel lontano 1995, raccolta con entusiasmo da una donna di grande sensibilità, legata al mondo scolastico, l’attuale Assessore Alida Nardini, è andata crescendo nel tempo, migliorandosi lungo il percorso fino a raggiungere oggi una sua collocazione ideale. Nel cuore della città, in piazza Tacito, i presepi dei ragazzi accanto a quelli degli artigiani in un ideale connubio, grazie alla disponibilità del Cav. Leonardi, Presidente della Confartigianato, del Cav. Pellegrini e di Maurizio Castellani, presidente del CNA, per donare ai cittadini ternani, insieme agli auguri, l’immagine di un Natale che lontano dal caos della vita quotidiana ci riporti alla nostra infanzia, quando il miracolo della nascita di Gesù
Assessorato alla Scuola
era ancora un’emozione da vivere con i propri cari e l’atmosfera di quei giorni ci faceva sentire migliori e più disponibili verso il prossimo. Auguri a tutti di ogni bene e Grazie. Prof.ssa
Sandra Bianconi
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La cultura del libro: una testimonianza di tempi andati Nelle famose riunioni dei mercoledì einaudiani, l’editore sedeva al centro del lato lungo del tavolo ovale, fra Italo Calvino a destra e Norberto Bobbio a sinistra, personificazioni delle due culture che convivevano nella casa editrice. Di fronte stava Giulio Bollati, attorno c’erano Massimo Mila e Cesare Cases, Enrico Castelnuovo e Paolo Fossati, Daniele Ponchiroli e Corrado Vivanti, da Roma veniva Paolo Spriano, talvolta in compagnia di Natalia Ginzburg, di lato si metteva, in religioso silenzio, Roberto Cerati, il potente capo del settore commerciale. Quindi tanti giovani intellettuali: l’enfant prodige Claudio Magris o il futuro editore Carmine Donzelli. Si diceva dunque che il vero merito di Giulio Einaudi come editore fosse quello di sapersi circondare di collaboratori di valore, fin da quando, nel novembre del 1933, la casa editrice apre la redazione in via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato la storica sede dell’Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. L’articolo da cui si riporta il brano è tratto dagli archivi de “La Stampa” Nei tempi andati il libro era patrimonio di chi possedeva i codici espressivi del linguaggio scritto e ci si accapigliava sulle due culture. Oggi non è più così e il dibattito sulle due culture è obnubilato dal progresso tecnologico attore della società dell’informazione in cui viviamo. Si legge di più ma è meno rilevante il numero di coloro che possiedono i codici espressivi del linguaggio scritto. Paradossalmente si dice che c’è più gente che scrive di gente che sa leggere. A questa ignoranza si è aggiunta l’altra - a nostro avviso altrettanto grave - verso il portato della cultura digitale di cui si ignora che è costruita sul pensiero logico strutturato. Vediamo di spiegarci meglio. La tecnologia è in continua ebollizione, promuovendo o cassando innovazioni.
Così il facsimile è riemerso dalla storia delle invenzioni meccaniche ed è diventando quell’insostituibile concorrente del servizio postale che è oggi il fax, miracolo del digitale. Il telex è morto; il Morse tampoco, il telefono analogico invece è diventato digitale e anche videotelefono, telefono cellulare, satellitare. Anche le emissioni in radiofrequenza, con le trasmissioni in digitale, si sono trasformate e oltre a consentire una ricezione sempre più stabile e fedele del suono ci danno sequenze testuali o immagini fisse e in movimento che oltre che essere trasmesse possono essere memorizzate, riutilizzate, ritrasmesse. Così anche la televisione è diventata digitale e trasmigra verso l’alta definizione. Anche l’off line - come si dice con orribile espressione - mette a disposizione media digitali sem-
TEMPI NOSTRI pre più raffinati, sono i DVD Rom e Video - che hanno surclassato per qualità e resa i CDRom, che pure non scompaiono dal mercato - e trasmigrano anche loro verso l’alta definizione. Anche il libro è diventato elettronico con l’e-book. Cosa dire poi della rivoluzione che provoca la fibra ottica, il cavo il satellite ma soprattutto le comunicazioni wireless. Cosa dire delle connessioni on line con Internet a larga banda… Il digitale si nasconde in tutti questi dispositivi e concorre a gestire, memorizzare, elaborare trasmettere via cavo, fibra ed etere ogni forma di messaggio testuale e audiovisivo. Il digitale è il vero attore e attuatore di ogni trasformazione. Tutto ciò va a merito di una nuo-
va concezione di 0 e 1. Qual è la dimensione culturale che si nasconde nelle applicazioni di queste tecnologie? Che impatto ha tutto ciò sulla cultura umanistica? Si può ancora parlare di dicotomia tra cultura umanistica e cultura scientifica? Come i nuovi media tecnologici impattano sulla cultura scientifica? La diatriba appare sfumata, annullata dall’assenza di una cultura scientifica o ancora peggio di una cultura della matematica. L’orrido che oggi incombe, l’orrido che emerge, è l’inadeguatezza generalizzata, presente anche in coloro che usano il computer, a percepire se non a comprendere la logica che si cela nei processi digitali. In altre parole, nella capacità di capire i processi logici strutturati del digitale. Per dirla in soldoni: avviene ciò che si verifica se si
considera l’utilizzo delle diffusissime macchine calcolatrici basate sulla sequenza della serie naturale dei numeri. Tutti le impiegano alla meglio per sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere ma ciò non ha niente a che fare con la matematica e con la corrispondenza biunivoca tra operatori ed operandi. Allo stesso modo chi utilizza qualsiasi strumento basato su digitale, a partire dal personal computer, è addestrato al suo uso per scrivere, per gestire il foglio elettronico, la grafica, anche per leggere e per fruire di tutti gli innumerevoli utilizzi che il digitale consente ma tutto ciò non ha niente a che fare con il pensiero logico strutturato sotteso dal digitale. Come nei tempi andati bisognerebbe cominciare dalla scuola perché domani il pesce non puzzi dalla testa. Egidio Pentiraro
Honorè De Balzac
Roberto Cerati
Giampiero Raspetti
U n u o m o c h e non legge b u on i lib ri non ha alc un vant aggio r ispe t t o a que llo c he no n s a le g g e re
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Una notte d’amore è un libro letto in meno
Se un amico vi regala un libro è veramente un amico
Amo
Amo i libri. I miei libri… cosa sono per me? Oh, è semplice: sono gli usignoli e i nidi, gli orti, i boschi illuminati dalla luna... sono i miei amici, la mia chiesa, la mia osteria e la mia unica ricchezza (Richard le Gallienne). Io li dispongo ovunque, ammonticchiati o ordinati, qua e là, nei ripostigli come nelle sale, giacché una stanza senza libri è come un corpo senz’anima (Cicerone) e, poiché i libri sono le finestre dalle quali lo spirito guarda fuori, una casa senza libri è come una stanza senza finestre (Henry Ward Beecher). Non c’è davvero mobilio più incantevole dei libri (Sydney Smith). Io cerco la tranquillità, ma il vero riposo lo trovo soltanto in un cantuccio con un piccolo libro (Saint Francois de Sales). E così ogni angolo della mia casa è per me una splendida corte, dove converso spesso con i vecchi sapienti e i vecchi filosofi (John Fletcher), dove navigo attraverso i tempi, senza la contaminazione o l’affanno dei tempi: nessun vascello c’è che, come un libro, possa portarmi in contrade lontane (Emily Dickinson). E rifletto, collego, sogno… dietro ogni libro c’è una somma di azioni, pensieri, inquietudini, angustie, decisioni e speranze condivise giorno per giorno, ora per ora (Valentino Bompiani). M’apparto sovente insieme ai miei amori perché l’opera dello scrittore è uno strumento ottico che mi permette di discernere quello che, senza libro, non avrei forse visto in me stesso (Marcel Proust). Concentrato nei miei pensieri, mi sento davvero vivo, mi sembra di parlare con me stesso (Jonathan Swift). Corro anche il rischio di diventare un po’ orso in quanto più s’allarga la mia conoscenza dei buoni libri, tanto più si restringe la cerchia degli uomini la cui compagnia mi è gradita (Ludwig Feuerbach). Leggo non per contraddire e confutare; non per credere e accettare, non per trovare materia di discorsi, bensì per soppesare e giudicare… (Francesco Bacone). I libri governano il mondo. Questo è sufficiente per sapere quanto sia importante la professione del libraio (Jean Barbeyrac). Mark Twain
Chiare e
dolci acque
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. S. Francesco d’Assisi Le degradanti e verdeggianti colline, le scoscese ed aspre pareti dei monti, le fragorose cascate e gli impetuosi torrenti, le anse dei fiumi, le sorgenti ristoratrici, le fertili ed ubertose pianure Lui le conosceva bene. Aveva percorso le laboriose contrade umbre, giovane e irrequieto figlio della ricca borghesia dei commerci, prima di vestirsi del solo mantello della povertà per compiere un’irreversibile e compassionevole scelta a favore degli umili e dei derelitti. E’ stato proprio accanto alle innumerevoli fonti, dove spesso sostava per riposare e per alleviare i propri malanni, che è entrato in contatto con le tante sofferenze che la penuria di cibo, le ferite mal curate, le pestilenze e le carestie di quei secoli bui procuravano alla gran parte dell’umanità. E dove se non lì, nel luogo in cui l’acqua sgorga fresca, cristallina, salubre, dissetante, lì dove da tempo immemorabile era tenuto vivo il culto di divinità legate alla vita, alla rigenerazione e alla rinascita, poteva maturare in Francesco l’idea di meditare sulla natura, su come sia umile e remissiva l’acqua, eppure come sappia scavare la roccia, come sia chiara e fresca e come lenisca le ferite e ravvivi le forze sia degli uomini che dei campi riarsi?
La sua laude rivolta al Creatore voleva essere un inno di ringraziamento per tutte le cose belle donate agli uomini. Oggi noi sappiamo, senza nulla togliere alla poesia e alla fede, che tutto dipende dalla storia geologica del nostro territorio che ci informa delle immani catastrofi avvenute nel sottosuolo, delle fratture e degli scorrimenti di strati rocciosi, delle sedimentazioni di detriti e dei modellamenti di monti, valli e pianure. Da questa antica sofferenza è nata la nostra attuale ricchezza dovuta sia alle suggestive cascate, ai torrenti e ai canali sia alle ottime acque di sorgente e di falda. Il sistema idrografico del nostro territorio presenta una notevole abbondanza di acque: oltre al fiume Nera con i suoi affluenti Serra e Naja, al Velino e al suggestivo lago di Piediluco, il fenomeno più caratteristico è dato dalla Cascata delle Marmore le cui acque, tramite il Nera, confluiscono nel Tevere. Tra le tante gioie del nostro pur ricco forziere una menzione particolare meritano le sorgenti minerali e termali. Tali acque devono il loro pregio alla struttura geologica ed alla composizione mineralogica del sottosuolo oltre che alle particolari condizioni climatiche.
L’originale dislocazione degli strati calcarei di antica origine frammisti a stati impermeabili di argilla e la presenza di numerose fratture di faglia consentono alle acque di giungere a profondità rilevanti. Durante questa lenta discesa si caricano dei tanti sali minerali di cui sono costituite le rocce attraversate. L’incontro, infine, con i vapori caldi ascendenti dalle profondità del sottosuolo ne definisce le più diverse caratteristiche e proprietà. Così, in un territorio relativamente ristretto quale quello umbro, è presente una gran varietà di acque minerali e curative, alcune delle quali ricordate ed apprezzate in tutto il mondo, altre, pur di grande qualità, sono meno note o addirittura sconosciute. Un accurato censimento elaborato alcuni anni addietro registra, accanto alle più note fonti dai requisiti indiscussi ed apprezzati come le sorgenti di San Gemini, Amerino, San Faustino, Nocera Umbra, Sassovivo (Foligno), Salicone (Norcia), Furapane (Acquasparta), La Rocchetta (Gualdo Tadino), oltre cinquanta stazioni idrotermali che, apprezzate fino a pochi anni addietro, oggi sono completamente dimenticate oppure tenute in debito conto dai soli abitanti del luogo. E’ una notevole ricchezza che, visto il gran vociare che si fa sulle nuove frontiere dello sviluppo e viste le pur
necessarie innovazioni che un’economia globalizzata impone ad un paese come il nostro non più concorrenziale sul versante della produzione merceologica matura, varrebbe la pena di rimettere sul mercato delle opportunità da sfruttare. Il riferimento va non tanto alla commercializzazione come acque minerali da pasto usate troppo spesso a sproposito in sostituzione della pur ottima acqua potabile dei nostri acquedotti, ma al rilancio delle acque minerali come coadiuvanti del benessere psico-fisico nei luoghi dove esse sgorgano. Come infatti ben sapevano i nostri antichi progenitori che di cure termali se ne intendevano e come le moderne ricerche sulla salute hanno confermato, i benefici terapeutici che dalle acque minerali si possono ottenere, sia che vengano somministrate per bibita o per bagno, oppure nebulizzate o spalmate sul corpo tramite fanghi, non sono dovute alla sola e ben determinata natura chimica e fisica dell’acqua, ma anche a quel complesso di fattori che sono presenti sul luogo della sorgente. Deve quindi essere tenuta in molta considerazione l’azione catalizzatrice e la radioattività del luogo, elementi che dipendono dalle acque, dalle rocce da cui scaturiscono,
dal clima e da tutte quelle proprietà fisiche e chimiche del contesto territoriale che formano nell’insieme quel quid indissolubile da cui l’intero organismo trae giovamento. L’Umbria si presenta, quindi, sempre di più come una regione a dimensione umana caratterizzata da spiritualità, arte, cultura, natura, cibo genuino e benessere psico-fisico. Sono certamente questi alcuni importanti ingredienti con cui costruire il nuovo futuro. Albano Scalise
TERNI La favola S econdo brano di favola. G ennaio, mese molto
piovoso, solitamente. TERNI la favola, favola come sapete, prosegue proprio parlando dell’acqua (noi ternani potremmo davvero dire aqua me genuit). Il titolo della seconda favola è dunque: Chiare e dolci acque. Quello della terza: L’acqua e le sue proprietà. E tu, caro ed affezionato lettore, stai scrutando gli orizzonti per intuire-indovinare gli sviluppi successivi? Buone riflessioni! GR
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G i t a n i
IL FINESTRINO Partì la musica nelle orecchie come partiva quel treno che cominciava a far correre le cose fuori da sé: gli alberi e il cielo si muovevano all’indietro, quasi come se il finestrino somigliasse ad uno schermo immobile che visualizza immagini in movimento. Emma sedeva quasi sprofondata nel sedile di un vagone qualunque e pareva non voler uscire dal suo piumino scuro ancora serrato fino agli occhi. D’improvviso la colse un brivido. Lo sentì partire dalle spalle, diffondersi nella schiena e poi schizzare di nuovo su per la nuca fino ad uscire dalla testa: era per il freddo che poco prima aveva ingannato i suoi abiti pesanti penetrando attraverso le guance, il naso e le mani fino alle ossa. Emma sentì che la musica alle orecchie stonava e frastornava: era come se le note combattessero con delle spade contro il suo stesso caos mentale e contro il rimbambimento tipico del mattino presto, quando la sveglia suona e taglia come uno strappo sulla pelle. Emma tolse le cuffie e spense tutto. Aveva bisogno di pensare. La sua vita era attualmente un tale incontro e scontro di cose che ne stava perdendo il controllo, ma in fondo le piaceva. Aveva scoperto molte cose: si era resa conto di come le persone piombano nella nostra vita e giungono fin dove noi le facciamo arrivare. Se invadono, se ci invadono e ci soffocano, e ci imprigionano, e ci vietano e non ci permettono, è perché glielo abbiamo permesso noi. Forse è un nostro desiderio profondo ed inconsapevole quello di essere governati e dominati. Ed è anche una bella scusa nei confronti di noi stessi vedere quest’oppressione come irreversibile noi siamo vittime…povere vittime! Emma si era stupita di quale grande arma fosse il vittimismo, ossia il porsi come colui che è sottomesso ed indifeso.
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Creava un potere schiacciante perché chi si presenta sotto queste vesti non può che trovare compassione, aiuto, una parola gentile, due occhi grandi che ascoltano e luccicano, e forse una o due pacche sulla spalla o, nelle condizioni migliori, un abbraccio. E invece questa pecorella smarrita non è altro che un individuo con una grande rabbia repressa. Non riesce a tirarla fuori e spesso pensa di non averne sentendosi ancora più puro ed angelico. E invece la rabbia è così sana che può e deve essere manifestata. Emma sentiva la voglia di gridare ai quattro venti quale tumulto avesse in testa in quel momento ed in quei giorni. Credeva che da grande sarebbe diventata una pazzoide artista della vita, con la passione per l’arte nella corrosione delle cose al fine di arrivare al loro senso profondo. Oppure si vedeva di fronte ad un caminetto acceso con un compagno (povero compagno!), un pazzo anche lui, con una forte inclinazione verso il disequilibrio che di solito crea disorientamento negli individui, e che invece lo eccitava. Signori svegliatevi, cos’è questo torpore? L’omone davanti ad Emma aveva un sonno pesante ed un’espressione rugosa e vestito di tutto punto chissà dove se ne andava. La ragazza di fianco dormiva poggiata da una parte, con le dispense in mano e la matita ciondolante tra le dita. E’ impressionante come si possa stare così vicino a delle persone ma esserne così lontani. Il treno correva col solito moto ingannevole di alberi e cielo. Si avvicinava la città, cominciavano a vedersi le case. La vista dei graffiti sui muri le avrebbe indicato che era l’ora di prepararsi perché quasi arrivata. La gente cominciava ad alzarsi, ecco il cartello con la destinazione e poi i graffiti… giadafuccelli@libero.it
Antonio é gitano… sposato con Maria, di etnia gitana anche lei. Hanno 7 figli: la piu grande Rocio di 17 anni, il più piccolo ancora non cammina... Maria, il suo grande amore fin da piccoli, è ancora piacente. Occhi e capelli neri, che lei mantiene scrupolosamente puliti e spazzolati; ha i fianchi larghi per i tanti parti e le gambe stanche per il lavoro. Sono ambulanti... Tutti i giorni della settimana, Antonio carica il furgone di vestiti e golfini e porta Maria al mercatino, ogni giorno uno diverso, scarica la merce e va via lasciandola con le altre donne gitane ad apparecchiare la tavola con la roba da vendere. Antonio non è andato a scuola, i gitani non studiano, imparano nella scuola della vita, ma sa che gli uomini gitani non aiutano le loro donne... verrebbe a mancare il prestigio della famiglia, l’uomo è il re, padrone e signore della donna e dei figli, sono loro che devono servire a lui, ma... lui vuole bene alla sua donna e la vede lavorare tutto il giorno, accude tutti, piccoli, grandi, sempre con il sorriso, quel suo sorriso caldo... lei che non sa nemmeno leggere, vorrebbe che le figlie andassero a scuola, che avessero una vita migliore della loro... E così tutti i giorni Antonio, quando lascia Maria al mercatino, fa finta di andare al bar come gli altri, e invece torna a casa dove lo aspettano Rocio e suo marito, un gitano solo di poco più grande di lei; ha voluto sposarsi, lui non l’ha costretta, le donne gitane si sposano molto giovani, si fidanzano appena nate, sono i genitori che decidono per loro. Ma questa volta no, lei ha voluto Curro, e aspettano un figlio, e così Antonio prende loro due nel furgone carico di cocomeri e li porta a un altro mercato, poi torna a casa prende le piccole e le porta a scuola. Maria sa tutto questo e sa anche che davanti agli altri Antonio deve far finta di essere diverso... e riderà e scherzerà con loro intanto che le loro donne si ammazzano di lavoro. Ma sa anche che lui è veramente il suo compagno, che la ama, e si sente sicura con lui. Ieri li ho visti come al solito, lei lavorando e lui fumando un sigaro, fiero come un uomo gitano, ridendo e scherzando con gli altri. Mi ha salutata, e così per scherzo gli ho detto... ma Antonio, come mai lasci tua moglie, poverina, sempre a lavorare, e tu sei al bar. Lui ha guardato gli altri gitani e mi ha detto molto fiero... sa signora io sono gitano e noi gitani facciamo lavorare le nostre donne, perché così non hanno tempo di pensare... Dopo ha guardato Maria... è diventato rosso ed è andato via... Senia Sánchez Martin
POSTI Ora, finalmente, c’era la ricreazione. La lezione di matematica era sempre la più dura. Per quanto impegno e passione ci mettesse, i bambini erano disattenti, rumorosi, spesso maleducati. Talvolta era costretta ad alzare la voce, con l’unico risultato di venire sbeffeggiata per il suo accento meridionale. Il padre di uno degli alunni si era anche lamentato, perché suo figlio gli aveva detto che la maestra era cattiva. Lei non si sentiva per niente cattiva, anzi: era sempre stata amatissima dai suoi alunni. Tutte le mattine faceva venti minuti di metro e quindici di autobus, poi ancora cinque minuti a piedi, in mezzo all’umidità e al freddo che le assorbivano il pensiero, ed il vento invernale, quando c’era, che le smangiava il viso. Estrema periferia, norditalia, supplenze di scuole elementare, i suoi venti anni, ormai quasi venticinque. Non si sentiva cattiva, forse eroica. Quel giorno la lezione era filata via liscia. Aveva mandato Marco alla lavagna a correggere i compiti. Marco era il suo preferito: se avesse mai avuto un figlio, lo avrebbe voluto in quel modo. Era riuscita a concludere l’ora senza alzare la voce neanche una volta. La sera prima ne aveva parlato a lungo, con Antonio, e lui l’aveva spronata a resistere, a non perdere la pazienza, a non urlare. Le aveva ricordato da che famiglie disastrate venisse la maggior parte dei suoi alunni. Le aveva parlato di genitori assenti, spesso violenti, talvolta in galera, di degrado, di confini già tracciati, di un cielo bassissimo, troppo pesante da sollevare per le spalle di quei bambini. Poi le aveva detto di un poeta, le aveva fatto leggere una poesia, lei l’aveva ricopiata su un foglio e se l’era portata a scuola. Coglierò per te/l’ultima rosa del giardino, iniziava. Le piaceva immaginarsi a trent’anni. Sarebbe stata smemorata, come nella poesia? Oppure Antonio l’avrebbe aiutata a correggere anche
VUOTI quel difetto? Intanto quella sera sarebbero dovuti andare da Ikea, per iniziare a comprare qualcosa, dare un’occhiata in giro. Essere economici, bisognava. Non poteva contare neanche su una lira dalla famiglia. Se avessero saputo che andava a vivere con Antonio sarebbero venuti a riprenderla. Era felice? La sera prima Antonio glielo aveva chiesto e non aveva saputo rispondere bene. Era più che felice, ma anche molto spaventata. Intanto, pensare a comprare un po’ di lenzuola e qualche stoviglia. Ora, durante la ricreazione, avrebbe stilato la lista di quello che serviva, suddivisa per categorie: fondamentale, importante e poco importante. Le lenzuola erano fondamentali, tanto per cominciare. Prima però avrebbe copiato la poesia di Antonio nell’agenda. Coglierò per te/l’ultima rosa del giardino, iniziò a scrivere arrotondando il più possibile le lettere, cercando di non lasciare spazio alcuno tra le righe dell’agenda e le lettere. In quel momento era essa stessa una delle sue alunne. Cercava di tenere la mano più ferma che poteva, di modo che la bellezza di quelle parole fosse trasmessa in una forma degna di ammirazione. Costruiva una cornice perfetta intorno ad un sentimento perfetto: gli occhi le brillavano di passione. I bambini giocavano tra loro, scherzavano, vociavano. Quando uno di loro scivolò mentre correva e batté violentemente la testa su un banco, lei era arrivata a copiare l’ultima riga. Tutte le voci ed i rumori e le melodie del mondo caddero a terra, improvvisamente e dolorosamente, come un libro lasciato cadere sul dorso. Si alzò bruscamente dalla sedia e si slanciò verso il bambino steso al suolo, forse immobile. La sedia, che lei aveva urtato nella foga, per un po’ ballò oscenamente sulle note di quel dolore. Infine, dolcemente, tornò ad adagiarsi sulle quattro gambe, indifferente. feyeem@gmail.com
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La vera guerra degli USA è contro l’EURO-pa Gli Usa hanno fondato la loro fortuna sull’economia. Come hanno iniziato? Nel 1971 il governo americano assicurò la piena conversione del dollaro in oro e questa garanzia di convertibilità conferiva al dollaro la nomea di moneta più sicura del mercato. Negli anni sessanta, grazie alla guerra in Vietnam, gli Usa avevano iniziato a stampare una gran quantità di dollari per acquistare beni economici di altri paesi. Quando tali paesi chiesero la conversione in oro l’America rispose No! Improvvisamente terminò la convertibilità del dollaro in oro! La moneta americana non era più una garanzia, quindi urgeva un nuovo piano per sostituire l’oro e aumentare così la richiesta di dollari nel mondo. Il degno sostituto dell’oro fu il petrolio. Tra il ‘72 e il ‘73 gli USA stipularono un accordo inviolabile con l’Arabia Saudita: l’America dava il sostegno alla casa Saudita e gli Arabi avrebbero accettato solo dollari in cambio del proprio petrolio. Il resto dell’OPEC seguì l’esempio. Il petrolio da allora è una garanzia per l’America: se venisse a mancare il suo controllo sul petrolio, la grande potenza potrebbe crollare! Ma indovinate chi fu il primo a pretendere di esser pagato in euro per il proprio petrolio?… Già! Proprio Saddam Hussein, che ora non c’è più! Quando altri paesi come l’Iran hanno chiesto di farsi pagare in Euro, il pericolo per il dollaro è salito a livelli vertiginosi.
Cosa poteva fare Bush? Semplice: passare ad un’azione punitiva, tramite la strategia militare colpisci e terrorizza. Agli Stati Uniti non interessavano gli armamenti di Saddam (di cui non vi era traccia, tra l’altro), non interessava nemmeno diffondere la democrazia (è una cosa alquanto improbabile pensare di portare la democrazia con le armi in mano). Agli USA interessava il petrolio iracheno e la salvaguardia del mercato petrolifero del dollaro. L’esempio era stato dato: chiunque volesse valute diverse dal dollaro sarebbe stato punito! Tutto ciò ci facilita l’interpretazione dei fatti odierni. La paura che genera in Bush & Co. il governo iraniano è data dalla Borsa petrolifera iraniana, che presto nascerà secondo propri piani, basandosi sul commercio del petrolio in Euro.
www.abitareinumbria.it
Se ciò accadesse gli Europei vedrebbero scendere di molto il prezzo del petrolio, dato che non dovrebbero più utilizzare dollari per comprarlo! Diminuirebbero le quantità di dollari in possesso dei paesi più ricchi e aumenterebbe la richiesta di Euro. In parole povere verrebbe privilegiato il commercio con l’Europa! Questo sarebbe un duro colpo per gli Americani: ecco perchè Bush necessita di un nuovo intervento punitivo. La guerra in Libano sarà in futuro un ottimo pretesto per attaccare i dissidenti iraniani!
Ci sono altri dati a sostegno di tali ragionamenti: i giornali e le tv spesso cercano di fare di tutto per far passare l’Iran come la nazione che vuole distruggere con bombe atomiche il mondo. Ma quale è stato il primo e l’unico Paese a sganciare due bombe atomiche su civili? Non dovremmo allora temere anche Francia, Inghilterra, USA, India, Cina, ecc…? I filtri dei media ci dicono di no. Come ha sottolineato tempo fa il leader iraniano, l’uranio impoverito serve soprattutto ad accrescere le risorse e le conoscenze di tipo medico ed energetico, non solo a costruire testate nucleari (oggi alla portata di tutti). L’Iran da anni porta avanti un progetto anti-capitalista per decentrare il potere che da decenni è nelle mani dell’America. Questo porterebbe ad un forte abbassamento dei prezzi
del petrolio e ad una grande risalita economica per tutti coloro che commerciano con monete diverse dal dollaro. Per non parlare del progetto di costruire macchine a energia solare... Sapete dove e quando è stata ultimata la costruzione della prima macchina ad energia solare? Indovinato: in Iran... il 15 Maggio 2006 (proprio quando l’America iniziava a minacciare più fortemente l’Iran per gli studi sull’uranio impoverito). I giornali occidentali continuano a mostrarci l’Iran come un mostro pericoloso per l’incolumità del mondo, ma quella del solare è energia gratuita, che non porta a fare guerre di liberazione, non inquina, non fa rumore, non ci fa perdere tempo per fare il pieno, non ci fa venire i tumori: non fa male! Ha solo un difetto: non fa accrescere l’economia Americana, basata sullo strapotere del dollaro nel mercato del petrolio, per il quale si continuano a fare tante guerre! Il nostro compito è quello di fare controinformazione: non vogliamo dare ad intendere che l’Iran sia un’isola felice in un mondo di cattiveria e interessi, ma ci riteniamo fuori dalla logica del seguire tutto ciò che i Media occidentali vorrebbero darci a bere. Gli organi di informazione sono controllati da tempo, si sa, ma è con la conoscenza che ci si può difendere; sfruttiamo l’unico mezzo ancora incensurato: la Rete! Gli Amici di Beppe Grillo Terni
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Quando il cucciolo dell’uomo viene allevato dagli animali
Tarzan e Mowgli, oltre ad essere i protagonisti di due ottimi libri per ragazzi, hanno in comune una singolare vicenda: sono stati adottati ed allevati da animali. Questa innaturale condizione non è però il mero frutto di fervide fantasie, poiché è stata più volte osservata nella realtà. Invero la letteratura specialistica ed anche la stampa divulgativa hanno segnalato molti casi, un buon numero dei quali non suffientemente documentati, di bambini allevati da lupi, cani, scimmie, antilopi, bufali, orsi, ecc. Tale fenomeno, com’è intuibile, ha sempre destato grande interesse sin dai secoli passati: Plinio ne fece oggetto di attenzione e successivamente (nel secolo XVIII) Linneo ed altri studiosi tentarono di dare delle risposte agli interrogativi che una realtà così inquietante e misteriosa poneva. Molto verosimilmente queste sfortunate creature hanno iniziato il loro percorso involutivo sottraendosi alla custodia dei genitori o di altre persone, ma si sospetta che gli stessi parenti possano aver abbandonato nella foresta bambini che palesavano patologie o che erano semplicemente indesiderati.
Gli scenari in cui si sviluppa buona parte di tali avvenimenti sono località ai margini di foreste, caratterizzate anche da condizioni socio-economiche di grande precarietà. Quello che più stupisce è come bambini totalmente indifesi siano riusciti sia a sopravvivere sia a non essere sbranati da animali predatori. Per tentare di dare una spiegazione al fenomeno, a mio avviso, si rendono necessarie alcune considerazioni introduttive. L’età media dei cuccioli d’uomo scoperti è intorno ai nove-dieci anni e si può presumere che l’incontro con il genitore-animale sia avvenuto molto prima e, pertanto, siano interconsi diversi anni fra la scomparsa e il ritrovamento del bambino. Questa considerazione sembra suffragata dal fatto che gran parte di tali creature presenta adattamenti morfologici, fisiologici ed anche comportamentali che verosimilmente richiedono vari anni per svilupparsi. Ne segnalo alcuni a titolo di esempio: spessi calli alle ginocchia (determinati dall’andatura a quattro zampe), dentatura conformata al nuovo regime alimentare, struttura muscolare molto sviluppata (sopratutto negli arti inferiori), marca-
tura del territorio con urine ed escrementi, ecc. Dunque, si può ipotizzare che i bambini siano venuti a contatto col mondo degli animali selvatici (va però segnalato che in alcuni casi il ruolo di madre adottiva è stato svolto da cagne) in giovanissima età. Ed è questa condizione che ci può far conpredere come tali creature siano riuscite a sopravvive in ambienti molto difficili. Gli etologi (Lorenz e successivamente Mainardi) hanno evidenziato che i piccoli dei mammiferi (uomo compreso) e degli uccelli sono caratterizzati da peculiarità morfologiche (sostanzialmente: testa grande ed arrotondata, fronte ampia e convessa, occhi grandi e posti al di sotto del tratto mediano del viso, arti corti, corpo arrotondato) e comportamentali (vocalizzazioni) che sono in grado di inibire atteggiamenti aggressivi e, nel contempo, di attivare impulsi protettivi ed anche parentali. Questi segnali infantili, dunque, scatenano meccanismi innati i cui effetti possono superare la barriera della specie di appartenenza. Alla luce di tutto
ciò, appare verosimile il caso di un bambino che, smarritosi nella foresta, venga adottato da una femmina di lupo (o di un altro animale) che abbia perso i suoi cuccioli e disponga ancora di latte. Le storie di Tarzan e Mowgli si concludono lietamente: i protagonisti vengono reinseriti nel mondo degli umani, s’innamorano di una bella ragazza che ricambia i sentimenti... e vissero felici e contenti. La realtà, per converso, ci propone degli aspetti raggelanti. Questi bambini, infatti, nonostante le cure prodigate da esperti e da persone care, hanno grosse difficoltà ad adattarsi alla nuova condizione umana. Il loro processo di apprendimento è stentato e le capacità intellettive, secondo i nostri parametri, appaiono decisamente ritardate. Ma se si pone attenzione al fatto che queste creature sono passate repentinamente dal mondo animale a quello umano, sorprende la loro capacità reattiva e la plasticità comportamentale, che non trova alcun riscontro fra gli animali. Molti di questi bambini hanno imparato a dire qualche parola, ad usare le posate, a lavarsi e stare eretti ed anche a sorridere (può apparire strano, ma il sorriso è una forma di espressione tipica della nostra specie, anche se alcune scimmie pongono in essere dei moduli comportamentali simili). In altre parole, questi sauvages sono le vittime inconsapevoli di una sorta di imprinting errato e il film della loro vita è stato quasi completamente girato nei primi anni della loro esistenza, anche se qualche pezzo di pellicola rimane ancora disponibile. Tutto ciò amareggia fortemente.
IL CUCCIOLO del
V E R M E
Verme o verma? Lontanissimi dall’eruttar baggianate profetico-previsionali d’inizio anno (vital linfa per pelosetti rotondetti), NOIANTIMAGORASPUS, imponiamo, per il 2007, una problematica audace, vero assillo esistenziale, tematica dalle conseguenze sociali ed emozionali per il momento inimmaginabili. Soltanto elevatissime cime culturali potranno, ma appena, avvicinarsi alla soluzione. Se qualcuno avesse poi la possibilità, attraverso amici o confratelli, di farla giungere sul tavolo di Bushino la volpe allora potremmo immancabilmente incanalare tutti i sui personalissimi impegni ed interessi alla soluzione del tremebondo interrogativo traendone, come risultato, l’azzeramento dell’estenuante contenzioso dollaro-euro! Pubblichiamo anche una foto, per favorire ricerche e studi. NOIANTIMAGORASPUS non abbiamo mai vaticinato, ma, maieuticamente o euristicamente, aiutiamo a sciogliere i veri misteri della vita. Decretamus igitur
VERME o VERMA? il tema principe, vitale ed esistenziale dell’anno tutto. Risolviamolo insieme! Un primo aiuto: www.openscience.it COPPA TETA ANTIMAGO RASPUS
Ivano Mortaruolo
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