Città gemelle
Piero Fabbri
N° 1 - Gennaio 2008 (51°)
Le grandi città, viste sulle mappe, somigliano spesso a macchie di caffè inscatolate in poligoni irregolari di tratti autostradali, con i raccordi a fare da vertici. Torino invece si limita a due sole tratte: la tangenziale Sud, che riceve i flussi di auto dalla penisola e dalla Liguria, e la Nord, che invece si apre verso la direttrice di Milano. Entrambe si adagiano ad ovest della città: il lato orientale rimane del tutto privo d’autostrade, protetto com’è dal Po e dalla collina. Il punto di saldatura delle due tangenziali è il nodo da dove si dipartono i flussi che si dirigono verso la Francia, e questo accavallarsi di infrastrutture è cruciale nell’economia della città: qui si trova una delle uscite più importanti: C.so Regina Margherita, che immette direttamente lungo l’arteria che meglio attraversa la città da occidente a oriente. Entrare in Torino da Ovest significa avere le Alpi alle spalle e la città disposta all’accoglienza di fronte, con un maestoso viale alberato che si restringe man mano che ci si avvicina al centro, pur senza ridursi mai troppo, neppure quando finalmente si adagia in riva al Po. Per un ternano, entrare così era quasi un pellegrinaggio della memoria, perché la città più industriale d’Italia mostrava proprio in quel lungo viale alberato un’industria oriunda e sorprendente, nella patria della Fiat. Fino a pochi anni fa l’insegna recitava Terni Acciai Speciali, e il ternano, turista o emigrato che fosse, non riusciva a trattenere un sorriso di complicità. Terni, la sua città, portata quassù dalla Terni, l’acciaieria. Da un po’ di anni l’insegna è cambiata: Thyssen-Krupp dicono ora le lettere al neon, e il binomio straniero ha rubato un po’ di nostalgia ai pochi umbri che la notano, ma in fondo loro sanno bene che quei nomi sono gli stessi che si vedono in Viale Brin, lungo la strada dritta che esce da Terni in direzione nord-est, pronta a perdersi nella Valnerina selvaggia. E se a Terni, città-fabbrica come nessuna altra, tutti gli abitanti regolavano il ritmo della giornata col suono della sirena che chiamava i turni dell’acciaieria, Torino ha similmente sempre modulato il suo respiro su quello della Fiat, polmone di lamiera e ciminiere che ritmicamente inspirava ed espirava operai e biciclette dai cancelli di Mirafiori. Città scandite dalle fabbriche, unite da una sorellanza industriale che ha marchiato il XX secolo, ma che non marchierà più questo XXI. E come sorelle non vivono la loro familiare intimità mostrandola troppo in giro: c’è, esiste, e tanto basta; chi vuole vederla sa dove guardare. Sta perfino nei due simboli cittadini, apparentemente così diversi - la Mole e la Cascata - eppure magicamente uniti dall’esatta coincidenza dell’altezza, che peraltro è la caratteristica essenziale di entrambe. Centosessantacinque metri da terra a cielo, tutte e due. La sorellanza c’è, c’era già. Non era necessario rinsaldarla così. Occhi ternani imprigionati da un televisore torinese vedono alternarsi immagini di C.so Margherita e di Viale Brin, sentono luttuosi accenti operai e umbri accavallarsi ai toni parimenti luttuosi e operai della parlata torinese; vedono lunghi e mesti cortei fatti da tute blu e manifesti rossi muoversi identici su sfondi diversi e distanti, ma ugualmente familiari per un ternano a Torino. Città-fabbrica, città operaie entrambe; e ormai entrambe pronte a dimenticare la loro natura, per cambiare col mondo che cambia. Città che hanno condiviso buona parte del passato e che sembrano pronte a condividere anche l’immane fatica della reinvenzione del futuro. Città che condividevano già molto, quasi un intero destino: non avevano affatto bisogno di condividere anche un rogo, un inferno, e sette funerali.
Emanuela Ruffinelli
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Giovani lavoratori o razza d’annata, M. Lando N O V E C E N T O , P. S er i U n a m o b i l i t à s o s t e n i b i l e , J . D ’ A n d ri a Diritti Umani, M. R i cci E mo’ sta a rosica’! , F. P a t ri zi La sindrome del Grillo Parlante, S . Mo ro ni I l p i a c e r e , C . C a rd i n a l i Come funziona l’homo sapiens, G. Giorgetti, V. Policreti S c u o l a : I t a l i a o C i n a ? , MR G e m e l l a g g i : c o m e e p e r c h é , A. Melasecche 7 Scuola elementare 8-9 L i c e i 10 S c u o l a m e d i a Grazie , G. Raspetti ACI Terni - Intervista al Sen. MA Bartolini , G R RENATO DONATELLI , A. Ceccoli, L. Barnabei Lettera del Preside Brunero Brunelli P o e s i a m u s i c a e s i l e n z i o , B. Ratini Arte vs razzismo, A. Roscini G i u s e p p e G a r i b a l d i , G . Ta l a m o n t i Morti bianche, GR Al di là della superficialità , C . Ma n t i l a cci D a l l a A a l l a A , F. M. B i l o t t i Lui e lei non si capiscono , S M & G C
Tra di noi DECORRENZA DEI TERMINI Attenzione, non significa ASSOLTO... ma non punibile per ddt. Andranno in galera solo i delinquenti poveri? FALSO IN BILANCIO Pene durissime... in America... da noi è o non è REATO?
GIOVANI L AVOR ATOR I o RA ZZA D’ ANNATA
Avremmo voluto solo dire anche in questa occasione: Siamo con Voi, con le Vostre sofferenze, dalla parte del dolore patito. Gli eventi ultimi, in tutta la loro tristezza, permettono solo riflessioni generali rivolte al contesto lavorativo giovanile. In questi giorni qualcuno ha addirittura sostenuto che gli operai delle acciaierie, facendo un lavoro sporco e pericoloso, non meritino considerazione in quanto razza dannata (o razza d’annata). Nel paese del cuore in mano e delle grandi accoglienze, quei ragazzi con elmetto e tuta blu, in un’annata storica, li avevamo lasciati, meno di tre anni fa, in mezzo alla strada, accampati al freddo e al gelo a rivendicare un posto da operaio alle acciaierie. Laminatore invece di Bamboccione o futuro Barbone. Solidarietà e visibilità espresse, fuori del comune. La partita del Magnetico si collocava in un periodo di grandi appuntamenti. Un’occasione da non perdere. Pochi gli assenti. Si chiedeva la chiusura del Magnetico, in cambio dell’affermazione di Terni come polo dell’Acciaio Inossidabile. Rotoli provenienti dal treno a caldo e completati di
Dove trovare
lavorazione e trattamento a Torino e negli impianti exTerninoss di Viale Brin. Lo stato di agitazione cessò con l’accordo. Venne scongiurato un momento difficile di crisi industriale e soprattutto della grande tradizione operaia. Da subito: più tonnellate, più utili, più investimenti, e quindi più occupazione giovanile. Oggi, con l’incidente allo Stabilimento di Torino, si riparla di lavoro in fabbrica e dei giovani immersi in questa dura realtà produttiva. Li hanno chiamati Quelli che spendono una vita tra ferro e fuoco. Ma forse anche tra dubbi, solitudini e paure. Da anni la strada che conduce alle Acciaierie non si gonfia più di lavoratori. Nelle ore di cambio turno, adesso, si incontrano in Viale Brin solo pochissimi ragazzi dal passo lento e dal volto pensieroso, con in spalla un sacco Invicta, logoro dai tempi della scuola, ma per andare in acciaieria ancora buono. Una rapida conversazione al telefonino, un saluto e via dentro a passo sostenuto, inghiottiti dai tornelli. Anche i reparti non brulicano più di persone come nelle fotografie di una volta. La possibilità di pensionamento di operai e tecnici per effetto della legge sull’amianto ha rinnovato celermente il parco umano. Si è potuta abbandonare una consistente lavorazione, senza licenziare personale. In più rinnovando il contratto dei giovani ad ogni scadenza. Anche la flessibilità, ha contribuito. Flessibilità però, sinonimo di precarietà. Un binomio contro la disoccupazione. Di questi tempi un passag-
La Pagina
ACQUASPARTA SUPERCONTI - Viale Marconi AMELIA SUPERCONTI - V. Nocicchia MASSA MARTANA SUPERCONTI - V. Roma NARNI SUPERCONTI - V. Flaminia Ternana ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima PERUGIA SUPERCONTI CENTRO BELLOCCHIO - V. Settevalli RIETI SUPERCONTI LA GALLERIA - V. Micioccoli TERNI ACI AUTOMOBILE CLUB TERNI - V.le Battisti CARIT - Corso Tacito C O. SE. BAR - Bar ed edicola interni - Ospedale S. Maria INPS - V.le della Stazione LIBRERIA ALTEROCCA - C. Tacito SUPERCONTI CENTRO - V. Faustini SUPERCONTI CENTROCESURE - V. Rossini SUPERCONTI C. COMM. LE FONTANE - V. della Stadera SUPERCONTI CORSO DEL POPOLO - C. del Popolo SUPERCONTI DALMAZIA - P.zza Dalmazia SUPERCONTI FERRARIS - V. Ferraris SUPERCONTI TURATI - V. G. Di Vittorio SUPERCONTI STAZIONE - P.zza della Riv. Francese VITERBO SUPERCONTI - Via Belluno
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gio obbligato per iniziare a lavorare. Precarietà lavorativa ed incertezza sociale con inevitabile ritardo sugli appuntamenti naturali della vita. Nelle aziende moderne si allarga sempre più l’area di vuoto tra top management e settori operativi. La valenza tecnica delle postazioni di lavoro ad elevata automazione e tecnologia si è ridimensionata, mettendone in dubbio anche la sua centralità. Aumentano di gran lunga i motivi di incertezza. Accorpamenti orizzontali e verticali delle posizioni lavorative, hanno per di più cancellato figure aziendali e conseguentemente ridotto le opportunità di crescita. Esperti o anziani del reparto praticamente sono scomparsi. Si è andata perdendo la memoria degli eventi ed il contributo dell’esperienza. Molti ragazzi, tra i più riflessivi, confessano il loro disagio, nell’entrare in fabbrica dopo gli anni della scuola. Qualche volta, di fronte alla complessità impiantistica, dicono di rimanere frastornati. Manifestano il timore di sentirsi soli, la speranza di trovare un modello di riferimento fino a quando non ci si è fatti le ossa. Trovano difficoltà ad individuare facilmente chi sa, chi sa dire e chi è disposto a dire. Ma soprattutto chi adotta il loro stesso linguaggio. La sollecitazione di chiudersi in se stessi è forte. Di arrendersi, di rassegnarsi. Rassegnarsi a ventanni? Molti preferiscono non pensarci; e poi finiscono per pensare sempre meno. Per ora se volessimo rifletterci veramente constatiamo che: è dura! è dura per tutti! Certamente con il tempo anche loro cresceranno, faranno esperienza, matureranno. Ma oggi chiunque si interroghi dovrebbe chiedersi: a quale costo? Mario Lando
NOVECENTO
U n s ec olo tr a Mo d e r n o e Pos tm ode r no
31.12.1999, ore 24.00. Una folla festante gremisce le piazze di tutto il mondo, impazzendo tra musica, balli, brindisi e fuochi d’artificio. La solita kermesse di fine anno? Assolutamente no! Quella marea variopinta e rutilante che sciama per le strade dà fragorosamente l’addio al vecchio secolo, il Novecento che se sta andando via in compagnia di un altro illustre vecchio: il II millennio. Sono trascorsi soltanto sette anni da quell’evento carico di emozioni e di aspettative che, a causa di avvenimenti drammatici e sconvolgenti, come l’attentato alle Torri gemelle, le guerre in Iraq ed in Afghanistan, sembrano molti di più… eppure in questi anni o, addirittura già molto prima che l’ex secolo tramontasse tra lo champagne e le stelle filanti, non è mancato chi ha tentato di darne un giudizio o una definizione che lo qualificasse adeguatamente. Sono nate così espressioni come secolo breve o secolo plurale, ecc., ma quale di esse è quella più valida? La prima? La seconda? Entrambe o nessuna delle due? Chi può dirlo con esattezza! Forse prima di dare delle etichette o di pronunciare giudizi, sarebbe meglio stare ai fatti; in questo modo non si corre il rischio di cadere nella imprecisione o nel riduttivo. Già, i fatti, proprio i fatti e, a questo proposito, è ormai assodato e condiviso da tutti i più autorevoli studiosi del campo quali R. Barilli, R. Ceserani, T. Eagleton, J. Lyotard ... che un secolo così vario, ricco e contraddittorio come il Novecento sia caratterizzato da due grandi movimenti che ora si giustappongono ora paiono addirittura rincorrersi: il Moderno e il Postmoderno. Il secolo XX si era aperto all’insegna della modernità, del nuovo, del rinnovamento che erano alla base delle prospettive di mutamento sociale, politico e dello sperimentalismo artistico delle avanguardie, ma, nell’ultima parte di esso, all’approssimarsi del Duemila, mutato radicalmente lo scenario politico mondiale (crollo del muro di Berlino, fine della guerra fredda Est-Ovest, conflitto Nord-Sud, integralismo islamico...), i princìpi ed i valori che erano stati punto di riferimento negli anni precedenti sono stati messi in discussione e fatti oggetto di una completa revisione; questo è appunto il periodo in cui agisce il movimento conosciuto con il nome di Postmoderno, al quale, vista l’attualità del tema e la vicinanza nel tempo, daremo in questi articoli maggiore spazio, senza, ovviamente, nulla togliere al Moderno. Pertanto, considerata la lunghezza e la complessità dell’argomento, cercheremo nei prossimi articoli di delineare i caratteri fondamentali della Modernità per poi passare a trattare, nei successivi, della Postmodernità e delle problematiche storico-culturali ad essa connesse, in modo da offrire al lettore una panoramica ampia e chiara. Pierluigi Seri
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Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, V. Carbonario 5 Tipografia: Umbriagraf - Terni In collaborazione con l’Associazione Culturale Free Words
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore Giampiero Raspetti R E D A Z I O N E Elettra Bertini, Angelo Ceccoli, Pia Giani, Alessia Melasecche, Francesco Patrizi, Alberto Ratini, Beatrice Ratini, Adelaide Roscini, Emanuela Ruffinelli, Albano Scalise, Eleonora Stentella.
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Una mobilità sostenibile
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Il mese scorso si è voluto porre l’accento sul contributo che ciascuno di noi, guidando la sua automobile nella normale vita di tutti i giorni, può apportare alla collettività e alla salvaguardia ambientale. Evitando condotte di guida improprie, o addirittura pericolose, non solo si riducono di molto i rischi di incidenti, ma a fine mese si possono quantificare i vantaggi in termini di minor carburante consumato. E sentirsi coinvolti in prima persona per ridurre l’impatto ambientale della società contemporanea. Tale contributo può essere apportato indipendentemente dalla vettura utilizzata, solo grazie al buon senso e al… senso civico! Ovviamente il legislatore negli ultimi due decenni ha cercato di forzare un cambiamento non solo nelle abitudini del cittadino, ma anche sui prodotti messi sul mercato dai costruttori. L’Italia, recependo direttive comunitarie, ha introdotto norme per il contenimento delle emissioni allo scarico, ormai familiari ai più: veicoli di nuova immatricolazione dotati di catalizzatore e di sistema di diagnosi di bordo per la rilevazione di eventuali malfunzionamenti del controllo delle emissioni, benzina priva di additivi a base di piombo e gasolio a basso tenore di zolfo. L’automobilista ha ormai preso confidenza con le zone urbane interdette ai veicoli non catalizzati, i blocchi del traffico ai veicoli non provvisti di filtro antiparticolato, le targhe alterne, gli incentivi alla rottamazione dei veicoli a maggior impatto ambientale. Nonostante le mille difficoltà, ed il prezzo sempre crescente dei carburanti, in Italia la tendenza è di ricorrere sempre di più al mezzo privato, considerato più confortevole e consono ai moderni standard di vita, basati su numerosi spostamenti e percorrenze assai maggiori che in passato. Ma i cambiamenti normativi, come l’introduzione delle norme Euro 1, Euro 2 fino alla Euro 5 che entrerà in vigore nel 2009 per i veicoli di nuova omologazione, hanno forzato un cambiamento anche delle politiche dei costruttori. La necessità di ridurre in modo sostanziale le emissioni inquinanti ha costretto le case automobilistiche ad introdurre cambiamenti radicali nel DNA di un prodotto, l’automobile, che per decenni aveva mantenuto tecnologie consolidate. L’esigenza di controllare con altissima precisione la quantità di carburante inviato al motore, così come le modalità della sua combustione, ha reso necessaria l’introduzione di sistemi di gestione elettronici, la cui complessità è andata rapidamente crescendo. I motori, a benzina e a gasolio, il cui principio di funzionamento era noto da oltre un secolo, hanno subìto importanti trasformazioni, finalizzate ad ottimizzare il processo di combustione ed alla riduzione dei consumi e delle emissioni di gas inquinanti. E la capacità dei ricercatori di introdurre nuovi dispositivi ha finora consentito ai propulsori tradizionali di sopravvivere, ottemperando a limiti sulle emissioni via via più severi e riuscendo ad utilizzare carburanti con caratteristiche diverse rispetto al passato. Nei prossimi numeri verrà data una panoramica dell’evoluzione dei propulsori tradizionali utilizzati nelle automobili moderne, per poi passare a descrivere le tecnologie più innovative. Ing. Jacopo D’Andria
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Nei primi 3 articoli abbiamo illustrato cosa e quali sono i diritti umani. Abbiamo analizzato la teoria del giusnaturalismo, che ammette l’esisten za di diritti di natura comuni a tutti gli uomini, e, successivamente, abbiamo chiarito l’altra posizione teorica detta giuspositivismo, che non ammette l’esistenza di diritti di natura, ma fa dello stato la sola fonte del diritto. Dobbiamo ora, a conclusione della prima parte del nostro cammino, chiederci: i diritti umani sono veramente universali? Possiamo sintetizzare così la risposta: nella comunità internazionale ci sono molte divergenze nel modo di intenderli, ma anche significative convergenze. Le divergenze sono di vario tipo e dipendono in genere dalle diverse culture. La prima è di ordine filosofico, riguarda cioè, fin dalla nascita della Dichiarazione universale del 1948, il contrasto tra paesi occidentali e socialisti. I primi sono sempre stati sostenitori dell’esistenza di diritti naturali, i soli che possono garantire quella libertà dell’individuo tipica della cultura liberale propria dell’occidente. I secondi sono invece fortemente statalisti e privilegiano la teoria secondo cui solo lo stato, e non la natura, produce diritto. Tale divergenza filosofica sui princìpi ne comporta una di natura politica: nei paesi occidentali la libertà consiste nel tutelare l’individuo contro l’ingerenza dello stato, mentre nei paesi socialisti la libertà esiste solo dentro le leggi dello stato che è espressione della comunità. Anche a livello religioso si evidenziano contrasti notevoli: nei paesi occidentali la religione è vissuta come fatto privato di libera scelta di coscienza ed essendo di cultura liberale vale la distinzione tra stato e chiesa, mentre in paesi di religione ad es. islamica (arabi, asiatici, africani) il fattore religioso condiziona direttamente la politica e la società attraverso la legge coranica (Shari’a), che vieta in assoluto, pena la
DIRITTI UMANI 4°
morte, il cambio di religione. Nell’induismo l’esistenza delle caste rende problematici i dritti umani; nel confucianesimo l’obbedienza totale al capo annulla ogni libertà individuale. Un’altra divergenza si può constatare sulla protezione dei diritti, rispetto alla quale i paesi occidentali sono più propensi ad ammettere ingerenze nei loro stati attraverso meccanismi di controllo, mentre paesi socialisti o comunque non democratici rifiutano ogni forma di controllo in quanto ingerenza nella loro sovranità nazionale. Le diverse ideologie politiche portano ad un altro contrasto di fondo tra paesi socialisti e paesi liberali che riguarda la scelta di privilegiare un tipo di diritti piuttosto che un altro. Gli occidentali sono portati a mettere in rilievo soprattutto i diritti civili e politici (diritto alla libertà di pensiero, di espressione, di religione, di associazione, di partecipazione, diritto alla proprietà), mentre i paesi socialisti mettono l’accento più sui diritti economici, sociali e culturali (diritto al lavoro, alla casa, alla salute, all’istruzione). A questo punto sarà il caso di chiedersi se, date tutte queste divergenze, sia possibile a livello internazionale una politica unitaria dei diritti umani. Contrariamente all’impressione che viene fuori da tutti i contrasti dobbiamo affermare che si è creato un nucleo di diritti universalmente accettati quali: diritto
alla vita, diritto alla autodeterminazione dei popoli, condanna del razzismo, condanna del genocidio, condanna della tortura. Già nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, i paesi socialisti, con l’Unione Sovetica in testa, avevano accettato i diritti civili (purtroppo solo in teoria) e i paesi occidentali avevano accettato come diritti quelli economici e sociali. Prova ne è il fatto che il segretario di stato Usa Cyrus Vance nel 1977 aveva posto questa gerarchia dei diritti in ordine di importanza: diritto alla vita e alla sicurezza, a non essere torturati e uccisi illegalmente (perché legalmente era possibile, avendo gli Usa la pena di morte), diritto al lavoro, all’alloggio decente, alla alimentazione, alla protezione sanitaria. Alcuni di questi diritti erano però riconosciuti solo sulla carta, vedi la protezione sanitaria o il diritto al lavoro. Si è anche realizzata la tendenza ad adattare i diritti universali alle varie culture, come ad es. la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli e perfino una Carta araba dei diritti dell’uomo. Quest’ultima però mai ratificata, perché in contrasto con la Shari’a. Infine sono nate dichiarazioni e convenzioni su problemi specifici ad es. diritti del fanciullo e della donna, che esamineremo in seguito. Marcello Ricci
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l a B e ll a Um bri a w w w. l a p a g i n a . i n f o dal 2002 ad oggi
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E mo’ sta a rosica’! La sindrome del Grillo Parlante
Si racconta di un senatore che, sbracciando in aula, raccontava ai colleghi un mancato affare. Aveva offerto il suo pacchetto di voti al miglior offerente. Non molti voti, ma di questi tempi tutto fa brodo, soprattutto le briciole. L’asta se l’era aggiudicata l’attuale maggioranza perché l’altro Polo, causa spese folli di campagne acquisti pregresse, aveva tirato un po’ la cinghia. E mo’sta a rosica’! sghignazzava il senatore, sparlando del mancato acquirente. Certo, una volta comperati i voti e intascato il seggio, non c’è scontrino fiscale che garantisca la merce, ci sono altri piccoli mercimoni, i saldi di fine legislatura, le svendite… quanto mi dai se quel giorno mi ammalo? Non voto contro la mia coalizione, ma mi faccio fare un bel certificato medico e non vengo. Un voto in meno e vacilla il governo. Lo fanno tutti! È il grido di battaglia. Dell’italiano medio, dell’italiano basso e dell’italiano che striscia sul fondo. Lo fanno tutti quindi si può fare: non è un bimbo che si schernisce dopo la malefatta, ma la giuridica indifendibile difesa che Craxi avanzò nei tempi che furono. Quel giorno, a quell’ora precisa, davanti a quel microfono, crollò tutto. Crollò la morale con cui, bene o male, la politica ancora si infarinava il volto. Crollò l’arte politica del presentarsi diverso e alternativo agli altri. Crollò la fiducia nei valori, crollò il rispetto degli elettori, crollò la realpolitik, la diplomazia, la furbizia. Richelieu, Metternich e Cavour furono di colpo nascosti sotto l’esile mascherina della Banda Bassotti. Italiani, siamo farabutti, paraventi e ipocriti esattamente come voi. Lo fanno tutti, lo fate tutti, lo facciamo tutti. Così, con un colpo di teatro (avventato e irresponsabile!), Craxi tirò giù il fondale di cartapesta del teatrino politico e la scena rimase nuda. E come nella migliore tradizione brechtiana, rimasero a vista i macchinisti, gli elettricisti, i suggeritori… (i mattatori di oggi). Finita la rappresentazione, svelata la finzione, al teatro del Novecento non è rimasto altro che mettere in scena se stesso. Non più le trame, i personaggi, ma l’arte di recitare, di incantare, di intrattenere. Così per la politica. Finiti programmi e proclami, si declama con enfasi l’acquisto di un senatore o l’asta di un mini partito. E il nostro Bruto (o Trimalcione), abbarbicato sulle rovine craxiane, davanti alla caduta dell’impero morale d’occidente, arringa gli astanti: e mo’ sta a rosica’, j’avevo chiesto un mijone de euri, se me li dava, mo’ stava a governa’ lui… ah, ah, ah! Tutti sentono, nessuno ascolta. Poi, per ridestare la platea, il solito vecchio colpo di scena pirandelliano: hanno intercettato una telefonata che dice che pare che forse che… così è! (Se vi pare…) Francesco Patrizi
LA SICUREZZA DEI TUOI INVESTIMENTI
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Grillo Parlante: famoso personaggio della saga collodiana di Pinocchio. Perseguita lo sventurato burattino con fiumi di paternali ispirate a stucchevole buon senso, fin quando lo stesso non gli procura un provvidenziale disturbo di linguaggio, previo trauma da martellata. Forse muore, forse no, ma il suo spirito continuerà ad aleggiare tra le righe e tra frasi del tipo quanto aveva ragione, oh se l’avessi ascoltato! La Sindrome del Grillo Parlante è un disturbo del sistema nervoso largamente diffuso tra la popolazione che frequenta i nostri ambulatori. Invano lo ricerchereste nell’ultima revisione del DSM. La sua particolarità è che non affligge i nostri Pazienti, ma piuttosto i loro accompagnatori, con ciò rendendo facilmente conto del perché il paziente venga sempre identificato con tale participio. La malattia non ha mai un decorso subclinico: la sintomatologia si manifesta sempre ed è caratterizzata da un evidente disturbo di comportamento che si realizza con interruzioni frequenti e fuori luogo del resoconto fatto dal Paziente al medico. Il contenuto delle interruzioni è spesso ispirato (ma per difetto!) alla più vieta ed esecrabile saggezza popolare. Il Paziente depresso vi dice che non ce la fa più a far niente? L’accompagnatore interromperà prontamente con un Dottore glielo dica un po’ lei che però ci deve mettere buona volontà. Se poi volete saggiare la memoria del Paziente chiedendogli informazioni personali (il luogo, la data di nascita, l’indirizzo), l’accompagnatore-gril lo parlante anticiperà tutte le riposte, come se pensasse che, invece che dal medico, si trovi all’ufficio anagrafe a richiedere il duplicato della carta d’identità. Colti da iniziale senso di vertigine, sintomo evidente del senso di claustrofobia che si sta impossessando di voi, l’interrompete spiegando che deve lasciar parlare il Paziente e dargli il tempo di rispondere? Oppure
sorridete e buttate lì scherzosamente un... un attimo di pazienza, Signora, dopo magari visito anche lei? Resisterà finché non chiedete al Paziente il suo numero di telefono: a quel punto interromperà di nuovo propinandovi la solita orribile battuta (sempre la stessa!!!) che il numero di telefono non può ricordarselo perché non si telefona mai! Ma se, invece, il Paziente lo ricorda quel benedetto numero, allora interromperà di nuovo per dire che adesso che sta qui le cose le sa, mentre, quando è a casa, non si ricorda mai di niente. Il Paziente, la colonna vertebrale deformata, le mani edematose, la cute secca e rossa, con le sublussazioni tipiche dell’artrite, vi spiega che è tormentato dai dolori? E l’interruttore, tempestivo... Ma io glielo dico sempre: ma quando ci avevi vent’anni li sentivi i dolori? Quest’ultimo, a dire il vero, è un concetto che ritorna e che ci consente di derivarne un assioma semplice, ma fondamentale: i dolori degli altri non ci fanno mai veramente male. D’altra parte, come più dottamente mi ricorda la mia amica Carla (endocrinologa e diabetologa di lustro, oltre che ricca di avveduta saggezza) sulla tomba di Marcel Duchamp è inciso l’epitaffio D’ailleurs, c’est toujours les autres qui meurent... del resto sono sempre gli altri a morire. E poi tanto a soffrire non è mai il Paziente, ma è sempre lui, l’accompagnatore (lei non lo sa che vuol dire starci insieme tutto il giorno!). Qui poi l’etica t’impedisce di rispondere: ...e tu lo
sai che significa vederne una decina al giorno e tutti accompagnati da scocciatori come te?! Consigliate una cura farmacologica? V’interrompe con un accorato: ma di medicine ne prende già tante! Non consigliate una cura farmacologica, affidandovi piuttosto a buoni consigli di igiene di vita? Verrete rasi al suolo da un: ma tanto queste cose non le farà mai: le medicine invece le prende perché tanto gliele do io! Perché se non gliele do io, lui mica se le ricorda! Perché la cosa più opprimente del Grillo Parlante è che tanto la ragione ce l’ha sempre e comunque lui. Terapia: curarla è impossibile. Logica vorrebbe che ci si ispirasse al Collodi stesso (tirargli una martellata), o all’esemplare manuale di Antonio Amurri Come ammazzare la moglie e perché, ma i metodi e le soluzioni suggerite dall’arguto umorista sono rivolti alla popolazione in generale. I medici non possono applicarli: il neurologo può sì usare il martello, ma solo a scopo diagnostico, per valutare i riflessi, non a scopo terapeutico. E fra le sostanze accettate dalla farmacopea ufficiale non sono previsti sali come il revolverato di piombo e, a meno di non lavorare in Olanda, negli altri Paesi della Comunità Europea ai medici non è consentita l’eutanasia… e poi, in fondo, cosa resterebbe del senso di pace del vostro studio medico, senza la possibilità di spalancare la finestra per farne uscire il ricordo dei grilli parlanti che ancora vi aleggia?! Dott. Stefano Moroni Specialista in neurologia
Questa breve poesia di J. Prévert suona come una bellissima quanto semplice espressione di piacere. Alicante Un’ arancia sulla tavola Il tuo vestito sul tappeto E nel mio letto tu Dolce presente del presente Freschezza della notte Calore della mia vita. Piacere nell’amore, Piacere nelle cose semplici, Piacere nella/della Poesia. E, per esteso, in tutto ciò che è Arte: e che cos’è l’arte se non quel qualcosa che ci fa immaginare ciò che racconta, che stimola i nostri sensi (ri-)evocando sensazioni?!?! Leggendo le prime due righe della poesia la mente vede l’arancia sul tavolo ed un vestito di donna sul tappeto. Mentre il corpo lievemente avverte la freschezza (della notte) e poi il calore (della vita). Il (buon) teatro procura gli stessi effetti allo spettatore che si giova di un contatto più diretto con l’attore/i rispetto al cinema. Quale animo è più capace di attingere dall’arte e, parimenti dalla vita, il piacere? Potremmo rispondere con una sola parola: un animo dolce. La dolcezza, come dice il dizionario, è attitudine a dare piacere e gioia, che rallegra e conforta lo spirito e che rifugge dalla malvagità e dalla violenza. Si tratta di un sentimento e di un modo di essere e di vivere - per sé e verso gli altri - che non ha nulla a che vedere con il fare smielato, la passività e/o la mitezza. E’ invece uno stato attivo che contiene, modula e armonizza la disponibilità, l’accoglienza, il rispetto e la comprensione con l’autostima e la rivendicazione del diritto/i e del proprio ruolo nel mondo, senza il ricorso alla prepotenza e alla prevaricazione (F. Manara, 2004). La tenerezza ne è solo un’espressione parziale, che si genera da una sollecitazione esterna (e che termina all’allontanarsi della stessa). La dolcezza è invece come una musica di fondo: si mantiene costante, come uno stile dell’essere, un tratto del carattere. Essa è un patrimonio posseduto dalle persone di maggior valore: che non vivono dominati dalle paure (nei propri riguardi) e si vivono con ragionevole serenità. Perché ciò sia possibile, c’è bisogno che la persona abbia amore per se stessa e anche quel sano egoismo che è il rispetto per ciò che le appartiene. Prendersi cura di sé, e non (l’egoismo di) fare un danno a qualcun altro... Potremmo dire prendere senza togliere (all’altro). La dolcezza coniuga dunque sensibilità (la capacità di percepire il mondo esterno) e forza (l’abilità di mostrarsi). Non ha rancori ma resta ferma sulle proprie posizioni. Si dà e ama, affronta le conseguenze e non si trattiene in virtù dei timori che si crea prima, anticipatamente... Che anche questo possa essere, forse, il messaggio del Natale?!?! Auguri di Buon Anno a tutti. Dott.ssa Claudia Cardinali Psicologa Psicoterapeuta, Esperta in Sessuologia Clinica
Come funziona l’homo sapiens? Recenti studi hanno confermato, in omeopatia, la differenza fisico-biologica tra il rimedio e il placebo corrispondente. Ma appurato questo, la domanda è: funziona? E una volta ipotizzato di sì, il vero problema è: come? Domanda chiave anche per la psicologia... Proprio come l’omeopatia, la psicologia ha elaborato una serie di teorie e di tecniche sofisticate; ne ha empiricamente constatato il successo e ne fa uso corrente; ma poi perché funzionino non sa, né può fornire diagrammi, formule e cifre come oggi il metodo scientifico esige. Intendiamoci: per millenni l’unica validazione di un metodo era il fatto che per lo più funzionasse. Ma queste approssimazioni non accontentano più: è necessario quindi che si accerti il meccanismo d’azione, sia del rimedio omeopatico, sia dell’intervento psicoterapeutico; sull’omeopatia è puntato infatti il fucile della medicina tradizionale e sulla psicologia quello della neurologia. Psicologia e omeopatia si trovano però di fronte ad un problema: mentre il farmaco chimico agendo su ben individuabili recettori è valido per tutti, il rimedio omeopatico si dirige ad una tipologia di persona; vale per quella ed è inefficace per persone di tipologia diversa. Allo stesso modo, alcune psicoterapie hanno successo per alcuni pazienti e non funzionano per altri. A chi scrive capitò addirittura il caso di un paziente con una grave forma di depressione e serie fantasie di suicidio, guarito col fargli fare giornalmente una serie di grafici comparativi su un punteggio attribuito alla maggiore o minore depressione non solo nei vari giorni, ma addirittura nelle varie ore della stessa giornata. Una prescrizione che se usata con altri pazienti, oltre a non funzionare, ne avrebbe fatti scappare la metà. Ma qui una seria obiezione va alla medicina e alla neurologia: non è affatto vero che farmaci e psicofarmaci abbiano successo nel 100% dei casi. Anzi, sappiamo tutti benissimo che ve ne sono invece - sporadici quanto si vuole in cui essi semplicemente non funzionano o addirittura hanno effetto contrario. Ma non si fondavano su leggi scientifiche? Evidentemente si tratta di eccezioni. Ma una legge se è fondata deve avere vali-
dità generale e non subire eccezioni, soprattutto di cui si ignori la causa. Se poi aggiungiamo tutti i fenomeni, inesplicabili ma reali, come i miracoli a Lourdes, la telecinesi, i fenomeni ESP, vediamo come in definitiva nel buio eziologico si dibattano non solo omeopatia e psicologia, ma anche scienze che si ritengono positive e scientificamente valide: l’omeopata non sa perché Sulphur ottenga un dato effetto, ma neppure l’oncologo sa perché in quel caso, sia pure eccezionale, una persona che avrebbe dovuto morire è incredibilmente guarita. E fino a che la medicina non sarà in grado di colmare queste lacune, non avrà motivo di guardare nessuno dall’alto in basso. Il punto è che oggi si sa abbastanza sulla materia, ma ben poco sull’energia; ed è invece probabilmente proprio nell’energia la chiave di comprensione di tante cose che, ancora incomprensibili, ci pongono il dilemma se negarle in toto, come già fu fatto con Galileo, Hahnemann, l’agopuntura, relegandole nel campo della ciarlataneria, oppure studiarle senza pregiudizi né paraocchi. Per esempio: c’è chi a Lourdes vede l’intervento diretto della Madonna. Tuttavia tra le tutte le scientificamente inesplicabili guarigioni, mai s’è vista non si dice la resurrezione di un morto già freddo (a noi è impossibile... e alla Madonna?) ma neppure la ricrescita dell’ultima falange
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del mignolo sinistro. Anche volendo accedere ad una spiegazione fideistica viene da pensare che il Trascendente si serva comunque di elementi esistenti in natura per compiere i propri prodigi. In che modo? Ancora: cos’è il Qi (o Kundalini, o altro; i nomi cambiano, il concetto resta)? Chi scrive ricorda di avere visto un monaco in trance camminare tranquillo mentre un grosso pugile gli assestava con tutte le proprie forze pugni sull’addome; e il monaco non solo sembrava non accorgersene, ma nemmeno rallentava il ritmo sereno della propria andatura. Se ne potrebbero aggiungere. Ci piace invece terminare con una nota rosa. Cos’è, biologicamente, un colpo di fulmine? Perché tra gl’innamorati i fenomeni ESP sono frequenti? Potremmo ipotizzare che esista una lunghezza d’onda energetica in ognuno di noi, che oltre a legarsi a date sostanze, potesse entrare in risonanza con identiche lunghezze d’onda in altre persone, proprio come in acustica? Non è che un’idea romantica e bislacca. Ma ci si chiede se verrà un giorno in cui questa forma di energia potrà essere misurata e gli accoppiamenti essere consigliati (in democrazia) o prescritti (in totalitarismo) da équipes di serissimi scienziati. Oddio! Giovanna Giorgetti Vincenzo Policreti
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Scuola: Italia o Cina?
Conoscendo da molto tempo il Dott. Guido Nevi e le sue idee politiche sono rimasto un po’ sorpreso dalla condivisione, anche se solo parziale, come lui stesso tiene a precisare, del modello cinese di scuola, che è un modello di uno stato ancora comunista, almeno politicamente, se non più economicamente. Poi pensandoci bene mi è parso di capire che quello che lui ammira di questo modello è la capacità di spingere i giovani studenti a livelli altissimi di sacrificio e di impegno, cosa che sarebbe per lui auspicabile avvenisse anche nella nostra scuola. Vorrei subito far notare che per ottenere quel tipo di impegno e di sacrifici (a me già la parola sacrificio inquieta un po’) occorre una struttura del tutto autoritaria e impositiva che non è auspicabile esportare da noi. Ma cerchiamo di vedere se le cose stanno così, facendo riferimento agli stralci della lettera che lo studente italiano, in Cina nell’ambito degli scambi culturali, ha scritto alla sua classe. Sto a scuola dalle 6,45 della mattina alle 7,30 di sera, senza contare il lunedì, quando devo stare a scuola alle 6,15 perché è il mio turno di pulire il corridoio! Vi chiederete come sia possibile stare a scuola per più di 12 ore. Tenendo conto della pausa pranzo e di quella merenda/ cena, alle ore 17,20 per 20/25 minuti, dell’arco di tempo dedito agli esercizi mattutini e degli altri break, le ore di studio sono 9/10, di cui quelle di lezione 8/8,30, infatti dalle 12 alle13 si studia per proprio conto e dalle 13 alle 13,45 si dorme. Sì, si dorme con la faccia sul banco, che tra l’altro è grande la metà di quelli nostrani.
Mi pare evidente che la vita dello studente sia tutta programmata e non ci sia spazio per la libertà della propria vita privata, per curare altri interessi al di fuori della scuola e che la scuola stessa sia una specie di caserma, dove si dorme a
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comando sul posto di combattimento. A rafforzare questa metafora della caserma, che potrebbe sembrare esagerata, è quanto lo studente aggiunge ... ... dal 20 al 26 ottobre ci sarà allenamento militare, nel vero senso della parola (ossia mi insegnano anche a sparare! ).
Ma diamo uno sguardo anche alle materie studiate, tra esse c’è 1 ora di politica e 2 ore di storia, possiamo immaginare quali contenuti facciano passare in un regime a verità unica, dove ogni libertà di pensiero e di espressione è proibita e inoltre come viene reclutato il prof di queste materie? Godrà di libertà d’insegnamento o, come è facilmente immaginabile, farà il funzionario di partito? In realtà è tutta la struttura scolastica che è funzionale a togliere libertà per far passare gli stessi contenuti, le stesse idee politiche per tutti. Così si tirano su sudditi obbedienti non cittadini liberi. Lo studente italiano fa notare che, se ho ben capito, ogni insegnante ha classi da un minimo di 60 alunni, il numero è tale che rende quasi impossibile ogni forma di insegnamento individualizzato e anche questo contribuisce a rendere gli alunni più numeri che persone. E in un sistema di questo genere non poteva mancare lo sport, infatti l’apparato funziona se tutte le attività anche quelle sportive sono organizzate in modo tale da lasciare ben poco alle scelte private. Il Dott. Nevi afferma: non mi piace quel modello, almeno non in tutto, ma resta fermo ed altrettanto chiaro che i nostri ragazzi, salvo eccezioni lodevoli, si sballano il sabato sera, si lamentano del precariato, vanno a fracassare le camionette delle forze dell’ordine, a marciare per la moda della pace, si perdono in insensate autogestioni...
La visione che il Dott. Nevi ha dei giovani è un po’ apocalittica e troppo generalizzante, non tutti si sballano il sabato sera, ma
vanno semplicemente a divertirsi, che è una necessità quasi fisiologica dei giovani. Se si lamentano del precariato qualche ragione ce l’hanno (noi non avremmo fatto lo stesso?). Non mi pare poi che tutti vadano a fracassare le camionette della polizia, anzi mi sembrano una sparuta minoranza. Quanto alle marce della pace, anche se spesso ideologicamente orientate, sono sempre meglio che marciare per la guerra, come tristemente la storia italiana insegna. Le autogestioni poi, mi creda Dott. Nevi, sono quasi del tutto passate di moda, ma là dove si manifestano sono comunque il sintomo di un malessere che i giovani sentono verso le insufficienze della nostra scuola. Ma al di là di queste osservazioni mi sembra, se bene interpreto il suo pensiero, che per il Dott. Nevi vale: il modello no, ma i risultati del modello sì, cioè giovani obbedienti e abituati al sacrificio. Ma al sacrificio di che cosa, se non della propria libertà? Nei paesi occidentali dove l’educazione è più libera, dove gli insegnanti non sono scelti ideologicamente e dove c’è una pluralità di voci, ci sarà anche una pluralità di comportamenti, buoni e cattivi della gioventù, che la società deve mettere in conto e che la scuola deve saper affrontare con gli strumenti della libera educazione. Scrive il dott. Nevi che dobbiamo preoccuparci perché da qualche parte nel mondo qualcuno “addestra” centinaia di milioni di individui di nuova generazione a sacrifici e con ritmi e strutture per noi ormai impensabili. E questi saranno i nostri nuovi competitori nell’immediato futuro! Se la preoccupazione è questa credo di poter dire che la libertà non è barattabile con la competitività. Anche perchè giovani educati alla libertà saranno sempre i migliori competitori di giovani addestrati all’obbedienza. Grazie comunque Dott. Nevi per la intelligente provocazione, che spero apra un dibattito interessante, al quale queste mie osservazioni intendono apportare un contributo. Marcello Ricci PS: Intendo per libertà la consapevolezza che essa non è possibilità di fare tutto ciò che si vuole, ma ha il suo limite nella responsabilità delle proprie idee e delle proprie azioni.
Gemellaggi: come e perché
Entrando in città si notano i cartelli con indicate città e luoghi, a noi anche lontani, con cui ci troviamo gemellati senza averne grande percezione: Saint-Ouen, Cartagena, Praga 8, Dunaújváros, il popolo del Saharawi e Kobe. Di Saint-Ouen ricordiamo un incontro culturale di qualche anno fa di particolare spessore: una partita di calcio fra consiglieri comunali in terra di Francia, poi nulla. I rapporti con Kobe risalgono alla notte dei tempi. Ero bambina e ricordo che numerose furono le gite di dirigenti turistici regionali in Giappone. Oggi siamo gemellati grazie ad altrettanti viaggi dei nostri assessori che, novelli Marco Polo, si sono sobbarcati l’onere di stressanti trasferte. Dopo decenni di rapporti a così alto livello ecco concretizzarsi i primi flussi turistici: la coppia di giapponesi venuta a testimoniare il proprio amore per S. Valentino ha colmato il cuore di gioia di tutti i ternani. Peccato sia l’unica ed i nostri alberghi siano vuoti. Abbiamo seguito poi con comprensibile palpitazione la carovana nel deserto con cui avventurosi dirigenti comunali, a dorso di dromedario e bardati di tutto punto, si sono spinti nel cuore del Sahara ex spagnolo, appunto il Saharawi, le cui popolazioni berbere hanno tratto notevole giovamento dal sostegno diplomatico offerto dalla Repubblica della Conca, la nostra per l’appunto. Se chiedessimo a cento giovani che passano in Corso Tacito notizie su questi strani, bislacchi gemellaggi otterremmo probabilmente espressioni enigmatiche: una sorta di matrimoni per procura riservati a politici e funzionari, tristi ma soprattutto inutili. Così quelli con Praga 8, Cartagena e Dunaújváros. Il gemellaggio deve costituire un ponte fra due popoli, uno strumento straordinario di reciprocità culturali e di nuove amicizie, per arricchire rapporti umani e, volendo, anche economici. La nostra città ha bisogno di cosmopolitismo che non possiamo relegare solo all’accoglienza, né possiamo limitarci ad una mera politica demografica. Abbiamo una giovane Università da spendere e far crescere in qualità ed attrattività e non possiamo relegare solo a Perugia i rapporti con l’estero. Abbiamo un Briccialdi ed un Concorso Casagrande. Perché invece di pagare profumatamente per anni un consulente esterno per i gemellaggi non reinventarci una politica di settore viva, aperta e costruttiva con coloro che già fanno perché sanno fare? Da La Pagina proponiamo un guizzo di ingegno e qualche idea. Attendiamo risposte, anche perché la speranza è sempre l’ultima a morire. alessia.melasecche@libero.it
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TERRA NOSTRA Sembra di nuovo Pangea: continenti uniti in un blocco emergente dalle acque. Su di essa esplodono bombe e travagli umani, defragano conflitti internazionali e perversioni individuali... e questa terra nostra cambia aspetto. Ancora più sopra, vibrano energie cosmiche che nel loro incessante moto erodono rocce, trascinano detriti, colmano anfratti, scolpiscono nuovi paesaggi... e questa terra nostra cambia aspetto. Sotto, nell’ovattato mondo dei fondali oceanici, un’attività lenta, ma inesorabile e distruttiva trasforma la morfologia di questa terra nostra. Ma è anche distacco dei continenti sempre più alla deriva e non solo fisicamente. Le risorse, sopra e sotto, sono immense, ma nella caccia al tesoro, le squadre e le squadracce, accaparrano con famelica ingordigia. Non importa se a farne le spese sono i popoli silenti e vinti perché deprivati di quella cultura che fa di un vivente un uomo forte. Mi viene da pensare alla nostra bistrattata scuola... ma almeno c’è. Mi viene da pensare che potrebbero, gli alunni di oggi, riflettere di più e meglio su come una giusta considerazione e un’equa ripartizione delle risorse possa fermare la distruzione: i bisogni sod-
disfatti non dovrebbero scatenare guerre. E’ un’utopia, ma è questa relazione che consente la vita sul pianeta Terra. Penso alla geografia, disciplina pressochè sorvolata come se fosse un optional pseudo-culturale e penso alle scienze, un mondo inesplorato al quale si attinge spizzicando un po’ qua un po’ là senza alcuna connessione con altre discipline. E’ l’apoteosi di informazioni alla rinfusa prelevate dai libri di testo: con essi, dove il nulla impera, si è spesso preteso di costruire un percorso di conoscenza. Insegnare come questa nostra terra sia un palcoscenico a scena aperta sul quale noi, gente del pianeta, transitiamo calpestando un territorio che è tale per posizione geografica, per incidenza climatica, per opportunità di sfruttamento consapevole e responsabile, implica una progettualità strutturata e rigorosamente condivisa dai docenti. Non è possibile non correlare uno spazio progettato e la catena di produzione che ne consegue, con lo spazio fisico sul quale si impiantano le attività umane e lo spazio biologico dove gli organismi viventi compiono il loro ciclo di vita. Il palcoscenico a scena aperta ci vede tutti protagonisti, ciascuno con il proprio ruolo ed in asso-
luta interazione... mentre le stelle stanno a guardare. Sarà di nuovo Pangea quando si proclamerà la globalizzazione degli ecosistemi, diversi tra loro per le condizioni fisiche che ne determinano la vita. Essa vibra in un deserto di sabbia o di roccia, nella lussureggiante foresta pluviale, nell’arida tundra, nella nostra privilegiata macchia mediterranea... nel cortile della scuola... nella fontana dei giardini... nella pozzanghera, dopo il temporale. La loro salvaguardia è la salvezza del pianeta, ma per salvaguardare bisogna prima conoscere. E’ impensabile che gli insegnanti non strutturino un percorso didattico, per la totale conoscenza del pianeta, che investa fenomeni fisici, fattori metereologici, analisi dei rilievi e presenza di acque, settori di produzione... Le tematiche non sono altisonanti: sono solo realtà da osservare. Non sono affrontabili solo nelle ultime classi: l’ambiente vicino, amato e scovato dai bambini più piccoli, è fonte inesauribile di studio e di scoperta. Occorre solo sentire la necessità (è urgente) di dover cambiare strategie educative, modalità di collaborazione tra insegnanti, di eliminare il senso della disciplina fine a se stessa perché di separato, sotto il cielo e sopra la terra, non c’è proprio niente.
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Sandra Raspetti sanras@tele2.it
ANALISI DEL TERRITORIO LETTURA IN SOVRAPPOSIZIONE
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L I C E O
L i c e i
S C I E N T I F I C NARNI O
Amati studenti, cari colleghi, cari Presidi. Uso lo spazio libero dovuto, com’è normale, alla difficoltà di reperire articoli proprio al limitar delle vacanze di Natale, per ringraziare sentitamente del Vostro impegno culturale e per rispondere a cuore aperto alla lettera, pubblicata a pag. 12, del Preside del Liceo Donatelli. Carissimo Brunero, sono commosso! Le tue parole mi hanno colpito molto più di quanto si potrebbe pensare e non solo per la raffinatezza delle benevole analisi! Mi cimento per spiegare il perché. Ho cercato di essere un educatore; ci ho creduto... spero di esserci riuscito. Un educatore non condiziona, ma promuove l’autodeterminazione degli studenti, accompagnandoli con carismatica modestia alla ricerca della loro mappa culturale. Un educatore dà quel che sa, per il resto studia,
L I C E O
D O N AT E L L I
S C I E N T I F I C O
Le opere di molti autori, in questo periodo letterario, siano essi romanzi o poesie, tendono ad esplorare più in profondità l’interiorità umana per scoprirne l’incapacità di trovare dei punti di riferimento e l’impossibilità di costruire un progetto positivo per se stessi e per la società (La coscienza di Zeno) o per rendersi conto che in quella contemporaneità è meglio non esistere (Il fu Mattia Pascal) o non avere unica identità (Uno, nessuno, centomila) o ancora, prendere coscienza che la vita è più importante là dove non c’è più (…vicino/ a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione / delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d’amore…, Ungaretti) o che la realtà non coincide con quello che si vede ( ...Il mio (viaggio) dura tutt’ora, né più mi occor-
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ricerca, elabora, sempre insieme ai suoi studenti. Crea cultura, non ripete nozioni! La penso ancora così, anche per la filigrana del mio giornale. Farò quindi sempre politica nella sua accezione autentica, cioè di studio e normalizzazione dei rapporti umani, sociali, culturali esistenti nella polis, città stato. Non mi piegherò mai alla sua attuale, totale riduzione (o in buona, o in mala fede) all’accaparramento subdolo, alla partitica cioè. Il presente è il 51° numero de La Pagina! 51° impegno culturale di cui mi son fatto personalmente e pesantemente carico. Certo ho, per fortuna, la collaborazione di redattori da sogno, purtuttavia il Tuo è uno dei pochissimi apprezzamenti ch’io abbia mai ricevuto (a parte le numerosissime, sentite e spontanee mail di congratulazioni inviate da amatissimi lettori mai conosciuti). Nessun ringraziamento dalla quasi totalità delle persone che pregavano per la pubblicazione (gratis) di intere pagine su loro libri o su loro opere... nemmeno il concio di una telefonata! Capirai ora perché la tua lettera abbia davvero toccato il mio spirito, lenendo non poco l’ambascia sempre incombente dovuta alla disinvolta noncuranza nei
rono/ le coincidenze, le prenotazioni,/ le trappole, gli scorni di chi crede/ che la realtà sia quella che si vede…, Montale). Le citazioni non sono ovviamente esaustive, presentano solo una determinata tendenza che nel XX secolo si afferma in modo significativo. Da un lato la presa di coscienza da parte di molti dell’infinitezza della natura umana e delle sue potenzialità, dall’altro, sconvolgimenti tremendi, quali mai si erano verificati, come le due guerre mondiali. Un progresso scientifico-tecnologico senza confronti (navi, aerei, automobili, telefono, cellulari e computers) che hanno totalmente modificato il nostro stile di vita rendendoci villaggio globale. Violenze inaudite contro i più indifesi (bambini e donne) o all’interno del nucleo più primitivo della società (la famiglia) o contro il semplice straniero. Segnali questi che si è trattato di un’epoca assai complessa e ricca di contraddizioni, ma nel contempo anche pregna di speranze per il futuro proprio perché per la prima volta nella storia dell’umanità sono stati ratificati ed inequivocabilmente sanciti, dalla stragrande maggioranza dell’umanità, i Diritti Umani. Prof. Duccio Penna
confronti dell’azione culturale de La Pagina di chi, mantenendosi a vita con denaro pubblico, gestisce i soldi dei cittadini! Alcuni consigliano di inserirmi, anema e core, in un qualche partito, visto che i fondi per l’editoria sono, vituperosamente, riservati solo a tale scopo! Taluni poi consigliano di parlar male della sinistra (dicono sia mio dovere), altri consigliano di sparlare della destra (dicono sia mio obbligo). Insomma non puoi scegliere di redigere un giornale culturale, che cerchi solo di evidenziare aspetti positivi e propositivi che... ti tirano le pietre. Devi trasformarti in un “politico” attuale! Povero me! Son rimasto ai tempi di Platone e di Aristotele e, nel moderno, a Giorgio Almirante, Enrico
Berlinguer, Ugo La Malfa, Aldo Moro! Ho sponsor unici, è vero, persone splendide, ma le uscite superano cronicamente le entrate! Così chi crede fermamente, come me, all’azione educativa, chi sente di dover magnificare il proprio territorio, di intessere rapporti culturali e commerciali con altri luoghi ed altre nazioni, europee e non, cercando di fondare redazioni estere, elaborando giornali anche in più lingue... non solo è costretto a fare i conti tra se stesso... le proprie tasche... il proprio portafogli, ma è addirittura visto male perché non sparla dei loro avversari politici, perché si rifiuta di perpetuare quelle oscenità che ci contraddistinguono, ormai universalmente, come Paese dominato da caste, società segrete o riservate, falsità verbali ed ideologiche! Fin quando però, caro Brunero, otterrò la fiducia delle stupende persone che mi sostengono sponsorizzandomi, riceverò apprezzamenti da persone come te e i tuoi colleghi, manterrò l’affetto e la stima dei miei redattori... terrò duro, anche se questo dovesse dispiacere a chi non ha storia, non ha cultura, non ha idee. Grazie e Buon Anno a tutti. Giampiero Raspetti
Il Novecento, secolo del Cinema Il Novecento è stato il secolo della 7a arte: il Cinema. La sua nascita si fa risalire, per convenzione, alla fine del 1895, quando i fratelli Lumière proiettarono il primo film della storia. Ma le origini sono precedenti al 1895; infatti la straordinaria macchina inventata dai Lumière, era il frutto di ricerche legate ad invenzioni precedenti, come il cinetoscopio di Thomas Alva Edison. Importante tappa fu l’invenzione del montaggio, compiuta dai grandi pionieri del cinema, il cui maggior esponente è Sergéi Ejzenstejn, che creò la tecnica del montaggio, consistente nel collegare secondo una logica diverse combinazioni d’inquadrature fra loro.
Lo spettatore vede così il film secondo più punti di vista. Il montaggio è quindi la tecnica che dà ritmo al film e, di conseguenza, imprime il senso narrativo. Con l’avvento del montaggio i film cambiano completamente il modo di essere pensati e girati. Agli albori del cinema la maggior parte dei film prodotti erano documentari costituiti da serie di immagini slegate, ma col montaggio si dette un senso alla narrazione ed iniziò la produzione di film che raccontassero una storia. I primi anni furono caratterizzati dal fatto che i film prodotti erano di tipo documentaristico. Il primo che portò dei cambiamenti fu Gorge Méliès con il suo cinema fantastico e spettacolare. E’ famoso per aver girato Il Viaggio sulla Luna, tratto dal romanzo di Jules Verne. La Grande Guerra rallentò la produzione di film in Europa, ma non in America dove esplose David W. Griffith, uno dei pionieri del Cinema insieme ad Ejzenstejn. Griffith fu uno dei primi ad usare uno schema narrativo per i suoi film, fu uno dei fondatori della Grammatica Cinematografica. Al termine della guerra il mondo
Caro Novecento, da poco te ne sei andato, ci hai lasciato alle soglie di un nuovo millennio, un po’ impauriti, un po’ curiosi. Il conto alla rovescia dei tuoi ultimi minuti, cento anni che volano via così, in una manciata di secondi, quasi fossero nulla; ogni anno la magia si ripete, le emozioni della notte più bella dell’anno si concentrano in quel fatidico attimo. E poi un grande grido di gioia, occhi fissi al cielo per un gran desiderio, abbracci e sorrisi. Hai chiuso un brano della nostra storia, sei il confine tra il passato e il futuro; per questo ti ricorderemo per sempre. Hai visto scorrere davanti a te immagini di violenze, sangue, guerre, lacrime, ma anche nuovi traguardi raggiunti da tutti coloro che non hanno avuto paura di sfidarti, di sfidare il tempo e lo spazio. Hai fatto nascere grandi personaggi, dalle lettere alle scienze, all’arte, alla politica. Ci hai regalato tanto, il seme di quello che siamo oggi, nel bene e nel male. Con il ricordo delle tue pagine più brutte ci hai migliorato e con la consapevolezza di quelle belle ci rendi sempre più orgogliosi di ciò che abbiamo conquistato. Giulia Venanzi VD
conoscerà Charlie Chaplin che basava la comicità sulla fisicità delle azioni. Chaplin è molto importante perché i suoi film, muti anche dopo l’avvento del sonoro, ci mostrano la società vissuta tra le due guerre mondiali. Alla fine degli anni venti in America vennero prodotti i primi film sonorizzati; il primo film musicato e parlato fu Il Cantante di Jazz. Il sonoro giunse dopo pochi anni anche in Italia, sotto dittatura fascista, ed il regime utilizzò il cinema a scopo propagandistico. In quegli anni vengono fondati l’Istituto Luce e l’ENIC (Ente Nazionale Industrie Cinematografiche) e furono costruiti gli studi di Cinecittà. L’avvento del sonoro portò una nuova realtà. Infatti, prima solo le immagini raggiungevano l’immaginario de- gli spettatori, ora anche il suono poteva fare lo stesso. Dopo la II Guerra Mondiale si sviluppano due diversi tipi di cinema: quello spettacolare e il Neorealismo, che prende piede particolarmente in Italia. Il Cinema è stato un folle giocattolo senza le istruzioni, che l’uomo ha man mano imparato ad usare, che è cresciuto con l’uomo stesso, legato per sempre alla Storia. Alessio Mafrici VE
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Novecento e giovani del 2000, si conoscono abbastanza? A rispondere a questa domanda è il Prof. Pierluigi Seri del Liceo Classico G.C. Tacito, ideatore e tuttora coordinatore del Progetto Novecento aperto agli studenti del suo istituto e, da due anni, a tutta la cittadinanza. Da cosa nasce il Progetto Novecento? L’idea è maturata sin da quando stavo tra i banchi di scuola: vedevo un enorme divario tra i classici e ciò che accadeva nel mondo. Mi rimase impresso quando l’opinione pubblica fu scossa dall’attentato di Kennedy e il tema del compito di italiano del giorno successivo fu: La poetica del Tasso. Capite la distanza tra quei banchi e tutto il resto. Una volta insegnante, avrei voluto colmare io quella distanza e trovai nel progetto l’anello che poteva congiungere finalmente la scuola alla realtà. Questo mio sogno nel cassetto, dopo vari ostacoli, è stato realizzato nel 1999: stavo di fronte alla macchinetta del caffè, quando con la professoressa Carla Arconte pensammo di dare vita concretamente a questo progetto e stendemmo le prime idee sul retro di un volantino pub-
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Alcuni giorni fa, studiando a casa di una nostra amica, abbiamo conosciuto la nonna, che festeggiava il suo novantesimo compleanno. Non si può non pensare che questa donna ha vissuto gli enormi cambiamenti che hanno caratterizzato il XX secolo, età segnata da eventi eccezionali e grandiosi, la cui dimensione non è ancora facilmente determinabile proprio perché inedita. Ovviamente il Novecento presenta eventi solo apparentemente più rilevanti: una vasta gamma di cambiamenti tecnologici, dall’uso dell’elettricità e dei combustibili fossili a quello conseguente di automobili, aeroplani, lavatrici automatiche, computer... e così di seguito. Se la felicità dell’uomo dipendesse dalle conquiste tecnologiche, questo sarebbe stato uno dei secoli più felici, purtroppo questa evoluzione non è stata affiancata da un eguale progresso della coscienza civica e del senso dell’humanitas, il che ha sortito altri effetti di proporzioni sconosciute, quali la corsa agli armamenti, una distorta forma di patriottismo, chiamata nazionalismo e due guerre mondiali, sicuramente collegate tra di loro, il cui
blicitario appoggiato sul tavolo della sala dei professori. Da quel piccolo abbozzo nacque un progetto che, dopo dieci anni, ancora suscita interesse. Ciò non sarebbe stato possibile se non avessi ricevuto il sostegno dei miei colleghi ma, soprattutto, della Preside Paola Faina. Quali sono gli obiettivi del progetto? L’obiettivo del corso è molto più umile di quanto si possa pensare. Come disse Elio Vittoriani: la cultura non è ciò che dà risposte, ma ciò che le suscita. Il corso non nasce con la pretesa di risolvere questioni complesse come quelle che interessano la storia del Novecento, ma con l’intento di sensibilizzare i ragazzi a tali problematiche e indurli alla riflessione. Quali sono le reazioni degli studenti? Durante i primi anni, i ragazzi erano molto interessati; sinceramente, di recente ho registrato un calo di interesse delle nuove generazioni, dovuto a più fattori. In primis lo spostamento
impatto sulla società ha lasciato un’impronta indelebile per tutto il secolo. L’eccezionalità di questi due conflitti riguarda innanzitutto il concreto coinvolgimento di tutte le potenze mondiali e un numero di vittime mai registrato in precedenza. Inutile dire che la loro conclusione non ha posto un termine finale alle ostilità internazionali, sfociate sulla spartizione delle zone di influenza: quella sovietica e quella occidentale. Ha inizio così la cosiddetta Guerra fredda. Ad una situazione estera tanto precaria le na-
di sede dal Liceo Classico alla Bct che, se da una parte ha consentito di estendere il progetto all’intera cittadinanza, dall’altra ha causato una dispersione dell’attenzione. Inoltre ho l’impressione che questi ragazzi siano sempre meno propensi a porsi domande e sempre meno curiosi di conoscere. Infine, forse, i giovani del 2007 percepiscono il Novecento come un secolo già troppo lontano. Ylenia Papa & Isabella Policreti 3Ams
zioni occidentali hanno risposto con una massiccia riorganizzazione interna, caratterizzata da una forte industrializzazione, da una estenuante ricerca di fonti energetiche e dalla nascita di nuovi assetti governativi garanti di un equilibrio e del rispetto di quei diritti umani che le guerre avevano profondamente tradito. Basti pensare alla situazione italiana, dove con grande sforzo si giunge alla proclamazione della Repubblica il 2 giugno del 1946 e alle prime elezioni politiche, a cui per la prima volta partecipano anche
Francesca, 18 anni, studentessa del Liceo Classico G.C.Tacito, alla domanda: Cosa ne pensi del Progetto Novecento? Interessante. Spesso tra noi giovani è banalmente e superficialmente diffuso il luogo comune che identifica il Novecento come un secolo tramontato, troppo distante, già intrappolato nei libri di storia e, nei casi più favorevoli, ricordato con immane sforzo solo tramite qualche fotogramma sfocato. Ma non è così. Il Progetto Novecento si è inserito nel nostro programma formativo, non tanto per osservare le varie manifestazioni di un secolo poliedrico dalle molte sfumature, ma proprio con lo scopo di sensibilizzare ed indurre noi studenti ad una riflessione seria e profonda su tematiche e quérelles tutt’ora fonte di discussione, impedendo che l’oblio sgretolasse il gigante sulle cui spalle noi guardiamo al futuro e lo progettiamo. A maggior ragione, quindi, non possiamo certamente
le donne. Ma la ricostruzione fondamentale in campo sociale, dopo i guasti provocati dalla guerra, è rappresentata dall’elaborazione della Costituzione - 18 aprile 1948. Grazie a questa lo Stato divenne patrimonio di tutti e non privilegio di pochi proseguendo e consolidando quel cammino che agli inizi del secolo aveva portato alla nazionalizzazione delle Masse. Grazie a questo passo decisivo oggi possiamo riconoscerci come parte di uno stato moderno. La seconda parte di questo secolo ha visto le lotte per l’emancipa-
LICEO CLASSICO
G . C . TA C I T O evitare di rispondere a queste costruttive provocazioni! Sono stati molti gli argomenti lambiti: da Kandisky e Lo spirituale nell’arte, ai problemi dell’inquinamento e del surriscaldamento terrestre, senza tralasciare Calvino, il Postmoderno, Freud e il tema del doppio in rapporto alla letteratura, tutte piccole e acuminate frecce pronte a centrare il bersaglio della nostra curiosità e del nostro interesse, se recepite adeguatamente! Che dire? Oltre a rinnovare l’invito per l’anno prossimo, ringraziamo la Preside Paola Faina in particolare, il Prof. Pierluigi Seri e i professori che hanno dato il loro prezioso contributo, intervenendo alle conferenze. Francesca Cicciotti
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zione femminile e, nel novembre dell’89, la caduta del muro di Berlino, due eventi che hanno posto fine al millenario primato e monopolio maschile in campo lavorativo e sociale e alla secolare divisione del mondo in due alleanze opposte. L’eredità che questo secolo lascia al successivo millennio comporta l’aprirsi di uno scenario mondiale molto più variegato e complesso, conseguenza e sviluppo di tutti i fattori rilevati ai quali se ne aggiungono altri, quali l’affacciarsi di nuove super-potenze, la ricerca di risorse energetiche alternative al petrolio, l’inquinamento terrestre, l’ancipite fenomeno della globalizzazione e quello dell’immigrazione. L’eredità più pesante rimane l’evoluzione e la globalizzazione di una coscienza civica, atto mancato al grande Novecento. M.Laura Coricelli Giulia Minucci
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Istituto Comprensivo Statale Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Giovanni XXIII COMENIUS DI SVILUPPO La scuola nella comunità, la comunità nella scuola
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Quali sono i vantaggi relativi all’uso degli AEREATORI? * Risparmio idrico * Risparmio energetico * Vantaggio economico * Vantaggio ambientale RISPARMIO IDRICO Riduzione del 50% dell’acqua utilizzata nei rubinetti e nelle docce e del 40% di quella complessivamente consumata in un’abitazione. RISPARMIO ENERGETICO Riduzione del 50% dei consumi energetici per scaldare l’acqua dei rubinetti e delle docce e del 5% del fabbisogno energetico annuale di una famiglia. VANTAGGIO ENERGETICO Riduzione del 50% della spesa annua per la fornitura di acqua e del 5% di quella energetica. VANTAGGIO AMBIENTALE
Abbattimento dell’emissione di CO2 dovuta al riscaldamento e alla depurazione dell’acqua.
La carta europea dell'acqua ci dice che:
1) Non c’è vita senza acqua; l’acqua è un bene prezioso indispensabile a tutte le attività umane. 2) Le disponibilità di acqua dolce non sono inesauribili; è indispensabile preservarle, controllarle e, se possibile, accrescerle. 3) Alterare la qualità dell'acqua significa nuocere alla vita dell'uomo e degli altri esseri viventi che da lui dipendono. 4) La qualità dell'acqua deve essere tale da soddisfare tutte le esigenze delle utilizzazioni previste, ma deve soprattutto soddisfare le esigenze della salute pubblica. 5) Quando l'acqua, dopo essere stata utilizzata, è restituita al suo ambiente naturale, essa non deve compromettere i possibili usi, tanto pubblici quanto privati che in questo ambiente potranno essere fatti. 6) La conservazione di una copertura vegetale appropriata, di preferenza forestale, è essenziale per la conservazione delle risorse idriche. 7) Le risorse idriche devono formare oggetto di inventario. 8) La buona gestione dell'acqua deve formare oggetto di un piano stabilito dalle autorità competenti. 9) La salvaguardia dell'acqua implica uno sforzo importante di ricerca scientifica, di formazione di specialisti e di informazione pubblica. 10) L'acqua è un patrimonio comune, il cui valore deve essere riconosciuto da tutti. 11) La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere inquadrata nel bacino naturale piuttosto che entro frontiere amministrative e politiche. 12) L'acqua non ha frontiere; essa è una risorsa comune, che necessita di una cooperazione internazionale.
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M U S I C A Un po’ di storia - Quarto gong Il Medioevo è un periodo vastissimo attraversato da enormi trasformazioni. Inizialmente si assiste alla decadenza di un impero che aveva regolato la vita dell’Europa per alcuni secoli. Il suo progressivo sgretolamento coincide con le invasioni barbariche, che lasciano l’Italia ed il resto dell’Europa occidentale in condizioni di arretratezza: le comunicazioni si fanno via via più insicure, si perde l’uso della moneta e si ritorna agli scambi in natura. Eppure, tra le pieghe di un fragile tessuto sociale, abbiamo l’evidente fervore di menti operose, positive, ingegnose che lasciano in eredità alla storia un patrimonio di inestimabile valore. Cosa dobbiamo al Medioevo? si domanda Chiara Frugoni nella premessa al suo illuminante dizionario Medioevo sul naso. Provo ad enumerare alcune voci: gli occhiali, la carta, la filigrana, il libro, la stampa a caratteri mobili, l’università, i numeri arabi, lo zero, la data dalla nascita di Cristo, notai, Monti di pietà, l’albero genealogico, le mutande e i pantaloni, le carte da gioco, i tarocchi, gli scacchi e il carnevale, l’anestesia, i vetri alle finestre e il camino. Ci fa sedere a tavola e mangiare con la forchetta. Ha saputo sfruttare la forza motrice dell’acqua e del cavallo. E ancora: la carriola, la bussola, il timone. Ha cambiato il nostro senso del tempo, su questa terra, con l’orologio a scappamento e nell’aldilà perchè ha fatto emergere un terzo regno, il purgatorio, che rompe i destini immutabili dell’eternità. Ha dato il nome alle note musicali ed ha strutturato la scala musicale... La prima scrittura musicale, detta CHIRONOMICA, poteva essere utile esclusivamente a chi già conosceva i brani da eseguire, ma non era efficace per l’insegnamento perchè si limitava a suggerire gli accenti della voce. In seguito, la scrittura NEUMATICA iniziò ad indicare i rapporti ascententi e discendenti (lo spostamento da un suono più grave-basso verso un suono più acuto-alto) in gruppi di due o tre note; infine la scrittura QUADRATA unificò le diverse scritture diffusesi in Europa e quella DIASTEMATICA introdusse il concetto di altezza con due linee, una per posizionare il Fa, l'altra per il Do. Il monaco benedettino Guido d'Arezzo (995-1050) può essere definito il fondatore della moderna notazione musicale. Sua l'intuizione del TETRAGRAMMA (dal greco tetra: quattro e gramma: lettera, segno, linea) e suoi i nomi di 6 suoni utilizzando le sillabe UT RE MI FA SOL LA tratte dai versi dell’Inno a San Giovanni, composto nel secolo VIII da Paolo Diacono: UT queant laxis REsonare fibris Affinché i tuoi servi possano acclamare a MIra gestorum FAmuli tuorum, piena voce i prodigi delle tue gesta, sciogli la colpa del labbro impuro, SOLve polluti LAbii reatum, Santo Giovanni. Sancte Iohannes. Il nome SI, dato al settimo suono, fu successivamente aggiunto, ricavandolo dalle iniziali di Sancte Iohannes. In seguito UT fu trasformato in DO; le note da quadrate divennero romboidali e poi tonde; infine alle quattro linee se ne aggiunse definitivamente una quinta: era nato il PENTAGRAMMA. L'ultimo passo verso la notazione moderna si ebbe verso il 1260, quando Francone da Colonia introdusse le figure di valore... Prof.ssa Pia Giani
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ACI
Te r n i
Nel 1898 fu fondato l'Automobile Club di Torino con lo scopo di favorire lo sviluppo dell'automobilismo in Italia. Poi l’AC di Firenze, Milano, Genova, Padova, Terni, Roma. Presidente dell’ACI dell’Umbria e di Terni è il Sen. Mario Andrea Bartolini.
Egregio Senatore Bartolini, può illustrare ai lettori de La Pagina le finalità dell’ACI? L’ACI è l’unica Associazione che, in Italia, rappresenta e tutela l’interesse dei cittadini automobilisti ed è, contemporaneamente, una struttura pubblica ed una associazione di cittadini. Le finalità dell’ACI sono sostanzialmente due. Una garantisce servizi a favore del cittadino per conto della pubblica amministrazione, attraverso la riscossione delle tasse automobilistiche e la gestione del pubblico registro automobilistico. L’altra è volta a concretizzare finalità sociali, cioè rappresentare e tutelare i cittadini automobilisti. Alla sua nascita l’ACI rappresentava solo quei pochi che si potevano permettere il lusso di una automobile. Adesso l’auto è un mezzo per il lavoro, per la mobilità, per la libertà del cittadino ed è quindi fruibile da tutti. Situazione attuale dell’automobilista e richieste al governo nazionale. La situazione che vive l’automobilista è pesantissima perché gravano costi in costante aumento per l’acquisto e l’uso dell’auto, costi non più sopportabili dalle famiglie meno abbienti. Si aggiunga il continuo aumento del prezzo dei carburanti, delle tariffe della assicurazione e i costi dei parcheggi. L’ACI è per una politica che contenga questi costi. Il primo punto per il quale ci battiamo: le auto siano costruite non all’insegna del mito della velocità, ma del mito della sicurezza. Altro punto riguarda le tariffe dell’RC Auto, affinché non continuino ad aumentare. C’è poi da impegnarsi per l’aspetto più grave, quello per cui quando il prezzo del carburante aumenta alla base, aumenta anche per il cittadino, quando invece diminuisce alla base, non diminuisce per il cittadino. Infine, chiediamo che le multe siano erogate solo al
FAMILIARI, CONVENZIONI NAZIONALI E DIPENDENTI: € 69,00 CONVENZIONI LOCALI: € 73,00
fine di assicurare la regolarità del traffico, ma non per fare cassa che risani i bilanci dei Comuni. Quest’ultima problematica è attualmente al centro del confronto tra ACI, governo e parlamento nazionale. Una delle questioni sulla quale l’ACI è impegnato con tutte le proprie forze è quella relativa alla sicurezza stradale. Siamo a livelli gravissimi perché in Italia ogni anno ci sono quasi 7000 morti e 250000 feriti. La Comunità Europea ha fissato, anche per l’Italia, l’obiettivo di ridurre gli incidenti stradali del 40% entro il 2010. Mentre l’Italia sta addirittura peggiorando, altri paesi come la Francia, la Germania e l’Inghilterra hanno compiuto grandi passi in avanti e realizzeranno l’obiettivo fissato dalla CE. Le finalità allora dell’ACI possono essere riassunte in traguardi quali: MOBILITA’ SOSTENIBILE SICUREZZA STRADALE SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE.
Ci sono peculiarità umbre? Qui in Umbria si manifestano, in modo particolarmente accentuato, tutte le problematiche che esistono
a livello nazionale. C’è la necessità di migliorare la mobilità ed aumentare il collegamento tra la nostra regione, il resto del Paese e l’Europa tenendo conto che tale collegamento è un fattore indispensabile per una politica di sviluppo dell’Umbria, regione ove è anche molto pesante il problema degli infortuni stradali. Ci sono dati sui quali occorre riflettere: nel 2006 si sono verificati 3350 incidenti stradali che hanno provocato 100 morti e 5009 feriti. L’aumento degli incidenti nella prima parte del 2007 rispetto al 2006 è davvero preoccupante: nei primi 6 mesi del 2006 morirono 14 persone, nei primi 6 mesi del 2007 addirittura 20, con un aumento di 6 decessi. Si tratta di un dato sconcertante. Rispetto a questa situazione, si è verificato in Umbria un fatto importante, quello della stipula, la prima in Italia, di un accordo di collaborazione tra la Regione, l’ACI Umbria e l’ACI Italia. Ora sono in corso discussioni, approfondimenti, trattative tra l’ACI, Regione, Province e Comuni per produrre, entro il 2008, importanti iniziative
sul problema della mobilità sostenibile in generale, e, in particolare, su quello drammatico della sicurezza stradale. E per la Provincia di Terni? Stiamo elaborando con l’ATC, l’Azienda Trasporti Consortili, un progetto per la mobilità e la sicurezza stradale, in collaborazione con tutti gli Enti Amministrativi che operano sul nostro territorio. Tale progetto ha per obiettivo la sensibilizzazione sulle tematiche della mobilità, della sicurezza stradale e della salvaguardia ambientale. Pensiamo di allestire un autobus per illustrare e propagandare le nostre politiche presso tutti i Comuni della Provincia di Terni, particolarmente nelle scuole. Il programma delle visite (della durata di un giorno) prevede incontri con gli studenti, per la loro sensibilizzazione; con gli amministratori, per concordare ed armonizzare le strategie da mettere in atto; con la popolazione per poter ascoltare direttamente proposte ed esigenze dei cittadini. Siamo infatti consapevoli che la sicurezza stradale non si possa garantire solo attraverso l’inasprimento delle
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multe, l’istallazione degli autovelox, il miglioramento delle strade, accorgimenti sul funzionamento delle automobili... tutti elementi necessari, ma che non hanno saputo risolvere il problema. Infatti la causa fondamentale della quasi totalità degli incidenti deriva dal cattivo uso dell’automobile, soprattutto da una guida in stato di ebbrezza dovuta all’alcol ed alla droga. Allora è sentita l’esigenza di creare una cultura della sicurezza stradale, del rispetto della propria vita e di quella degli altri. C’è bisogno di creare contatti diretti per realizzare una formazione, direi una educazione, al rispetto della vita. L’ACI svolge proprio il ruolo di rappresentanza e di tutela degli interessi dei cittadini automobilisti. Ecco perché essere Socio ACI costituisce un interesse reale per l’automobilista. Collaborazione ACI - La Pagina. La collaborazione con uno strumento di informazione qual è La Pagina, che sappiamo essere diffuso in un numero molto consistente di copie, è sicuramente di grande utilità per l’ACI Terni e quindi cercheremo di realizzare compiutamente tale collaborazione. Obiettivo fondamentale per l’ACI è quello di far apprezzare sempre più, presso tutti i cittadini automobilisti, i servizi e i prodotti che eroghiamo. Due le categorie di persone che all’ACI interessano in modo particolare. Una di queste è rappresentata dagli anziani, non solo perché essi possono essere i destinatari dei servizi e delle politiche dell’ACI, ma in quanto persone che per la loro storia, la loro esperienza, la loro collocazione nella famiglia della società civile, possono essere strumento di ulteriore diffusione della cultura della sicurezza stradale e del rispetto della vita. Fondamentale è poi il rapporto con la scuola e con le nuove generazioni, perché solo una efficace sensibilizzazione consentirà di risolvere i problemi che ci stanno a cuore. Ritengo allora necessario che la collaborazione tra l’ACI e La Pagina abbia come finalità essenziale quella di sviluppare e potenziare il rapporto educativo con le nuove generazioni. La ringrazio, Sen. Bartolini. Giampiero Raspetti
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R E N ATO D O N AT E L L I Chirurgo, pioniere insigne della cardiochirurgia 16 luglio 1927 - 5 ottobre 1969 Medaglia d’Oro al merito civile Medaglia d’Oro di benemerenza della Città di Milano Medaglia d’Oro del Ministero della Sanità al merito della Sanità Pubblica Medaglia d’Oro degli Istituti Ospitalieri di Milano Medaglia d’Oro del premio nazionale della Giornata del Medico
La Provincia di Terni per la cultura
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Padova, 10 dicembre 2007 ore 17,22 - primo intervento in Italia per impianto totale di un cuore artificiale in un paziente. L’operazione è stata eseguita dall’equipe del Prof. Gino Gerosa. L’intervento arriva a 22 anni di distanza dal primo trapianto di cuore in Italia. Questo traguardo era già stato ipotizzato nei lontani anni cinquanta da un nostro illustre concittadino, Renato Donatelli, che sostituì, primo in Italia e fra i primi nel mondo, una valvola cardiaca ammalata con una di plastica: era il 25 settembre 1963. Chi è veramente Renato Donatelli? Chirurgo e maestro di qualità eccezionali, portò in pochissimi anni la cardiochirurgia italiana ad affiancarsi alle più qualificate scuole mondiali. Nella sua breve carriera, stroncata da una morte immatura, ha salvato migliaia di vite: basti pensare che eseguiva da mille a milletrecento interventi l’anno. Abruzzese di nascita, ternano di adozione, primo di quattro fratelli, il padre impiegato statale, frequentò il Liceo-Ginnasio Tacito di Terni poi, nel 1943, per il trasferimento del padre, terminò gli studi classici a Milano, e, nel 1951, si laureò a pieni voti. Iniziò a svolgere servizio di assistente volontario presso l’Ospedale Maggiore ove conobbe il Prof. Angelo De Gasperis che, valutandone le capacità, lo invitò ad indirizzarsi alla chirurgia. Donatelli dirige allora i suoi sforzi a migliorare le caratteristiche del circuito extra corporeo, così da poter allungare i tempi dell’intervento ed affrontare le correzioni delle cardiopatie più complesse. Progetta e realizza un nuovo modello di scambiatore di calore da inserire nel circuito extra corporeo per il raffreddamento ed il riscaldamento del sangue in corso di intervento. Nel 1957 conseguì, a pieni voti e con lode, presso l’Università di Genova, la specia-
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lizzazione in Chirurgia Generale e, nel 1959, la specializzazione in Chirurgia Polmonare, presso l’Università di Torino. Ottenne nel 1961 la libera docenza in Clinica Chirurgica Generale e Terapia Chirurgica. Nel febbraio 1962 De Gasperis diagnosticò su di sé un terribile male che lo porterà alla tomba nel luglio successivo. Informò della sua malattia solo l’allievo prediletto, che lo assistette amorevolmente sino alla fine. In una lettera-testamento De Gasperis dichiarò che l’unico in grado di sostituirlo fosse Donatelli che, del resto, ne faceva ottimamente le veci già da tempo. Nel settembre 1963, primo in Italia e fra i primi al mondo, eseguì la riparazione di un vizio valvolare mitralico con protesi artificiale. Una giuria composta da illustri personaggi gli assegnò poco dopo il premio Uomo del giorno. La sua fama varcò definitivamente i confini nazionali. Da quel momento il suo nome venne annoverato fra quelli dei più noti cardiochirurghi del mondo: Cooley, De Bakey, Dubost e Starr. La sua immagine diventò nota al grande pubblico nonostante Renato Donatelli sostenesse che i medici non fossero delle prime donne e dovessero quindi lavorare in silenzio. Nel 1964 eseguì la prima sostituzione della valvola aortica, nel 1965 la duplice sostituzione valvolare e, all’inizio del 1967, primo in Europa, la contemporanea sostituzione mitralica, aortica e tricuspidale. Fu anche il primo ad effettuare la correzione radicale di varie cardiopatie congenite complesse, come la Tetralogia di Fallot; ancora per primo eseguì la correzione di aneurismi nell’aorta toracica, affrontando la terapia chirurgica delle complicanze dell’infarto miocardico. Il suo nome fu pure legato a migliaia di interventi in tutti i
campi della chirurgia polmonare, tracheale, esofagea e diaframmatica. Nel 1967 gli conferirono, ad Houston, la cittadinanza onoraria. Fu medico di grande statura per le sue doti umane, attraverso le quali sapeva filtrare ogni rapporto con i pazienti, partecipando al dramma della malattia con naturale capacità di confortare, aiutare e incoraggiare, tenendo sempre viva nei sofferenti la fiamma della vita e la luce della speranza. Ci lasciò nel pieno fervore della sua meravigliosa e prodigiosa attività - aveva troppo da fare per badare un poco di più a se stesso - per il riacutizzarsi di una epatite virale contratta qualche anno prima in sala operatoria e trasmessagli, ironia della sorte, da qualche sconosciuto paziente al quale aveva ridato la vita. Sulle riviste e sui giornali apparvero titoli come questo: Le mani prodigiose di Renato Donatelli si sono fermate. Qualcuno, salutando l’amico che si allontanava per sempre in quel tiepido e mesto mattino di ottobre, deve aver sperato, una volta ancora, nella vita immortale. Qualcun altro deve aver disperato, una volta ancora. Tornò nella sua terra molto, molto tempo prima di quanto era lecito pensare. Riposa ora a Terni fra la mamma ed il papà. A suo nome sono state intestate vie, scuole, reparti e borse di studio in diverse città d’Italia Al sesto piano dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni c’è il suo busto, posto il 29 maggio 1971. La figura umana del Prof. Donatelli, che operò sempre disinteressatamente per il bene dell’umanità sofferente, che lasciò, alla sua morte inaspettata, una numerosa schiera di preparatissimi suoi allievi, sia di esempio e di sprone a quanti frequentano il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Angelo Ceccoli Laura Barnabei
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La Provincia di Terni per la cultura
Ministero della Pubblica Istruzione Liceo Scientifico Statale “R. Donatelli” Via della Vittoria , 35 - 05100 TERNI - TEL: (0744)428134 - FAX: (0744)409338 http://scuole.provincia.tr.it/ls_donatelli- E-Mail: trps03000x@istruzione.it CODICE FISCALE: 80006150553 - C.C.P.: 10813053 Protocollo n° 7377
Terni, lì 13 dicembre 2007
Carissimo Giampiero, è da qualche tempo che desideravo farti sapere, a nome mio personale e dei dirigenti scolastici delle scuole che Tu ospiti su La Pagina, quanto apprezziamo il tuo lavoro per questo giornale, che è conosciuto da tutti e letto con crescente attenzione. In primo luogo, certo, per gli aspetti di maggiore evidenza: cioè l’interesse degli argomenti sia locali, sia di attualità sia di ordine generale; il tono degli articoli, serio ed efficace anche quando chi scrive non è un giornalista di professione; la grafica piacevole, colorata, leggera ma non frivola; l’impaginazione che assicura evidenza e un certo ordine logico a tutti i contributi…, e si potrebbe continuare. Ma credo che queste cose ti saranno già state dette da molti. Invece, parlando come dirigenti scolastici - quindi responsabili di un’istituzione educativa - a te che per gli aspetti educativi hai sempre mostrato tanta passione, vorremmo sottolineare che il tuo giornale, aperto alla collaborazione anche di studenti, insegnanti, dirigenti, è un luogo di confronto, uno strumento prezioso per mettere in contatto la realtà locale con il mondo della scuola; non tanto nel senso astratto istituzionale che il termine sembra evocare, ma proprio come incontro di persone e di problemi, di punti di vista e di idee. Le pagine riservate agli istituti superiori servono anche ad aiutare la reciproca conoscenza. E, per quanto riguarda in particolare gli studenti, vorremmo anche sottolineare un altro merito non trascurabile. Come tutti sanno, da parecchi anni ormai a scuola si devono proporre nuove tipologie di scrittura al posto del vecchio tema, e una di queste è appunto l’articolo di giornale: che certo potrebbe far acquisire o consolidare capacità preziose di comunicazione, di sintesi, di efficacia espressiva, di attenzione alla realtà…, ma che a scuola trova il suo principale e inevitabile limite nel fatto di essere ‘finto’, di essere una pura simulazione di articolo che non si rivolge a nessuno (perché ordinariamente viene letto solo dall’insegnante), e non serve a null’altro che a far prendere un voto al suo autore. Il fatto invece di scrivere qualcosa che gli altri leggeranno stimola e responsabilizza gli studenti, senza contare poi che la curiosità di ritrovarsi o di ritrovare nel giornale persone conosciute li spinge a leggerlo sempre più ampiamente, quindi a migliorare la confidenza con la carta stampata; cosa che non resterà senza conseguenze per il futuro. Voglio concludere con una riflessione fatta proprio con alcuni studenti, giorni fa: La Pagina non si paga, è dunque un giornale “senza prezzo”, il che talvolta suona quasi come “senza valore”, per la mentalità utilitaristica corrente; dovrebbe significare invece “di valore incalcolabile” e non monetario. Nella speranza che il suo valore si accresca sempre più e venga riconosciuto, e contribuisca anche a far scoprire ai nostri concittadini il senso della gratuità (oltre che dell’intelligenza e del dialogo), ti rivolgiamo insieme al nostro grazie un fervido augurio di buon lavoro. IL DIRIGENTE SCOLASTICO (Brunero Brunelli)
Poesia musica e silenzio Può nascere poesia tra spazzatura e santità pulendo il pesce in cucina? Compiere semplici gesti quotidiani può essere una forma di preghiera? Adélia Prado, brasiliana, madre di cinque figli risponde di sì a queste domande, e lo fa per mezzo di immagini, colori, odori decisi che si sprigionano prepotentemente dai versi delle sue poesie col rischio di risultare fastidiosi a dei palati fini, abituati a non scavare, a guardare con occhi ciechi la realtà senza affondarci dentro. Nell’incipit di Una forma per me si legge: Sono andata presto a cercare cose nella spazzatura, a far buchi in ananas imputriditi, / seguendo una
vena buona, come chi cerca oro. / Che c’entra tutto ciò con la santità? / Ma se non c’entra muoio, / poiché non conosco un’altra aria meno densa / di questa dove il mio naso si poggia. Ho potuto conoscere la ricchezza di questi e altri versi grazie al professor Morilla Delgado e alla dott.ssa Parisi, prendendo parte con altri giovani al progetto Poesia musica e silenzio. Se aspettiamo che i mass-media propongano qualcosa del genere stiamo freschi… quindi lo facciamo noi! Il primo incontro del 31 gennaio presso il cenacolo San Marco, ore 17.30, sarà proprio incentrato sulle poesie della Prado;
poi ogni mese ci si immergerà in un autore diverso, sempre presi per mano dalla dolcezza dei brani per chitarra eseguiti da Maurizio Brunelli e Lisa Mattera: le note accompagnano ancora meglio le parole lì dove devono arrivare. La densità del linguaggio poetico diventa tutt’uno con la musica, facendo sì che il contenuto arrivi immediato, nessuna spaccatura tra segno e senso. Tutti i giovedì, inoltre, il cenacolo è aperto a chi vuole partecipare al laboratorio di recitazione tenuto da Elena Sinibaldi, Oreste Crisostomi e Silvia Imperi, per scoprire tutte le possibilità comunicative della voce; quindi del silenzio, perchè senza silenzio non ci può essere neppure ascolto. La poesia, come la mu-
Arte vs razzismo sofiche, sono emerse antinomie importanti, dalle origini fino ad oggi. Uomo-donna, bello-brutto, forte-debole, oppressoreoppresso, bianco-nero, normale-anormale, riccopovero. A volte può succedere che, al costo di non sembrare razzisti e discriminatori, si ricorra ad atteggiamenti goffi o a circonlocuzioni che accentuano le differenze. E’ quanto Tahar Ben Jelloun, scrittore franco-marocchino, vuole trasmettere attraverso il libro Il razzismo spiegato a mia figlia: dire ad esempio di colore, può voler discriminare ancora di più di dire nero. Si giochi, piut-
Quante volte l’arte ha saputo spiegare meglio delle parole, in maniera più pregnante e meno fraintendibile le situazioni? Mi riferisco a quelle in cui si presenta da una parte un gruppo che fa da soggetto, da migliore, da padrone, e dall’altra parte un gruppo che fa da oggetto, peggiore, servo. In tutte le fasi storico-filo-
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tosto, con la differenza, per toglierne l’accezione negativa e proporla come componente naturale del mondo e della vita. L’arte sembra prestarsi bene a ciò. Il nano Henri De Toulouse Lautrec racconta il mondo notturno delle ballerine o delle prostitute parigine di fine Ottocento. La fotografa Diane Arbus quello dei nani, dei travestiti, dei siamesi e di altri individui strani agli occhi dei più, negli anni cinquanta del Novecento. Ugualmente fa il regista Tod Browning con il film scandalo Freaks nel 1932. Ma casi simili si possono rintracciare ovunque e in qualsiasi epoca. Oggi lo
sica, vive grazie a pause e respiri, ma spesso non consideriamo la necessità di queste componenti così poco appariscenti. Chi per preconcetto pensa che la poesia sia riservata ai letterati o, al contrario, ai ciarlatani, ha l’occasione di potersi ricredere! L’esempio di Adélia Prado è calzante, né solo poeta né solo casalinga
ma l’uno e l’altro inscindibilmente e appassionatamente. Questa iniziativa del Campus Universitario è rivolta a tutti: a chi ama la poesia, la letteratura, il teatro, la musica… insomma, tutto ciò che permette di fermarsi e riflettere sulla propria vita senza lasciarsela scorrere addosso. Beatrice Ratini
stesso. Esempio forte è Kara Walker, un’artista afroamericana in grado di raccontare storie destabilizzanti su razzismo e sopraffazione, ambientate nel Sud schiavista prima della guerra di secessione. Il linguaggio è quello figurativo, caratterizzato dalla prevalenza di silhouette nere su bianco, adattate a collage o a disegni o a animazioni o a pupazzi. Sono cresciuta a dosi massicce di orgoglio nero. Fantastico, ma totalmente sbilanciato,dice l’artista in una intervista esclusiva per D di Repubblica del 28 luglio 2007. E, riguardo all’orgoglio nero continua: Da teenager ho iniziato a chiedermi perché fosse così smisurato, cosa stesse cercando di compensare. In Georgia, dove gli steccati erano
ancora assurdamente alti, l’ho capito: serviva a coprire gli enormi misteri e le mitologie del razzismo. Mi è esplosa una gran voglia di ribellione, insieme al bisogno di espormi in prima persona contro certi pregiudizi, proiezioni, associazioni legate alla “negritudine”. Così ho giocato a diventare esotica, animale, sexy, selvaggia, forte… Forse anche per questo amo scandagliare il disagio, la vergogna. Ed ecco come sia stata eletta, nel Time, una tra le cento persone che cambiano il mondo, avendo esposto con successo un po’ovunque, come raramente avviene per artisti afroamericani, e insegnando alla Columbia University.
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Giuseppe Garibaldi
M O RT I
Al di là della
a 2 00 anni d a l l a na sc i t a
bianche
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La figura di G. Garibaldi è divenuta espressione di eroismo, di combattività e di decisione, superando il suo tempo per giungere intatta fino a noi. I tentativi di opporre l’eroe di sempre, quello dei nostri sogni di ragazzi, di studenti, di uomini, ad altri personaggi della nostra storia, con l’idea di sminuirne il contributo all’unità e alla concordia, non convince chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le fasi che hanno portato a ricomporre l’attuale territorio della nostra Italia. Mi riferisco al maldestro intento di alcuni revisionisti, intriso di ignoranza storica e di assenza di sensibilità nei confronti di un uomo che continuerà a rappresentare per i giovani un modello di equilibrio e di volontà patriottica. Credere nella validità delle proprie idee, dare concretezza al disegno mazziniano di una Italia comune, sacrificarsi per la causa del popolo è stata la scommessa giocata e vinta da Garibaldi a vantaggio di tutti, pronto all’azione così come a fermarsi di fronte ad ordini superiori, disposto all’obbedienza e all’umiltà. La sua capacità organizzativa, l’analisi attenta della situazione politica e sociale si tramutava sempre nella migliore interpretazione dell’azione militare.
Sarebbe utile che la sua figura fosse più spesso ricordata ai giovani studenti delle nostre scuole, ormai quasi privi di ideali cui affidare i personali progetti di vita. L’entusiasmo che l’Uomo seppe suscitare nel realizzare il suo disegno di unificazione territoriale, vorrei fosse presente nelle attese spente dei nostri ragazzi. Ecco, è il coraggio di agire e di dar vita a convincimenti comuni che manca oggi, relegati come siamo a giocare un ruolo senza rischi e senza slanci, sempre in attesa che sia qualcun altro a compiere passi in grado di segnare gli avanzamenti comuni. Il merito dell’Eroe dei due mondi sta nello spirito di abnegazione che ha caratterizzato l’intera sua esistenza, la capacità di calcolare i rischi, così come prevedere i risultati del suo impegno politico e sociale. Agli ideali di libertà e di unità dei popoli non ha trovato un limite territoriale nella patria personale, ma ha saputo applicare il concetto allargandolo ad ogni realtà che anelasse a spezzare le catene della prigionia materiale e di pensiero. Combattere in Italia o a Montevideo non faceva differenza per lui, perché ambedue i popoli aspiravano a sentirsi liberi dall’oppressore. Quanti esempi si potrebbero trarre dalla sua vita avventurosa. Ci sarebbe materiale per tutti, specie in un contesto come quello che viviamo, intasato di egoismi e protagonismi, calcoli e materialità, incapaci di vivere alla garibaldina, senza cioè far riferimento al tornaconto personale e con la voglia di costruire per il bene di tutti. Ing. Giocondo Talamonti
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G. M. Fara, Presidente dell'Eurispes, segnala elementi di estrema gravità: in 25 anni, dal confronto dei dati dell’ultimo rapporto con quelli di una vecchia indagine dell'istituto, le cifre restano più o meno le stesse. Elaborando dati Inail, l'Eurispes evidenzia come ogni anno muoiono, in media, in Italia, 1.376 persone per infortuni sul lavoro. Numeri da guerra. Anni di occupazione militare dell’Iraq, sono costati molte meno vite all’esercito USA. Molte morti sui luoghi di lavoro non sono incidentali, ma tragico risultato di chi, avendo in disprezzo la vita umana, rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza e di chi dovrebbe non solo approvare leggi ancor più stringenti (anche se le leggi italiane sono, in realtà, già serie), ma farle, soprattutto, rispettare. Ogni volta mi domando: i sindacati, i partiti, gli amministratori, l’esercito, i pontificatori, i filosofi, i giornalisti... dov’erano? Dove quelli così afflitti quando la disgrazia si abbatte sui figli degli altri? I loro, anche se neghittosi o idioti, li hanno piazzati bene, molto bene! Ci sarà un capro espiatorio qui a Terni... una persona dabbene... soprattutto perché non si vorrà mai accettare che i veri responsabili sono quelli che, finita la funebralità e prosciugata la scorta di lacrime, obliano lo stato di guerra e aspettano il prossimo rituale, disinvolti coccodrilli in ghingheri. Buon Secolo a tutti. GR
Ci sono persone che, senza voler esprimere giudizi di merito sulla la vita di qualcuno, sono obiettivamente superficiali. Superficiali nel loro vivere quotidiano, nelle loro letture, nelle loro passioni, negli hobby (quando ne hanno), nella curiosità e vivacità che mettono nell’arte di vivere. Molto spesso queste persone, quando incontrano qualcuno che fa battere loro il cuore, si fanno travolgere da quella che interpretano come una passione struggente senza capire che, quello che scalda loro il cuore, non è Amore ma semplicemente un sentimento che, per la prima volta, li coinvolge. Ci si crede innamorati e si porta avanti un rapporto perchè non si hanno altri interessi che impegnino la mente ed il cuore. Gli amori, descritti come passioni ardenti nei romanzi tanto in voga nella fine dell’ottocento, raccontavano di ragazze il cui unico interesse era fare l’uncinetto, avere bei vestiti e trovare marito. È facile capire come, per queste donne, la passione sia stata un sentimento impetuoso che travolgeva tutta la loro vita. Quello che stupisce è però che ancora oggi - quando la cappa e la spada si tirano fuori solo a carnevale - ci siano persone con una vita talmente banale e superficiale che sono disposte a struggersi di dolore e di passione per qualcuno che in realtà non amano affatto, ma usano come palliativo per non percepire l’assurdità e la mediocrità delle loro vite. Quando non si hanno passioni forti per la politica, per il lavoro, per un ideale in cui si crede fortissimamente o anche per uno
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sport, per un gruppo di amici o per la propria famiglia, si cade preda di amori vani e superficiali che rendono ancor più modeste le esistenze di questi individui. Se la vita di una donna ruota completamente intorno al proprio uomo, se questa donna non ha nessun interesse al di fuori della coppia, se la sua unica responsabilità che richieda un minimo d’impegno è vestirsi e truccarsi per uscire con lui, com’è possibile che quest’uomo sia appagato dal suo rapporto di coppia? Com’è possibile che trovi stimolante una conversazione, un viaggio o la condivisione di una lettura con la sua partner? La limitatezza di alcune coppie appare lapalissiana a tutti coloro che le frequentano, ma i diretti interessati non si rendono conto di condurre delle esistenze piatte e prive di originalità né di essere giudicate persone superficiali e prive d’interesse. Sarebbe bello se, per questo 2008 che sta iniziando, il nostro proposito fosse quello di educare alla passione tutte le persone in cui ravvisiamo questa superficialità di sentimenti, in modo da stimolare in loro interessi forti per qualcosa per cui valga la pena lottare, soffrire ed impegnarsi. Claudia Mantilacci
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Dalla di
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alla
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Ferdinando Maria Bilotti
Acquario Valido surrogato della televisione. Lo spettacolo che offre non è molto meno vario e staccando la spina si può far morire tutto quanto c’è dentro. Da questo punto di vista la televisione abbisogna ancora di qualche piccolo perfezionamento tecnico. Altra Per l’innamorato equivale a nessuna. Altruismo La più raffinata tra le innumerevoli incarnazioni del nostro narcisismo. Amore Sentimento che lega la vittima al proprio carnefice. Amore verso gli animali Sentimento di cui si abusa per nobilitare la propria indifferenza verso gli esseri umani.
Anticlericalismo Malattia infantile dell’ateismo. Anticonformismo La via moderna al qualunquismo. Arrogante Lo diventa la persona con cui stai discutendo, quando ti dimostra che hai torto. Arte L’incontro, o forse lo scontro, fra la tecnica e l’estro. Per inciso, nell’arte moderna non è dato di trovare né l’uno, né l’altro dei due termini. Autoironia L’alibi del cretino. Autoreferenziale Che si nutre di se stesso, come ad esempio la televisione, la politica e la vita mondana e/o culturale (più o meno oggi è la stessa cosa) dei paesi civilizzati. Incidentalmente, si tratta d’una pessima dieta.
Il 20 dicembre 2007 è nata una bellissima bimba di nome Margherita, figlia del nostro collaboratore ed amico Ferdinando e di sua moglie Vanessa. A nome di tutta la Redazione de La Pagina, vogliamo dedicare a questo piccolo fiore sbocciato a pochi giorni dal Natale i nostri auguri più affettuosi e sinceri.
Benvenuta Margherita!
Lui
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Gianni si sente attratto da Pia. Le propone di andare al cinema e lei accetta. Si divertono. Sere dopo lui la invita a cena e di nuovo stanno bene. Nel giro di poco nessuno di loro due vede più altre persone. Una sera, in auto, rincasando, Pia senza pensarci dice: Hai pensato che oggi sono sei mesi che ci vediamo? - Si fa silenzio in auto. A Pia quel silenzio sembra pieno di significati. Pensa: Forse gli avrà dato fastidio che abbia detto questo, forse crede che io voglia forzarlo a prendersi un impegno che lui non desidera o del quale non è sicuro… - Ma Gianni sta pensando: Ma guarda, sei mesi… E Pia pensa: Ma neanch’io sono sicura di volere questo tipo di rapporto. A volte mi piacerebbe avere un po’ di libertà, per aver tempo di pensare a ciò che voglio veramente… Continueremo a vederci a questo livello di intimità? Sono pronta per questo impegno? Conosco davvero quest’uomo? E Gianni pensa: Quindi questo significa che era…vediamo… Febbraio quando iniziammo, giusto dopo aver lasciato l’auto dal meccanico, cioè… vediamo il contachilometri… merda, devo cambiare l’olio! E Pia pensa: È sconvolto, glielo leggo in faccia. O forse sto interpretando male. Forse vorrebbe più dal nostro rapporto, più intimità; forse lui ha sentito prima di me che ho delle riserve. Sì, è questo. Ha paura di sentirsi rifiutato. E Gianni pensa: Devo dire loro di guardarmi di nuovo il carburatore. Questa cosa cammina come un camion dell’immondizia. E Pia pensa: È arrabbiato. Anch’io lo sarei. Dio, mi sento così colpevole, facendogli passare questo, ma non posso evitare di sentirmi come mi sento. E non mi sento sicura. E Gianni pensa: Mi diranno che ha solo tre mesi di garanzia! E Pia pensa: Forse sono troppo idealista, aspetto che arrivi il principe azzurro sul suo cavallo bianco, quando invece ho al mio fianco una persona comune, buona, con la quale mi piace stare, che è importante per me ed alla quale io importo. Una persona che soffre per le mie egocentriche fantasie da adolescente romantica. E Gianni pensa: Vogliono una garanzia? Gliela do io la garanzia… Gianni! - dice Pia a voce alta. - Cosa? - dice Gianni sorpreso. Per favore non ti torturare così - dice lei con gli occhi velati di lacrime - forse non avrei dovuto dirti… O Dio, mi sento così… - e si interrompe singhiozzando. Cosa c’è? - dice Gianni. Sono così stupida - singhiozza Pia - Voglio dire, lo so che non esiste quel principe. Non esiste né cavaliere né cavallo… Non c’è il cavallo? - dice Gianni stupito. Pensi che sono stupida, vero? - dice Pia. Ma no - dice Gianni contento di avere finalmente una risposta certa. E’ solo che… ho bisogno di un po’ di tempo - dice Pia. C’è una pausa di 15 secondi durante la quale Gianni, pensando più rapidamente che può, cerca una risposta. Finalmente gliene viene in mente una: Certo, ti capisco - dice. Pia, emozionata, prende la sua mano: Oh, Gianni, davvero pensi questo? Ah - dice Gianni - Sì, sicuramente… Pia si volta per guardarlo e fissa i suoi occhi, rendendolo alquanto nervoso per quello che lei gli potrà dire, soprattutto se ha a che vedere con un cavallo. Alla fine lei gli dice: Grazie, Gianni. Lui la accompagna a casa e lei va a letto. Essendo un’anima che si tortura, piange fino all’alba. Intanto Gianni torna a casa, apre un sacchetto di patatine, accende la TV e si immerge in una replica di una partita di tennis tra due giocatori sconosciuti. Una debole voce in un angolo recondito della sua mente gli dice che qualcosa di importante è successo nell’auto, ma è sicuro che non c’è modo di capirlo: meglio non pensarci. Il giorno dopo Pia chiamerà una delle sue amiche e parleranno della cosa per sei ore di seguito. In forma dolorosamente dettagliata, analizzeranno tutto ciò che lei ha detto e tutto ciò che lui ha risposto, ritornando su ogni punto una e più volte. Esamineranno ogni parola, considerando ogni possibile ramificazione. Continueranno a discutere per settimane, senza arrivare a conclusioni, ma senza mai annoiarsi. Intanto Gianni un giorno, guardando una partita di calcio con un amico, distrattamente dirà: Luca, sai se Pia ha un cavallo?
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