La pagina gennaio 2009

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URUK

Giampiero Raspetti

N° 1 - Gennaio 2009 (61°)

A Gerico il primo villaggio. A Uruk, seimilacinquecento anni dopo, e seimilacinquecento anni fa, la prima città, fenomeno che impresse una svolta radicale alle condizioni di vita degli uomini. Sparuti gruppi alla continua ricerca di cibo, impotenti, per centinaia di migliaia di anni, nei confronti della natura, danno inizio, unendosi lungo le rive dell’Eufrate, alla nuova organizzazione sociale ed alla produzione calcolata dei beni, ottenendo altresì le prime vittorie nella comprensione e nel dominio della natura. Allorché la produzione dei beni supera il fabbisogno, si sviluppa la divisione del lavoro, con specialismi operativi che non producono direttamente cibo, ma svolgono servizi necessari alla nascente società. Sacerdoti, guardie, scribi, artigiani, mercanti, oltre agli agricoltori ed agli allevatori, ovviamente. Le condizioni di vita migliorano, ma nessun cittadino è più autosufficiente: tutti lavorano in funzione degli altri. Rigogliosa si fa la catena della socialità e della solidarietà. Spuntano poi specialismi non produttivi, ma solo allietativi. E’ il ludico pubblico, compatibile con il di più e dosato sempre con misura. Oggi la famiglia di chi produce si è allargata a dismisura, costretta a mantenere orde di parassiti, non sempre ludici. Il lavoro dell’uomo di cultura e di scienza, dell’artigiano e dell’imprenditore, dell’operaio e del contadino, di ideatori e di esecutori, è costretto a mantenere uno straripante superfluo. Non lo stringe però nel pugno, come suggerisce la parola, ma gli è imposto da uno stile di vita in cui l’inutile traboccante (super fluo) si fa, per tanti ricchi, lo stretto necessario, mentre miliardi di diseredati, alla incessante ricerca di una infinitesima parte del minimo necessario, chiedono sempre più insistentemente e a ragione la loro parte di diritti. I parassiti che manteniamo sono sotto l’occhio di tutti. Sotto le occhiaie dei genitori i tanti giovani che non hanno lavoro. Inquieta una società che aggiunge uno zero alle elargizioni per politici e calciatori e ne sottrae uno agli stipendi (stips significa monetina) di scienziati ed educatori. Una società che oggi disaggrega, mutila; in cui cresce a dismisura l’incapacità di interpretare e di capire, beotizzati come siamo dall’idiozia del superfluo. Saremo capaci di tornare alla vita delle necessità e dei valori, quella che eresse Uruk? Saremo in grado di rifiutare indifferenza e isolamento, di desiderare meno maestri e più testimoni, meno tv e più libri, meno disparità e più giustizia sociale? Riusciremo ad imprimere una svolta radicale per l’urgente trasformazione sociale ed economica, per un rapporto diverso tra le persone ispirato a convivialità, nonviolenza, gratuità, sobrietà? Se sì, fiorirà la città che invochiamo, la città del sole e delle acque, non confusa da abbrutimenti, ma rallegrata da solidarietà. Un dono necessario che l’uomo farà a se stesso.

Maria Luisa Fazio

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Presidi, assessori e strani oggetti..., F P a t ri zi Grazie a Terni l’Italia..., A Mel a secch e Solidarietà, G R Si fa presto a dire Buon Anno, P F a b b ri Una mobilità sostenibile, J D ’ A n d ri a Il piacere..., C C a rd i n a l i Diritti umani, M R i cci DANESI Progetto Mandela A proposito di amore..., J D a n i el i J Derrida e il decostruzionismo, P S eri 7 8 -9 10

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G A N D H I N a rn i S ca l o L i ceo C l a ssi co Sc. Elementare ALDO MORO

Museo Tecnologico all’ITIS di Terni Il privilegio del parcheggio ai disabili, C C a t a l a n o Astronomia, T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri , Astronomia, P C a sa l i , S Va l en t i n i , F G u erri Ascoltiamo un libro, B R a t i n i Il tesoro di Collescipoli, S B el l ezza Fondazione Cassa di Risparmio Festa della maternità

Te s t o s um e r ic o Pongo fine alla confusione della mia razza umana e all’abbrutimento delle mie creature facendo uscire il popolo dalle caverne. Si costruiscano le città: in esse l’ombra sia gradevole. La pura acqua che spegne il fuoco si troverà lì: la terra sarà irrigata. Desidero che vi sia pace. Enlil

- dio supremo


Presidi, assessori e strani oggetti in mezzo alla cultura

In un piovoso giorno dicembrino, nell’aula magna del sacro ovile della cultura cittadina, un coro di ragazzi impettiti e silenti ascolta la lectio magistralis del primo cittadino, poi la campana liberatoria, fine dall’apnea, aprite le finestre, ancora piove! Quattro chiacchiere sui giovani, eh eh… aria contrita del preside, insomma, questi giovani di oggi… parolina che, come un colpo di gong, fa scuotere all’unisono le teste concordi… e già, l’aria è ormai satura di sconforto. Mentre il gruppetto peripatetico attraversa l’androne, l’assessore tira fuori un blackberry: vi faccio leggere cosa mi hanno scritto su facebook… Silenzio. La pioggia cessa per un istante e sotto il nume umido di Apollo Licio risuona un primo ehm… il preside, in qualità di detentore di qualcosa, si sente in dovere di prendere la parola: questo feiss-bùc… (lo conosco, lo conosco, vedete!)… ma tutto parte dai libri (non lo conosce, non lo conosce). No, è un… fa l’assessore, subito rimbrottato. Deve essere uno strumento per la cultura (oh, l’ha detto apertis verbis, finalmente!), ma la conoscenza è nei libri. Infatti, ribatte l’assessore, è un mezzo. Noi (plurale presidis) non dobbiamo ignorare queste forme, ho letto Homo videns di Sartori! Oh, plauso, aggiornamento acclarato (sartor, sartoris, sartori…). Trattasi di un testo del 1997 scritto da un rispettabile vecchio saggio, o saggio vecchio, che non è più un punto di riferimento, ogni anno il mondo tecnologico fa un salto in avanti di qualche secolo e, se non gli stai in groppa, resti nella platonica caverna. Ogni giro di asse terrestre, il globo si avvolge sempre più nelle fitte maglie della rete, camminiamo portandoci in tasca l’aleph borgesiano e il cervello, anche solo per una operazione da svolgersi usando il pollice prensile (quello allenato dai messaggini, per intenderci), riceve un milione di input in più dell’homo videns da salotto. Ma quale visione passiva, quale subdola ricezione orwelliana stile scuola di Francoforte! Oggi un ragazzino di dodici anni è capace di seguire contemporaneamente e con un’attenzione altamente selettiva la tv, il pc e ascoltare musica, il tutto mentre chatta, cioè scrive in tempo reale con uno o più persone. E senza perdersi un input di questo babelico vortice comunicativo. Un cervello sottoposto, sin da piccolo, ad un simile bombardamento di stimoli, reagisce in maniera straordinaria, con una velocità di elaborazione, sintesi e risposta fulminea. Come si fa a dire che tutto ciò rimbecillisce il povero vecchio brain? Al contrario, mr. Preside, lo fa diventare un muscolo olimpionico, un potenziale enorme tutto da sfruttare. Mi dirà, casomai, che mancano adeguate forme di impiego che non siano di mero entertainment, ma questo è compito arduo di chi deve inculcare nelle giovani menti le categorie del giudizio, dell’euristica, dell’ermeneutica, ovvero… (per brevità, consultare it.wikipedia.org). Visto così, il compito della scuola è davvero oneroso. Nel silenzio del Peritato le teste oscillano mosse da un refolo di sconforto, la pioggia riprende con crepitio dannunziano e l’accolita dei colti si accomiata ripromettendosi più attenzione verso le altre diavolerie della modernità che Steve Jobs (ennesimo travestimento del professor Woland del Maestro e Margherita, l’abbiamo riconosciuto!) si inventerà per rivoluzionare la vita dell’homo digitalis. Tutto è nei libri, caro assessore... quel coso, quel blackberry... è solo un mezzo… ma mi dica, in confidenza, prende Francesco Patrizi anche Sky?

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Grazie a Terni l’Italia entra nella Settimana globale dell’imprenditorialità Si chiama Global Entrepreneurship Week, ovvero Settimana Globale dell’Imprenditorialità, ed è l’unico e più grande evento nel pianeta che celebra e promuove l’imprenditoria tra i giovani. Nasce come fusione di due pre-esistenti iniziative Entrepreneurship Week negli USA e Entreprise Week nel Regno Unito, ed è promossa dalla Kauffman Foundation, presieduta dall’economista americano Carl Schramm e dall’organizzazione inglese Make Your Mark voluta da Gordon Brown, Primo Ministro. La prima è la maggiore organizzazione indipendente di ricerca economica al mondo dedicata allo sviluppo dell’imprenditoria, mentre la seconda è la campagna gestita dalle imprese e sostenuta dal governo per creare cultura d’impresa nel Regno Unito. In Italia tutte le iniziative fanno capo a META Group, società di Terni che opera a livello internazionale nel campo della valorizzazione dei risultati dell’attività di ricerca e che, insieme alla consulenza strategica per l’innovazione, fornisce sostegno alla nascita e allo sviluppo di imprese knowledge intensive, ovvero ad “alta densità” di conoscenza. Partner diretti delle iniziative italiane, tra gli altri, sono: le Ambasciate americana ed inglese ed i relativi Consolati di Milano, la LUISS, la Scuola di Alta Formazione Sant’Anna di Pisa, IBM, Ernst&Young, l’Associazione Alumni Accenture, Junior Achievement, grandi gruppi bancari fra cui Banca Intesa, imprenditori di successo, investitori e tanti, tantissimi giovani, potenziali futuri imprenditori. Lo scopo della Week è proprio quello di preparare nuove generazioni di imprenditori e manager capaci di operare nell’economia globale della conoscenza ed è punto di riferimento scientifico di Governi e Università per favorire la crescita economica, promuovere valori imprenditoriali, analizzare e diffondere strumenti e pratiche per la creazione di impresa, l’innovazione, la formazione scientifica dei giovani. Dal 17-23 novembre 2008, milioni di persone degli 80 Paesi aderenti, hanno partecipato agli eventi gestiti da migliaia di organizzazioni in tutto il mondo. La Week favorisce la creazione della prossima generazione di imprenditori globali, mettendo in relazione le persone grazie a reti sociali online, promuovendo i benefici della libera espressione dei valori d’impresa fra i giovani anche in relazione con i più importanti problemi sociali: povertà, cambiamenti climatici, sostenibilità. In un periodo di profonda incertezza per l’economia globale anche a causa della crisi dei mercati finanziari, la celebrazione dell’imprenditorialità come valore culturale e sociale mette in risalto una delle componenti essenziali per la promozione dello sviluppo e la creazione di nuova ricchezza. L’iniziativa intende lanciare un messaggio positivo, cercando di far maturare una riflessione sul ruolo che il connubio tra finanza orientata alla crescita e imprenditorialità competitiva può dare al riassetto del sistema economico. È dall’azienda che rischia, innova e scopre nuove vie che origina il perseguimento della competitività e, in ultima analisi, il progresso della nostra società. Per approfondire l’iniziativa il sito di riferimento è www.unleashingideas.org. Unleash significa “scatena, libera, sguinzaglia”, quindi… scatena le tue idee! Le aree più attive al mondo e quindi in forte crescita non sono quelle necessariamente più ricche, ma quelle in cui questi valori entrano a far parte del patrimonio culturale soprattutto delle giovani generazioni. Quei Paesi e quei territori in cui viceversa subentra l’apatia, l’assuefazione, spesso l’assistenzialismo, sono destinati irrimediabilmente alla marginalizzazione. Terni deve ormai, necessariamente, fare una riflessione: o trova energie nuove da mettere in rete e ricomincia a credere in se stessa, oppure il suo declino sarà irreversibile e non potremmo darne la responsabilità al destino cinico e baro. Esistono a Terni moltissimi giovani che vorrebbero liberare e scatenare le proprie idee, sarebbe sufficiente consentire loro di farlo ed accompagnarli nella difficile fase del decollo. E’ possibile creare le condizioni per un dream ternano? alessia.melasecche@libero.it

LA

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipografia: Umbriagraf - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C.

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Solidarietà La crisi è reale, non solo per il nostro Paese. I diseredati sono lumicino. Per fortuna c’è chi si ostina a pensare alle famiglie in difficoltà. Un grande opificio di solidarietà è, in Terni, la Caritas diocesana. Ci ripromettiamo, nel mese di febbraio, di parlarne più diffusamente. Ci piace oggi ricordare due iniziative, collegate alla Caritas. Vero che la solidarietà si professa e non si sbandiera, ma sono tanti e così potenti i messaggi del male che ci piovono addosso tutti i giorni che pensiamo sia anche il momento di esporre aspetti positivi, di speranza e di solidarietà GR

Natale è per tutti Centoquattordici bottiglioni sigillati, esposti sopra 114 casse dei Supermercati Superconti. Le offerte dei clienti saranno raddoppiate da Superconti stesso e consegnate alla Caritas di Terni Narni Amelia. L’iniziativa, ideata da Superconti e proposta alla Caritas diocesana, è innovativa nel suo genere, oltre ad essere molto utile. Il cittadino depone, all’interno dei bottiglioni, la sua offerta. Saranno poi, in presenza della Caritas stessa, dissigillati i contenitori e il promotore dell’iniziativa aggiungerà il doppio della cifra, qualunque questa sia. L’augurio è che questo interessante tipo di forma solidale, che investe la sensibilità di molti, possa, esso stesso, raddoppiare, triplicare, ripetersi più volte, essere emulato.

laboratori

Ospedale della solidarietà Aldo Placidi, presidente dell’Associazione di Volontariato San Martino (braccio operativo della Caritas diocesana), ci parla, con sentito trasporto, dell’Ospedale della Solidarietà, progetto che riesce a far giungere in Italia persone, soprattutto bambini, affetti da gravissime malattie e destinati a morire nei loro Paesi (Albania, Santo Domingo, Kosovo in particolare), perché, per varie cause, impossibilitati ad essere lì curati e guariti. L’Associazione si interessa del visto di ingresso in Italia, accoglie all’aereoporto, garantisce l’assistenza del malato e del suo accompagnatore, facendosi ovviamente carico delle spese di mantenimento, mentre le spese di degenza presso l’Ospedale sono sono affrontate dalla Regione. Infine, a guarigione ottenuta, riaccompagna gli assistiti all’aereoporto. Veramente emozionante è il vedere giungere qui dei giovani in sedia a rotelle e ripartire muovendosi con le loro gambe. Anche quando tutto sembra impossibile (è il caso di un bambino ancora sotto cura) perché a suo padre, donatore di rene per il proprio figlio, è stato inibito l’ingresso nel nostro Paese in quanto già clandestino. Ma, grazie all’impegno solidale dell’Associazione, il provvedimento è stato, dalla Prefettura di Roma, sospeso ed ora il bambino è qui, sottoposto ad amorevoli cure.

Lab

S i fa presto a dire

Buon Anno

Il calendario che usiamo è scaturito dalla riforma gregoriana del 1582. A quel tempo Gregorio XIII riformò il calendario giuliano che nei secoli aveva perso dei colpi, sfasando rispetto al ciclo stagionale. L’effetto più sorprendente fu la sparizione di dieci giorni, perché i fedeli cattolici si addormentarono la sera di giovedì 4 Ottobre per risvegliarsi all’alba di venerdì 15 Ottobre, pur avendo dormito una sola notte. Ma non tutti gli stati furono subito disposti ad adattarsi ai capricci d’un pontefice, specialmente quelli che, per la Riforma protestante o per lo Scisma d’Occidente, vedevano il papa di Roma come fumo negli occhi; però l’idea di mettere ordine nel calendario era buona, e prima o dopo si adeguarono tutti: i russi così in ritardo da chiamare ancor oggi rivoluzione d’Ottobre quella che in realtà fu una rivoluzione di Novembre, e gli svedesi in maniera così strana ed ambigua da finire col ritrovarsi, nell’anno di grazia 1712, la molto insolita data del 30 Febbraio. Proprio per il successo del calendario gregoriano, si tende a pensare che il calendario giuliano fosse un sistema molto impreciso del computo dei giorni; ma in realtà il lavoro di sistemazione compiuto da Giulio Cesare fu assai maggiore di quello di papa Gregorio. Questi, a parte l’abolizione dei 10 giorni, si limitò a stabilire che dovevano sparire tre anni bisestili ogni 400 anni (è per questo che il 1700, il 1800, 1900, pur essendo multipli di 4, non sono stati bisestili, mentre il 2000, multiplo di 400, lo è stato); ma a Cesare toccò l’improbo compito di mettere ordine dove ordine non esisteva affatto. Ai tempi di Romolo, i romani contavano l’anno a partire dal mese di Marte (Martius, Marzo), cui seguivano il mese di Venere (Aphrodite, da cui Aprile; ma forse il nome viene da aperire, aprire), poi quello di Maia (Maggio) e quello di Giunone (Iuno, Giugno). Poi, forse per pigrizia eponima, altri sei mesi venivano solo ordinati dal quinto al decimo; anzi, da Quintilis a December. Erano infatti soltanto dieci i mesi dei sudditi di Romolo e Tito Tazio: avevano così in uggia l’inverno che il periodo più freddo dell’anno, della durata d’una cinquantina di giorni, non veniva proprio conteggiato e meno che mai si riteneva opportuno dedicargli un nome. Sembra che sia stato Numa Pompilio ad introdurre d’autorità il mese delle febbri (Febbraio) e quello di Giano (Gennaio). Non abbiamo sbagliato l’ordine: Gennaio era proprio compreso tra Febbraio e Marzo, all’inizio. Ma anche così, tutto restava nelle mani e nella fantasia dei sacerdoti, specialmente la lunghezza dei mesi e degli anni, al punto che, se Cesare si decise a mettere mano alla cosa nel 45 aC, non fu per caso: il 47 era stato un anno di 355 giorni, mentre il 46 fu arricchito del mese Intercalaris e anche dai mesi straordinari Undecember e Duodecember, raggiungendo la bellezza di 445 giorni. Appurato che l’anno dura 365 giorni e 1/4, Cesare istituì delle regole fisse libere dall’arbitrio sacerdotale: l’anno inizia a Gennaio; ogni mese ha un numero fisso di giorni; ogni tre anni da 365 giorni ne segue uno da 366. Infine, si dedicò l’innominato Quintilis chiamandolo Iulius. Oltre alle cose storicamente certe, ci sono anche leggende solo probabili, ma assai divertenti: si narra ad esempio che, avendo ormai l’anno non più di 366 giorni, la lineare sequenza alternata dei giorni dei mesi 31-30 apparisse del tutto naturale; i mesi dispari ebbero 31 giorni, quelli pari solo 30; negli anni normali era Februarius, a causa della vecchia abitudine che continuava a ritenerlo l’ultimo mese dell’anno, ad avere solo 29 giorni. Poi arrivò Ottaviano Augusto: quando si decide di cambiare nome anche a Sextilis per chiamarlo Augustus in suo onore, c’è un bell’imbarazzo da gestire: Iulius ha infatti 31 giorni, Sextilis solo 30. Ecco allora che anche Augustus viene promosso d’autorità a mese di 31 giorni. Poi, per evitare una serie anomala di tre mesi da 31 giorni, si cambia parità ai quattro mesi che restano. E il giorno in più destinato al mese di Ottaviano? Al solito, lo paga Febbraio; passa così dai 29/30 giorni agli ancor più miseri 28/29. Dopo Augusto diventa imperatore Tiberio: il Senato gli offrì subito il mese di Settembre, ma lui rifiutò l’onore. Cosa offrireste al tredicesimo Cesare? rispose con sdegno l’imperatore. E così, siamo rimasti con i mesi che vanno dal nono al dodicesimo chiamati coi numeri dal sette al dieci, con due mesi consecutivi di 31 giorni e uno di soli 28. Il tutto, mentre arriva un 2009 che non si presenta certo come l’anno più facile e ricco degli ultimi tempi. Ma, pazzie del calendario e dell’economia a parte, noi persistiamo a pensare che si possa in buona fede augurare a tutti buon anno nuovo, e sperare che l’augurio si avveri. Piero Fabbri

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Una mobilità sostenibile Prima di aprire un nuovo capitolo nella descrizione delle direttrici di ricerca verso una mobilità sostenibile, quello dedicato all’idrogeno, è interessante approfondire ciò che l’Europa sta mettendo in campo per promuovere la diffusione dei cosiddetti combustibili alternativi. La Commissione Europea e altre istituzioni europee hanno deliberato una serie di iniziative legislative con l’obiettivo di incentivare l’utilizzo di biocombustibili al posto dei tradizionali combustibili fossili, e anche di favorire la diversificazione delle forniture energetiche e la riduzione delle emissioni di gas serra. La direttiva europea sui biocombustibili (2003/30/EC), per esempio, ha fissato un obiettivo indicativo per gli stati membri di sostituire il 5,75% dei carburanti tradizionali con biocombustibili entro il 2010. Lo scorso 23 gennaio 2008 la Commissione Europea ha rilasciato una proposta integrata per far fronte ai cambiamenti climatici (Climate Action: per ulteriori informazioni consultare la pagina web http://ec.europe.eu/energy/climate_actions/index_en.htm). Un punto essenziale di questo pacchetto di iniziative è la promozione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili (fino al 20% entro il 2020). Tale direttiva fissa un obiettivo per il settore dei trasporti, di utilizzare un 10% di carburanti da fonti rinnovabili entro il 2020. Anche la revisione della direttiva sulla qualità dei carburanti (98/70/EC), attualmente in fase di discussione, prevede un maggiore utilizzo di biocombustibili nei trasporti. Secondo la Commissione Europea, il settore dei trasporti incide in Europa per il 32% del consumo totale di energia e per il 28% delle emissioni di gas serra. Tuttavia, tale settore si prevede che avrà inciso per il 90% dell’incremento delle emissioni di gas serra tra il 1990 ed il 2010. Le case automobilistiche hanno un ruolo fondamentale non solo nell’incrementare l’efficienza dei veicoli, ma anche per aumentare la consapevolezza dei consumatori (gli automobilisti) sull’importanza del loro comportamento alla guida per ridurre i consumi e le emissioni allo scarico. La diffusione dei biocombustibili oltre il 2020, ovvero verso miscele di tenore maggiore, è condizionata dalla risoluzione dei problemi ancora sul tappeto: la sostenibilità ambientale degli attuali sistemi di produzione e degli eventuali danni arrecati all’ambiente per procurarsi le materie prime per produrre biocombustibili, i rischi di incrementare la pressione sui prezzi di alcuni alimenti in uno scenario di incremento demografico su scala globale. Dopo aver analizzato i vari combustibili alternativi, da fonti primarie tradizionali e da fonti rinnovabili, è il momento di introdurre un vettore energetico davvero rivoluzionario, che si differenzia dalle fonti energetiche di origine fossile per il fatto di non contenere in alcuna misura carbonio: l’idrogeno. Esso non è presente in natura (a differenza di petrolio, gas naturali e carbone) e ciò costituisce indubbiamente un handicap notevole visto che una quantità di energia importante deve essere spesa per ottenere idrogeno da elementi presenti sul nostro pianeta (dall’acqua del mare per esempio). Ma i vantaggi dell’utilizzo dell’idrogeno come principale vettore energetico sarebbero enormi: la sua reazione con l’ossigeno non produce gas serra e genera una quantità di energia di circa tre volte superiore rispetto ad una benzina tradizionale (oltre 30 mila Kcal contro circa le circa 10 mila di una benzina). Nei prossimi articoli verrà fornita una panoramica delle barriere tecnologiche che ancora devono essere superate per passare dalla attuale Oil Economy (basata sul petrolio) ad una Hydrogen and Electricity Economy (basata sull’idrogeno). Ing. Jacopo D’Andria

Il piacere... Vi è mai capitato di guidare la vostra auto ed avvertire una gradevole sensazione addosso…?!? L’epicentro, come di un terremoto però calmo, di assestamento, in mezzo alla pancia e che piano piano si espande in tutto il corpo salendo alla testa. Nessun pensiero, “mente sgombra”, aperta. Il piacere della libertà. Che cosa intendiamo per “libertà”? In molti la fanno coincidere con l’assenza e/o la ribellione alle regole, ai vincoli. Altri con la negazione di un bisogno. Altri ancora con il rifiuto di un legame sentimentale. In tutti questi casi invece, siamo in presenza di una forma reattiva, impulsiva e difensiva, che in qualche modo passa attraverso un evitamento. Il tentativo di dimostrare/rsi “capaci di fare a meno di” traduce, proprio, la forza di quel bisogno,la paura del contrario, la ricerca di una identità o definizione del sé (costruita per contrapposizione a qualcosa). Liberi si è: se ci si sente tali, senza doverlo dimostrare. Se / quando si è in grado di riconoscere ed accettare i propri bisogni e procederne alla soddisfazione (subito o differita nel tempo). Liberi si è quando si possono ammettere le proprie debolezze; quando si comprendono gli errori, imparando da essi. Quando si guarda avanti, non rimuginando sul passato. Libero è colui che non si nega le emozioni, piuttosto si affida ad esse. E’ aperto a sentire ed ascoltare, senza pregiudizi, accoglie la diversità. L’individuo libero è sereno, con se stesso sta bene ed ha bisogno di momenti in cui è (da) solo. Non agisce in modo impulsivo, anche se sa vivere forti emozioni. Egli resta fermo, solido, stabile davanti alle azioni degli altri, mentre registra i vissuti; mantiene la sua posizione in modo assertivo e non si sente minacciato da quella degli altri. Usa la paura come segnale, una informazione per gestire le situazioni – senza il bisogno di controllarla. “Libero” ha il coraggio delle sue scelte, essendosi dato la possibilità di sbagliare. Ha un senso di autonomia che gli consente di appoggiarsi agli altri, chiedergli aiuto, accettare le critiche (costruttive). Può dare consigli, senza pretendere che vengano accettati né risentendosi con l’altro se non li condivide o non li segue. E l’autostima si mantiene intatta, “uguale”. Se esprime un’opinione non deve/vuole convincere l’altro ad essere d’accordo con lui e/o che la propria è migliore, più giusta. Può anche accadere che modifichi lui la propria, se le argomentazioni dell’altro gli sembrano valide. Guidare l’automobile è un po’ come guidare la propria vita, condurla con attenzione, prudenza, responsabilità, mantenendo dei percorsi stabili ma avendo la facoltà di cambiare itinerari e/o mete. Bisogna considerare il proprio spazio – confine e quello dell’altro/i, rispettare regole socialmente condivise e vincere le paure per sviluppare capacità , abilità. Chi tenta di negare ad un altro la libertà di essere (l’indipendenza) sta denunciando di temerla per sé, di avvertirla come minaccia. Usa un “atto di forza” per coprire la propria debolezza, o meglio la propria fragilità. Ed è paragonabile ai bambini che chiudono gli occhi per non essere visti. La libertà è una forza pulsante in ognuno di noi, una fiammella che va tenuta accesa, attraverso una conquista quotidiana. Dott.ssa Claudia Cardinali

Psicologa Psicoterapeuta - Esperta in Sessuologia Clinica

Diritti Umani

Con la rivoluzione umanistica e rinascimentale comincia a farsi strada la concezione dell'individuo come valore in sé, come centro d'interesse primario, ma questa concezione rimane ancora per molto tempo sul piano filosofico e culturale, in quanto le condizioni politiche non lo permettono. Infatti la formazione dello stato moderno assoluto, nel quale il potere è esclusivamente nelle mani del re e proviene direttamente da Dio, nega totalmente diritti e libertà individuali, riducendo il singolo a suddito. Tuttavia lentamente si sviluppa la coscienza dei diritti e la lotta per affermarli e questo avviene a due livelli, quello religioso e quello politico, che spesso s'intrecciano. Quanto al primo livello la riforma protestante aveva riportato in primo piano il problema della libertà di coscienza come diritto primario di ogni individuo. Ma dal momento che anche il protestantesimo, una volta divenuto religione di stato, aveva cominciato a negare quella libertà che aveva rivendicato per sé, la lotta per la libertà religiosa diventa lotta contro l'intolleranza sia della chiesa della controriforma sia della chiesa protestante. Si rivendica da parte delle menti più illuminate il diritto di professare la religione che si sceglie, non quella del proprio 7° sovrano. A livello politico è dalle file della borghesia che nasce la coscienza della necessità del superamento dell'assolutismo e della trasformazione del suddito, oggetto soltanto di doveri, in cittadino, soggetto soprattutto di diritti. La stagione moderna dei diritti si apre con la teoria del diritto naturale, il giusnaturalismo, prodotta dall'olandese Ugo Grozio nel 1625, che dà un fondamento teorico alla ormai diffusa coscienza delle libertà individuali. Questa dottrina è servita per rivendicare le due conquiste fondamentali del mondo moderno nel campo politico: il principio della tolleranza religiosa e quello della limitazione dei poteri dello stato. Di diritto naturale aveva già parlato, oltre a qualche filosofo antico, anche il pensiero cristiano medievale, trovando il fondamento dei diritti naturali in Dio. La novità della teoria moderna dei diritti naturali sta invece nel fatto che essi vengono fondati sulla ragione ovvero sulla convinzione che essa da sola è in grado di dare un fondamento ai diritti, che vengono a dipendere non più da Dio, ma semplicemente dalla natura. Infatti è per natura che ogni persona quando nasce acquisisce il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà e basta la ragione a riconoscerlo. Il giusnaturalismo è il prodotto di quella autonomia della ragione critica che il filosofo Cartesio aveva affermato dando l'avvio alla filosofia moderna. Sono tutti intellettuali appartenenti alla classe borghese quelli che producono i primi fermenti del pensiero laico e non è un caso che Grozio sia un prodotto intellettuale di quell'Olanda del '600, che costituiva un’oasi di tolleranza e di libertà nell'Europa della Controriforma. Ma dove si produce il terreno più favorevole alla nascita di una cultura politica dei diritti è l'Inghilterra del '600, che darà vita al primo stato liberale della storia. Prof . Marcello Ricci

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GLI ANGELI DEL FANGO

La Provincia di Terni per la cultura

Parlando dell’impegno giovanile nella seconda metà del ‘900, tematica del Progetto Mandela di quest’anno, uno degli eventi che più ha visto coinvolti i giovani è stata l’alluvione di Firenze. Durante la notte fra il 3 e il 4 novembre 1966 erano caduti quasi 200 mm di precipitazioni, provocando l’esondazione dell’Arno che riversò nella città 300 milioni di metri cubi d’acqua. La città fu allagata e in alcune zone l’acqua arrivava ai 4 metri di altezza. Quando si ritirò, Firenze era ricoperta da fango e detriti. Visto il ritardo dell’Esercito e della Croce Rossa, i primi ad intervenire furono giovani provenienti da tutto il mondo sia per aiutare i cittadini sia per salvare l’immenso patrimonio artistico della città. Furono soprannominati angeli del fango, perchè passavano giornate intere immersi nella melma per portare in salvo le opere d’arte fiorentine. I ragazzi dell’epoca erano considerati menefreghisti e trasandati, invece, soprattutto grazie ai cosidetti capelloni fu messo in salvo gran parte del patrimonio storico-letterario di un’intera nazione. Mentre si passavano i libri e i quadri, rischiando la propria vita, cantavano canzoni come Bella ciao, Dio è morto o Auschwitz. Molto interessante è la testimonianza di un giovane, Silvano Manetti, che all’epoca aveva 16 anni e come molti non avrebbe mai immaginato di vivere un’esperienza simile: Avevo 16 anni e la mattina del 4 Novembre stavo studiando storia in previsione di un’interrogazione la settimana successiva. Mio padre mi disse: Che cosa fai? Vai a vedere l’Arno!, così uscii e al Ponte alla Vittoria vidi qualcosa di unico: una massa di acqua mai vista sembrava voler portare via tutto, e mentre cominciava ad uscire dagli argini correndo verso la discesa di Via Bronzino, tutto intorno i tombini delle fogne si erano trasformati in fontane zampillanti. […] I primi giorni uno dei problemi maggiori era l’acqua: quante taniche d’acqua ho trasportato fino a casa! Oltre alle autobotti, ricordo anche l’aiuto spontaneo di tanti: un signore in Lambretta proveniente dalla provincia mi affidò la sua tanica da 25 lt, aspettando affinché potessi portarla a casa e svuotarla; […] Dopo una settimana circa tramite la mia scuola cominciai ad andare al Gabinetto Viesseux: c’erano ancora tanti libri nel sottosuolo ove venivano lasciati alcuni centimetri di acqua per salvaguardare le pagine ed i libri non ancora recuperati. A turno si passava qualche ora nel sottosuolo allagato e maleodorante per raccogliere i libri, passandoli poi ad una catena umana di ragazzi fino ai piani superiori, ove venivano cosparsi di segatura. Tutto questo continuò per diversi giorni: si stava insieme e non si sentiva fatica o disagio; la sera tornavo a casa tutto infangato, ricevendo i rimproveri di mia madre. Anche Roberta Bencini offre attraverso il suo racconto un importante spaccato dell’impegno in città durante quei giorni: Nel 1966 avevo sedici anni e frequentavo il liceo classico Galileo; quel fatidico 4 Novembre era festa ed io come tutti ne avevo approfittato per dormire un po’ di più. All’improvviso arrivò la notizia che l’Arno era straripato in città e che stava allagando tutto. […] Il giorno successivo, come migliaia di altri giovani e ragazzi, mi sono ritrovata nelle strade del centro storico, rese irriconoscibili del fango misto a nafta che ricopriva ogni cosa, e invece di andare alla Bibioteca Nazionale mi sono fermata nel cortile degli Uffizi davanti all’Archivio di Stato dove già tanti volontari erano al lavoro per estrarre preziosi tomi ed incunaboli. Mi sono inserita in quella catena umana che si passava di mano in mano i manoscritti, a volte enormi, resi ancora più pesanti dal fango di cui erano intrisi. Ricordo con commozione l’arrivo di Papa Paolo VI venuto a Firenze per celebrare in Duomo la messa di Natale. Per chi aveva visto la desolazione dei primi giorni dopo la furia delle acque fu quasi un miracolo constatare come la tenacia con la quale tutti si erano prodigati in una gara di solidarietà senza precedenti, era riuscita, dopo poco più di quaranta giorni dal tragico evento, a far rivivere la città per presentarla ancora ferita, ma non vinta, alla vista del Santo Padre. Oggi sembra strano sentir parlare di giovani disposti ad impegnarsi così tanto per salvare la cultura, però forse non sono poi così disinteressati e menefreghisti come da sempre considerati nella storia, perchè nel momento della necessità sono sempre i giovani a fare la differenza. Giovanni Agostini, Edoardo Santoni

Giornata della Memor ia 2009 Teatro Verdi 29 gennaio mattina per le scuole superiori e ore 21.00 Rose sbocciate dal fango Voci dal Lager femminile di Ravensbrück drammaturgia e regia Irene Loesch

A Ravensbrück, circa 80 chilometri a nord di Berlino, le SS fecero costruire nel 1938 l’unico grande Lager in territorio tedesco destinato alla “detenzione preventiva” femminile per contenere inizialmente le “politiche”: comuniste, socialdemocratiche e testimoni di Geova tedesche. Presto a loro si aggiungono donne ebree, donne rom e sinti con i rispettivi bambini, donne da 47 nazioni. A Ravensbrück furono immatricolate 132.000 donne delle quali circa 95.000 morirono di fame o furono vittime di esperimenti medici. Circa 1.000 furono le italiane (di cui 919 identificate). A Ravensbrück nacquero 870 bambini, ma solo pochissimi ebbero la ventura di sopravvivere. Il personale di sorveglianza era formato da speciali reparti femminili delle SS, noti per la loro ferocia. Rose sbocciate dal fango racconta la storia delle donne di Ravensbrück. Dall’inferno di quel lager si levano le voci di coloro che nella poesia e nella musica hanno trovato una forma di resistenza per vincere la paura e la morte. Lo spettacolo, basato sul prezioso patrimonio culturale e artistico nato clandestinamente nel lager, è un toccante omaggio a queste donne, alla loro sfida contro tutti i divieti, alla solidarietà e amicizia che non conobbe distinzioni di nazionalità, di religione, militanza politica o origine sociale. Nelle canzoni, nelle storie e nelle poesie si incontrano e si mescolano le tante tradizioni culturali presenti nel lager: momenti di armonia e bellezza rubati e ostinatamente contrapposti all’orrore, alla violenza e all’impotenza della vita nel campo.

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60 anni di diritti Il 10 dicembre 2008 ricorreva il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e poiché non tutti sono a conoscenza delle difficoltà e dei compromessi che hanno portato alla sua stesura, anche a Terni sono state organizzate varie occasioni per ricordare quanto sia importante e fondamentale questo Documento. E’ stata proprio la BCT ad ospitare vari eventi tra cui una lezione, tenuta dal Prof Marcello Ricci, per approfondire le circostanze in cui è nata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata a Parigi il 10 Dicembre 1948, dopo la Seconda Guerra Mondiale e i suoi orrori, che avevano sconvolto l’Europa e il mondo intero. Il Documento è frutto di un dibattito filosofico cominciato nel 1789, durante la Rivoluzione Francese, con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Altrettanto importanti furono i Quattordici punti di Woodrow Wilson, che prevedevano una pace stabile e durevole dopo la vittoria degli alleati nel primo conflitto mondiale. Tali punti, che dovevano costituire la base per la Pace di Parigi, non furono però rispettati; infatti le potenze vincitrici approfittarono delle difficoltà degli sconfitti per imporsi in Europa e sulle colonie. Poi nacque nel 1919 la Società delle Nazioni, organizzazione sopranazionale per il mantenimento della pace e della sicurezza. Questo organismo si sciolse nel 1946 anche a causa degli Stati Uniti che rifiutavano il decimo articolo, in cui si affermava che le potenze della Società sarebbero intervenute congiuntamente, se una di esse avesse subito un attacco. I Quattro Pilastri, enunciati da Roosevelt e Churchill nella Carta Atlantica nel 1941, riprendevano i Quattordici Punti e dichiaravano il diritto dei popoli di vivere liberi dal timore e dal bisogno. Inoltre comprendevano anche il diritto di autodeterminazione, secondo cui ciascun popolo ha la facoltà di scegliere sia in quale forma collocarsi nelle relazioni internazionali, sia il proprio regime politico ed economico. Tuttavia le potenze coloniali rifiutarono questo paragrafo, ed infatti non è tutt’ora incluso nella Dichiarazione. Come previsto dalla Carta Atlantica, si ha la nascita dell’ONU, e fu proprio l’ONU a promuovere la stesura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, affinché venisse applicata in tutti gli stati membri. La Dichiarazione si compone di 30 articoli che comprendono due categorie di diritti: quelli civili e politici, e quelli economici, sociali e culturali. Nella ratifica di questo documento ebbero un ruolo fondamentale Renè Cassin ed Eleanor Roosevelt. Cassin era un giurista francese che si occupò della stesura della Dichiarazione e ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1968; mentre Eleanor Roosevelt, ex first lady statunitense, lottò per tutta la vita a favore dei diritti umani, contribuì alla nascita dell’ONU e presiedette la commissione per la redazione e l’approvazione del Documento. Fu proprio lei nel 1948 a paragonare la Dichiarazione ad una Magna Charta dei Diritti dell’Umanità. La lezione, accompagnata dalla visione di filmati rari, ha visto la partecipazione di giovani e meno giovani. Dal punto di vista di ragazze sedicenni quali siamo, gli argomenti trattati hanno catturato immediatamente il nostro interesse, poiché riguardavano tematiche che raramente si affrontano a scuola in modo così approfondito. Siamo uscite dalla conferenza piene di emozioni e di voglia di saperne di più su questo argomento. Giulia Aguzzi , Diletta Lanini


L I C E O

S C I E N T I F I C O

Scienza e fede: la lezione di Galilei

Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

La lettera a Benedetto Castelli, testo esemplare per comprendere il pensiero del Galilei, si presenta come un’attenta e intelligente analisi del linguaggio biblico. L’autore, nella sua profonda e sincera fede, fa tuttavia attenzione a non confondere i testi Sacri con un trattato scientifico. Essi sono scritti in chiave metaforica, allegorica, e vanno quindi interpretati, non presi alla lettera. La Bibbia infatti si rivolge non a un pubblico dotto, ma ad ogni uomo, e le sue parole sono poste in cotal guisa per NARNI accomodarsi all’incapacità del vulgo. Bisogna dunque stare attenti, nella lectio divina, a non prendere alla lettera le molte parti di carattere scientifico presenti nel Libro dei Libri, frasi che non possono razionalmente essere accettate come verità naturali o astronomiche alla luce delle nuove scoperte scientifiche, le quali, perciò, hanno una sfera di indagine assolutamente autonoma, e non stridono in alcun modo con le verità teologiche rivelate dalle Scritture. Tuttavia il discorso del Galilei si colloca in un complicato contesto storico. La Chiesa Romana, detentrice indiscussa del sapere, subisce attacchi da ogni ambito, e reagisce, spinta dal timore di essere messa da parte e dimenticata, mettendosi sulla difensiva, e chiudendosi ciecamente a ogni reinterpretazione del mondo o del messaggio evangelico. È lo scisma. Martin Lutero contrasta apertamente con il Vaticano (nelle sue Lettere l’apostolo Giacomo ammonisce a non interpretare mai da soli l’Antico Testamento, ma di farlo sempre in comunità, guidati da un pastore. Lutero al contrario afferma la libertà di ciascuno di accostarsi autonomamente alla Bibbia, escludendo così l’intermediarietà della Chiesa). Troviamo così in Galilei un sentimento di ambiguità. Egli, uomo di scienza ma credente, si vede accusato di eresia dalla Chiesa a cui è (o comunque vorrebbe essere) sempre stato fedele. È il buio e contraddittorio periodo della Controriforma, il delicato passaggio da una cultura ecclesiale e riservata a pochi a una laica e aperta a tutti. Quale è la concezione della natura di Galilei? È semplice: il mondo che ci circonda, coi suoi misteri e le sue leggi sconosciute non è inconoscibile; anzi, esso è un libro aperto all’uomo, da Dio stesso donatoci, perché lo esploriamo, ce ne innamoriamo. Questo libro di pari dignità della Bibbia è scritto con il limpido, universale linguaggio della Matematica. Per poter conoscere questa Natura così vasta e inesplorata sono sufficienti i nostri sensi e la nostra intelligenza. Ha così inizio nella storia della scienza l’epoca del metodo scientifico. Ora, se la Bibbia e i filosofi del passato non sono più validi come spiegazione della realtà fisica, l’uomo non può fare conto sulle idee passate, ma deve porsi autonomamente e con occhio critico verso ciò che ha attorno. Durissimo è l’attacco sferrato dall’autore contro la mentalità dell’ipse dixit. La scienza fa continuamente passi avanti e ad ognuno di questi si accompagna un dibattito etico morale che richiama la questione mai conclusa di quanto la ricerca scientifica possa essere autonoma dai giudizi etici. Forse la lezione del Galilei va ancora assimilata nella sua bontà: non è possibile mettere dei paletti alla ricerca, all’innovazione e in generale al progresso! Indipendentemente dal giudizio che ognuno può dare su di esse le scoperte scientifiche non possono essere frenate o ostacolate. Leonardo Liberati IVC

Jacques Derrida e la cartolina postale

Seconda parte

Il pensiero del filosofo francese che abbiamo esposto per sommi capi nel numero di novembre 2008 può ad un’analisi superficiale sembrare un contenitore caotico, ma in realtà sono ben riconoscibili le pareti di esso ovvero le linee portanti di un metodo su cui si basa la decostruzione: il metodo della libertà. Le teorie filosofiche del passato costruivano una struttura in perfetta coerenza con i princìpi sui quali si basavano. Il Decostruzionismo si fonda invece sull’unico e semplice principio di non dover dipendere da alcuna struttura per formulare idee e concetti che possono trarre spunto da una frase, da un brano tratto da qualsiasi testo e evidenziare quali significati esso esprime, ormai libero dai condizionamenti della struttura, alla luce di questa nuova prospettiva. Una sorta di anarchia metodologica che gioca attorno alle possibilità infinite del linguaggio che così diviene specchio di realtà molteplici. Derrida per spiegare come la sua filosofia aderisca alla mutabilità ed alla precarietà del reale, ricorre ad una metafora apparentemente semplice, ma molto esplicativa, quella della cartolina postale. In una sua opera pubblicata nel 1980, intitolata proprio La cartolina postale, egli paragona la sua filosofia ad una cartolina che, dopo essere stata spedita, non giunge mai a destinazione, continuando il suo viaggio all’infinito, al contrario di quanto avviene alle comuni missive le quali, una volta impostate, affrontano una serie di peripezie passando di mano in mano e cambiando vari mezzi (treno, aereo, nave…), ma esse, arrivate a destinazione e consegnate, hanno terminato la loro missione. La cartolina di Derrida quindi, sempre in viaggio e priva di un recapito stabilito, non esaurisce mai il suo compito. Essa rappresenta la filosofia il cui fine non è di dare delle risposte precise e definitive, bensì quello di rimanere sospesa nella regione del non definitivamente detto, dando una pluralità di risposte e lanciando continui messaggi. La vera filosofia non si ferma su teorie immutabili, ma prosegue il suo percorso, senza definire alcuna realtà stabile in quanto chiudersi in una spiegazione stabile della realtà significa andare contro il carattere mutevole e dinamico della realtà stessa. Le idee, i concetti che la filosofia elabora intorno ad un determinato problema, non possono avere alcuna soluzione definitiva. La filosofia fluisce nella deriva dei vari significati che le cose assumono nell’ambito della mutabilità che le caratterizza da sempre. Il Decostruzionismo, inoltre, insiste molto sulla storicità del senso delle cose in quanto quest’ultimo risente della tradizione di una determinata epoca, per cui esso varia con il variare del modo di intendere il mondo e la realtà (ad es. il senso delle cose nel medioevo era diverso da quello della modernità). Il pensiero di Derrida vuole essere una critica alla tradizione metafisica occidentale la quale si incentra tutta sull’essere inteso come unica entità che permette di sorreggere in modo stabile la mutevolezza del divenire. Secondo il pensatore francese il linguaggio non può esprimere l’essere, perché tra essere e linguaggio esiste una difference la quale indica come la verità contenuta nell’essere non viene espressa pienamente dal linguaggio, ma esso contiene soltanto delle tracce di tale verità ovvero solo tracce dell’essere, ma non l’essere in sé. Analogamente al discorso della cartolina postale, l’essere non si rivela nel linguaggio perché esso lo nasconde, lo media, senza mai definirlo. In sintesi, l’essere di cui parla il linguaggio è soltanto una traccia di esso, non l’essere stesso; pertanto in questi termini il pensiero metafisico occidentale che vuole dare senso stabile all’essere, non può che fallire in quanto se ne conoscono solo delle tracce, non l’ essenza. In altri termini, il testo scritto viaggia nel tempo, si consegna alla storicità; il suo contenuto immediato si perde e al lettore non giunge quest’ultimo, ma il racconto di esso ovvero la sua traccia. Il testo che dal passato ci perviene, perde il suo significato originario, consegnandosi al lettore di oggi come un nuovo testo, il cui contenuto produce un significato diverso da quello originario. Il Decostruzionismo quindi nega la presenza dell’essere punto fermo della metafisica classica la cui immutabilità cade all’interno del linguaggio, luogo della fluidità e della storicità. Pierluigi Seri

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Lettera ap erta a Feder

Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

Il c ie lo ste llato s o p r a d i me, l

L’insostenibile leggerezza della buona volontà Kant descrive una morale ab soluta, il cui cuore pulsa nell’idea di dovere (Dovere! Nome sublime e grande che non porti con te nulla di piacevole che importi lusinga ma esigi la sottomissione) e difende un rigorismo che non accetta l’intromissione del sentimento perché corromperebbe la purezza dell’intenzione la quale, da sola, deve guidare l’azione. La volontà buona - infatti - non è tale per ciò che essa fa e ottiene, e neppure per la sua capacità di raggiungere i fini che si propone, ma solo per il volere, cioè in se stessa. Questo vuol dire che un’azione con risultati catastrofici non può essere moralmente condannata se eseguita con buona intenzione. Ma è legittima un’etica che pone l’accento sulla intenzione soltanto, trascurando la responsabilità? A detta del filosofo ecologico Hans Jonas, no. L’intenzione non sarebbe assolutamente sufficiente all’uomo di oggi, che ha invece bisogno di un’etica della responsabilità, più attenta ai fatti che ai buoni propositi, per contenere il Prometeo scatenato dell’odierna civiltà tecnologica, prossima a distruggere la vita sul nostro pianeta. L’etica di Kant, in questa prospettiva, risulterebbe miope e impotente. Non è questo il suo Silvia Pierini tempo… Non ancora.

IMMANUEL

Libertà Quanti significati in queste sole sette lettere! Pare impossibile che la nostra vita sia fondata su una semplice parola. Un suono così bello, quell’accento finale che ci proietta nei nostri sogni… impossibile non esserne innamorati. Eppure, come Kant della metafisica, noi siamo amanti delusi di questa fantomatica libertà alla quale tanto aneliamo ma che non raggiungiamo mai. La perversione più crudele di cui siamo vittime e artefici è illudersi di essere veramente liberi quando non siamo altro che schiavi delle nostre piccolezze, delle nostre visioni distorte, delle nostre lenti a priori che, molto probabilmente, abbiamo assunto senza nemmeno accorgercene e senza le quali saremmo sperduti in questo mondo in continua trasformazione. Ci tormentano senza tregua desideri di libertà (dai doveri familiari, scolastici, lavorativi, sociali… e chi più ne ha più ne metta!) che si rivelano per quello che sono: nient’altro che buffe, tristi, meschine, maschere che nascondono il perché di cuori fragili, come canta la canzone dei Lost. I nostri cuori fragili. Com’è possibile che un filosofo così attento e penetrante come Kant possa sostenere che se devo posso, se posso sono libero. Ora, con tutto il rispetto parlando, avete mai provato a dire ad alta voce la frase che avete appena letto? Io sì, e vi assicuro che è bruttissimo sentirsi pronunciare qualcosa in cui vorremmo credere sul serio, ma di cui sappiamo altrettanto bene l’inconsistenza perché non è così, non lo è stato e mai lo sarà. E, guarda caso, sembra proprio voler far rima con libertà. Chiara Colasanti

Sulle tracce del noumeno Come Copernico aveva rovesciato i rapporti tra la terra e il sole, allo stesso modo Kant rovescia i rapporti tra oggetto e soggetto, affermando che non è la mente che si modella sulla realtà ma la realtà che si plasma sul corredo delle forme a priori con cui la percepiamo e la pensiamo. Kant elabora dunque una nuova ipotesi gnoseologica, distinguendo il fenomeno, cioè la realtà che ci appare tramite le forme a priori della nostra sensibilità e del nostro intelletto, dal noumeno o cosa in sé, cioè la realtà pensata a prescindere dal soggetto e, come tale, inconoscibile per l’uomo. Kant si trova però a dover ricomporre la frattura tra realtà e pensiero. Impresa pressoché disperata: come può il noumeno combinarsi con il fenomeno, visto che la conoscenza umana è rigorosamente limitata all’orizzonte fenomenico? Se infatti conosciamo gli oggetti secondo le strutture della nostra mente, significa che non li intendiamo come sono veramente, ma solo come appaiono a noi: la realtà è perciò destinata a non essere accessibile all’uomo. Perciò dobbiamo concepire il noumeno come concetto-limite del nostro sapere. Quella di Kant è, in questo senso, una vera e propria filosofia del limite, che si impegna a stabilire, nei vari ambiti, quelle colonne d’Ercole oltre le quali l’uomo, inteso come un ente pensante finito, non può spingersi. Se, dunque, la realtà fenomenica è universalmente conoscibile e gode di oggettività, dall’altra il noumeno è soltanto pensabile. Kant descrive bene l’atteggiamento dell’uomo che tende, invano, alla conoscenza del noumeno, paragonandolo all’abitante inquieto di un’isola circondata da un vasto Oceano tempestoso dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano a ogni istante l’illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà mai condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre. Francesca Gatto C’è modo più efficace per descrivere la nostra condizione?

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Mi chiedi, Federica, e te ne sono grata, amare, credimi, non è enfatico perch si trasforma di continuo in passione am Cercherò di spiegarlo in dieci punti a te sarà un po’ il viatico che la vostra in momento in cui, prossimi ormai a con affrontate un mondo sempre più difficil Di Kant mi piace l’attitudine alla crit vagliare, contro ogni dogmatismo, e accogliere, condividere, confrontare, co Di Kant mi piace la consapevolezza de che non dà luogo però allo scetticis conoscenza puntuale di quell’ambito fe Di Kant mi piace la tensione eroica di u dell’uomo il legislatore (nella natura co arroganza e si sottrae al rischio di d Koenisberg conosce bene la nostra imp Di Kant mi piace l’idea della coscienz deve rispondere, contro quelle forme che sempre più vedo dilagare intorno a Di Kant mi piace l’agnosticismo re ragionevole speranza, alla quale tuttavi nell’impotenza a tradurla in certezza, e fondata. Di Kant mi piace la convinzione tutta il genera mostri”, pur nel riconoscimento del mistero. Di Kant mi piace l’apprezzamento del dell’esperienza morale, sentimento ch non le cose, quelle cose alle quali va og Di Kant mi piace il pacifismo, che va e turbolento della storia fenomenica, se delle genti. Di Kant mi piace il liberalismo, non costituito, miope ed egoistico di tanta p e del presente, soprattutto in Italia, m primato della coscienza individuale, ne tendenze non conformistiche e antid rivendicazioni dell’universalità della n potere e della garanzia delle libertà civi Di Kant mi piace la convinzione, con e politica possano accordarsi al punto né il candore della colomba né l’astuzi Potrei continuare... ma il decalog dispiacerebbe forse al filosofo, così (ricordate l’episodio del bottone manca So bene che, se del decalogo non f questi anni di scuola, poco varrebb lascerebbe traccia. Sento, però, che non è così, e per quest Con tanto affetto, la vostra insegnante d


ri ca e a i s u o i c ompagni

LICEO CLASSICO

a l e g g e m o rale dentro di me...

perché mai io lo ami tanto (e il termine hé la conoscenza, se conta qualcosa, morosa). e e ai tuoi compagni e questo decalogo nsegnante di filosofia vi consegna nel ncludere il liceo, dovete predisporvi ad le e complesso. tica, capace di distinguere, soppesare, e la vocazione al dialogo, capace di ontro ogni fanatismo. el limite costitutivo della natura umana, mo ma si traduce nello stimolo alla enomenico che solo è nostro. un umanesimo radicale che, pur facendo ome nella morale e nell’arte), è privo di derive totalitarie, perché il filosofo di perfezione. za come supremo tribunale cui ognuno di sudditanza, gregarismo e passività a me. eligioso, che fa di Dio soltanto una ia, come lui, non voglio rinunciare, pur e tanto meno in certezza razionalmente

lluministica che “il sonno della ragione o che la ragione deve fermarsi alle soglie

rispetto come sentimento fondamentale he solo le persone possono suscitare, ggi l’attenzione di troppi. disegnando, oltre il profilo frastagliato egnata spesso dall’orrore, la cosmopoli

n quello incline alla tutela dell’ordine arte dell’esperienza politica del passato ma il liberalismo che si riconosce nel ella razionalità critica, nella tutela delle dogmatiche, oltre che nelle consuete norma giuridica, della limitazione del ili. ntro ogni machiavellismo, che morale o che al politico non risultino estranei ia del serpente. go sarebbe compromesso e questo attento all’ordine e alla simmetria ante?). fossi riuscita a dare testimonianza in be adesso enunciarvelo: certo, non

to vi scrivo. di filosofia

Marisa D’Ulizia

G . C . TA C I T O

Le relative forme a priori ovvero tanti buoni occhiali per guardare il mondo

Arte e scienza ovvero la doppia faccia del talento umano

“Sto leggendo i Prolegomeni di Kant e comincio a capire l’enorme potere di suggestione che quest’uomo ha avuto e continua ad avere. Per cadere nelle sue mani è sufficiente concedergli l’esistenza di giudizi sintetici a priori; per poter essere d’accordo con lui dovrei attenuare questo a priori in convenzionali”. (Albert Einstein). Sembra quasi un paradosso: l’uomo del relativo che tenta un recupero, in chiave antiassolutistica, delle forme a priori kantiane! Einstein afferma, infatti, che parte dei concetti non è data dall’esperienza, ma è conseguenza di autodeterminate e determinanti costruzioni logiche del nostro intelletto, che differiscono dalle kantiane in quanto non sono immutabili nel tempo ma si auto-modificano. Se tempo e spazio per Kant sono due modi di conoscere validi sempre per tutti gli uomini, per Einstein si trasformano obbedendo a loro stessi. A restare invariata, però, è la funzione che esercitano in rapporto all’esperienza: hanno il compito di ordinare il corredo di percezioni, raccolte dalla nostra sensibilità. Abbiamo quindi una concezione relativistica delle forme a priori - a differenza di quella di Kant - che è da ricondursi al contesto differente nel quale lo scienziato vive: se la fisica di Kant risente ancora della impostazione meccanicistica di Newton, quella einsteiniana è quantistica. Le teorie di Einstein non sono spiegabili con la fisica classica: tempo e spazio si deformano, sono appunto relativi, non più entità fisse e salde nel divenire. Kant appare dunque - almeno in questo senso - superato. Eppure il suo pensiero rimane affascinante. Perché, altrimenti, anche Einstein lo avrebbe voluto dalla Flavia Del Monaco propria parte?

Se l’arte bella e il genio appaiono a Kant indivisibili e lo spirito creativo risulta espressione dello slancio spirituale e libertario dell’artista-genio, non per questo si può confinare il genio (kantianamente inteso come il talento che dà la regola all’arte) all’ambito artistico. Forse che lo scienziato può limitarsi al solo pensiero dimostrativo? Forse che, per poter sperimentare, non deve fornirsi di ipotesi in cui sono in gioco intuizione, invenzione, creatività? L’artista-genio è all’opera anche nella scienza. Si pensi a Leonardo da Vinci, scienziato oltre che artista, sperimentalista e imitatore della natura, in bilico tra l’arte pittorica di schizzi e quadri, che gli permettono di descriverla concretamente, e la progettazione di prototipi passati alla storia, che gli permettono di modificarla creativamente. Leonardo sarebbe per Kant genio a livello artistico e non scientifico, ma lo slancio spirituale unitario e l’irrefrenabile attenzione a capire, visibili in lui come scienziato, non sono, in gran parte, gli stessi dei suoi dipinti? L’imitazione diventa inevitabilmente invenzione, nel segno di una genialità che non conosce confini. Maria Laura Romani

KANT

La pace perpetua, tra vaghezza e utopia È apprezzabile, sotto il profilo dell’intenzione, il tentativo di Kant di dettare la formula che assicuri la pace perpetua mondiale. Egli, a differenza di Machiavelli, è fermamente convinto che politica e morale siano conciliabili e, di conseguenza, secondo il suo parere, l‘uomo di governo può e deve comportarsi come uomo morale, rifiutando i precetti di una tradizione storico-politica spregiudicata, come divide et impera; fac et excusa; si fecisti, nega. L’uomo attuale, però, con qualche secolo di storia in più alle spalle, si trova in una società molto più complessa, che mal si presta alle vaghe indicazioni del filosofo tedesco, il quale, tra l’altro, trascura una questione di fondo. Infatti è legittimo chiedersi: l’uomo vuol veramente conciliare la politica con la morale? E, se vuol farlo, quale prezzo è disposto a pagare? In una società post-industriale (neanche poi tanto post) come la nostra, non ci si può permettere di trascurare l’aspetto economico, che è l’ostacolo maggiore alla coesistenza pacifica delle nazioni, spinte anzi a far buon viso a cattivo gioco, poiché l’incremento del livello di benessere di uno Stato rischia di porre agli altri problemi rilevanti quali l’esaurimento delle fonti energetiche o il deterioramento ulteriore dell’ambiente, cosa non da poco se si considera che le sorti planetarie sono stabilite da otto nazioni (G8: Usa, Giappone, Germania, Inghilterra, Francia, Italia, Russia, Canada). Perché mai uno degli Stati più industrializzati del mondo dovrebbe augurarsi che altri, emergenti sotto il profilo economico, possano un giorno prendere il suo posto al tavolo dei potenti? L’inattuabilità delle indicazioni kantiane per la pace perpetua sta tanto nella vaghezza del diritto cosmopolitico quanto nell’utopia del diritto internazionale. Infatti, in base al primo uno Stato dovrebbe prendere misure cautelative nei confronti di uno straniero solo quando quest’ultimo iniziasse a comportarsi in modo ostile, senza contare che lo stesso Stato avrà pur un limite di sostenibilità della popolazione; in base al secondo le nazioni dovrebbero unirsi in una federazione di liberi stati (in una idillica societas aequalium) senza tener conto della divergenza di interessi e del diverso peso economico e demografico. Purtroppo, dunque, solo una bella utopia! Manuel Amici

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Partito ufficialmente ai primi di Novembre, il progetto Comenius “The Olive path from Klazomenei to Europe” (La strada dell’oliva da Klazomenei all’Europa) ha visto il suo primo momento di confronto dal 26 al 28 novembre, quando si è svolto il meeting a Terni tra l’Aldo Moro e le 3 scuole partner di Turchia, Lettonia e Slovacchia. L’idea di questo progetto, approvato in estate dalla Commissione del Lifelong Learning Program (LLP) della DG Istruzione e Cultura comunitaria, nasce dal ritrovamento in terra turca, vicino a Smirne (l’attuale Izmir), del più antico frantoio del mondo (Klazomenei), risalente a circa 2500 anni fa. L’Aldo Moro, da sempre attiva su tematiche di tipo ambientale (vedasi ad esempio i recenti successi ottenuti con l’altro progetto europeo Eco-schools), ha aderito con entusiasmo alla costituzione del partenariato europeo, supportando il capofila turco anche nella stesura di un progetto che mira a far conoscere ai propri bambini il ciclo dell’olio di oliva. L’argomento è di particolare rilevanza in un contesto territoriale come quello ternano, che da sempre vede nell’olio una risorsa agricola importante. Il progetto, coordinato dal presidente del consiglio di istituto Giovanni Franconi, dalla vicepreside Brizzi e dalla maestra Boncio, prevede attività di studio e ricerche per tutto l’arco della sua durata (2 anni), intervallate da alcuni momenti di confronto, in cui i partecipanti delle diverse realtà europee si ritrovano insieme per svolgere attività comuni e raccogliere i lavori svolti singolarmente. Il primo di questi 4 appuntamenti è stato dunque proprio a Terni, dove bambini e docenti turchi, lettoni e slovacchi, sono stati ospiti di quelli italiani per le attività di campo - in questo caso nel vero senso della parola - come lo studio delle diverse varietà di olivi e di coltivazione, la raccolta e la macinatura delle olive e l’imbottigliamento dell’olio. Il Comune di Terni, tramite il coinvolgimento degli assessorati alla Scuola, alla Cultura, al Turismo e alle Politiche Sociali, ha supportato l’iniziativa dell’Aldo Moro, offrendo i propri servizi per agevolare un felice e produttivo svolgimento delle attività. Nel corso del progetto saranno studiate le caratteristiche climatiche - territoriali dell’ulivo e i diversi impieghi industriali dell’olio, dell’oliva e dei loro derivati, in campo alimentare, sanitario, cosmetico, ecc. Non mancheranno approfondimenti storici e religiosi, in virtù del simbolo di pace che universalmente rappresenta il ramoscello d’ulivo, e saranno riscoperti miti e leggende legate al generoso albero e al suo prezioso prodotto. Quando i bambini ternani, nel maggio del 2009, si recheranno a Urla (cittadina nei pressi di Smirne), avranno l’opportunità di confrontare le tecniche di coltivazione, lavorazione e raccolta con quelle dei loro amici turchi, approfittando di questo progetto per arricchire non solo il proprio bagaglio culturale, ma anche per rafforzare valori di amicizia e di coesione tra i popoli, obiettivi di fondo dello stesso programma comunitario Comenius.

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Istituto Tecnico Industriale Statale L. Allievi Museo Tecnologico e di Archeologia Industriale La Provincia di Terni per la cultura

Qualche anno fa nell’Istituto Tecnico Industriale L. Allievi di Terni ha preso il via il progetto per un Museo Tecnologico di strumentazioni e macchinari vari di uso didattico costituito da reperti delle varie specializzazioni dell’Istituto. Attualmente è stata terminata l’individuazione dei reperti, la relativa catalogazione ed è stato realizzato un volume con delle schede che definiscono le caratteristiche dei singoli reperti. E’ ancora da realizzare il Museo inteso come contenitore che dovrà rendere fruibile, in modo tangibile, quanto è stato catalogato. E’ stata avviata l’utilizzazione di locali all’interno dell’ITIS ritenuti idonei per il Museo, tra cui l’importante Fonderia scuola “A.Pianetti” in disuso da molti anni. Alcuni dei macchinari catalogati (presenti in Fonderia e Modellisteria), considerato il periodo di istallazione e l’interesse industriale, costituiscono elementi del percorso storico della didattica e anche della memoria storica dell’attività industriale del nostro territorio e, pertanto, sono veri e propri reperti di Archeologia Industriale. Considerati gli ampi spazi a disposizione nei locali individuati come sede del Museo Tecnologico e la presenza di altre aeree a cielo aperto, è apparso naturale, sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista culturale, accostare al progetto del Museo Tecnologico il progetto di una Mostra permanente di Archeologia Industriale dedicata a tutte le attività industriali presenti nel territorio a partire dai primi insediamenti risalenti alla fine del XVIII secolo. Tale Mostra assume importante significato come: - memoria storica di macchinari per produzioni industriali non più presenti nel territorio; - contenitore di elementi didattici particolarmente stimolanti per gli studenti di tutte le scuole e soprattutto per le specializzazioni di Istituti Tecnici e Istituti professionali; - elemento storico per la valutazione dello sviluppo industriale con implicazioni non solo di carattere tecnico, ma anche sociale (rapporto industria lavoratori, sviluppo urbanistico, rapporto industria città, ecc.); - elemento per lo studio delle motivazioni degli insediamenti industriali e delle loro trasformazioni; - centro di documentazione di archeologia industriale della Valnerina, della val Ternana, della piana di Nera Montoro. La Mostra sarà articolata in base alle aree di specializzazione definite nel Museo tecnologico (chimica, fisica, elettrotecnica, elettronica, informatica, meccanica, metallurgia). Le fotografie potranno essere rese disponibili dalle industrie che hanno rilevato o trasformato le industrie oggetto della Mostra. In altri casi si potrà ricorrere all’Archivio di Stato, a privati e Associazioni varie. Faranno parte della Mostra anche reperti che potranno essere donati o dati in uso da privati, industrie o aziende. A tale fine l’ITIS si rende disponibile per accogliere e organizzare donazioni significative. I reperti di dimensione maggiore potranno essere installati all’esterno nell’area a cielo aperto prevista nell’ipotesi di progetto dopo preventivo trattamento di protezione dagli agenti atmosferici. Per quanto riguarda l’aspetto economico ed il supporto logistico-culturale relativo alla realizzazione del museo tecnologico e della mostra permanente di archeologia industriale, si ritiene possano intervenire, sensibili al notevole valore dell’opera, questi soggetti: Comunità Europea, Ministero dei Beni Culturali, Regione Umbria, Provincia di Terni, Comune di Terni, Associazioni Industriali, Fondazioni ed industrie del territorio, Associazioni di Archeologia Industriale. Nel corso degli anni è stata realizzata e mantenuta attiva una vasta rete di contatti, rapporti e collegamenti con le istituzioni nel tentativo di reperire fondi e promuovere un tavolo interistituzionale per la realizzazione del Museo. Con l’apporto di quanti operano nella importante specializzazione di Informatica, presente nell’ITIS di Terni da 5 anni, e di coloro che operano nel Progetto Museo, con i reperti presenti nell’Istituto e con quelli donati, si potrà realizzare una parte del futuro Museo Tecnologico dedicata all’Informatica e all’evoluzione tecnologica che ha modificato profondamente i modi, i tempi ed i costi del comunicare, di organizzare il lavoro, di acquisire e scambiare dati, immagini e conoscenze. Questa prima sezione del Museo e quelle successive costituiranno certamente un ottimo elemento didattico, culturale, sociale e turistico di arricchimento per la nostra città. Prof Matilde Cuccuini , Dirigente Scolastico Proff Anna Luisa Moretti , Marcello Irt i

I l p r iv ile g io d el p a rc h eg g io a i d is a bili Spesso chi parcheggia occupa gli spazi riservati ai disabili, senza pensare che, per loro (i disabili), la mobilità è un problema. A volte un problema insuperabile! Facciamo un esempio: moglie e marito vanno a fare le spese, lui guida fino davanti al negozio, lei scende al volo e anche se c’è traffico non incontrano particolari problemi. Invece arrivo io (o un altro disabile in sedia a rotelle): deve scendere il mio accompagnatore (che è anche quello che guida), deve tirare fuori la sedia, successivamente fare scendere me e poi mica mi può lasciare in mezzo alla strada! Ora immaginate di essere alla guida dell’auto dietro! Considerando che sarete molto pazienti!!! Tutta questa manfrina se: il marciapiede sta alla giusta distanza per fare entrare la sedia (quindi presumibilmente la macchina sta in mezzo alla strada). Morale: voi come minimo un po’ scocciati e un… disabile investito! QUANDO PARCHEGGIATE PENSATECI! Carlo Catalano

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Secondo un racconto cinese, alcuni uomini erano stati mandati con cattive intenzioni da una ragazza, ma, di fronte alla sua bellezza, ne erano diventati i protettori anziché i violentatori. Così mi sono sentito io, vedendo la Terra per la prima volta. Non ho potuto fare a meno di amarla e di prendermela a cuore. Taylor Wang, Cina/USA (Challenger 7, Aprile 1985)

Pr i m i p a s s i t r a l e s t e l l e Il mese scorso vi ho indicato come e dove trovare un atlante stellare. Ora che l’avete procurato, andiamo ad aprirlo in montagna. Vi domanderete: ma al buio come faccio a leggerlo? Mi devo portare una torcia elettrica? Certo che sì! Anzi due: una con luce bianca e un’altra con luce rossa. In commercio ce ne sono di tipi che hanno contemporaneamente i due colori e che si posizionano sulla fronte lasciando le mani libere. La luce bianca, più forte, serve appena arrivati sul posto, per controllare il terreno e sistemarsi dal punto di vista logistico, ma da quando inizia l’osservazione, per la consultazione dell’atlante stellare, si deve usare solo ed esclusivamente la luce rossa! Il motivo è semplice: la nostra pupilla, nel buio più assoluto, si dilata fino a circa otto millimetri di diametro, raccogliendo più luce e permettendoci di osservare oggetti al limite delle nostre possibilità, ma è sufficiente un raggio di luce bianca che immediatamente si contrae fino ad un millimetro e, per ritornare alle condizioni ottimali, dobbiamo aspettare 15/20 minuti circa. Suggerisco ancora di portarvi una lente di ingrandimento e una bussola che vi saranno sicuramente d’aiuto. Parliamo ora dell’abbigliamento. Una serata osservativa che si rispetti ha una durata di diverse ore ed il fatto di non sentire il freddo riveste un’importanza basilare. Ho visto troppe persone venire in montagna con indumenti leggeri e rifugiarsi in macchina dopo poco tempo rabbrividendo dal freddo, per non farvi la seguente raccomandazione: vestitevi con scarponi e calzettoni, abiti invernali, maglioni, giacca a vento, guanti e cappello di lana! Tenete presente che in montagna la temperatura è notevolmente più bassa, e ulteriori abbassamenti sono imputabili al vento, alle ore notturne, alla stagione. Ora, con l’atlante stellare in una mano, la lente d’ingrandimento nell’altra, la pila in fronte e belli infagottati, siete pronti per alzare gli occhi al cielo! Dove si trova la stella Polare? Il prossimo mese è la prima cosa che impareremo... nel frattempo, andatevi a rileggere l’articolo di Giovanna “Una costellazione al mese” su questa rivista del mese di aprile! Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

Una

costellazione

Orione, la più bella costellazione invernale, anzi probabilmente la più bella in assoluto, a metà gennaio passa in meridiano, ad un’altezza a metà tra lo zenit e l’orizzonte. La costellazione è formata da un grande rettangolo, con i vertici costituiti da quattro stelle molto luminose. Le più brillanti sono la rossa Betelgeuse (la spalla), in alto a sinistra, e la bianca Rigel (il piede), in basso a destra. Quest’ultima si trova a ben 773 a.l. e brilla 44 mila volte più del Sole: è un vero faro cosmico. Betelgeuse, invece, è così grande da contenere l’orbita di Marte se fosse al posto del Sole. Le altre due del rettangolo si chiamano Bellatrix, in alto a destra, e Saiph, in basso a sinistra. In mezzo alle quattro stelle principali se ne scorgono facilmente tre allineate e ugualmente spaziate: la cintura di Orione o i Tre Re. Sotto la cintura, tre stelle, poste quasi perpendicolarmente, indicano la posizione della spada. Intorno alla stella centrale delle tre, chiamata il Trapezio, perché al telescopio si rivela come una bellissima stella quadrupla, si trova la grande Nebulosa di Orione (M42), appena visibile ad occhio nudo come bagliore verdastro non ben definito. Ma un cielo scuro e un buon binocolo sono sufficienti per evidenziare la nuvola grigio verde. La nebulosa di Orione è una vasta nube di materia costituita essenzialmente da idrogeno, elemento dal quale si formano le stelle. La distanza è stimata in 1600 a.l. e al suo interno vengono continuamente create nuove stelle. Vicino alla stella più orientale della cintura si trova la famosa nebulosa Testa di cavallo, protuberanza di materia oscura che assomiglia più alla testa di un cavalluccio marino che a quella di un cavallo. Praticamente questa nebulosa non si vede visualmente, ma si può fotografare anche con apparecchiature relativamente modeste. Questa costellazione fu dedicata dai Greci al gigante cacciatore di nome Orione, il più bello e il più imponente tra gli uomini. Egli si vantava di poter uccidere qualsiasi animale. Ma la sua vanità fu punita dallo Scorpione, che lo uccise con il suo pungiglione. In seguito essi vennero posti in cielo, ma in direzioni opposte sulla volta celeste, in modo che non si trovassero mai contemporaneamente al di sopra dell’orizzonte. Giovanna Cozzari

Pillole di astronomia I principali oggetti non stellari hanno una sigla composta da una lettera M e da un numero. Questa sigla deriva dal catalogo preparato nel diciottesimo secolo dall’astronomo francese Messier. M sta per Messier e il numero indica l’ordine nel catalogo. Così la nebulosa di Orione è M42, il quarantaduesimo oggetto del catalogo Messier. L’elenco contiene 110 corpi celesti: si tratta degli oggetti più luminosi e interessanti del profondo cielo e molti di essi sono poi risultati degli ammassi stellari, globulari e galassie. GC

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Li Fusi Orari L’andru ggiornu... a mmezzuggiornu ‘n puntu... ho fattu ‘na telefonata nostargica a lu zziu Samme. M’ha ‘nceneritu... ancora me pare de sentillu! E...llò... e...llò... ma li fu.. ffusi... no...no li co...cco...nosci!? E cc’eva raggione... l’evo svejatu quanno ancora steva a ddurmi’! Ma quistu l’ho ccapitu dopo che mme l’ha spiegatu lui stessu. Dovete sape’... che li fusi... mica quilli che servivono pe’ ffila’... so’ ventiquattro strisce de terra che dividono lu monnu, una pe’ ‘gni ora de lu giornu, che quanno lo Sole je sta sopra è mezzuggiornu. Datu che lu monnu seguita a ggira’... è chiaru mo’che… se lo Sole su la capoccia ce l’evo io... non ce lu poteva ave’ mi’ zziu... che steva quasi dall’andra parte! Cercate de capimme! M’ha dittu che li fusi che cce stanno a ddestra... cioè a Este e qquelli che cce stanno a ssinistra... cioè a Oveste, stanno rispettivamente ‘n’ora avanti e ‘n’ora indietro... e quistu vale pe’ ttutti quanti! Me pareva d’ave’ ccapitu e allora j’ho fattu co’n’aria da sverdu… Se cce sta unu che vvòle ferma’ lu tembu... deve anna’ appressu a lo Sole come ‘n equilibrista co’ la palla su la fronte e... sse cce sta ‘n andru che va dall’andra parte... se ’nvecchia prima, cucì... datu che la Terra è tonna, dopo ‘n bo’ de vorde che sse ‘ncontrono... non s’arconoscono più… e ppo’ se sse vène a ssape’ ‘n giro... sa che trottole tutti quanti! E ssì ffre... fregatu... m’ha rispostu! E la li... llinea de lu... lu... ca... cambiamentu de... de data ‘n ce... ‘n ce la mitti? De... ddevi sape’ che... che ‘gni vorda che... che cce pa... passi sopra... a sse... seconda da ddo’ veni... de... ddevi ‘umenta’ o... o le... lleva’ ‘na giornata... chi...cchiaru? O...kkey? E ccome no!... Dopo che cciavevo lo Sole su la capoccia... m’hai fattu vini’ pure la Luna pe’ ttraversu! Me so’ ccunvintu che posso ggira’ da che pparte me pare... tantu nn’artorno ‘ndietro... e ppo’ dopo ‘sta telefonata transocianica... co’ ttantu de ‘ntartajamentu, fatta sull’ora più calla, sintirai che bbolletta! paolo.casali48@alice .it

ASTROrime… Giove E’ gassoso ed è il più grande (d=142.984km) è una stella ch’è mancata alternando zone e bande (strisce chiare e scure) con la macchia disturbata. (Grande macchia rossa) E’ veloce in rotazione (9h 55m 30s) dodicènnio dura l’anno… e dovuti a collisione degli anelli intorno stanno. I satelliti Gioviani numerosi in quantità (oltre 60) anche se i Galileiani (Io, Europa, Ganimede, Callisto) hanno più notorietà. PC

Le Supernovae

Nella quarta parte della serie di articoli dedicati alle supernovae abbiamo visto come l’esplosione di una supernova nei pressi della Terra potrebbe rappresentare una minaccia per la vita sul nostro pianeta. Ma esiste realmente una tale minaccia ? In effetti c’è una stella all’interno della nostra galassia che sta mostrando i segni di una imminente esplosione: si tratta di Eta Carinae (in figura), una stella visibile solo dai cieli australi. Tra il 1838 e il 1858 tale stella resti (in blu) della prima esplosione di Eta Carinae, avvenuta ha rivaleggiato in splendore con Iintorno al 1840, e le nubi di gas interstellare (in arancione) Sirio, la stella più brillante nel compresse dal fronte d’urto dell’esplosione. cielo, per poi tornare lentamente ad essere una fioca stella; dal 1940, però, la sua luminosità ha ripreso a crescere e gli scienziati pensano che essa possa esplodere entro breve tempo: in termini astronomici ciò potrebbe significare indifferentemente tra qualche settimana, tra qualche secolo o, forse, tra diecimila anni. Se dovesse esplodere, tale stella diventerebbe rapidamente l’oggetto più luminoso nel cielo dopo il Sole e la Luna e, per coloro che vivono nelle zone in cui essa è sempre sopra l’orizzonte (Antartide, Nuova Zelanda ed estreme regioni meridionali d’Australia e Sud America), la sua luce apparirebbe superiore a quella di Venere, tanto da essere visibile facilmente anche durante il giorno. Fortunatamente, Eta Carinae è molto lontana, almeno 7500 anni-luce dalla Terra e, se dovesse esplodere, la maggior parte della sua energia verrebbe assorbita dalle nubi cosmiche o sparsa negli spazi interstellari che ci separano da essa senza causare alcun danno al nostro pianeta. Stefano Valentini

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Apertura per il giorno venerdì 30 gennaio 2009 La Luna di quattro giorni si ammira ad ovest nelle prime ore serali insieme alla fulgida Venere. Saturno ricompare già dalle ore 22.00 e dominerà il cielo notturno per tutta la prossima primavera, anche se quest’anno i suoi anelli non mostreranno la loro migliore immagine essendo perpendicolari dal nostro punto di osservazione. La costellazione di Orione pian piano lascia il dominio al Leone, ricco di galassie. Oltre Saturno, osserveremo al telescopio il bellissimo ammasso aperto M44 (presepe), M3 (ammasso globulare), M104 (galassia). Osserveremo la volta celeste ad occhio nudo, spiegando le costellazioni visibili, come orientarsi con le stelle e concetti semplici di geografia astronomica. Con l’ausilio del computer e sofisticati software, vi condurremo a Federico Guerri spasso per l’universo!

Asteroide scoperto dall’Osservatorio di S. Lucia di Stroncone Nominato dal Minor Planet Center, Cambridge, USA Stefano Zavka N° 8943 MPC 62354

Discovered 1997 Gen. 30 at Stroncone. Stefano Zavka (1972-2007), born in Terni, was an Alpine guide. He also took part in two expeditions on K2. After reaching the Himalayan peak for the second time he disappeared during the descent.

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La nostra Città ha una storia, un passato e tanti primati. Riscopriamoli insieme, uno alla volta.

ASCO LT IAM O UN LI B R O

Un audiolibro è la registrazione della lettura di un testo, accompagnata o meno da musiche o da altri effetti sonori, eseguita da narratori professionisti su supporto CD, CDMP3 o file MP3 scaricabili da Internet. Nasce come strumento rivolto alle persone cieche o con gravi problemi alla vista, ma, come spesso accade, anche in questo caso ciò che in origine intende soddisfare un diritto di una ristretta categoria di persone, può rivelarsi una conquista volta al benessere di tutti. L’audiobook infatti, diffusosi inizialmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, si è affermato presso una fascia sempre più ampia di utenti: studenti e lavoratori che viaggiano e trascorrono molto tempo in auto, treno, autobus, metropolitana; persone che svolgono attività ripetitive o lavori domestici; lettori anziani con problemi di affaticamento della vista; persone che devono trascorrere una degenza in ospedale. L’incantamento che potevano creare secoli fa il racconto di un giullare a corte o di un cantastorie per strada è ormai irripetibile, senza considerare che è sempre più raro trovare anche una mamma disposta a leggere la favola al proprio figlio. Con il fonolibro - nome alternativo ma piuttosto cacofonico! - è possibile riscoprire la bellezza perduta di una voce che narra e affidarsi di nuovo alla magia a tutto-tondo della parola, intesa non solo come senso ma anche come suono. Che siano in versione integrale o brani scelti, si va dal Cantico dei cantici a Il ritratto di Dorian Gray, dalla narrativa alla poesia. Quando un professionista legge un’opera senza forzare il testo e senza tradire le intenzioni dell’autore significa che la sua voce si è fatta voce del libro stesso. L’ascolto, in simultanea con la lettura silenziosa del libro, può essere un metodo molto utile per imparare meglio, oltre alla propria, una lingua straniera, compresa la sua corretta pronuncia. L’ideale? Una complementarietà tra libro e audiolibro: l’ascolto del libro parlato stimolerebbe l’approfondimento dei contenuti e quindi l’avvicinamento alla versione stampata, mentre la conoscenza di un testo letterario sarebbe arricchita tramite il suo ascolto. La realtà? L’Italia è quarantottesima nella lista delle nazioni per quanto riguarda la Literacy (termine che indica il livello di abilità nel leggere, scrivere, ascoltare e parlare) secondo il rapporto UNESCO del 2007/2008 e ben il 37% degli italiani non legge neanche un libro all’anno secondo l’ISTAT (rapporto 2007); viene da dire che se le persone non leggono libri, almeno li ascoltino! Beatrice Ratini Alcuni audiolibri - Libreria Alterocca

Pubblicato il 9.12.2002 sul Corriere dell’Umbria, Terni Ieri, col titolo: Il tesoro del brigante Stefanoni

IL TESORO DI COLLESCIPOLI Voci sommesse e sordi rumori riecheggiavano nella notte. Correvano gli anni ’60 e nelle grotti e cantine di Collescipoli s’era cominciato a scavare segretamente. Il ritrovamento di una pergamena del ‘500, durante il restauro della Casa del Giovane a Piediluco, era passato di bocca in bocca. Conteneva vaghe indicazioni sul tesoro che il brigante Stefanoni avrebbe un tempo seppellito all’interno di una torre, non meglio indicata, dell’antico castello di Collescipoli. La tradizione popolare, in paese, favoleggiava da sempre le imprese del brigante e parlava di immensi tesori nascosti. In particolare di quando, nel vicino Comune d’Interamnae, aveva depredato in un colpo solo la somma di settecentomila scudi: la stessa cifra di cui parlava la pergamena. La leggenda si faceva storia, il tesoro dello Stefanoni diventava una realtà e costituiva una fortuna a portata di mano, anzi … di pala e piccone. Scettici e disillusi di giorno, i Collescipolani diventavano novelli cercatori d’oro al calar della sera. Circospetti e all’insaputa gli uni degli altri, scendevano in cantina ed inseguivano, con fatica e sudore, i loro sogni di ricchezza. Ad annullare ogni speranza, qualche giorno dopo le rivelazioni di un ingegnere. Era stato Lui, da ragazzo, incantato dalle gesta del brigante, a compilare quel documento. L’aveva scritto in gotico, chiuso con la ceralacca e guarnito “con il piombo di un salame”, sul quale in modo artigianale aveva riprodotto lo stemma di casa Stefanoni. L’umidità e la ruggine nel tempo avevano contribuito a renderlo credibile. Svanivano così sogni e speranze di tutto un Paese, assurto per l’occasione alle cronache nazionali. Di Collescipoli e del suo tesoro si interessarono le maggiori testate giornalistiche. La RAI ne parlò in “Cronache Italiane”, Arrigo Petacco ne scrisse nel libro “Italia terra di tesori”. Un’ottima pubblicità che richiamò nell’antico castello curiosi e turisti occasionali, che ebbero così modo di conoscere il Paese, scoprire opere d’arte e bellezze naturali, assaporare il senso d’ospitalità della gente umbra. La loro presenza, soprattutto i loro apprezzamenti fecero capire agli abitanti di Collescipoli quale fosse il loro vero tesoro: un Paese ricco di storia, di cultura e di grandi tradizioni. Sergio Bellezza

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Fondazione

Cassa di Risparmio di Terni e Narni Nel 2005, in occasione dei 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, la Fondazione della Cassa di Risparmio di Terni e Narni ha inteso ricordare questa terribile guerra, elevando nel cimitero cittadino un monumento in memoria delle vittime degli oltre cento bombardamenti che colpirono questa nostra città negli anni 1943-1944. Oltre 2.000 furono le vittime dei bombardamenti, oltre il 70% degli edifici andarono distrutti o danneggiati. Mai nella sua ultramillenaria storia la città di Terni aveva conosciuto una così grande strage e tali distruzioni. Il Comune di Terni ha già ricordato le vittime delle incursioni aeree, ponendo una lapide bronzea con i loro nominativi presso la chiesa di San Francesco e la Fondazione ha voluto innalzare un monumento nell’aiuola cimiteriale, in cui sono sepolti tanti caduti, come luogo di riferimento anche di tutti coloro che furono tumulati nelle tombe di famiglia. In realtà già era stato collocato un cippo a ricordo degli eventi, ma la nostra sensibilità e la nostra cultura mediterranea e latina non si ritiene fosse appagata da un manto erboso e da una lapide, come avviene per i paesi anglosassoni. Si sente forse maggiormente la necessità di celebrare la memoria dei propri morti con rappresentazioni plastiche che ne perpetuino il ricordo nel tempo. Basterebbe pensare ai sarcofagi degli etruschi e a quelli che i romani posero lungo le strade consolari, fino alle costruzioni che ci circondano. Lungo lo stradone principale del nostro camposanto si eleva una serie di monumenti per ricordare i caduti delle varie forze armate. Sembra quindi giusto e doveroso che anche i ben più numerosi caduti civili vengano degnamente ricordati. Per la realizzazione di questo monumento è stata istituita dalla Fondazione una commissione, che ha ritenuto di non orientarsi verso artisti di tendenze astratte ed informali, considerandole forme d’arte di natura eminentemente elitaria, dovendo questo monumento dialogare con tutta la popolazione, con l’intera comunità cittadina. Tra i progetti presentati dagli scultori invitati, è stato scelto quello dell’artista di Cesena Leonardo Lucchi, ma il primo bozzetto proposto raffigurava la donna che esce dalla casa distrutta con il bambino vivo fra le sue braccia. Il generoso Lucchi voleva esprimere la speranza della ricostruzione. Tema sereno ed affascinante, ma ritenuto prematuro nell’imminenza della tragedia e che non ricordava sufficientemente quei morti, che la ricostruzione non avrebbero mai potuto vedere. Si è ritenuto che anche nella nostra società tendenzialmente edonistica, il dolore non possa e forse non debba essere rimosso. E’ un momento della realtà della vita, che serve a far apprezzare la vita stessa ed i suoi valori. E Leonardo Lucchi crediamo che abbia realizzato questo intento con grande efficacia espressiva e con intima commozione, nella sobria e composta raffigurazione di questo nucleo familiare così duramente colpito, pur con una nota di conforto e speranza nella mano del bambino appoggiata sulla spalla del padre, per infondergli con il suo amore il coraggio e la forza per continuare a vivere. Si è ritenuto infine di mantenere tutte queste piccole lapidi, ben 140, che la pietà dei congiunti ha spontaneamente collocato e che continua a curare dopo oltre 60 anni dai dolorosi eventi. Queste piccole lapidi testimoniano un calore e un amore che non possono essere espressi da un monumento. La Fondazione confida con questa opera di aver interpretato la sensibilità e gli intenti della comunità cittadina, nella quale ha le sue radici e la ragione di essere. Il Presidente della Fondazione CARIT Avv. Paolo Candelori Un n u o v o im p o rt a n t e s t rume nto te c no l o g i c o pe r l ’o s pe da l e Sa nta M a r i a d i Tern i Il 21 novembre 2008 è stato inaugurato, nel reparto di Aritmologia, un angiografo donato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Terni e Narni. Si tratta di una strumentazione di ultima generazione del costo di circa 500 mila euro, che oltre ad ottimizzare la qualità del servizio, consentirà di lavorare in condizioni di maggiore sicurezza per i pazienti. Questo apparecchio, infatti, rispetto ai vecchi macchinari, non solo diminuisce il raggio delle radiazioni, ma permette di effettuare indagini molto più accurate e in minor tempo. Grazie a questo sofisticato strumento, inoltre, sarà possibile aumentare l’attività della struttura di Aritmologia nel settore dell’elettrofisiologia (trattamento patologie aritmiche) con l’obiettivo finale di consolidare ed incrementare i livelli di eccellenza raggiunti con l’alta specialità del reparto. La struttura di Aritmologia, costituitasi nell’ospedale di Terni sette anni fa, trattando una media di 800/850 casi l’anno, si pone come polo di primaria eccellenza pari se non superiore a strutture ospedaliere di fama nazionale. Il reparto accoglie un vasto bacino di pazienti in continua crescita; il 35% del totale proviene da fuori regione, principalmente da Toscana, Marche, Sicilia e Calabria.

Festa della maternità L’Associazione Morale e Culturale Festa della Maternità è stata costituita nel 1993 per volere del dottor Remo Valigi, particolarmente attento ai problemi etico-sociali. L’idea base nasceva, infatti, proprio dalla constatazione dell’impoverimento del valore della famiglia e della maternità e si proponeva un’opera di sensibilizzazione sul tema della maternità come valore umano e come testimonianza della responsabilità nei confronti della vita. Per il raggiungimento delle proprie finalità l’Associazione dà vita annualmente ad iniziative volte alla sensibilizzazione verso le problematiche della maternità e alla riscoperta del suo valore primario, sia spirituale che umano, attraverso tavole rotonde, conferenze, trasmissioni radiofoniche e televisive, articoli di giornale, concerti, mostre dei lavori prodotti dagli studenti delle scuole superiori, su un aspetto del tema ogni anno diverso. L’Associazione annualmente indice un concorso per gli studenti di Terni e città limitrofe. Il tema scelto per 1’a.s. 2008/2009 è: Oggi figli... padri e madri domani? Progetti per il futuro alla luce del presente.

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