La pagina gennaio 2010

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U o m o , a n i m a l e e . . . a l t ro

N° 1 - Gennaio 2010 (71°)

L’uomo è l’unico essere vivente che osserva attentamente ciò che vede. La stupenda paraetimologia di Socrate non vale in assoluto: molti uomini infatti non sanno osservare, altri non lo fanno attentamente. Taluni godono dello stesso intenso, ardimentoso sguardo delle pecore quando sbirciano al di là dello steccato. Ma c’è anche chi vede quel che è invisibile al resto della gente. Quel che appare a me scrutando il cielo non è esattamente quello che vedevano Galilei e Newton e Einstein, allorché sgombravano le vie del firmamento. C’è anche chi, come l’astrologo, pur non vedendo niente di niente, prende ispirazione per abbindolare il prossimo. L’uomo dunque osserva con prospettive diverse, congettura a seconda dei suoi propositi, costruisce, inventa, crea. Molte altre sono le particolarità che distinguono l’uomo dall’animale. La morale nasce per il bene comunitario. Se ci sono regole condivise si sopravvive, altrimenti ci si sbrana. E’ per questo che alcuni uomini-lupo cercano di evadere dalle regole, o di farsene nuove, ad usum lupi. Completamente umana poi quella del sentire, della simpatia, della empatia. Mettersi nei panni degli altri. Senza quella che chiamiamo più propriamente umanità, il genere umano non sarebbe nemmeno riuscito ad allocarsi nelle caverne. L’animale no. E’ diverso. La visione delle cose e degli eventi è in lui ristrettissima: conta la pancia. Non prende insegnamento dalla storia passata, non si preoccupa per il futuro. Vive l’oggi, fieramente. Non crea una morale per la sopravvivenza, affinché non ci si sbrani, anzi... Non si mette nella pelle degli altri; è interessato solo a se stesso. Ci sono alfine dei comportamenti non inscrivibili, né nell’ambito di una becera umanità né in quello di una pura beluinità. Mi riferisco a comportamenti dettati da fredda determinazione: provvedere solo a se stesso, ma con strategia umana. La violenza sui più deboli, come il dar fuoco ai barboni o il picchiare i portatori di disagi, la corruzione delle cose e delle anime, la vendita di organi dopo averli estirpati dalla carne viva, spesso da bambini. Ma anche l’ignobile schiavitù, la putrida vita da lager in cui sono ridotti tantissimi fratelli di colore. La raccolta dei frutti, in quelle terre, è regolata dal caporalato, da sempre longa manus della malavita, e imposta, per meno di un piatto di lenticchie, a migliaia di immigrati, in maggior parte clandestini in quanto più ricattabili. Le Istituzioni responsabili e gli aventi cura, che non hanno saputo vedere, nemmeno distrattamente, fanno finta di accorgersene solo adesso! Non rimane che confidare in qualche umile Don Pino: Se non abbiamo la forza di ribellarci ai soprusi e alle ingiustizie e siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa. Dio saprà giudicare. Saprà chi sono i suoi figli. Giampiero Raspetti

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SOCRATE Ascolta: il nome aànJrwpoj (ànthropos, uomo), significa che, mentre gli altri animali non indagano sulle cose che vedono, non congetturano e non anaqrei= (anathrèi, osservano attentamente), l’uomo nel momento stesso che vede - e cioè o)p / wpe (òpope, ha visto) - anaqrei (anathrèi) ragiona su ciò che oãpwpen (òpopen, ha visto). Di qui perciò all'uomo, unico fra gli animali, è stato correttamente dato nome aànJrwpoj (ànthropos), in quanto a)naqrw=n a(\ o)p / wpe (anathròn à òpope, osserva attentamente ciò che ha visto). Platone, Cratilo, XVII, 399


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