La pagina gennaio 2012

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Numero 91 - Gennaio 2012

Fotot eca P r ov in c i a d i Te rn i

Mensile gratuito di AttualitĂ e Cultura


Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, non come un atto di privilegio, ma come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così. Pericle - dal Discorso agli Ateniesi, 461 aC

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L’oroscopo della stufa - P Fabbri Cinguetta tu, che cinguetto anche io! - A Melasecche Follow the mozzarella - F Patrizi INTERPAN Buddisti e felici? - V Policreti La memoria del grande viaggio - P Bocci L’angolo del fotografo... ATMOSFERE D’INVERNO - M B a rca ro t t i Hakuna Matata (o vv e ro il p es o d ella re s pons abilità) - C C o l a sa n t i Monti, la Golden Sachs, l’alternativa - A Pieralli Il foglietto illustrativo - V Grechi COMUNE di ORVIETO Assessorato Ambiente ed Energia - C M a rg o t t i n i LICEO CLASSICO G ia co m o L e o p a rd i - C M a i n a rd i , M M a rch et t i COMUNE di ARRONE Si fa presto a dire BAR - F Bartoli Un marchio di qualità per la pasticceria ternana - FB SHASHEI COMOTAWI Uno stilista alla conquista dell’America - L Bellucci VALENTINA MORELLI L’architetto dallo stile poliedrico - LB FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TERNI E NARNI AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI ALLA SCOPERTA DI... a volo d’uccello sulla Provincia di Terni - L Santini PROGETTO MANDELA - C Ca l c a t e l l i ERASMO DA ROTTERDAM - M Ricci AMARCORD TERNANA - M B IL MULINO DEL DUCA CESI La Questione Romana - F Ne r i ALFIO Liberty per Natale - C M a n s u e t i ALLEANZA TORO Astronomia - E Costantini, M Pasqualetti, P Casali, F Valentini, T Scacciafratte SUPERCONTI

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Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

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Il Paese è alla sbarra! E lezione, nel nostro bel Paese, significa spesso, purtroppo, modalità, di natura la più disparata e disperata, di accaparrare voti, qualunque sia la loro provenienza. Le formazioni partitiche non sono tanto interessate a trovare persone perbene da inserire nelle liste, quanto invece ad inseguire gli arraffatori di voti, qualunque possa essere il loro spessore intellettivo e morale. Così, i criteri per essere inseriti in lista (più propriamente per essere nominati perché le liste, ancor oggi, sono completamente bloccate ed impermeabili alla volontà dell’elettore) sono: avere un volto noto, essere giullare del satrapo, doversi mettere al riparo dalla giustizia, appartenere a qualche conventicola di potere occulto, essere disposti ad obbedire sempre al boss... avere chiappe e tette belle! Solo un capobastone può accettare, nelle elezioni politiche nazionali, la lista dei nominati perché così ha un suo esercito di mercenari da tenere in pugno (a meno che poi, però, non si vendano ad un migliore offerente). In questo caso chi ha più potere e più denaro impera. 84 parlamentari, tra Montecitorio e Palazzo Madama, sono sotto inchiesta, già con sentenze di condanna, in attesa di processo oppure rinviati a giudizio. Un’accolita di filibustieri è assiepata nei gangli vitali delle Istituzioni. A piede libero, nel resto del Paese, solo qualche untorello senza pretese dedito agli affari rimanenti, quelli di piccolo cabotaggio! Sembra che la politica stia diventando porto sicuro per il malaffare; infatti è ormai prassi, consueta e consolidata, che le Istituzioni non vengano nobilitate esclusivamente da cittadini con fedina penale immacolata, ma siano frequentate anche da zozzoni qualsivoglia. Questo vulnus morale, vera rovina del Paese, dovrà essere smaltito negli anni (moltissimi) e con difficoltà (tantissima). Oggi si sente anche dire che il premier Monti non ha legittimazione elettorale! Ma guarda! Hanno forse legittimazione popolare i nominati, visto che nemmeno uno è stato eletto? O hanno legittimazione popolare quelli che saltando a pié pari in campo opposto hanno rubacchiato incarichi, ministeri, sottosegretariati (tutti pagati da noi cittadini!), promesse di rinomina? C i aspettano, nell’anno in corso, celebrazioni di processi (in elenco solo i nomi più eclatanti, ma c’è poi tutto un fiorito sottobosco che lo eleva all’ennesima potenza) relativi a: Berlusconi, Bertolaso, Bisignani, Caltagirone, Carboni, Consorte, Cosentino, Cristiani, Dell’Utri, De Luca, Fazio, Fitto, Frisullo, Lavitola, Ligresti, Mastella, Menarini, Milanese, Minzolini, Papa, Penati, Ricucci, Sala, Scajola, Tarantini, Tedesco, Verdini. E chi più ne ha più ne metta! Processi per gente da suburra, vien da pensare. Nient’affatto! Moltissimi di costoro hanno le mani in pasta in affaracci, nel nostro paese, sia come parlamentari sia rivestendo incarichi di assoluta rilevanza. Ma non dovrebbero esserci, in Parlamento, persone al di sopra del benché minimo sospetto? Il problema dunque non investe nemmeno la diade destra-sinistra. È che viviamo ormai in un clima generalizzato di corruzione, clientelismo, mafia! C’è, inoltre, il Pinco che difende gli evasori e si ostina a pretendere ispezioni della finanza a Cortina, in ferragosto, a Porto Cervo, quando la neve danza e avanza. Pallino, addirittura, difende anche i colpevoli conclamati, non solo gli inquisiti! Lo chiamano garantismo che significa ormai omertà e complicità assoluta! Qualcuno, poi, pretende di contestualizzare addirittura le bestemmie! Via, questo è il Paese di Chicchinella! (Sempre che Chicchinella non se la prenda a male!). U na lurida gestione del Paese è alla sbarra! E’ una vera e propria emergenza nazionale. Dovrebbe costituire uno dei punti fondamentali dell’azione del governo Monti: colpire con durezza e determinazione la corruzione che strozza il Paese proveniente, in grandissima parte, da politici, manager, amministratori locali. Spazzate via dignità e correttezza da moderni barbari, l’élite di una comunità è stata trasformata nella zavorra più pesante, nell’Italia peggiore. Giampiero Raspetti


L’oroscopo della stufa Accendere una stufa è attività prettamente invernale, mentre dare il bianco alle pareti è azione solitamente primaverile; eppure, i due lavori hanno in comune qualcosa che li rende affini, anche se certo non assimilabili. Questo qualcosa sono i giornali vecchi. Per accendere la stufa ne servono sempre: quotidiani impolverati e dimenticati, adatti a bruciare di fiamma facile e veloce, quanto serve per convincere la legna, più lenta alla combustione, a darsi allegramente alle fiamme. Ma occorrono pure per dare il bianco: anche se ormai gli imbianchini professionisti tendono ad usare i grossi teli di plastica per proteggere il pavimento, un verniciatore dilettante può ancora indulgere nella placida attività di tappezzare con pazienza tutte le superfici calpestabili (e macchiabili) della casa con giornali vecchi, dando all’appartamento un provvisorio aspetto di carro di carnevale in cartapesta. Ed è inevitabile, in ognuna delle due attività, sorprendersi ad interrompere l’accensione o la verniciatura per leggere qualche articolo risorto dal passato. E si rimane così, col pennello che gocciola o con la catasta di legna in polverosa attesa, mentre gli occhi corrono a leggere una cronaca estera di sette anni fa, o un’intervista alla star dimenticata che due anni prima era sulla cresta dell’onda. Per una curiosa coincidenza, l’accensione della stufa del 1° Gennaio 2012, nella casa di chi scrive, è stata celebrata grazie ad un quotidiano datato Domenica 2 Gennaio 2011, esattamente un anno prima. Pura coincidenza, anche se sembra molto evocativa; e prima di appallottolare i fogli per renderli più facilmente combustibili, era davvero troppo grande la tentazione di vedere come si immaginava il mondo quando l’appena defunto 2011 era solo un neonato. Questa è un’azione che qualche benemerito razionalista fa ogni anno, con tenacia e pazienza, per mostrare quanto siano disperatamente sbagliate le previsioni che maghi e astrologi fanno ad ogni inizio d’anno;

nonostante alcune considerazioni davvero divertenti (valga per tutte la previsione di tal Sampietro, esperto di Nostradamus, sulla caduta del re del Marocco; nel 2011 sono praticamente crollati tutti i regimi del Nordafrica tranne quello di Rabat…), la maggioranza della gente continua imperterrita a seguire Paolo Fox e compagni. Del resto, dovrebbe essere ormai chiaro che in realtà la gente chiede ai maghi rassicurazioni, non previsioni: ed è certo cosa triste, ma chi crede all’astrologia è disposto a perdonare qualsiasi vecchia idiozia, pur di sentirsene raccontare ancora. Ma dalle pagine di un quotidiano vecchio di 364 giorni si possono trarre altre, forse più significative, lezioni: anche se un giornale d’inizio anno deve per forza sbilanciarsi in qualche esercizio di previsione, non è tanto nei vaticini più o meno espliciti che si trovano le note più significative, quanto nel normale uso del linguaggio, degli accenti, delle parole usate. Ad inizio 2011, la crisi c’era già, ma sembrava una cosa quasi nascosta, che colpiva a caso la gente comune, così come capitano le disgrazie familiari. Le istituzioni la sminuivano o la negavano, e infatti il giornale del 2 gennaio 2011 quasi non ne parla. In questi primi giorni del 2012 siamo governati da un gruppo di tecnici i cui nomi dodici mesi prima non comparivano neppure nei trafiletti più piccoli; e questi tecnici sembrano correre, affrettarsi, dire che il tempo è poco, quando un anno fa all’ordine del giorno del consiglio dei ministri gli argomenti sul tavolo sembravano di tutt’altra natura. Non c’è quotidiano del 2012 che non usi la parola spread, senza più sentire il bisogno di spiegarla; così come un anno fa non c’era foglio stampato che non riportasse da qualche parte il nome Ruby, anche questo senza nessuna didascalia, perché superflua. Nessuno immaginava che Tunisia, Egitto, Libia, Siria, Yemen avrebbero preso fuoco; nessuno ricordava che gli USA sarebbero stati fuori dall’Iraq, e men che mai nessuno pensava che, ad inizio 2012, le navi e gli aerei americani tenessero piuttosto l’Iran nel loro nervoso mirino. Nessuno poteva prevedere il disastro del terremoto in Giappone e il conseguente disastro di Fukushima, anche se in compenso qualche povero di spirito si è preso la briga di seminare il panico immaginandone uno inesistente a Roma. Solo dodici mesi fa, eppure quello del 2 gennaio 2011 sembra quasi il giornale d’un altro mondo, di un’altra epoca. E allora? Quel poco che possiamo imparare da tutto questo non è poi un insegnamento particolarmente profondo: giusto che le previsioni sono difficili, come diceva il grande fisico Niels Bohr, specialmente quando riguardano il futuro. Ma a pensarci bene non è poi cosa da poco, soprattutto in tempi come questi, così densi di paure. Se il futuro preoccupa, se lo si immagina tutto nero, se si prefigurano lacrime e sangue, la difficoltà di prevederlo è quantomeno consolatoria: sembra che tutto andrà male? Beh, cavolo… possiamo comunque sbagliarci, no? Buon 2012, gente: e su con la vita. Lasciamo al futuro ancora la possibilità di stupirci, non si sa mai che per una volta lo faccia in senso positivo. Pi ero Fa bbri

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Cinguetta tu, che cinguetto anche io! Se pensate (e per questo lo state leggendo) che io voglia parlare di ornitologia, scienza peraltro molto interessante ma della quale non ho conoscenze approfondite, salvo riconoscere i volatili che si posano quotidianamente sul mio balcone e poco più, vi deluderò. Il cinguettio cui mi riferisco è quello che deriva dal verbo inglese to tweet che significa appunto cinguettare ed il riferimento più puntuale è al termine tecnico che individua gli aggiornamenti sulla rete sociale Twitter. E’ un servizio gratuito che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo, i tweet appunto, con una lunghezza massima di 140 caratteri. La somiglianza con gli SMS è voluta, ma l’uso ben diverso perché i testi sono pubblicati su internet e a disposizione di chiunque. Non pensate neanche lontanamente che sia un altro Facebook, modalità di fruizione e regole del gioco sono molto diverse: Twitter è una finestra virtuale sul mondo. Quale è l’uso migliore? Molti lo usano per monologhi, per dire quello che pensano o quello che stanno facendo (come Twitter stesso suggerisce), altri replicano ai messaggi per rispondere (pubblicamente) alle domande fatte. Nella realtà è diventato uno strumento imperdibile per far sapere cosa si fa sul lavoro, e trovare partner potenziali. E’ sempre in real time ed ha tanti canali quanti sono i fruitori (ossia la comunità di tutti gli iscritti). L’attività è fatta quindi da innumerevoli piccoli annunci, è collegata al web, perché nei tweets potete metterci link a tutto: video, documenti, siti web, foto, etc., è anche asincrono perché è possibile ricercare nei tweets passati l’argomento di interesse o quello che vi siete persi e soprattutto è veramente interattivo. Ecco perché, in occasione delle contestatissime elezioni iraniane, Twitter ha ampiamente battuto le TV e i programmi di news. Anche la diplomazia è un’arte che si può esprimere in 140 battute senza troppi giri di parole. Giulio Terzi, fresco di nomina a Ministro degli Esteri e già ambasciatore italiano a Washington, è infatti il primo membro del nuovo Esecutivo a cinguettare. Secondo lui la comunicazione diretta con i cittadini, seppure attraverso la mediazione di un social network, può solo fare del bene alle istituzioni e sembra essere ben stato accolto dal popolo di Twitter, che ha apprezzato il suo stile genuino e il fatto che i post siano concreti e non semplici slogan. La moda del cinguettio di Twitter ha contagiato anche il Vaticano: sul social network, come annota il vaticanista del Foglio Paolo Rodari, ci sono ben cinque cardinali. Tra di loro gli italiani Ravasi e Scola. Il popolo dei social network più in generale racchiude circa l’82% della popolazione di Internet ossia 1,2 miliardi di utenti. Ed è per questo che il social networking rappresenta l’attività online più diffusa in tutto il mondo considerando il fatto che nel 2011 su ogni 5 minuti passati in rete dagli internauti almeno 1 è stato dedicato ai social network. Inutile dire che su Twitter c’è anche la pagina ufficiale dedicata alla profezia dei Maya. Infatti, il tema è di quelli caldi, il 21 dicembre 2012 è la data del calendario nella quale si dovrebbe verificare un qualche evento di proporzioni planetarie, capace di produrre una radicale trasformazione dell’umanità inclusa la possibile fine del mondo… quindi perché non tweettarci su? alessia.melasecche@libero.it

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Fo llo w t h e mozzarella!

La nostalgia della bufala tradisce l’ecomafia Ma dove vanno a finire i palloncini quando sfuggono alla mano dei bambini? cantava Renato Rascel guardando in alto con l’aria trasognata e infantile. Oggi questa canzoncina apparirebbe meno ingenua e poetica, infatti ci insegnano sin da piccoli che i palloncini colorati sono pezzi di gomma che, una volta sgonfiati, andranno a inquinare qualche suolo lontano. E la risposta alla domanda di Renato Rascel non sarebbe nel cielo lassù, ma più prosaicamente in qualche paese laggiù, poiché lo smaltimento illegale della gomma segue la rotta che dall’Italia porta in Somalia, in Cina, in India... Comunque chiedersi dove vadano a finire le cose che abbiamo in mano e che ci sfuggono sembra essere un metodo di indagine efficace; i refrain potrebbero presentare diverse varianti, tipo dove vanno a finire i vecchi computer, le vecchie automobili, i pneumatici dismessi… questa volta però, per rintracciare una nuova tratta di smaltimento di rifiuti tossici, la Guardia di Finanza ha intonato una variante saporita della celebre canzoncina: ma dove vanno a finire le mozzarelle? Qualche tempo fa il New York Times ha pubblicato un’inchiesta sul famigerato Triangolo della Morte italiano, ovvero il trittico di comuni della provincia di Napoli composto da Acerra, Nola e Marigliano, considerata come la zona con il più alto tasso di inquinameto da diossina al mondo. In seguito all’inchiesta, la Corea del Sud è prontamente intervenuta ed ha proibito l’importazione di prodotti caseari provenienti dalla Campania. La copiosa disdetta di bufale ha insospettito qualcuno che deve essersi chiesto quali rapporti culinari detenesse con la Campania questo paese asiatico la cui alimentazione non contempla i latticini. Si è scoperto così che alcuni nostri compaesani affamati, trasferitisi laggiù per loschi lavori, stanchi di mangiare alghe bollite e polpo vivo, si facevano spedire i prodotti di mungitura bovina direttamente dal paese natio ed avevano aperto dei ristoranti italiani come copertura di ben altri traffici. Come si sa, il celebre motto follow the money, ovvero segui il denaro, è la regola aurea del giornalismo d’inchiesta, ma in questo caso per scoprire le presenze malavitose campane è bastato il follow the mozzarella! Così la nostalgia della bufala è risultata fatale ai trafficanti ed ha portato la Guardia di Finanza a scoprire che il 70% di gomme e pneumatici riciclati dall’Ecomafia italiana viene spedito proprio nella Corea del Sud. Stando alle ultime stime, per smaltire in Italia un container di 15 tonnellate di rifiuti pericolosi servono almeno 60mila euro, seguendo invece la via illegale ne bastano solo 6 mila, quindi un’impresa che si libera degli scarti di produzione, rivolgendosi al mercato nero dello smaltimento, può risparmiare fino al 90%. A questa cifra va ovviamente aggiunto il costo di mozzarella, pasta per pizza e pummarola ‘n coppa, il tutto in spedizione espressa via aerea perchè, a quanto pare, ai rifiuti tossici ci si fa la bocca, ma al cibo Francesco Patrizi coreano proprio no.


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Buddisti e felici? PSICHE

laboratori

Il diffondersi della filosofia buddista, pur banalizzata dal deplorevole scadere in moda, ci pone il problema dell’atarassia: è proprio vero che felicità sia solo non avere infelicità e che un’imperturbabile mancanza di desideri ne sia la via regia? Sull’atarassia ho forti perplessità, non tanto sul concetto in sé, ma sul posto che occupa nella scala dell’evoluzione. In altre parole: all’essere primitivo, brutale e totalmente privo di quella luce dell’intelletto che pure è nelle potenzialità astratte di qualsiasi essere umano, proporre l’atarassia sarebbe un’ovvia insensatezza; se si sale un po’ nella scala evolutiva (e culturale) le cose cambiano, ma credo che occorra andare molto, molto in alto nella stessa scala perché la cosa acquisti un senso e soprattutto sia praticabile. Io non credo all’evoluzione come atto di volontà. Essa, come del resto la cultura, è uno stratificarsi dello spessore umano che deriva sì, da atti, studi, convinzioni, pratiche, ma con nessuna di esse s‘identifica totalmente. Volere essere atarattici (si dirà così? ) equivale al non esserlo e a mettersi quindi in una posizione di forzatura, finzione e falsità, che è l’esatto contrario di quanto può portare a una spinta evolutiva, di qualsiasi genere. Esattamente come volere essere raffinati o felici o signori ecc.: così fare il raffinato senza esserlo è la quintessenza del vero cafone. Insomma, voler essere è l’esatto contrario di essere, giacché il divenire che porta all’essere è comunque punto d’arrivo, mai di partenza. Contrariamente all’ossessione consumistica, una persona normale, specie dopo la prima giovinezza, non dovrebbe avere più grandi desideri e star bene anche se non li esaudisse tutti, ma non sarebbe ancora atarassia. Quanto al “Piacer figlio d’affanno” lo sostenevano anche quell’allegrone del Leopardi e quello spensierataccio di Schopenauer. Che Uscir di pena / sia diletto per noi è certo fuori discussione; il problema è se sia l’unico o no. Per quanto riguarda l’esaudimento di un desiderio poi ci sarebbe molto da dire. Laddove i desideri vengono creati artificialmente, ad arte, è chiaro che il soddisfarli si riduce al momento di un più generale fatto compulsivo nevrotico ed è risaputo da sempre che soddisfare un sintomo nevrotico non può dare alcun appagamento se non effimero e illusorio: il compulsivo non è soddisfatto del lavarsi le mani mille volte, anzi ne è oltremodo angosciato; l’acqua del soddisfacimento nevrotico non calma la sete, anzi, semmai la rinforza. E’ un paradosso e ne riparleremo. Dove il soddisfacimento sia invece davvero l’arrivo di un iter lungamente sofferto, è più probabile che la gioia sia più autentica. Ma il vero punto nevralgico dello star bene, sta nel carattere: vi sono persone sempre scontente e il cercare di soddisfarle è un falso problema, vale P.zza del Mercato Nuovo, 61 - 05100 TERNI a dire fatica sprecata; altre www.salvatidiagnostica.it - Dir. Dr. Luciana Salvati che desiderano essere Unità Operative contente, sicché se Settore Medicina di laboratorio proprio non si ritrovano in Tel. 0744.409341 un mare di guai, si godono Patologia Clinica (Ematologia, Chimico-Clinica, ciò che hanno e non Immunochimica, Coagulazione) stanno a guardare, dalla Microbiologia e Parassitologia Clinica mattina alla sera, ciò che Riproduzione (dosaggi ormonali, valutazione fertilità maschile) Infettivologia - Allergologia - Biologia Molecolare non hanno. Tossicologica umana e ambientale - Citologia Che è ciò che più potrei Intolleranze alimentari - Malattie Autoimmuni consigliare ad una Settore AcquAriAlimenti persona normale, di Tel. 0744.406722 media evoluzione. Microbiologica e chimica degli alimenti e delle acque

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Dr. Vincenzo Policreti Psicologo, psicoterapeuta policreti@libero.it

In questo excursus attraversa le civiltà antiche, Piero Bocci rincorre l’itinerario metafisico dell’Homo Sapiens attraverso un grande viaggio d’ascolto della propria coscienza. Con l’analisi dei suoi sogni, che riconduce ad archetipi universali, egli condivide quanto afferma il grande psicanalista CarI Gustav Jung: Se si riuscisse a recidere tutte le tradizioni esistenti al mondo, tutte le immagini, tutta la storia delle religioni, esse tornerebbero da capo nella generazione successiva. Solo a pochi individui, nell’epoca di una certa spavalderia intellettuale, viene fatto di distaccarsi dalla mitologia, la massa non vi riesce mai. Tutta l’istruzione e tutti i lumi di questo mondo non giovano a nulla, distruggono solo una manifestazione transitoria ma non l’impulso creativo. Nelle pagine di questo testo si scoprono, inoltre, enigmatici meccanismi che sembrano creare un ponte, un punto di sutura, tra scienza e religione. Secondo l’autore de La memoria del grande viaggio, la psiche ci manda messaggi (innati o ispirati), quasi echi di mondi scomparsi che riappaiono nelle mitiche visioni di tutti i tempi. Così, attraverso la psiche che si racconta, nasce un impulso creativo che prescinde dall’intuito e dalla ragione. Bocci evidenzia come, al di là di primitive superstizioni, ci sarebbero delle percezioni psichiche innate che costituiscono il patrimonio mitico del Sapiens. Queste gli forniscono sorprendenti risposte alle misteriose domande sugli scopi dell’esistenza nell’universo. Piero Bocci è nato a Gubbio nel 1935 e risiede a Terni daI 1939. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Agrarie, ha lavorato a Roma raggiungendo i massimi livelli dirigenziali nella Regione Lazio. Da più di trent’anni coltiva la passione per l’archeologia e la storia locale. Ha già pubblicato I Paleoumbri fondatori di Roma (1997) e, con le Edizioni Thyrus, I Paleoumbri Naharki (1997), Viaggio nella protostoria dell’Italia centrale (1998), I popoli che fecero Roma (1999) e Gli timbri e i Sabini (2004).


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Hakuna Matata! (ovvero il peso della responsabilità)

In un momento di crisi dilagante e di manovre ispirate al motto Lacrime e sangue è bene, ogni tanto, focalizzare quali sono le nostre priorità e quali i comportamenti da adottare per evitare di perdere di vista il nostro scopo. Quali sono gli scopi che ci siamo prefissi nel corso della nostra vita? Quali le priorità che abbiamo messo in cima alla nostra lista delle cose importanti nella vita? Quali sono i fini ultimi a cui tendiamo e che continuano a tenerci attivi durante lo scorrere noioso, annoiato e poco movimentato dei giorni? (potete anche dire di avere la agenda piena di impegni, ma se non ne avete almeno uno realmente importante per voi tutto il resto si azzera, c’è poco da fare!). Per affrontare un momento delicato come quello che il nostro Paese sta passando adesso c’è ben poco da fare se non rimboccarsi le maniche, mettersi davanti allo specchio (sul serio o solo in maniera figurata!) e rispondere a queste domande per cercare di continuare dritti per la nostra strada, senza perdere di vista i nostri diritti e doveri di cittadini, ma anche senza farsi azzerare. Non sto parlando dei sacrifici richiesti alla popolazione (guarda caso però solo ad alcune fasce della popolazione... il governo tecnico ci stava facendo sperare bene ma a parte alcuni sprazzi di lucidità sembriamo sempre nel bel mezzo del vaneggiamento di un povero idealista senza potere sulla realtà dei fatti e sulla vita reale del nostro beneamato stivale): sto parlando del peso delle responsabilità che ci sentiamo sulle spalle senza che siano veramente nostre. Sto parlando della negatività che si respira in giro per le nostre strade che trasuda da ogni quotidiano, da ogni telegiornale e anche dalla home page dei social network più usati. Quello che dobbiamo ricordarci in ogni momento, nonostante le avversità che la vita ci propone ogni santo giorno come “piatto del mese/giorno/anno” è che non saremmo nulla senza la possibilità di combattere per quello in cui crediamo, che sia un ideale o che sia un progetto su cui stiamo investendo tutto, denaro o anima che sia.

NUOVA SEDE

Il momento contingente non spinge a sognare in grande, non invita a pensare al domani con un sorriso che si dipinge sul nostro volto e non ci incita a fare del nostro meglio per il nostro futuro, ma proprio per questo motivo siamo tenuti a sognare in grande, a sorridere pensando al domani e a fare del nostro meglio per il nostro futuro. Non possiamo arrenderci nel momento in cui “il gioco si fa duro”: possiamo non essere dei duri, ma siamo esseri umani con tutto il bagaglio di aspettative, sogni e problematiche che ci portiamo costantemente dietro e per questo non dobbiamo farci annullare dalla negatività del momento storico. Quando mai le cose sono andate sempre lisce? Quando mai la parola crisi non ci ha spaventati e non ha tenuto banco nell’organizzazione delle nostre vite? Basti pensare solo alla strage razzista a Firenze o alla pazzia omicida a Liége: di motivi per aver paura di mettere il naso fuori di casa ogni giorno ce ne sono a bizzeffe, ma perché dobbiamo sentirci noi responsabili e costretti ad adottare comportamenti a noi estranei per colpa di perfetti sconosciuti con seri problemi psicologici? Siamo fatti per rischiare, non vedo il perché dovremmo smettere di rischiare adesso che è tutto in ballo già di suo. Ma magari quella idealista e senza troppi problemi sono io, per carità, è una sacrosanta verità, ma davvero non riesco ad abbandonare il pensiero di volermi costruire una nicchia di soddisfazione in quello che appare essere un domani burrascoso e particolarmente duro da affrontare. Magari così non sarà, magari succederà tutt’altro e invece del lavoro dei miei sogni, della casa dei miei sogni e dell’uomo dei miei sogni vivrò nel peggiore dei miei incubi, ma perlomeno potrò dire che non ho permesso a nessuno di togliermi la possibilità di sognare in grande in primis e, in seconda battuta, di farmi sentire addosso il peso di responsabilità che non mi competono. Ognuno si prenda le proprie responsabilità e si occupi di quello che è meglio che faccia per se stesso nel rispetto dell’altro: viviamo in una società di individui che dovrebbero aggiornarsi sul significato della parola democrazia e modernità. Ma forse sogno davvero troppo in grande... Chiara Colasanti

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Monti, la Goldman Sachs, l’alternativa “Adesso è il momento presente e il momento presente è adesso”. Abbiamo la tendenza a pensare che la vita quotidiana sia diversa dall’attimo decisivo; così quando arriva il momento di agire, non siamo mai pronti. Comprendere l’espressione: “Il momento presente è adesso” significa prepararsi costantemente all’imprevisto. Hagakure, il libro dei Samurai

Con questo articolo desidero occuparmi di Mario Monti, l’uomo da più parti osannato come il salvatore dell’Italia. Strano paese il nostro, sempre pronto a piegarsi di fronte ai potenti, disposto a lasciarsi derubare e ingannare dai peggiori satrapi, salvo poi, in un improvviso moto di orgoglio, esprimere una potentissima voglia di catarsi. Ed è questo ciò che si avverte adesso nel Belpaese: un’irresistibile desiderio di riscatto nella convinzione di meritare molto più dei sorrisetti beffardi (peraltro meritatissimi) di Sarkozy e della Merkel. Un’onda potente di rivalsa che grida vendetta per questi ultimi due decenni di debiti pubblici, tagli alle spese sociali, tasse, privilegi per pochi, collettivizzazione delle spese e privatizzazione dei profitti e di crescita inesistente. Perché questo è stata, in ultima istanza, la Seconda Repubblica (1992-2011?), rappresentata soprattutto, ma non solo, dall’egoarca a capo di una gerontocrazia di indecenti signori feudali protetti dall’impunità della politica. Ed è chiaro che la Seconda Repubblica italiana ha fallito rischiando addirittura di trascinare con sé nel baratro l’Europa intera. I mercati finanziari, questi avvoltoi perennemente affamati, adorano i debiti delle proprie vittime, come li adorano tutti gli strozzini. Senza debiti non possono arricchirsi. È dunque una menzogna quella per cui i mercati siano contrari ai debiti degli Stati. Di cosa vivrebbero? D’altra parte anche lo strozzino deve stare attento a non esagerare. Se la presa sul collo della propria vittima diventa troppo forte, rischia di strozzarlo, e dopo addio riscossione dei crediti e lauti interessi! Ed è questo ciò che sta accadendo in Europa. A causa della crescita troppo debole, o inesistente, gli erari pubblici e con essi la nostra ricchezza, le vittime di cui sopra, rischiano di non reggere più la stretta dei mercati sui loro colli asfittici e i debiti, che prima non rappresentavano un problema, adesso sono diventati il problema principale di cui si parla e si scrive. Sulle cause della mancata crescita non intendo occuparmi adesso, basterà ricordare che la banca di investimento Goldman Sachs, insieme ai fondi nascosti che le stanno dietro, da quando c’è la crisi sta facendo affari d’oro. Prima o poi qualcuno dovrà seriamente chiedersi quali siano le loro reali colpe. Per il momento andiamo a vedere gli effetti. I mercati finanziari da quando è cominciata la crisi hanno avviato una massiccia campagna propagandistica volta a spingere i paesi europei verso il rigore fiscale nella paura che la situazione diventi insostenibile e si arrivi ad una cancellazione del debito come in Grecia (-30%!). Se ciò è stato tollerato per il relativamente piccolo, in termini assoluti, debito della penisola ellenica, un simile default non sarebbe mai accettabile per un paese grande come l’Italia il cui debito pubblico, circa il 120% del PIL, rappresenta il 30% dell’intero debito pubblico europeo e la cui economia è, per grandezza, la terza in Europa e la settima-ottava al mondo. Il suo crollo avrebbe ripercussioni inimmaginabili. La politica italiana non è stata in grado di affrontare il problema, paralizzata nel vano tentativo di costringere Berlusconi a rispettare le leggi e ad occuparsi di qualcosa di diverso del suo gretto interesse privato. E così sono intervenuti i mercati che in una sola settimana sono riusciti a fare quello che alla sinistra italiana non è riuscito in 17 anni: spodestare Berlusconi. Ecco arrivare Mario Monti, ironicamente ribattezzato Super Mario. L’Italia ha immediatamente riacquistato prestigio e credibilità a livello internazionale. Manifestazioni di fiducia e di stima al nuovo capo di governo sono arrivate da tutti i più importanti capi di stato del mondo. Monti, data la sua competenza tecnica, viene addirittura chiamato in causa affinché contribuisca con proposte concrete alla risoluzione della crisi europea. Questo cambiamento è un balsamo benefico per la misera autostima degli italiani, abituati da anni ad essere considerati gli ultimi dell’Europa sempre in procinto di essere cacciati dal club dei VIP europei. Così come ha fatto bene alla politica italiana questa ventata di serietà,

professionalità e sobrietà introdotta dall’arrivo di Monti e del suo stile computo e riservato. Ma chi è Monti? Mario Monti, istruito presso i gesuiti, era fino al nuovo incarico politico presidente dell’Università Bocconi, una delle migliori università italiane. In passato è stato per 10 anni eurocommissario, al mercato interno e all’antitrust. Riconosciuto da tutti come un insigne economista, dagli osservatori più attenti gli viene oggi rinfacciato di esser stato anche international advisor della Goldman Sachs, la banca di investimento che, secondo Milano Finanza, starebbe dietro all’attacco speculativo contro i titoli di stato italiani. Monti è inoltre presidente per l’Europa della Commissione Trilaterale oltre che della Bilderberg, entrambe organizzazioni private non governative che riuniscono personalità di spicco dell’economia e della politica mondiale, da più parti accusate di essere le vere cabine di regie nascoste dove si prendono le decisioni che contano al di fuori di ogni regola democratica. E di scarsa democrazia possiamo parlare anche in relazione alla nomina di Mario Monti, di fatto imposto dagli stessi mercati finanziari che lo hanno appoggiato fortemente, così come di quella di Papademos, il suo collega diventato da poco nuovo premier della Grecia. Anch’egli legato a Goldman Sachs, anch’egli Commissione Trilaterale. Sarebbe da ingenui pensare che si sia trattato solo di un caso. Sia Monti che Papademos, se pur nell’intelligenza che li contraddistingue, sono rappresentanti di punta di quella teoria economica neoliberale che, di fatto, governa a livello ideologico il mondo da circa 30 anni (a partire da Reagan e dalla Tatcher) e che ha prodotto bassa crescita, aumento delle disparità sociali ed economiche, conflitti armati, riduzione dello spazio democratico nei paesi occidentali e attacco ai diritti faticosamente conquistati durante il XX secolo. I problemi attuali delle economie europee mi ricordano il Conte Dracula travestito da medico che, di fronte ad un paziente moribondo, quali le economie moderne sono, continua a sostenere la necessità di applicare altri salassi. E così altre e altre sanguisughe drenano sangue prezioso che va a cibare Dracula, indifferente alla salute della propria vittima. Ovvero si continuano a proporre come unica soluzione altri tagli e aumenti delle imposte (nota bene sempre alle categorie degli stipendiati, perché gli imprenditori ci danno lavoro e, quindi, sarebbero intoccabili) che non fanno altro che deprimere ancora di più la crescita. Viene da chiedersi il perché di tutto ciò. La disinformazione e la propaganda riescono a fare davvero miracoli, sia nel bene che nel male. E così Dracula può continuare a sfamarsi a sazietà a nostre spese. La maggioranza di noi sarà addirittura ben disposta a questo sacrificio di sangue, convinta che non c’è alternativa. Molti temono che con Monti siamo caduti dalla padella alla brace. Di Berlusconi si è detto di tutto, ma in genere si assume che, in fondo, era stato liberamente eletto. Nessun elettore italiano ha votato Monti, e anche se il parlamento, con l’acqua alla gola, gli ha concesso la fiducia, è necessario ragionare sul serio pericolo della legittimazione, causa emergenza, di un deficit democratico che da temporaneo potrebbe troppo facilmente protrarsi nel tempo. Come sempre le parole di un comico, Maurizio Crozza, ci aiutano a fare chiarezza e a riassumere quello che sta accadendo: Gli stati hanno salvato le banche che hanno fatto fallire gli stati, e i capi delle da LE MONDE banche vanno a governare quegli stati che le loro banche hanno fatto fallire. Per chi crede nella democrazia e nella giustizia (spesso ciò si tace, ma senza giustizia non può esserci vera democrazia) questo sembra un incubo, ma purtroppo appare sempre più chiaramente come la verità. Non ho la ricetta magica per salvare la democrazia, né ho la pretesa di essere il detentore della verità unica. Ma, in un momento drammatico come questo, non voglio rinunciare al mio diritto di parola e al mio dovere etico di contribuire alla rinascita, perché credo nel genere umano e credo dunque nella sua forza, urlando a pieni polmoni che “il re è nudo”. È ora di svegliarci dall’incantesimo perché il momento decisivo è prossimo e saremo chiamati, in un modo o nell’altro, a decidere del proprio destino. Non lasciamo che la nostra passività e il nostro pessimismo siano il pretesto per deleghe in bianco a quegli stessi che hanno creato la crisi. Finché l’uomo sarà libero di pensare, creare e rischiare, un’alternativa migliore ci sarà sempre. Sta solo a noi crederci, perché credere È agire, Andreas Pieralli e agire È cambiare il mondo.

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I L F OG LI ETTO O GLI ILLUSTRATIVO

Nei primi anni settanta del novecento, Remo, giovane rappresentante di medicine, neo assunto da una multinazionale dal nome impronunciabile, stava terminando il primo giro di visite ai medici ambulatoriali in una cittadina di provincia, prevalentemente agricola. Questo primo impatto doveva servire a prendere conoscenza del territorio, dell’ubicazione degli ambulatori e per presentarsi come nuovo informatore, visto che il suo predecessore, dopo poco più di un anno di lavoro, aveva cambiato azienda. L’ispettore che lo aveva assunto, dopo un paio di giorni di un sommario corso sull’uso di un depliant e la spiegazione di una decina di termini medici, aveva buttato il salesman sul campo, un po’ per vedere come se la sarebbe cavata -era in prova e quindi licenziabile in ogni momento- ma soprattutto per sostenere le prescrizioni dell’antibiotico, prodotto di punta dell’Azienda, visto che si era in pieno periodo influenzale. Si cercava quindi di sfruttare questo passaggio, più che altro pubblicitario, per ricordare il nome del farmaco, in attesa di un ponderoso corso di aggiornamento della durata di un mese, previsto per tutti i neo assunti. Con l’aiuto di una cartina topografica il nostro Remo era riuscito a trovare l’ambulatorio che cercava. La sala d’aspetto era imponente ma oscura: c’era appena luce sufficiente per leggere il diploma di laurea appeso al muro e ingiallito dal tempo. Per grazia di Dio e per volontà della Nazione, Noi Vittorio Emanuele III Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia… Si percepiva anche un odore di stantìo, di aria viziata, di tabacco e di legno vecchio: sembrava che tutto l’arredamento della stanza fosse così da sempre e che l’ambiente respingesse ogni cosa ed ogni persona nuova, come se non volesse turbare quell’ordine immutabile. Dal robusto schedario ereditato, sul quale il predecessore di Remo aveva tracciato dei segni affascinanti che non avrebbero sfigurato in un trattato di etruscologia, non si riusciva a capire se il medico fosse un prescrittore di qualche farmaco aziendale, oppure no. Per avere qualche lume bisognava aspettare che uscisse quel contadino, di età indefinibile, che era entrato poco prima, camminando con delicatezza sul vecchio e scricchiolante pavimento di legno, con i suoi scarponi sporchi di fango. Remo lo aveva osservato con

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attenzione mentre girava e rigirava un vecchio berretto tra le mani nodose: forse stava raccogliendo mentalmente le parole da rivolgere al medico. Era intimorito come può esserlo un contadino che ha appena lasciato il suo campo e si trova, con abbigliamento inadatto, insieme ad altre persone, in un ambiente che incute soggezione, pieno di mobili antichi e di quadri. Dalla porta socchiusa veniva fuori un parlottare basso, discreto, incomprensibile, intercalato ogni tanto dal rumore più forte del medico che si schiariva la voce. Il contadino esce e il rappresentante entra. Rapida ricognizione visiva: ambiente simile alla sala d’aspetto ma spazi più angusti, poca luce, stessi odori e dovunque pile di riviste, depliant promozionali e campioni di farmaci in precario equilibrio su sedie, mensole e scrivania. Seduto dietro di essa un vecchio ma ancora vigoroso medico di campagna, in giacca di velluto con tasca passante dietro la schiena e un paio di occhialacci a cavalcioni sul cranio pelato. Nella presentazione il medico stende la mano, senza alzarsi, e bofonchia: Che c’hai un lapis? Non una biro, un lapis! Il giovane risponde che non ne ha e, digiuno com’era di cultura e di termini medico-farmaceutici, si limita solo a ricordare al sanitario il nome, le indicazioni e la posologia dell’antibiotico che era di stagione, poi saluta e se ne va. Poco lontano c’era la farmacia, con affreschi di un certo valore e un bel soffitto a cassettoni. C’era anche il contadino che aspettava la sua medicina mentre il farmacista tentava di spiegargli che doveva tornare dal medico a farsi scrivere meglio il nome del farmaco perché quello scritto sulla ricetta della mutua era inesistente. L’uomo si rimise il berretto ed uscì, scuro in volto. L’informatore si presenta e il farmacista chiede subito se ha illustrato un nuovo farmaco al vecchio medico. Sa perché? -aggiunge il villico speziale- quel contadino asseriva che il medico gli aveva prescritto una medicina nuova e che, addirittura, per non sbagliare, lo aveva copiato dal foglietto illustrativo che aveva estratto dalla capace tasca della giacca di velluto. Solo che il nome non lo conosce nemmeno il grossista, dove mi rifornisco! Pensavo che fosse stato lei a presentare il prodotto nuovo. Sa, con quel nome strano che ha la sua Azienda... Nel frattempo il nostro contadino era tornato: sorrideva sotto i baffi e non si era tolto il berretto. Dottò -detto in dialetto stretto- lu medicu s’era sbajatu a tirà su lu fojettu da la saccoccia: invece de pijà quillu de la midicina ea pijatu lu fojettu pubbricitariu de le lampadine de lu trattore che so’ de marca tedesca! (= il medico si era sbagliato a tirare su il foglietto dalla tasca: invece di prendere quello del farmaco aveva preso il foglietto pubblicitario delle lampadine del trattore che sono di marca tedesca!). Vittorio Grechi


VÉÅâÇx w|bÜä|xàÉ TááxááÉÜtàÉ TÅu|xÇàx xw XÇxÜz|t

La strategia di azione ambientale per lo sviluppo dell’Orvietano L’Amministrazione comunale di Orvieto si è presentata ai propri cittadini ponendo fra le priorità l’obiettivo di imprimere un deciso e profondo mutamento alle politiche per lo sviluppo del territorio. Sviluppo inteso nell’unica accezione possibile, e cioè quella della sostenibilità e del rispetto delle generazioni attuali e future. Si tratta in pratica di un nuovo percorso che vuole colmare il deficit di attenzione alle questioni ambientali sino ad oggi espresso, ritrovando altresì intorno a queste un modello di sviluppo virtuoso e sostenibile. Gli elementi basilari di questa nuova visione strategica si identificano in un modello di città tecnologiche ed interconnesse (città intelligenti o smart city) le quali, attraverso gli strumenti della “green economy”, innescano un processo virtuoso in favore dello sviluppo sostenibile del territorio. Oggi la Green Economy non è più una nicchia: l’economia basata sulla sostenibilità è diventata una sfida planetaria. In questo scenario stanno crescendo le imprese e le professionalità necessarie a gestire il cambiamento verso un’economia sostenibile. Nella Green economy, di conseguenza, l’ambiente è considerato come una risorsa da gestire con attenzione e non da sfruttare incondizionatamente. Il rapporto tra uomo e ambiente è paritario, e l’ecosistema è preservato per proteggere la biodiversità, per produrre in modo sostenibile senza penalizzare le generazioni future, a tutela del paesaggio e per ridurre al minimo le conseguenze dell’inquinamento sulla salute dell’uomo. Tutte le azioni dell’Amministrazione Comunale si ispirano quindi ad un modello che vuole coniugare qualità dell’ambiente ed economia, capitali naturali e servizi ecosistemici, con la prospettiva di far divenire la città di Orvieto uno dei modelli di riferimento internazionali per l’applicazione in concreto delle migliori pratiche in favore di uno sviluppo sostenibile. La sfida che ci si pone è quindi quella di sviluppare un modello di città tecnologica e interconnessa, ma anche sostenibile, confortevole, attrattiva, sicura, in una sola parola “intelligente”: questo l’identikit ideale delle cosiddette smart cities, come sono state ribattezzate in questi anni, le città sulle quali, in Europa e nel mondo, si scommette per garantire uno sviluppo urbano equilibrato e al passo con la domanda di benessere che proviene dalle sempre più popolose classi medie internazionali. La missione dell’Amministrazione Comunale di Orvieto, in campo ambientale, è quindi ridisegnare lo sviluppo sociale ed economico del territorio, facendolo divenire un caso virtuoso nel panorama della green economy, che unisca la necessità di creare posti di lavoro e benessere con l’esigenza di tutelare l’ambiente, modernizzare i servizi, avere accesso alle nuove tecnologie.

raccolta dei dati relativi a ciascun aspetto; - individuazione ed applicazione dei modelli di analisi, valutazione ed elaborazione dei dati; - individuazione dei tematismi ambientali significativi; - Analisi SWOT. Per ciascun aspetto analizzato sono stati individuati i dati necessari al fine di una accurata descrizione della situazione ambientale e socio-economica nel territorio comunale. I dati e le informazioni sono stati reperiti dalle fonti di letteratura, dai registri ufficiali, presso le Autorità e gli Enti preposti (ISTAT, Autorità di Bacino, Autorità d’Ambito, ARPA, APAT, ANAS, ENEL, Provincia di Terni, Regione Umbria, etc.), disponibili a livello regionale/ provinciale/nazionale. I dati a scala comunale sono stati forniti dagli uffici tecnici comunali. L’analisi, la valutazione e l’elaborazione dei dati ha tenuto conto dell’esigenza di: - mettere in relazione i dati con le eventuali norme/piani di riferimento; - rendere i dati confrontabili con le rilevazioni esistenti in contesti simili; - individuare, ove possibile, una serie storica di dati che possa mettere in evidenza una tendenza di evoluzione; - definire indicatori che permettano di “pesare” i dati comunali rispetto ai contesti provinciale, regionale e nazionale. I dati e le informazioni contenuti nel Rapporto Ambientale di Analisi Territoriale in questione hanno consentito la definizione di una serie di azioni specifiche, che concorrono alla realizzazione del Piano di Gestione Ambientale Integrata. In quest’ultimo, gli obiettivi identificati si sviluppano in forma integrata, in una visione che supera le barriere tematiche e disciplinari, ma cerca di prefigurare un modello dove il raggiungimento dell’obiettivo finale avviene attraverso un percorso interdisciplinare, con punti di contatto tra le varie azioni sia nel dominio del tempo che in quello dello spazio. Il punto di forza del Piano è infatti quello di proporre degli interventi volti alla sostenibilità in una visione integrata di area. In questo contesto il Piano rappresenta un progetto prototipale, esportabile in altri territori che vogliono puntare sulla visione integrata di area e farne un punto cardine di successo per lo sviluppo sostenibile territoriale. Il piano rappresenta quindi un percorso condiviso di investimento nella valorizzazione delle risorse ambientali e culturali intese come opportunità di sviluppo della realtà economica e soprattutto sociale. La realizzazione del piano rappresenta in questa visione l’innesto che, mosso dalla passione per il territorio dell’intera comunità e delle amministrazioni locali, promuove progettualità e propone occasioni di occupazione per la popolazione in concomitanza con la valorizzazione e tutela delle risorse locali.

Gli obiettivi attesi si possono sintetizzare in un progetto per lo sviluppo sostenibile locale o Piano di Gestione Ambientale Integrata finalizzato a: promuovere la tutela attiva e integrata del territorio, attraverso forme di programmazione e gestione partecipata finalizzate allo sviluppo socioeconomico e alla riqualificazione ambientale e paesistica; promuovere il coordinamento e l’orientamento delle politiche settoriali in materia; In particolare, il presente Piano vuole: qualificazione delle attività agricole; razionalizzazione dello sfruttamento economico delle - Fornire a Orvieto gli strumenti per mettere in atto la strategia perseguita dall’Amministrazione risorse; sicurezza idrogeologica; promozione della fruizione, turismo e tempo libero. comunale per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del territorio; Su tali considerazioni si è voluto ragionare per proporre un nuovo modello di sviluppo al - Individuare interventi complementari all’interno di una visione strategica globale, ma in territorio orvietano che, superando gli immobilismi del passato, possa ritrovare una grado di essere “sganciati” da tale visione e realizzati autonomamente a seconda delle espansione equilibrata e moderna. condizioni (economiche, ambientali, congiunturali); Gli interventi previsti dal progetto per lo sviluppo sostenibile/Piano di gestione ambientale - Orientare lo sviluppo futuro delle comunità locali verso la green economy e la modernità integrata, nascono da una nella gestione del territorio e attenta analisi delle dotazioni nell’erogazione dei servizi; territoriali tradotte in uno - Razionalizzare strutture, prospecifico Rapporto Ambientale getti e servizi per evitare inutili e di Analisi Territoriale. costose sovrapposizioni; Questo comprende una descri- Monitorare l’evoluzione nelzione dei criteri secondo cui l’applicazione degli strumenti valutare la significatività dei del Piano per poter adattare tematismi ambientali e si conquest’ultimo alle esigenze che clude con l’individuazione delle sopraggiungeranno nell’arco tematiche risultate maggiordel tempo. mente significative sulla base L’obiettivo complessivo è un delle quali vengono definiti gli percorso che vuole dare proobiettivi di miglioramento amspettive alla città ed ai cittadini, bientale. I punti cardine della sviluppando un sistema imprenmetodologia per la realizzaditoriale ed occupazionale zione del Rapporto Ambientale basato sulla “green economy”. di Analisi Territoriale sono: La figura a fianco delinea il - individuazione degli aspetti percorso intrapreso. che caratterizzano il territorio; Claudio Margottini - individuazione delle fonti e Visione complessiva del piano di gestione integrata/sviluppo sostenibile alla base del modello di sviluppo delineato per l’Orvietano Assessore Ambiente ed Energia

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Giacomo G ia c o mo L e o p a r d i par adi gm a dei gi ov ani di t ut t i i te m p i Mio Signor Padre. Sono le prime tre parole della lunga lettera di Giacomo Leopardi al padre, il conte Monaldo. Una lettera piena di rispetto nei confronti del genitore, una lettera che però, nonostante tutto, racconta le necessità del giovane, il suo desiderio e bisogno impellente di un’opportunità di libertà, nonché di fuga da una realtà statica ed infelice. Il giovane Giacomo si sente in trappola, tuttavia ha sempre anteposto a se stesso il volere del padre. Questo è uno dei tanti motivi che fa dell’autore il paradigma del giovane di ogni epoca. Se i tempi e la cultura sono cambiati, in ogni ragazzo si manifesta il bisogno di libertà, di scegliere da solo la strada per l’avvenire. Giacomo, infatti, ha avuto il coraggio di manifestare le sue idee e tentare la fuga, poi fallita. Leopardi parla di obblighi verso i genitori, che non vanno delusi, ma anche verso la società che impone un determinato comportamento. Allo stesso modo i giovani del XXI secolo sono intrappolati dalla società che non dà loro la possibilità di instradarsi nella via a loro più affine. Non si parla solo di quanto possa essere difficile affrontare tutte le prove di un affrancamento sociale, ma della possibilità di essere se stessi. I governi, la mentalità umana tendono ad un controllo degli uomini e soprattutto delle menti più giovani. Ogni epoca può offrirne prove ed esempi. E oggi? Oggi trionfa l’omologazione e il qualunquismo. Si è tolta la libertà di espressione ai piccoli uomini, nei quali, avendo appena lasciato l’età infantile, è ancora vivo il dolce ricordo dei sogni, che intendono realizzare. Il sabotaggio delle idee avviene tramite vie esplicite e non, proprio perché è in loro che il futuro vive. Allo stesso modo, tuttavia, costoro non si devono arrendere, e potranno essere anche decretati pazzi, ma è la pazzia che forgia i grandi uomini, li rende unici, eccezionali. Leopardi in proposito si esprime così nella sua lettera: So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome. E perché la carriera di quasi ogni uomo di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò, non mi sgomenta che la mia cominci così, ed, ovviamente, ha ragione. Egli continua ancora affermando che l’uomo tende a voler essere felice nel suo “status quo”, tuttavia, forse sarà più felice mendicando cioè girando per l’Italia, per il mondo, in modo da conoscere più realtà, tutte diverse e trovare una verità che più lo colpisca e gli assomigli. Il giovane Giacomo afferma, inoltre: Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che di ogni disagio del corpo. E’ ovvio che in queste parole ci sia il pensiero leopardiano in embrione: la teoria del piacere e del dolore. Per lui, infatti, la noia non è altro che la frustrazione della ricerca continua di un piacere assoluto, che è vano e non esiste. Egli si prodiga a raccontare che preferisce essere infelice nella sua continua ricerca di verità piuttosto che essere piccolo, cioè rimanere ancorato a Recanati, piccola cittadina

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“sperduta nel nulla” che farebbe di lui un uomo dalla mente ottusa, senza via di scampo. Proprio per questo vuole peregrinare, aprire la sua mente ad un mondo in continua evoluzione, sebbene la consideri una nota evolutiva dell’uomo in quanto non viene attuata con efficace criterio e porterà però l’umanità verso un continuo e irreversibile degrado. Qui Leopardi è stato capace di prevedere ciò che in realtà è davvero accaduto; siamo fruitori di un’acculturazione di massa e di basso livello, che continua a peggiorare e che è la causa della mancata libertà di noi giovani. Certo non si può fare “di tutta un’erba un fascio”; coloro che tendono ad uscire fuori dalla massa sono subito riportati “all’ordine”. Sembrerà insensato, tuttavia il giovane Giacomo è paradigma di gioventù perché la sua vita da recluso è anche la nostra a distanza di tanto tempo. È normale anche che egli abbia sofferto in parte per la sua decisione di lasciare Recanati, perché lì c’era la sua famiglia, lì c’erano le sue sicurezze. Riguardo a questo punto Giacomo è stato molto lucido in quanto, secondo lui, il prezzo da pagare è equo rispetto alla libertà. Anche qui egli si angoscia perché vorrebbe creare dispiacere e sofferenza solo a se stesso e non ai genitori e ai famigliari. Come lui, tanti ragazzi oggi partono alla scoperta di un mondo lontano, lasciando a casa la propria famiglia sapendo che la rivedranno non molto spesso. La vita però, non può essere solo illusione di felicità e queste situazioni sono la prova tangibile di quanto in realtà la vita e la felicità siano un‘illusione dell’uomo perché per lui niente è semplice. In merito a ciò si può citare Plutarco che nel II secolo dC circa ha affermato: I giovani non sono vasi da invasare ma fiaccole da accendere. Questa è la controprova non solo del fatto che la storia sia un ripetersi di situazioni simili fra loro, ma anche del fatto che il compito dei giovani rimane immutato: possono cambiare il mondo, migliorarlo perché sono il futuro, i tempi e i costumi che cambiano. Si parla soprattutto di come i giovani siano micce che prendono vita in una frazione di secondo qualora ci sia qualcuno che dia loro la possibilità di manifestare i propri bisogni, desideri e idee troppo forti da lasciare in un angolo della mente. Tanto prima o poi, ci sarà qualcuno che farà fuoco. Allora, grazie a Leopardi, a Plutarco, a Mimnermo, autore greco all’incirca del VI secolo aC, il quale è stato soprannominato “il Leopardi greco”, che noi giovani dobbiamo incendiare le nostre idee, dar loro vita in modo eclatante, distinguerci della massa e, perché no?, se crediamo che la nostra vita sia volare lontano dalla nostra patria, poiché seppur con sofferenza, riusciremo a trovare la via, a credere di poter essere migliori e soprattutto vivere tentando di realizzare le nostre convinzioni e di farlo adesso. Adesso non ci resta che festeggiare questa vita, appena cominciata e della quale siamo padroni; adesso assicuriamoci di poterla vivere in libertà. Corinne Mainardi IIIAM


Leopardi La Provincia di Terni per la cultura

Gia com o Le o p a r d i, L e tte r a al padr e

Dalla fuga da Recanati alla fuga di cervelli

Mio Signor Padre. Sebbene dopo aver saputo quello ch'io avrò fatto, questo foglio le possa parere indegno di esser letto, a ogni modo spero nella sua benignità che non vorrà ricusare di sentir le prime e ultime voci di un figlio che l'ha sempre amata e l'ama, e si duole infinitamente di doverle dispiacere. Ella conosce me, e conosce la condotta ch'io ho tenuta fino ad ora, e forse quando voglia spogliarsi d'ogni considerazione locale, vedrà che in tutta l'Italia, e sto per dire in tutta l'Europa, non si troverà altro giovane, che nella mia condizione, in età anche molto minore, forse anche con doni intellettuali competentemente inferiori ai miei, abbia usato la metà di quella prudenza, astinenza da ogni piacer giovanile, ubbidienza e sommessione ai suoi genitori ch'ho usata io. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. Ella non ignora che quanti hanno avuto notizia di me, ancor quelli che combinano perfettamente colle sue massime, hanno giudicato ch'io dovessi riuscir qualche cosa non affatto ordinaria, se mi si fossero dati quei mezzi che nella presente costituzione del mondo, e in tutti gli altri tempi, sono stati indispensabili per fare riuscire un giovane che desse anche mediocri speranze di se. Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch'io vivessi tuttavia in questa città, e com'Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente. ... Ma lasciando questo, benché io avessi dato saggi di me, s'io non m'inganno, abbastanza rari e precoci, nondimeno solamente molto dopo l'età consueta, cominciai a manifestare il mio desiderio ch'Ella provvedesse al mio destino, e al bene della mia vita futura nel modo che le indicava la voce di tutti. Io vedeva parecchie famiglie di questa medesima città, molto, anzi senza paragone meno agiate della nostra, e sapeva poi d'infinite altre straniere, che per qualche leggero barlume d'ingegno veduto in qualche giovane loro individuo, non esitavano a far gravissimi sacrifici affine di collocarlo in maniera atta a farlo profittare de' suoi talenti. Contuttoché si credesse da molti che il mio intelletto spargesse alquanto più che un barlume, Ella tuttavia mi giudicò indegno che un padre dovesse far sacrifizi per me, nè le parve che il bene della mia vita presente e futura valesse qualche alterazione al suo piano di famiglia. ... Ella conosceva ancora la miserabilissima vita ch'io menava per le orribili malinconie, ed i tormenti di nuovo genere che mi proccurava la mia strana immaginazione, e non poteva ignorare quello ch'era più ch'evidente, cioè che a questo, ed alla mia salute che ne soffriva visibilissimamente, e ne sofferse sino da quando mi si formò questa misera complessione, non v'era assolutamente altro rimedio che distrazioni potenti e tutto quello che in Recanati non si poteva mai ritrovare. Contuttociò Ella lasciava per tanti anni un uomo del mio carattere, o a consumarsi affatto in istudi micidiali o a seppellirsi nella più terribile noia, e per conseguenza, malinconia, derivata dalla necessaria solitudine e dalla vita affatto disoccupata, come massimamente negli ultimi mesi. Non tardai molto ad avvedermi che qualunque possibile e immaginabile ragione era inutilissima a rimuoverla dal suo proposito, e che la fermezza straordinaria del suo carattere, coperta da una costantissima dissimulazione, e apparenza di cedere, era tale da non lasciar la minima ombra di speranza. Tutto questo e le riflessioni fatte sulla natura degli uomini, mi persuasero ch'io benché sprovveduto di tutto, non dovea confidare se non in me stesso. Ed ora che la legge mi ha già fatto padrone di me, non ho voluto più tardare a incaricarmi della mia sorte. Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero. So che sarò stimato pazzo, come so ancora che tutti gli uomini grandi hanno avuto questo nome. E perché la carriera di quasi ogni uomo di gran genio è cominciata dalla disperazione, perciò non mi sgomenta che la mia cominci così. Voglio piuttosto essere infelice che piccolo, e soffrire piuttosto che annoiarmi, tanto più che la noia, madre per me di mortifere malinconie, mi nuoce assai più che ogni disagio del corpo. ... Avendole reso quelle ragioni che ho saputo della mia risoluzione, resta ch'io le domandi perdono del disturbo che le vengo a recare con questa medesima e con quello ch'io porto meco. Se la mia salute fosse stata meno incerta avrei voluto piuttosto andar mendicando di casa in casa che toccare una spilla del suo. Ma essendo così debole come io sono, e non potendo sperar più nulla da Lei, per l'espressioni ch'Ella si è lasciato a bella posta più volte uscire disinvoltamente di bocca in questo proposito, mi son veduto obbligato, per non espormi alla certezza di morire di disagio in mezzo al sentiero il secondo giorno, di portarmi nel modo che ho fatto. Me ne duole sovranamente, e questa è la sola cosa che mi turba nella mia deliberazione, pensando di far dispiacere a Lei, di cui conosco la somma bontà di cuore, e le premure datesi per farci viver soddisfatti nella nostra situazione. Alle quali io son grato sino all'estremo dell'anima, e mi pesa infinitamente di parere infetto di quel vizio che abborro quasi sopra tutti, cioè l'ingratitudine. La sola differenza di principii, che non era in verun modo appianabile, e che dovea necessariamente condurmi o a morir qui di disperazione, o a questo passo ch'io fo, è stata cagione della mia disavventura. È piaciuto al cielo per nostro gastigo che i soli giovani di questa città che avessero pensieri alquanto più che Recanatesi, toccassero a Lei per esercizio di pazienza, e che il solo padre che riguardasse questi figli come una disgrazia, toccasse a noi. Quello che mi consola è il pensare che questa è l'ultima molestia ch'io le reco, e che serve a liberarla dal continuo fastidio della mia presenza, e dai tanti altri disturbi che la mia persona le ha recati, e molto più le recherebbe per l'avvenire, Mio caro Signor Padre, se mi permette di chiamarla con questo nome, io m'inginocchio per pregarla di perdonare a questo infelice per natura e per circostanze. Vorrei che la mia infelicità fosse stata tutta mia, e nessuno avesse dovuto risentirsene, e così spero che sarà d'ora innanzi. Se la fortuna mi farà mai padrone di nulla, il mio primo pensiero sarà di rendere quello di cui ora la necessità mi costringe a servirmi. L'ultimo favore ch'io le domando, è che se mai le si desterà la ricordanza di questo figlio che l'ha sempre venerata ed amata, non la rigetti come odiosa, nè la maledica; e se la sorte non ha voluto ch'Ella si possa lodare di lui, non ricusi di concedergli quella compassione che non si nega neanche ai malfattori. Luglio 1819

La fuga: ogni giovane in ogni tempo, in ogni luogo, di qualunque estrazione sociale, ha pensato almeno una volta alla fuga. Come il giovane Leopardi sente bisogno di fuggire da quella famiglia conservatrice che, in nome di precise regole e decisi divieti, lo mantiene isolato dalla storia, famiglia in cui una genialità come la sua si sente costretta, allo stesso modo un qualunque adolescente desidera fuggire da una società che sembra non capirlo e in cui non riesce a trovare posto. Leopardi entra in contrasto con il padre e rompe con la madre vista la diversità di apertura mentale, la diversità di princìpi ed ideali. La durezza dell’ambiente familiare in cui vive lo soffoca e lo deprime, tarpandogli le ali. Durante l’adolescenza un ragazzo entra appunto in conflitto, seppur non necessariamente drammatico, con la propria famiglia, mosso dal bisogno di indipendenza, dal bisogno di trovare una propria autonomia anche solo nelle scelte del quotidiano, e si sente costretto in schemi in cui non si riconosce, sognando la fuga verso un luogo in cui conoscere sé stesso seppur mendicando. Se inizialmente questo desiderio di fuga adolescenziale può avere tratti infantili, esprimendosi come rifiuto un po’ miope delle regole sociali del vivere, tale rifiuto in seguito evolve in un processo di crescita che porta ad una nuova consapevolezza delle cose del mondo. Il bisogno di sfondare gli schemi e le barriere sociali si trasforma nel bisogno di trovare una società in cui poter realizzare i propri progetti. Dal rifiuto quindi si passa progressivamente all’acquisizione della consapevolezza delle dinamiche sociali e alla constatazione, in alcuni casi, di come un paese, una città o una nazione non possano, non solo garantire, ma nemmeno permettere di provare la realizzazione dei propri progetti. Per questo Leopardi sente l’esigenza di fuggire da quella Recanati che lo opprime, un paese troppo piccolo e isolato rispetto ad un mondo che stava cambiando, che era andato avanti nella linea della storia. Egli vede la fuga come l’unica possibilità di tentare la realizzazione dei suoi progetti di vita; tentativo comunque carico di dubbi e incertezze. D’altra parte fuggire oggi può configurarsi anche come fuga obbligata, necessaria per la realizzazione di sé. Da anni ormai il fenomeno della cosiddetta “fuga di cervelli” caratterizza l’Italia in particolare, paese in cui sempre più giovani studenti, ricercatori o neolaureati, non trovando possibilità di lavoro, scelgono di andarsene per tentare di realizzare quello che li ha spinti ad anni di studio. Seppur possa sembrare assurdo, in Italia non è sempre e comunque possibile raggiungere tale traguardo. Scelgono quindi, in un certo senso anche loro come Leopardi, di fuggire da un mondo che non li valorizza. Forse può sembrare una scelta disfattista quella di andarsene per cercare qualcosa di meglio, senza tentare di costruirlo nella propria realtà: finché la situazione non verrà affrontata a fondo non sarà possibile il cambiamento. Come Leopardi deluso dalla fuga per ciò che ha trovato, anche un giovane di oggi non ha nessuna garanzia di trovare qualcosa di meglio di quello che lascia, ma almeno tenta di fare qualcosa per sé e per il suo futuro. Leopardi, quindi, anche se ad un secolo e mezzo di distanza, costituisce ancora oggi un esempio di giovane in cerca di affermazione, nella speranza di poter dimostrare al mondo quanto valga. Martina Marchetti IIIAM

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COMUNE Dato il momento storico che stiamo attraversando, l’amministrazione Comunale di Arrone ha optato per sfruttare l’opportunità offertagli, tramite il periodico La Pagina, di aprire un canale di comunicazione con la comunità, finalizzato a evidenziare le azioni amministrative e le scelte politiche operate. Nell’edizione del mese di gennaio si è scelto di dare evidenza e spazio ad alcune delle associazioni che operano nel territorio comunale, con importanti ricadute nel tessuto sociale e culturale della comunità Arronese. Nella speranza che questo canale trovi le risorse necessarie affinché possa rimanere aperto mi permetto di augurare da parte di tutta l’amministrazione un 2012 migliore delle sue avvisaglie. Per L’Amministrazione Comunale Il Vicesindaco F r a n ce s c o C a ta s t i

L a Tra d izio n e Ba n d is tic a a d A rrone Secondo il Cav. Giuseppe Cattani, che nel 1979 dedicava dei versi ai quasi cento anni della banda musicale di Arrone, Guido Lausi avrebbe impugnato la bacchetta di direttore del concerto, per la prima volta, in pubblico, nel 1885. Le delibere della Giunta e del Consiglio Comunale di Arrone comprovano quanto attestato dal Cattani, ma non si conosce di preciso in quale anno è stata istituita la banda. E’ approvato che questa risale ad una iniziativa di privati che dettero vita alla Società Filarmonica Arronese il cui cassiere era incaricato di riscuotere le regalie che il Comune concedeva all’istituzione in occasione di festività nazionali. Solo il maestro Lausi veniva pagato per la sua attività di insegnante e direttore. I musicanti, invece, non percepivano alcun compenso, bastando loro l’orgoglio della divisa, lo spirito di corpo, il piacere di qualche merenda collettiva e di rare gite sociali. Il maestro Guido Lausi diresse la banda per ben oltre un trentennio scrivendo numerosi brani musicali. Dal 1939 fino al 1941 la direzione della banda venne presa dal maestro Cesare Zanetti; a conclusione della II guerra mondiale la direzione venne presa e conservata per lunghi decenni dal figlio Fernando Lausi fino alla sua morte, avvenuta nel 1981. I maestri che si succedettero ai Lausi sono: Nilo Sinibaldi, Alfredo Natili, Ottaviano Panfili.

Associazione Culturale Buonacquisto Insieme L’Associazione Culturale Buonacquisto Insieme si ispira a princìpi democratici e cristiani, partecipativi e di solidarietà. L’Associazione è apartitica, trasparente nel proprio operato e nei confronti della Comunità; non ha fini di lucro, opera per dare continuità all’organizzazione dei festeggiamenti del Santo Patrono S. Venanzio.

L’Associazione ha le seguenti finalità: - riscoperta dei valori e delle tradizioni culturali e religiose della Comunità di Buonaccquisto; - promozione del territorio e delle ricchezze storiche e naturalistiche; - partecipazione attiva alla vita della Comunità; - rafforzamento e promozione dell’identità comunitaria. L’Associazione inizia la sua attività nel marzo del 2007. Le iniziative intraprese sono volte alla valorizzazione e alla riscoperta delle tradizioni contadine e industriali che hanno segnato la storia e la vita delle famiglie che hanno vissuto in questo territorio. Informazioni: Nel periodo estivo l’Associazione promuove cene itineranti per la conoscenza territoriale.

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DI ARRONE Associazione MAgiSTER È un’Associazione apartitica e senza fini di lucro, con sede in Arrone, che cura, svolge e promuove attività culturali in vari settori: 1. Arte, 2. Archeologia, 3. Dialetto locale, 4. Tradizioni, 5. Storia, 6. Poesia, 7. Folclore locale, 8. Musica, 9. Ricerca. Nata nell’anno 2000, si è in breve sviluppata in tutti i settori sopra citati, collegati in massima parte alle ricchezze a vario titolo racchiuse nel territorio arronese e nella bassa Valnerina. L’intento è quello non solo di promuovere la cultura in genere, ma di salvare dal dimenticatoio, per quanto possibile, le tracce di ciò che è stato realizzato nei tempi passati dalle Comunità locali e quindi di fissare, tutelare e far conoscere alle nuove generazioni tutte le testimonianze e i segni di una intensa vita vissuta, accumulati nelle varie epoche. La convinzione della validità di quanto si cerca di fare, fa diretto riferimento alla famosa frase di Gauguin scritta sulla tela di un suo quadro: Qui sommes nous? D’où venons nous? Où allons nous? E’ il testamento di un grande artista che sentiamo di condividere profondamente e che ci invita a conoscere e approfondire tutto ciò che ci ha preceduto, poiché solo così potremo capire con più chiarezza chi è ognuno di noi e la strada che ognuno di noi potrebbe percorrere con il maggiore profitto. L’Associazione ha pubblicato tre libri: rispettivamente sulla chiesa Parrocchiale di S. Maria, sulla chiesa di S. Giovanni e sul Dialetto locale. E’ in fase di imminente presentazione un nuovo libro sulla I Guerra Mondiale derivante da un diario di un combattente di Arrone che ha vissuto questa esperienza sempre nelle trincee di prima linea. Organizza poi due mostre restrospettive all’anno di vecchie foto e pubblica normalmente una piccola rivista per i Soci, La suffitta, che si occupa delle memorie di un passato squisitamente locale. Si è occupata anche di interventi in collaborazione con l’Amm. di Arrone quale ad esempio il ripristino delle targhe delle vie del Centro storico ed il restauro degli Statuti del Comune del ‘500. Attualmente conta circa 200 Soci.

A c c a d e m i a B a r o c c a W. H e r m a n s L’Accademia Hermans nasce nel 2000 per volontà del suo direttore Fabio Ciofini che ha coinvolto, travolgendoli con il suo entusiasmo e il suo amore per la musica antica, giovani strumentisti e cantanti desiderosi di approfondire questo repertorio e la relativa prassi esecutiva. Da allora è iniziato un percorso che ha portato l’Accademia e i suoi componenti, formatisi nelle più importanti scuole europee, ad ottenere sempre maggiori consensi nel panorama concertistico italiano e a collaborare con cantanti e strumentisti di acclamata fama quali Gloria Banditelli, Marinella Pennicchi, Sergio Foresti, Mario Cecchetti, Mirko Guadagnini e altri. Nel 2006, l’incontro con il violinista Enrico Gatti, da quel momento primo violino dell’orchestra, e il felice connubio tra la sua espressività e raffinatezza strumentale e la carica emotiva, il rigore stilistico e la chiarezza interpretativa del suo direttore, hanno segnato un momento di ulteriore crescita. L’Accademia Hermans ha registrato per Bongiovanni i Sei Concerti Armonici di Unico Willem Van Wassenaer in collaborazione con l’Orfeo Ensemble di Spoleto sull’edizione critica del Prof. Albert Dunning; per Tactus ha inciso le Sinfonie e i Concerti d’organo di Gaetano Valeri in collaborazione con l’organista Luca Scandali. Per la Bottega Discantica è stato pubblicato nel 2006 il CD “Il più misero amante” registrato nella sala degli affreschi di Palazzo Castelli di Polino (TR), nel 2008 un CD su A.Vivaldi (Gloria, Stabat Mater e Dixit Dominus). A giugno 2009 è uscito un CD monografico su G.Ph. Telemann (concerti per vari strumenti) registrato all’interno del Festival Parco in… Musica 2007 presso l’Abbazia di San Pietro in Valle di Ferentillo (TR). Del 2011 è il CD Requiem di W. Mozart registrato presso la chiesa di Solomeo (PG) mentre di prossima uscita “Mozart Concerti K.466 e K.467” con il M° Bart Van Oort prodotto dalla Fondazione Cucinelli. Nel prossimo mese di luglio 2012, per Brilliant Classic, l’Accademia registrerà gli Scherzi Musicali dell’Abbate Agostino Steffani (XVII sec.) e altre produzioni discografiche sono in programma per il 2012-13 per la Bottega Discantica di Milano. L’Accademia Hermans da alcuni anni svolge una intensa attività sul territorio umbro, promuovendo Corsi, registrando CD in luoghi storici (palazzi e Chiese) ed organizzando Festival e Concerti; collabora costantemente con il Festival Villa Solomei ed è Orchestra residente dalla Stagione 2010/11 del Teatro CUCINELLI a Solomeo di Corciano (PG); cura la direzione artistica del Festival di Musica Antica Parco in… Musica nei luoghi storici della Valnerina. Dall’anno scolastico 2008/2009 gestisce, in convenzione con il Comune di Arrone la Scuola Comunale di Musica “N. Sinibaldi”.

I l F e s t i v a l d i M u s i c a A n t i c a P a rc o i n … M u s i c a Il Festival è nato nel 2004 per iniziativa dell’Accademia barocca W. Hermans e dell’allora Consorzio del Parco Fluviale del Nera, oggi Comunità Montana Valnerina - Settore Parco, con la finalità di valorizzare il territorio con attività culturali di qualità e promuoverne il turismo e l’economia. Coinvolgendo inizialmente i soli comuni della Valnerina ternana, nelle ultime edizioni ha coinvolto l’intera valle da Norcia a Terni toccando alcuni tra i luoghi di maggiore attrattiva storica e culturale quali la Basilica di San Benedetto a Norcia, le Abbazie di S. Eutizio (Preci), S. Felice (S. Anatolia di Narco), S. Pietro in Valle (Ferentillo), la piazza del Borgo di Torreorsina e del Castello di Arrone, Palazzo Castelli a Polino, l’Auditorium di San Frencesco di Norcia, la chiesa di S. Valentino a Casteldilago di Arrone e il chiostro di Palazzo Gazzoli a Terni. Il Festival è realizzato con il Patrocinio e contributo della Regione Umbria, delle Provincie di Terni e Perugia, la Comunità Montana della Valnerina - Settore Parco e dei comuni della Valnerina interessati dai concerti. Fondamentale in tutte le edizioni è stato il contributo della Fondazione CARIT e la disponibilità degli operatori turistici di Arrone che hanno sempre creduto nell’iniziativa e messo a disposizione la loro ospitalità.

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Si fa presto a dire Bar Una volta questo termine identificava locali molto omogenei fra loro e l’intero settore era caratterizzato da due categorie di attività (BAR E RISTORANTI) contraddistinte da due licenze differenziate e contingentate. Oggi anche a seguito dell’attuazione della normativa sulla liberalizzazione delle licenze si articola in almeno DIECI categorie diverse che spaziano dai bar pasticcerie e ristoranti tradizionali, ai ristobar, lunch bar e trafficbar, dai disco bar ai wine bar, pub, ristopub, loungebar e cocktail bar, accomunate tutte dalla stessa autorizzazione amministrativa (vedi tabella riepilogativa). Ormai i bar specializzati sono i tre quarti del totale e attraggono oltre il 70% della popolazione italiana e rappresentano il 43% del giro d’affari del fuori casa. Nonostante una superficie media alquanto modesta (69 metri quadrati) cresce l’offerta di posti a sedere: il 97% dei bar ne dispone e un quarto degli esercizi ha anche posti all’aperto. Lo scontrino medio negli ultimi tre anni è aumentato proprio grazie al cambio di posizionamento che ha portato gli esercizi a puntare su occasioni di consumo a maggior valore aggiunto. Ed è stata una scelta vincente perché la colazione al bar (che pure rappresenta l’occasione che convoglia il maggior numero di atti di acquisto sia pure a basso scontrino) sta diventando un lusso per molti italiani: la riprova è la crescita delle vendite dei prodotti da prima colazione in gdo (Grande Distribuzione Organizzata).

Dal 1992 a oggi è invece raddoppiato il numero di italiani che mangiano fuori casa a mezzogiorno; si tratta di un cambiamento epocale, che costringe i locali a caratterizzarsi con nuovi servizi offerti, convenienti ed accattivanti.

Allo stesso tempo in molte città italiane, soprattutto nei piccoli capoluoghi di provincia, i bar e i locali serali sono diventati gli unici luoghi di svago per i giovani ricoprendo un ruolo sociale molto importante, offrendo, parallelamente ai servizi di somministrazione, musica ed intrattenimento vario. Una diffusa e variegata rete di locali infatti consente di mantenere viva la città e di offrire opportunità di socializzazione e divertimento sicuro per i ragazzi, che altrimenti sarebbero costretti a lunghi spostamenti alla ricerca di luoghi di divertimento lontani dalla loro abituale residenza. La responsabilità di una corretta gestione assume quindi per il titolare di un Bar una duplice veste: il locale deve essere un centro di divertimento sicuro che alimenti comportamenti responsabili degli avventori, assolutamente in regola con tutte le normative che regolano il settore, oltre che offrire un servizio di somministrazione di qualità. E' proprio il caso di dire che oggi un Barman oltre ad invitare a bere responsabilmente, deve saper somministrare responsabilmente. Dott. Francesco Bartoli Presidente Fipe-Confcommercio della Provincia di Terni

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UN MARCHIO DI QUALITÀ PER LA

PASTICCERIA TERNANA Nell’esperienza lavorativa personale, che mi ha portato a visitare numerosi locali, anche molto famosi, in tante città italiane, non ho mai riscontrato una qualità di pasticceria artigianale così elevata come quella ternana. Per questo motivo e non solo, ritengo che oggi un bar che vuole fare della qualità il suo obiettivo non possa rinunciare ad un vasto assortimento di pasticceria fresca da offrire ai propri clienti, preferendola ai prodotti industriali o congelati; al tempo stesso ritengo che nella vetrina di un bar il consumatore debba distinguere in maniera chiara i prodotti freschi da quelli industriali, cosa che ad oggi in molti casi purtroppo non avviene. La tutela del consumatore e la ricerca della qualità dei prodotti e servizi offerti sono elementi essenziali che devono caratterizzare necessariamente tutti gli esercizi pubblici. Da queste considerazioni è nata l’idea di ideare un marchio commerciale che potesse identificare la PASTICCERIA ARTIGIANALE TERNANA, una nostra eccellenza da valorizzare ad ogni costo.

E’ stata già registrata la denominazione “PASTICCERIA ARTIGIANALE TERNANA” mentre il marchio è in via di definizione, in quanto il marchio commerciale che identificherà i prodotti sarà registrato come marchio

Pasticceria Moroni Via Rossini 220 | 05100 Terni | tel. 0744 279347 fioretti.maurizio@alice.it

dalla regione Umbria, consentirà la definizione dei criteri scientifici su cui basare l’elaborazione del disciplinare di produzione che identifichi in modo certo la tipologia dei prodotti contraddistinti dal marchio di qualità della Pasticceria Ternana.

Pasticceria D’Antonio Viale Giosué Borsi 2 | 05100 Terni | tel. 0744 425964 | fax 0744 461383 pasticceria.dantonio@alice.it

collettivo, ed è in via di definizione il regolamento che ne disciplinerà l’uso. Il progetto nasce come un gruppo di lavoro, inizialmente costituito dalle otto pasticcerie aderenti alla Fipe-Confcommercio e dal sottoscritto in qualità di coordinatore e responsabile del Marketing, ma in seguito aperto anche alle altre storiche pasticcerie di Terni che possiederanno i requisiti oggettivi e soggettivi condivisi da tutte le pasticcerie del direttivo. Per queste ragioni nel marchio raffigurante gli utensili tipici del lavoro del pasticcere, sormontati dal tipico cappello, fanno bella mostra delle stelle che, come già accaduto per gli stati della comunità europea nella bandiera della UE, raffigureranno il numero delle pasticcerie aderenti al direttivo, ed aumenteranno con l’aumentare delle pasticcerie che aderiranno al progetto. Un progetto quindi ambizioso che non poteva non essere supportato da un rigore ed un approccio scientifico per arrivare ad una certificazione della qualità delle pasticcerie e dei loro prodotti tipici. In questo senso l’accoglimento del progetto da parte dell’Università dei Sapori, agenzia formativa accreditata

Questa iniziativa si inserisce perfettamente nel progetto più ampio delineato dall’Università dei Sapori, relativo alla nascita a Terni di una Scuola di Alta Pasticceria i cui corsi potrebbero iniziare già fin dal prossimo anno avendo dei laboratori già in uso presso la Rocca dell’Albornoz a Narni. A supporto di questa iniziativa sono state ideate delle campagne pubblicitarie specifiche, individuato delle date utili per lanciare la FESTA DEL PASTICCERE (19 marzo), la FESTA DELLE PASTE DI TERNI (30 Aprile) e, soprattutto, stiamo già pensando a come organizzare al meglio nel 2013 un anno di eventi mostre e convegni per celebrare “L’ANNO DELLA PASTICCERIA TERNANA” in occasione dei cento anni della Pasticceria Pazzaglia, una festa per tutte le pasticcerie della città che coinvolgeremo in tutte le iniziative che saranno ideate per celebrare una tradizione che da sempre è vanto e patrimonio di Terni. FB

Pasticceria Carletti Via Lungonera Savoia 34/36 | 05100 Terni | tel. 0744 279937 | fax 0744 283567 info@carletticatering.it | www.carletticatering.it

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TERNI E LE SUE GIOVANI RISORSE UMANE S HASHEI COMOTAWI: Uno stilista alla conquista dell’America Esistono, per fortuna, persone in grado di fare la differenza, in una società sempre più conformista e basata sull’omologazione. Persone che nel vastissimo terreno arido della crisi economica e della sfiducia giovanile legata al mondo del lavoro, sono una sorprendente fonte di speranza, per chi pensava che la fine fosse vicina. Sono due i casi in questione legati alla città di Terni: Shashei Comotawi e Valentina Morelli, due giovani legati dalla passione per il bello. Shashei Comotawi, giapponese di origine, classe 1985, da 16 anni in Italia a Terni con la sua famiglia, dopo essersi laureato in Moda e Costume presso l’Università degli Studi di Roma Sapienza ha vinto una borsa di studio per andare a New York presso il prestigioso studio creativo di MARC JACOBS, un posto ambito da molti giovani fashion design. Simpatico e sognatore Shashei è pronto per fare il grande salto negli U.S.A. dove ad attenderlo non sarà soltanto lo staff del noto marchio di moda americano, ma tante responsabilità e situazioni tutte da vivere con arguta attenzione. Poliglotta come il padre, conosce e parla benissimo quattro lingue: italiano, inglese, francese e giapponese, sua lingua madre. Per lui questo è un grande momento, il suo desiderio potrebbe diventare realtà e, osservando i suoi lavori, per il momento tutti su carta, è proprio il caso di dire che la stoffa quella del professionista c’è e si vede. Le sue idee sono originali e ispirate ai colori della sua terra di origine, il Giappone, vere perle di bellezza, abiti pregiati e attenti alla cura per il dettaglio, quasi fiabeschi, ideali per una sfilata di alta moda. Che cosa pensi della creatività “made in Japan”? Penso che la bravura creativa dei giapponesi sia unica. Da sempre è stata rivoluzionaria nel campo del design, dell’arte, del fumetto, del cinema, della fotografia e della moda. Da Kenzo e Issey Miyake, che negli anni ’70 furono i primi ad attrarre l’attenzione sugli stilisti giapponesi per le loro creazioni dai colori sgargianti e forme innovative, fino alle innovazioni di Rei Kawakubo, Yohji Yamamoto e Junya Watanabe, la moda giapponese ha spezzato le regole della moda. Che cosa hai intenzione di realizzare a New York? Vorrei realizzare una sfilata di venti abiti per farmi conoscere sul mercato americano. L’Italia è un paese che adoro, ma purtroppo nel campo della moda c’è una sorta di sistema a caste; inoltre il mio stile è molto contrastante con le tendenze italiane; credo che il mercato americano sia più propenso ad investire su un giovane come me. Cosa significa per te fare moda? Per me è come comporre musica, mio padre è un bravissimo pianista e fin da bambino mi piaceva ascoltarlo, la musica è armonia, colore, timbrica, proprio come la moda, un abito nasce nel momento in cui ti lasci trasportare dalla passione di un’idea, proprio in quel momento tutto diventa colore, immagine. I miei abiti hanno un ritmo, una geometria che potrebbe benissimo ispirare un compositore. Quali sono i brand giapponesi che più ti colpiscono? Perché? Phenomenon, Facetasm e Mastermind Japan sono alcuni tra i brand che mi colpiscono per il loro modo di esprimere creatività e sperimentazione. Credo che senza la sperimentazione non possa esserci un futuro né per la moda né per altro. Non mi piacciono le cose tradizionali, soprattutto quando si ripetono senza originalità. Phenomenon è disegnato da Takeshi Osumi e attinge molto al mondo della musica. Facetasm è in forte ascesa nella scena fashion di Tokyo e si caratterizza per le originali sperimentazioni materiche, evocative di culture differenti. Infine Mastermind Japan riesce a conciliare tradizione, performance hi-tech e sperimentazione materiche per un casual wear creativo di alta qualità. Qual è il segreto per lanciare un nuovo brand di successo? Non basta più creare e poi vendere, il mercato è sempre più complesso e per cogliere i bisogni delle masse, perché è di questo che si tratta: capire i bisogni e materializzarli con creatività in un abito, occorre seguire il mercato di persona, senza affidarsi troppo alle statistiche ma andando di persona a sentire ciò che la gente vuole. Il mercato detta leggi ma non è detto che queste siano sempre rispettate. Il cliente è cambiato, è molto più esigente e in un momento di crisi economica se decide di spendere è molto più attento all’originalità dei prodotti. Il tuo consiglio a un giovane stilista? Visto l’attuale periodo stagnante della moda, occorre rispondere con coraggio, bisogna osare, farsi vedere. In momenti come questi la creatività si fa notare. È questo il momeno migliore per far emergere i nuovi talenti. Lorenzo Bellucci lorenzobel l ucci .l b@gmai l .com

V A L E N T I N A M O R E L L I : L’ a r c h i t e t t o d a l l o s t i l e p o l i e d r i c o Giovane, bella, fortunata, ternana doc, Valentina Morelli dopo essersi laureata in architettura presso il Politecnico di Milano, ha deciso di sua iniziativa di trasferirsi a Berlino, in Germania, con il sogno di realizzare un palazzo a uso abitativo completamente in vetro e acciaio nella zona più moderna della città. Dopo aver presentato il suo progetto di tesi all’impresa AZIMIT, leader nella realizzazione di strutture con materiali innovativi, i lavori per la realizzazione della struttura inizieranno il prossimo 21 giugno 2012. Valentina è già pronta per indossare il casco giallo di sicurezza e addentrarsi sulle impalcature altissime del suo palazzo. Un sogno, nato all’età di 7 anni e che trova a quasi 27 anni la sua realizzazione. Come è nato il tuo progetto? E’ nato passeggiando per le vie di Berlino, sono stati il freddo e la nebbia della città ad ispirarmi. Quando ho realizzato il progetto del palazzo, mi sono ispirata allo stile moderno dell’architettura Bauhaus, senza tralasciare l’importanza dell’aspetto estetico, aggiungendo così dei particolari punti di luce che non solo illuminano il palazzo di notte, ma ne valorizzano l’imponenza e lo slancio verso l’alto. Perché proprio Berlino? Perché è una città che in campo artistico mi piace molto, a Berlino c’è la possibilità di fare cose nuove che in Italia puoi solamente sognare. Come ti approcci all’architettura? Il mio è un approccio reattivo. Si basa sull’analisi di specifiche risposte a circostanze esistenti per un determinato progetto. Inoltre, credo che ogni progetto abbia in sé una forma ben costituita, una sua funzionalità che ne determina la strutturazione generale. Qual è il tuo stile preferito? Non ne ho uno preciso, sono poliedrica, mi piace plasmare insieme varie forme e stili, mi interessa il risultato finale. Cosa sta succedendo nel panorama dell’architettura contemporanea? C’è l’urgenza di esplorare le infinite possibilità della dottrina della sostenibilità, una parola che negli ultimi anni ha acquisito un peso sempre maggiore. Spero che in futuro ci sia più opportunità in merito a questo fenomeno produttivo, di fondamentale importanza per lo sviluppo delle future generazioni. Che differenza sostanziale avverti tra Italia e Germania nel settore dell’architettura? L’Italia è molto legata al suo patrimonio culturale architettonico, che ne fa un paese di alta qualità e ricchezza, sotto ogni punto di vista. Questa sua peculiarità di possedere moltissime costruzioni storiche le ha creato una sorta di blocco, di vincolo, generando una situazione di stallo. In Germania invece il processo di modernizzazione, tipico dei paesi del nord Europa, si è sviluppato notevolmente. Quando penso all’Italia penso alla storia, alla memoria, al passato. La Germania, invece, è il futuro, il progresso, la modernità. Spesso si dice che voi architetti siete fin troppo creativi e vi lasciate sedurre più dall’estetica che dall’utilità. È vero? L’architetto è un creativo, un artista che crea in virtù di un’utilità e di un’estetica. Non esistono secondo me, architetti che si concentrano solamente sull’aspetto esteriore. Comunque è vero, è un’idea che ricorre spesso. C’è un architetto al quale ti ispiri, o che ti piace particolarmente? Sì, ho sempre visto con grandissima stima e ammirazione Renzo Piano, credo che sia uno dei pochi architetti in grado di saper unire creatività e utilità. LB

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LA FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TERNI E NARNI È LIETA DI ILLUSTRARE I PIÙ IMPORTANTI INTERVENTI REALIZZATI NEL 2011

Per quanto concerne l’attività istituzionale, come noto la Fondazione opera ormai da alcuni anni in sei settori di intervento: ricerca scientifica e tecnologica, arte attività e beni culturali, salute pubblica, istruzione, volontariato filantropia e beneficenza, sviluppo locale. In questi ambiti funzionali sono stati deliberati nel 2011 oltre 3.700.000 Euro, così distribuiti:

Ricerca Scientifica e tecnologica

430.800,00

Arte attività e beni culturali

943.734,71

Salute pubblica

938.300,00

Istruzione

726.300,08

Volontariato filantropia e beneficenza

586.995,00

Sviluppo locale

97.500,00

Nei settori della ricerca scientifica e dell’istruzione la Fondazione Carit ha stanziato complessivi Euro 600.000 in favore dell’Università: 300.000 Euro al Consorzio per lo Sviluppo del Polo Universitario di Terni ed Euro 300.000 al Polo Scientifico e Didattico di Terni per il finanziamento di ricercatori e borse di studio. Al Comune di Narni sono stati deliberati 35.000 Euro per i corsi universitari mentre alle scuole ternane sono andati oltre 95.000 Euro per dotazioni didattiche, per progetti e per le premiazioni di alunni meritevoli. Prosegue inoltre il sostegno della Fondazione, in qualità di ente fondatore, alla Fondazione Cellule Staminali che sta ormai avviando la fase di sperimentazione sull’uomo dal 6 dicembre scorso ed è in corso il reclutamento dei pazienti. Nel settore dell’arte e cultura sono stati deliberati oltre 100 finanziamenti in favore di Enti locali, Associazioni musicali e teatrali per la realizzazione di eventi di elevato spessore culturale e per il restauro di opere d’arte. Tra le iniziative dirette realizzate dalla Fondazione in questo settore si ricorda la mostra “Felice Fatati” curata dal dr. Mino Valeri, che ha registrato ogni week-end oltre 100 presenze e la pubblicazione del volume sulla storia di Palazzo Montani Leoni, sede della Fondazione, presentato lo scorso 14 dicembre. Per il 2011 la Fondazione ha voluto aumentare le erogazioni in favore del settore del volontariato in ragione del particolare periodo di crisi che si sta vivendo nel nostro Paese. In questo settore rilevante la Fondazione ha sostenuto in particolare la mensa di San Valentino, i Centri di Ascolto e Accoglienza del territorio, le ConP E T TA C ferenze Vincenziane, le Parrocchie, le Associazioni e i centri di solidarietà locali. L’intervento più significativo è stato realizzato nel settore della sanità, dove la Fondazione ha proceduto all’acquisto diretto

della PET TAC per l’Ospedale “S. Maria” di Terni. Un consistente impegno economico a valere su due esercizi per una spesa complessiva di 1.530.000 Euro. L’apparecchiatura, acquistata dalla SIEMENS SpA, altamente all’avanguardia, consentirà ai cittadini di non doversi più spostare da Terni per effettuare un esame così delicato ed importante. La Fondazione finanzierà anche tutti gli interventi edili ed impiantistici per rendere idonei i locali dell’ospedale ad accogliere l’apparecchiatura. Il contratto è stato formalizzato lo scorso 20 dicembre contestualmente all’atto di donazione in favore dell’Azienda Ospedaliera “S. Maria” che entro aprile 2012 potrà già avere in funzione la PET TAC. Sempre nell’ambito della sanità sono in itinere gli acquisti di due altri importanti strumenti diagnostici per l’Ospedale “S. Maria” di Terni: un’apparecchiatura ecografica intra-operatoria per la Chirurgia digestiva e l’Unità del Fegato e mammografo digitale per il progetto “Centro salute Donna”, un centro polispecialistico e multifunzionale dedicato alla donna ed alla presa in carico della salute femminile. La Fondazione si è dotata finalmente, dopo quasi venti anni dalla sua nascita, avvenuta nel 1992, di un suo logo tratto da una raffigurazione di una volta di Palazzo Montani Leoni del 1913 e recante l’immagine dell’ulivo con la scritta IN LABORE VIRTUS. Nel mese di novembre inoltre è stata presentata la nuova illuminazione della facciata di Palazzo Montani Leoni: una sobria e raffinata illuminotecnica volta al riconoscimento e alla maggiore visibilità dell’edificio posto nel cuore della città. Si sta inoltre procedendo in questi giorni al restyling del sito internet della Fondazione. Imminente è l’acquisto da parte della Fondazione del piano terra di Palazzo Montani Leoni attualmente di proprietà della CARIT SpA. La Fondazione, infatti, occupa attualmente il piano nobile e il secondo piano dell’edificio, mentre a piano terra vi sono gli uffici della banca. Un importante recupero per la cittadinanza che potrà usufruire di un nuovo spazio pubblico per iniziative culturali ed eventi a vari livelli.

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AZIENDA OSPEDALI ERA

Dr. Gianni Giovannini Direttore generale Azienda Ospedaliera “S.Maria” di Terni

LA BUONA SANITÀ Da diverso tempo si assiste ad una serie di iniziative editoriali che si caratterizzano per evidenziare in maniera particolarmente negativa alcuni aspetti del nostro ospedale. Lo spirito che emerge da queste "note informative" è quello di indurre un senso di sfiducia dei cittadini ternani nei confronti del proprio ospedale prendendo spunto da alcuni aspetti marginali (carenze di manutenzione su pavimenti, pulizie etc..) per trarre conclusioni generalizzate di carattere negativo sull'ospedale nel suo complesso. L'obiettivo non dichiarato di queste pseudoinchieste, che capitano casualmente in un momento cruciale in cui si discute il riasseto della sanità umbra in cui qualcuno propone l'azzeramento dell'esperienza fatta dall'ospedale di Terni come azienda sanitaria autonoma, è quello di agevolare questo disegno creando i presupposti psicologici utili a questo scopo. Risulta assai difficile per la popolazione difendere un ospedale di cui si parla in termini assolutamente negativi. Lo spazio che La Pagina riconosce al nostro ospedale rappresenta una opportunità per contrastare questa campagna, rendendo edotti tutti i cittadini ternani, anche quelli che non ricorrono ai servizi dell'azienda ospedaliera, per informarli del valore dei professionisti che vi operano e soprattutto della qualità delle cure che vengono prestate. Tutto ciò non per fare una propaganda gratuita ma per fornire una informazione corretta e veritera soprattutto per chi non ha avuto modo di apprezzare personalmente la qualità dei servizi offerti dall'Azienda ospedaliera di Terni.

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Oltre a rispondere agli obiettivi di ospedale di comunità, sono particolarmente sviluppati, al “S.Maria” di Terni, i settori dell’alta specialità, della ricerca e della formazione del personale medico e infermieristico. L’azienda ospedaliera di Terni -spiega il direttore generale Gianni Giovanninioltre ad essere la struttura di riferimento per tutti i cittadini residenti nel comprensorio ternano e, per alcune branche specialistiche, anche in quello narnese-amerino, è un centro di area vasta per l’alta specialità. Il bacino di utenza, per le prestazioni ad elevata complessità, si amplia notevolmente in tutta l’italia centrale con punte notevolissime di pazienti che provengono dall’alto Lazio. Sono numerose, all’ospedale di Terni -prosegue il manager sanitario- le strutture che erogano attività di elevata complessità, in particolare la neurochirurgia, la neuroradiologia interventistica, la cardiochirurgia, la cardiologia interventistica, le chirurgie toracica, vascolare e del fegato, la neonatologia e le malattie infettive. Sempre sul fronte dell’alta specialità, la programmazione regionale ha previsto lo sviluppo di una relazione d’integrazione con l’Azienda Ospedaliera di Perugia e con l’Università degli Studi del capoluogo umbro. Ciò permette di sviluppare progetti di ricerca e formare i futuri professionisti della sanità umbra. Negli ultimi dieci anni l’ospedale è molto cresciuto -prosegue il direttore generale Gianni Giovannini- basti pensare all’attivazione della neurochirurgia, della cardiochirurgia, delle cardiologie interventistiche (emodinamica e aritmologia), della chirurgia vascolare, congiuntamente ad altri interventi portati a termine sul versante dei servizi come la riorganizzazione della farmacia e relativi magazzini (progetto monodose), la diagnostica per immagini sia per l’introduzione della digitalizzazione che per altre importanti apparecchiature (acquisizione di angiografi, Tac e due Rmn di cui una a 3 Tesla), la realizzazione di nuovi posti letto in terapia intensiva sia per le attività di cardiochirurgia che per l’assistenza neonatale, l’attivazione del polo oncologico con una impressionante implementazione di professionalità e tecnologie. Da ultimo il completamento della piastra relativa al DEA che ha visto come realizzazione più recente l’inaugurazione del nuovo blocco equipaggiato da undici sale operatorie. L’Azienda Ospedaliera, probabilmente per la qualità dei propri servizi, è riuscita ad attrarre finanziamenti extra-istituzionali per la realizzazione di un laboratorio GMP destinato alla produzione di cellule staminali del tessuto nervoso. Si può ben sperare per il futuro.


SAN TA MA RIA DI TERNI

NEUROCHIRURGIA un polo d’eccellenza della sanità ternana Dalle nuove tecniche mininvasive nella chirurgia vertebrale che imitano i disagi al paziente e permettono la riduzione dei tempi dì recupero, alle tecnologie d’avanguardia, come il neuronavigatore donato dalla Fondazione Carit e utilizzato dall’équipe del Dr. Sandro Carletti per gli interventi ad elevata complessità, la neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni si conferma uno dei fiori all’occhiello della sanità Ternana affermandosi come polo di eccellenza e di alta specialità dell’Italia centrale. I dati di attività indicano una notevole crescita negli anni della struttura con un aumento costante della mobilità attiva, quindi del numero di utenti extraregionali. Staff Dal confronto tra i primi 5 mesi del 2010 e quelli del 2011 si NEUROCHIRURGIA registra un incremento del fatturato totale di circa il 33% e dell’attrattiva extraregìonale con una previsione di ultenore crescita per il prossimo futuro. In forte aumento anche il numero complessivo dei ricoveri. L’Azienda Ospedaliera “Santa Maria” di Terni è in grado di offrire una risposta esaustiva a qualsiasi paziente affetto da una patologia neurologica. Risposta che va dalla diagnosi, attraverso il supporto della neurologia e della neuroradiologia, alla terapia medica o chirurgica, sino al percorso riabilitativo. La notevole attività clinica viene costantemente supportata dalla attività scientifica e di ricerca su diversi fronti e mediante collaborazioni nazionali ed internazionali. Ciò consente all’Azienda Ospedaliera di essere parte integrante e permanente di un circuito virtuoso e di eccellenza nel settore delle Neuroscienze. Questi risultati sono stati possibili e potranno essere ulteriormente migliorati grazie all’impegno della direzione aziendale che ha programmato, malgrado le difficoltà dovute alla forte contrazione delle risorse nazionali, di investire risorse per la riorganizzazione del reparto di degenza e per l’istituzione di una terapia intensiva neurochirurgica dedicata dove opererà un team specifico di neuro-anestesisti. A questi programmi di sviluppo, grazie all’interesse della fondazione Carit, si aggiungerà una ulteriore innovazione tecnologica rappresentata da una Tac intraoperatoria in grado di permettere l’esecuzione di interventi chirurgici sempre più complessi e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Si è tenuto recentemente, presso la struttura complessa di neurochirurgia un corso di chirurgia vertebrale mininvasiva. Oggetto dell’evento scientifico, presieduto dal Dr. Sandro Carletti, direttore del dipartimento di neuroscienze e primario della struttura complessa dì neurochirurgia, in collaborazione con il Dr. Carlo Conti, è stato l’approccio ad una nuova tecnica chirurgica che permette dì effettuare interventi complessi di chirurgia vertebrale mediante tecnica mininvasiva al posto della tradizionale incisione cutanea. A tale evento hanno partecipato neurochirurghi provenienti da tutta Italia per acquisire questa innovativa tecnica chirurgica dato che la struttura ternana è tra i pochissimi centri nazionali ad eseguire questa tipologia dì intervento. Con questa tecnica -spiega il direttore dei dipartimento di neuroscienze Dr. Sandro Carletti- vengono trattate con successo e limitando i disagi al paziente patologie della colonna vertebrale di natura traumatica, tumorale e degenerativa. I benefici per l’utente sono molto significativi e consistono nella riduzione dei tempi di recupero post-operatori associati ad un maggior comfort del paziente che già in prima giornata post-operatoria è in grado di camminare per poi essere dimesso il giorno successivo. La particolarità di questa innovativa tecnica sta invece nell’utilizzo di un sofisticato strumento chiamato neuro navigatore utilizzato da tempo dai professionisti della struttura ospedaliera ternana. Con questa innovativa apparecchiatura, donata due anni fa all’Azienda Ospedaliera di Terni dalla Fondazione Carit -aggiunge il direttore generale del “Santa Maria” Dr. Gianni Giovannini- la tipologia di intervento approfondita nel meeting scientifico è diventata da tempo, nella nostra struttura ospedaliera, dì routine. Ciò ha permesso -spiega sempre il manager sanitario- alla neurochirurgia ternana di segnalarsi come un centro di riferimento nazionale anche per la chirurgia vertebrale con un aumento significativo, nel corso degli anni, del numero di utenti extraregionali. È nostra ferma intenzione proseguire sulla strada dello sviluppo.

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La b o rat o r i a p i e n o ritmo!

Giornata della memoria 2012

Passate le vacanze natalizie si torna a lavoro! I laboratori del progetto Mandela sono più attivi che mai, cominciano a venire fuori le prime bozze dello spettacolo. I ragazzi del laboratorio di scenografia hanno cominciato ad avvicinarsi al teatro, a partire da una visita al “Secci” per rendersi conto degli spazi in cui andranno ad ambientare la scenografia. Questo ampliato dallo studio della terminologia tecnica teatrale ed esercizi di approccio al copione, vale a dire la lettura di testi da cui tirare fuori gli elementi utili e necessari alla scenografia, compresa l’attrezzeria e la progettazione dei luoghi deputati. Altrettanto febbrilmente stanno lavorando i nostri attori, che hanno iniziato “col botto” come ci dice una ragazza nelle interviste, con due incontri alla settimana. Il primo dedicato al lavoro sul corpo, vale a dire tutto ciò che concerne la mimica e il movimento nello spazio scenico. Il secondo incentrato invece sulla dizione e ciò che riguarda più da vicino l’interpretazione del personaggio, con le prime mini-scene prodotte dal laboratorio di drammaturgia. Quest’ultimo, attivo soprattutto in questa parte dell’anno, ha iniziato, e ormai è a buon punto, a lavorare sul tema degli ultimi, cercando innanzitutto di definirli, per poi pensare a come metterli in scena. Per fare ciò i ragazzi hanno approfondito la conoscenza di alcune persone che se ne sono occupate più da vicino, a partire dall’analisi dei testi di De Andrè, alle figure di Don Gallo e Don Milani. Non è mancata anche qui la visione di film di alcuni grandi registi, come Woody Allen, da cui estrapolare idee per la stesura di un copione originale, che cercherà di ribaltare i punti di vista e le opinioni più diffuse sull’argomento. Si pensa per ora, ad un’ambientazione in una società di un indeterminato futuro, una società strapositiva, perfetta, dove qualunquismo è la parola d’ordine e non c’è più traccia di questi ultimi. Come sempre in ultimo, ma non ultimi, non possiamo mancare noi del laboratorio di comunicazione che, come potete notare, continuiamo a scrivere su La Pagina e, a partire da questo mese fino ad Aprile, terremo settimanalmente a Radio Galileo la rubrica Allarmi siam razzisti, in cui vi terremo costantemente aggiornati sugli sviluppi interni del Progetto e andremo ad analizzare in modo approfondito la tematica dell’anno: chi sono questi ultimi? Ne scopriremo di più insieme a voi ogni venerdì, a Radio Galileo alle ore 17.30.

Per la giornata della Memoria 2012 il Centro per i Diritti Umani affronta una pagina meno conosciuta dell’olocausto, l’eliminazione attraverso il programma di eutanasia delle persone con disabilità o affette da malattie genetiche inguaribili o da più o meno gravi malformazioni fisiche.

Camilla Calcatelli

Il programma, denominato “Aktion T4” ha portato all’uccisione complessivamente di ca. 200.000 vittime, tra disabili presenti negli istituti di cura, malati di mente o classificati tali. Il 27 giugno 1945 la polizia militare americana scopre le Statistiche di Hartheim: una relazione di 39 pagine, redatta nel 1942, con le cifre relative ai risparmi realizzati grazie all’azione T4. Secondo il documento, le 70.273 disinfezioni hanno fatto risparmiare più di 885 milioni di marchi. Nel business della morte somministrata in massa, l’essere umano rappresenta solamente una variabile di questo “orrore economico”. Oggi siamo certo lontani dall’orrore dell’eliminazione fisica, ma la piena inclusione e applicazione dei diritti è un cammino che va continuamente difeso, proprio in momenti di crisi, quando si torna a fare i conti sui costi sociali. Venerdì 27 gennaio mattina spettacolo per le scuole (orari da definire) e ore 21.00 Sabato 28 gennaio mattina spettacolo per le scuole (orario da definire) al Teatro Secci

La gita

Drammaturgia e regia Irene Loesch Tra negazione della vita e affermazione dei diritti delle persone con disabilità, il racconto teatrale si dipana tra ieri e oggi, partendo da un gita di “vite indegne di essere vissute” verso l’orrore dell’eliminazione (conosciuta come Aktion T4,) per approdare all’impegno per l’inclusione. I finestrini oscurati dei pulman grigi che trasportavano le vittime destinate alla “disinfestazione” riacquistano trasparenza e la gita diventa un percorso per abbattere le barriere. Lo spettacolo è prodotto dal Centro per i Diritti umani e vede la collaborazione del Centro Diurno “Il girasole”.

Lungo cammino verso la libertà

Corso introduttivo alla conoscenza dei Diritti Umani Palazzo Primavera Terni 17 gennaio ‘12 IL RAZZISMO, LE TEORIE E LA STORIA, PARTE II: dal razzismo biologico al razzismo differenzialista, la Convenzione internazionale sulla discriminazione razziale del 1965. 24 gennaio ‘12 IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA PARTE I: Il razzismo antinero negli USA. 31 gennaio ‘12 IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA PARTE II: Il razzismo antinero e l’apartheid in Sud Africa. 7 febbraio’12 IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA PARTE III: L’antisemitismo nazista, gli antecedenti storici, sterilizzazione, eugenetica, eutanasia.

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Pronti per la Radio! Come già preannunciato noi ragazzi del laboratorio di comunicazione terremo settimanalmente, a partire da Gennaio, la rubrica a Radio Galileo Allarmi siam razzisti. Come sempre vi terremo aggiornati sugli sviluppi interni del progetto e i vari appuntamenti. A seguire andremo ad affrontare anche noi la tematica dell’anno, che, ripetiamo ancora, è sugli ultimi. In questi mesi in particolare abbiamo lavorato alla strutturazione di questa rubrica in modo da analizzare l’argomento in modo serio e completo. Abbiamo innanzitutto individuato chi sono gli ultimi, li abbiamo raggruppati per categorie affini e si può dire che ogni trasmissione avrà come protagonista uno di questi gruppi. Ne parleremo da un punto di vista legislativo, della tutela o della sua mancanza, della considerazione sociale, con tutti i pregiudizi e le discriminazioni. Tutto questo integrato da testimonianze dirette o raccolte tramite ricerche. Parleremo delle organizzazioni che si occupano della difesa degli ultimi e non mancheranno le nostre classiche interviste ai cittadini ternani, per raccogliere le opinioni più attuali sull’argomento. Canzoni, poesie e contributi letterari faranno da contorno al tutto. Vi diamo intanto i primi appuntamenti. Cominceremo il 13 Gennaio parlandovi dei Rom, a seguire degli omosessuali e transessuali, il 20 Gennaio, e il 27 Gennaio, in occasione della giornata della memoria, legato anche al tema dello spettacolo di quest anno, che racconterà la storia della eliminazione programmata dei disabili durante il Terzo Reich, affronteremo il tema della disabilità fisica e mentale. Nelle successive trasmissioni analizzeremo, sempre seguendo lo stesso schema, argomenti legati all’immigrazione, povertà (disoccupazione, lavoro nero), tossicodipendenza, prostituzione, carcere, infanzia e vecchiaia, e l’ambiente. Vi diamo appuntamento ogni venerdì alle ore 17.30 sulle frequenze di Radio Galileo. CC

ERASMO DA ROTTERDAM Negli anni precedenti la Riforma protestante Erasmo dà vita ad un movimento che si propone di riformare la Chiesa attraverso il ritorno al Vangelo e al suo spirito. Il centro del suo pensiero è caratterizzato da alcune novità: la concezione del cristianesimo soprattutto come insegnamento morale, che deve regolare i nostri comportamenti sulla figura evangelica di Cristo. La spinta verso questo tipo di comportamento morale deve venire però dai laici perché il clero non è più il detentore del monopolio sulle cose religiose e non è più in grado di autoriformarsi. È chiara la novità dirompente di questa affermazione rispetto all’assetto istituzionale e di potere delle gerarchie ecclesiastiche. Un’altra novità è costituita dal fatto che Erasmo privilegia l’importanza della interiorità spirituale rispetto agli elementi dottrinali e dogmatici con i relativi riti che, a suo avviso, sono fonti continue di intolleranza; infatti chi non crede ai dogmi ecclesiastici e non ne segue i riti è considerato automaticamente un eretico e diventa subito vittima dello spirito di intolleranza. Un altro elemento ancora di novità fortemente destabilizzante rispetto alla dottrina ufficiale della Chiesa è dato dalla convinzione di Erasmo che occorre studiare il Nuovo Testamento con gli strumenti della filologia che la cultura umanistica, alla quale egli appartiene, mette a disposizione; si evidenzia così che la dottrina tradizionale della Chiesa sui sacramenti è errata: i sacramenti sono solo due, battesimo ed eucarestia, gli altri sono invenzioni successive. Sembrerebbe a questo punto che Erasmo sia molto vicino a Lutero, in realtà tra i due c’è una profonda differenza dovuta soprattutto allo spirito umanistico, positivo e tollerante che anima il primo e allo spirito antiumanistico, pessimistico e intollerante che caratterizza il secondo. È completamente opposta la concezione che hanno della libertà dell’uomo: Erasmo, da umanista cristiano, esalta la libertà dell’uomo, e dunque la sua responsabilità come strumento di collaborazione con la grazia divina alla salvezza della propria anima, per la quale le opere e i retti comportamenti sono fondamentali (De libero arbitrio 1524). Al contrario Lutero non attribuisce alcun valore alla libertà umana, l’uomo non è libero, ma è talmente peccatore che dipende totalmente, per la sua salvezza, dalla grazia di Dio, che la concede imperscrutabilmente solo a coloro che sono da lui predestinati (De servo arbitrio 1526). Se queste sono le premesse, risulta chiara la diversità di atteggiamento nei confronti degli eretici. Afferma Lutero: Chi bestemmia Dio deve essere messo a morte... Siamo allo spirito di intolleranza più assoluto. Erasmo invece, pur ammettendo l’esistenza degli eretici (siamo pur sempre agli inizi del Cinquecento), rifiuta qualsiasi forma di repressione, richiamandosi all’antico precetto cristiano della tolleranza verso chi sbaglia: Un tempo l’eretico era sentito attentamente. Se dava soddisfazione veniva assolto, se si ostinava... la pena suprema era per lui l’esclusione dalla comunione ecclesiastica. Ora il crimine di eresia ha mutato carattere; per una qualsiasi futile ragione si ha subito in bocca “È un’eresia! È un’eresia!”. Una volta si considerava eretico chi si scostava dal Vangelo... ora se qualcuno si allontana un tantino da san Tommaso è un eretico... Tutto ciò che non piace, tutto ciò che non si comprende è un’eresia. Dunque Erasmo rifiuta di considerare ogni errore un’eresia ed è contrario all’uso della violenza, teme che con il metodo della tortura e dei roghi il male diventi più grave e rimprovera sia ai cattolici che ai protestanti di aver dimenticato lo spirito di mitezza e comprensione di Cristo. Un passo ulteriore verso la tolleranza Erasmo lo compie quando comincia ai suoi tempi a parlare per primo di libertà di coscienza in materia di religione: Si lasci ciascuno alla propria coscienza fino a quando il tempo dia occasione di un accordo. Comincia con lui a nascere nella cultura moderna la nozione morale di coscienza come spazio di scelta autonoma e libera di ciascuno, prodotta non dall’ambito cattolico né da quello protestante, ma dalla cultura dell’Umanesimo. Ne segue che la Chiesa può solo scomunicare l’eretico, il quale non sarà perseguitato nemmeno dall’autorità politica (tranne nel caso di pericolosità sociale). Erasmo è persuaso che la cristianità deve cercare ciò che unisce e non ciò che divide, come le inutili complicazioni teologiche; occorre infatti lasciare da parte i dogmi non essenziali, ad es. diventa un inutile strumento di divisione il discutere se nell’eucarestia il pane e il vino si trasformino nel corpo e sangue di Cristo come sostengono i cattolici (transustanziazione), o se il corpo e il sangue di Cristo sono presenti insieme con la sostanza del pane e del vino come invece sostengono i protestanti (consustanziazione). Occorre invece concentrarsi su dottrine veramente fondamentali e comuni ad es. la fede nella divinità di Cristo e nella sua resurrezione. La fede per Erasmo è una pratica di vita vissuta, non un insieme di formule dottrinali: Ciò che importa, ciò a cui dobbiamo dedicare ogni nostra energia, è di guarire la nostra anima dall’invidia, dall’odio, dall’orgoglio, dall’avarizia, dall’impurità. Tu non sarai condannato perché ignori se lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, da un solo principio o da due; ma non eviterai la dannazione se non ti sforzerai di possedere i frutti dello Spirito, cioè carità, gioia, pace, pazienza, mansuetudine, castità...Un tempo la fede consisteva nella vita piuttosto che nella professione degli articoli di fede. Queste idee Erasmo le espresse in molte sue opere, che furono messe all’indice dalla Chiesa nel 1557. Malgrado ciò esse si diffonderanno nei due secoli successivi e andranno a fecondare alcuni degli intellettuali più brillanti fino a Locke e Voltaire, divenendo così un vero e proprio vangelo della tolleranza: gli eretici non vanno violentati o bruciati; libertà di coscienza per ognuno; il potere politico non deve intervenire nelle cose religiose; il cristianesimo è soprattutto comportamento morale... sono questi alcuni dei fondamenti della laicità moderna. Marcello Ricci

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LA QUESTIONE ROMANA Terni, Terni 20 settembre 1870: una grande folla, nel cuore della notte, si raduna di fronte a Palazzo Spada, silente testimone di secoli di storia della città. Una torcia si accende, poi un’altra ed un’altra ancora, fino a quando il velo delle tenebre non è tolto ai volti delle persone, illuminati, oltre che dal fuoco, dalla sincera convinzione di aver ottenuto la vittoria finale della Nazione Italiana contro coloro che la volevano schiava, dopo aver combattuto per decenni macchiati dal sangue di chi cadde per donarle la libertà. Il silenzioso tripudio della folla spinge a quel punto il Conte Alceo Massarucci, già importante patriota e parlamentare, a pronunciare una solenne orazione in onore di quello che venne in seguito definito l’ultimo giorno del Risorgimento, lo spirito del quale dovrebbe invece continuare a vivere nei nostri cuori. Terni, Terni 20 settembre 1870: a distanza di pochi metri da Palazzo Spada, un’altra importante dimora nobiliare, Palazzo Pierfelici, appare disabitata, vuota, morta. Era quella la residenza dell’ultimo governatore pontificio della città, il quale, come molti altri nobili romani, non accettò mai la scomparsa del potere temporale di Pio IX. Quella notte, all’euforia dei più, si contrappose la preoccupazione di chi, essendo riuscito a volgere lo sguardo oltre la gioia di quei giorni, comprese le conseguenze derivate dall’aver messo fine alla sovranità terrena dei Pontefici. Quest’ultima, nata dall’esigenza di colmare il vuoto di potere venutosi a creare nelle regioni centrali della nostra penisola durante l’Alto Medioevo, continuò ad evolversi nel corso del tempo fino a concretizzarsi in uno stato comprendente Lazio, Umbria, Marche e parte dell’Emilia Romagna, territori nei quali il governo, la giustizia, la censura, l’istruzione e buona parte dell’economia agricola erano controllati da un clero in genere chiuso e reazionario. Essendo al vertice di questa organizzazione, i Successori di Pietro ebbero quindi la possibilità di utilizzare strumenti legati all’aspetto spirituale come la scomunica o l’interdetto anche per scopi politici, confondendo più volte il proprio ruolo di guide del cristianesimo con quello di sovrani. I prelati, tuttavia, non riuscirono mai a comprendere l’errore commesso, maturando al contrario la convinzione che l’autorità temporale fosse l’unica garanzia per esercitare liberamente quella spirituale, non rendendosi conto che, il possesso della prima, comportava inesorabilmente l’impossibilità di raggiungere l’universalità della

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seconda, concetto racchiuso nel termine Cattolicesimo stesso. Una volta aver compiuto questo ragionamento pare ovvio considerare la presa di Roma, avvenuta quel 20 settembre 1870, non come una terribile sconfitta dei soldati del Papa, bensì come uno dei più clamorosi trionfi della cristianità, giudizio ben lungi dall’avvicinarsi a quello della Curia Romana, la quale condannò con il Non Expedit, figlio della mentalità del Concilio Vaticano I, quella che fu in genere da essa valutata come la barbara invasione della Santa Città consacrata alla fede nel Capo degli Apostoli da parte delle malvagie milizie del nuovo anticristo. Considerando Vangelo questa definizione, purtroppo, le alte gerarchie ecclesiastiche non si limitarono a sacrificare inutilmente la vita di molti uomini per difendere quello che in realtà costituiva il più grande ostacolo per il compimento della propria veramissione, ma si ostinarono perfino ad imporre la folle proibizione per gli italiani di partecipare alla vita politica del proprio Paese, obbligandoli a rinunciare ad un diritto fondamentale. Questa fu in verità la questione romana: non esclusivamente il contenzioso fra due istituzioni riguardo al governo della Città Eterna, ma soprattutto il conflitto fra due valori imprescindibili per un popolo, cioè la fedeltà alla Patria e la fede nella propria religione, assurdo per il semplice fatto che in entrambe vengono aperte delle profonde ferite, destinate a sanguinare fino al giorno in cui esse avrebbero trovato l’unica cura nella propria totale riconciliazione. Tale frattura esistette per quasi sessant’anni, durante i quali, al posto di una naturale collaborazione fra le due parti nel comune impegno sociale, si ebbe prima un loro scontro e successivamente una quasi totale assenza di dialogo, almeno fino all’avvento della Grande Guerra. Il traguardo ultimo di questo percorso fu la firma dei Patti Lateranensi, i quali, oltre ad aver permesso al regime fascista di ottenere un grande successo, confermarono il Cattolicesimo Religione Ufficiale di Stato, regolarono gli accordi economici fra la Santa Sede ed il Regno d’Italia e ripristinarono la sovranità del Santo Padre sul Vaticano. Leggendo il testo di quell’accordo, tuttavia, ciò che mi sembra più triste è che esso non venne ottenuto solamente grazie ad un reciproco riconoscimento delle rispettive prerogative, bensì anche tramite la restituzione di un seppur modesto potere temporale al Pontefice, a quel tempo non disposto a trattare senza l’inserimento di quella condizione, tradendo almeno in parte il principio fondamentale di qualsiasi società laica, riassunto da Cavour in una famosa frase: Libera Chiesa in F r a nc e s c o N eri Classe IIA ScM L. Da Vinci libero Stato.


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Mjc fsuz ! qfs! Obub m f Ogni anno, passata la festa di Ognissanti, sentiamo di entrare nelle festività natalizie, anche perché il Comune monta le luminarie in giro per la città già ai primi di Novembre. Ho letto su Facebook di amiche che, forti di questo, alla metà di Novembre avevano addobbato la casa, illuminato l’albero di Natale e fatto il presepe sotto gli occhi sconcertati dei mariti che si chiedevano se i Re magi fossero già partiti! Di norma si entra nelle festività l’8 di Dicembre, giorno dell’Immacolata, ma non essendo noi da meno, siamo andati in cantina a riesumare l’alberello dell’anno prima per vedere se potesse ancora andare o se fosse il caso di ricomprarlo e, ovviamente, lucidando le palline ci siamo chiesti se saranno del colore giusto oppure passate di moda (?!). Sembra assurdo ma quella di fare l’albero è una vera e propria mania, c’è chi lo fa classico ma chic (albero verde, luci gialle, palline rosse) oppure chi lo fa blu perché è trendy (albero bianco, palline e luci blu), chi lo infiocchetta, chi lo illumina e basta, chi compra l’albero innevato perché le palline oro ci stanno meglio, chi lo fa moderno perché si abbina bene alla casa nuova (cono di ferro rovesciato con lucine). Tutti molto belli e ricercati anche se a dire il vero l’albero che preferisco è quello fatto a casa di mia nonna. Nulla di particolare, un semplicissimo albero di Natale verde, con delle lucine colorate, i capelli d’angelo e palline di ogni forma e genere che raccontano ognuna una storia. Sono quasi tutte di vetro e hanno le forme più strane; a prenderle in mano penso sempre che non arriveranno alla Befana e invece stanno lì da sessant’anni. Trendy lo è di certo, e chi lo fa più un albero così? Ma la cosa più bella è che si abbina perfettamente con la casa, Liberty. Questo stile, tipico dei primi del Novecento, personalmente lo adoro. Jugendstil, come lo definiscono in Germania, o Art Nouveau, come la chiamano in Francia, si ispira alle forme della natura ed ha la sua caratteristica in quella linea sinuosa che sembra una S un po’ allungata: la ritroviamo in ogni mobilio e gli esperti la definiscono “il colpo di frusta”. Per il cenone di Natale si lucida ogni cosa, dai lampadari ai piatti tutto è rigorosamente in stile Liberty e sembra di essere tornati indietro nel tempo. Si tira fuori “il servizio buono”, che consiste in piatti quasi centenari con il bordino d’oro dove sullo sfondo, tra un tortellino in brodo e l’altro, fa capolino una nobildonna in posa per un quadro. Le posate, anch’esse lucidate a nuovo, sono enormi e hanno i decori sull’impugnatura e i rebbi a volte storti. I bicchieri, in cristallo sfaccettato, pesano tanto che si fa fatica ad alzarli vuoti, ma brillano alla luce come nuovi. La tovaglia, è quella del corredo, con merletti fatti a mano dalla bisnonna, ed i tovaglioli, anch’essi con i merletti, ci sembra un peccato usarli. La tavola addobbata è veramente bella: ci sediamo sulle sedie della sala da pranzo e mi sento sempre una bambina, perché come da bambina quasi non tocco terra. La seduta molleggiata fa da contrasto al rigido schienale in legno curvato. Le gocce di cristallo che pendono dal lampadario a bracci creano giochi di luci sulle pareti e fanno capire che è un giorno di festa. Tutto è pronto, ci si raduna intorno alla tavola, silenti pensiamo con rammarico a chi vorremmo ancora con noi ma che non c’è più, si recita all’unisono la preghiera, ci si siede e nella confusione delle prime portate il magone scema dolcemente, la cena trascorre serena e felice tra scherzi e battute, alla fine si brinda alle feste e tra un cin-cin e l’altro il Natale è volato via. info@claudiamansueti.it

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Parliamo delLA LUNA Le Fasi lunari L’uomo primitivo iniziò ad acquisire la cognizione del tempo osservando la ciclicità con cui si manifestavano alcuni eventi naturali. Paragonando e sovrapponendo tali avvenimenti con i cambiamenti regolari con cui la Luna si presentava notte dopo notte in cielo, egli iniziò a dare una dimensione scalare al tempo, che, prima dell’assunzione dell’anno solare, veniva misurato prendendo come riferimento le fasi lunari. Ad esempio, ogni ciclo annuale (l’inizio della stagione delle piogge o la fioritura dei prati), si ripeteva dopo circa 12 Lune, poco meno di un anno solare; con lo stesso criterio, l’attuale mese può essere paragonato ad un ciclo lunare (circa 28 giorni), a sua volta composto di 4 periodi (quarti) della durata ognuno di circa 7 giorni, una settimana. Nacquero con questo criterio, i primi calendari lunari ancora oggi utilizzati nel mondo musulmano, e tutt’ora, in Giappone, la lunghezza della gravidanza non è considerata di 9 mesi ma di 10 Lune. L’anno solare, a cui il mondo moderno fa comunemente riferimento, è più lungo di quello lunare di 11 giorni e dopo diversi aggiustamenti avvenuti nei secoli scorsi, si è giunti ad elaborare l’odierno calendario, abbandonando definitivamente il riferimento alle fasi lunari. Ma cosa intendiamo per Fasi Lunari? Esse rappresentano i momenti ciclici salienti, durante i quali il disco lunare ci appare diversamente illuminato dai raggi solari nel periodo di una lunazione, cioè nel periodo di una rivoluzione della Luna intorno al nostro pianeta. La figura 1ci mostra come la Luna viene illuminata dal Sole (dischi più piccoli) e come rispettivamente viene osservata da noi (dischi esterni più grandi), nel periodo di un ciclo lunare. La fase di Luna Nuova o novilunio si ha quando nell’ordine: la Terra, la Luna e il Sole si trovano allineati. La Luna, in congiunzione con il Sole, non è visibile perché è presente in cielo di giorno, sorge e tramonta insieme al Sole e rivolge a noi la faccia buia, non illuminata. E’l’inizio del nuovo ciclo lunare, della nuova lunazione. Al termine di questo breve periodo in cui i tre corpi celesti si trovano in linea nell’ordine descritto, inizia la fase Crescente. Dopo appena due giorni, dopo il tramonto del Sole, guardando verso ponente appare in cielo una sottile falce luminosa, particolarmente bella nelle limpide serate d’autunno. Col passare dei giorni, la superficie illuminata si espande fino ad interessare la metà precisa del disco lunare. Durante questo periodo, quando l’atmosfera è particolarmente tersa, si può scorgere sulla parte della Luna non illuminata dal Sole una debole luminosità lattiginosa: è la luce cinerea (Fig. 2) che altro non è che il riflesso luminoso prodotto dalla Terra, della stessa luce lunare. Un magnifico gioco di specchi. Quando la Luna è illuminata perfettamente a metà si raggiunge la fase di primo quarto. I tre astri interessati sono disposti, idealmente, ai vertici di un triangolo rettangolo, con la Terra in corrispondenza dell’angolo retto. Di tutta la superficie della Luna è visibile soltanto un quarto, poiché la restante metà illuminata dal Sole, si trova nella parte opposta rispetto a noi. Col passare dei giorni, la Luna si avvia verso l’opposizione, aumenta la superficie visibile illuminata dai raggi solari, fino a raggiungere il nuovo allineamento, questa volta nell’ordine: Luna, Terra, Sole. E’ la fase di Luna Piena o plenilunio in cui l’astro è visibile in cielo per tutta la notte perché sorge nel momento in cui il Sole tramonta; stiamo a metà lunazione, subito dopo inizia la fase Calante in cui la parte illuminata del disco lunare comincia a ridursi fino a quando risulta nuovamente visibile la precisa metà. E’la fase di ultimo quarto; i tre astri sono disposti nuovamente ai vertici di un triangolo rettangolo, questa volta speculare rispetto al precedente ed è visibile nuovamente un quarto di tutta la superficie lunare. Questa fase termina con la successiva Luna Nuova: è terminata una lunazione e ne inizia un’altra. Enrico Costantini

U na s o ffi t t a su l l ’ U n i v e r s o Nooooooo! L’urlo di Leonardo echeggiò in tutta la casa, era arrivato infatti all’ultimo livello del suo mitico videogioco, come lo definiva lui, quando improvvisamente saltò la corrente. Era un tardo pomeriggio estivo ed il nostro Leonardo, undici anni, ragazzino sveglio e curioso, non sapeva proprio cosa fare dato che al momento non poteva usufruire del suo passatempo preferito. Decise così di andare in esplorazione della soffitta, sperando di trovare qualche vecchio gioco interessante da rispolverare, attendendo il rientro dei suoi genitori. Salì le scale con la sua torcia, per non rischiare di rimanere al buio, cosa che un po’ temeva, ed entrò. Si mise in ginocchio davanti ad un baule tirandone fuori gli oggetti più svariati: sveglie non più funzionanti, sonagli di quando era piccolo, borse della mamma passate ormai di moda, utensili arrugginiti… niente di interessante insomma… il sole iniziava ormai a volgere al tramonto e, filtrando dalla finestra, un raggio di luce andò ad illuminare un angolino, prima buio, della soffitta. Leonardo si voltò e si accorse di qualcosa mai notato prima… un lenzuolo bianco che stava a coprire qualcosa con una strana forma… ma cos’era? Naturalmente andò a curiosare… ma prima di togliere il lenzuolo cercò di immaginare cosa potesse esserci sotto… un… tosaerba? No, troppo alto. Un… appendiabiti? No, troppo ingombrante. Un… basta indovinelli! Doveva vedere! Così tolse il lenzuolo ed ecco apparire davanti a lui un… telescopio? Sì, ne era quasi sicuro, ne aveva visto uno simile su un libro di scuola. Questo sì che poteva essere interessante! Era un po’ impolverato, ma tutto sommato in buone condizioni. Chissà come funzionava… dal baule esplorato poco prima, prese un pennello e dei pezzi di stoffa ed iniziò a pulirlo con cura. Nel frattempo anche i suoi genitori erano rientrati dal lavoro e già lo stavano chiamando per dare una mano ad apparecchiare la tavola. - Sì mamma, arrivo subito! Sto finendo di fare una cosa e scendo! Non poteva lasciare proprio ora… accese la luce, visto che anche la corrente aveva deciso di tornare, e portò a termine la sua opera di “rimessa a nuovo”. Scese poi di corsa per la cena, ansioso di tornare di nuovo in soffitta per mettere in funzione il telescopio. Quando tornò di sopra però non ebbe una gradita sorpresa… il telescopio infatti non era più dove lo aveva lasciato. Iniziò a guardarsi intorno un po’ intimorito… dove poteva essere finito uno strumento così grande e pesante? Certo, anche se aveva lasciato la finestra aperta non poteva essere stato il vento a spostarlo. L’ipotesi che subito gli balenò in mente lo spaventò: erano sicuramente entrati dei ladri. Cercò di rimanere calmo e pensare cosa fare: prima di tutto doveva trovare qualcosa per difendersi, su molti film che aveva visto facevano così, ma quando sentì dei rumori dall’altra parte della stanza rimase come paralizzato. Sul muro vide materializzarsi una grande e minacciosa ombra che sembrava avanzare verso di lui… stava per gridare quando da dietro una poltrona posta in un angolo della soffitta provenne una voce: - Ciao Leonardo! Non avere paura, sono un tuo amico. Ti ringrazio molto per avermi fatto tornare alla luce ed esserti preso cura di me. Il ragazzo non era più spaventato, era piuttosto sorpreso nel rendersi conto che quella voce veniva proprio dal… telescopio! Non era possibile, si era animato, stava camminando verso di lui con i suoi enormi piedi e lo stava osservando con quella sua faccia simpatica e incuriosita. Riuscì finalmente a parlare dimenticando in un istante lo spavento di poco prima. - Ciao! A quanto pare tu mi conosci, ma chi sei? - Io sono il telescopio che regalarono al tuo papà alcuni anni fa, quando tu non eri ancora nato. I primi tempi ci divertimmo molto insieme, osservammo tanti particolari del nostro universo, ma poi fu talmente assorbito dal suo lavoro che mi mise quassù in soffitta… anche se a dire il vero ogni tanto viene a trovarmi. Il mio nome è Overlook, perché il mio sguardo può arrivare al di là del limite posto all’occhio umano. - Forte! Anche io voglio essere tuo amico! Osserveremo insieme la Luna, i pianeti, le galassie e tutte le altre cose interessanti che sono nel cielo, vero? - Puoi scommetterci ragazzo! Ho notato subito che sei un tipo sveglio ed ansioso di conoscere cose sempre nuove. - Ho un problema però… non vado molto d’accordo con il buio. In camera mia c’è sempre una piccola luce accesa anche di notte… Il telescopio lo tranquillizzò dicendogli che non doveva avere alcuna paura, fino a che ci sarebbe stato lui non avrebbe avuto nulla da temere e presto si sarebbe accorto che anche il buio e la notte spesso possono rivelare stupende sorprese che nessuno potrebbe immaginarsi. I due rimasero a chiacchierare per un po’, entrarono subito in sintonia e non fu difficile per due curiosi del genere diventare amici. Si accordarono per la sera successiva, sarebbe iniziata la loro nuova avventura da “esploratori del cielo”. Leonardo avrebbe aspettato che i genitori fossero andati a dormire e poi sarebbe salito in soffitta dove Overlook lo avrebbe atteso sul piccolo terrazzo a cui si poteva accedere. Fortunatamente la casa non si trovava nel pieno centro cittadino, ma in periferia di Terni, così l’assenza di lampioni avrebbe facilitato molto le osservazioni dei due, anche se purtroppo il cielo non avrebbe potuto certo definirsi pulito a causa dell’inquinamento sia atmosferico che luminoso che creava una specie di filtro rossiccio agli occhi dell’osservatore. Il ragazzo, entusiasta di quello che gli era capitato durante la giornata, faticò molto ad addormentarsi e durante la notte sognò di essere un astronauta che si stava preparando per una importante missione spaziale durante la quale avrebbe scoperto i segreti del nostro universo. mikypas78@virgilio.it

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Mo’ ve ne dico quattro! Una... ‘N asteroide de 10 Km de diametru, ch’è ‘na specie de scoju grossu, 65 mijoni d’anni fa, è ccascatu su la Terra e, co’ lu polveracciu ch’à ‘rzatu, cià nascostu tuttu lo Sole e ccucì se dice che sso’ spariti tutti li dinosauri… po’ èsse ‘nvece che l’ha ‘cchiappati tutti ‘n gruppu ggiù sotto! Due... Non è vero che la luce va a 300.000 chilometri a lu secondu ma a 299.792,458… è ccome se essa in un secondu, se ss’incurvasse, ‘nvece de fa’ sett’otto giri de la Terra ne fa quasi sett’otto. Tre... Pe’ la forza de gravidà se pesa de più a lu Polu che all’Equatore (..non solu pe’ qquella!). Su la Luna pesamo circa sei vorde de meno ma su Giove ddu’ vorde e mmezzu de più… sull’Everèste pesamo quarche ggrammu de meno perché stemo più lontani da lu centru de la Terra… e ppo’, anche perché, p’arrivacce tòcca… non dico suda’ ma… cunzuma’ ‘n bo’ de ‘nergie! Quattro… La fine de lu monnu ce sta lu 21 Dicembre de lu ddumiladodici …l’ora è ‘ncerta (da ‘na quartina de Nostradàmusse): Primu friddu de ‘nvernu… culmina la vita… ‘n do’ dici che ‘nfernu la Terra è sparita. paolo.casali48@alice.it

ASTROrime... Castore e Pollùce Il Dio Giove… si racconta… visto Leda molto bella… la voleva certo pronta… per un’altra scappatella. Ma di Tindaro… la moglie… (re di Sparta) che di brama “n’avéa” poca… per… non soddisfar le voglie trasformò sembianze in oca. Ma quel Dio… con fare arcigno… molto furbo e non un fesso… si tramuta tosto in cigno consumando quell’amplesso. Così Giove e… suo marito… anche lui tra i possedenti… (nella stessa notte) non succede sol nel mito… saran padri differenti. Partorì Leda… due uova… nascon… Castore il mortale… e nell’altro si ritrova… pur Pollùce l’immortale. (figli di Zeus) Quei Dioscuri… fratelli… ma diciamo fratellastri… Giove pose nei Gemelli (costellazione) scintillanti … come astri. (alfa e beta) PC

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C he traffico anche ne l c ie lo! Del 2011 che si è appena concluso possiamo dire che, astronomicamente parlando, è stato un anno di grande traffico anche nel cielo (come se non bastasse quello che troviamo ormai ogni giorno lungo le strade!). Sopra le nostre teste sono passati oggetti di vario tipo durante tutto l’anno, a cominciare dal mese di febbraio, quando l’asteroide 2011CQ1, che potremmo definire sassetto in quanto il suo diametro è di 1 metro, è passato a soli 5480 km dalla superficie della Terra (una distanza ravvicinata se consideriamo che la Luna dista circa 380000 km) e ciò ha comportato una variazione della sua orbita, spingendola RIFIUTI SPAZIALI Si tratta dei frammenti degli oggetti creati dall’uomo dispersi nell’orbita terrestre: vecchi all’interno di quella terrestre. vettori, satelliti ormai fuori uso o nuvole di particelle Il 27 giugno invece, ad un’altezza di razzi causate dalla distruzione di satelliti. Sono almeno 12000 Km è transitato 2011MD, un altro 22mila, secondo lo studio del Consiglio americano, e sasso con diametro di 8-18 metri, che ruotano alla velocità di oltre 28mila km orari. potremmo paragonare ad un grosso autobus. Di norma oggetti di queste dimensioni incrociano l’orbita della Terra ogni 6 anni circa. A fine settembre però, qualcosa di più consistente ci ha fatto visita. Possiamo dire che UARS, un satellite da 6000 chilogrammi che la Nasa aveva messo in orbita 20 anni fa per monitorare l’atmosfera terrestre, “è tornato a casa”. Fummo avvisati che il satellite sarebbe precipitato sulla Terra, ma il momento ed il luogo precisi potevano essere stabiliti dagli esperti solo con 2 ore di anticipo. Davvero un po’ poche. Meno male che il satellite, che ora possiamo davvero definire intelligente, improvvisamente ha rallentato la sua discesa, ha cambiato rotta ed è precipitato in una non ben identificata zona dell’Oceano Pacifico, forse disintegrandosi all’impatto. Ad ottobre, esattamente il 12, l’asteroide 2010TD54, che ha un diametro di circa 7 metri, è passato ad una distanza compresa tra 52000 e 64000 Km. Una sciocchezza rispetto al pericolo corso poco più di due settimane prima! Ma siccome non si può mai stare tranquilli, ecco che dopo soli 10 giorni le nostre teste erano di nuovo in pericolo perché un pezzo di immondizia spaziale stava per arrivare. ROSAT, un telescopio spaziale di 2400 Kg, lanciato nel 1990 dalla Nasa per l’osservazione del cosmo ai raggi X, stava tornando sulla Terra. La preoccupazione più grande per gli addetti ai lavori erano le dimensioni del suo specchio e soprattutto il peso: 1,7 tonnellate, praticamente un grosso SUV! Anche stavolta comunque è andata bene, poiché il telescopio si è frantumato al rientro nell’atmosfera e tutti i rottami si sono inabissati alle acque dell’Oceano Indiano, visto che, come ha argutamente affermato un esponente del Centro di Astrofisica di Cambridge nel Massachusetts: “Se fossero caduti su un’area popolata, ne avremmo avuto notizia”… Infine, l’8 novembre, ad una distanza di circa 320000 Km, è transitato 2005YU55. Un asteroide così grande (il suo diametro è di 400 metri) non passava così vicino alla Terra dal lontano 1976 ed ha costituito quindi una ghiotta opportunità da non perdere per gli astronomi, che hanno potuto così studiare dettagliatamente la sua superficie, le dimensioni e le caratteristiche fisiche e chimiche, visto che il prossimo asteroide di dimensioni così grandi sfiorerà il pianeta solo nel 2028. Ma non solo sulla Terra ci sono stati allarmi impatto: a giugno, per ragioni di sicurezza, i membri dell’equipaggio hanno dovuto abbandonare la Stazione Spaziale Internazionale e rifugiarsi sulle capsule Soyuz, agganciate alla Stazione, perché ci sarebbe stato un passaggio molto ravvicinato di space debris (detriti spaziali), che effettivamente sono passati molto vicini alla Stazione (circa 250 metri), fortunatamente senza impattare. Comunque, tra un transito e l’altro, non voglio perdere l’occasione per augurare di nuovo a tutti un Felicissimo 2012! Fiorella Isoardi Valentini

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Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osse r vaz ioni pe r il gior no ve ne r dì 2 7 g e nna io 2 0 1 2 Alla fine di questo mese, la costellazione di Orione si trova in prima serata bella alta nel cielo a meridione e quindi M42, la famosa Nebulosa di Orione, sarà il primo oggetto che andremo a puntare con il telescopio. Più in alto del braccio di Orione, ai piedi dei due gemelli Castore e Polluce, troviamo poi l’ammasso aperto M35 composto da circa duecento stelle e che dista da noi 2800 anni Luce. Ad occhio nudo avremo modo di osservare tutte le costellazioni del cielo invernale e, con sofisticati programmi astronomici al computer, gironzolare a 360 gradi nello spazio e nel tempo. Tonino Scacciafratte

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