La pagina giugno 2009

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Discorsi sovvertitori

Giampiero Raspetti

N° 6 - Giugno 2009 (66°)

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La crisi della signora K, F P a t ri zi Quando gli angeli non scendono dal cielo, A Mel a secch e Sono E. E., F B o rzi n i Due sorrisi al posto di uno, P F a b b ri Gli esami non finiscono mai, C C o l a sa n t i Tutto è scuola, S R a sp et t i OSPEDALE SANTA MARIA, E Ruffinelli - D Ghione DANESI Assumere sostanze illecite..., G Ta l a m o n t i Italo Calvino e i nostri antenati, P S eri ASSISI - Paul Celan, G P et ra rca Liceo Scientifico Gandhi PROGETTO MANDELA, I L o esch Facebook... trovatutto, J D a n i el i Il cambiamento che vogliamo vedere, A Ma t t i o l i I N T E R PA N Associazione Archè, P Ma g g i o l i n i Families di Matteo Quinto, C R o n ch i n i OSTINATO, A Ma t t i o l i Astronomia, T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri Astronomia, P Casali, F Isoardi Valentini

Aung San Suu Kyi

Protagora di Abdera nei suoi Discorsi sovvertitori sentenzia: di tutte le cose misura è l’uomo: di quelle che sono per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono. Per il sofista l’uomo crea, interpreta, inventa: è faber di tutto. Diogene di Sinope cercava l’Uomo, ben sapendo che la ricerca sarebbe stata eterna. Tutti noi invece, per le amministrative, dobbiamo non solo cercare e trovare, ma anche scegliere! Cercate l’uomo allora o, ancor meglio, memori di Dumas padre: Cherchez la femme! L’umanità si divide in cultori di privilegi e uomini liberi. I primi sempreproni al potere, comunque esso sia, i secondi intenzionati a vivere con la sola industria di se stessi. Da una parte coloro che, sapendo solo brigare, usano il partito per fini personali o di conventicola. Lo servono, ma sol perché se ne vogliono servire. Sai riconoscerli. Evitali. L’uomo libero si pone invece dalla parte di tutti i cittadini, non mangia con la politica, non aspira a privilegi per se stesso o per i suoi votanti. Sa che un vantaggio per taluni comporterebbe fatalmente danno per altri. E’ coraggioso, si batte esclusivamente con i soli mezzi che si è guadagnato onestamente. Parteggia per chi è meno protetto. In qualunque lista elettorale figuri, votalo. Alcuni sanno solo offendere e fanno leva sull’odio di parte. Non seguirli, mai. Alle amministrative, poi, si deve puntare sulla persona. Su chi ha dato mostra di sé ed ha saputo donare, non già a se stesso, che non ha alcuna rilevanza dal punto di vista politico, ma al bene comune, e disinteressatamente. C’è poi, perfino, chi è allergico al pensiero. Nessuno ha mai sospettato una sua presenza nell’agone culturale. Ammicca dai muri e spande santini e slogan patetici, per il cui conio è ormai sfiancato e sfibrato. Non puoi chiedergli di più, non lo disturbare. Ascolta invece coloro che parlano poco ma pensano molto, in grado di disegnare, con grande tensione ideale e culturale, progetti per la città. Si nutrono di sogni e di speranze, sanno emanare forti cariche emozionali: fidati di costoro, se li trovi. Chi invece non ha mai fatto niente, se non sfruttare il lavoro di altri, parenti o non, come potrebbe realizzare qualcosa di buono per la comunità? Non essere credulone. Abbiamo bisogno di intelligenza, di aristocrazia culturale e morale, di meritocrazia, di solidarietà, di alto senso della responsabilità personale, di assenza di interessi privati. Princìpi, sentimenti e ideali non figurano in un elenco per essere scelti qua e là, magari a caso: vanno presi tutti e testimoniati ogni giorno, non solo ai dì di festa, da uomini, non da pecore matte. Il paese del sole esiste: nei tanti progetti che i politicanti mai riusciranno a comprendere, nelle cittadelle di filosofi e poeti, nei cuori e nei sogni di tantissimi di noi. Chi si accinge a scegliere sia allora degno dell’Uomo.


La crisi della signora K Quando gli angeli Un caso clinico ancora da studiare non scendono dal cielo...

Il dottor Bernheim della scuola di Nancy considerava l’ipnosi come uno strumento di indagine praticabile su pazienti vigili, in aperta polemica con la scuola della Salpètriere del dottor Charcot, dove si ricorreva all’ipnosi unicamente per curare casi di isteria. A Bernheim interessava ricondurre la pratica del dottor James Braid, abusata da Mesmer e i suoi seguaci, verso una nuova tecnica di indagine che, in seguito, chiamerà psicoterapia. Nel 1889, il giovane dottor Freud, interessato ad approfondire gli studi, si reca a Nancy, ove prende in esame il caso della signora K. Lo stralcio qui riportato è rimasto per anni celato nei meandri delle tortuose origini della psicoterapia. Dottore, non ho più soldi, dove sono i miei soldi? - disse la donna dalla cui borsa spuntava un fascio di banconote Signora, distendetevi e parlatemi delle vostre abitudini sessuali - Ma dottore, io sento che la crisi… - Quale crisi? Quella che sta investendo il paese, la mia casa, il mutuo… - Signora, guardate questo ciondolo, fissatelo attentamente… ecco brava… adesso state entrando nel negozio qui di fronte e comperate una crema per il viso - Sì, dottore - Quale avete scelto? - La più costosa! - Ecco, brava, ora vedete in vetrina un collier d’oro bianco - No, non voglio… - E invece sì, lo desiderate, un bel collier d’oro… La mia casa si sta svalutando, dobbiamo vendere… - Fissate il ciondolo… è sera, non restate in casa, è triste, andate a cena fuori - Non possiamo permettercelo… - Il ciondolo! Caro, dove mi porti a cena? Pesce fresco… noi non siamo in crisi, il nostro matrimonio non è in crisi, l’economia non è in crisi, il mondo finanziario non è in crisi… - Cosa vedete ora? - Vedo un cavallo, un cavallo bianco, sopra c’è un uomo, è un presidente di colore, bello, forte, gioca a basket… ah, lo desidero, vieni, vieni a me… - Signora, svegliatevi! Fin qui gli appunti della seduta del 28 maggio 1889, il dottor Freud legge i dati raccolti, Mister President e il cavallo, la seduzione e l’abbandono: la crisi è solo uno stato mentale, una questione psicologica. La conclusione non fu approvata dal dottor Bernheim, che accusò il giovane terapeuta di aver abusato dell’ipnosi come mezzo di persuasione. Calunnie, smentisco, vergogna! La sferzante reazione del dottor Freud portò alla rottura con la scuola di Nancy. Il fatto cadde in prescrizione, Bernheim finì dimenticato, ma l’ardita cura del suo allievo, recentemente ritrovata, apre inquietanti dubbi sul caso clinico della signora K. La cura, signora, è l’ottimismo! Evitate la sera di leggere la stampa di sinistra e comperate un bel I-Phone, 450 euro, ultima generazione, non vedete che ce l’hanno tutti! E sorridete! Sorridete! Francesco Patrizi

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Gli angeli, esseri spirituali positivi, esistono in molte tradizioni religiose. Il termine ha origine dal latino angelus, a sua volta derivato dal greco άγγελος, ánghelos, che significa inviato, messaggero. Negli ultimi anni tale figura è stata utilizzata anche in economia, dove esistono i cosiddetti business angels o angel investors. Sono soggetti che, grazie alla loro esperienza in tema di gestione d’impresa ed alla loro rete di contatti, apportano capitale ad una o più start-up, imprese con forte potenziale di crescita, diventandone così azionisti. Statisticamente si tratta di uomini e donne, tra i 35 e i 65 anni, con un’esperienza importante nel mondo dell’imprenditorialità ed una capacità di investire tempo e denaro nelle imprese per apportare capitale di rischio e competenze nelle fase di avviamento. Sono spesso indispensabili perché intervengono quando nessun’altra fonte di finanziamento è disponibile. Contribuiscono alla buona costruzione dei progetti, dando un sostegno ai giovani imprenditori, quindi denaro, esperienze, reti di conoscenze. Sono a tutti gli effetti dei co-creatori. I business angels investono generalmente dai 25.000 € ai 250.000 € per impresa con punte di € 400.000 nel Regno Unito. La media in Europa tra i paesi più maturi è di 80.000 € per ogni partecipazione fino a giungere, quando fanno sindacato, anche 2,5 milioni di euro. Esistono business angels anche a Terni. E’ il caso di Biogenera che a partire da Terni ha trovato i suoi angeli custodi. Ogni anno 200 mila bambini e ragazzi in età compresa fra 0 e 18 anni si ammalano di cancro. Nonostante questi numeri, la ricerca e lo sviluppo di nuove terapie per l’oncologia pediatrica hanno un ruolo marginale per il fatto che per la grande industria non ha fin qui ritenuto di investirvi capitali a causa di numeri ritenuti limitati, preferendo derivare i farmaci attuali dall’oncologia per gli adulti. Per colmare questa carenza di prodotti specifici, denominati farmaci orfani, due professori del Laboratorio di Oncologia Pediatrica dell’Università di Bologna, Roberto Tonelli e Andrea Pession, hanno cercato e trovato il supporto finanziario e non solo degli angeli custodi: investitori coraggiosi a caccia di nuove idee imprenditoriali troppo piccole e rischiose per entrare nella sfera di interesse dei grandi finanziatori. Un gruppo di 19 angeli, soci di Italian Angels for Growth (www.italianangels.net), insieme al Fondo Ingenium (www.meta-group.com/ingenium) gestito da ZernikeMeta Ventures Spa di Terni (www.zernilmetaventures.com), hanno deciso infatti di investire 1,5 milioni di euro in Biogenera, la start-up farmaceutica per l’oncologia infantile creata l’anno scorso dai due ricercatori bolognesi. Tali apporti garantiranno la sopravvivenza di Biogenera per i prossimi 18-24 mesi. Nel 2010 sarà avviata una seconda raccolta di capitali (5-10 milioni) che serviranno a completare i primi test clinici. Tra cinque anni il prodotto potrebbe arrivare sul mercato e curare decine di migliaia di bambini. Terni ha capacità, idee e valori incredibili. Peccato che fino ad oggi siano stati emarginati dalla politica locale, chiusa in logiche ristrette ed incapace culturalmente di cogliere queste enormi potenzialità. Altrove sinergie intelligenti ed aperte con la pubblica amministrazione hanno accresciuto sensibilità e portato a nuove esperienze. Si sono aperte nuove occasioni di lavoro anche qualificato, con una crescita culturale importante. Possiamo coltivare un sogno angelico: quello di poter vivere in una città che invece di alessia.melasecche@libero.it ipotecare il proprio futuro, investa in esso?

LA

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipografia: Umbriagraf - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C.

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Direttore Giampiero Raspetti

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La Pagina

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Son o E . E .

Esat Ekos

Eluana Englaro

Sono E.E. Nigeriana, per quel poco che questo vuol dire. 18 anni. Almeno credo. Sono E.E. Italiana, anche se forse sarebbe stato meglio di no. 17 anni di piaghe sulle spalle. Almeno così dicono. Sono E.E. Il mio corpo era appeso ad una cima, viscida d’acqua e di sale. Hanno provato a tenermi. Mi hanno lasciata affondare. Sono E.E. La mia vita era appesa ad un filo, gridavano ossessi dall’Aula. Il loro amore egoista non voleva lasciarmi riposo. Sono E.E. Ero incinta di una speranza spezzata. Volevo farla nascere in un mondo diverso, al di là del mare. Sono E.E. Hanno detto che sarei potuta rimanere incinta, nelle mie condizioni. L‘ignoranza è un delitto che non si dovrebbe prescrivere mai. Sono E.E. Il mio corpo, e la sua speranza incompiuta, sono stati lasciati in mare a marcire per giorni. Tra Italia e Malta c’era un problema di competenza. Sono E.E. Il mio corpo senza speranza è stato lasciato sformarsi per anni, tra le carezze asfissianti d’un letto. Sui banchi del Senato c’era un problema di coscienza. Sono E.E. Non ho sentito alcun prete parlare, non ho visto alcun politico urlare, nessuno ha versato lacrime per me. La mia vita non valeva niente. Sono E.E. I preti hanno imposto per me, i politici hanno obbedito per me, lo Stato ha deciso per me. La mia libertà non valeva niente. Sono E.E. Spero che qualche paradiso mi aspetti, al di là del mare e del cielo. L’inferno l’ho visto già: il Pinar maleodorante sul Canale di Sicilia. Sono E.E. Spero proprio che qualcuno mi ricordi per la vita che avevo. E dimentichi il mio corpo offeso, fatto ostaggio dell’altrui crudeltà.

laboratori

Francesco Borzini

Lab

Due sorrisi al posto di uno C’è stato un tempo in cui la televisione non aveva il decoder. Non aveva neanche la parabola, e a dire il vero le mancavano perfino i colori. Alle giovani generazioni può sembrare strano, ma la verità è che c’è stato un tempo in cui lo schermo era d’un melenso grigioverde, ben diverso dal nero lucido degli apparecchi di oggi; e tutt’altro che piatto, anzi: era convesso come il vetro d’una damigiana, molto piccolo e ben inscatolato dentro un telaio di legno. Naturalmente, non c’era il telecomando; a che cosa sarebbe mai servito? In quel tempo lontano la televisione - nebbiosa rumorosa granulosa e bizzosa aveva un solo canale. Nel monoscopio (quel segnale fisso e noioso in cui si vedevano tutte le scale di grigio, che serviva ai tecnici installatori e agli antennisti per ben sintonizzare l’apparecchio), campeggiava una grossa “N” maiuscola, che stava a significare Nazionale. Quando infine la RAI iniziò a trasmettere anche sul secondo canale, tutti i tecnici furono richiamati nei tinelli d’Italia e qui, armati di seghetto a legno, facevano un piccolo foro nel ligneo telaio del televisore: era lo spazio che serviva per far passare un pulsante di plastica bianca, grande come un dado da brodo; poi, dopo l’intervento d’alta chirurgia, quando si premeva quel misterioso pulsante la televisione mandava un lampo veloce e poi faceva vedere un altro programma. Il monoscopio del secondo canale aveva un grosso “2” al posto della “N”, e per un certo periodo la TV (che era ancora acronimo singolare e pubblico) si preoccupava perfino di avvertire in un canale quando stava cominciando lo spettacolo sull’altro, facendo lampeggiare per qualche istante un triangolo bianco sullo schermo. Neanche mezzo secolo fa, e sembra pura preistoria. Eppure, qualcosa in comune tra quei giorni e questi c’è: la pubblicità, ad esempio. Paolo Ferrari bussava già alle porte delle massaie armato di due grossi fustini di detersivo; di quelli che, a vederli adesso, si fa fatica a credere che potessero mai essere venduti: grossi, pesanti, cilindrici, pieni di polvere bianca. Non riusciva mai a trovare la casalinga giusta: tutte lo guardavano languide e affascinate, tutte erano probabilmente pronte a dargli un figlio, ma il fustino di Dash no, manco morte. Trovata pubblicitaria a parte, erano spot che disegnavano bene il periodo; l’abbondanza era anche rappresentata dai fustini scomodi, pesanti e ingombranti: significavano comunque scordarsi i lavatoi e il sapone con la soda, significavano avere la lavatrice. Anche se nel mondo reale dieci famiglie su dieci avrebbero accettato lo scambio: un fustino di detersivo era un mezzo capitale. E i caroselli erano ingenui e diretti: la loro prima intenzione era quella di mostrare il prodotto: nei pochi secondi concessigli, facevano dire a qualcuno che era buono, mostravano tavole apparecchiate e gente attorno, a far da corte al prodotto da promuovere. In qualche caso, dovevano proprio solo far vedere che una certa cosa esisteva (i nuovi contenitori in plastica della Moplèn, ad esempio: o cose nuove come le lavatrici, i frullatori, le lavastoviglie); in altri, era invece anche necessario spiegare velocemente come funzionava. Erano tempi poveri, in cui non si sarebbe mai pensato di arrivare a vedere, come oggi, stampanti sofisticate che costano quanto una ricarica d’inchiostro, o piccole macchine fotografiche che servono solo a vendere un singolo rullino, per poi essere buttate. E anche quelle sono ormai una vestigia del passato, ora le foto sono solo digitali. Erano tempi da non rimpiangere. Se però uno ci passa l’infanzia dentro, poi fa fatica a leggere le pubblicità di questi giorni: i prodotti non sono più centrali, non si vedono più, e nella maggioranza dei casi non ci sono. Si vendono servizi, tariffe, contratti: sono venduti da assicurazioni, banche, compagnie telefoniche, società di consulenza, promotori finanziari. Tutti a strillare sui muri, dentro le radio e soprattutto dentro le televisioni: con balli e canzoni, battute e testimonial: e soprattutto, con sorrisi. Sorrisi stampati in banca, dentro ai depliant e ai manifesti; sorrisi stampati sui muri, che riportano lo sguardo complice del consulente; sorrisi inchiodati dentro lo spot che promette SMS e telefonate gratis e per sempre. Non c’è più un prodotto tangibile, fotografabile, e allora si usa come avatar un sorriso. E da lontano non si vedono più fustini né lavatrici, ma solo gente che sorride, da tutti i muri. Avvicinandosi, ci si accorge che la gente che sorride è solo dentro il manifesto. Una volta, il venditore sorrideva per farti comprare il fustino; adesso, sorride per mostrarti il prodotto, che è il sorriso stesso, forse. Piero Fabbri Costa più caro, e non te lo incartano neppure.

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Gli esami non finiscono mai...

Tu t t o è s c u o l a

Oddio che angoscia! Penso si sia capito l’argomento del momento… perlomeno per coloro che si trovano a frequentare l’ultimo anno delle scuole superiori penso sia il must da minimo un anno a questa parte … Bene ragazzi: ci siamo! Tremano le gambe? Sudano le mani? Il cervello è in blackout? Tutto ciò solo al pensiero delle parole esame, maturità, commissione esterna? Bene, benvenuti nel gruppo! (Inutile dire quanti gruppi su Facebook si occupino di questo scottante argomento, no?) Ma dobbiamo riuscire ad entrare nell’ottica che Se ce l’hanno fatta tutti ce la posso fare anch’io!… sennò mi sa che qui non si vede giorno, eh! I professori che, in preda al panico quasi più di noi, ci riempiono di moniti-consigli che ci fanno aumentare l’iperventilazione; i genitori che cercano di parare i colpi come possono anche se, volenti o nolenti, vanno sempre a girare il coltello nella piaga; gli amici più grandi che ti consolano con la frase meno consolante del mondo: Ma dai! La maturità è una cavolata! Aspetta di arrivare all’Università! Ecco il punto. Ce la farò ad arrivare a questa benedettissima Università? Non c’è da stupirsi che in questo momento il dopo sembri così irraggiungibile che si fa fatica a pensarlo, eh! Solo il pensiero della terza prova mozza il fiato, la seconda e la prima forse forse ce la si può anche fare ma… l’orale? Come la mettiamo con l’orale? E la tesina? Quando si trova il tempo per fare questa benedetta tesina? Gli appelli di aiuto dai nostri neuroni più tesi di corde di violino si fan sentire sempre maggiormente; i tic nervosi aumentano; la rabbia repressa sale a livelli esorbitanti davanti agli sguardi rilassati e già proiettati alle vacanze estive degli amici più piccoli e ci sentiamo abbandonati al nostro destino. Incredibile la notizia che sto per scrivere! Sapete una cosa? Ce la faremo! Sì! Non l’avreste mai detto,eh? Nemmeno io ad essere onesta ma la soluzione è solo questa: CREDERCI. Se adesso siamo così nervosi più che altro è perché ci troveremo davanti ad una situazione complicata mai affrontata prima ma… pensate solo a tutte le esperienze complicate e nuove che avete affrontato nella vostra seppur breve esistenza. Ne avete scelta una particolarmente complicata dalla quale siete riusciti ad uscire a testa alta, con la coda tra le gambe, con dignità o meno? Bene … se ce l’avete fatta quella volta perché non ce la dovreste fare adesso? Certo lo studio ci vuole, la preparazione ci deve essere ma… l’emozione dobbiamo riuscire a far sì che non ci blocchi e non ci rovini la piazza. Pare facile detta così ma lo so benissimo, posso assicurarlo in prima persona, che non è così. Ma dicono che l’importante sia crederci, no? Forse autoconvincendoci ce la possiamo fare… e poi altrimenti c’è un altro metodo. Pensate a tutto quello che potrete fare dopo. Perché ci sarà un dopo, eccome se ci sarà! Concentratevi su quello… sappiate dentro di voi che dopo sarà difficile ma… ci sarà! Sarà difficile perché in questo periodo si snodano tutte le nostre esistenze, lasciando i fardelli del passato e spiccando il volo verso il futuro e automaticamente i dubbi ci assalgono, la malinconia fa il suo ingresso trionfale anche nei cuori dei più contenti del cambiamento. Sembra quasi di lasciarsi dietro un pezzetto di sé. Allora permettetemi una cosa che nasce spontanea. Lasciatevelo dire. Grazie ragazzi. Grazie a tutti. Per quel che c’è stato, per quel che ci sarà, bello e brutto che sia stato, bello e brutto che sarà. Cinque anni non son pochi. Non sono una vita, ma una bella fetta di esistenza, quello sì. Voi ci siete stati, tra alti e bassi, tra litigate e momenti di serenità, tra sorrisi e nervi a pezzi. Ovunque ci porterà la vita con i suoi strani giochi, giri e incroci … grazie. In bocca al lupo a tutti e… consoliamoci pensando che… gli esami non finiscono mai. Chiara Colasanti Questo è solo uno dei tanti. Bello grosso ma… sopravviveremo!

L’esempio conta: un genitore bugiardo stimola la bugia; un genitore violento crea un modello di difesa/offesa da perseguire. Così, immersi nei comportamenti altrui, impastati di atteggiamenti contraddittori, incoerenti, ci si inoltra lungo i percorsi intrigati dell’infanzia, dell’adolescenza, dell’età adulta. E’ un percorso con passi incerti, cadute improvvise, paure in agguato, con l’orco dietro l’angolo mentre il dio denaro occhieggia sornione ed intona una sinfonia tintinnante, fascinosa come il canto delle sirene per Ulisse. E la scuola accoglie, insieme ai bambini, anche le scorie di una società che vaga in cerca di un approdo sicuro; essa stessa instaura esempi di sconcertante ambiguità perchè gli educatori non hanno più linee definite e certezze su quali valori culturali ed etici perseguire. Cosa è etico? Vivere dignitosamente nella sopravvivenza economica senza poter assaporare le beatitudini del creato perchè, al di là della bancarella del mercato e della panchina dei giardini, non è concesso andare? Sostare nell’inerzia mentale perchè l’unico strumento culturale a disposizione della massa è ormai la televisione? O inoltrarsi nel mondo dei lustrini, della bellezza senza volto e senza corpo perché uniformata a modelli standard? La scuola si confronta con strutture educanti più incisive: la strada, la televisione, lo stadio...; si scontra con regole che scaturiscono ormai dal sistema: laboratori scolastici osannati, poi demonizzati; discipline accorpate, poi separate; classi semivuote e classi stracolme dove guardarsi negli occhi, per un’intesa emotivo-affettiva, diventa un optional. Se, in un radioso mattino di un giorno qualunque, gli operatori della televisione decidessero di eliminare reality, varietà demenziali, talk show intrisi di prevaricazioni verbali e manichini che sparano a ruota libera opinioni qualsiasi, ma è per questo che sono pagati, se si evitassero illusioni devastanti nei giovani per qualche passaggio effimero davanti al piccolo schermo, se...se..., in breve tempo cambierebbero stili di vita, atteggiamenti sociali, modalità di relazione. Non è il popolo che vuole certa televisione, ma è la televisione che educa un popolo. Nel suo viaggio immaginario, al di là dello spazio e del tempo, Richard Bach, in Nessun luogo è lontano, ci inonda con la sua ineffabile vibrazione di vita: ...è venuto il momento di aprire il regalo... è un anello da mettere al dito e brilla d’ una luce tutta sua, nessuno può portartelo via, non può essere distrutto. Al pari di ogni cosa che non può toccarsi con mano o vedersi con gli occhi, il tuo dono si fa più potente via via che lo usi... tu dovrai a tua volta donare il tuo dono a qualcuno che sai ne farà buon uso; costui potrà apprendere, allora, che le uniche cose che contano son quelle fatte di verità e di gioia e non di latta e lustrini. Sandra Raspetti Così sarà... così dovrà essere... sandraraspetti@umbriainfo.com

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O s p e d a l e C i v i l e “ S a n t a M a r i a ” d i Te r n i

Verbale della deliberazione n° 134 del 18 settembre 1943 XX avente per oggetto “Gratificazione straordinaria al personale di assistenza per il comportamento tenuto durante il bombardamento aereo dell’11 agosto 1943”.

Luciana Bisonni

Elena Viali

Vista la relazione del Direttore Sanitario sul bombardamento aereo subito dall’Ospedale Civile di Terni l’11 agosto 1943 e sugli eventi che ne sono seguiti; Rilevato da detta relazione e da molteplici concordi testimonianze che il comportamento della maggior parte del personale di assistenza, ausiliario di assistenza e dei servizi sussidiari è stato degno di ogni maggior elogio, tanto da concretizzarsi nel magnifico risultato di aver posto in salvo, trasportandoli nei rifugi, tutti i malati, pur sotto l’infuriare dell’offesa nemica che più volte colpiva l’edificio ospedaliero; Vista la valutazione fatta con punteggio individuale del Direttore Sanitario circa il rendimento del personale stesso durante l’incursione e nelle sette giornate che ne sono seguite, giornate caratterizzate dal faticosissimo lavoro di sgombro dei malati, recupero dei materiali, sgombro delle macerie, attrezzatura di un nuovo Ospedale succursale, attrezzatura di tutti i servizi ecc.;

Ritenuto che per l’abnegazione, per lo spirito di sacrificio, per il senso del dovere, per l’opera prestata sia opportuno dare un tangibile riconoscimento sotto forma di una gratificazione straordinaria indipendente da ogni altra forma di provvidenza che possa essere stabilita dalle Superiori disposizioni; Visto che il punteggio stabilito dal Direttore Sanitario va da sei a quaranta e che risponde effettivamente ad un giusto criterio di valutazione del rendimento di ciascun individuo; Ritenuto equo riconoscere per ogni punto di merito una gratificazione di £ 10 …omissis...

Armilda Torreggiani

Maria Tamburini

La guerra rese la popolazione tutta, quindi anche gli infermieri, particolarmente fragile, emotivamente sofferta, ma anche forte e coraggiosa. Riportiamo di seguito un significativo esempio:

Graziana Monticelli

L’infermiere è pur sempre un uomo

DELIBERA Di corrispondere al personale di assistenza, ausiliario di assistenza e dei servizi sussidiari una gratificazione corrispondente a £ 10 per ogni punto di merito assegnato dalla Direzione Sanitaria in rapporto al rendimento individuale dimostrato nel giorno dell’incursione e nei sette giorni successivi… omissis... A tale proposito possiamo commentare che non esisteva una gratificazione adeguata per l’impegno dimostrato dai colleghi e nulla è abbastanza sufficiente per compensare la professionalità dimostrata dai dipendenti. Su un totale di n° 42 dipendenti ben 33 erano donne. Il fascismo, pur avendo tentato di escludere le donne e di riaffermare l’ideale di madre angelo del focolare, in realtà, le rese ancora più attive e combattive…

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Assumere sostanze illecite...

Italo Calvino e i nostri antenati

Il Giro del Centenario ripropone, seppure rivisti e corretti, i temi di sempre in fatto di doping. Perché tanta gente affolla le strade se tutti sanno che non c’è un ciclista che non sia ricorso ai fantasiosi mezzucci di cui oggi la chimica, la ricerca e la medicina dispongono per fregare i controlli? Come all’epoca bigotta della regina Vittoria, ognuno fa quelle cose, ma nessuno lo dice. C’è comunque un’altra verità a fianco di quella che vorrebbe descrivere i corridori come gente dedita solo a farsi le pere e imbottirsi di schifezze. Il ciclismo, ingiustamente, ha pagato il prezzo più alto di sputtanamento mediatico fra le discipline popolari. Chi è pronto a giurare che uno qualsiasi dei corridori che scorrazzano sulle strade d’Europa sia immune da tentazioni e tentativi è un ingenuo. Ma come mai dopo una carriera di vent’anni, fatte rare eccezioni, i lavoratori del pedale non evidenziano i danni fisici che ogni porcheria di solito comporta? Come mai non assumono fattezze di larve umane, occhi spiritati, denti erosi e giallastri, ossa distorte dal vizio e faccia inespressiva? Prima di far passare l’idea che drogarsi non fa male, sarà il caso di discutere su quello che è droga. Il ciclismo da tempo è diventato terreno di caccia alle streghe. Con la scusa di non permettere abusi, si è esagerato nella condanna di tutto quello che non fosse pasta al pomodoro e fettina cotta a bagnomaria. Ogni spezia è un attentato alla regolarità di una corsa. Prendersi un caffè è un atto di subdolo inganno, curarsi un raffreddore con i medicinali dei comuni mortali è il massimo della furbizia antisportiva, spalmarsi una pomata al cortisone sul mignolo ferito equivale a compiere la trasgressione più ignobile. La domanda sorge spontanea: non sarà che l’elenco delle sostanze proibite e dei limiti alle quantità assunte siano diventati ossessivi? Il sistema adottato dagli organismi internazionali somiglia sempre più a quello assunto, illo tempore, dalla Santa Inquisizione; basta il desiderio di un tè ai pasticcini per beccarsi un ergastolo. Il pericolo è questo: fra i giovani e fra gli amatori può passare il messaggio che assumere sostanze illecite non crea problemi fisici. Sia chiaro: il ricorso ad anabolizzanti, all’ossigenazione forzata del sangue o, peggio ancora, alla cocaina, deve comportare la squalifica a vita dei trasgressori, ma le assunzioni di sostanze di quotidiano uso, per quanto stimolanti, non possono e non devono essere demonizzate come droghe, restituendo credibilità a sportivi e a discipline. Ing Giocondo Talamonti

Il sentiero dei nidi di ragno (1947) romanzo di esordio di Calvino rientra apparentemente nel filone della narrativa neorealistica: l’argomento è la lotta partigiana che egli aveva vissuto in prima persona, ma il punto di vista adottato distingue l’opera dai moduli strettamente neorealistici. La Resistenza è descritta con gli occhi di un ragazzino che si affaccia sul mondo degli adulti; in sostanza si tratta di una reinvenzione favolosa di fatti concreti. Negli anni Cinquanta il binomio realistico-fiabesco si scinde in due indirizzi diversi e compresenti. Da una parte abbiamo racconti realistici che gettano uno sguardo critico sulla nuova società industriale e metropolitana negli anni della Ricostruzione quali L’entrata in guerra (1954), La speculazione edilizia (1957), La nuvola di smog (1958), La giornata di uno scrutatore (1963), dall’altra si situano i romanzi fantastici della trilogia araldica: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959), raccolti poi nel titolo collettivo I nostri antenati di cui ci occuperemo nel presente articolo. Nella introduzione di questa raccolta l’autore stesso chiarisce la genesi delle tre storie nate nel segno della crisi e del dubbio sull’utilità dei mezzi espressivi e della poetica del neorealismo. “Prima facevo dei racconti neorealistici…se pigliavo a raccontare su tono allegro, suonava falso…se usavo un tono più riflessivo e preoccupato, tutto sfumava nel grigio, nel triste…così in uggia con me stesso e con tutto, mi misi, come per un passatempo privato, a scrivere Il visconte dimezzato”. Quest’ultimo fu il primo dei racconti in cui la figura fantastica del protagonista diviso da un colpo di cannone in due parti che continuano ad andare con anima opposta per le vie del mondo simboleggia il dimidiamento dell’uomo contemporaneo, mutilato, incompleto, nemico a se stesso. Un uomo che ha definitivamente perduto con la civiltà uno stato di antica armonia. Parimenti simbolica è la figura di Mastro Pietrochiodo carpentiere, altro personaggio del racconto, il quale costruisce, perfeziona raffinati strumenti di tortura senza chiedersi a cosa servono né più né meno come lo scienziato di oggi che crea atomiche, tecniche, dispositivi di cui non sa la destinazione sociale. Il barone rampante in cui il protagonista che ha preso a vivere sugli alberi costruendosi sui rami una bizzarra, ma autentica vita sociale, politica e sentimentale, rappresenta l’assioma che, a detta dell’autore, per essere veramente con gli altri, la sola via è d’essere separato dagli altri, d’imporre testardamente a sé e agli altri la propria incomoda singolarità così come è la vocazione del poeta, dell’esploratore, del rivoluzionario. Il ciclo si conclude con Il cavaliere inesistente, un’armatura priva di corpo che vive una serie di peripezie cavalleresche animata dalla volontà e dalla fede. Agilulfo ha i lineamenti psicologici di un tipo umano molto diffuso nella società moderna: è un uomo artificiale privo di individualità fisica divenuto tutt’uno con i prodotti e le situazioni e capace di funzionare solo astrattamente. Egli non esiste, ma è cosciente della propria inesistenza e quindi paradossalmente possiede una forma di esistenza. I tre racconti sono caratterizzati dalla compresenza di modelli alternativi alla narrativa neorealistica. Calvino trova nel racconto filosofico di stampo illuminista, nella fiaba e nel racconto fantastico esempi congeniali alla sua tempra creativa. Dal conte philosophique riprende la tendenza all’apologo morale e satirico sotto la guida costante e sempre presente della ragione. La fiaba rappresenta per lo scrittore l’eterna lotta dell’uomo per raggiungere la felicità. Per il fantastico i suoi modelli sono Ariosto, particolarmente evidente nell’ultimo racconto, Kafka, Beckett e Borges. Sarà proprio quest’ultima componente a prevalere gradatamente aprendo la strada ai racconti fantascientifici delle Cosmicomiche (1965) e di Ti con zero (1968). Lo stile di Calvino sia nelle prose realistiche che nei racconti fantastici presenta dei caratteri costanti. L’esuberanza creativa è sempre tenuta a freno dall’occhio vigile della ragione che tende a dare ordine al caos, all’assurdo della condizione storica dell’uomo contemporaneo. Calvino, autentico scoiattolo della penna, ci propone un mondo fantastico che non è astratto dalla realtà presente, ma ne costituisce un’allegoria satirica, a volte amara, ma mai triste, anzi Prof . Pierluigi Seri quasi sempre ironica e divertente.


ASSISI - Paul Celan

Di soglia in soglia (più bello il tedesco: Von Schwelle zu Schwelle) è parola di mezzo, fatica di chi abita l’inabitabile intermezzo - terra di nessuno - tra una soglia e l’altra. Di soglia in soglia indica l’infinita fatica del procedere, incerto: ora, un passo - poi forse, un altro. Ogni soglia è un nuovo guadagno, ed insieme ad ogni soglia si ripropone l’umiliante domanda di chi chiede permesso, l’umiliante richiesta del viandante che sa d’essere non-amato, non voluto: straniero. Così ad ogni soglia si mostra anche la distanza dalle altre - dico: da quelle calpestate, infrante, le soglie varcate oltre le quali nulla fu trovato, oltre le quali mai fu casa: giusto una minestra calda ed un giaciglio per una notte; poi domani di nuovo via, ancora oltre. Ogni soglia non è mai quella soglia, non è mai apertura alla dimensione familiare finalmente ritrovata, guadagno ultimo e definitivo di un’origine perduta tanto tempo prima della quale ora si cercano di riguadagnare almeno esili brandelli, un’origine-casa, volti amati che questa terra più non testimonia, volti che i luoghi ora incontrati più non restituiscono: di soglia in soglia assume così l’amara consapevolezza di dover restare ancora stranieri, ancora non-amati, ora più di prima stranieri. Stranieri intanto nella terra, stranieri in cerca del ritorno verso il luogo natale che qualcuno ha distrutto per sempre, consumato in quel nome che suscita brivido, sconforto - ed insieme gelido terrore: Auschwitz. Di quest’esperienza è aspramente segnata la poesia di Paul Celan. Alle parole del filosofo ebreo Adorno che decretò l’impossibilità di fare poesia dopo Auschwitz, Celan rispose con la poesia. Rispose con una poesia tratta da quelle stesse macerie, le macerie della lingua della grande stagione del Romanticismo tedesco (la lingua di Goethe, di Hölderlin, di Rilke). Una lingua ora infranta fatta di cadaveri, di corpi-parole senza vita come i corpi senza vita delle vittime dei lager. Quella lingua che aveva testimoniato lo splendore assoluto della cultura europea - le vette più alte del pensiero dell’Occidente - ora è lingua di morte, come scrive in Todesfuge (appunto: Fuga della morte): “...Negro latte dell’alba noi ti beviamo la notte/ noi ti beviamo al meriggio come al mattino ti beviamo/ la sera// noi beviamo e beviamo/ nella casa vive un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete/ i tuoi capelli di cenere Sulamith egli gioca colle serpi/ Egli grida suonate più dolce la morte la morte è un/ Maestro di Germania/ grida cavate ai violini suono più oscuro così andrete/ come fumo nell’aria/ così avrete nelle nubi una tomba chi vi giace non sta /stretto”. È un far versi ripetitivo, martellante, quasi ossessivo; come la rassicurazione finale del kapò tedesco che si tinge di ironico disprezzo: chi vi giace - nella tomba in aria - non sta stretto. Con quella lingua Celan riprese a far poesia, da quelle macerie, da quei brandelli e frantumi di parole trasse nuova poesia, poesia che certo non può dimenticare l’elemento di cui è costituita, la sua più profonda essenza: i versi di Celan sono talvolta mozzi, balbettanti. Un balbettio proprio di chi ha visto negli occhi l’orrore, un balbettio di chi non conosce più lingua per parlare, più parola significante - eppure di quella stessa lingua deve servirsi se vuole dire qualcosa: si tratta dunque di riconferire - qualora sia possibile - un valore alla parola, ridarle un significato. E nonostante questo resta un rantolo incerto, fracassato, spezzato, sillabato: anche la parola messianica, la parola del Messia che verrà a redimere Israele si fa balbettante; così scrive l’ebreo Celan: “Venisse,/ venisse un uomo,/ venisse un uomo al mondo, oggi,/ con la barba di luce dei/ patriarchi dovrebbe/ se di questo tempo/ parlasse do-/ vrebbe/ solo balbettare e balbettare,/ continua-, continua-/ mentete”. Lo stesso Nome impronunciabile di Dio si fa balbettio, la lode del salmista al Dio biblico ora è parola fratta, lode rivolta al niente. È il lamento dell’ebreo, l’ebreo nostalgico della Gerusalemme promessa al quale ora è stata sottratta anche quella nostalgia: l’ebreo che ha irrimediabilmente perduto non solo la diaspora, ma assieme alla diaspora, l’esodo: la cacciata è ora non-ritorno, è impossibilità di attendere una terra promessa. Così recita Psalm: “Nessuno c’impasta di nuovo, da terra e fango,/ nessuno insuffla la vita alla nostra polvere./ Nessuno.// Che tu sia lodato, Nessuno [ted. Niemand]./ È per amor tuo/ che vogliamo fiorire./ Incontro a/ te.// Noi un Nulla/ fummo, siamo, reste-/ remo, fiorendo:/ la rosa del Nulla,/ la rosa di Nessuno”. Il grido dei morti, il grido strozzato dei morti che ancora echeggia nelle parole infrante - che è quelle parole infrante, si fa elemento essenziale della poesia di Celan. C’è un legame - forse solo occasionale, poco importa - tra quel grido e una poesia che Celan scrisse dopo un brevissimo soggiorno nella nostra terra, una poesia che ritrae in pochi straordinari versi, tutta l’essenza di questi luoghi. Ascoltiamola.

Notte umbra. Notte umbra con l’argento di ulivo e di campana. Notte umbra con la pietra che portasti fin qui. Notte umbra con la pietra. Muto ciò che pervenne alla vita, muto. Travasa le urne. Urna di terra, urna di terra, cui la mano del vasaio crebbe tenace. Urna di terra, che la mano di un’ombra chiuse per sempre. Urna di terra col sigillo dell’ombra. Pietra, ovunque guardi, pietra. Fa entrare l’asinello. Trotterellante. Trotterellante nella neve sparsa da nudissima mano. Trotterellante davanti alla parola che si richiuse da sé. Trotterellante asinello, che bruca il sonno dalla mano. Splendore che non sa confortare. [...]

Assisi

Ogni commento è sempre violenza al testo. Provo a non sovrappormi. Chiunque conosca questa terra - la sua malinconica, talvolta dimessa essenza - non può non ritrovare la durezza di quelle notti - gelide anche in estate, aspre anche in primavera. Un’asprezza che si rinviene nella semplicità di chi abita quei luoghi, nelle mani che forse meglio esprimono il legame con la terra. Ed è una mano a condurre idealmente la poesia. La mano che tiene la pietra, la mano che porge, offre la pietra portata fin qui: nel luogo non saputo, solo umbrische Nacht, solo una semplice e anonima notte umbra. Dunque una mano: mano che modella il vaso, umida e imbrattata d’argilla, una mano - immagino indurita dal lavoro degli anni, dove le piccole fessure del palmo risaltano per il fango che hanno assorbito. Il vasaio umbro come l’argilla nelle mani del vasaio dell’ebreo Celan. Ed è una mano - mano di un’ombra - a sigillare per sempre il vaso, meglio: l’urna - l’urna di morte. Non più quindi il vaso come nuova vita, ma la mano che ha creato ora de-crea, ora sigilla col sigillo dell’ombra, col sigillo irreversibile della morte. E quella stessa mano che scansa la neve, la sparge e l’asinello che bruca da quella mano il sonno. La parola che sboccia come un fiore, in quello spasmo ch’è lo sforzo della nuova vita - ora si richiude da sé: parola che s’arresta inerte innanzi allo spettacolo della notte. Dunque la notte...notte che serba questo parto racchiudendo insieme il dolore che in quel parto è contenuto; un venire al mondo, sì meraviglioso, eppure così attutito, così costretto da quella fragilità di creatura che sembra svilire ogni nascere. E l’equilibrio è assoluto, non c’è aspetto che prevalga sull’altro: non c’è un dolore più forte della nuova vita, resta uno splendore che non sa confortare: ha visto l’orrore, e nonostante ciò non cessa di essere...Il verso finale di Celan suona con la pesantezza d’una preghiera che non si sa pronunciare: una preghiera che da altro è impedita e che pure può solo sperare che qualcun altro abbia la forza di proferire: un grido nel grido - un grido di altri che proviene da lontano, da quella terra ormai perduta, un’assenza ch’è il silenzio di soglia in soglia, tra un sillaba e l’altra del balbettare, come dolore di altri nel proprio dolore, mai posseduto, mai veramente esperibile, mai nostro - non solamente nostro: appunto, che non sa confortare. E l’ultima parola di Celan in Assisi, si rivolge direttamente a Franz, al santo poverello rivolgendo a lui la sua impronunciabile preghiera: I morti, Francesco, implorano ancora. Giacomo Petrarca g.petrarca@hotmail.it Nota per approfondire. Tutte le poesie di Celan sono raccolte in: Paul Celan, Poesie, I Meridiani, Mondadori, Milano 1997. Esistono anche alcune raccolte edite da Einaudi: P. Celan, Conseguito silenzio, Einaudi, Torino 1998/ P. Celan, Di soglia in soglia, Einaudi, Torino 1996/ P. Celan, Sotto il tiro dei presagi. Poesie inedite 1948-1969., Einaudi, Torino 2001/ P. Celan, La verità della poesia. Il “meridiano” e altre prose, Einaudi, Torino 2008. Vi sono anche molti saggi critici sul tema, tra i quali si segnalano le pagine di G. Bevilacqua (traduttore italiano di Celan) introduttive alle edizioni delle poesie e il testo di V. Vitiello, I tempi della poesia. Ieri/oggi, Mimesis, Milano 2007.

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C h i u so la dom enica

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L I C E O

S C I E N T I F I C O

Le biomasse: nuova strada verso un futuro rinnovabile

Quando non c’è energia non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita. Così diceva Caravaggio riferendosi all’ arte, ma, contestualizzando il concetto ad oggi, la fine di un certo tipo di energia è proprio il destino che ci attenderebbe se non prendessimo subito seri provvedimenti. Le risorse esauribili, motore della nostra società, stanno inesorabilmente diminuendo; potremmo sopperire a ciò sfruttando risorse reali che molto spesso, per i motivi più disparati, vengono ignorate. Una di queste è la Biomassa. Essa può essere composta o da materia vivente (vegetazione) o da materia non vivente (rifiuti organici); ne esistono varie tipologie, a partire NARNI dai residui forestali e dalla loro successiva lavorazione fino ad arrivare ai rifiuti solidi urbani. In quest’ultimo caso potremmo essere noi stessi a contribuire alla salvaguardia delle energie esauribili sfruttando a nostro vantaggio ciò che oggi buttiamo. Di questo tipo di risorsa se ne fa un uso massiccio specialmente nei paesi in via di sviluppo grazie all’ economicità della lavorazione e alla facile reperibilità. Per quanto riguarda l’utilizzo della biomassa nei paesi industrializzati è importante notare che la percentuale di energia da essa ricavata si attesta su valori più o meno pari in Europa e negli USA. Considerando più da vicino la sfera europea, il primato dell’utilizzo di energia derivante da questa fonte è detenuto dai paesi nordici, la cui percentuale d’utilizzo è attorno al 16%; al contrario per l’Italia questa percentuale raggiunge appena il 2%. Un particolare tipo di biomassa è il pulper; questo non è altro che materiale organico non puro, derivante anche dai rifiuti urbani della raccolta differenziata. Prendendo in considerazione il centro Italia la regione leader nella produzione di pulper è la Toscana. All’ energia che utilizziamo quotidianamente ci si arriva attraverso determinate fasi: tutti i rifiuti di carta e cartone vengono raccolti e trasformati in pulper e infine utilizzati come combustibile nei termovalorizzatori. Il calore generato dalla combustione della biomassa serve a scaldare dell’acqua, il cui vapore, convogliato attraverso condutture forzate, viene utilizzato per far ruotare le pale di una turbina. Da questa rotazione si produce energia che viene in seguito immessa nella rete nazionale. Questo processo inevitabilmente produce delle scorie che necessariamente devono esse prima classificate e poi smaltite secondo le norme vigenti. Vista la presenza di una combustione non mancano emissioni gassose; queste devono essere trattate sia attraverso sistemi di filtraggio, che ne eliminano le sostanze inquinanti, sia monitorate costantemente da aziende ed enti, statali e non, quali, per esempio, centri di ricerca ambientale, università, ASL etc. Pulper Il monitoraggio costante è fondamentale poiché, in caso di malfunzionamento di qualche impianto depuratore, si può intervenire immediatamente in modo da evitare l’eventuale immissione nell’atmosfera di particelle inquinanti. Da qualche anno a questa parte l’utilizzo di una combustione attraverso biomasse è incrementato a discapito dei vecchi sistemi utilizzati quali per esempio il metano. I vantaggi di questa situazione si riscontrano sia nel campo ambientale, sia in quello economico; infatti il costo per lo smaltimento dei rifiuti nei termovalorizzatori è decisamente minore rispetto a quello in discarica, e il fatturato complessivo delle aziende del settore è sensibilmente aumentato producendo in queste bilanci annui estremamente positivi. Questo è dovuto ad un impegno maggiore da parte di istituzioni, aziende e cittadini verso le energie rinnovabili ancora non sufficiente però ad archiviare il problema energie esauribili. Marco Cudini - Giacomo Taddei VA

Quando giunge il crep u s co l o E`giusto costringere un malato a un prolungamento di vita sofferente e senza speranze? Noi cosa faremmo, se fossimo al posto dei parenti di quel malato? Questo triste problema nasce nella nostra epoca a causa di due fattori. Il primo è l’enorme progresso compiuto nel XX secolo dalla scienza medica, un progresso che ha allargato e reso vago e indistinto quello che prima era il netto e chiaro confine fra l’essere vivo e il non esserlo. Il secondo fattore, germogliato nel XVIII secolo, è l’inserimento nella lista dei diritti imprescindibili dell’uomo, accanto al diritto alla vita, del diritto alla felicità. Questo ha portato nei decenni a ritenere che non valga la pena di continuare a essere al mondo, se non si è felici. Ma è giusto tutto ciò? Nel Giuramento di Ippocrate, che ogni dottore deve conoscere, si declama: Non somministrerò ad alcuno un farmaco mortale, neppure se richiesto, né suggerirò un tale consiglio. In Italia, giuridicamente, tutte le forme di eutanasia (attiva, passiva, suicidio assistito, interruzione terapeutica…) sono considerate alla stregua di omicidi volontari. Recita l’articolo 579 del Codice Penale: Chiunque causi la morte di un uomo con il consenso di questo, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni. La cosi detta Buona Morte è dunque un reato! Su tali posizioni si schierano anche il Consiglio d’Europa (Il medico (…) non ha il diritto di affrettare il processo (…) della morte, anche nei casi che sembrano disperati) e il Codice italiano di deontologia medica (In nessun caso, anche se richiesto dal paziente o dai suoi familiari, il medico deve attivare mezzi tesi ad abbreviare la vita dell’ammalato). I fautori dell’eutanasia sono soliti dire che vita è?, ma è vita quella?, non è dignitoso essere in quello stato! Davvero? E perché mai quella persona non sarebbe degna di vivere? Perché una parte del suo cervello non funziona? E’ la funzionalità del nostro corpo a stabilire se siamo degni o no di essere in vita? Proviamo a farci una domanda: perde di più la sua dignità un uomo che prende una pistola e massacra la sua famiglia oppure un uomo che per una malattia perde la capacità di muoversi? In Europa la vita del primo sarebbe comunque considerata sacra e intoccabile, mentre per quanto riguarda il secondo… tanto vale farlo morire, perché la malattia gli ha tolto la dignità. In realtà la vita è un diritto, ma anche e soprattutto un dovere, e, così come è giusto che il primo uomo viva, è altrettanto giusto far vivere anche il secondo. E’ vero, c’è chi la pensa diversamente, e non va bene imporre la propria idea agli altri. Ma qui non stiamo parlando di una cosa qualsiasi, di una legge qualunque. Stiamo parlando di difendere la vita, che è sempre vita anche se non è come la vorremmo! E questo valore, specialmente in un paese come l’Italia, da anni in prima linea nella lotta per l’abrogazione della pena di morte nel mondo, dovrebbe essere Leonardo Liberati IVC la base della nostra civiltà e del nostro considerarci uomini.

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La Provincia di Terni per la cultura

Oggi come 19 anni fa: fare i conti con il proprio razzismo “Scriveva Faulkner che “vivere in qualsiasi parte del mondo oggi ed essere contro l’uguaglianza per motivi di razza o di colore è come vivere in Alaska ed essere contro la neve”. Ebbene, proprio perché certi eventi xenofobi stanno dimostrando che sono sempre più quelli che sono contro la neve, il “Progetto...” ha vuole dedicare tutta l’attenzione a questo problema. Siamo convinti che il razzismo è soprattutto un problema culturale, e le motivazioni di ordine economico che spesso si adducono per giustificarlo non sono che la cartina di tornasole del pregiudizio che lo alimenta.”. Con queste parole nel 1990 il Progetto inaugurò il percorso che, partendo dal titolo Allarmi, siam razzisti attraverso I have a dream..., portò a quel lungo lavoro di indagine su razzismo e discriminazione, sulla nostra storia di colonizzatori e di emigranti e sul concetto di patria, che per anni ha impegnato i ragazzi nei laboratori di Progetto Mandela e ha portato a Terni, in quei primi anni di presenza degli immigrati in città, un ampio dibattito sul tema attraverso mostre, conferenze, spettacoli e ogni sorta di manifestazione. L’impegno fruttò all’associazione il Premio cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, più di una vetrina nazionale su Rai Due e, cosa assai più importante, la sensazione di aver smosso qualcosa, per essere tutti un po’ meno razzisti.

L’Europa verso una società interetnica A 19 anni di distanza, il fenomeno dei migranti, che allora si affacciava appena, non solo non è stato affrontato seriamente dalla politica italiana ed europea, ma oggi più che mai è strumentalizzato per creare paura e far rifiorire il razzismo latente. Bisogna dunque ritornare a parlarne. In termini attuali, informando realmente, documentando, analizzando parole come respingimento, clandestino, entrate violentemente nel nostro quotidiano senza che spesso ci rendiamo conto della loro gravità e portata. Paura, pregiudizio, razzismo, violazione dei diritti fondamentali dell’uomo: questi i temi centrali da affrontare con i giovani in una società che tenta di negare il suo essere già multietnica e sembra non conoscere altri strumenti che percepire il fenomeno delle migrazioni come pericoloso e destabilizzante.

Viva l’Italia? A 150 anni dall’Unità d’Italia chi sono gli italiani? Chi sono gli stranieri? Nel 2011 l’Italia celebra l’anniversario dell’Unità nazionale: un’occasione che deve diventare un’opportunità importante per lanciare uno sguardo alla storia del nostro paese per indagare sul concetto di patria e di nazione, sulle trasformazioni e sul loro significato oggi all’interno di una società interetnica. Chi è italiano, chi è straniero? Gli immigrati di 2° generazione sono cittadini italiani? Il Progetto, come è nella sua tradizione, non si sottrae alle occasioni ufficiali, ma invita a cambiare punto di osservazione, a lanciare uno sguardo critico e considerare, al di là della retorica patriottica che invaderà il nostro paese, l’attuale tematica della cittadinanza.

L’Europa dei Diritti negati Il tema dell’Europa e delle migrazioni sarà affrontato anche dal Centro per i Diritti Umani con una serie di attività (seminari, conferenze, mostre e spettacoli) che avranno come tema centrale la condizione delle donne migranti. L’Europa dei Diritti negati: La violenza sulle donne; Le donne migranti e la nuova tratta delle schiave; Le donne nei campi di sterminio naziste: una resistenza al femminile; Sostenibilità ambientale: una rivoluzione possibile. Sono allo studio una serie di iniziative per la diffusione della cultura della sostenibilità usando le metodologie di comunicazione integrata che contraddistinguono il Progetto, in collaborazione con Enti, Associazioni e privati. Il raggiungimento dell’obiettivo europeo del 20-20-20 necessita di una presa di coscienza forte che il Centro per i diritti umani affronterà creando al suo interno un gruppo di studio e di sperimentazione che si occuperà di comunicazione ed educazione ambientale. Per il Centro è inoltre in elaborazione una pubblicazione didattica sulla storia dei Diritti Umani curata dal Prof. Marcello Ricci. Oltre a queste attività, che delineano i filoni tematici da affrontare nei prossimi due anni con i giovani nei laboratori e nella proposte teatrali e culturali in genere, l’Associazione si sta impegnando a realizzare altri obiettivi: - Istituzione di un premio di drammaturgia europeo legato alle tematiche civili e dei diritti come primo passo verso un festival del teatro impegnato socialmente; - Potenziamento dell’Archivio del Centro per i Diritti Umani; - Pubblicazione del catalogo della mostra Ventiditolleranza allestita a Palazzo di Primavera per documentare 20 anni di attività del Progetto...; - Valorizzazione e utilizzo della mostra “Nera’70” sugli anni ‘70 a Terni; - Digitalizzazione dell’archivio sonoro di Radio Evelyn, che rappresenta un mezzo unico per documentare e comprendere la storia di Terni in quegli anni. Tante sono le collaborazioni in fase di attivazione e in attesa di poter diventare operative e dare forma alle idee che per ora sono sulla carta e pronte per settembre per l’apertura dei laboratori di Progetto Mandela e del Centro per i Diritti Umani. Irene Loesch

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Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere MK Gandhi Mi capita, talvolta, di prendere tra le mani il dizionario della lingua italiana e di sfogliarlo… senza essere alla ricerca di un vocabolo in particolare, piuttosto per imbattermi in parole sconosciute di cui ignoro l’idioma e soprattutto il significato. Oppure esamino le definizioni di parole di uso comune che ogni giorno mi capita di proferire, ma delle quali non necessariamente ho colto, nel tempo, il vero senso. Un gioco… ma, senza dubbio, estremamente costruttivo ed illuminante. Giorni fa, scorrendo la lettera S, mi sono imbattuta nella parola Solidarietà… niente di più comune! Vincolo di interdipendenza che unisce tra loro determinati esseri ed in particolare l’insieme dei legami affettivi e morali che uniscono l’uomo singolo alla società di cui fa parte, e questa con lui. Una parola così semplice, usuale, diffusa, per non dire inflazionata, ha assunto per me, in quel momento, un significato grandioso, essenziale, universale. Non mi ero mai soffermata sul reale concetto, non avevo mai preso atto del valore di tale semplicità. Allora, solidarietà = coscienza viva ed operante di tutti noi a partecipare con impegno alla vita della nostra comunità condividendone le necessità = opposto di indifferenza ossia del grande male che affligge la nostra società. Non l’elargizione del più abbiente verso il meno abbiente; non la tolleranza reciproca che ci mantiene intatti senza recare fastidi agli altri; non l’assistenzialismo gratuito. La solidarietà è l’essere consapevoli che le disgrazie degli altri non sono problemi che non ci riguardano, ma dei quali dobbiamo farci carico con dedizione al bene comune, spirito di sacrificio, volontà di collaborare, lottare, vincere! E’ l’operare affinché si coniughino la giustizia sociale con lo sviluppo e le ricchezze del territorio e con le risorse umane. E’ sostenere chi non ha; è la creazione di prospettive per la società civile; è la via della prosperità per il pubblico ed il privato; è la creazione di una ricca rete di strutture mirate che lo Stato deve creare per proteggere noi, comuni cittadini. Tempo di elezioni. Nell’aria tiepida, al dolce profumo della primavera inoltrata si mischia quello ancor più seducente di promesse solidali che speriamo non si perdano nella brezza. La nostra città si prepara alla scelta di individui che ispirino fiducia, che prospettino un futuro migliore, che siano in sintonia con le esigenze personali e con quelle del territorio, che facciano in modo di giungere ad una svolta per avvicinarsi al benessere globale che tutti noi cittadini lavoratori, studenti, pensionati, imprenditori meritiamo! Ma non possiamo contare solo sulle nostre scelte! Si tratta di prenderci tutti un grosso impegno: candidati, non candidati, eletti, non eletti… affinché in questa nostra città funzionino almeno quelli che sono i segni minimi di civiltà. Occorre educazione… occorre prevenzione… occorre azione. Stiamo vivendo un momento di grande crisi globale, un momento in cui la maggior parte di noi non riesce ad arrivare a fine mese tra mutui, rate, bollette o spese necessarie di sopravvivenza; il lavoro non c’è e per i nostri figli il futuro non si prospetta così tanto roseo; la spazzatura fa da padrona insieme al trasgressivo a tutti i costi e alla polemica gratuita quindi distruttiva; la nostra città non può più basarsi sui ritmi scanditi esclusivamente dalla fabbrica. Dobbiamo lottare tutti insieme per riscoprire una Terni migliore… è arrivato il momento di darle una nuova identità. Investiamo sulla valorizzazione del nostro splendido territorio, amato ed apprezzato… si creerebbero così nuovi posti di lavoro e si incentiverebbero il turismo, il commercio, l’artigianato… Sviluppiamo progetti a favore delle fasce più deboli (disabili, malati, anziani, bambini, donne sole con salari bassissimi e con figli a carico, famiglie indigenti, …) tenendo conto delle reali problematiche, offrendo assistenza (anche economica!) e cure adeguate. Riguardo la sanità, puntiamo allo sviluppo delle risorse umane e delle professionalità d’eccellenza, diamo voce alla ricerca, all’innovazione, all’occupazione; creiamo un fondo da destinare alle cure gratuite di malattie gravi o degenerative per i cittadini a basso reddito. Diamo voce e spazio ai nostri artisti che con la loro musica, i loro dipinti, le loro poesie, con le loro produzioni hanno dato e danno lustro alla nostra città e che sempre più spesso sono costretti a trasferirsi altrove perché la loro arte sia riconosciuta. Diamo un taglio a favoritismi e privilegi che premiano tutto fuorché la trasparenza e la meritocrazia. Risolviamo il problema del traffico che congestiona la nostra città con gravi conseguenze di inquinamento ambientale, del parcheggio selvaggio ed incivile ovunque e comunque, dell’impossibilità di passeggiare tranquilli sui marciapiedi lordati da lasciti di cani. Preveniamo gli atti di vandalismo: furti, scippi, rapine, schiamazzi notturni, muri deturpati... occorre ordine e disciplina. E soprattutto controllo e sanzioni. Solo una preghiera alla giunta che, a prescindere dal colore, amministrerà prossimamente il nostro comune: ascoltate la voce di noi cittadini! Non vi nascondete dietro muri di gomma! Scendete per le strade, vivete la città! Ascoltate la gente! Siate solidali! Noi donne, uomini, operai, piccoli imprenditori, studenti, pensionati, malati, disabili non ci arrenderemo più a quelle caste di potere che, per troppo tempo, si sono disinteressate dei nostri problemi! Pretendiamo un futuro migliore per la nostra città, per noi e per i nostri figli! Solo stando bene con noi stessi potremo star bene con gli altri… aiutateci a farlo. Anna Mattioli Solo così potremmo vivere in pieno la vera solidarietà! Ho collaborato, per la stesura di questo articolo, con la mia cara amica, nonché nostra concittadina Emanuela Ruffinelli. Ho voluto dar voce a quelle che sono le sue proposte per una Terni che possa volgere sempre di più verso la civiltà ed il progresso morale. Emanuela si trova ora in ospedale, vittima di un brutto incidente. Mi stringo nell’abbraccio di tutti coloro che le vogliono bene, augurandole di guarire al più presto per collaborare attivamente al nostro progetto di città cosciente.

Foto di Emanuela Ruffinelli

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L’arte è trasformazione? L’Arte è sempre riconducibile ad un vissuto che l’artista sintetizza mirando all’essenziale. Gli artisti contemporanei devono trovare le risposte a mutamenti di esperienze, materia prima dell’arte. Incorporando stili, soggetti e forme, richiamando l’attenzione da nuovi punti di vista su oggetti molto diffusi, ci rendono ragione di come si Associazione modifichino i simboli e i miti nel volgere del tempo. Allora, se l’Arte è trasformazione di esperienza, si può legittimamente sostenere che l’Arte è tanto più originale quanto più radicale è la trasformazione (certamente da non intendere come: meno Interamnense verosimiglianza più arte!). Peraltro, quando un’opera si distacca da una realtà visiva, fino ad un estremo limite, spesso c’è il di Cultura rifiuto da parte dei fruitori. Si è disposti, in genere, ad accettare deformazioni molto accentuate delle figure, dei colori che non trovano corrispondenza nella realtà, composizioni più o meno irreali; tuttavia ci sono opere che sembrano andare al di là di ogni limite consentito alla libertà ed alla immaginazione del singolo artista. Alla luce di queste brevissime considerazioni ci piace segnalare la mostra dell’artista Sandro Tomassini che si inaugurerà a Narni, alla Rocca Albornoz, Sabato 6 e Domenica 7 Giugno. L’uso che questo artista fa del legno come base delle forme, dei colori, al limite tra disegno ed astrazione in una fantasmagorica cascata di Immagini Variabili ci immergono in un mondo tridimensionale polimaterico di colore-luce che rivoluziona lo spazio pittorico. Opere con movimento reale non sono una novità assoluta essendoci stati artisti in passato che hanno creato opere che si muovono realmente e si modificano nelle forme, nei volumi e nei colori con sistemi vari; per effetto dell’aria (Calder), con meccanismi (Bury e Tinguely) o con la caduta dell’acqua (le sculture idrauliche di Bury), con apparecchiature elettroniche (Schoffner). Le opere di Tomassini si diversificano da quelle del passato poiché richiedono l’intervento manuale dell’osservatore che diventa così coautore e interloquisce empaticamente con l’opera modificando le proprie emozioni a seconda del momento e dello stato d’animo. Per ARCHE’ Paolo Maggiolini

sioni, dove materiali poveri, come l’uso della carta da pacchi al posto della tela, acquistano bellezza e importanza grazie all’atto artistico di Matteo che, con un personalissimo tocco, riesce a far vibrare di energia quelle che apparentemente possono sembrare figure fragili. La ricerca costante di ciò che è nascosto in ognuno di Noi continua ad essere impressa su carta da Matteo Quinto che, con una forza inusuale, contrasta la dolce vulnerabilità del suo tratto non finito, ottenendo opere uniche dentro le quali ognuno di noi si può rispecchiare. Matteo Quinto vive e lavora a Verona.

Families di Matteo Quinto curated by Chiara Ronchini

Dopo l’esibizione On Up, Box Of Emotions continua il suo percorso con Matteo Quinto, giovane Artista che porterà le Sue Family alla galleria Da.Co di Temi in una personale affollata di personaggi. Families sarà l’opportunità per riflettere sulle nostre differenti possibilità di Essere e nello stesso tempo la dimostrazione che nella differenza risiede l’unicità dell’Essere nei Sentimenti, nelle emozioni e nei desideri. Volutamente non incorniciate, le opere di Matteo Quinto si presentano in grandi dimen-

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10 anni! OSTINAT…amente

O S T I N AT O Compleanno

Un applauso, per una performance davvero ricca di sfumature e di possibili interpretazioni, forte di G. Bottero, Mucchio Selvaggio un fascino esotico e nel frattempo impregnato di italianità.

Ho avuto la fortuna di assistere a più di un concerto degli O S T I N ATO ed ogni volta, dalla prima nota, sono stata coinvolta in un viaggio fantastico a cavallo tra sofisticate incursioni elettroniche ed improvvisazioni jazz… un viaggio di suggestive ed affascinanti reinterpretazioni ricche di sfumature… un viaggio in cui la componente elettronica non risulta affatto invasiva, ma piuttosto amplifica, con grande delicatezza, le atmosfere emozionali tipiche del jazz e della bossa nova. Spesso impreziosita dalla presenza del grande percussionista Karl Potter, la musica degli O S T I N ATO offre un esempio di come un certo filone del jazz elettronico, che affonda le sue radici tra gli anni ’70 e ’80, possa essere oggi riletto alla luce di un mix di differenti rielaborazioni ed emozioni musicali. Durante il concerto, passando da un brano all’altro, cercando di coinvolgere il pubblico con letture e battute dirette, la stupenda voce di Lisa Maroni, dà corpo ad interpretazioni che rimandano alle atmosfere del jazz classico anche quando, forse nel momento più suggestivo e coinvolgente, si viene travolti da una ambientazione tipicamente sudamericana. Ci si sente incredibilmente toccati nel profondo quando, durante il brano In presença do Tom (dedicato al grande compositore brasiliano A. C. Jobin, detto Tom), la voce di Lisa alterna le note alla lettura di poesie ed aforismi dello scrittore portoghese Fernando Pessoa: … Solo nell’illusione della libertà, la libertà esiste… Quasi commovente il momento in cui, durante il brano Thursday the Seventh, composto in memoria della Strage di Londra del 7 luglio 2005, Lisa, eccellente anche come attrice, entra in scena avvolta da un velo nero. Estremamente emozionante, all’interno del brano Song X, il reading di alcuni passi de La parabola del seminatore di O. Butler durante il quale emerge il tema dell’ iper-empatia, malattia che permette di sentire su di sé, psicologicamente e fisicamente, il dolore altrui.

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UN PO’ DI STORIA Il progetto Ostinato nasce nel ’99 a Terni da un’idea di Andrea Belli, nostro esimio concittadino nonché sassofonista, compositore ed arrangiatore, di coniugare le tipiche sonorità del jazz e degli strumenti acustici con le suggestioni della dance, della musica elettronica e del djing. Tutti i brani eseguiti dal gruppo sono stati composti dallo stesso Andrea Belli. L’egregia formazione musicale e la collaborazione con alcuni dei più importanti nomi della musica mondiale ( Karl Potter, Amii Stewart, Wendy Lewis, Andy Gravish,…) costituiscono il mix che rende piena di fascino la proposta degli Ostinato che, con il loro grande impatto live, portano in giro per l’Italia e l’Europa il loro originale progetto artistico. Gli Ostinato hanno all’attivo una importante discografia con distribuzione a livello europeo e mondiale: Worldbeat (2001) Billy & the Clouds (2003) Voices (2004) Dr. Vynil & Mr. Byte (2007). Se avrete la fortuna di assistere ad un concerto di questo gruppo, sappiate che: ANDREA BELLI suona sax soprano e tenore e gestisce i synts ed i live electronics LISA MARONI canta e recita GIACOMO ANSELMI suona la chitarra FABIO PICCHIAMI suona le tastiere i synts ed i live electronics ALESSANDRO BOSSI suona il basso elettrico ed il contrabbasso ALESSANDRO RICCI suona la batteria e le percussioni TIZIANO RIBISCINI dà il suo apporto di dj con sonorità old-school e broken-beat. Se la fortuna vi assisterà ancor di più KARL POTTER vi delizierà con la sua voce e le sue superlative percussioni! P. S. Gli OSTINATO saranno presenti in luglio a Perugia durante Umbria Jazz e ad agosto a Rieti durante il Festival Bel Canto. Per maggiori informazioni info@ostinato.it.

In questa miriade di sensazioni che coinvolgono nel corpo e nell’anima gli spettatori, emergono i campionamenti elettronici gestiti da Andrea Belli, leader del gruppo, e gli interventi di sax dello stesso, spesso raddoppiati o sostenuti dalla chitarra di Giacomo Anselmi e dagli inserti tastieristici di Fabio Picchiami. Una musica sublime che, seppur nelle differenze legate ai diversi brani proposti, risulta omogenea… quasi un morbido tappeto timbrico sul quale si stagliano la voce sublime di Lisa e le percussioni di Potter che con i suoi dinamici e coinvolgenti scarti ritmici diventa fonte di spunto per gli altri musicisti. E così via… fino alla fine di un’esibizione stupenda, imperniata tra suono e parola, tra elettronica e calore, tra ipnosi e realtà, che lascia nello spettatore le sensazioni più nobili: l’appagamento per aver goduto di una esperienza sonora sublime e la consapevolezza di vivere quell’idea di pace globale, che è stata il filo conduttore di tutto il concerto. I nostri auguri a questa band, onorevole rappresentante della nostra città, per ancora 10 + 10 + 10 + 10…... anni di grandi successi! Anna Mattioli

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Alcuni dicono che Talete sia stato il primo a sostenere l’immortalità dell’anima. Primo anche a scoprire il passaggio del sole da solstizio a solstizio. Primo a mostrare che la grandezza del sole è la settecentoventesima parte dell’orbita solare. Per primo chiamò trentesimo giorno l’ultimo giorno del mese.

La Pagina non uscirà nei prossimi due mesi e quindi le indicazioni su questo numero serviranno a coprire quasi nella sua interezza il periodo estivo. Sono i mesi più caldi, si va più volentieri in montagna e si ha l’occasione di scrutare il cielo. Chi ha seguito gli articoli dei mesi precedenti sa come equipaggiarsi opportunamente e consultare le mappe stellari. In questo numero vi indicherò alcuni luoghi, nei dintorni di Terni, ad una discreta altezza e scarso inquinamento luminoso, raggiungibili in macchina con soli 30/45 minuti e dove è ancora possibile osservare la Via Lattea. Prati di Stroncone: superare la piazzetta principale e prendere la strada che costeggia il campeggio. Dopo circa un chilometro e mezzo, superato il maneggio, siamo a circa 950 mt di altezza, sui piani di Ruschio. Polino: qualche decina di metri prima del valico di Colle Bertone, prendere a sinistra. Superati i villini esistenti, a sinistra si apre un pianoro a 1250 mt di altezza, veramente interessante dove la vista spazia a 360 gradi. Sulle montagne di Cesi: superato l’osservatorio astronomico e la chiesetta di S. Erasmo, arrivare alla fine della strada sterrata. Siamo a circa 1000 mt. sotto Torre Maggiore e si gode di un bel cielo scuro specialmente verso nord e verso est. Pro s s im i a p p u n t a m e nti Mese di Giugno Martedì 2, 9, 16, 23 e venerdì 26: ore 21.30 Osservatorio di S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Mese di Luglio Martedì 7, 14, 21, 28 e venerdì 31: ore 21.30 Osservatorio di S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio. Sabato 18 a Forche Canapine : Star Party Mese di Agosto Martedì 4, 18, 25 e venerdì 28: ore 21.30 Osservatorio di S. Erasmo Osservazione ad occhio nudo e al telescopio Martedì 11, ore 21.30 Osservatorio di S. Erasmo: La notte delle stelle (osservazione dello sciame delle Perseidi). Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

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Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Talete, 24

Una

costellazione

al mese

Nel numero di giugno dello scorso anno abbiamo imparato a rintracciare nel cielo il famoso triangolo estivo: Vega della Lira, Altair dell’Aquila e Deneb del Cigno. Partiamo proprio dalla Lira: tra la Lira e la Corona boreale (ricordate?) abbiamo la celeberrima costellazione di Eracle o Ercole, il cui corpo principale è costituito da un compatto trapezio rovesciato. Ercole è l’eroe greco più famoso: figlio di Zeus e Alcmena, fu protagonista di molte nobili imprese, in particolare delle dodici fatiche. Giove, a riconoscimento del suo valore, lo collocò in cielo. La costellazione contiene uno degli ammassi globulari più belli e famosi, almeno alle nostre latitudini, M 13. Nelle notti limpide lo si vede ad occhio nudo come una stellina sfuocata. Con un binocolo assomiglia a una macchia lattiginosa del diametro poco inferiore alla Luna piena: due stelline poste ai lati ne agevolano l’individuazione. Dovrebbe contenere centinaia di migliaia di stelle; alcuni parlano di un milione. Dista circa 23.000 a.l. dal nostro pianeta e il suo diametro reale è di almeno 100 a.l.. Per rintracciarlo unite con una linea le stelle Zeta ed Eta e spostatevi verso Eta di circa due terzi. Sotto Ercole e sopra lo Scorpione troviamo una delle costellazioni più vaste l’Ofiuco, che viene attraversata dall’eclittica nella parte meridionale anche se non è stata inclusa tra le costellazioni zodiacali. E’ caratterizzata soprattutto dalle stelle che ne delimitano i contorni, lasciando vuota un’ampia regione centrale. Ofiuco, l’uomo che regge il serpente, è identificato con il medico Esculapio che aveva imparato proprio dai serpenti il segreto di guarire le persone: ecco perché il serpente è il simbolo della medicina. La costellazione del Serpente è divisa in due parti: la Testa si trova ad occidente di Ofiuco proprio a sud della Corona Boreale, mentre la Coda si trova ad est. Giovanna Cozzari


Equinozzi e Sostizzi Lu pomeriggiu de lu 13 Dicembre stavamo a ggioca’ a ttressette co’ lu mortu... zitti zzitti... da ‘llu spilorciu de Zzichicchiu... co’ lu riscallamentu spentu e cco’ ‘na lucetta che pareva da sta’ llà lu cimiteru. Quanno a ‘n certu puntu j’ho fattu... giustu pe’ rrompe lu ghiacciu che... ss’era formatu anche su l’alitu... pe’ lu friddu che cc’era llì dentro... Brrr... ammappelu quantu s’è ffattu scuru... ‘n ce se vede mancu a ddi’ àmmene! Come se nn’ésse capitu la ‘ntifona... issu me tt’ha rispostu tuttu sibbillinu...... Fino a lu sostizziu è ssempre peggio! Sicuru d’avellu cordu ‘n fallu... j’ho ‘rfattu... A Zzichi’!... Me sa che tte stai sbajanno... oggi è Ssanta Lucia... lu ggiornu più ccortu che cce sia! M’ha guardatu co’n’aria de sufficienza e... Devi sape’... m’ha spiegatu... che dda quanno Papa Gregoriu... lu 1582... a qquilli che sso’ annati a ddormi’ lu 4 de ottobre... l’ha fatti sveja’ lu giornu dopo dicennoje ch’era lu 15, Santa Lucia... che sse cumbina sempre de lu tredici, non è ppiù lu giornu più ccortu... e ’llu proverbiu ce sta solu pe’ ffa’ rima! Dopo de allora le giornate proseguono a ‘ccorciasse fino a lu sostizziu de ’nvernu ch’è lu ventunu de dicembre e poi s’allungono de novu fino a lu sostizziu d’estate... ch’è lu ventunu de giugnu. E ppo’ m’ha dittu che cce stanno anche le mezze misure... tantu de giornu e... tantu de notte... quelle però... so’ lu ‘quinozziu de primavera... lu 21 de marzo... e lu ‘quinozziu de autunnu... lu 23 settembre. Datu che sso’ come San Tommasu... pe’ èsse cunvintu volevo prima accertamme... me so’ ffattu spiega’ ‘n che momentu de lu giornu potevo ‘ncumincia’ a cconta’ l’ore de chiaru e de scuru. M’ha dittu da lo spunta’ a lo spari’ de lo Sole... cucì ‘n ce cchiappi lu crepusculu. Quillu che steva a ggioca’ co’ nnoi... a ‘n certu puntu cià fattu... A mme pare chiaru che qqui è tuttu scuru! A Zzichi’... ne sai una più de lu ddiavulu... però è mmejo che smettemo de ggioca’ e seguitamo quanno è passatu ‘stu sostizziu. Io ciò ffriddu... ‘stu luscu e bruscu me fa vede’ lucciole pe lanterne! Scusame tantu... ma io ‘n so’ èsse tantu sibbillinu! C’emo da sta’ tantu tempu a lu scuru quanno ce porteranno là ll’alberi pizzuti... e ppo’ so’ ddu’ vorde che mme scòrdo da ‘ccusa’ ‘na napoletana... ce l’eva lu mortu e non m’ete dittu gnente! Brrr... accenni ‘sta luce va’... che cce n’annamo! Sennò invece che a ttre ssette co’ lu mortu... giocate solu voi due... ma co’ lu mortu veru! paolo.casali48@alice.it

ASTROrime… Sole E’ la stella più vicina… (149,6 milioni di km) pare sfera di metallo… (d=1.392.530 km) è una media cittadina (stella nana) di colore arancio giallo. (5000°C/6000°C) Noi vediam la fotosfera anche la granulazione… qualche macchia ancor più nera (circa 4000°) fa notar la rotazione. (25,3gg equatore;34gg poli) E’ da tanto che ci arrossa… (5 miliardi di anni) altrettanto tempo manca… diverrà gigante rossa e alla fine nana bianca. PC

Qui Mare della Tranquillità: Aquila è allunata 1969, quarant’anni fa… Eravamo nel pieno della contestazione studentesca scaturita dal maggio francese, si facevano manifestazioni per la pace nel Vietnam, una donna veniva eletta primo ministro di Israele, si preparava il festival di Woodstock, i Beatles tenevano il loro ultimo concerto e i Led Zeppelin pubblicavano il loro primo album, nei cinema proiettavano Queimada, Easy Rider o Fellini-Satyricon, nasceva Michael Schumacher e moriva il generale Eisenhower, Gianni Rivera era Pallone d’Oro e Felice Gimondi vinceva il N e il A r ms trong - M ichael Col l i ns - Edwi n Al dri n gli as tronauti del l a mi ssi one Apol l o 11 Giro d’Italia, si cantavano canzoni come Rose rosse, Acqua azzurra acqua chiara, Lisa dagli occhi blu e la scandalosa Je t’aime moi non plus, ma qualcosa di grandioso ci attendeva… 21 luglio 1969, ore 2.56 (ora di Greenwich). In Italia erano le 4.56 di una notte indimenticabile. Eravamo tutti davanti ai televisori in bianco e nero, sintonizzati sul Primo Programma (ancora non si chiamava Rai1) e seguivamo quasi senza fiato le parole di Tito Stagno che commentava la diretta con Houston. Dall’altra parte dell’Oceano avevamo un mitico corrispondente italiano che da anni ci raccontava gli avvenimenti USA: Qui Nuova York, vi parla Ruggero Orlando… Cinque giorni prima, il 16 luglio, era stato lanciato dalla base missilistica di Cape Canaveral l’Apollo 11, composto da un modulo di comando, il Columbia, e da un modulo lunare, l’Aquila. A bordo Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins. Destinazione: Luna. Tutto stava procedendo secondo i programmi stabiliti, venne dato il via per il distacco del modulo lunare dalla capsula-madre. Armstrong ed Aldrin stavano scendendo verso il suolo lunare, mentre Collins, sul Columbia, continuava ad orbitare intorno alla Luna. Erano momenti affannosi e tutti ci si rendeva conto che erano tra i più difficili di tutta la missione. Aquila sorvolava il Mare della Tranquillità ad un’altezza di soli 150 metri e poteva rimanere in quella posizione per non più di due minuti, il tempo concesso ai due astronauti per verificare se era possibile atterrare o se si era costretti a premere il bottone “Abort” che li avrebbe immediatamente ed irrimediabilmente rilanciati in orbita. Armstrong inclinò un poco il modulo per osservare il suolo: stavano sorvolando un cratere che egli stesso definì grande come un campo da foot-ball e pieno di massi: non si poteva scendere in quel punto. Con grande freddezza il comandante azionò la leva della velocità e spostò il modulo di circa 6 km dal punto previsto per l’allunaggio, verso una piana liscia e senza ostacoli. Iniziò quindi la discesa verticale: velocità 1 metro al secondo. A questo punto dalle zampe di atterraggio del modulo uscirono delle antenne di sondaggio della superficie lunare, lunghe un metro e mezzo. Quando esse toccarono il suolo lunare sul cruscotto degli astronauti si accese la spia del contatto ed a quel punto Armstrong spense i motori e percorse dolcemente gli ultimi metri che lo separavano dal nostro satellite. Dopo pochi minuti un brivido ci colse in quella calda estate: il primo uomo aveva messo piede sulla Luna: Armstrong è il primo uomo Un piccolo passo per l’uomo, ma un gigantesco balzo Neil che mette piede sulla Luna. per l’umanità! Fiorella Isoardi Valentini 21 luglio 1969

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