La Pagina Giugno 2013

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Numero 1 0 6 Giugno 2013

Mensile a diffusione gratuita di AttualitĂ e Cultura


Soli Soli Soli Chiunque abbia avuto la ventura (se si tratti di fortuna o sfortuna lo lasciamo decidere al lettore) di aver frequentato almeno un corso scolastico di latino, ha certamente incontrato qualche curiosa frase ambigua, in cui restava oscuro non solo il significato (quello capita quasi sempre) ma perfino la “direzione” della traduzione. Frasi insomma che appaiono scritte in corrente italiano, e che pertanto lo scolaro tenta di tradurre in latino, mentre invece sono frasi già in latino che il prof burlone di turno si aspetta che vengano tradotte in italiano. Si tratta ovviamente di giochini curiosi, che di solito vengono usati per allentare la tensione e strappare un sorriso alla classe annoiata dalle fatiche delle declinazioni e coniugazioni; una molto semplice è, ad esempio, “Cane Nero”, che in italiano fa pensare ad un grosso terranova, mentre messa in bocca ad un pretoriano del primo secolo andrebbe correttamente tradotta “Canta, o Nerone”. La più famosa di tutte, certo studiata a tavolino da qualche latinista crudele, è la celeberrima “I Vitelli Dei Romani Sono Belli”. Non c’è ragazzo che possa evitare di cadere nel trabocchetto: tutte le frasi da tradurre nei compiti sono ragionevolmente assurde, e lo scolaro, con pazienza e dizionario alla mano, si predisporrà a lodare in latino l’avvenenza dei giovani manzi delle pianure laziali. A quel punto il professore sorriderà crudele e spiegherà che no, non bisogna tradurla dall’italiano al latino, ma dal latino all’italiano: e sarà con non poca fatica che lo studente giungerà a scrivere sul quaderno qualcosa che suona, più o meno, “Va’, o Vitellio, al richiamo di guerra del Dio Romano”. La frase del titolo “Soli Soli Soli” rientra certo nel genere, ma ha forse dei quarti di nobiltà che superano i giochini didattici. A prima vista può sembrare l’ossessivo ripetersi di una constatazione di abbandono, ma nasconde intenzioni ben più evocative. Va infatti letta in latino, con il primo “soli” interpretato come caso dativo dell’aggettivo “solus, a, um” (“solo”); il secondo sempre come dativo di “sol, solis” (“sole”), e infine il terzo come genitivo di “solum, i” (suolo, terra). Il risultato finale suona più o meno “All’unico sole della terra”, ed è quindi una dedica certo impegnativa. Il destinatario della dedica è Napoleone Bonaparte, che per un bel po’ di tempo ha certo brillato per fama e potenza. Non è comunque facile capire con esattezza in qual modo gli sia stata riferita: secondo alcuni, la frase campeggiava su diversi monumenti dedicati

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all’Imperatore dei Francesi; secondo altri, fu lo stesso Napoleone a riferirla a se stesso nelle sue memorie scritte a Sant’Elena. Certo è che quel terzo “soli”, proprio nel suo significato preciso di “della terra”, è recentemente tornato alla ribalta. Non in un gioco di parole, stavolta, ma piuttosto nelle locuzioni latine che abbondano nel linguaggio giuridico: lo “ius soli”, il “diritto della terra”, campeggia nei titoli di giornali, contrapposto all’alternativo “ius sanguinis”, il “diritto del sangue”. Il primo sancisce che un bambino nato in un luogo ha diritto a chiamarsi abitante di quel luogo; il secondo che il figlio di genitori di una nazione ha diritto ad essere considerato abitante di quella stessa nazione. A volerci pensare con un minimo di apertura mentale, la cosa più sorprendente è che i due diritti siano visti come contrapposti l’uno all’altro. Una coppia di italiani emigrata ad inizio secolo negli Stati Uniti avrebbe ben dovuto avere il diritto di poter considerare italiano il loro figlio nato a Brooklyn; e allo stesso tempo, quel bambino cresciuto all’ombra dei grattacieli di Manhattan, senza aver mai visto le coste d’Italia, avrebbe ben dovuto avere il diritto di considerarsi americano. Non c’è nulla, nei diritti, che ne impedisca logicamente la coesistenza. Ho il diritto di fare una passeggiata a piedi, ho il diritto di fare una pedalata in bicicletta. In Italia, lo “ius soli” non è riconosciuto ai ragazzi figli di immigrati. Il giovane barista che parla cinese coi genitori e milanese con gli avventori non può chiamarsi italiano, anche se non ha mai messo piedi fuori dalla Lombardia. Il muratore di Aversa che va in moschea ogni venerdì e recita il Corano con un vago accento napoletano, non sa neppure immaginare il deserto magrebino, eppure non può dirsi italiano. Questo può accadere solo se ci si ostina a guardare le cose da un egoista e freddo punto di vista esterno: gli immigrati sono altro da noi, diversi da noi. E i loro figli sono altrettanto diversi. Punto di vista che è criticabile di per sé, ma che diventa particolarmente crudele e spietato nei confronti di chi è nato qua. Coloro che non vogliono gli immigrati di solito li apostrofano con l’ottuso slogan “Tornatevene a casa vostra”, senza soffermarsi neppure un istante a pensare come dev’essere la vita a casa loro, se hanno affrontato i rischi e la disperazione di un viaggio drammatico per fuggirne, e se sono disposti a vivere una vita al limite della sopravvivenza in terra straniera. Meno che mai si soffermano a pensare che “casa loro”, per i ragazzi nati in Italia, altro non è che l’Italia stessa. Non hanno mai avuto una casa diversa da questa. Non hanno neppure un posto, per quanto desolato e triste, dove tornare. P i e ro F a b b r i


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Soli Soli Soli - P F a b b r i MEDIOAREA Un Paese da ricostruire - G Raspetti Il lavoro bene primario- M B a t t i s t e l l i Ad ognuno il suo coach... - A M e l a s e c c h e A chi andrà la mia pensione? - M Petrocchi Il triste Karma delle bambine-mucca - F Patrizi RUGBY TERNI Ghiannis Ritsos, un Alceo del Novecento - P Seri C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I G l i Gli affreschi di Santa Maria di Ferentillo - C Favetti F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O Il ricatto - G R i t o L a m i e t i t u r a - V Grechi A S S O C I A Z I O N E C U LT U R A L E L A PA G I N A Esperienze cliniche con oli essenziali in sala parto - L P a o l u z z i A S S O C I A Z I O N E C U LT U R A L E L A PA G I N A BIODENTAL ASSESSORATO COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE ASSESSORATO CULTURA SCUOLA E POLITICHE GIOVANILI LICEO CLASSICO - L P a s s a g r i l l i , N M a z z o c c h i Una buona nuova! - F P a l l u o t t o Primo premio a Nicolò de Majo IMPLANTOLOGIA ORALE - A Novelli CONSORZIO TEVERENERA Il mondo chiuso in un libro - C Colasanti L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I PROGETTO MANDELA N U O VA G A L E N O A l l a s c o p e r t a d i . . . l u n g o l e s t r a d e d e l c e n t ro s t o r i c o - LS T E R N I R I C O R D I D E L PA S S AT O - L S a n t i n i L O S P E C C H I O U R B A N O - V To c c h i Y E S W E U I L - G Ve n t u r i T R O VA R E L AV O R O - M L o c c i CIDAT Artroscopia della caviglia - V Buompadre La spedizione dei mille: la campagna di Sicilia (III parte) - F N eri CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA I L N E M I C O N O N TA C E AMORir DA RIDERE Marmellata di prugne di Patrizia Fortunati - FP RUSLANA PRODANCHUK ALFIO AMA: 1° PREMIO allo STUDIO LS DI TERNI DUBAI la perla del deserto - L Bellucci ALLEANZA TORO Mo’ ve ne dico quattro! - P C a s a l i Una soffitta sull’universo - M P a s q u a l e t t i Parliamo delLA LUNA - E Co s t a n t i n i L’ a l i m e n t a z i o n e d e l l ’ a n z i a n o - L F B i a n c o n i J - Vi N A I L S Giampiero Raspetti - R Bellucci G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti

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Un Paese da ricostruire Molti cittadini muoiono di fame? Balocchiamoli con il semipresidenzialismo o con il presidenzialismo intero intero! I giovani non hanno lavoro? Cosa c’è di meglio di una legge per vietare le intercettazioni telefoniche? I negozi chiudono, le imprese artigiane spariscono, il welfare va a picco, la corruzione galoppa? Ma la soluzione c’è: una bella tavolata con IMU o non IMU come piattoforte! E, allorché verranno a mancare le risorse, aumenteremo l’IVA, tanto, ormai, il popolo pecora accetta tutto! Le prigioni sono orridi ghetti, i processi non si concludono mai? Debelliamo la giustizia, togliamo ai poveri, che sono tanti, la possibilità di fare ricorso e aumentiamo le garanzie e i gradi di giudizio (almeno altri tre prima della Cassazione) per i ricchi, che sono pochi e non è bene che vadano in galera poiché destinano i soldi ad opere pie e di solidarietà, personale ma pur sempre di solidarietà, o foraggiano zoccolette e zoccoloni. Le buche, nelle strade, sono simili a voragini, il territorio è dissestato e procura, di tanto in tanto, molte vittime? L’inquinamento dilaga, mancano i treni per i pendolari? Niente paura! Sono pronte le grandi opere, i ponti sullo stretto, i buchi nelle montagne, l’acquisto di aerei per la guerra! La gente non arriva a fine mese? Ci arrivano, però, i parassiti politici che, in brulicanti formazioni, sono sempre più numerosi e prenderanno soldi non da noi in quanto Stato, ma da noi in quanto Cittadini! No, non è un lontano, abietto paese dei bananalocchi... questa è l’Italia, bellezza mia! Ogni secondo che passa copriamo di asfalto e di cemento otto metri quadrati di suolo. Una nefandezza abnorme, che supera a dismisura, secondo l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ogni altra nazione. Che poi molte cementate vengano abbandonate subito dopo aver arraffato i primi soldi, questo è ormai endemico nel nostro paese e, come s’usa, i politicanti stanno a guardare! Solo a guardare? Le conseguenze per il dissesto idrogeologico, ma anche per la perdita di produzione agricola sono impressionanti. Il territorio viene così infestato da nuove abitazioni che non servono, visto che abbiamo accumulato ben 30 milioni di vani sfitti o invenduti. Dovremmo invece solo rottamare o riattare l’esistente, occuparci della riqualificazione urbana e della rigenerazione del patrimonio ambientale. Messa in sicurezza di suolo e abitazioni, riutilizzo di edifici abbandonati, bonifica e civilizzazione dei quartieri ghetto, salvaguardia del patrimonio storico e artistico: queste priorità darebbero grande propulsione all’edilizia e spezzerebbero la spirale avvelenata dei grandi appalti concessi dalla partitica alle organizzazioni mafiose. Soprattutto, assicurerebbero ricchezza generalizzata, e farebbero del nostro quel Bel Paese che oggi nessuno osa più nemmeno immaginare. Giampiero Raspetti

L’ombrello, di stecche o di piombo, ha proprio sbagliato bersaglio. Si abbatte sull’uomo più moderato, sereno, tranquillo, democratico che è dato conoscere. Appena colpito, dichiara: Noi siamo disposti a prenderci tutte le manganellate che necessitano per salvare la nostra azienda. Grazie, SINDACO


Il lavoro bene primario Gli ultimi dati ufficiali sulla disoccupazione in Italia (e in Europa) descrivono un quadro devastante che, se non corretto in tempi brevissimi, non potrà che portare a seri problemi sociali dai contorni neri e difficilmente circoscrivibili. La politica sembra essersi resa conto della gravità, ma, purtroppo, continua a dichiarare astratte disponibilità ad affrontare il problema in tempi che, però, non appaiono adeguati alla realtà della situazione. Da destra a sinistra, dal centro alla periferia sono tutti d’accordo nel descrivere la drammaticità della questione, ma non sembra che all’orizzonte ci siano decisioni incisive e rapide. Si manifesta anche in maniera folcloristica alla richiesta di: … vogliamo lavoro... e spesso lo si fa esponendo il retro dei cartelli che poco prima erano serviti per sfilare in nome del… comitato contro la strada, il ponte, la ferrovia, l’industria, la centrale o qualsivoglia intervento tendente a modificare lo stato del territorio intoccabile. Molti di quelli che manifestano, sciolta l’assemblea di protesta contro… vanno a fare la spesa convinti che il pane cresca nei supermercati e che l’olio venga prodotto già imbottigliato dalle piante (forse di olivo). Pochi hanno la consapevolezza che tutto ciò di cui abbiamo bisogno, sia esso bene primario che voluttuario, nasce e ci arriva grazie all’opera dell’uomo. Il lavoro serve sia per la produzione che per la successiva commercializzazione.

Una società civile ha bisogno di prodotti da consumare e di infrastrutture per produrre e consegnare. Macchine, attrezzature, strutture produttive e commerciali sono indispensabili per la vita dignitosa degli umani. Il lavoro è quindi la base fondamentale su cui poggia l’intera struttura di una società civile. I nostri padri costituenti che già sessanta anni fa avevano ben chiara la visione del paese che andava ricostruito, nelle anime e nei corpi, hanno messo all’Art. 1 della nostra Legge Costituzionale il lavoro. Non la democrazia, non la libertà di pensiero e di religione, non la parità fra i sessi, non l’ambiente, ma il lavoro. Con ciò hanno voluto sancire che un paese non può che fondarsi sulla dignità di tutti i cittadini, la qual cosa può avvenire solo se tutti avranno un lavoro. Finché questa conquista sarà solo una intenzione e non il primo risultato dell’attività politica, l’Italia (e tutti i paesi che si trovano nella stessa situazione) non potrà che sprofondare sempre più nella crisi economica, sociale e morale. Tutte le risorse vanno quindi indirizzate verso la creazione di posti di lavoro per i giovani, per le donne, per tutte le persone non ancora in età pensionabile. Morire di fame in un ambiente incontaminato non sarà di alcuna soddisfazione per i morituri. Vivere da poveri per poter morire con i conti in ordine non darà nessuna soddisfazione nemmeno agli scampati. Maurizio Battistelli

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A d ognuno il s uo c o a c h . . . Non tragga in inganno il titolo, ma non si parla di sport, o quantomeno, non solo di sport: il coaching è una dottrina che affonda le sue radici principalmente nelle neuroscienze e nel business management. Relativamente nuova in Italia, è già praticata e diffusa sin dagli anni ’50 negli USA. La prima necessaria precisazione è che non si tratta assolutamente né di psicoterapia, né di un’alternativa alle terapie psicologiche; può coesistere con tali percorsi, ma di certo non ne rappresenta un’alternativa. Le declinazioni più diffuse e ricorrenti del coaching sono: life coaching; business coaching; career coaching; health coaching; sport coaching; team coaching; etc; insomma ce n’è per tutte le esigenze e per tutti i gusti. C’è un esempio, che ripropongo parzialmente parafrasandolo, tratto da Coaching Master Cycle, che fa chiarezza sul ruolo del coach: provate a immaginare una persona in sella ad una bicicletta, vuole pedalare ma non vi riesce. È in mezzo alla strada e le si avvicinano diverse persone: una le spiega il funzionamento della bicicletta, verifica che tutto sia a posto e dà suggerimenti su come pedalare; un’altra, molto esperta, prende la bicicletta e dà una dimostrazione pratica di come si debba pedalare; un’altra ancora le chiede invece dove vuole andare, quale significato abbia per lei/lui raggiungere quella meta e quanto sia importante arrivare proprio là. Chi sono questi soggetti? Il primo è concentrato sul problema, conosce bene il settore e propone la soluzione: è un consulente; il secondo è così esperto del settore che sceglie di far vedere come si vada in bici dando una dimostrazione pratica: può essere un mentore; il terzo, invece, è concentrato sulla persona, può anche non conoscere

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il settore, ed è focalizzato sull’obiettivo e sulle motivazioni che portano all’obiettivo: è verosimilmente un coach. Nel coaching il presupposto è la conoscenza e la consapevolezza di sé, delle proprie risorse e delle aree migliorabili. Il coach non insegna, né consiglia, ma affianca in un percorso che porta a scoprire e ad utilizzare al meglio le proprie risorse interiori: spesso siamo proprio noi stessi che non riusciamo a vedere i nostri molteplici talenti! Il coach aiuta a mettere a fuoco le opportunità da cogliere e i problemi che potrebbero frapporsi tra noi e il raggiungimento dei nostri obiettivi. Già nel 2002 il Financial Time pubblicò i risultati di uno studio dell’International Personnel Management Association, che dimostrava come la produttività del Personale con la sola formazione migliorava di circa il 22%, mentre con il coaching il miglioramento raggiungeva l’88%. Che si tratti di gestire al meglio una potenziale promozione, di rispondere rapidamente ad un cambiamento brusco del mercato o alle direttive di un nuovo capo, sempre più persone scoprono che avere un coach, un vero e proprio “allenatore personale”, può essere molto utile. Il coach infatti facilita la chiarezza d’intenti, si focalizza sull’azione e agevola una maggiore congruenza tra vita personale e vita professionale. Ci sono situazioni nella vita in cui adottare soluzioni pensate e suggerite da altri non funziona o momenti in cui di consigli non ne vogliamo, desideriamo essere però supportati ma essere anche protagonisti e responsabili dei nostri risultati: in questi casi può essere utile avere un coach serio e professionale nei paraggi. alessia.melasecche@libero.it


A c h i andrà l a mia pens ione? In un momento di gravissima difficoltà economica, quale quello che ormai da lungo tempo stiamo vivendo, le pensioni dei genitori sono spesso un’importante fonte di sostentamento per intere famiglie, talvolta l’unica. Di qui la speranza che la propria pensione possa essere, per così dire, ereditata. La cosiddetta pensione di reversibilità, di cui spesso si sente parlare, è quella che spetta ai superstiti di un soggetto già titolare, ovvero, in attesa di liquidazione di una pensione diretta, di vecchiaia, di anzianità, di inabilità e di invalidità. Hanno diritto a subentrare nella pensione il coniuge superstite, anche se separato consensualmente, o con addebito, ed il divorziato, sempre che sia titolare di assegno di divorzio, purché non si sia risposato. È facile immaginare con quanta frequenza sorgano controversie quando il soggetto, dopo il divorzio, sia nuovamente convolato a nozze, tra il coniuge superstite e quello divorziato. In tal caso il compito di ripartire il trattamento di reversibilità tra “i due contendenti” spetta al Tribunale il quale lo farà seguendo principalmente il criterio della “durata del rapporto”. In Italia non esisteva un limite minimo di età o di anni di matrimonio per poter godere della pensione di reversibilità del coniuge, ma nel 2011 è stata approvata una norma, la cosiddetta anti-badanti che, al fine di evitare matrimoni di pura convenienza, ha stabilito che la pensione di reversibilità a partire dal 1/1/12 è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10% in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Hanno anche diritto alla pensione di reversibilità i figli legittimi, legittimati, adottati del deceduto che, al momento della morte siano minorenni, inabili (in questo caso l’età è irrilevante), studenti (fino a 21 anni), ed universitari (fino a 26 anni e comunque non oltre il corso legale di laurea), che non prestino attività lavorativa e che, alla data di morte del lavoratore e/o pensionato, siano a carico del medesimo. I figli inabili che svolgono attività lavorativa presso laboratori protetti

mantengono il diritto alla pensione ai superstiti purché l’impiego abbia finalità terapeutiche. È bene sapere che: si considera inabile [... colui] il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e che l’inabilità al lavoro nulla ha a che fare con l’invalidità civile ben potendo essere riconosciuti invalidi civili al 100% o, addirittura, essere invalidi al 100% con necessità di assistenza continua e non avere diritto automaticamente alla pensione di reversibilità; così come avere una invalidità civile al 75% non esclude automaticamente dalla reversibilità. Per quanto riguarda l’altro requisito del concetto della vivenza a carico sono considerati a carico del deceduto i figli: i maggiorenni studenti, in possesso di un reddito annuo non superiore al trattamento minimo maggiorato del 30%; i maggiorenni inabili in possesso di un reddito annuo non superiore a quello previsto per la pensione agli invalidi civili totali; i maggiorenni inabili, titolari di assegno di accompagnamento, in possesso di un reddito annuo non superiore a quello previsto per la pensione agli invalidi civili totali maggiorato dell’importo dell’indennità. Per quanto riguarda, da ultimo, la percentuale di pensione spettante in base alla nuova normativa approvata con la riforma delle pensioni, invece, al coniuge spetta il 60% della pensione percepita dal marito/moglie deceduto/a; nel caso in cui il coniuge abbia un figlio la percentuale sale all’80%, mentre qualora il coniuge abbia due o più figli la pensione viene erogata al 100%. Quando sopravvive un solo figlio a questo spetta il 70%, a due figli l’80% e a tre o più figli il 100%. Ai nipoti spetta la stessa quota dei figli. Ad un genitore il 15% ad entrambi il 30%; un fratello/sorella 15%. Due fratelli/sorelle 30%, tre fratelli/sorelle 45% poi 15% per ogni fratello e sorella in più oltre i tre sino ad un massimo dei 100%. In questa materia il codice civile non ci aiuta, ma Ve ne auguro, Avv. Marta Petrocchi come al solito, una buona lettura! legalepetrocchi@tiscali.it

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Il triste karma delle bambine-mucca Cinte da doppio mento adiposo, con il ventre prominente e le mammelle rigonfie come quelle delle mucche da latte: così si presentano ai clienti le baby-prostitute di Tangail nel Bangladesh, il bordello più grande del mondo. È il posto che soddisfa le esigenze non proprio spirituali di milioni di uomini per lo più provenienti dalla vicina India. Il paragone con i bovini è poco elegante, ma non è peregrino, poiché le ragazze che sono reclutate (anzi sarebbe più appropriato dire acquistate) per essere prostituite sono in realtà bambine vicine all’età dello sviluppo e il loro destino si intreccia con quello dei vitelli da macello. Per qualche scherzo del karma, forse nelle vite precedenti pascolavano anche loro, sacre e intoccabili, ma oggi non sono certo sacre né tantomeno intoccabili e con i vitelli condividono la cura ricostituente: giunte infatti al momento fatidico di passaggio all’età fertile viene loro somministrato l’oraxedon, una miscela di steroidi che viene iniettata nei bovini prima della macellazione perché gonfia a dismisura la massa corporea. Questa cow-pillol, nel corpo umano, compromette il funzionamento di fegato e reni, è causa di diabete e crea dipendenza come una droga. Un giornalista italiano ha incontrato una di queste baby-prostitute: dimostra venticinque anni, ma non ne ha più di sedici, è stata comprata appena nata da una “sorella”, cioè da una tenutaria, per pochissimi soldi, sua madre era una prostituta e lei è cresciuta nella città-bordello di Tangail. Nel Bangladesh la prostituzione è legale, sono operativi diciassette quartieri bordello, le esercenti devono essere maggiorenni ma grazie

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all’oraxedon anche le bambine lo sembrano. La ragazzina non conosce altro mestiere e altra vita oltre a quelli che fa, ma vorrebbe smettere di prendere gli steroidi perché le cure per la salute sono diventate insostenibili, soffre di una forma molto grave di diabete e vorrebbe che le nuove arrivate non seguissero la sua strada. Il vero problema sono i clienti; l’uomo è esigente e vuole consumare il rapporto con una ragazza giovane che rientri nei parametri di bellezza della sua cultura, ovvero che sia rotonda e prosperosa (ai limiti della obesità), due attributi che non si conciliano certo con la malnutrizione endemica alla popolazione del Bangladesh. Secondo la “sorella”, invece, la cow-pillol non è poi così male, ti rende bella e ti aiuta a lavorare, la storia dei malanni collaterali è una favola, tanto poi ci si rovina la salute lo stesso facendo la prostituta al ritmo di cento clienti al giorno. Quando il giornalista chiede se ancora esercita e prende la pillola, la “sorella” risponde che si è ritirata (ormai è una trentenne consumata) e non assume più nulla, ma il frigorifero della sua casa-stanza è ricolmo di siringhe. Anche lei nelle vite precedenti è stata un bovino da macello e lo è stata anche in questa vita, il karma si ripete sempre uguale a queste latitudini. Qualcosa però sta cambiando a Tangail, negli ultimi anni sono sorti una scuola per le figlie delle prostitute, una palestra e dei coffee-shop, segni di civiltà e di sviluppo, se visti nell’ottica del maschio allevatore intensivo di bovini e di bambine da macello. Francesco Patrizi


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Draghi in e Terni diventa ovale C’è tanta roba nella promozione conquistata domenica 2 giugno dai Draghi del Terni Rugby. La squadra del presidente Alessandro Betti, alla settima stagione agonistica della sua pur breve storia, è salita in serie B, dopo averci provato altre due volte. Lo ha fatto al termine di una finale con gli abruzzesi del Paganica, squadra aquilana dalla grande tradizione rugbystica, che si è arresa sul suo terreno nella gara d’andata (13-15), ma soprattutto nella partita di ritorno giocata nella tana dei Draghi, nel piccolo impianto di San Carlo, dove è stata travolta per 42 a 7. Una vera e propria marcia trionfale, culminata in una serata di festa che ha coinvolto i quasi mille spettatori presenti a San Carlo, in un terzo tempo collettivo trasformato in festa da ballo e proseguito poi nelle vie del centro. Una vittoria con più dediche. Quelle fatte dal direttore tecnico Mauro Antonini, uno dei pochissimi stranieri del Terni Rugby. Lui, che viene da Poggio Mirteto, ma che è cresciuto nella Capitolina di Roma -al centro del campo e di un gigantesco cerchio umano, formato dai giocatori, dai familiari, dai tifosi, dai dirigenti- al termine della partita, ha detto che la serie B è il miglior regalo che la squadra maggiore potesse fare al Club. Un concetto importante: perché il Club non è solo un’associazione sportiva, ma una comunità di persone formata dagli atleti, ed anche dai loro familiari, dai bambini del minirugby, dalle ragazze che da quest’anno giocano a rugby in serie A, da tutto lo staff. Abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare affinché il Club -dice il presidente Betti- diventi il posto migliore dove far crescere i nostri ragazzi, ma anche il luogo dove tutti noi adulti possiamo imparare a migliorarci, lavorando fianco a fianco con gli altri. Proprio come fanno i rugbysti in campo. La seconda dedica per la vittoria Antonini l’ha riservata ai detenuti di Sabbione, dove il Terni Rugby da tempo sta portando avanti un progetto che prevede la pratica del rugby come strumento di recupero. Sabato scorso, prima della finale, siamo andati in carcere -dice Antonini- e abbiamo promesso loro che saremmo tornati a festeggiare insieme la vittoria. Loro, con l’impegno e l’entusiasmo che stanno mettendo nel progetto rugby, ci hanno dato una carica straordinaria: per questo dico che la serie B è merito anche dei detenuti di Sabbione ed è giusto tornare lì per completare il nostro lavoro e per festeggiare insieme. Foto Paolo Bravini

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Ghiannis Ritsos un A lceo del N ovecento ovecen to Vista la grave crisi economica, politica, sociale che sta attraversando non solo il nostro Paese, ma l’intera Europa, parlare di un poeta contemporaneo e per di più greco, sembrerebbe fuor di luogo e perfino assurdo. Vi garantisco, lettori, che non è proprio così. Del resto qualcuno più autorevole di me disse, nel lontano Cinquecento, che gli esempi della storia passata sono utili anche a quella presente e non aveva tutti i torti. Ghiannis Ritsos nasce a Monemvasià nel Peloponneso occidentale; muore nel 1990. Un uomo che nella sua esistenza non ha patito altro che orrori, maltrattamenti, persecuzioni, ma ha sempre avuto la forza di reagire, mettendo nella sua poesia una carica di grande lirismo capace di colmare tante amarezze, tante delusioni. Nella sua poesia approfondisce i temi della sofferenza umana, della libertà calpestata che si riferiscono nel particolare alla storia del suo popolo, il popolo greco, ma che sono riferibili a quella di tutti i popoli. Ciò che maggiormente valorizza la sua poesia è il modello di una vita vissuta intensamente ed intimamente sofferta che per lui diviene un baluardo contro le tempeste della vita e degli eventi. La vita come poesia, la poesia come vita, questo sembra essere il motto che lo accompagnò in un’esistenza travagliata sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista politico; di qui una produzione poetica torrentizia, inarrestabile, raccolta in 10 Ritsosvolumi. Ghiannis ebbe un’infanzia travagliata da vicende personali e di salute. Proveniva da una famiglia benestante in un paese come la Grecia di allora, arretrato e semifeudale, un benessere che presto si trasformò in miseria a causa del padre Eleftherios, amante del gioco e delle donne. Nel 1921 gli morirono la madre ed un fratello. Rimasto solo con un padre rozzo ed autoritario, come quello di F. Kafka e di F. Tozzi, trascorre intere ore in solitudine, trovando conforto nelle cose quotidiane che per lui, come per Pascoli, diventano le uniche certezze di fronte alla disgregazione della famiglia. Nel 1925 si manifesta una grave malattia, la tisi, che non lo abbandonerà mai. Male che lo costrinse a periodici ricoveri in sanatorio. Si definì “bambino senza infanzia” e non perdonò mai il padre di aver avvelenato la sua esistenza. La povertà, le disgrazie familiari, la malattia si combinano con una disastrosa situazione politica, economica, sociale della Grecia degli anni Venti. Dopo la sconfitta subita nella guerra contro la Turchia, sulla Grecia si abbattè un’ondata di un milione di profughi proveniente dall’Anatolia. Erano i discendenti degli antichi Ioni che facevano dopo millenni il loro ritorno forzato in patria. Nel 1930 fu ricoverato nel sanatorio di Sotirìa dove denunciò per iscritto le condizioni disumane dei ricoverati, provocandone la chiusura. Questa fu il primo segnale del suo impegno politico. Nel 1921 viene fondato il K.K.E. sigla di Kommunistkò Kòmma Ellàdas Partito comunista di Grecia, a cui aderirono molti intellettuali ai quali si aggiunse anche Ritsos nel 1931. Da questo momento in poi l’arte e l’impegno politico furono i temi costanti della sua poesia intesi come protesta, ribellione ad una situazione storico-politica drammatica. Dalla sua adesione al K.K.E. egli non solo accentua la militanza politica, ma anche allarga lo spettro dei suoi interessi artistici, interessandosi di pittura e scultura, di teatro, di danza, di traduzioni, nonostante la malattia che lo costringeva a periodici ricoveri in sanatorio. Nel 1935 scrive la prima raccolta intitolata Traktòres, Trattore che risente dell’influenza di un giovane poeta crepuscolare K. Kariotakis, figura analoga al nostro G. Gozzano. Una raccolta in cui Ritsos è legato a temi esistenziali. La situazione storica in Grecia negli anni Venti e Trenta resta esplosiva: viene abbattuta la monarchia e proclamata la repubblica, poi di nuovo la restaurazione monarchica che vanifica le riforme avviate da E. Venizelos. Alla fine diviene capo del governo il gen. Ioannis Metaxàs che compie una svolta in senso autoritario e dittatoriale di stampo fascista. Nel 1936 gli operai di Thessalonìki scendono in piazza per protestare, la polizia militare spara, un bilancio di 30 morti, tra questi un giovane appena ventenne, Thassos Tusis, sul cadavere del quale accorre la madre disperata. Un fotografo immortala la tragica scena che fa il giro della Grecia. In questa occasione Ritsos scrive la raccolta Epithàfio in cui si identifica nel pianto della madre disperata. Qui l’impegno politico sale definitivamente alla ribalta. Da questo momento in poi esistenzialità ed

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impegno politico saranno in lui inscindibili. Gli eventi precipitano, scoppia la II guerra mondiale, la Grecia subisce l’occupazione delle truppe nazi-fasciste. Inizia la lotta partigiana, viene costituito l’E.A.M. il fronte di liberazione nazionale controllato dal K.K.E., il re si rifugia in Egitto protetto dagli Inglesi. Ritsos, nonostante la malattia, continua a scrivere e ad impegnarsi sia sul piano politico che su quello culturale, dedicandosi anche al teatro e alla danza. Durante gli anni bui dell’occupazione la raccolta Dokimasìa viene bloccata dalla censura fascista. Vive ad Atene nella semiclandestinità. Il paese, oltre che dalla occupazione, è sconvolto da una grave carestia. Aderisce all’E.A.M. (Ethnikò Apoeleftherotikò Mètopo, Fronte di liberazione nazionale). I partigiani prima ancora della sconfitta dell’Asse avevano liberato gran parte della Grecia settentrionale, controllando le zone più montuose. Ma sulla Grecia cadono come una tegola gli accordi di Yalta, secondo i quali viene assegnata alla zona di influenza anglo-americana. Re Giorgio sbarca ad Atene appoggiato dagli inglesi, avvengono degli scontri tra truppe britanniche e partigiani comunisti. Il paese è spaccato in due: la parte controllata dai Britannici e la parte sotto il controllo dell’Esercito di liberazione nazionale. Scoppia la guerra civile che insanguinerà il paese dal 1945 al 1948, con stragi e regolamenti di conto reciproci. A Varkiza viene firmato un accordo di pacificazione che però non viene rispettato, a cui seguirono arresti e deportazioni. Nel 1948 Ritsos viene arrestato e deportato a Limnos, Ikarià, Makrònissos, subendo torture fisiche e morali. Non ha il permesso di scrivere, lo fa scrivendo in calligrafia minuta sulla carta dei pacchetti di sigarette. Colleziona pietre di forma particolare raccolte sulla spiaggia che dipinge con mezzi di fortuna. La raccolta Agrypnìa raccoglie l’eco della drammatica esperienza. Viene liberato solo nel 1952. Conosciuto a livello internazionale, membro di spicco del Partito comunista, trascorre un periodo di relativa tranquillità con frequenti viaggi in Europa e in URSS; traduce N. Hikmet e Majakovskij, nel ‘54 si sposa con Falitsa Ghedaghiadis da cui avrà una figlia Eri che non volle indirizzare alla sua carriera. In questo periodo scrive Tètarti diàstassi, Quarta dimensione, dove compare una demistificazione degli antichi miti greci. La Grecia però era un paese sotto libertà vigilata, terreno di un confronto sordo tra CIA e KGB, con molte spies stories. La situazione è apparentemente tranquilla sotto governi conservatori controllati dagli USA. Gli eventi precipitano, nel 1963 viene assassinato il leader Lambrakis, sale al governo G. Papandreu con un programma di maggiori libertà, ma gli USA non si fidano e il 21 Aprile del 1967 un colpo di stato porta al potere una giunta militare composta dai colonnelli G. Papadopulos e S. Pattakòs che sopprimono le libertà costituzionali. Si procede ad arresti di massa e deportazioni, l’ippodromo del Falìros diventa un gigantesco campo di concentramento. Ritsos sa già qual è il suo destino: aspetta con la valigia pronta la polizia che verrà a prelevarlo alle 6.00 del mattino. Viene deportato a Ghiaros, a Liros e a Samos. La sua salute si aggrava, crescono le proteste internazionali, in Francia l’ex-surrealista L. Aragon si fa promotore di molte iniziative per la liberazione. In prigionia conosce M. Theodorakis che musicherà molti suoi testi poetici come Le diciotto canzonette della patria amara. Verrà liberato nel 1970, dopo un delicato intervento chirurgico. Nel 1973 dopo la crisi con la Turchia per la questione di Cipro e i fatti del Politecnico, conclusosi con un massacro di studenti, i colonnelli depongono il potere, diviene primo ministro G. Karamanlìs e il paese si avvia lentamente verso la democrazia, anche per una mutata situazione internazionale. Cresce la sua fama, le sue poesie vengono tradotte in molte lingue, ottiene molti riconoscimenti internazionali, nel 1976 gli viene dato il premio Lenin per la pace che giudicò superiore al Nobel mai assegnatogli. In Italia ottiene il premio Etna-Taormina e durante il soggiorno scrive la raccolta Metàghissi, Trasfusioni ambientate in Sicilia. Entrato nel gotha della letteratura internazionale collabora con il teatro, con Theodorakis nella musica, con il cinema col regista Anghelopulos, fino alla morte avvenuta nel 1990. G. Ritsos, un autore che nel particolare momento che stiamo vivendo sembra lontano anni luce, ma che invece dovremmo riscoprire ed imparare ad apprezzare. Forse con qualche Ritsos in più la cultura Pierluigi Seri italiana farebbe sentire meglio la sua voce.


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La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni restaura gli affreschi di Santa Maria di Ferentillo Le chiese della Valnerina sono ricche di opere d’arte e, giorno dopo giorno, emergono dai restauri affreschi di grande pregio di autori, umbri o di adozione, più o meno conosciuti, in un periodo che va dal XV al XVII secolo. Un nuovo dipinto, che occupa tutta la mandorla della parte estrema del presbiterio della chiesa collegiata di Santa Maria di Matterella di Ferentillo, dopo un accurato restauro a opera della Società Conserva di Gianni Castelletta, torna al suo originario splendore. Il dipinto, che da tantissimi anni era in grave stato di decadimento con la presenza di crepe, abrasioni e cadute di colore, sta tornando al suo originario splendore grazie alla Fondazione Carit, che ha curato e finanziato il restauro. L’affresco occupa tutta la superficie del timpano del presbiterio. Una parte di esso è stata realizzata in affresco, altra in tempera. È suddiviso in tre parti: la centrale occupata dalla raffigurazione gloriosa dell’Onnipotente in trono tra nuvole, angeli oranti e cherubini, le due estreme con sfingi alate che tengono in mano strumenti musicali come la lira. Le tre scene, tutte collegate a quella centrale, sono decorate e circondate da arabeschi e racemi, geometrie di grande effetto e spettacolarità con chiaroscuri di fondo. L’Onnipotente in trono, circondato da angeli oranti e osannanti tra nuvole e teste cherubiche, putti nudi sdraiati tra le nuvole, benedice dall’alto il popolo che si appresta nella parte sottostante ad elevare le suppliche. I colori di tonalità pastello, le sfumature, i volumi e le anatomie nell’insieme fanno collocare l’opera ai primi anni del ‘500. Ugo Gnoli, Tabarrini, Fabbi lo attribuiscono al Merlini, per evidenti analogie stilistiche con gli altri due affreschi in basso, del pilastro di sinistra e di destra raffiguranti La Santa

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Lucia e il Compianto di Maria anche se questi due ultimi sono datati e firmati in un cartiglio al centro: Orlandus de Merlinis Perusinus Pinxit 1505. L’affresco nella mandorla a Santa Maria di Matterella non è firmato dall’esecutore e non c’è alcuna traccia che possa far presupporre qualche attribuzione; se la critica qualificata nel corso degli anni lo ha attestato al Merlini, ciò non toglie che, addirittura, dopo questo restauro e dopo una chiara analisi, si possa ravvedere la stessa mano del maestro spoletino Giovanni Di Pietro detto lo Spagna, attivo in Valnerina dove a Gavelli ha lasciato una impronta importante delle sue più belle opere come la leggenda di San Michele Arcangelo. Dipinti di grande suggestione sono ovunque nelle chiese della Valnerina, delle vere e proprie pinacoteche come presso la chiesa di San Nicola a Casteldilago; presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta in Arrone: affreschi del Tamagni e Giovanni da Spoleto a Bonacquisto; presso la chiesa di San Liberatore di Collestatte; alla cappella del convento di San Bernardino a Monzano; alla chiesa di Santo Stefano a Precetto ecc… insomma arte e cultura si fondono in uno scenario di imparagonabile bellezza, tra lo scorrere lento del Nera, tra sassi e forre e lo scrosciare funesto delle acque della Cascata che ancora riesce a catturare migliaia di turisti da ogni parte del mondo. È il patrimonio storico artistico che deve essere tutelato ad ogni costo soprattutto dagli enti locali. E ben vengano le fondazioni bancarie a sostenere il costo del recupero. Un patrimonio lasciatoci in eredità dai nostri antenati e sarebbe un peccato che tanta bellezza possa essere deturpata da un imbarbarimento di quella cultura ambientale che ha contraddistinto sempre l’Umbria “cuore verde d’Italia”. Carlo Favetti


Il 23 aprile 2013 il Comitato di Indirizzo della Fondazione Carit ha approvato il bilancio consuntivo 2012, predisposto dal Consiglio di Amministrazione e con il parere favorevole dell’Assemblea dei Soci. Dalle risultanze è emerso un significativo avanzo di esercizio pari ad oltre 7 milioni di Euro che, al netto di riserve ed accantonamenti, consentirà di riservare al territorio nel 2013 disponibilità per complessivi 3,7 milioni di Euro da suddividere fra i sei settori di intervento istituzionale. L’apprezzabile risultato conseguito acquisisce oltremodo rilevanza se inquadrato nel grave contesto economico che caratterizza l’economia reale del nostro territorio a cui la Fondazione dedica tradizionalmente, con forza e lungimiranza, ogni possibile attenzione continuando a mantenere il consueto trend erogativo. Come noto la Fondazione Carit persegue scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico esclusivamente attraverso i settori statutariamente previsti, che sono la Ricerca scientifica e tecnologica; l’Arte, attività e beni culturali; la Salute pubblica, Medicina preventiva e riabilitativa; l’Educazione e l’Istruzione; il Volontariato; lo Sviluppo locale. Nell’esercizio 2012 sono stati deliberati interventi per oltre 3,5 milioni di Euro. Gli obiettivi sono sempre strettamente legati ai fabbisogni del territorio con interventi diretti ovvero in via sussidiaria, rammentando che non sono consentiti “l’esercizio di funzioni creditizie” e forme di finanziamento ad Enti o imprese, fatta eccezione per alcune cooperative e di quelle sociali. La Fondazione è quindi fortemente presente nel comprensorio di riferimento e sta sovvenendo nell’attuale delicata contingenza, attraverso l’azione del volontariato, le fasce sociali più deboli oppresse dalla grave crisi economica in atto. Attualmente il volontariato rappresenta, infatti, il 1° settore d’intervento istituzionale con una percentuale pari al 24% delle risorse disponibili per l’anno 2013. In questo ambito funzionale nel 2012 la Fondazione ha sostenuto in particolare il Comune di Terni, acquistando un automezzo necessario per l’importante attività della protezione civile; la mensa di San Valentino, i Centri di Ascolto e Accoglienza del territorio, le Conferenze Vincenziane, le Parrocchie, le Associazioni e i centri di solidarietà locali. Nel settore dell’istruzione, a cavallo tra l’esercizio 2012 e 2013, la Fondazione ha stanziato 300.000 euro per la realizzazione del “progetto LIM”. Proprio in questi giorni si sta completando la consegna di un consistente numero di lavagne interattive multimediali a tutte le scuole della Provincia di Terni. Nei settori della ricerca scientifica e dell’istruzione la Fondazione ha deliberato poi complessivamente 500.000 euro in favore dell’Università per il Consorzio per lo Sviluppo del Polo Universitario di Terni e per il finanziamento di ricercatori e borse di studio nell’ambito del programma pluriennale a valere sugli esercizi 2011-2012-2013. Sempre nell’ambito della Ricerca scientifica sono stati destinati 200.000 euro alla “Fondazione Cellule Staminali”, in quanto la Fondazione Carit è Socia e come contributo straordinario in considerazione dell’ormai avviata attività di sperimentazione. Nel settore dello sviluppo locale si è dato avvio recentemente anche al progetto “Sbloccacrediti” stanziando un finanziamento di Euro 100.000 in favore della Camera di Commercio di Temi, al fine di supportare le aziende del territorio alle prese con i tardivi pagamenti della pubblica amministrazione mediante la costituzione di un fondo rotativo finalizzato a diminuire i tempi di attesa per l’incasso di crediti scaduti. Per quanto riguarda l’attività culturale, nel corso dell’esercizio 2012, come “iniziativa propria” la Fondazione ha realizzato nelle sale espositive “Paolo Candelori” di palazzo Montani Leoni le seguenti mostre: Otello Fabri. Antologica. Opere 1960-2001; Paolo Aguzzi; La Raccolta d’Arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni. A marzo del 2013 è stata inoltre inaugurata l’importante rassegna dedicata al pittore Corrado Spaziani, presentata da Vittorio Sgarbi, ed è in corso in questo periodo la mostra fotografica Presenze. Gli scatti di Enrico Valentini (19592012) prorogata sino al 30 giugno vista la notevole partecipazione di pubblico. È proseguito come sempre il sostegno della Fondazione all’intensa e ricca attività musicale e teatrale cittadina, con il contributo in favore di Enti e di Associazioni culturali per la realizzazione di concerti e spettacoli.

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Il ricatto All’uscita dalla scuola, si era in un aprile della nostra infanzia, un gruppetto di ragazzini filava frettoloso verso casa. Era un gruppetto affiatato di sempreinsieme, portati alla continua ricerca di piacevoli svaghi per ammorbidire le ore che avevamo davanti, era una piccola spesa a favore della nostra giovane età. - Si va nel pomeriggio a giocare al calcio? - fu uno del gruppo a lanciare l’idea che in fondo non stonava coi nostri progetti. - E dove? - domandò un altro ragazzino. - Al campo di don Titta - rispose il primo. Si trattava di un campo di calcio dove un tempo le squadre dei più grandi avevano disputato campionati di seconda categoria e che in seguito era stato abbandonato perché d’inverno, con la pioggia, sembrava diventasse una palude. Quel giorno mangiammo con la voracità dovuta alla fretta in modo che alle tre del pomeriggio fossimo presenti e pronti per la partita. Il campo si affittava per qualche ora e più, costava poche lire. Per la penuria di danaro, anche il poco diventava tanto. Non avevamo divise e né scarpette, volevamo soltanto divertirci. Il pallone era un regalo ricevuto da uno di noi. Anticipavamo il socialismo, tuttora per gli adulti un’utopia, condividendo il dono fatto ad uno come si fosse tutti padroni, e uguali. La pedagogia, scienza dei libri, non era ancora riuscita a stamparci in serie così come il progresso prediligeva. Crescevamo intatti con la nostra personalità, di noi nessuno rappresentò le regole di un libro. Nel nostro vivere ribelle avremmo potuto scrivere le basi del nostro futuro che nessuna enciclopedia sarebbe stata in grado di spiegare. La nostra libertà era il sole e l’aria che respiravamo insieme. Purtroppo c’era un lato negativo, non s’era mai d’accordo sulle regole del gioco. Ognuno pensava di aver ragione e spesso la partita non si concludeva. Casualmente, quel pomeriggio, capitò nei pressi un adulto che andava a zonzo per i viottoli, ai lati del campo, in un passo lento, come i pensieri di chi non sa che fare. Decidemmo di chiedergli se avesse voluto, per piacere, arbitrare la nostra partita, credendo che, come adulto, avesse le carte in regola, invece ci sbagliammo. Ci accorgemmo, nel corso della partita, che di regole ne conosceva poche, non bastava aver visto qualche partita o letto qualche giornale sportivo. Il fatto che fosse un professore in pensione non deponeva a suo

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favore, la pratica è diversa dalla teoria, nessun libro o giornale è in grado di risolvere i problemi se non si vivono sulla propria pelle. Ma a noi stava bene, anche se scarso, almeno per quel giorno non avremmo litigato. Però, durante la partita, interrompeva il gioco per falli presunti o inesistenti, alle nostre giuste contestaziofi rispondeva seccato: Per me è fallo, se non vi sta bene smetto e vado via. A malincuore, ormai a scelta fatta, pur di finire la partita, subivamo il ricatto. La partita si concluse perché s’era al tramonto e molto stanchi. Mai più, si disse, avremmo ripetuto quell’errore. Meglio le nostre litigate che subire l’ignoranza di un saccente professore. Dell’esperienze giovanili, l’adulto ha murato nell’oblio i suoi ricordi. All’uscita della scuola, un nonno attende i nipotini. Niente corse da soli verso casa, la libertà di un tempo s’è persa col progresso, quanti bambini perdono le basi per formare l’adulto. Questa è una società che fabbrica gli adulti, ma prima li deruba dell’ infanzia. - Si va oggi a vedere lo spettacolo dei burattini? Fui io, il nonno, a fare la proposta che i bambini accettarono contenti. Il teatro “Italia” che un tempo fu importante, era andato in malora e declassato a teatrino per i burattini. Anche se piccolo, ai suoi tempi era stato un gran teatro che aveva dato vita a recite importanti, con bravi attori, ma oggi è diventato il teatrino dei burattini. All’ora stabilita siamo andati a teatro perché ogni cosa oggi è appesa alla lancetta delle ore, mentre una volta il nostro tempo era segnato dall’alba e dal tramonto o dalla campanella a scuola e l’ora della ninna-nanna ci veniva suggerita dalle stelle. Lo spettacolo, deprimente, diverte solo i ragazzini ed una parte degli adulti che sembrano marionette sorridenti. Si rappresenta una “burlesque”che ha come titolo: Allegria, allegria stiamo tornando alla mezzadria. È una satira sull’aumento spropositato delle tasse. Apre la scena un parlamento zeppo di comparse, altri invece recitano il govemo, ma, in fondo in fondo, son tutti burattini. Chi muove i fili e cura la regia, resta nell’ombra e se la ride davanti ad un pubblico smarrito. Giuseppe Rito


La mietitura Mietere il grano oggi è molto meno romantico e faticoso di qualche decennio fa. Quando le spighe sono mature basta prendere appuntamento con un proprietario di mietitrebbia e il giorno stabilito un mostro meccanico rombante e auto equilibrante, con cabina di guida climatizzata, inizia il lavoro mietendo, trebbiando, vagliando e contemporaneamente accumulando in un serbatoio in alto il prezioso e antico seme. Quando il contenitore è colmo il grano viene travasato tramite pompa nel capace e adatto rimorchio del padrone del campo, per poi essere venduto a un molino e ivi conservato in grandi silos cilindrici. A partire dalla seconda metà del 1900 anche in Italia la meccanizzazione ha soppiantato, piano piano, un lavoro che durava da qualche migliaio di anni: il lavoro della mietitrice e del mietitore. “Mica è grano che casca!” e “Quando il grano è sulla falce” sono due proverbi che sottolineavano l’urgenza della mietitura, una volta accertata la maturazione, e il suo contrario, riferito ad altre incombenze che potevano essere posticipate senza danno. I braccianti venivano prenotati per tempo, si stabiliva il compenso, comprensivo dei pasti e a volte anche dell’alloggio, mentre nel caso dei contadini vicini spesso ci si aiutava a vicenda. Non c’era l’ora legale, ma a giugno le giornate erano e sono molto lunghe e le notti brevi. “A maggio si fece notte e a giugno a malapena” diceva un proverbio del tempo e siccome le ore del giorno e di lavoro erano così tante, bisognava mangiare più volte e bere molto anche per resistere al gran caldo. Intorno alle quattro del mattino già albeggiava e ai mietitori veniva offerto un bel pezzo di ciambella all’anice e un bicchiere di vino o, ancora più indietro nel tempo, un biscotto di farro insaporito con lardo e pecorino. Dopo aver indossato le cannelle (canne spaccate, legate tra loro con uno spago, infilate sulle prime falangi delle dita della mano sinistra) per non tagliarsi, ognuno, a debita distanza dall’altro, iniziava a mietere una manciata di spighe per fare il legame (bbarzu, dal latino balteum = cintura; nella Valnerina, lontana dal Tevere e da Roma il sostantivo aveva subìto una variazione genetica o meglio fonetica, ed era diventato varzu, legaccio per il covone). La manciata veniva divisa in due parti uguali e incrociata a X all’altezza delle spighe poi, con rapido movimento, messa sotto l’ascella destra la paglia ad essa vicina, con la mano destra si abbrancavano le spighe torcendole in senso antiorario e rovesciandole sopra gli steli che venivano poi allargati a mo’ di croce e stesi per terra. Sopra di esso veniva messa una bracciata di grano mietuto, che veniva legato stringendo gli steli del varzo, incrociandoli ad X e poi ancora di novanta gradi. Si prendevano poi una parte di steli da un capo e una uguale parte dall’altro torcendoli verso destra e ripiegandoli al lato del varzo. Gli steli rimasti e non ritorti servivano come manico per prendere la gregna (o covone). Si andava avanti per un paio d’ore poi arrivavano le donne di cucina con due grandi ceste di vimini in precario ma elegante equilibrio sul cercine poggiato sulla testa, coperte con tovaglie a quadri bianchi e rossi. Era il momento di una colazione più sostanziosa costituita o da una salsiccia sott’olio da sbocconcellare insieme a due belle fette di pane, oppure un piatto di fagiolini e una fettina di mortadella … e vino a volontà. Riprendendo il lavoro qualcuno, ora con lo stomaco più tranquillo, attaccava a cantare vecchie canzoni insieme alle donne mietitrici. Nell’intervallo tra i pasti bastava che uno gridasse: “acquaaaaa” e subito uno o più bambini uscivano dal cono d’ombra dei noccioli e

correvano con i bottiglioni di vino tenuti al fresco nelle sorgenti. La parola acqua era una scusa, ma a volte veniva bevuta sul serio. Il mietitore riempiva il bicchiere col vino e incominciava a bere mentre versava nel bicchiere l’acqua fresca. Man mano che beveva la soluzione di vino e acqua diventava sempre più pallida finché alla fine il bicchiere risultava pieno solo di acqua. Verso le 10, ad occhio e croce, altra breve sosta per mangiare magari un paio di frittelle con la menta -la menta rinfresca-, sempre con l’immancabile sfilata delle variopinte ceste di vimini. A ora di pranzo si tornava nella grande aia prospiciente la casa -se vicina al luogo di mietitura- dove era stato apparecchiato un grande tavolo di legno grezzo con panche, all’ombra di un grande noce. C’erano fettuccine all’uovo, i cosiddetti maccheroni, al sugo d’anatra e un bel piatto di cetrioli conditi con olio, sale, aceto e abbondante pepe. Il vino manco a dirlo e poi tutti a riposare sdraiati all’ombra delle grandi querce con sotto la schiena una giacca, un sacco di juta o un cappottaccio militare. Alla ripresa dei lavori, verso le 16, una fetta di torta dolce con l’immancabile bicchiere di vino. Dopo un altro paio di orette una fettina di frittata con zucchine e cipolla e la sera anatra al forno con patate (molte patate). Le donne, sagge amministratrici delle scarse risorse alimentari, preferivano i piatti di spezzatino come, per esempio, il coniglio in padella col sugo di pomodoro o il baccalà in umido con le patate, perché così riuscivano a fare belle porzioni variando le quantità del secondo e del contorno e se non bastava, c’era sempre la possibilità di intingere una bella fetta di pane nel sugo o di pulirci il piatto. Dopo quattro canzoni e quattro risate tutti a nanna, ubriachi e quasi sobri, chi nel proprio letto fatto con le brattee del granturco, chi sopra un tavolaccio. E al mattino si ricominciava da capo con varianti del cibo, tipo: sgombro in scatola, tonno, pecorino fresco, spezzatino con patate, grandissimi piatti di pomodori spezzati, conditi e impreziositi da tutti gli odori, rigatoni o spaghetti comprati (la graditissima, perché non usuale, pasta compra). Non tutti davano sette occasioni di pasto ai mietitori. C’era chi ne dava cinque e chi solo tre e scadenti, approfittando del fatto che sia la manodopera che la fame erano in forte esubero. A volte bisognava interrompere il riposo pomeridiano perché i brontolii del tuono in avvicinamento minacciavano un imminente temporale, forse anche con grandine. Allora bisognava correre a raccogliere le gregne sparpagliate, radunarle, metterle a croce con le spighe al centro, poi una croce sull’altra fino ad altezza d’uomo ed infine l’ultima per cappello in mezzo con le spighe pendenti in un angolo. Questo sistema di raccolta veniva chiamata a cavalletto. In questo modo se fosse arrivato uno scroscio di grandine solo la parte esposta delle spighe del cappello sarebbe incorsa nel danneggiamento, preservando tutte quelle al di sotto. In questa atmosfera di duro lavoro ma anche piena di canti e di allegria nascevano nuovi amori e anche, causa eccessi libatori, qualche feroce lite: per esempio quando il mietitore (o la mietitrice) più bravo e veloce avanzava in profondità nel campo di grano, svoltando poi a destra o a sinistra tagliando così la strada al vicino di posto. In gergo si diceva “fare l’orto” ed era considerata un’offesa abbastanza grave, tale da dover essere lavata con … qualche bicchiere di vino in più. L’allegria, i canti e le risate risuonavano da un campo all’altro, mentre oggi si sente solo il brontolio del motore diesel che ingoia distese di spighe dorate e sputa indietro la paglia e la pula. vittorio.grechi@gmail.com

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Associazione Culturale

La Pagina

Terni, Via De Filis 7a

Grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni per essere sempre vicina alle attività e ai beni culturali del nostro territorio. Dopo 12 anni della nostra attività, il gruppo di tradizioni e folklore popolare è ancora oggi più brillante ed entusiasta che mai. Tutti ci conoscono, molti si complimentano con noi che da vari anni ancora portiamo a tutti le nostre tradizioni antiche. Il supporto morale e spirituale ci serve per affrontare sempre e meglio le nostre iniziative. Esse sono volte statutariamente, oltre che alla ricerca dei brani popolari da trasmettere ai giovani, anche alle persone più deboli indifese e sofferenti di questa nostra società. Grazie ancora per l’amore, l’incoraggiamento, il sostegno e l’aiuto che ci date, segno evidente che Noi non stiamo deludendo le Vostre aspettative. Tutti insieme possiamo fare molto di più.

AC La Pagina Terni, Via De Filis 7a

D a M a r t e d ì 11 a Gioved ì 20 Civiltà contadina M ostra foto di Enzo Chiocchia e Marco Barcarotti Sabato ore 17,30 Civiltà contadina Vittorio Grechi e I C a n t o r i d e l l a Va l n e r i n a

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Adriana Rossi 0744 780664 • 3404883612 Remo Scorsolini 0744 780862 • 3356454619 remo.scorsolini@gmail.com Pietro Matteucci pietro.matteucci.47@alice.it Sede Via Piemonte n. 12 05034 Ferentillo - Terni Associazione ONLUS C.F. 91035020550


Esperienze cliniche con oli essenziali in sala parto La terapia olfattiva di regolazione (TOR) è una particolare modalità terapeutica che usa oli essenziali e che presuppone come oggetto del trattamento medico la conoscenza del terreno ovvero della costituzione del soggetto malato e non già il trattamento del sintomo isolato o di una malattia intesa in senso nosologico classico. In altri termini il sintomo va considerato solo come espressione di uno squilibrio più ampio la cui soppressione farebbe perdere di vista la totalità del problema in quanto viene eliminato un elemento di allarme che invece va inserito nel contesto generale e va compreso nel suo significato. Quindi curare significa allontanare la malattia sostenendo la fisiologia e i suoi processi normali e non antagonizzare il sintomo. Ognuno di noi è in realtà un complesso intrecciarsi di emozioni, strutture, organi, esperienze, che nel tempo hanno plasmato e reso unico, fin dalla nascita e anche prima, il nostro modo di reagire di fronte alle diverse circostanze della vita. Per alcuni quell’evento provoca una risposta che per altri può essere diametralmente opposta o di nessun significato; c’è chi di fronte ad un tramonto può commuoversi e chi invece si affretta perché si sta facendo notte e deve rientrare. Fino a ieri l’uomo era diviso in due parti, da un lato la psiche e dall’altro il soma. Oggi possiamo dire che le componenti sono almeno tre e intimamente collegate fra loro e alle prime due va aggiunto il concetto di Polis, inteso non solo come contesto sociale nel quale il soggetto vive e si modula (C. Geertz), ma anche come contesto magicoreligioso (P.Pracca). Oggi l’uomo si trova a dover gestire soprattutto le sue paure, le sue ansie, le sue preoccupazioni, le sue frustrazioni con mezzi inadeguati, perché quelli che abbiamo attualmente a disposizione sono stati elaborati dalla natura per fare fronte a situazioni acute destinate a durar poco, mentre la necessità di gestione si protrae nel tempo e si va quindi nella direzione dello stress cronico (R. Sapolsky). Premesso che tutti gli oli essenziali devono essere diluiti in un olio di base (in genere si consigliano 10 gocce di olio essenziale in 50 ml di olio di mandorle dolci, olio di germe di grano, olio di jojoba), possiamo affermare che: Gli oli essenziali rappresentano un’informazione chimica che per via nasale o cutanea, attraverso un complesso meccanismo di trasduzione “olfattiva”, arrivano direttamente nel cervello e più precisamente a livello del “sistema limbico” (amigdala-paura e ricompensa, ippocampomemoria e orientamento, i nuclei talamici anteriori e la corteccia limbica…) complessa formazione nervosa del cervello rettiliano, che presiede alle attività istintive e primitive attraverso una serie di risposte regolate dal sistema neurovegetativo simpatico o parasimpatico. Considerando che lo stress del parto, l’idea di affrontare una esperienza nuova quindi sconosciuta o tristemente conosciuta in maniera diretta o indiretta, mette la paziente in uno stato di ansia, di paura e di preoccupazione, è necessario risolvere la

tensione generale del corpo e dello stato d’animo che si è visto essere di ostacolo ad un espletamento normale del parto. Per ovviare a tale condizione di “ostacolo” e riprendendo esperienze simili che vengono condotte ormai da tempo negli ospedali inglesi nei servizi di maternità, ad esempio nel North Bristol NHS Trust e nel Southmed Hospital Birth suite con più di 6000 nascite all’anno; nel St John e St Elizabeth Hospital London con riduzione del 50% dei cesarei previsti; nel The Royal London Hospital for Integrated Medicine dove trattano anche patologie tumorali, abbiamo messo a punto alcuni protocolli possibili per dare maggiore serenità e una migliore condizione organica che possa aiutare la neomamma e il nascituro. Come già accennato, va detto che tutti gli oli essenziali usati per via topica devono essere diluiti in un olio di base al fine di evitare una esposizione della zona da trattare che sia troppo diretta e quindi lesiva per la cute oltre che eccessiva, ma va anche detto che possono essere solo inalati una volta dispersi e fatti evaporare nell’ambiente. L’aromaterapia riduce l’ansia e la paura aiutando le donne a sentirsi più rilassate e può contribuire a ridurre sintomi come bruciore di stomaco o mal di schiena. Quando le donne durante il travaglio sono rilassate, il loro bisogno di alleviare il dolore è ridotto, ma ogni donna è unica e si possono usare gli oli specifici per ogni esigenza, ha dichiarato Mary Carlisle, manager della Birth suite presso il Southmead Hospital. Partendo da questa considerazione che riteniamo fondamentale, noi prenderemo in esame tre possibili protocolli: il primo a base di ARANCIO, BERGAMOTTO, LAVANDA ad azione rinfrescante; in quanto riducono il tono simpatico, calmano l’ansia e la paura, rasserenano, rilasciano lo stato generale della paziente, tonificano l’umore, hanno un’azione simpaticolitica che non altera lo stato di vigilanza. In altri casi può essere necessaria un’azione opposta alla precedente. Se la paziente necessita di essere riscaldata ovvero tonificata nel senso stretto, per una possibile inerzia del sistema e per una dominanza del tono vagale useremo IL BASILICO, IL PEPE, LO ZENZERO. In altri casi ancora ci può essere la necessità di purificare l’aria e la mente agendo direttamente con odori gradevoli su paure remote ingiustificate, in quei soggetti che hanno paura di tutto, che soffrono o hanno sofferto di attacchi di panico e useremo IL NEROLI, IL MIRTO, IL GELSOMINO. Infine menzione a parte merita la SALVIA SCLAREA unita al GERANIO e all’YLANG YLANG con cui si crea una miscela molto attiva nello stress emozionale (isteria, attacchi di panico, paura) purificando tutto ciò che non è armonico. Dr. Leonardo Paoluzzi Medico chirurgo SIFIT Coordinatore della Commissione sulle medicine non convenzionali -Ordine dei Medici di TerniReferente regionale SIROE

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Associazione Culturale

Venerdì

21 ore 21,30

La Pagina

Danze e profumi d’oriente

Terni, Via De Filis 7a

Ketty Kostadinova con Les Almèes

Layali Bulgaria Oriental Dance Festival

La prima edizione del Festival Internazionale di danze orientali Layali Bulgaria Oriental Dance di Evelina Papazova si è svolto a Sofia dal 31 maggio al 2 giugno 2013. Ha visto la partecipazione di maestri di fama internazionale quali: Wael Mansour, Faren Ben Azira, Mercedes Nieto, Pablo Acosta. Per l’Italia era presente Ketty Kostadinova, ternana di adozione, con il suo gruppo Les Almées. Ketty ha presentato il Hagalla, la danza del deserto, ed ha incantato la platea. Les Almées si sono aggiudicate il PRIMO PREMIO nella competizione dei gruppi. Grazie dunque a Ketty e a Erica, Francesca, Pamela, Priscilla, Valentina.

Se sei giovane, non importa di che età, la cultura ti affascina, ti piace progettare per la tua città, ami confrontarti o tenere conferenze, hai tuoi artefatti da mostrare agli altri, vieni in Via De Filis 7, a Terni: abbiamo creato un luogo per quelli come te. Ti confronterai con gli altri, potrai giovarti della nostra esperienza, se lo vorrai, potrai disporre di mezzi tecnici per realizzare i tuoi progetti culturali. Ti aspettiamo.

Sabato

22 ore 20,00

AC La Pagina Terni, Via De Filis 7a

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ore 21,30

par t y re Cul t ural Cabar et Sei In siem e p ri ma di


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Assessorato ai Lavori Pubblici Qualità Urbana Cooperazione Internazionale SOCIAL WORLD Forum della Cooperazione e della Solidarietà 17-26 maggio 2013 - Terni Dal 17 al 26 maggio 2013 si è svolto, a Terni, il Social World - Forum della Cooperazione e della Solidarietà: un importante appuntamento pensato e realizzato dall’Assessorato alla Cooperazione Internazionale del Comune di Terni, in collaborazione con FELCOS Umbria (Fondo di Enti Locali per la Cooperazione Decentrata e lo Sviluppo Umano Sostenibile) e con il patrocinio dell’ANCI regionale, per promuovere la crescita della coscienza solidale nei cittadini e il senso di appartenenza comunitaria globale. L’intera cittadinanza è stata invitata a riflettere -attraverso momenti di dibattito e riflessione, musica, teatro e danze- su cosa si può fare concretamente a partire dai nostri territori per contribuire allo sviluppo umano sostenibile. Sono state molte le istituzioni, le associazioni e singoli cittadini che hanno partecipato attivamente al Forum della Cooperazione e della Solidarietà, incontrandosi, scambiandosi buone prassi e nuove idee, in una parola facendo rete e ipotizzando collaborazioni future per progetti da realizzare insieme. Il forum è stato sostenuto in maniera particolare da quelle associazioni che si impegnano direttamente nella realizzazione di progetti di solidarietà e cooperazione internazionale, quali: il Cesvol di Terni, il Forum SaD, le Associazioni Per un sorriso Monica De Carlo, Sulla strada Onlus, Lavorando insieme per la dignità, Lo scoiattolo e As.So.S. Associazione Solidarietà e Sviluppo. Il cuore della città, in particolare Piazza della Repubblica e Piazza Europa, è stato per quasi una settimana teatro di animate rappresentazioni itineranti sui temi della solidarietà, di musica, canti e danze tradizionali espressione delle diverse comunità migranti presenti sul territorio e alcune esposizioni fotografiche di progetti realizzati nei diversi paesi dalle associazioni del territorio sono state ospitate nelle strutture comunali. A latere di questo intenso programma di eventi culturali, il Forum ha inoltre proposto alla cittadinanza diverse occasioni interessanti di riflessione e approfondimento sulle tematiche dello sviluppo umano e della cooperazione internazionale con attori e personalità di spicco del panorama locale, nazionale e internazionale. La mattina di giovedì 23 maggio si è svolto un insolito incontro alla Sala Consiliare del Comune di Terni, che, al posto dei consiglieri comunali, quella mattina ha ospitato più di 60 ragazzi e ragazze delle scuole superiori ternane, che, dopo essere stati accolti dall’Assessore Silvano Ricci, hanno avuto la possibilità di dialogare con Francesco Petrelli, Presidente di Oxfam Italia e Portavoce della Rete Concord Italia, e con tanti altri rappresentanti delle associazioni locali. Petrelli, presentando con parole semplici agli studenti presenti l’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite sullo stato dello Sviluppo Umano nel mondo, ha spiegato loro come sia assolutamente necessario “cambiare completamente il nostro modo di guardare il mondo, perché non esiste più come prima una divisione netta tra un Nord ricco e un Sud arretrato. La globalizzazione ha cancellato il concetto geografico di povertà e rivoluzionato anche quello di paesi in via di

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sviluppo: basti pensare ai nuovi paesi emergenti come l’India o il Brasile che hanno altissimi trend di crescita. Le povertà sono aumentate all’interno dei paesi: ci sono aree dell’India poverissime e altre ricche. E questo sta succedendo anche in Italia.” Sarebbe più esatto dunque parlare, conclude Petrelli, di “una nuova questione sociale mondiale”. A questo primo incontro con gli studenti sono seguite tre tavole rotonde di grandissimo interesse. Il giovedì pomeriggio, all’interno dei bellissimi spazi della BCT ternana, si è a lungo discusso degli orizzonti “Post 2015. Dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”; lo scopo di questo incontro era di illustrare ai cittadini il dibattito in corso a livello nazionale e internazionale sull’agenda globale per lo sviluppo dopo il 2015, data entro la quale dovrebbero essere raggiunti gli otto obiettivi del millennio (MDGs), su cui tanti capi di stato e di governo si erano impegnati nel settembre del 2000 all’assemblea dell’Onu. L’incontro ha fornito l’occasione per fare il punto in merito ai fallimenti e ai piccoli successi sugli MDGs e tutti i relatori presenti hanno infine evidenziato come non sia più sufficiente perseguire solo i pur importantissimi obiettivi di lotta alla povertà, ma occorre contemporaneamente mettere al centro delle politiche e degli interventi i temi della sostenibilità ambientale e dei diritti umani. Il venerdì pomeriggio -durante la seconda tavola rotonda intitolata Il mondo riparte dal Sud. America Latina, Asia, Africa, organizzata in collaborazione con il circolo culturale Primomaggio- si è parlato invece dei nuovi scenari mondiali, dei grandi mutamenti geopolitici in atto a livello globale e dei nuovi paesi emergenti, durante la quale i bravissimi relatori hanno, ciascuno dal proprio punto di vista, spiegato come la crescita mondiale non sia più trainata dai tradizionali paesi ricchi, ma sia ormai sempre più nelle mani delle nuove potenze emergenti di America Latina, Asia e Africa. Quasi a voler ripetere infine l’evidente e inscindibile connessione tra contesto globale e locale, sabato mattina gli organizzatori del forum hanno volutamente spostato l’attenzione della cittadinanza sul contesto locale del nostro territorio, con una tavola rotonda molto interessante su Povertà, legalità e lavoro, che ha affrontato in modo particolare la questione sociale locale e il tema scottante delle infiltrazioni criminali nella nostra regione. A seguito di questa maratona di dibattiti e riflessioni, il Forum si è volutamente concluso domenica 26 maggio, con una momento particolare dedicato all’operatività solidale e al “fare concreto” che si realizza nei nostri territori: durante questo incontro finale sono state infatti premiate tante buone pratiche delle associazioni, è stata presentata la Campagna del Forum SaD sul Sostegno a Distanza e è stata presentata infine la Card del sostenitore, una card che della solidarietà che dà diritto ad agevolazioni economiche sul territorio italiano. Una settimana dunque molto intensa, che ha sicuramente lasciato in tanti cittadini e cittadine che hanno avuto la possibilità di partecipare, la voglia di essere più informati e, come si augurano gli organizzatori, di rimboccarsi le maniche per partecipare in prima persona alla costruzione di un mondo più a misura d’uomo, per tutti. Si l v a no R i c c i Assessore alla Cooperazione internazionale


SOCIAL

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Foto Enzo Chiocchia

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Foto Enzo Chiocchia

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Assessorato Cultura Scuola e Politiche Giovanili Le voci, le musiche, i suoni portano con sé tracce e testimonianze di tutte le culture che le hanno prodotte e che hanno, poi, attraversato. Ovvero nel loro propagarsi nel tempo e nello spazio non solo ci evocano le storie di chi le ha prodotte e delle loro culture ma si arricchiscono continuamente di altri significati costringendoci ogni volta a confrontarci con la nostra memoria. Da questa consapevolezza è nato il progetto Suoni della Memoria, che intende favorire il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio immateriale di tradizioni musicali e orali di quattro regioni italiane. Il progetto ‘I suoni della memoria’, avviato nel 2009, si propone di favorire il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio immateriale di Umbria, Campania, Lazio, Puglia, Basilicata, rendendolo accessibile al pubblico attraverso la sua digitalizzazione e archiviazione. Al centro di questa iniziativa ci sono i cittadini, che avranno a disposizione una sala della Bct, la biblioteca comunale di Terni, con delle postazioni allestite in collaborazione con i giovani architetti di Terni, per ascoltare le musiche popolari delle regioni che hanno aderito: dalla pizzica alla tarantella, fino a quelle umbre e della Valnerina, raccolte dagli studiosi fra gli anni ’50 e ’70. Fra i fondi disponibili ci sarà quello di Valentino Paparelli, con centinaia di registrazioni di canti operai, della mietitura e della Pasqua. L’obiettivo: Conservare la memoria delle tradizioni orali del nostro Paese, renderla viva e fruibile dalla comunità, specie dalle nuove generazioni. Il fondo sarà presentato ufficialmente il 21 giugno, giorno della Festa europea della musica, con un evento serale presso l’anfiteatro alla passeggiata, al quale prenderà parte la cantautrice Lucilla Galeazzi. Oltre all’archivio fisico, ci sarà anche un sito internet -www.suonidellamemoria.it- in cui sarà possibile ascoltare le preview dei brani disponibili e consultare le relative schede descrittive. Suoni della Memoria è un progetto che connette la cultura con le nuove tecnologie e unisce differenti generazioni: questo non significa solo mettere al sicuro un tesoro finora sopravvissuto per la sola tenacia di artisti e studiosi appassionati ma dare un contributo a rafforzare il valore della condivisione. Avere a cuore i beni materiali e immateriali è importante per la nostra democrazia: la nostra identità è composta in realtà da tanti “Suoni” diversi, ognuno portatore di una storia. La biblioteca comunale di Terni avrà dunque non solo una nuova sezione, pensata per diventare una casa della memoria, un archivio immateriale in cui saranno custodite migliaia di testimonianze delle tradizioni musicali, orali, fotografiche della città e del territorio e strumento fondamentale, ma sopratutto un luogo dove si potranno costruire tante iniziative e, a partire dalla nostra memoria, costruire il futuro. Assessore Simone Guerra

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Sì, viaggiare - Vivere e viaggiare: impulsi involontari propri dell’essere vivente

L’uomo e il viaggio: un legame indissolubile che è stato da sempre oggetto dell’interesse umano, delle tradizioni e delle letterature di tutto il mondo. Celeberrima la frase: il viaggio come metafora della vita; ognuno di noi, almeno per una volta, l’ha letta in qualche articolo o testo o l’ha sentita dire, ma quanti di noi si sono soffermati a riflettere sul suo vero significato? La metafora è una figura retorica con la quale si individua un rapporto di analogia tra due termini. Nella frase presa in analisi i due concetti posti in relazione sono la vita e il viaggio. Volendo ora instituire un legame tra questi di tipo sillogistico, si potrebbe affermare che, se vivere coincide con l’azione del viaggiare e se è vero che tutti amano vivere, allora è vero anche che tutti amano viaggiare. Non tutti i sillogismi, pur sembrandolo apparentemente, hanno però rigore logico; tentiamo, dunque, di dimostrare la veridicità o meno di tale affermazione. Proprio come in una dimostrazione di un teorema scientifico, è necessario inizialmente definire i due termini presi in esame. Il viaggio: non è solo l’approdo al porto finale, ma è superamento di molti pericoli e ostacoli, è verifica delle proprie abilità, è una prova della propria conoscenza; esso nasce dallo stimolo naturale alla ricerca del nuovo, dall’istintiva attrazione o repulsione per ciò che ci è estraneo e ignoto; prevede la sfida al confronto con l’altro, ma anche lo spirito di adattamento a situazioni difficili e imprevedibili. Tutto è viaggio, come scrive Todorov; la mente che compie un balzo nei ricordi del passato è viaggio, uno spostamento fisico è viaggio (persino il percorso che va da casa a scuola), il nostro cuore e la nostra anima che vengono assaliti continuamente da sentimenti differenti è viaggio. Attenzione, viaggiare non vuol dire correre incessantemente a 100 km/h, al contrario, significa cadere per poi rialzarsi più forti di prima, imbattersi negli ostacoli per poterli affrontare e poi divenire ancora più maturi; il viaggio costa fatica, è vero, d’altronde ci hanno insegnato sin da piccoli che nella vita non si ottiene mai nulla senza un minimo sforzo. Dall’altra parte, la vita: l’uomo, essere fragile ma anche superbo e ostinato, non può tuttavia dominarla in assoluto, non ha la possibilità di stabilire come essa debba svolgersi, così come non ha la capacità di definirla perfettamente, tant’è grande, imprevedibile, potente; noi uomini siamo stati, al momento del concepimento, investiti dalla vita, ne facciamo parte, noi uomini siamo vita e non abbiamo, dunque, lo sguardo esterno e distaccato che permette una certa oggettività nel giudizio. Potremmo dire, sulla scia di Todorov, che tutto è vita; ne fanno parte la gioia e il dolore, la bellezza e la disarmonia, la spensieratezza e lo sforzo, lo stupore e molto altro ancora.

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Mettendo ora in relazione i due termini presi in analisi è possibile definire il viaggio come esperienza di vita, e ancora prima la vita come un viaggio alla scoperta del mondo e di se stesso; le due parole sembrano, dunque, esser sinonimi e come tali influiscono su di essi gli stessi fattori. Ad esempio, il tempo: la dimensione dell’attesa che porta piacere nell’uomo ancora prima di iniziare il viaggio, il vagare con la mente a ciò che l’aspetta, l’immaginarsi delle situazione per poi saper reagire prontamente senza deludere le proprie aspettative. Ma ancora più influisce la durata del percorso: la consapevolezza che il viaggio prima o poi finisce comporta un velo di malinconia nell’animo viaggiatore; una tristezza che viene superata, però, se si pensa, come Saramago, che nessun viaggio è definitivo. Anche il famosissimo viaggio della vita non è, infatti, né il primo, né l’ultimo; la morte non è altro che la fine di un percorso e l’inizio di un altro cammino che non possiamo sapere se sia migliore o peggiore di quello terreno. Un altro fattore che caratterizza sia il viaggio che la vita è la meta, il traguardo che l’animale razionale non può con la sua logica stabilire; è vero che ognuno di noi decide la direzione dei viaggi che intraprende, proprio come provvede ad orientare, mediante le sue scelte di vita, la sua esistenza, tuttavia è vero anche che nessuno ha il potere di prevedere lo svolgimento del cammino; nella strada, infatti, si incontrano degli ostacoli o si commettono errori che non sono prevedibili ma incidentali e che l’uomo non può evitare. Proprio questa imprevedibilità della via ci permette di sperimentare emozioni come lo stupore o la spontaneità dei gesti ed anche il terrore di dover necessariamente affrontare un nemico sconosciuto, la stessa imprevedibilità che ci permette di crescere, di maturare e divenire adulti. Ancora un’altra analogia: il soggetto che compie il viaggio è lo stesso che affronta il percorso di vita, ovvero l’Umanità. Tutti gli esseri viventi in quanto tali vivono e, volontariamente o meno, compiono dei viaggi. Tutti possono concorrere all’ambizioso titolo di cittadino del mondo, anche chi è rinchiuso nel suo piccolo spazio vitale e si rifiuta di uscirne. Mettersi in gioco è necessario per ottenerlo, ma questo non vuol dire che tutti debbano armarsi di una valigia e partire. Lo spirito interiore dell’uomo deve aprirsi alla conoscenza dell’altro, del mondo e di se stesso; solo così potrà un giorno esser soddisfatto della vita vissuta. È proprio di questo che parla Edoardo Affinati nel suo articolo Viaggiare con il cuore, quando spiega che è possibile viaggiare in una classe in cui ci sono alunni di diverse culture senza doversi spostare dalla cattedra, ed io compio davvero insieme a loro, senza pagare il biglietto, il giro del mondo in aula. Viaggiare come vivere è un impulso spontaneo, involontario, proprio della natura dell’esser vivente, che non può non farlo e non può soprattutto non amarlo dal momento che è parte di lui. La coerenza del sillogismo può, dunque, considerarsi dimostrata. Lucia Passagrilli III IF


Il tempo: un mistero impossibile da svelare

Ogni singolo uomo, dal bambino all’anziano, pone a se stesso o ad altri individui, di cui generalmente ha fiducia, una serie di interrogativi a cui non è sempre facile rispondere. Uno di questi riguarda il mistero del tempo. Ed è proprio il fatto che il tempo sia un mistero a spingere l’individuo a voler indagare, a voler comprendere più lucidamente l’essenza di questo arcano, sebbene domini il convincimento dell’incapacità dell’uomo a risolvere i dubbi più profondi che egli stesso, volontariamente o inconsciamente, di continuo si pone. Fin da bambini si comprende, mediante esperienze dirette, che il tempo non è reversibile. Ad esempio, in seguito alla scomparsa di uno dei nonni, il bambino diventa consapevole del fatto che il nonno non tornerà più, dunque non potrà più compiere determinate azioni alla presenza di tale figura. Ma un uomo, morendo, scompare dal tempo? Esiste dunque un’eternità che non ha principio e non avrà fine? La questione è controversa, forse l’unico dato di fatto è l’impossibilità per l’uomo di sfuggire alla morte; ma che la mortalità propria della natura umana possa trovare riscatto in una dimensione atemporale non è affatto certezza. Tuttavia è possibile constatare che l’uomo, morendo, scompare definitivamente dalla storia. La storia infatti, come afferma Antonio Tabucchi: sta nel tempo, ma non è il Tempo…La Storia è racconto…e il racconto (con l’avvenimento che esso racconta) sta nel tempo. E la storia, in accordo al giudizio di Piero Bevilacqua, comincia esattamente laddove finisce il tempo naturale, il tempo ciclico del ritorno degli eventi cosmici e naturali. La mancata coincidenza tra il tempo della storia e il tempo della natura è ben evidente nel romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, in cui gli equilibri e le consuetudini proprie del mondo arcaico, inscindibilmente legate ai ritmi naturali, vengono sconvolte dall’irruzione della storia, la quale introduce nella piccola e protetta comunità rurale gli elementi perturbanti della modernità. A differenza del tempo della natura, che è caratterizzato dalla ciclicità, il tempo della storia, il quale, al contrario, è lineare, ha irrimediabilmente una fine. La consapevolezza dell’inconciliabilità tra questi due tempi può determinare da un lato una visione pessimistica, dall’altro una visione ottimistica. Per chiarire queste due diverse attitudini, possiamo riferirci a due filosofi: Leopardi e Seneca. Se, da una parte Leopardi, constatando l’impossibilità per l’uomo di rinascere ogni primavera, giunge ad un pessimismo cosmico, dall’altra Seneca valorizza l’esistenza umana, sostenendo che quest’ultima ha un valore tanto grande proprio perché è inserita nel tempo. Una celebre sententia è infatti: Vita, si uti scias, longa est (La vita, se sai farne buon uso, è lunga).

Dunque, accogliendo la posizione senecana, è legittimo sostenere che la vita umana ha rilevanza proprio perché è inserita nel tempo. Ed è l’irreversibilità del tempo che la rende preziosa, irripetibile, unica. In quest’ottica il tempo diventa un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori, più saggi, più maturi, più perfetti. D’altro lato, però, questa saggezza, questa maturità, questa perfezione risulta effimera, dal momento che verrà prima o poi annientata dalla morte. Dunque la limitatezza del tempo, se da un lato è preziosa perché consente all’uomo di vivere a fondo ogni minimo istante, dall’altro è negativa perché determina lo svanimento dell’agire umano, mostrandone la vanità. Quest’ultima considerazione potrebbe esser risolta in chiave trascendente, non soltanto attraverso la religione, ma anche attraverso la poesia. Tanto la religione, quanto la poesia, infatti, consentono, come afferma Dal Mas, di superare i limiti umani che si materializzano dentro lo spazio temporale. Solo adottando una visione trascendente si può rispondere agli interrogativi che si pone un uomo come Carlo Levi: Chi ci ha cacciati dal nostro paradiso? Quale peccato e quale angelo? Chi ci ha costretti a correre così senza riposo, come gli affaccendati passanti di un marciapiede di Manhattan? La questione resta aperta: il tempo è un mistero non risolvibile. L’uomo può soltanto darsi da fare nella speranza che le sue azioni non siano destinate a dissolversi nel nulla, ma siano volte al raggiungimento di un maggior grado di perfezione. Nicoletta Mazzocchi III IF

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Una Buona Nuova! Il nostro amatissimo giornale già impegnato su molti fronti sia sul piano sociale, che culturale sta per dare inizio ad una rubrica, uno spazio, interamente dedicato all’emblematico e sconosciuto mondo del carcere. In questo ultimo numero di giugno presento questo nuovo progetto che nasce da un’esperienza che è stata, per me che scrivo, carica di emozione, intensamente formativa e utile a capire meglio quanto, in realtà la vita dentro sia strettamente collegata alla vita fuori, il che non divide due categorie (carcerati e non), ma getta uno sguardo all’interno di un luogo che viene gestito nel nostro tempo, con le nostre leggi e dalle stesse persone che incontriamo per strada ogni giorno. Credere infatti che il carcere non ci riguardi perché siamo delle persone oneste che non delinquono è come credere che l’ospedale non ci riguardi perché per ora non siamo malati. Significa, a mio modesto avviso, voler nascondere la testa sotto la sabbia. Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni. (Fëdor Dostoevskij) Il carcere è lo specchio della società, che ci piaccia oppure no. In realtà poco si conosce di ciò che realmente accade là, dietro le sbarre, in quel luogo-non luogo che sembra quasi un buco nero spazio temporale per noi liberi, un buco che ingoia e che lascia spazio a fantasie, interrogativi, curiosità. Ecco, il nostro vorrà essere uno sguardo d’approfondimento, faremo interviste a chi il carcere lo ha vissuto, a chi lo vive ogni giorno, affronteremo i temi legati alla detenzione, a come questa incida sullo stato di salute di un uomo, a quanto questa serva al fine di riabilitare, di educare. Passeremo per la detenzione femminile non trascurando il tormentato argomento dei figli del carcere, bambini nati da mamme incinte detenute. Faremo un viaggio nel tempo partendo dall’800 ad oggi, 800 perché è del 10 marzo 1871 il Regio decreto concernente gli impiegati della Amministrazione Penitenziaria, che istituisce la figura del medico nei Bagni penali, quello che diede alle carceri la struttura istituzionale che hanno ancora oggi. Cercheremo di capire e di trasmettervi con serietà, passione ed obiettività un mondo chiuso, una istituzione totale, per usare un termine di Goffmann, che ricrea al suo interno una sub-civiltà, un piccolo paese autogovernato. Entrando in un carcere la prima sensazione che si prova è che lo spazio sia ristretto, il respiro diminuisce e l’udito si acuisce, i sensi, tutti si alterano adattandosi alla cattività. La libertà è violata, in ogni sua forma. Il tempo sembra infinito. Tutta questa alterazione ambientale esercita inevitabilmente una pressione su chi la subisce palesando disagi e creandone di nuovi ed è questo che ci interesserà approfondire, insieme a tante altre cose. Credo e spero caldamente che un argomento di tale portata umana e di tale importanza possa catturare il vostro interesse e che questo filo diretto che stiamo creando possa appassionarvi. Io dal canto mio ce la metterò tutta! Francesca Palluotto

CONCORSO REGIONALE Poeti di classe a.s. 2012-2013

Tema del concorso: “Una bugia potrebbe...” PRIMO PREMIO per la categoria Scuola Media Superiore allo studente Nicolò de Majo Motivazione: In sei strofe dal linguaggio essenziale, vengono sintetizzati, con molta semplicità ed altrettanto acume, vari momenti della vita dell’uomo in cui la bugia entra in azione: per soddisfare l’ingenuità di un bambino, per trarre vantaggio personale con false promesse, per creare discordia e per sollevare dal dolore qualcuno. Attuale e significativo il riferimento alle vedove di tanti militari morti in questi ultimi anni, in patria o all’estero, per una giusta causa.

U n a b u g i a potre bbe ... Una bugia potrebbe mettere in discordia, creare rivalità, separare innamorati... Una bugia potrebbe creare del bene occultando una brutta verità, ma non sempre conviene... Una bugia potrebbe far felice un bambino quando arriva Babbo Natale. Ma anche quella non va lontano... Una bugia potrebbe convincere noi stessi quando diciamo: “Va tutto bene...” Una bugia potrebbe creare un impero facendo promesse che saranno scordate... Una bugia potrebbe rasserenare persone che soffrono molto come quando si dice a una vedova che il militare è morto per una buona causa.

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Implantologia orale fig.1

Per implantologia La soluzione implantare fig.4 orale si intende permette di conservare la branca della integri i denti naturali odontoiatria che adiacenti allo spazio da valuta la possi- colmare in quanto la degli bilità di sosti- protesizzazione tuire i denti impianti di norma non mancanti con coinvolge i denti naturali. impianti dentali L’intervento di implantoche si possono considerare come radici sintetiche ancorate logia vanta percentuali di successo molto elevate che si nell’osso mascellare o mandibolare per sostituire denti aggirano intorno al 95-98% ma prima dell’inserimento singoli, gruppi di denti o per fare da supporto a protesi degli impianti è fondamentale la fase di diagnosi e il colloquio con il paziente per valutare sia le condizioni rimovibili parziali o totali (la cosiddetta dentiera). Fu lo svedese professor Per-Ingvar Branemark che, in generali di salute sia il volume di osso a disposizione in seguito ai suoi studi iniziati negli anni 50 e 60 in campo altezza e in spessore al fine di evitare interferenze con anatomico e ortopedico, scoprì che placche di titanio strutture anatomiche vicine e definire così le varie possibilità terapeutiche. inserite nelle ossa delle gambe di fig. 2 Il paziente deve essere esente da coniglio non potevano essere più gravi malattie di tipo sistemico come rimosse dopo un periodo iniziale di cardiopatie, diabete, grave osteopoguarigione poiché l’osso si era rosi, coagulopatie; inoltre non sono saldato direttamente alla superficie buoni candidati i pazienti con una del titanio, materiale biocompatibile pessima igiene orale e i fumatori che non dà luogo a reazioni da corpo accaniti poiché queste cattive abituestraneo. dini, se perpetrate anche dopo l’interSi definì così il concetto di osteointevento, possono determinare problemi grazione intendendo con tale termine alla integrazione ossea degli impianti l’ancoraggio diretto tra un impianto stessi compromettendone il successo in titanio e l’osso senza interposia lungo termine. zione di tessuto molle. Questo fenomeno fornisce la base scientifica per Come già accennato, gli impianti dentali rappresentano l’utilizzo e il successo clinico degli impianti dentali, un’ottima soluzione per ogni tipo di protesi: permettono il cui obiettivo è appunto quello di conseguire una di ripristinare uno o più denti mancanti senza dover limare i denti adiacenti ricorrendo all’utilizzo di ponti completa osteointegrazione. Gli impianti dentali sono essenzialmente dei dispositivi (fig. 2 e 3) ; talvolta mancando i denti di appoggio non di forma cilindrica o cilindro-conica con una filettatura sarebbe neanche possibile fare dei ponti quindi gli costituiscono esterna, quindi morfolo- impianti fig. 3 fig.5 gicamente simili ad una l’unica soluzione per avere vite, realizzati in titanio dei denti fissi (fig.4). trattato per irruvidirne la Oppure possono dare superficie allo scopo di tenuta e stabilità a protesi migliorare l’adesione ad rimovibili come le dentiere esso da parte dell’osso e risolvendo il problema loro eccessiva quindi appunto il grado di della osteointegrazione come mobilità (fig.5). Al b e r t o No v e l l i sopra esposto (fig.1).

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SETTIMANA NAZIONA

N u m e ros e a Te r ni le in

Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it www.teverenera.it

Il Commissario Straordinario del Consorzio Vittorio Contessa, l'Assessore Regionale Silvano Rometti, il Direttore Carla Pagliari

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Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera anche quest’anno ha celebrato, dal 18 al 26 maggio, la Settimana Nazionale della Bonifica e della Irrigazione, avente il tema: Risorse Naturali, Energia per il Territorio. Denso il programma delle iniziative organizzate dal Consorzio, rivolte principalmente al mondo della Scuola. Durante tutta la settimana tecnici del Consorzio, in collaborazione con l’associazione Myricae, hanno accompagnato le scolaresche delle materne e delle primarie presso il parco Le Grazie di Terni, e lungo le sponde del fiume Nera, nel tratto corrispondente al Parco Fluviale Urbano, al fine di far conoscere ed apprezzare le bellezze naturali del territorio. Il rapporto tra Consorzio e Scuola si è sviluppato durante tutto il recente anno scolastico, tramite la realizzazione del Progetto didattico “Sorella Acqua”, nato in collaborazione con il Provveditorato. Circa 800 gli studenti che, con curiosità ed entusiasmo, hanno partecipato durante tutto l’anno agli incontri ed alle lezioni riguardanti l’uso attento dell’acqua, quale preziosa risorsa dell’ambiente e del territorio. Tra le diverse iniziative segnaliamo l’inaugurazione della mostra, presso lo spazio espositivo della Camera di Commercio di Terni, dei lavori creati dagli allievi delle Scuole partecipanti al Progetto “Sorella Acqua”. Gli elaborati si incentravano sull’acqua intesa come ricchezza naturale, da tutelare e valorizzare. Ricordiamo le scuole che hanno partecipato : Scuole materne: Le Grazie di Terni, S. Angelo di Amelia, S. Anna di Sangemini, A. Ciatti di Amelia, S. Maria del Rivo di Terni, Matteotti di Terni, Mazzini di Terni. Scuole Primarie: Gabelletta, Campomaggiore, Mazzini, Lanzi, Falcone e Borsellino. Scuole Secondarie: Giovanni XXIII, Marconi, Brin, Alterocca. Licei Scientifici: Donatelli di Terni e Gandhi di Narni. Sono risultati vincitori: - Scuola Materna A.Ciatti di Amelia - Scuola Primaria Campomaggiore classe 3 C - Scuola Secondaria B. Brin classe 1 C - Liceo Scientifico R.Donatelli classe 1 AS


ALE DELLA BONIFICA

n i z iat i ve s ull’a mb i e n t e La premiazione degli elaborati si è svolta presso la sala conferenze dell’Hotel Garden di Terni. Foltissima la partecipazione degli insegnanti, degli studenti e dei loro genitori che hanno apprezzato l’ottimo lavoro del Consorzio per l’educazione ambientale dei giovani. Grande soddisfazione del Commissario Straordinario dell’Ente Vittorio Contessa e del Direttore dott.ssa Carla Pagliari, per il gran numero di partecipanti e per la convinta adesione degli alunni. Apprezzamenti anche da parte del mondo della Scuola espressi dal prof. Mauro Esposito. Molti i rappresentanti delle Istituzioni sia locali che regionali, che hanno portato il loro saluto, rappresentando il buon rapporto delle Amministrazioni con il Consorzio. Si è svolta poi anche quest’anno la tradizionale Passeggiata Ecologica aperta a tutti i cittadini ed alle associazioni sportive. Il percorso, costeggiando il canale Sersimone, si è sviluppato poi in zona Colle dell’Oro, ed ha consentito ai numerosi partecipanti di scoprire scorci di territorio davvero pregevoli. Il gruppo sportivo Myricae e gli Amatori Podistica Terni si sono distinti per il numero di partecipanti. Hanno partecipato anche la Podistica Interamna e la Podistica Carsulae. Alla fine della passeggiata sono stati consegnati attestati di partecipazione e targhe a ricordo della giornata. È intervenuto alla manifestazione l’assessore regionale all’ambiente Silvano Rometti, che ha sottolineato la vitale funzione svolta dai Consorzi di Bonifica. La dott.ssa Carla Pagliari, nel ricordare il fondamentale contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni per la realizzazione del Progetto Formativo ed il sostegno della Banca Mediolanum per la riuscita della Settimana Nazionale della Bonifica 2013, ha ringraziato per l’ottima riuscita dell’evento tutti coloro che vi hanno partecipato, lodando sia l’impegno delle scuole che la professionalità del personale del Consorzio impegnato. Tracciando il positivo bilancio della manifestazione, il Commissario Straordinario Vittorio Contessa ha ribadito l’impegno dell’Ente per la salvaguardia dell’ambiente e la sua strategica importanza, per la messa in sicurezza idraulica del territorio.

Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 9,00 alle 13,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00

L'Assessore del Comune di Terni Marco Malatesta, il Commissario Straordinario del Consorzio Vittorio Contessa, il Direttore Carla Pagliari

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I l m o n d o c h i u s o i n u n l i b ro . . . o un libro che apre al mondo! Quest’anno ho realizzato uno dei miei sogni più pressanti: partecipare al Salone Internazionale del Libro di Torino. Uno di quei luoghi magici e speciali che, visto per anni nei servizi dei telegiornali e letto per altrettanto tempo nei servizi sui giornali, mi aveva sempre affascinato tantissimo. Una serie di (s)fortunati eventi mi ha portato a poter essere presente quest’anno, quando proprio non ci pensavo... forse hanno ragione quelli che dicono che le cose che desideri accadono quando smetti di concentrarti su quanto le vorresti vivere/avere. Il secondo giorno di Salone mi appresto quindi ad entrare nel Lingotto, che schiude le sue porte e mi proietta, ad una velocità supersonica (non mi è mai sembrato di camminare così veloce quanto in quei giorni!) in un mondo parallelo, fatto di luci, suoni, voci e colori particolari, ognuno speciale e unico in quanto irripetibile anche se presente “in serie”. Sono una patita della carta stampata da quando, a quattro anni, ho imparato a leggere, grazie ad una mamma appassionata e accanita lettrice, divoratrice onnivora di storie impresse e rilegate. Da quel momento in poi, quando qualcosa non andava, quando qualcosa andava benissimo o quando qualcosa andava esattamente nel modo in cui mi aspettavo e la routine era la quotidianità, basta aprire un libro per essere catapultati in un mondo parallelo, un mondo pieno di sogni resi possibili e di immagini che diventano realtà. Vedere quante persone vivano la mia stessa passione, nonostante tutte le cose che non vanno nell’economia di questo mondo; nonostante tutte le cose che non vanno nei valori che regnano in questo mondo; nonostante tutto quello che di negativo questo mondo ha da offrire... mi ha fatto capire che ci rimarranno pur sempre i libri, vere e proprie porte aperte (o almeno lo saranno non appena si apriranno quelle porte aprendo la prima pagina!) su una lunga serie di mondi migliori. La crisi che dilaga e regna sovrana non è riuscita a fermare 330.000 visitatori, attirati dall’uno o dall’altro evento, incuriositi da quella grandissima messa in mostra di una serie semi infinita di storie pronte a diventare le storie di chiunque ne iniziasse la lettura, convinti

a raggiungere Torino da tutta Italia ognuno con il proprio motivo, con le proprie aspettative e i propri sogni. Quattro padiglioni in cui le realtà delle piccole case editrici e dei grandi giganti dell’editoria si incontrano, almeno una volta all’anno, e incrociano i propri destini, così come i grandi autori, giornalisti e scrittori che incontrano (sempre “almeno una volta all’anno”!) quei piccoli autori, giornalisti e scrittori che sognano di diventare, prima o poi, come loro. Un vero e proprio sogno nel sogno quello di attraversare (e non solo metaforicamente) una vera e propria distesa di libri, che possono essere la soluzione a quell’aridità intellettuale e sentimentale che, purtroppo, stiamo vivendo da qualche tempo a questa parte. Leggere apre la mente, e non si tratta solo di una delle tante belle frasi fatte che si continuano a sentire da anni: leggere prepara il cuore e la mente ad affrontare tutto quello che la vita potrà metterci davanti e che, molte volte, supera di gran lunga qualsiasi fervente immaginazione. L’estate sta arrivando, nonostante il tempo continui a non essere dei migliori; le giornate si allungano e la vita comincia a prendere dei ritmi un po’ meno serrati. Si tratta di pensare a cominciare dove passare le vacanze e con chi, ma anche cosa fare oltre che restare, giustamente, in panciolle. Oltre alla meta e alla compagnia, quest’anno, scegliete accuratamente anche le vostre letture: non sono sicuramente meno importanti di coloro che saranno immortalati nelle foto ricordo della vostra estate. Vacanze lunghe, vacanze brevi, vacanze non esistenti... non importa: quel che importa è la qualità del tempo che trascorrerete riposandovi, immersi nella lettura di quelli che saranno i vostri accompagnatori di fiducia in un altro mondo, che altro non è che un tassello del grande caleidoscopio formato da tutti i libri esistenti al mondo e che, in fondo, non fanno altro che descriverlo, in un modo o nell’altro. La persecuzione contro i libri è propria di tutti i regimi dispotici, e basterebbe questo per farci amare la lettura. Corrado Augias, Leggere, 2007

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AZIENDA OSPEDALIERA

Struttura Complessa

Centro di riferimento nazionale per il trattamento di gravi patologie

Dr. Sandro Carletti Direttore Struttura Complessa di Neurochirurgia A z ien d a O s p e d a lie r a “ S. Mar ia” di Te r ni

Nel reparto di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera Terni diretto dal Dr. Sandro Carletti vengono trattati tutti i tipi di patologie del sistema nervoso sia in elezione che in urgenza come: tumori cerebrali e spinali benigni e maligni, aneurismi e malformazioni vascolari cerebrali, malattie degenerative e traumatiche della colonna vertebrale, idrocefalo del bambino e dell’anziano. In questi ultimi anni -dice Sandro Carletti, direttore della Struttura Complessa di Neurochirurgia e del Dipartimento di Neuroscienze- la neurochirurgia ternana si è messa in luce per l’effettuazione standardizzata di innovative tecniche chirurgiche che hanno permesso di ridurre i tempi operatori, le complicanze e i tempi di degenza post-operatoria, con il conseguente rapido ritorno del paziente alle normali attività quotidiane, e una generale riduzione delle spese sanitarie. Ciò si realizza attraverso l’attuazione di collaborazioni multidisciplinari e attraverso la formazione continua dei neurochirurghi, i quali effettuano costantemente stage di formazione sia in Italia che all’estero, con l’obiettivo di implementare sempre più innovative tecniche chirurgiche a carattere mini-invasivo. La stretta collaborazione con i professionisti dell’Azienda Ospedaliera di Terni ha permesso di standardizzare procedure, come il trattamento dei tumori cerebrali a paziente sveglio (“awake surgery”), grazie alle quali, per tutto il tempo dell’intervento, il neurochirurgo e l’anestesista possono colloquiare con il paziente, valutando in tempo reale eventuali modificazioni delle condizioni neurologiche dello stesso. Si tratta di procedura che soltanto pochi centri in Italia sono in grado di eseguire. Questa collaborazione con il neuroanestesista si è poi consolidata con l’istituzione di una terapia intensiva post-operatoria dedicata alla neurochirurgia, diretta dalla dottoressa Lorenzina Bolli, che ha migliorato in maniera significativa gli standard assistenziali, grazie anche alla possibilità di effettuare monitoraggi neurorianimatori avanzati. Grande impulso è stato dato, inoltre, allo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche mininvasive mediante l’utilizzo della Neuroendoscopia e della Neuronavigazione. Il trattamento chirurgico dei tumori ipofisari -prosegue il Dr. Carlettirappresenta ancora oggi uno dei maggiori campi di interesse e di attività della neurochirurgia ternana. Il bagaglio culturale e di esperienza clinicochirurgica impostato dal professor Giulio Maira, fondatore della neurochirurgia ternana, si è consolidato nel tempo e negli ultimi mesi si è arricchito grazie all’impiego di nuove tecniche di approccio transfenoidale con tecnica endoscopica, che consente di ridurre notevolmente il disagio post-operatorio rispetto alla metodica tradizionale. Grazie al neuroendoscopio è inoltre possibile trattare tumori profondi e patologie idrocefaliche mediante accessi chirurgici sempre più piccoli. Da alcuni mesi la tecnologia mininvasiva endoscopica viene utilizzata anche per il trattamento delle ernie discali lombari. L’intervento endoscopico, rispetto a quello tradizionale, ha il vantaggio di poter essere eseguito in analgo-sedazione, cioè con tecnica anestesiologica computerizata ed innovativa, che permette di mantenere il paziente sveglio e senza dolore durante la procedura chirurgica. Grazie a questo approccio mininvasivo e a questa innovativa tecnica chirurgica e anestesiologica si può ridurre al massimo il dolore ed il disagio post-operatorio del paziente il quale può alzarsi a poche ore dall’operazione ed essere dimesso la mattina seguente. La Neurochirurgia di Terni è diventata centro didattico-formativo di riferimento nazionale per l’esecuzione di tecniche mininvasive integrate alla neuronavigazione tanto che, con cadenza semestrale, presso l’Azienda Ospedaliera di Terni si svolgono corsi di neurochirurgia mininvasiva vertebrale neuronavigata, corsi ai quali partecipano neurochirurghi provenienti da tutta

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Italia. Il neuronavigatore è uno strumento che, integrando le immagini neuroradiologiche con la posizione del paziente sul tavolo operatorio, consente di controllare continuamente il movimento degli strumenti chirurgici permettendo un ottimale orientamento anatomico durante l’intervento chirurgico. È in grado quindi di guidare il neurochirurgo nella scelta del miglior tragitto per circoscrivere un tumore dal tessuto sano circostante e per individuare la migliore traiettoria di approccio. La neuronavigazione rappresenta pertanto oggi il miglior approccio per le procedure neurochirurgiche complesse in quanto è l’unica metodica che garantisce la massima precisione con una minima invasività e quindi con minori complicanze. Pertanto il neuronavigatore trova la sua applicazione soprattutto per i tumori cerebrali profondi, della base cranica e delle patologie spinali complesse. Ma l’attività della Neurochirurgia ternana si esplica ai massimi livelli anche sul versante scientifico e della ricerca attraverso l’attuazione di protocolli clinici di impianto di cellule staminali sul midollo spinale in pazienti affetti da SLA, attraverso lo studio delle cellule staminali dei gliomi cerebrali e di quelle del disco vertebrale mediante rapporti di collaborazione scientifica con l’Università Bicocca di Milano ed il Prof. Angelo Vescovi e con l’IRCCS Neuromed di Isernia, diretto dal Prof. Giampaolo Cantore. È inoltre in programma un nuovo progetto di studio sulla Genomica dei Tumori cerebrali in collaborazione con il centro di Genomica della Università degli Studi di Perugia, diretto dal Prof. Nicola Avenia. Grazie alla storia consolidata sul versante della clinica e della terapia chirurgica delle patologie del sistema nervoso, la Struttura Complessa di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera di Terni è diventata non solo uno dei punti di eccellenza dell’azienda stessa, ma ha portato anche


S A N TA M A R I A D I T E R N I

a di Neurochirurgia

e cerebrali e spinali mediante tecniche mininvasive e neuro navigate Équipe Direttore Dr. Sandro Carletti Medici Carlo Conti, Alessandro Di Chirico, Alessandro Ciampini, Giovannino Zofrea, Martine Sibille, Rossella Rispoli Coordinatrice inf.ca degenza Silvia Tortori Infermiere degenza Laura Pistone, Augusta Monaco, Agnese Sabetta, Beata Nycek, Giuditta Fabrizzi, Simona Farinelli, Caterina Occhibove, Amna Beshier, Simona Pettorossi, Katiuscia Taddei, Sarita Ottavi, Cristina Capone, Valeria Cignoli, Maria Monarca (OSS), Katia Petacchiola (OSS), Sara Parmegiano (OSS), Cristina Cricco (OSS) Segreteria Luciana Marsiliani Coordinatrice inf.ca sala operatoria Paola Sabatini Infermieri sala operatoria Cinzia Campili, Sara Pedacchia, Paolo Saveri, Alessandro Raggelli, Massimiliano Vichi, Leida Ngjelo, Andrea Scarchini, Giuseppe Carotenuto, Matteo Gennari

l’Umbria ad essere un importante punto di riferimento per pazienti e professionisti provenienti da tutta Italia. Nei primi 3 mesi del 2013 si è evidenziato un forte incremento di attività, pari a circa il 30 %, rispetto all’anno precedente. Ciò è dovuto a diversi fattori: l’aumento delle sedute operatorie messe a disposizione dalla Direzione Generale, la dedizione di tutto il personale medico ed infermieristico afferente al reparto e alla sala operatoria di neurochirurgia, il sempre maggiore grado di attrazione e di affidabilità della Neurochirurgia ternana che richiama pazienti da tutta Italia, la ricerca costante e la capacità di evolversi costantemente verso tecnologie e tecniche chirurgiche all’avanguardia. In questo modo il Dipartimento di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera di Terni, diretto dal Dr. Sandro Carletti, è in grado oggi di offrire una risposta esaustiva a qualsiasi paziente affetto da una patologia neurologica, risposta che va dalla diagnosi alla terapia medica o chirurgica, sino al percorso riabilitativo.

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Diritti dell’uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell’uomo riconosciuti e protetti non c’è democrazia, senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti. Norberto Bobbio L’Associazione culturale “Progetto...”, nata a Terni nel 1988, dopo poco, precisamente nel 1995, ha affiancato al Progetto Mandela, che ha appena compiuto il venticinquesimo compleanno, anche l’attività del Centro per i diritti umani. Il Centro nasce con l’intento di approfondire tutte le tematiche che riguardano i diritti umani, di fare opera di divulgazione e conoscenza per le persone interessate e di effettuare consulenze per insegnanti e studenti delle varie scuole, fornendo documentazione e attuando interventi diretti. Diffondere la cultura dei diritti umani non è semplice; è necessario per questo ricorrere ad una serie di strumenti di volta in volta funzionali agli utenti che si vogliono raggiungere e alla domanda che viene da componenti diverse della società. Per questo il Centro si è sempre mosso su più piani e con strumenti diversi per aggredire l’ignoranza in fatto di diritti. Innanzitutto si è dotato di un buon archivio con materiale documentario che va dai libri ai video storici e di attualità, ai film, ai cd-rom, al materiale cartaceo d’archivio. In secondo luogo ha messo a punto una serie di interventi nelle scuole di natura didatticodivulgativa. In terzo luogo ha prodotto nel corso della sua storia una serie di spettacoli teatrali, di conferenze, di mostre e trasmissioni radiofoniche. Vogliamo qui ricordare i due assi portanti dell’attività del Centro ovvero gli spettacoli teatrali e il Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani Lungo cammino verso la libertà.

U n te a tro p er i dir itti In campo teatrale il Centro agisce come luogo di sperimentazione drammaturgica per un teatro civile attraverso la ricerca, la produzione di spettacoli in occasione della Giornata della Memoria, le mise en space e i reading di testi contemporanei inerenti alle tematiche dei diritti umani. Negli anni è diventata una realtà caratterizzante che nella sua evoluzione potrà essere luogo d’incontro e scambio della nuova drammaturgia di teatro civile. Le produzioni del Centro vedono la collaborazione di attori professionisti con qualche inserimento di allievi scelti dai laboratori del Progetto Mandela. Elenco spettacoli: 1995 Pitchipoi - Storie dal ghetto di Varsavia 1996 Antigone e le altre 1997 Semplicemente desaparecido 1998 La neve è caduta, ma non devi essere triste, dopo la neve tornerà il calore del sole 2000 E vissero felici e contenti 2004 Terra Santa 2005 Wiro Ki Moo - Le bambine tra i soldati 2006 Porrajmos 2007 Voci da Terezin 2008 C’era una volta Auschwitz / Dei diritti e delle pene 2009 Rose sbocciate dal fango 2010 Ed ecco a voi, Theresienstadt 2012 La gita 2013 La scelta

Lungo cammino verso la libertà Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani e delle loro violazioni Il Corso è stato progettato allo scopo di fornire una informazione elementare di carattere sia storico che filosofico soprattutto per gli studenti dell’ultima classe delle scuole secondarie superiori, ma aperto comunque a tutti i cittadini. Accompagna l’anno scolastico da Ottobre ad Aprile con incontri a cadenza settimanale didatticamente organizzati attraverso l’uso di slide e di video storici o fiction. Il corso è totalmente gratuito. Nell’anno scolastico 2012-2013 ha conosciuto la sua tredicesime edizione consecutiva. Ha sempre visto la partecipazione di numerose scuole superiori e di un numero elevato di studenti.

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Fisioterapia e Riabilitazione

NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11

La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico

Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di

Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.

Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa

Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.

Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882

- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia

- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro

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LO SPECCHIO URBANO …pensiamo mediante ciò che vediamo. R. Arnheim, Il pensiero visivo (1969) L’identità di un popolo è anche il paesaggio che ha costruito nel corso dei secoli e come la sua lingua si trasforma lentamente ma incessantemente: la sua immagine è lo specchio della nostra cultura, la nostra Patria. Si dimentica spesso che l’urbanistica non è una tecnica fine a se stessa ma strumento di un progetto di vita associata in un determinato territorio, progetto finalizzato al benessere psico-fisico (anima e corpo) del cittadino inteso come componente di una collettività. Tale finalità, nell’Italia di questi ultimi decenni, è stata totalmente disattesa riducendo l’urbanistica a mera tecnica per il mercimonio di aree e per inconfessabili affari; a tal proposito si legga il recente saggio del vecchio urbanista Leonardo Benevolo intitolato icasticamente “Il tracollo dell’urbanistica italiana”. Non sono sufficienti le petizioni di principio e le buone intenzioni del legislatore (nella fattispecie la Regione Umbria) se poi sulla questione decisiva del contenimento del consumo di territorio si mostra un volto timido e pilatesco (vedi note in calce): la norma è orientativa non prescrittiva e si riferisce esclusivamente agli insediamenti residenziali. L’esito negativo degli strumenti urbanistici sotto-ordinati era prevedibile. Si veda la vicenda dei Piani Regolatori delle più importanti città dell’Umbria: a fronte di una pletora di leggi e regolamenti regionali (e loro modifiche e aggiornamenti), apprezzabili se pur farraginosi, corrispondono Piani deludenti perché anonimi e gonfi di aree da trasformare e volumetrie da realizzare: previsioni del tutto ingiustificate dalla Disciplina urbanistica. Nessuno ha recepito l’indicazione del Piano Urbanistico Territoriale relativa al suddetto contenimento. Il P.R.G. di Terni non fa eccezione: concepito nei primi anni del nuovo secolo e approvato nel 2008 è sovradimensionato e già vecchio. Paradossalmente quaranta anni dopo il precedente Piano Ridolfi ne ripercorre gli stessi errori e difetti: mobilità a prevalente vantaggio di quella privata a motore e bulimia di previsioni edificatorie con conseguente consumo indiscriminato di territorio (si pensi allo scempio di Colle dell’Oro in cui si prevedono una nuova edificazione per circa 150.000 metri cubi e una superficie cementificata per decine di ettari, tra zone residenziali, turistico-ricettive, sportive e parcheggi; tutto ciò a dispetto della verifica del Bilancio urbanistico-ambientale e dei Contenuti delle norme sulle Unità di Paesaggio -Unità a cui appartiene Colle dell’Oro- prevista dal Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale del 2004 - vedi note in calce). Un’acconciarsi acritico al solito modello di sviluppo produttivistico senza un sostanziale progresso civile: un Piano senz’anima. La crisi improvvisa e violenta a partire dal 2008 (data che, ironia della sorte, coincide con quella della sua approvazione) ne ha messo a nudo la miopia previsionale e la pochezza culturale. Terni è stata una città dall’anima semplice, fatta di laboriosità, di buon senso civico e segnata indelebilmente da uno sviluppo industriale repentino e abnorme a cui non ha mai corrisposto un progresso culturale a questo paragonabile. Ancora oggi Terni è conosciuta come città operaia.

La Grande-fabbrica è stata dispensatrice di salari intorno a cui ha ruotato l’intera comunità ternana: Città-fabbrica dal grande corpo e dalla piccola testa. Con un ceto borghese insignificante, la sua classe dirigente è stata espressione costante, salvo una breve interruzione, del ceto operaio. Su questo, in cambio del consenso, ha costruito una cultura ideologicamente orientata al mantenimento dello status quo. Una cultura subalterna senza autonomia e capacità propositiva. Il Piano Regolatore in vigore è lo specchio di tale realtà, in grave ritardo nel sintonizzarsi con le nuove acquisizioni disciplinari e i nuovi paradigmi della compatibilità ambientale: spreco di territorio e inquinamento. La conca ternana è ormai una campagna urbanizzata e i suoi abitanti registrano un livello di casi tumorali al di sopra della media italiana. L’incremento incontrollato, in questi ultimi decenni, di nuovi volumi edificabili, è stato incentivato dalla sciagurata norma (abrogata recentemente dal governo Monti) che consentiva ai Comuni di stornare gli oneri concessori (di costruzione e di

urbanizzazione) a qualsiasi voce di bilancio mentre la norma originaria li destinava solo alle opere di urbanizzazione: dovevano quindi essere utilizzati a beneficio di un ordinato sviluppo urbano e non per fare cassa. Insomma tale norma è stata una perfetta macchina vorace di suolo. Ha generato un circolo vizioso e perverso, una delle cause dell’indebitamento incontrollato dei Comuni italiani: infatti la disponibilità immediata di fondi a seguito del rilascio di facili permessi di costruire ha fatto trascurare gli effetti nel lungo periodo e credere che la manna sarebbe stata senza fine. Invece proprio la bolla immobiliare (la sconsiderata offerta di facili mutui combinata a un’ipertrofica offerta di case) ha innescato la deflagrazione della più grave crisi del dopoguerra.. Di qui il desolante paesaggio italiano: un territorio sempre più urbanizzato (nell’ultimo trentennio, in questo paese, se n’è consumato per una superficie pari a una grande regione italiana), con decine di migliaia di alloggi invenduti, centinaia di migliaia di metri quadrati di capannoni industriali dismessi. La Regione e la Provincia, secondo le loro competenze, non hanno stigmatizzato o sollecitato a modificare il P.R.G. di Terni che è palesemente non conforme allo spirito e alle finalità della

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PA E S A G G I O

URBANISTICA

CRISI

normativa dei rispettivi Piani Urbanistici. Come già sottolineato due sono gli indirizzi urbanistico-territoriali decisivi ai fini di una corretta pianificazione: 1) il contenimento del consumo di territorio e, a questo correlata, la tutela del paesaggio (inteso come salvaguardia di quello storicamente definito e come sintesi equilibrata di quello in trasformazione); insomma la tutela estesa all’intero territorio; 2) l’adozione di una mobilità alternativa diffusa (in particolare la ciclo-pedonale) e conseguente drastica riduzione di quella privata a motore. L’obsolescenza del P.R.G. di Terni è certificata dalla vigente recessione economica: questa sta lasciando relitti urbani di ogni sorta (alloggi invenduti, capannoni artigianali e industriali deserti, negozi svuotati). Attuare con rigore e intelligenza gli indirizzi e gli auspici dei Piani urbanistici propedeutici può essere una sfida o una rivoluzione culturale solo in questa Italia allo sbando. Il primo obiettivo relativo al contenimento del consumo di territorio consente e comporta da un lato la tutela del paesaggio e dall’altro valenza strategica nel ripensare contenuti e modi d’uso della città e rappresenta un contributo per uscire dalla crisi. A tal proposito piace citare una considerazione di Albert Einstein: Attribuire alla crisi i propri fallimenti è dare più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è quella dell’incompetenza, la pigrizia nel cercare vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide né merito. L’unica crisi pericolosa è la tragedia di non voler lottare per superarla. Valter Tocchi

NOTE P.U.T. art. 27 – Politiche per gli ambiti urbani e per gli insediamenti produttivi Comma 4: “Ai fini di salvaguardare l’attuale configurazione dell’assetto degli ambiti destinati alla residenza nonché favorire la tutela del territorio ed il recupero del patrimonio edilizio esistente, i Comuni possono (non devono n.d.r.) prevedere incrementi del 10% delle previsioni edificatorie, salvo la necessità di ulteriori contenimenti al fine del necessario equilibrio, sulla base dell’andamento demografico dell’ultimo decennio”. Comma 5: “La Regione nell’ambito degli obiettivi di cui al presente articolo ed al fine di limitare l’espansione edilizia riserva nell’ambito dei programmi di settore, adeguate risorse finanziarie per il loro raggiungimento”.

il recupero del patrimonio edilizio esistente: non solo quindi salvaguardia quantitativa e qualitativa di un bene (il territorio) irriproducibile e limitato ma anche sviluppo (finalmente accompagnato ad un progresso civile) e risparmio economico (recupero e riuso della città costruita col conseguente azzeramento dei costi delle opere di urbanizzazione). Il secondo obiettivo relativo allo sviluppo diffuso della mobilità ciclo-pedonale consente, con un investimento modesto, un ritorno economico e sociale di notevole portata: si pensi al miglioramento (diretto e indiretto) della salute dei cittadini dovuto all’aumento dell’attività fisica e a una sensibile diminuzione dell’inquinamento dell’ambiente urbano con benefici psico-fisici tali da ridurre i costi del servizio sanitario. Esso richiede soprattutto intelligenza politica e volontà di osare: infatti utilizzando la carreggiata delle strade esistenti, riducendo la sede riservata alle autovetture e adottando sensi unici laddove necessario, si possono individuare percorsi riservati e sicuri per una rete diffusa di piste ciclo-pedonali e corsie preferenziali per mezzi pubblici. Tale progetto, che richiede pazienza e determinazione nella sua attuazione (presumibilmente due mandati amministrativi), ha una

P.T.C.P. art. 14 - Bilanci urbanistici-ambientali e trasformabilità del territorio “In sede di redazione dei P.R.G. i Comuni nel definire le quantità di suolo oggetto di trasformazioni, aggiuntive alle previsioni del P.R.G. vigente alla data di adozione del P.T.C.P che comportino nuove urbanizzazioni, si riferiscono ai limiti massimi di capacità portante e agli indici di ecologia del paesaggio verificati per ciascuna unità di paesaggio di cui al capo VII”. P.T.C.P. art. 144 - Contenuti delle norme sulle Unità di paesaggio Comma 1: “Ai fini della gestione del territorio delle unità di paesaggio, sono approntate schede normative per ogni unità di paesaggio, con funzione descrittiva (non prescrittiva n.d.r.) delle caratteristiche principali e di riferimento per la pianificazione comunale”. Comma 2: “Nelle schede-normative sono indicati” tra gli altri “I limiti massimi di capacità portante per le U.D.P. (Unità Di Paesaggio n.d.r.) a maggior carico antropico, gli indicatori di ecologia del paesaggio e alcuni criteri per le trasformazioni”. (Tali schede-normative non sono in rete e pertanto non è stato possibile valutare la loro potenziale efficacia n.d.r.). Le immagini sono riproduzioni tratte da dipinti di J.B. Camille Corot (Parigi 1796 - ivi 1875). Dall’alto in basso: Papigno, sponde ripide e boscose (sullo sfondo il profilo della città di Terni) (olio su carta) 1826; Lago di Piediluco (olio su tela) 1826 - Ashmolean Museum, Oxford UK; Il ponte di Narni (olio su tela) 1826-1827 - National Gallery of Canada, Ottawa.

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Il futuro del nostro territorio non dipende solo da noi, certo. Ma, di sicuro, anche da noi. È pure nelle nostre mani, ma dobbiamo prima di tutto contrastare la rassegnazione, il fatalismo, il declino. Spetta dunque anche a ciascuno di noi creare futuro. Yes, we will... Will in lingua inglese come ausiliare è il tempo del... futuro. Will si pronuncia, grosso modo, come in italiano U.I.L. Appunto, a noi piace legare la UIL non solo ad un passato di conquiste ma anche e sopratutto all’idea e all’impegno per il futuro. Yes, we U.I.L. Sì, noi siamo U.I.L. e vogliamo contribuire a creare un futuro per il nostro territorio. Partendo dalla difesa e valorizzazione di alcune delle nostre eccellenze: l’acciaio, la chimica, l’artigianato, i giovani, la creatività, l’esperienza. Persino la pasticceria. Il meeting si svolge a Collerolletta (Terni) dal 21 al 23 giugno. I giovani in pochi mesi sono diventati protagonisti nella UIL di Terni. Non solo guidano Categorie importanti, coordinano interi territori, organizzano iniziative culturali di rilevanza nazionale come la mostra di Dalì, fanno attività sindacale nei posti di lavoro ma sono anche al centro delle nostre politiche. Per loro il futuro è prima di tutto... lavoro. Il sindacato ha posto come priorità proprio il lavoro. La grande manifestazione unitaria del 22 giugno a Roma ne è ulteriore testimonianza. La difesa del lavoro e dello sviluppo è anche al centro delle battaglie che proprio in queste settimane il sindacato sta svolgendo nel nostro territorio, dall’acciaieria, alla chimica, al commercio e i servizi, all’edilizia, al settore agroalimentare. Anche la battaglia che la UIL fa contro gli sprechi della pubblica amministrazione e contro gli eccessivi costi della politica tende a reperire risorse da investire in sviluppo e quindi a creare lavoro. Pure in questa direzione vanno viste le iniziative della UIL contro lo spostamento della sede ASL, contro la soppressione delle direzioni provinciali di molte strutture nazionali e contro una politica regionale che penalizza il nostro territorio: dall’Università, all’edilizia ospedaliera, alla stessa tassazione aggiuntiva della Tevere-Nera. Ma è anche fondamentale che la città in uno sforzo corale reagisca all’idea di declino, che si apra al nuovo, che favorisca l’iniziativa dei tanti giovani che hanno idee, capacità, voglia di fare ma che trovano solo ostacoli. La UIL di Terni non può fare molto, ma quel poco che possiamo fare abbiamo il dovere di farlo. Con il meeting di Collerolletta vogliamo dare un segnale concreto di impegno. In questa direzione va il concorso nazionale INNO D’ITALIA, organizzato dalla UIL UNSA, teso a valorizzare la creatività artistica, il concorso CREAIMPRESA che consente di aiutare chi intraprende un’attività imprenditoriale, la costituzione di un gruppo di acquisto che permette anche di favorire la produzione eno-gastronomica locale, lo stesso bando BASTA SPRECHI con il quale vogliamo favorire il protagonismo dei cittadini per una pubblica amministrazione più efficiente e più attiva sul versante dello sviluppo. Un particolare spazio lo abbiamo voluto dare anche alla valorizzazione dell’artigianato artistico locale che, se aiutato, può avere maggiore valenza sul piano occupazionale. La creazione, con il concorso dei migliori pasticceri, del DOLCE DI SAN VALENTINO tende a valorizzare concretamente una grande eccellenza ternana come quella della pasticceria artigianale e con ciò anche a creare nuova occupazione. Certo, sono piccole cose. Ma concrete. Soprattutto quello che ci preme è contribuire, insieme a tanti altri, all’affermarsi di un atteggiamento positivo per creare un futuro al nostro territorio. Non un auspicio, ma l’impegno concreto di ogni giorno. Yes, we U.I.L. Gino Venturi Segretario UIL di Terni

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Trovare LAVORO : un’opportunità in più dall’orientamento professionale La ricerca di un lavoro è comunemente riconosciuta come una delle attività più stressanti e alla quale si dedicano necessariamente giovani e meno giovani. Trovare un lavoro è tanto più faticoso in questo periodo. Un aiuto concreto a sostegno di questa ricerca può venire dall’Orientamento Professionale; lo chiediamo alla Dott.ssa Chiara Mancini, Orientatrice con un Master e una solida esperienza alle spalle, che sta partecipando in questo periodo a varie iniziative di Orientamento gratuito nel nostro territorio, come quella offerta dall’Agenzia Formativa InMetodo. Che cos’è l’Orientamento? Tecnicamente l’Orientamento è l’insieme di quelle attività finalizzate a migliorare le capacità della persona di progettare, affrontare e monitorare le scelte relative ai propri percorsi di istruzione, formazione e lavoro. Quando si può ricorrere all’Orientatore? Soprattutto nei momenti di passaggio o di vera e propria crisi nei percorsi di istruzione, formazione e lavoro: durante il passaggio dalla Scuola Media Superiore all’Università, nel caso di fuoriuscita temporanea dal mondo del lavoro, nel caso della necessità di riqualificarsi o anche nel caso di trasferimenti da un territorio all’altro. Nella pratica come può aiutare i giovani e le persone che sono alla ricerca di una loro strada per affermarsi nella vita? Migliorando la conoscenza di sé attraverso un percorso autovalutativo che favorisce la presa di coscienza delle proprie abilità e attitudini; acquisendo strumenti per individuare le migliori opportunità di studio, formazione, lavoro e rafforzando le capacità individuali di definire obiettivi personali realistici, fondati su una solida autoanalisi. Come fa l’orientatore ad ottenere questi risultati così ambiziosi? Lo strumento centrale dell’orientamento è il Bilancio di Competenze. Si tratta di un percorso autovalutativo che consente al soggetto di migliorare la spendibilità della propria professionalità, partendo dalla presa di coscienza delle proprie competenze e motivazioni. Ha lo scopo di arrivare alla definizione di un progetto di percorso formativo e professionale coerente con le proprie aspettative e con le reali opportunità offerte dal mercato del lavoro. In esito al processo autovalutativo viene redatto un Portfolio o Dossier Professionale. In che modo l’orientamento professionale svolge una funzione di intermediazione tra individui e mercato del lavoro? Favorendo l’inserimento

attraverso un effettivo sostegno nella ricerca attiva del lavoro mediante consigli pratici sulla redazione del curriculum vitae, sul processo di selezione e sul colloquio individuale di lavoro, sugli strumenti di ricerca e selezione delle aziende su base settoriale e territoriale e sui metodi di autocandidatura. Chi si occupa di Orientamento? L’attività dell’Orientamento è stata in passato sottovalutata. Rientra tra i compiti istituzionali dei Centri per l’Impiego. Nell’ultimo periodo si registra un rinnovato interesse da parte delle Istituzioni per cui Scuole e Università sempre più frequentemente organizzano attività a favore dei propri studenti. Anche la Regione Umbria ha dato avvio ad una serie di interventi finalizzati a creare le condizioni per lo sviluppo di un sistema regionale integrato dell’ Orientamento. Da ultimo anche organizzazioni sindacali ed agenzie formative del ternano hanno predisposto propri servizi di consulenza. Le persone utilizzano questo servizio? L’importanza dell’Orientamento è ancora poco conosciuta anche se da parte degli utenti più informati si riscontra un notevole interesse ed una dichiarata soddisfazione in relazione all’efficacia delle attività di Orientamento. In questi giorni numerosi giovani, ancora studenti o in cerca di occupazione, e meno giovani, fuoriusciti dal mercato del lavoro, stanno rispondendo con entusiasmo all’iniziativa gratuita dell’Agenzia Formativa InMetodo, dove sto svolgendo la mia attività di consulenza e colloqui di Orientamento Professionale. L’iniziativa è stata fortemente voluta anche dal Direttore dell’Agenzia Professor Franco Raimondo Barbabella, un profondo conoscitore del mondo dei giovani delle loro aspettative, dei loro sogni e frustrazioni, per avere svolto la sua attività di Preside per tanti anni per il Liceo Scientifico Ettore Majorana di Orvieto. Il direttore sottolinea: Troppe volte ho dovuto constatare che l’insuccesso o la mediocrità della riuscita dei nostri giovani è da imputare a scelte sbagliate o poco razionali dovute soprattutto alla carenza di un adeguato sostegno informativo e formativo nei momenti fondamentali di passaggio o di crisi. Ho sempre ritenuto l’Orientamento un ponte fondamentale tra scuola, università e lavoro ed ho voluto che diventasse attività prioritaria nell’ambito dell’agenzia accreditata con la Regione che sono stato chiamato a dirigere. L’iniziativa è quindi finalizzata al successo personale dei nostri giovani e meno giovani utenti. Martina Locci

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Artroscopia della caviglia L’articolazione della caviglia è la più piccola dell’arto inferiore, effettua movimenti su un solo asse e mette in comunicazione l’arto inferiore con il piede. È sede di patologie ortopediche e di origine traumatica; si pensi che è l’articolazione con più alta incidenza di distorsioni ed è sede frequente di fratture. Questo la rende oggetto di vari trattamenti chirurgici. Dagli anni ottanta ha avuto sviluppo anche in questa articolazione la tecnica chirurgica artroscopia che progressivamente ha permesso il trattamento di varie patologie. Tramite piccole incisioni di 4-5 mm è possibile valutare la parte anteriore e posteriore della caviglia (Fig. 1). Le patologie che più spesso vengono trattate in artroscopia sono: PATOLOGIE DELL’OSSO: impingement osseo anteriore (osteofita anteriore della tibia da artrosi (Fig. 2), fratture in casi limitati. PATOLOGIA CARTILAGINEA: lesioni cartilaginee localizzate (Fig. 3), fratture osteo-condrali dell’astragalo, corpi mobili. PATOLOGIA CAPSULO-LEGAMENTOSA: sinoviti (Fig. 4), artrofibrosi (aderenze intraarticolari), lesioni legamentose acute. I vantaggi offerti dal trattamento chirurgico artroscopico sono, oltre al miglior risultato estetico, la riduzione di complicazioni per una minore invasività ed il recupero dell’articolarità più rapida. Dr. Vin ce n z o B u ompa dre Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport

Fig. 1

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Fig. 2

Fig. 4

D r. V i n c e n z o B u o m p a d r e

Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport

Te r n i - V i a C i a u r r o , 6 0744.427262 int. 2 - 345.3763073 vbuompadre@alice.it 47


La spedizione dei Mille: la campagna di Sicilia (terza parte)

Espugnata la roccaforte dell’oppressore napoletano, Calatafimi venne occupata dalle Camicie Rosse all’indomani della vittoriosa battaglia, il 16 maggio del 1860; da quel luogo era possibile mirare la piana ove oltre duecento fratelli d’arme eran caduti da eroi, numero a cui si deve aggiungere quello dei feriti garibaldini e napoletani che, assistiti dal personale medico agli ordini del dottor Ripari e dalla valorosa Maria Montmasson, vennero lasciati in convalescenza sia in quel paese che a Vita. Alle ore cinque antimeridiane del giorno seguente, la colonna dei volontari iniziò la marcia che l’avrebbe portata a Palermo, la cui prima tappa fu il borgo di Alcamo, che, liberato, riservò loro una calorosa accoglienza, resa ancora più memorabile da uno degli episodi che maggiormente testimoniano la misticità del Generale. La sua venuta era stata preceduta da quella del patriota frate Pantaleo, il quale, nel giorno della Pentecoste, benedì Garibaldi quale guerriero inviato da Dio dopo che egli si era prostrato innanzi all’altare, suscitando così lo stupore dei molti che lo credevano se non un mangiapreti almeno un convinto ateo. Gesto significativo, esso gli era valso a conquistare la fiducia dell’intera popolazione, ad eccezione di un tal padre Carmelo che, nel corso di un colloquio con Giuseppe Cesare Abba, non ritenne abbastanza rivoluzionaria quella spedizione, rivelando delle idee molto simili a quelle del socialismo utopico di Owen in una terra considerata d’Africa. L’Eroe dei due Mondi, dopo aver provveduto ad emanare alcune fra le prime norme volte all’organizzazione politica della Sicilia coadiuvato dal segretario di stato Francesco Crispi, da poco dimessosi dallo Stato Maggiore, il 18 ordinò di proseguire verso Partinico, paese che coraggiosamente si era già ribellato all’esercito borbonico, dal quale era stato brutalmente saccheggiato. Nonostante lo spirito patriottico di quel volgo, i garibaldini vollero ben presto allontanarsi da quella contrada a causa degli ancora evidenti segni dei disumani fatti da poco avvenuti in essa, dei quali ben può rendere l’idea una breve annotazione del poeta Ippolito Nievo: Marcia per Partinico. In questo paese i cani sono ancora occupati a mangiare i Napolitani abbrustoliti, non è un sintomo di civiltà. Giunti sul far della sera a Borghetto al Passo di Renna, solo la mattina successiva si aprì all’ammirato sguardo di quei prodi il panorama della splendente Conca d’Oro, culla della luminosa Palermo e della piana degli aranci che circonda quest’ultima. Affascinato anch’egli dalla capitale di tante civiltà, il Generale tuttavia non dimenticava ch’essa era difesa dai 21.000 soldati agli ordini del nuovo comandante regio Lanza, ai quali poteva opporre i soli superstiti della falange dei Mille unitamente ai duemila picciotti a loro aggregatisi. Consapevole dell’evidente disparità di forze presente, egli decise di tentare una offensiva da Monreale, ove era tuttavia alloggiata una guarnigione nemica.

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Al fine di far sgomberare quest’ultima, inviò dei messaggi a Rosalino Pilo, il quale, ancora nascosto nelle montagne prossime a quella località assieme ad alcuni insorti, prontamente obbedì all’ordine ricevuto pur non avendo ottenuto l’artiglieria richiesta, di cui era sprovvisto lo stesso Garibaldi. Una volta essersi portato fino alla località di S. Martino, il capitano precursore dei Mille ricevette i rinforzi promessigli dal loro capo, assieme ai quali decise di attendere il momento opportuno per ingaggiare uno scontro con il nemico. A causa dell’irrequietezza di parte della truppa, tuttavia, l’offensiva venne lanciata troppo presto e, rivelatasi presto infruttuosa, si concluse con una ritirata. Oramai provocati, i borbonici il dì seguente attaccarono l’accampamento degli insorti, il cui comandante Rosalino Pilo venne ucciso da una pallottola che lo raggiunse mentre stava scrivendo una lettera a Garibaldi. Quest’ultimo, addolorato per la scomparsa dell’amico, fu costretto ad accantonare il piano elaborato: fu così ch’ebbe inizio uno dei più grandi capolavori militari di colui che difese Roma all’ombra de’ Curzi e Deci. Sembriamo un esercito di frati: questa l’annotazione di Ippolito Nievo nel proprio diario, riferita agli abiti che la truppa era stata costretta ad indossare durante la penosa marcia che, intrapresa la sera del 21 maggio dal Passo di Renna, vide il morale dei volontari vinto da un’apocalittica pioggia, la quale, tanto odiata, pure contribuì a rallentare l’inseguimento dell’esercito borbonico. Quest’ultimo riuscì comunque a raggiungere gli insorti a Parco, dove gli stessi vennero costretti ad un’improvvisa ritirata che, strategicamente significativa, consentì agli stessi di riprendere il proprio cammino verso la capitale sicula nonostante significative perdite e, fra di esse, quella del fratello del comandante dei carabinieri genovesi Mosto. Stanco d‘essere braccato come una fiera, Garibaldi chiese un enorme sacrificio al pugno di valorosi che, guidati da Corrao ed Orsini, comandante dell’artiglieria dei Mille, ebbero il compito di proseguire per la strada di Corleone in modo da sviare i soldati di Lanza. Dopo aver in tal modo guadagnato due giorni di libertà di movimento, i garibaldini si portarono sino a Misilmeri ed in seguito a Gibilrossa, dove si ricongiunsero con i tremila militi radunati da La Masa. Furono quelli momenti decisivi per la sorte della spedizione: il generale, in cuor proprio fermamente risoluto nell’ordinare l’assalto della città, volle prima ottenere l’assenso dei propri ufficiali che, in coro, risposero: A Palermo, a Palermo! O a Palermo o all’inferno: questa la profezia d’un visionario Bixio all’indomani del fatidico 26 maggio, il dì in cui l’astro della vittoria brillò più alto che mai sugli unici giusti che, in arme, il secolo XIX Frances co Neri conobbe. Scuola Media Leonardo Da Vinci - Classe IIIA


Te r n i - Vi a C a s s i a n B o n 1 / a ( P i a z z a Ta c i t o ) Te l . 0 7 4 4 . 4 2 5 9 4 5 - 0 7 4 4 . 4 2 4 9 8 9 w w w. i s t i t u t o i t a l i a n o a n d r o l o g i a . c o m erremedica@tiscali.it info@istitutoitalianoandrologia.com ORARIO d a l L u n e d ĂŹ a l Ve n e r d ĂŹ dalle ore 08.30 alle 12.30 dalle ore 15.00 alle 19.00

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27 giugno ore 21

13 luglio ore 21

C e n t r o

A n f i t e a t r o

S o c i a l e G a b e l l e t t a

d i A t t i g l i a n o

3278124840 0744.242912

L’Associazione Culturale Teatrale

ACCIAIO nel 70° anniversario del primo bombardamento di Terni presenta

Ascolta! Il nemico non tace 30 giugno - Piediluco h.21.00 10 luglio - Terni Anfiteatro Fausto h.21.00 Spettacolo teatrale multisensoriale di rievocazione del primo bombardamento di Terni dell’11 agosto 1943. Cast Edmund Zimmerman Costanza Farroni Stefano de Majo Barbara Sabatini Emauele Cordeschi Riccardo Cordeschi Lorenzo Carità Morelli Davide Strinati

attore e cantante attrice attore mezzosoprano percussioni basso tastiere chitarra elettrica

Interpreti del cortometraggio: Francesco Valli, Bruno Budassi, Vincenzo Policreti e gli studenti della scuola media De Filis.

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Marm ellata di prugne di Patrizia Fortunati Di bambini di Chernobyl a Terni ne sono venuti parecchi negli anni, molte famiglie potrebbero raccontare aneddoti e storie particolari, ma una vicenda come quella riportata da Patrizia Fortunati nel suo Marmellata di prugne (edizioni Ali&no 2013) è tutt’altro che scontata. Protagonista del romanzo è Lyudmila, una bambina venuta ospite di una famiglia ternana dal 1993 al 2003 che, ormai alle soglie dei 90 anni (siamo quindi in un futuro ipotetico), ricorda l’esperienza che ha segnato la sua vita. Patrizia Fortunati, che all’epoca aveva 20 anni, sposta il punto di vista dei ricordi mettendosi nei panni della piccola ospite. Cosa è rimasto di queste dieci estati trascorse lontano da casa, in un’altra famiglia, in un paese geograficamente e culturalmente lontano? Il racconto dello stile di vita in Bielorussia è molto forte, genitori alcolizzati, anaffettivi, bambini cresciuti nei campi, assenza di qualsiasi prospettiva di miglioramento di vita e poi la scoperta dell’Italia, di un mondo diverso non tanto per il benessere della vita materiale, ma per la dimensione umana. Lyudmila scopre il valore di un sorriso, dell’affetto degli adulti, dell’ospitalità e dell’altruismo. E scopre il mangiare a tavola tutti insieme, la cura per gli anziani (considerati nella sua patria solo un peso sociale), l’attenzione verso i bambini, il condividere con chi ti vuole bene gioie e dispiaceri. La cura della vacanza italiana si rivela una medicina per l’anima. Finzione e realtà si inseguono, la protagonista in realtà non ha 90 anni, ma 28 e ha due bambine con le quali è affettuosa e attenta come non lo è stata sua madre con lei; poteva fermarsi a vivere qui da noi, ma ha scelto di restare nel suo paese e di portare un seme da far germogliare in Bielorussia, quella dimensione umana totalmente nuova che per lei ha rappresentato l’Italia. Francesco Patrizi

Ruslana Prodanchuk La pittrice ukraina Ruslana Prodanchuk (Novoselitsya 1976) appartiene alla corrente astratta. Già da piccola studia nella scuola d’arte per quattro anni proseguendo poi per altri cinque anni al college di arte U.Y. Skriblaka a Vyzhnytsia. In seguito, a diciotto anni, diventa educatrice d’arte per bambini ed espone i suoi primi quadri. Nell’agosto 2008 si trasferisce in Italia ad Avigliano Umbro continuando a realizzare i suoi dipinti ed esponendo anche in alcune mostre. Ruslana realizza applicazioni in paglia e soprattutto dipinti in acquarello che escludono deliberamente ogni referimento alla realtà circostante. L’autonomia della forma congiunta a quella del colore porta alla disintegrazione dello spazio tridimensionale. E questa, a sua volta, alla dissoluzione dell’oggetto fino alla sua scomparsa: le forme non imitano alcun elemento definito della realta, ma si propongono nella loro stessa essenza messe in risalto da un gradevole gioco di colori, anch’essi privi di rimandi realistici. La scelta della tecnica ad acquarello con la sua caratteristica pennellata, leggera e modulata nel cromatismo e nella tonalità definita, poi a pastelli e a penna come contorno, e la sfumatura conferiscono ulteriore piacevolezza all’impatto visivo dello spettatore che entra in contatto con le emozioni dell’artista.

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S T U D I O

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L S

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T E R N I


Dal 15 al 18 Maggio si è tenuta a Bari, nell’area della fiera del Levante, la prima edizione di MEDISTONE EXPO 2013, significativa manifestazione per la valorizzazione del settore termolapideo pugliese. Fra le varie iniziative vi è stata la volontà di dare un assoluto rilievo all’architettura indicendo l’APULIA MARBLE AWARD (AMA), premio internazionale con tre sezioni: architettura, stone design ed arredo urbano. Una qualificatissima giuria ha assegnato il premio relativo alla terza sezione, appunto quella dell’arredo urbano a due affermati concittadini ternani, gli architetti Paolo Leonelli e Mario Struzzi, per il progetto di restauro della piazza inferiore di Assisi. L’opera ha suscitato un particolare interesse da parte dei visitatori della mostra delle opere in concorso e nei componenti della giuria Giuseppe D’angelo, Stefania Cascella, Vittorio Mirizzi Stanghellini Perilli, Paris Mazzanti, che all’unanimità hanno deciso l’assegnazione del premio con la seguente motivazione: Intervenire sulla Piazza antistante la Basilica Inferiore di S. Francesco ad Assisi è certamente un impegno difficile, per il valore simbolico del luogo e per la complessità di una scena urbana ricca e densa; ma i progettisti si sono accinti al compito loro assegnato con animo e disposizione propria dell’ insegnamento francescano. L’intervento che propongono è semplice, ma non povero, si preoccupa di restituire all’ uomo ed alla sua dimensione uno spazio che gli era stato sottratto. Il grigio dell’ asfalto, che a lungo ha dominato la scena, lascia spazio alle variegate e tenui cromie della pietra. Pietra che gli stessi autori hanno scelto con criterio ambizioso per costruire un tappeto con conci provenienti dalle svariate latitudini percorse dal sandalo dell’Ordine. La trama della pavimentazione riporta regola e ordine laddove regnava il rumoroso caos generato dai veicoli e ripristina una relazione col tessuto della città che si era interrotto da tempo. In un contesto equilibrato, la Pietra di Gravina recita un ruolo focale e, percorrendo trasversalmente la trama, evita il senso di ripetitività della composizione ed, anzi, la rende ancor più vibrante e dinamica.

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DUBAI La perla del deserto Dalle roventi sabbie del deserto è emersa una perla, un luogo sognato e desiderato da molti, l’eclettica città di Dubai. Meta originale, estrema, piena di possibilità e di sorprese, Dubai è il luogo ideale per farsi viziare da ristoranti eccellenti, Spa provviste di ogni confort, negozi in stile newyorkese, alberghi lussuosi e una leggendaria vita notturna. Luogo eterogeneo, dove l’antico e il modernissimo convivono in una perfetta simbiosi, la città offre sapori spiccatamente locali e atmosfere magiche. Partendo da Deira, il cuore storico della città, un quartiere semplice e pieno di fascino, si scopre l’origine di Dubai. Qui colorate imbarcazioni di legno, trasportano le merci da vendere nei suq, i tipici mercati arabi, caratteristici per la vendita di spezie, tappeti e oro. Le strade circostanti sono fiancheggiate da piccoli negozi e ristoranti etnici. Stuzzicanti aromi provenienti dalle merci esposte e le chiacchiere dei venditori, vi immergono in un’altra epoca. Fermatevi a bere una fresca spremuta di frutta e osservate gli abra (i taxi d’acqua) che attraversano il Creek. Questo quartiere è un mondo a parte rispetto alla sofisticata città nuova piena di grattacieli all’estremità opposta di Dubai. Nell’area di Bur Dubai ha sede il superbo Dubai Museum e qui si trovano anche i suggestivi quartieri storici di Bastakiya, famoso per il suo dedalo di vicoli su cui si affacciano le tradizionali torri del vento e Shindagha. Il suq di Bur Dubai è animato tanto quanto quelli di Deira ma spicca grazie alle belle arcate in legno e alla posizione sul lungomare. La circostante ‘Little India’ è una zona vivace, in cui si può andare a caccia d’occasioni e sorseggiare un buon tè dolce. La zona nord-orientale, o Downtown, di Jumeirah è piena di contrasti ed è davvero affascinante da esplorare. Le attrazioni sono le più diverse, dalle lunghe spiagge sabbiose al popoloso quartiere di Satwa, caratterizzato da un’atmosfera semplice simile a quella di un suq, con abitazioni dai colori sgargianti. Vi si trovano anche alcuni dei migliori ristoranti di cucina etnica della città, nonché la sua moschea più bella, la Jumeirah Mosque, perfetta nel suo equilibrio tra spiritualità e architettura. Ideale per una giornata di completo relax è la spiaggia Jumeirah Open Beach. La sabbia finissima e il mare color verde smeraldo vi avvolgeranno rigenerandovi completamente. Il cuore moderno della città è il bellissimo tratto di costa Madinat Jumeirah, che vanta splenditi resort, boutique, Spa e centri benessere a non finire, con BMW e costosi fuoristrada parcheggiati di fronte alle ville. In questa zona è presente anche l’albergo più famoso di Dubai, il Burj al-Arab, simbolo di una città che letteralmente fiorisce tra la sabbia. Nelle vicinanze una sorprendente zona in stile ‘Little Venice’, è ideale per i nottambuli. Qui non mancano le occasioni di ammirare le stelle sorseggiando coktail in locali pieni di celebrità. Imperdibile è poi, la Sheikh Zayed Road, una strada fiancheggiata da luccicanti grattacieli, molti dei quali sono diventati veri e propri simboli della città. Il più importante e alto del mondo è il Buri Khalifa, una pioneristica impresa architettonica e ingegneristica. Alto 828 metri, al suo interno sono presenti uffici e appartamenti; l’edificio ospita anche l’Armani Hotel, il primo albergo ad essere progettato e sviluppato da Giorgio Armani. Sempre nella zona è situato il Dubai Mall, il più grande centro commerciale al mondo che è molto più della somma dei suoi 1200 negozi e 160 ristoranti: è un vero e proprio centro di intrattenimento per la famiglia. Il Mall è anche spudoratamente grandioso; ospita il suq coperto per la vendita di oro e una via della moda con tanto di passerella, e vanta un proprio mensile patinato, The Dubai Mall. Questo non è un posto in cui si entra per comprare un tubetto di dentifricio al volo: mettete in conto di trascorrervi diverse ore. Il Dubai Fountain, situato in mezzo a un grande lago artificiale sul cui sfondo si erge il Burj Khalifa, questo insieme di fontane ‘danzanti’ offre una coreografia stupefacente. L’acqua ondeggia con la grazia di una danzatrice del ventre, si incarna come un delfino e sale per 150 metri, seguendo un

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accompagnamento musicale piacevole e rilassante. Altro centro di shopping è il Souq al-Bahar. Progettato in stile arabo contemporaneo ha vialetti in pietra, alti archi e posti a sedere con vista sulla Dubai Fountain in molti dei suoi ristoranti e bar. Imperdibile, infine, la Dubai Marina, uno straordinario complesso portuale artificiale unico al mondo i cui canali, all’ombra dei grattacieli dal design futuristico, offrono riparo a yacht e imbarcazioni di lusso. Non si può lasciare Dubai senza un’escursione nel caratteristico deserto rosso, dove le dune modellate dal vento e la grandiosità degli spazi aprono lo spirito, riscaldato da un sole sorprendentemente grande. Il centro del mondo si sta spostando verso oriente e Dubai rappresenta un avamposto accogliente e unico di questo processo. Appariscente, quasi surreale e in continua evoluzione la città dai numerosi contrasti è una perfetta fusione tra antiche tradizioni arabe e il meglio che può offrire l’era moderna. lorenzobellucci.lb@gmail.com


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Mo’ ve ne dico quattro!

Una... L’eclisse de Luna ce po’ sta’ sulu co’ la Luna Piena e qquilla de Sole sulu co’ la Luna Nòva… me pare chiaru no!? Due... Durante l’eclisse… la Luna, ccucì piccola, riesce a ccopricce lo Sole, ccucì ggrossu, perché ce sta tantu più vvicinu de essu… pe’ ffamme capi’… è ccome se tte mittissi ‘na mano davanti all’occhi e non rriuscissi a vvede’ lu palazzu de fronte.

Una soffitta sull’Universo Non finì la frase perché, facendo un passo indietro, andò a urtare una composizione costruita da lui stesso nel pomeriggio e fatta di vecchie ferraglie trovate in soffitta. Il rumore fu tale che Leonardo dovette tapparsi le orecchie con le mani. Quella confusione a quella tarda ora… adesso erano davvero nei guai: si sarebbe svegliato tutto il vicinato. Non passarono tre minuti che si udirono i passi veloci di Giovanni per le scale della soffitta. Entrando e vedendo il figlio mortificato in un angoletto, affannato esclamò: Leonardo! Ma sei tu? Che cosa stai combinando? Ti rendi conto che ore sono? Ecco… io… veramente…In quell’istante si presentò alla porta anche Margherita: Cosa sta accadendo qui? Riprese Giovanni: È Leonardo che ha deciso di svegliare Terni e dintorni. Fila subito a letto e domani ne riparliamo. Leonardo poverino non sapeva cosa inventarsi, ma in quel momento entrò in scena Overlook che aveva seguito tutto da un angolo buio del terrazzino e non era stato ancora visto. Buonasera! Sono Overlook e sono stato io a fare tutto quel rumore, non Leonardo. Giovanni e Margherita guardavano increduli ciò che si stava verificando davanti ai loro occhi: non riuscivano a capire se era reale oppure se stessero ancora dormendo e quindi sognando. Tutti e due avevano riconosciuto il telescopio con cui avevano passato stupende serate di osservazione, ma tutto questo era così… irreale! Continuò Overlook: So cosa state pensando, non sapete se crederci o no! Ricordo benissimo quando, qualche anno fa, vi piaceva venire proprio qui, su questo terrazzo, a guardare insieme le stelle. Un buon punto di osservazione, riparato dalle fastidiose luci cittadine e che permette di godere al meglio delle meraviglie che la natura ci mostra! E sei stato proprio tu Giovanni a mettermi nome Overlook, perché dicevi che per te ero come un grande occhio che ti permetteva di proiettare il tuo sguardo oltre quello che normalmente si può vedere. Ma… ma… ma tu parli… Questo ti stupisce amico mio? Grazie a vostro figlio che, un giorno, per caso, mi ha trovato e rimesso “in tiro”, ho riacquistato l’entusiasmo di un tempo e ho deciso di trovare un modo per comunicare ed entrare a contatto diretto con chi, come me, ha la passione per l’universo con tutto quello che contiene. Abbiamo iniziato così a vederci tutte le sere, quando possibile, per osservare e studiare il cielo. Leonardo, che ora aveva riacquistato il sorriso, seguiva divertito la scena vedendo la reazione curiosa e stupita dei propri genitori. E sarebbe possibile, qualche volta, unirsi alle vostre serate?... Overlook si fece improvvisamente serio e, ammiccando a Leonardo, disse: Non so… Sono serate speciali… Tu che ne dici Leonardo? Li facciamo partecipare? Poi sia il telescopio che Leonardo scoppiarono in una fragorosa risata e Overlook disse: Non aspettavamo altro! Anche voi da adesso farete parte della nostra squadra! Michela Pasqualetti mi kypas78@vi rgi l i o.i t

Tre... L’eclissi anulare de Sole ce sta quanno la Luna je riesce a ccupri’ anche sulu la parte llà mmezzu de essu... sulu p’arfamme capi’… la mano de prima allontànela ‘n tantinu de più dall’occhi e ppo’ arguarda lu stessu palazzu. Quattro... La Luna ce fa sempre vede’ la stessa faccia perché… a rrota’ su sse stessa ce mette lu stessu tempu che ‘mpiega a ggira’ ‘ntornu a la Terra… me spiego mejo… quanno zzzugheru se metteva a ggirà ‘ntornu a la piazza co’ ‘na motocicretta ‘n versu antiorariu… doppo ‘n bo’ je ggirava pure la capoccia perché senza sapello… ‘gni ggiru de piazza faceva anche ‘n giru su sse stessu e… cchi lu steva a gguarda’ da ‘llà mmezzu je vedeva sempre e ssulu lu fiancu sinistru… se nn’éte capitu… sapete co’ cchi ppijàvvela! p a o lo . ca s a li4 8 @ a lice. it

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Parliamo delLA LUNA Con la descrizione delle colorazioni che può assumere il disco lunare, è iniziato un ciclo dedicato alla osservazione della Luna, prima ad occhio nudo, poi con l’ausilio di semplici strumenti ottici. Vorrei dedicare un breve spazio anche ai panorami celesti, agli scorci che la presenza del nostro satellite sa rendere estremamente suggestivi. Invito il lettore a soffermare lo sguardo verso la Luna durante le limpide serate primaverili, autunnali ma anche invernali, quando essa fa capolino tra le nuvole rotte spinte dal vento; basta un albero spoglio, uno skyline di vecchi ruderi o aspre montagne ma spesso niente per avere una visione, a dir poco, emozionante. Se la Luna, da sempre, costituisce una costante fonte di ispirazione in tutti i campi dell’arte non è un caso. Un altro interessante spunto di osservazione è costituito dalla presenza, a volte, di un alone luminescente intorno al disco lunare; esso si dispone a distanze variabili intorno al bordo luminoso, fino a raggiungere dimensioni ragguardevoli, impegnando una buona parte dell’emisfero celeste. Di questo fenomeno la Luna non ha responsabilità dirette poiché esso è provocato dai cristalli di ghiaccio presenti nei cirri, le sottili nuvole che percorrono ad alta quota l’atmosfera, i quali, riflettendo e rifrangendo la luce lunare, producono l’aureola. Questi aloni sono indicatori abbastanza attendibili per previsioni metereologiche empiriche a breve scadenza. A proposito, ricordo da bambino che mia madre mi faceva osservare la presenza degli aloni intorno alla Luna e, mettendo in atto la sua esperienza contadina, mi ripeteva: Cerchio vicino, acqua lontana. Cerchio lontano, acqua vicina, riferendosi alla possibilità di pioggia. Un altro evento abbastanza comune, meglio visibile a prima sera, è la luce cinerea; la luce riflessa dalla Terra raggiunge la Luna e illumina con un tenue chiarore la maggior parte del disco che normalmente rimane buio ed invisibile nelle prime notti dopo il novilunio. Il risultato è una suggestiva scala di luminosità in cui la falce lunare crescente prevale sul disco cinereo che a sua volta emerge dallo sfondo buio del cielo. Tra i panorami che la Luna sa offrirci, meritano menzione gli allineamenti e le congiunzioni occasionali con i vari pianeti, asterismi e ammassi stellari. Mi è rimasto il ricordo di una strettissima congiunzione tra la sottile falce lunare e Venere, ambedue splendenti, nel cielo appena fatto buio dopo il tramonto; ebbi la sensazione immediata del simbolo caratterizzante l’Islam. Uno spettacolo indimenticabile. Enrico Costantini

C O N T R O L L O G R AT U I T O D E L L A V I S TA C O M P U T E R I Z Z AT O C O N S E G N A I M M E D I ATA D E G L I O C C H I A L I D A V I S TA C E N T R O L E N T I A C O N TAT T O C O N C E S S I O N A R I O L E N T I Z E I S S E R O D E N S T O C K D E A L E R D E L L E M I G L I O R I G R I F F E

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L’alimentazione dell’anziano aspetti ge ne rali L’aspettativa di vita negli ultimi cento anni è quasi raddoppiata con un conseguente incremento percentuale degli anziani rispetto alla popolazione totale. Ne segue una accresciuta presenza di anziani che costituiscono un problema non solo per la medicina sociale ma anche per tutta la società civile considerando l’attenzione per il miglioramento della loro qualità di vita. L’alimentazione è uno dei fattori efficaci nel miglioramento della vita poiché fornisce fattori peculiari che proteggono dall’invecchiamento. Gli alimenti, ad esempio, servono per fornire all’organismo i nutrienti necessari alla autoriparazione, cioè al mantenimento delle strutture corporee e a produrre enrgia per il funzionamento; con il passare degli anni si modificano le capacità digestive e di assorbimento dell’intestino ed il dispendio energetico dell’organismo varia. In conseguenza di ciò varia la quantità e la qualità degli alimenti che devono essere assunti per ottenere i nutrienti necessari al metabolismo cellulare e se il nostro organismo non dispone quotidianamente di tutti i nutrienti di cui necessita nelle quantità ottimali mette in atto dei sistemi di compensazione (rimozione delle riserve di grasso, di glucosio ecc...) arrivando anche a ridurre il dispendio energetico. Si raggiunge così con un adattamento fisiologico un nuovo equilibrio in risposta al cambiamento, ma tutto ciò costa maggior carico metabolico che viene sopportato pur di mantenere l’efficienza dell’organismo evitando, finché è possibile, l’insorgenza di fenomeni di malnutrizione per difetto o per eccesso di energia o di un singolo specifico nutriente.

Se l’adattamento non si verifica possono insorgere delle malattie dismetaboliche e degenerative, molto frequenti nella terza età, quali: l’obesità, il diabete, le dislipidemie, l’aterosclerosi e le patologie cardiovascolari. Ne consegue che una corretta “razione alimentare giornaliera” diventa importante da perseguire quotidianamente. Ogni giorno bisogna fare il programma dei pasti e prendere nota degli alimenti che serviranno. La porzione giornaliera, secondo il metodo della piramide alimentare mediterranea, è bene che sia frazionata in almeno tre o meglio cinque pasti opportunamente distribuiti nell’arco della giornata. Come vedremo nella seconda parte, il consumo quotidiano di verdura e ortaggi e acqua è molto importante non solo da un punto di vista nutrizionale ma anche per combattere fenomeni di stipsi. L’invecchiamento comporta modificazioni fisiologiche che influenzano le abitudini alimentari; tra esse è facile osservare nella terza età l’edentulia (mancanza di denti) e una diminuita salivazione, il deterioramento del senso del gusto e quindi la capacità di riconoscere i sapori. In quest’ottica è facile comprendere il maggior uso del sale da cucina o delle spezie assai diffuso negli anziani, abitudine potenzialmente dannosa se si considera l’alta fascia di popolazione ipertesa. La possibilità di apprezzare il sapore dipende anche da un’efficiente masticazione, un cibo che transita velocemente nella bocca può sembrare sciapo, o meglio privo dei sapori attesi perché non si riesce a liberare le sue componenti. È raccomandabile quindi mantenere l’efficienza dei denti per una buona masticazione e di alternare bocconi di cibi diversi per aumentarne il gusto, infatti il sapore del primo boccone è sempre quello più forte rispetto ai bocconi successivi. Il decremento del senso dell’olfatto può non consentire di apprezzare appieno l’appetibilità di un cibo o non riconoscere gli alimenti deteriorati che quindi è bene comprare di frequente verificando la data di scadenza. Spesso è presente la perdita di appetito legata a fenomeni di solitudine, infelicità o ansia; ciò comporta un insufficiente apporto alimentare. Taluni perdono interesse per il cibo o presentano un’alimentazione disordinata che autogratifica tentando così di superare il senso di solitudine o la sensazione di abbandono che la società moderna offre troppo spesso agli anziani. Bisogna tener presente anche che con l’invecchiamento si verifica una diminuzione della massa magra (muscoli scheletrici ed organi) e a questa modificazione è associata una diminuzione dell’acqua corporea e un aumento del tessuto adiposo; in tal modo diminuisce il numero delle cellule metabolicamente attive e quindi anche il dispendio energetico quindi l’organismo di una persona anziana richiede un minor apporto di energia rispetto allo stesso individuo adulto. Lorena Falci Bianconi

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