La Pagina maggio 2015

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Numero 1 2 5 maggio 2015

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura


Völ k e r w a n deru n g Gli storici non li ascolta nessuno. Si chiedono pareri e opinioni a ogni tipo di esperti, professionisti, luminari; ma gli storici non sono quasi mai chiamati a dire la loro. È più facile sentire interpellare attori, cantanti, campioni sportivi su argomenti di cui -sacrosantamente, per altro- non sono tenuti a saper nulla, piuttosto che veder invitare uno storico a dire la sua. Forse perché la storia è una disciplina con troppo poco appeal mediatico. Forse perché è così intrisa di passato, che sembra per definizione inadeguata ad affrontare il presente. Ma è un peccato, non ascoltarli, perché gli storici sono un po’ come gli anziani della tribù, e nei villaggi tribali si vedevano sempre i giovani guerrieri chiedere consigli agli anziani, prima di prendere una decisione importante. Una civiltà grande e antica come quella di cui siamo eredi, questa civiltà “occidentale” che in ultima analisi nasce dall’antica Grecia per arrivare (dopo moltissime efferatezze, peraltro) a coprire l’Europa, il Nord America e buona parte del resto del mondo che non muore di fame, dovrebbe avere proprio nella memoria storica il suo Consiglio degli Anziani. Anche perché gli storici, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non stanno mai fermi: non solo nella ricerca continua di dati, documenti, fonti storiche; ma anche nella rifondazione critica della propria disciplina. Lo si vede già nei programmi scolastici, che pur sono così lenti a recepire le evoluzioni della società: i cinquantenni di oggi possono facilmente ricordare che la storia un tempo era insegnata, almeno nei primi cicli, a colpi di mani sdegnosamente bruciate alla Muzio Scevola o di disperati eroismi alla Pietro Micca. Non è più così, da un po’. E per fortuna. Gli storici riconoscono che per troppo tempo la storia è stata raccontata solo attraverso le gesta di personaggi come re, generali, imperatori, e che invece questi sono solo piccole pedine nel grande sommovimento della Politica. Politica che, per quanto in grado di seminare

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morte e distruzione, deve cedere il passo, nella storia, ai grandi sommovimenti provocati dall’Economia. Sono le cause economiche a generare la politica, è la politica a generare le guerre e le rivoluzioni, e i grandi personaggi sono solo i figli, ultimi arrivati, di quest’ultime. Ma non è neppure l’Economia la forza più grande che regolamenta i destini degli uomini: anche le grandi pulsioni economiche devono cedere il passo di fronte alla forza più devastante di tutte, la Demografia. Quando si muovono i popoli interi, non c’è niente che riesca a fermarli. I popoli possono muoversi per fame, per sfuggire alle epidemie, alle guerre, per molte ragioni diverse: ma quando sono in moto, sono loro a disegnare la storia. Come spesso accade, è un termine tedesco, quello che descrive il fenomeno: Völkerwanderung, “migrazioni di popoli”. Se si allarga solo di un po’ l’ottica ristretta dei nostri tempi e dei nostri confini, sorge inevitabile il sospetto che quella a cui stiamo assistendo in questi anni possa davvero essere una nuova Völkerwanderung: è passato il XIX secolo, in cui il colonialismo ha toccato i suoi vertici più alti, è passato il XX, grondante di guerre e di sangue. In questo XXI, forse, si registrerà almeno in parte il livellamento di quello spaventoso squilibrio di salute e di ricchezza che c’è tra le diverse parti del mondo. I popoli poveri si mettono in moto. Con le solite povere risorse che sempre hanno avuto: a piedi, aggrappati ai predellini dei camion, coi barconi. I popoli poveri si mettono in moto quando hanno terminato anche la loro ultima risorsa, la speranza. E chi è senza speranza non ha nulla da perdere: va bene anche rischiare di essere violentati e uccisi attraversando il deserto, va bene anche rischiare di vedere i figli in pasto ai pesci nel Canale di Sicilia, va bene tutto: il rischio non è mai eccessivo, quando si è già perso tutto. Se quella carneficina a cui stiamo assistendo è davvero una Völkerwanderung, non è davvero immaginabile poterla fermare. Si può pensare -si deve pensare- a come renderla il meno dolorosa possibile, il meno devastante possibile. Ed è cosa davvero difficile, oltre che di portata globale. Per questo non è il caso di dare troppo ascolto a chi già ha la soluzione pronta. È quasi sempre un pensiero arrogante, quello di possedere d’istinto la soluzione a problemi, e quando i problemi sono così vasti la probabilità diventa rapidamente certezza. Bisogna certo fare qualcosa, è il compito delle istituzioni nazionali e sovranazionali, farlo. E anche da loro, che pure sono stati messi dove sono proprio per cercare soluzioni, il pudore di un triste “Non lo so…” è spesso preferibile a chi snocciola con sicumera l’elenco delle cose, quasi Piero Fabbri sempre violente, da fare.


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L’immagine della città La televisione e internet ci permettono di girare il mondo, di stare in contatto con chi è all’altro capo del globo, di conoscere e ammirare luoghi e culture lontane rimanendo comodamente sprofondati in poltrona. È una conoscenza mediata, non diretta, ma è comunque una conoscenza che ha permesso di allargare i nostri orizzonti in modo un tempo impensabile. C’è poi una conoscenza diretta: i viaggi alla scoperta di città lontane, di ambienti diversi, che permettono di venire in contatto con un pezzo di mondo e raccontare in prima persona monumenti, esperienze, modi di vita. Mi chiedo: quanti hanno organizzato un viaggio nella propria città per conoscerla in maniera diretta, non mediata? Noi attraversiamo le nostre strade, entriamo nelle chiese e nei palazzi, rasentiamo antichi monumenti senza osservare, senza conoscere, presi dal lavoro, dalla vita quotidiana. Eppure nella nostra città noi viviamo la maggior parte della nostra vita. In occasione delle giornate del FAI, che organizza visite guidate nei centri storici, ho raccontato una chiesa e una pala d’altare ai turisti, ma anche agli abitanti del luogo. Ne sapevano ben poco e si sono meravigliati dell’importanza e della bellezza presente a due passi da casa loro. Con gli amici della Associazione Culturale La Pagina siamo andati alla scoperta degli affreschi della chiesa di S. Pietro, di quelli della cappella Paradisi di S. Francesco e di quelli della Sala Consiliare di Palazzo Spada. Poca cosa rispetto a quello che vorremmo ancora visitare. Cose finora sicuramente viste, ma non osservate. Altre passeggiate sono state programmate al fine di conoscere le cose di casa nostra. Molti anni fa -era l’anniversario della nascita della Acciaieria- i ragazzi della Scuola Media Dante Alighieri hanno imparato a conoscere Terni non solo scrivendo un libro su di essa, ma soprattutto girando la città e conoscendo dal vivo storia, strade, monumenti, eventi, trasformazioni. Tutto questo mi porta a fare delle riflessioni e delle proposte. La riflessione è la seguente: Per leggere la città di oggi bisogna conoscere quella del passato, individuarne i segni, le permanenze, le trasformazioni, riscoprire la realtà di cui siamo parte integrante. Questa conoscenza della propria città e del proprio territorio non può che partire dalla scuola, poiché è da essa, luogo privilegiato della cultura e della formazione, che deve partire lo stimolo della conoscenza. La proposta è: la SCUOLA COME LABORATORIO e luogo di educazione permanente per la conoscenza del territorio. L’obiettivo è quello di imparare a leggere l’immagine della città in tutti i suoi aspetti: storico, geologico, geografico, artistico, urbanistico, sociale, gastronomico, attraverso i segni che le civiltà passate hanno lasciato su di essa, attraverso le mappe e la cartografia, attraverso i documenti materiali e immateriali che la riguardano. Perché? Riconoscere i segni della storia e delle civiltà significa: essere in grado di leggere i segni delle civiltà succedutesi nel tempo; conoscere l’identità della città, l’imago urbis; recuperare la memoria storica delle proprie radici; sapere chi siamo e da dove veniamo; rapportarsi con le altre identità del territorio riconoscendone le uguaglianze e le differenze; acquisire la capacità di relazionarsi con il territorio e la città in modo attivo; imparare un metodo di analisi dei segni (storici, geografici, geologici, urbanistici) di altre città, di altri territori; imparare a tutelare il patrimonio stesso, riconoscerne le positività e i problemi, individuarne possibili sviluppi o soluzioni; rendersi cittadini attivi e consapevoli, dunque formare una coscienza civica perché la città è lo spazio in cui viviamo ed operiamo. Cosa fare? Elaborare un progetto per le scuole con un’informazione graduata -dalla scuola primaria alle superiori- mediante cicli di lezioni/conferenze

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Völkerwanderung - P F a b b r i CONFARTIGIANATO IMPRESE TERNI JACARONI CENTRO DIAGNOSTICO L’insonnia in fitoterapia - L P a o l u z z i L’ i m m a g i n e d e l l a c i t t à - L S a n t i n i B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale L’ I t a l i a n o n è u n p a e s e d i g i t a l e - A M e l a s e c c h e C O S P T E C N O S E RV I C E Il piccolo fagiolo di Leo - F P a t r i z i L’ E p i t a f f i o n e l l o s p o r t - M S c i a r r i n i G I O L I C A RT F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O OTTICA MARI LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I P r i m o P i a n o - L Ta r d e l l a N U O VA G A L E N O Le strade, le vie, gli spazi intorno a casa... - E B e r t i n i Adiposità localizzata - L Campili F r a n c o A g o s t i n i d e t t o M O N T U O R I - S Lupi C I D AT Divorzio all’italiana: istruzioni per l’uso - M P e t r o c c h i L’ a n g o l o . . . d e l l a g e o m e t r i a - P C a s a l i STUDIO MEDICO ANTEO Il Piave mormorava... e il fante pure - V Grechi C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I Alle origini del fondamentalismo, parte II - PL Seri ASSOCIAZIONE UN VOLO PER ANNA HILLARY CLINTON - R Bellucci G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI

tenute dai vari professionisti (storici, architetti, geologi, archeologi, esperti dei vari settori). Il tutto supportato dall’elaborazione di cd/dvd e slide sulle varie tematiche del territorio e accompagnato da visite guidate nella città. Cosa abbiamo fatto. Tutto questo l’Associazione Culturale La Pagina lo ha fatto e lo sta facendo non solo con lezioni tenute da esperti nella sede dell’Associazione stessa, ma anche con cicli di lezioni nelle scuole, come le lezioni presso la Scuola media Leonardo Da Vinci (La conoscenza dell’evoluzione della città attraverso le mappe della città) o al Liceo Classico (Storia e cultura del territorio). Ci chiediamo: questo progetto non dovrebbe divenire un’educazione permanente del cittadino? A questo progetto non dovrebbero essere interessate tutte le scuole, a partire dalle primarie, i provveditorati, gli insegnanti e i presidi? A questo progetto non dovrebbe essere interessata soprattutto l’Amministrazione Comunale che deve avere a cuore, in primis, l’educazione dei futuri cittadini e fare in modo che chi ci governerà domani abbia un minimo di cultura del territorio indispensabile per conoscerne le bellezze, le peculiarità, le prospettive, i problemi? Con la sua opera di coordinamento e di programmazione territoriale, il Comune può sicuramente supportare l’offerta formativa mettendo in campo tutti i supporti tecnici e gli strumenti -musei, eventi, biblioteche, ecc.- che possano migliorare l’offerta culturale finalizzata alla conoscenza e alla valorizzazione della propria città e del proprio territorio. Questo ci auguriamo e in questo speriamo. Loretta Santini

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PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafico Francesco Stufara

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L’Italia non è un Paese digitale 25 esima posizione su 28 e 0,36 di punteggio: sono questi i numeri dell’Italia digitale. Ben al di sotto della media dell’Unione europea, che è di 0,47, e quasi la metà della Danimarca, Paese leader con 0,67, meglio solo di Grecia, Bulgaria e Romania. Le piazze d’onore del podio delle prestazioni digitali sono per Svezia e Olanda. C’è anche da dire che in realtà l’Italia è leggermente in crescita, perché nel 2014 aveva registrato un punteggio pari a 0,31, e 0,28 nel 2013. É un dato di fatto, la società digitale europea avanza a velocità differenti e l’Italia non è tra i primi della classe. Questo, almeno, è quanto emerge dalla pubblicazione di DESI (Digital Economy and Society Index) che si basa su 33 parametri distribuiti su 5 aree (connettività, competenze digitali, attività online, integrazione delle imprese, servizi pubblici digitali), ovvero il nuovo indice UE che misura il livello di economia e società digitali dei 28 Paesi membri. I dati inoltre dimostrano che i confini nazionali continuano a rappresentare un ostacolo a un vero e proprio mercato unico digitale. All’interno dell’Ue la digitalizzazione dei Paesi non è uniforme e quindi raggiungere l’obiettivo diventa una delle priorità fondamentali della Commissione targata Juncker. Il nostro Paese, si legge nel profilo tracciato, “fa parte dei Paesi con prestazioni basse”, “solo il 59% degli utenti, una delle percentuali più basse dell’Ue, usa abitualmente internet e il 31% non lo ha mai utilizzato”. Sul fronte delle imprese sono stati fatti progressi nell’ultimo anno, ma solo il 5,1% delle PMI usa l’e-commerce e questo rappresenta solo il 4,8% del fatturato totale, mentre su quello

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dei servizi pubblici online “l’Italia si avvicina alla media europea” ma “i livelli di utilizzo dell’e-governement sono ancora bassi” sia per il loro livello di sviluppo insufficiente sia per la carenza di competenze digitali dei cittadini. Depressi anche i dati sulla copertura delle connessioni veloci, che arriva solo al 21% del territorio nazionale, la peggiore copertura d’Europa, e sugli abbonamenti alla banda larga fissa (51%), la percentuale più bassa d’Europa. Sono risultati che raccontano di un notevole spread digitale rispetto ai Paesi più virtuosi. L’Italia è 26esima per la lettura delle notizie su internet, 22esima per l’uso dei social network ma 12esima per video, musica e giochi online. Per la Ue, l’Italia ha bisogno di far progressi innanzitutto dal lato della domanda: bassi livelli di competenze digitali combinati con scarsa fiducia (il 42% non usa servizi di e-banking e il 35% i negozi online) verso i servizi internet non contribuiscono allo sviluppo dell’economia digitale. Informazione e relazioni seguono ancora le vecchie tradizioni. Nonostante tutto però il nostro Paese è in via di miglioramento in tutte e 5 le aree di giudizio, in particolare nell’integrazione delle tecnologie digitali nelle imprese, che stanno crescendo quanto a e-commerce e presenza sul digitale. Un’altra buona notizia è che nei servizi pubblici online ci stiamo avvicinando alla media europea. Si registra anche un +3% nell’accesso a Internet e i numeri dello shopping online crescono a un tasso superiore rispetto a quello europeo. Stesso discorso per le competenze di base su web e tecnologie. Siamo partiti male, ma pare che stiamo alessia.melasecche@libero.it recuperando.


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Il piccolo fagiolo di Leo Il sangue si vende a buon prezzo a Manila, per questo molti ragazzi filippini se ne vanno in giro con le braccia bucherellate in cerca di turisti dall’aria pallida ed emaciata. Il signor Fushimi, un giapponese elegante con un panama bianco, si presenta un giorno nella baraccopoli di Baseco in cerca di volontari disposti a fare delle semplici analisi, ne raduna una decina e li porta al Pasay City Hospital dove per la prima volta i ragazzi fanno un pasto decente e dormono su un vero letto. Al termine di questo soggiorno di lusso, davanti a una tv con karaoke e aria condizionata, il signor Fushimi chiede loro umilmente di aiutarlo, ha bisogno di un rene per un amico che versa in cattive acque. Dopo un paio di giorni il giovane Baboy torna a casa con una lunga cicatrice su un fianco e l’equivalente di sei mila euro in tasca, quanto basta per convincere la sua famiglia ad entrare nel giro degli amici del signor Fushimi. In breve madre, padre e fratelli diventano degli operados ed aprono la strada ad altri cento donatori che, per dieci anni, andranno ad aspettare i giapponesi che arrivano con il panama bianco all’aeroporto. Il paesaggio umano di Baseco si popola di giovani ricuciti un po’ alla buona, con un colorito giallognolo e senza denti. Baboy non gode di buona fama, nessuno vuole più seguirlo in questa impresa, poi un giorno, sul frangiflutti ricoperto di escrementi e rifiuti che delimita la baia, incontra il suo vicino di casa, il piccolo Leo, che è in cerca di fortuna, sua madre è a letto malata, suo padre se ne è andato di casa e nessuno provvede

al sostentamento della famiglia. Leo ha già venduto parecchio sangue, ma ne ha ricavato pochi soldi. Baboy lo conduce al St. Luke Hospital dove ad attenderlo c’è un ragazzo di diciotto anni che respira con affanno e si regge a malapena in piedi, si chiama Kusunori ed ha bisogno di un rene, accanto a lui c’è una signora con gli occhiali scuri che sospira pesantemente, è la mamma. Ingoia la saliva, gli dice il medico mentre prende una siringa con l’ago più grande che Leo abbia mai visto; il dolore è lancinante poi arriva il torpore. Il rene di Leo è poco più grande di un fagiolo. Al suo risveglio chiede di vedere Kusunori, si stringono la mano senza dirsi nulla, la mamma gli dà una busta che Leo consegna a Baboy. Il suo compenso è di 5 mila pesos. Che ne è stato di Kusunori? Leo si alza a fatica dalla sedia, prende un’altra bottiglia di gin e riempie il bicchiere. Credo che adesso sia morto, un rene trapiantato ha pochi anni di vita, dice mentre scola in un sorso un liquore che non potrebbe bere. E con i soldi cosa hai fatto? Domanda il giornalista. Ho fatto in tempo a pagare il funerale di mia madre, poi ho comperato un televisore grande come quello dell’ospedale, un karaoke, un paio di jeans imitazione Levi’s e una baracca per vendere il pesce al porto. Due anni dopo un ciclone ha spazzato via tutto. Oggi Leo ha trent’anni e un’aspettativa di vita di quaranta, pensa di aver fatto comunque del bene al prossimo, come gli altri ragazzi di Baseco che la sera zoppicano sul lungomare mentre la foschia scende sulla baia maleodorante e all’orizzonte il sole sembra Francesco Patrizi piccolo come un fagiolo.

L’ E p i t a f f i o n e l l o s p o r t Ero appena tornato a casa dopo una lunga giornata di lavoro e, appena sdraiato comodamente sul divano vedo sulla pagina facebook del mio cellulare l’iconetta rossa di messaggio ricevuto: Lo Vedi ?... La Pennetta non è morta. A scrivere era il mio amico giornalista Lorenzo Pulcioni che mi annunciava la vittoria di Flavia Pennetta e il conseguente passaggio ai quarti di finale del torneo WTA di Miami. Lorenzo è un cronista sportivo attento ed equilibrato, una persona che gode della mia stima, sempre in prima fila nel seguire in modo obiettivo gli eventi agonistici. Il giudizio era dettato dalla nostra passione comune per la tennista brindisina. L’Epitaffio nello sport è una pratica molto diffusa, non solo tra il pubblico degli appassionati sportivi, ma anche tra i giornalisti del settore che celebrano funerali prematuri di campioni e repentini dietrofront giornalistici. Fare l’elenco di tutti gli epitaffi letti in questi anni sarebbe impossibile, ne citerò quindi solo alcuni tra i più evidenti e clamorosi. Valentino Rossi dato per finito dopo un biennio alla Ducati non certo esaltante (a questo punto forse più per la moto che per il suo sempre limpido talento), Roger Federer che ad ogni torneo dove non giunge in finale gli viene appiccicata l’etichetta di ex tennista, pur rimanendo il numero 2 al mondo di uno sport praticato da

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milioni di persone, Francesco Totti che prima del derby di andata Roma-Lazio era stato seppellito, per poi essere resuscitato dall’opinione pubblica per una straordinaria doppietta che ha lasciato nel dramma più totale noi poveri tifosi laziali, Michel Platini, indimenticata bandiera juventina, che al suo primo anno in bianco-nero passò da un girone di andata catastrofico, a causa di problemi iniziali di ambientamento, alla gloria degli anni a seguire. La critica sportiva dovrebbe essere spesso più cauta e non lasciarsi prendere dall’enfasi del singolo evento. Nell’elaborazione di un giudizio si dovrebbe tener conto che dietro ad ogni campione c’è un uomo, pertanto spesso la performance viene condizionata da accadimenti fisici e psicologici che inficiano la bontà della prestazione. Lo stato di forma non dura in eterno ed ha un lasso di tempo di sole alcune settimane. Sebbene l’atleta possa contribuire ad allungare questo spazio temporale di grazia sportiva con l’allenamento, il campionissimo con il talento, si ritrova tuttavia a fare i conti con una giornata o addirittura un lungo periodo no, tali da non giustificare epitaffi prematuri. La magia dello sport sta anche in questi accadimenti straordinari che portano migliaia di persone ad assistere ad eventi sulla carta dal pronostico scontato e che generano risultati a sorpresa. Tutto ciò rende lo sport più affascinante, gli atleti umani e non marziani e i morti resuscitati nella Pasqua sportiva. Maurizio Sciarrini


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Il fascino eterno della Cascata Corot e la sua veduta Terni, palazzo Montani Leoni, sede della Fondazione CARIT Corso C. Tacito, 49 22 maggio-28 giugno 2015 Ogni venerdì, sabato e domenica con orario 11-13/ 17-20

Sarà aperta al pubblico il prossimo 22 maggio, al piano nobile di palazzo Montani Leoni, la mostra Il fascino eterno della Cascata. Corot e la sua veduta organizzata dalla Fondazione Carit in collaborazione con la BNL Gruppo BNP Paribas. La Cascata delle Marmore ha da sempre suscitato un grande fascino per i viaggiatori, i poeti e i pittori, che percorrendo gli itinerari lungo la via Flaminia, ne hanno ammirato il paesaggio incantato, il fragore delle acque e l’armonia dei colori, trovando l’ispirazione per molti capolavori artistici e opere letterarie. Grazie alla BNL è stato possibile portare a Terni per la prima volta il celebre dipinto di Jean Baptiste Camille Corot (Parigi 1796-1875), La Cascata delle Marmore a Terni. È un onore per la comunità locale e non solo avere la possibilità di ammirare un’opera così importante realizzata da uno dei protagonisti della storia dell’arte italiana, esposta in molte prestigiose mostre tenutesi in musei, gallerie d’arte e palazzi storici di Parigi, Londra, New York, Ferrara, Brescia, Karlsruhe-Germania, e da ultimo nel 2013 al Thyssen Bornemisza di Madrid. La concessione di questo prestito ha offerto l’occasione per ideare e organizzare una rassegna in cui, insieme all’opera di Corot, sono esposti altri dipinti raffiguranti la Cascata delle Marmore facenti parte della Raccolta d’arte della Fondazione. La celebre veduta realizzata probabilmente da P. Peter Ross nella seconda metà del XVII secolo durante il suo soggiorno a villa Graziani presso Papigno, la bella veduta animata attribuita alla cerchia di Claude Joseph Vernet, due Cascate assegnate ad anonimi pittori della fine del XVII secolo e i dipinti di Carlo Bossoli (1856), Giambattista Bassi (1820) e Amerigo Bartoli (1966). Si è così cercato di presentare un’ampia panoramica della produzione artistica legata allo spettacolare scenario naturalistico della Cascata prima e dopo il Grand Tour in Umbria. Jean Baptiste Camille Corot Fedele al suo ruolo, la Fondazione (Parigi 1796-1875) Carit continua a promuovere l’arte in La Cascata delle Marmore, 1826-1827 o 1843 circa tutte le sue forme, provvedendo al Olio su tela; 36x32 cm contempo alle esigenze sociali del Firmato in basso a sinistra territorio in cui interviene. Roma, Collezione BNL Gruppo BNP Paribas

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AZIENDA OSPEDALIERA

Struttura Complessa An

Dott.ssa

L orenzin a Bolli

Direttore S. C. Anestesia e Riabilitazione A z ie n d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni

Con 44 dirigenti medici oltre al direttore, la struttura complessa Anestesia e Rianimazione, che si compone dei reparti di Rianimazione e Terapia Intensiva Neurochirurgica e Cardiochirurgica, fornisce, con un impegno h24, la quotidiana attività clinica nei citati reparti e le consulenze rianimatorie in tutti i reparti dell’Azienda ospedaliera, tra cui anche il Pronto Soccorso. La Struttura complessa di Anestesia e Rianimazione assiste il paziente durante tutto il suo iter terapeutico -prima, durante e nelle fasi successive all’intervento chirurgico, secondo i canoni della moderna medicina perioperatoriae provvede alle attività anestesiologiche per tutte le branche chirurgiche operanti presso l’ospedale. Attività anestesiologica. Viene fornita assistenza anestesiologica alle unità operative di Chirurgia, Ortopedia, Otorinolaringoiatria, Ostetricia e Ginecologia, Oculistica e Urologia. Presso il complesso operatorio ogni giorno vengono eseguiti numerosi interventi chirurgici, sia in elezione sia in regime di urgenza. L’attività ambulatoriale preoperatoria contribuisce a ridurre i rischi di morbilità e mortalità perioperatori. L’attività specialistica ambulatoriale prevede: Preparazione dell’intervento chirurgico. Presso gli ambulatori si effettuano ogni giorno le visite anestesiologiche necessarie per preparare in modo adeguato il paziente all’intervento chirurgico. Attività di consulenza. Affianca il personale del Pronto Soccorso e degli altri reparti per offrire la nostra consulenza specialistica. L’attività principale svolta dall’Anestesista Rianimatore riguarda l’emergenza-urgenza: in queste evenienze il professionista ha il mandato di sostenere le funzioni vitali, respiratoria, cardiaca, cerebrale, metabolica per proteggere il paziente dalle conseguenze cliniche procurate dall’evento. Questo ruolo fondamentale si svolge in Pronto Soccorso, in Rianimazione/Terapia intensiva e in ogni luogo ospedaliero dove può accadere un evento di emergenza. Infatti l’anestesista rianimatore svolge una importante azione sul politrauma, sul trauma cranico e in tutti gli eventi in cui le funzioni vitali sono fortemente messe a rischio. La struttura complessa Anestesia e Rianimazione, inoltre, fornisce assistenza anestesiologica ad altre unità operative per alcune procedure effettuate al di fuori delle tradizionali camere operatorie (N.O.R.A.: Non Operating Room Anesthesia), come ad esempio: - SC Gastroenterologia (sedazioni per esecuzione di esami endoscopici, EGDS, RSCS, colangiopancreatografie retrograde, ecc.); - UOC Cardiologia (sedazioni per le procedure di elettrofisiologia e le cardioversioni); - UOC Radiologia (assistenze per la somministrazione dei mezzi di contrasto, sedazioni in risonanza magnetica, anestesie per le procedure di radiologia interventistica e angiografia). Negli ultimi mesi è stato istituito un servizio di assistenza anestesiologica per procedure di Risonanza Magnetica in pazienti pediatrici che hanno bisogno di sedazione farmacologica, contribuendo a rendere meno traumatizzante l’atto dell’esame. I reparti di Terapia Intensiva Post Operatoria sono due, uno cardiochirurgico e uno neurochirurgico, quest’ultimo addetto anche al ricovero dei pazienti post operatori di chirurgia generale e specialistica. Per i pazienti sottoposti ad interventi complessi o con patologie severe svolgiamo un servizio di sorveglianza e mantenimento dei parametri vitali nell’immediato periodo postoperatorio. I pazienti sono assistiti in modo continuo da uno staff costituito da medici e infermieri altamente specializzati. Particolare cura viene dedicata al trattamento del dolore postoperatorio, che ha l’obiettivo di evitare al paziente, per quanto possibile, ogni conseguenza sgradevole delle pratiche chirurgiche. L’attenzione verso il dolore postoperatorio

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è mantenuta anche quando il paziente torna in reparto, grazie ai periodici controlli da parte del nostro personale. È attivo anche un Ambulatorio di Terapia del Dolore, che offre terapie farmacologiche ai pazienti affetti da: - dolore oncologico; - dolore cronico neuropatico (neuropatie diabetiche, vasculapatie obliteranti aterosclerotiche ed autoimmunitarie); - dolore al tratto lombo-sacrale e alle grandi articolazioni; - cure palliative; - trattamento del dolore lombare e sciatalgico mediante posizionamento di cateteri peridurali; - infiltrazioni endoarticolari; - blocchi nervosi periferici. Ancora oggi, infatti, al sintomo dolore si dà poca importanza. Troppe persone soffrono inutilmente per l’errata opinione che il dolore sia inevitabile durante il ricovero in ospedale e faccia inscindibilmente parte dell’iter diagnostico e terapeutico. Nell’ambito del progetto Ospedale Senza Dolore, un importante ruolo è svolto dal servizio di Partoanalgesia, con la presenza ininterrotta h24, nei giorni feriali e festivi, di un anestesista di guardia. In questo modo viene garantita la disponibilità continua per l’esecuzione dell’analgesia in travaglio di parto e l’assistenza al parto stesso. Il team di anestesisti dedicati alla analgesia nel travaglio di parto è composto da 7 specialisti, i quali si occupano di valutare e di informare le pazienti attraverso visite ambulatoriali che vengono effettuate entro la 36esima settimana gestazionale. Il servizio di parto analgesia, inoltre, garantisce la tempestività delle cure durante le temute urgenze ostetriche. L’équipe della struttura di Anestesia e Rianimazione


S A N TA M A R I A D I T E R N I

nestesia e Rianimazione

Équipe SC Anestesia e Rianimazione - Direttore Dott.ssa Lorenzina Bolli SS Rianimazione - Responsabile Dott. Manuelito Diamanti SSD Cardioanestesia - Responsabile Dott. Armando Fabrizio Ferilli Dirigenti medici della Struttura Complessa Riccardo Bellucci, Annalisa Bizzarri, Carmela Bonarrigo, Laura Bruni, Mizar Cantarini, Maurizio Caruso, Giulia Catanzani, Rocco Francesco Cavallo, Valeria Cecchini, Marisa Cerri, Maria Rita Ciocchetti, Rita Commissari, Marzia Costantini, Sara De Benedictis, Giuseppe De Masi, Paola Di Gregorio, Silvia Ferialla, Fabio Fiorelli, Lorenzo Firmi, Francesco Gentili, Carla Giamminonni, Gioriani Stefania, Fabio Giovannelli, Barbara Gunnella, Giulia Lanini, Ester Marciano, Viola Marsiliani, Maura Massarucci, Roberta Modestini, Sandro Morelli, Nicoletta Nicolai, Giovanna Paesani, Giuditta Palliani, Angela Elisa Papasidero, Stefano Pelloni, Luigi Rinaldi, Maria Laura Scarcella, Emanuela Sensi, Anna Maria Sulis, Federica Tartamelli, Carlo Tosone, Carla Zagaglioni Infermieri Rianimazione e Terapia Intensiva Neurochirurgica Coordinatore Mauro Scimmi; PO Donatella Perugini. Alessandro Aguzzi, Paolo Berlenghini, Emanuela Bottoni, Piera Camilli, Eleonora Colarieti, Luca Listanti, Rocco Monaco, Natascia Nobili, Andrea Pacelli, Elena Paolelli, Tamara Paolocci, Antonella Pecorari, Fabio Pulcini, Franca Rossella, Rosanna Rossi, Antonella Barboni, Paola Barzagli, Carlo Bizzarri, Sandro Bolli, Isabella Buscella, Alessio Cianca, Damiano Consorti, Claudia De Fanti, Andrea Del Grande, Valeria Di Nardo, Eleonora Faraglia, Luigi Galante, Federica Giorgi, Andrea Graziani, Gianluca Martellucci, Ilaria Sabatini, Angelo Santarelli, Flavia Todesco, Hally Zhoranets, Silvia Zomparelli Infermieri Terapia Intensiva Cardiochirurgica Coordinatrice Iolangela Cattin Cosso; PO Paola Sabatini. Natascia Barcherini Proietti, Patrizia Brugnetti, Loredana D'Alessio, Andrea Diantonio, Salvatore Fantini, Marina Leonardi, Simonetta Lupi, Sara Macrì, Caterina Occhibove, Pierluigi Orsini, Cristina Patriachi, Daniela Qualano OSS: Sabrina Celi, Paola Cimetta, Rita Palma

Fotoservizio di Alberto Mirimao

effettua aggiornamenti continui per migliorare la qualità offerta secondo i canoni della medicina moderna di emergenza, al fine di dare risposte sempre più adeguate alle domande di assistenza e ai bisogni dei pazienti critici. In tutte le attività assistenziali svolte dai medici, fondamentale è il lavoro degli infermieri e degli O.S.S. delle varie sale operatorie e della struttura stessa. Lavorano in Rianimazione e nelle due terapie intensive 47 infermieri e 3 operatori socio-sanitari. Si tratta di figure sanitarie che esprimono la loro professionalità in un ambito estremamente delicato sia dal punto di vista tecnologico/clinico sia da un punto di vista umano. Infatti, non soltanto si fanno carico di tutte le esigenze assistenziali dei pazienti totalmente dipendenti dal personale infermieristico e medico, ma svolgono anche un ruolo importante di sostegno con i parenti che si trovano ad affrontare situazioni gravi ed emotivamente coinvolgenti in maniera improvvisa, alcune volte drammatica e comunque carica di ansia. Consapevole di queste difficoltà emotive, tutto il personale medico ed infermieristico ha contribuito a rinnovare la modalità di accesso dei familiari in visita ai loro cari, “aprendo” le porte del reparto in modo che la visita possa durare il tempo che ogni parente ritiene opportuno di dedicare. Aprire le porte della Rianimazione, nel rispetto di precise regole di sicurezza, è un grande traguardo realizzato durante l’anno 2014, grazie al supporto dalla direzione generale che ha condiviso con tutto il personale l’importanza di consolidare un processo di umanizzazione delle cure. Un modello di cura innovativo, quindi, che tiene conto del fatto che una maggiore flessibilità e accoglienza dei familiari aiuta tutti ad affrontare situazioni critiche e può anche accelerare il recupero dei pazienti.

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Pr imo P i a n o K11D Per questo mese (e questo soltanto) ho deciso di prendermi la libertà di utilizzare lo spazio che solitamente è riservato alle mie recensioni per parlarvi di un progetto che mi vede coinvolto nelle vesti di autore e regista. K11D non è nient'altro che i due elementi che lo compongono: la parola KID (in inglese “bambino” o meglio ancora “ragazzino”) e il numero 11. Insieme a formare un unico titolo, dietro al quale c'è un progetto nato per caso. Mesi fa ho avuto il piacere di scrivere e dirigere il primo videoclip della band umbra Crayon Made Army, per il lancio del loro singolo Pristine. Ho chiesto loro di poter raccontare una storia sul tema dell'infanzia, della crescita, dell'essere bambini, perché pensavo che quella musica potesse esserne un perfetto sottofondo. É nata così la storia di un bambino da tutti considerato e trattato da adulto, che in un giorno come tanti decide di dire basta, di dare una svolta alla sua vita, di vivere il suo tempo. Il videoclip di Pristine mi ha dato tante, tantissime soddisfazioni, ma ha avuto soprattutto il merito di avermi fatto conoscere uno straordinario bambino di undici anni di nome Michele. Dalla sua conoscenza sul set, e dal rapporto che di lì in poi è nato e che dura ancora, ha preso vita questo progetto: l'idea di raccontare, attraverso tre tappe (ed altrettanti videoclip), nient'altro che un'età della vita. Ho scelto altre due tracce dall'album FLAGS dei Crayon Made Army e ho lasciato che quei pezzi ispirassero delle storie.

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La seconda, uscita sabato 11 aprile e che ha come sottofondo The Anthill, è una storia diametralmente opposta (almeno apparentemente) rispetto a quella di Pristine: lo è nelle ambientazioni e nei colori, lo è nella tecnica con cui si è scelto di raccontarla, lo è in generale nell'atmosfera che lo domina. Il terzo ed ultimo degli episodi, Priceless (che al momento della consegna dell'articolo è in fase di post produzione) è invece l'ideale seguito del primo videoclip e della risata che lo chiude: quella di un bambino che ha finalmente capito chi è, e che soprattutto vuole vivere il suo presente. Senza freni, senza pensieri. Libero come mai prima d'ora. K11D è la cronaca di un viaggio straordinario in compagnia di un bambino. Da quando l'ho conosciuto ho deciso di lasciare alle spalle ogni bagaglio, e di farmi guidare. La mia speranza è che chiunque guardi queste storie possa fare altrettanto: riportare indietro, anche soltanto per qualche minuto, le lancette del tempo. Perché bambini si può essere per tutta la vita. Basta volerlo. Trovate i videoclip su youtube digitando: "Crayon Made Army - Pristine (official video)" e "The Anthill (short film)". Visitate la pagina Facebook "K11D" per info, foto, e altro materiale. Lorenzo Tardella Per altre recensioni visitate il blog www.ilkubrickiano.wordpress.com


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Le strade, le vie, gli spazi intorno a casa… ... li percorro con passi consapevoli e sensi svegli e attenti… Che bello il mio parco! È mio, perché l’ho visto nascere e, all’inizio, ho avuto timore che costruissero un palazzo che mi avrebbe tolto la vista del tramonto. Poi, invece, è stato tracciato e pavimentato un sentiero tortuoso e ho capito che si trattava d’altro. È mio, perché, quando è stato inaugurato, è arrivata una lettera a tutti i condomini, in cui si diceva che del parco non erano responsabili solo il comune o la circoscrizione, ma anche noi che abitavamo intorno. E tutti noi abbiamo rispettato i patti. Il “mio” parco è un meraviglioso spazio verde, con piante giovani che devono ancora crescere e hanno bisogno di essere sostenute. Un grande rampicante si appoggia su una struttura in legno e, con il tempo, è arrivato a coprire alcune comode panchine su cui siedono in genere persone anziane dopo aver fatto una breve passeggiata. Di fronte, un’altalena, una finta collina con scivolo e altri giochi permettono ai bambini di passare momenti felici, sorvegliati dai genitori. La pavimentazione lì intorno è gommosa per attutire eventuali cadute. Non manca uno spazio per i cani, chiuso da un cancello e accessibile ai padroni educati e rispettosi delle persone e dell’ambiente. Gli altri portano i loro animali dappertutto, magari verso sera. D’estate il parco si popola di famigliole con bambini e di giovani non troppo rumorosi. I primi ragazzotti con le moto che venivano a sgommare e a fare i bulli sono stati scoraggiati da una popolazione molto più quieta. L’ho percorso tante volte il mio parco, e ho notato che, all’inizio e alla fine dei suoi sentieri, oltre ai pali di illuminazione, ce ne sono altri due decorativi e simbolici: uno ha in cima una sagoma di scoiattolo in metallo e l’altro un fiore stilizzato. Piante di ogni tipo, cresciute in apparente disordine lungo uno dei sentieri, richiamano l’dea del bosco e invitano a fantasticare, a meditare, a rilassarsi. Il complesso credo che sia stato realmente pensato per il benessere di chi lo vive. Dovrebbe essere così dovunque. Lo dico soprattutto per chi, giustamente, si lamenta del degrado di alcuni spazi del centro di Terni. Qualche volta le periferie riservano sorprese. Elettra Bertini

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Franco Agostini detto MONTUORI Molti ternani lo ricordano ancora con affetto e gratitudine Come tanti ragazzini della Terni di anni fa, iniziando a giocare a calcio, conobbi Franco Agostini, da tutti chiamato Montuori. Un vero appassionato di sport, un romantico che dedicò la sua vita ai campetti di calcio, prima al Duomo e poi all’oratorio di S. Francesco. Franco ha allenato generazioni di giovanissimi, avendo per ciascuno, anche per i più scarsi come me, una parola di attenzione. Terminata l’esperienza calcistica, ho sempre conservato nella memoria i modi e la bonomia di Franco Agostini. Rammento ancora il suo affetto verso i miei cugini calciatori: Roldano, Franco e Sandro assai bravi e per lui motivo di vanto e di sincera soddisfazione. Un brav’uomo a cui tutti hanno voluto bene. Per certi versi un educatore, sicuramente un innamorato di un certo calcio, fatto dal cuore più che dai risultati agonistici. Dobbiamo essere grati ad uomini come Montuori, volontari puri e disinteressati. Per questo voglio proporvi il racconto dell’amico Ermanno Crescenzi, nel quale, con commozione, ho ritrovato un pezzo della mia gioventù. Le belle parole di Ermanno rappresentano il sentimento di coloro che hanno conosciuto Franco Agostini. É mia intenzione far apporre una targa nell’oratorio di S. Francesco per ricordare questa figura di sportivo vero, riunendo idealmente attorno ad essa, tutti i ragazzi di Montuori. Stefano Lupi Delegato Coni Terni IL TALENT SC OUT Ogni mattina lungo le vie del quartiere si sentiva il rauco gridare dello strillone che annunciava con enfasi le notizie del giorno più importanti, ma spesso le più pruriginose per indurre le persone a comprare il giornale, anzi, il suo giornale: la Nazione. Franco Agostini, questo il suo nome, era ormai una istituzione nel quartiere, conosciuto da tutti più per la sua bontà e gentilezza che per le sue qualità di strillone. In quei primi anni sessanta le persone leggevano poco e la televisione non era ancora così diffusa, per cui Franco con il suo modo di dare le notizie, a voce alta, praticamente leggeva il giornale a tutto il quartiere. Era straordinario il suo modo di dare le notizie gridate senza che la sua nazionale senza filtro, tentennante, tenuta sul lato del labbro gli cadesse mai: una magia. Terminato il suo lavoro Franco si tuffava nella passione che lo divorava a cui dedicava gran parte della sua vita: la ricerca di talenti del calcio. Nessuno credeva avesse la capacità e le qualità per scoprire talenti, forse neanche lui. Aveva un soprannome con cui era da tutti conosciuto: Montuori; come il grande calciatore degli anni cinquanta della sua squadra del cuore, la Fiorentina. Non si stancava mai di raccontare le gesta del suo idolo soprattutto quelle relative all’anno dello scudetto conquistato dalla Fiorentina nel 1956, grazie alle sue prodezze. Storie che spesso si ripetevano, ma sempre arricchite di nuovi particolari così fantasiosi da fare avvicinare il calciatore ad un personaggio mitologico. Ma a noi ragazzi di dieci anni ci piaceva Franco, perché era un sognatore e i suoi racconti trasportavano la nostra fantasia a immaginare di vederci calcare i campi degli stadi più importanti d’Italia. La sua figura assumeva ancora più rilevanza ai nostri occhi anche per un altro fondamentale motivo, godeva della fiducia dei nostri genitori e questo ci consentiva, accompagnati da lui, di poter svolgere gli allenamenti al campo dell’oratorio del Duomo di Terni. Lì era la sede della società Olimpia, la seconda squadra più importante della città, nelle cui fila tutti noi aspiravano di entrare a far parte per giocare i campionati ufficiali della federazione e metterci in mostra. Il rito degli allenamenti settimanali cominciava nel primo pomeriggio dei primi giorni di settembre. Franco arrivava sotto casa mia intorno alle 14.30, prendeva in consegna me ed altri tre ragazzi di via delle Ginestre poi lentamente ci avviavamo a piedi verso il villaggio Metelli, un altro villaggio popolare, che raggiungevamo in circa dieci minuti camminando attraverso campi incolti, percorrendo stradine polverose; scorciatoie che ci permettevano di dimezzare i tempi di percorrenza. Qui ad attenderci c’erano altri quattro ragazzi che si aggiungevano al nostro gruppo, con cui avevamo fatto amicizia durante queste bisettimanali piacevoli migrazioni a cui Franco ci sottoponeva. L’ultima tappa prima di giungere al campo la facevamo al villaggio “Italia” cui arrivavamo dopo circa altri venti minuti di cammino. Qui, pronti per la partenza, ad aspettarci trovavamo i fratelli Sandro e Maurizio Petrini. Poi finalmente dopo altri dieci minuti percorsi tra scherzi e sfottò, spesso bonariamente redarguiti da Franco se usavamo parole un po’ troppo spinte, si arrivava al campo ricavato all’interno dei resti di un anfiteatro romano adiacente al duomo di Terni. Gli spogliatoi non erano che un anfratto naturale all’interno dei ruderi, senza porta né luce, qualche vecchia sedia per appoggiare i nostri abiti e un bagno alla turca per i nostri bisogni. La doccia era un rubinetto alla cui sommità era attaccato un tubo di gomma che il parroco dell’oratorio utilizzava per innaffiare i fiori e con cui noi al termine di ogni allenamento ci toglievamo la sete e ci sciacquavamo alla meglio per toglierci di dosso quel misto di polvere e sudore che si

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attaccava alla pelle durante quelle infinite felici corse con e senza il pallone, a cui Franco ci sottoponeva. Al termine di ogni allenamento, prima di riaccompagnarci a casa, Franco, radunata tutta la truppa, ci manifestava tutto il suo affetto portandoci presso una osteria ubicata appena fuori dell’oratorio. Era frequentata da anziani signori dediti alla carte e al vino, dove si poteva fare anche la merenda; lì ci offriva un bel pezzo di pizza al rosmarino e un bicchiere di gassosa. Noi eravamo il suo mondo e lui per noi la speranza e il sogno. Per la prima volta quell’anno, grazie a questi ragazzi di quartiere, la società Olimpia riuscì a partecipare al campionato riservato alla categoria per dieci-undici anni. Fu un campionato meraviglioso, perché da perfetti sconosciuti riuscimmo ad arrivare secondi dietro alla quotata società “E. Bosico”. Eravamo conosciuti e denominati “i ragazzi terribili di Montuori”. Giocammo anche con due ragazzi di età inferiore a quella richiesta di cui Franco aveva falsificato la data di nascita sul cartellino. Io fui il capocannoniere della squadra con trentadue reti. L’anno successivo gli osservatori della Bosico mi chiesero di andare a giocare per la loro società. Il fatto che mi avessero notato era motivo di grande orgoglio per me, ma allo stesso tempo andare a giocare nella loro società mi sembrava un tradimento nei confronti di Franco; così, a malincuore non accettai. Quando Franco lo seppe venne a casa mia a parlare con i miei genitori affinché mi convincessero ad accettare. Diceva che era un’occasione da non perdere per mettermi in mostra e provare ad arrivare più in alto, dato che la Bosico aveva un eccellente vivaio da cui tutti gli anni attingeva la Ternana calcio per innalzare il livello del suo settore giovanile. La Ternana in quell’anno era salita in serie B per la prima volta nella sua storia. Accettai. Quel giorno capii cos’è l’amore disinteressato. Da allora, anche se ci siamo persi di vista, ho sempre cercato di essere al corrente su cosa facesse nella vita. Ha continuato per molti anni ancora a coltivare la sua passione per il calcio; sempre alla ricerca di ragazzi a cui inculcare il fascino e la bellezza di questo gioco, solo per il piacere di vederli felici correre dietro ad un pallone e l’orgoglio per avere contribuito al successo di qualcuno. Un personaggio unico, a cui centinaia di ragazzi come me devono molto. Mi rendo conto ora, come senza di lui, la sua disponibilità, nessuno di noi, nelle condizioni sociali e ambientali di allora avrebbe mai assaporato la gratificante dolce fatica dopo una vittoria, la durezza amara della stanchezza dopo una sconfitta. Esperienze pregne di un insegnamento da cui la vita attinge e si ciba durante il suo percorso. Sono trascorsi più di quarant’anni. Il campetto del duomo non esiste più. Al suo posto un bellissimo ristrutturato anfiteatro romano. Io però, ogni volta che mi trovo a passare da quelle parti riesco solo a vedere un gruppo di ragazzi sudati che corrono caparbi e gioiosi per contendersi un pallone, e sento la commozione salirmi da dentro. La nostalgia è forte e il ricordo intangibile. Dopo tutti questi anni, l’ho incontrato una mattina di aprile lungo il viale di tigli fioriti di Via delle ginestre. Camminava trascinando le gambe, con la testa china e lo sguardo assente. Gli sono andato incontro con gli occhi umidi, colmi di gratitudine. Quando mi sono fermato davanti, l’ho chiamato -Franco, ciao, sono Ermanno!- Lui mi ha osservato con le palpebre socchiuse sforzandosi di ricordare, ha perlustrato con lo sguardo il mio volto, poi ha alzato una mano per accarezzarmi. Ha biascicato stancamente un -Ciao!- Non so se mi abbia riconosciuto. Senza dire altro ha proseguito nel suo lento incedere con saldamente ancorata al lato inferiore del labbro la sua immancabile sigaretta: ora con il filtro... Ermanno Crescenzi


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Divorzio all’italiana: istruzioni per l’uso Il recente disegno di legge, d.d.l. 1504, riguardante “disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di comunione tra i coniugi”, già approvato dal Senato, ora al vaglio della Camera, si inserisce nella scia di quei provvedimenti con cui lo Stato interviene nei rapporti tra coniugi al fine di semplificare le procedure velocizzando i tempi di definizione delle pendenze. Non a caso, il testo in esame, è già stato ribattezzato “divorzio breve”, proprio in virtù del fatto che, quando lo stesso diventerà legge, i tempi per addivenire ad un completo scioglimento del rapporto coniugale, e alla cessazione dei suoi effetti civili, si accorceranno notevolmente, passando, in linea generale, da tre ad un solo anno. Quando il divorzio è poi consensuale, ossia è domandato concordemente dai coniugi o è divenuto tale a seguito della trasformazione di un giudizio inizialmente contenzioso, il termine di durata della separazione ininterrotta, valido e sufficiente ai fini della proposizione della domanda di divorzio, si riduce ulteriormente arrivando a sei mesi. Tale termine decorre, inoltre, dalla comparizione innanzi al Presidente del Tribunale, oppure dalla data certificata di accordo di separazione raggiunto nell’ambito della Convenzione assistita con l’ausilio di un avvocato, ed infine dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione raggiunto davanti all’Ufficiale di Stato Civile. Qualora non vi siano figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, figli di età inferiore a 26 anni, economicamente non autosufficienti, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possono essere richiesti con ricorso firmato congiuntamente dai coniugi e presentato all’Autorità giudiziaria, anche in assenza di separazione legale. La legge c.d. sul “divorzio breve” introduce importanti modifiche anche all’art.191 del codice civile, relativo allo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. Tale articolo prevedeva la separazione personale dei coniugi come uno dei motivi di scioglimento della comunione. Scioglimento che si verificava solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, oppure dall’omologa dell’accordo intervenuto tra i coniugi in tal senso. Ciò significava che, una volta interrotta la convivenza, dopo la prima udienza davanti al Presidente, la comunione continuava per tutta la durata del giudizio, anche per molti anni, con il risultato che i beni acquistati dai coniugi durante tale periodo, ricadevano comunque nella comunione legale, ex art. 177 1° comma lettera a), con tutte le conseguenze che se ne possono agevolmente immaginare. Con la modifica attualmente introdotta all’art.191 c.c., lo scioglimento della comunione viene anticipato nella separazione giudiziale, al momento in cui il Presidente del Tribunale, in sede di udienza di prima comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati, e in sede di separazione consensuale, alla data di sottoscrizione del relativo verbale purché poi successivamente omologato. Ed infatti la norma prevede, a tal fine, che l’ordinanza, con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati, venga comunicata all’Ufficiale dello Stato Civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione nei registri dello Stato Civile. È importante sottolineare che tale nuova normativa verrà applicata ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d.d.l 1504, e quindi chi ha in corso un giudizio di separazione potrà divorziare in un anno. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it Buona lettura del codice civile a tutti.

L’ angolo ... della geometria L’angolo è la parte di piano compresa tra due semirette aventi la stessa origine. Paragonando, con una certa fantasia, il piano ad una enorme torta (che assurdità!… non si potrebbe neanche se fosse una frittata infinita) dico che lo spicchio della torta potrebbe considerarsi un angolo con il vertice al centro e... i due tagli per lati. Ma qual è lo spicchio tagliato o quello rimanente? Io potrei aver tagliato anche il rimanente... scusate la confusione... volevo solo far notare che l’uno o l’altro sono angoli… uno più piccolo convesso ed uno più grande concavo. Potrei anche fare due tagli partendo dal centro in modo che siano l’uno sul prolungamento dell’altro e così otterrei due angoli piatti (con un taglio solo passando per il centro forse risparmierei

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un po’ di fatica) e tagliando poi a metà i due angoli piatti… ecco quattro spicchi ad angolo retto. Se invece faccio un taglio (sempre dal centro) e poi un altro dove ho fatto il primo (se non lo faccio per niente è lo stesso) ottengo sempre due spicchi ma uno è nullo... 0° e l’altro è tutta la torta… 360°… un angolo giro. Ho cercato di trattare l’argomento da diverse angolazioni e se qualcuno ritiene che possa essere stato un po’ freddino… si ricordi che mai sarei sceso sotto lo zero… mentre sono arrivato a 360° e sarei potuto andare anche oltre, ma non con la temperatura, con l’ampiezza… altrimenti già il solo angolo retto sarebbe stato un argomento scottante! paolo.casali48@alice.it


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Il Piave mormorava... e il fante pure Cento anni fa scoppiava la Grande Guerra anche da noi. A oltre cinquant’ anni dall’Unità d’Italia l’analfabetismo era ancora dominante e solo una parte dei giovani di leva nelle campagne aveva frequentato la seconda elementare. Negli anni precedenti l’inizio delle ostilità, alcuni giovani italiani erano andati negli Stati Uniti a lavorare, convinti da una massiccia propaganda e dal passa parola. L’organizzazione che inviava tale mano d’opera era molto efficiente e garantiva assistenza e viaggio gratis a chi aveva intenzione di imbarcarsi. Non si parlava d’altro che di quanto era possibile guadagnare emigrando. Durante le fiere di paese, nelle feste del Patrono e in quelle comandate da Santa Madre Chiesa, la gente si incontrava, parlava e quindi fiorivano i racconti di chi aveva sentito dire e le domande di chi era interessato a evadere dalla propria condizione di miseria. Chi aveva come orizzonte noto poco più dei paesi della propria valle, era timoroso di spostarsi così lontano, al di là dell’oceano, in un luogo sconosciuto, dove si parlava una lingua sconosciuta, anche se la fame vera e la sete di avventura sembravano spingerlo con una forza indicibile. Chi invece aveva già prestato servizio militare lontano da casa aveva conosciuto altri luoghi, altri incomprensibili dialetti italici, aveva confidenza con il treno o almeno con la tradotta militare, si sentiva meno timoroso di fare il grande salto verso l’America. É un po’ come ora con le badanti che vengono dai Paesi dell’Est o con i migranti che fuggono dalle guerre, rischiando la vita sulle carrette del mare. C’è anche da dire che oggi c’è un po’ più di cultura, di conoscenze geografiche e linguistiche, senza dimenticare il grande supporto dato dalla televisione, da internet e dai telefoni cellulari. Si racconta che già nel 1914 le notizie sulla guerra in corso incominciarono a serpeggiare tra i lavoratori italiani addetti alla costruzione delle linee ferroviarie statunitensi. I soliti bene informati, quelli che da più tempo erano lì e capivano meglio la lingua, bisbigliavano che il governo americano era a corto anche di soldati e pertanto, in previsione di una loro entrata in guerra, avevano intenzione di arruolare anche i giovani immigrati. Infatti di lì a poco, quelli che avevano l’età per combattere furono costretti a scegliere: o arruolarsi nell’esercito statunitense o ritornare a casa per essere arruolati nel regio esercito. Alcuni dei nostri antenati, nonostante la Patria ingrata che non aveva dato loro lavoro, memori dei miti mazziniani e dell’epopea garibaldina e forse anche spinti dalla nostalgia di rivedere la propria terra e i propri cari, tornarono a casa. Qualcuno ebbe a dire: Se il mio destino è quello di morire in guerra, preferisco morire per il mio Paese piuttosto che per l’America. Ebbero appena il tempo di riabbracciare i figlioletti e mettere di nuovo incinte le proprie mogli che furono chiamati alla guerra. Appena arrivati al fronte ai fanti, oltre alle armi individuali, venivano dati piccone e pala. Bisognava scavare le nuove trincee, ripulire quelle in uso e scavare nuove latrine, dopo aver ricoperto quelle vecchie. E allora via a spalare terra e fango come al di là dell’Atlantico, quando interravano le traverse e ci imbullonavano sopra le rotaie; solo che ora si zappava col fucile ’91 a tracolla. Quando poi passavano dose doppia di grappa voleva dire che di lì a poco sarebbe partito l’ordine di attaccare. Allora tutti fuori dalle trincee, con la baionetta in canna, mentre le artiglierie dei rispettivi eserciti sgranavano le loro litanie di morte fra i reticolati e le mitraglie falciavano corpi come fossero spighe di grano. Si racconta che una sera arrivò un paesano della Valnerina noto col soprannome di Palotti. E allora tutti quelli che lo conoscevano corsero a salutarlo: Palotti di qua, Palotti di là e come sta Tizio e che ha fatto Caio, dimmi Palò, racconta Palò; insomma tutti a chiedere notizie a Palotti. All’improvviso si udì un forte boato proveniente da dietro le linee nemiche. I veterani capirono subito che il grande obice austriaco aveva ripreso a suonare la sua musica triste, sparando gigantesche granate sulle linee italiane. Fu un fuggi fuggi generale per accaparrarsi il nascondiglio migliore. E mentre la granata, accompagnata dal suono dello sparo che andava scemando, avanzava roteando nel cielo, producendo un suono lugubre e ripetitivo: palò... palò... palò... palò... il povero fante appena arrivato, rannicchiato nella parte più fonda della trincea, fu sentito mormorare: ...azzo! Non so’ancora arrivato che me conoscono già tutti! Pure l’austriaci! In memoria di quelli che non tornarono e del nonno che ebbe la fortuna di tornare e di raccontare. Vittorio Grechi

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Al l e o rrii g i n i d e l f o n d a m e ntalismo. n talismo. Il fondamentalismo islamico. Area sunnita. Prima di addentrarci in un argomento di scottante e drammatica attualità, è doveroso ricordare ai lettori che ci seguono che il termine fondamentalismo era fino a poco tempo fa sconosciuto nella cultura e nella lingua araba e che fu coniato per la prima volta nell’ambito del Cristianesimo protestante e negli U.S.A. Cercheremo ora nel presente articolo, senza per questo atteggiarci ad islamisti, di risalire il corso della storia al fine di spiegare, tempo e spazio permettendo, le origini di questo movimento che nell’Islam ha una remota origine. L’Islam è una religione della legge che si trova scritta nel Corano, un libro ispirato e dettato parola per parola direttamente da Dio. Esso è fonte di verità, segno non solo della presenza di Dio, ma anche come codice della società tutta. Il testo sacro ha fornito orientamenti a quattro livelli: etico-giuridico, metafisico-scientifico, storico, grammaticale-letterario. Il mondo mussulmano si presenta apparentemente uniforme, in realtà è molto variegato. L’Islam è uno e plurimo. Esso si riconosce intorno ad un nucleo fondamentale, ma si divide sia al suo interno (4 scuole di diritto) sia all’esterno, dando vita a veri e propri scismi. Il pluralismo si delinea fin dalle origini dell’islamismo. Infatti alla morte del profeta Muhammad, avvenuta nel 632, che non lasciò eredi diretti, si aprì il problema della successione e subito emerse la divergenza tra chi sosteneva che il successore doveva essere tra i compagni della prima ora, i Khalifa (i vicari), e chi sosteneva la discendenza diretta. Come prevedibile, Ali ibn Abi Talib, genero di Maometto nonché marito della sua unica figlia legittima Fatima bint Muhammad, rivendicò insieme a suo figlio Husseyn il diritto alla successione dando vita alla shiat Ali (la fazione di Ali), ma entrambi vennero uccisi divenendo i primi due imam martirizzati per la fede dei dodici riconosciuti dagli sciiti. Da quel momento l’Islam si divise in due schieramenti: gli Sciiti ovvero i seguaci di Ali e i Sunniti restati fedeli alla Sunna (consuetudine). Tuttavia essi sono accomunati dalla volontà di trasferire in ordinamenti giuridici e politici il messaggio annunciato dal profeta e contenuto nel Corano. Questa scissione nella storia passata e in quella presente ha causato sanguinosi conflitti. Per i Cristiani il Cristo ha portato la salvezza sulla terra, basterà attendere la sua nuova venuta per il compimento. Per l’Islam la redenzione è già visibile nella città del profeta, non c’è teologia della salvezza. L’Islam è una comunità di credenti alla pari, non c’è clero, tutti sono uguali, esso chiede al muslim (fedele) una diretta responsabilità nella propria scelta di fede e, rispetto al testo sacro del Corano, nessuna autorità può imporgli una lettura particolare come nel Protestantesimo. Alla morte di Maometto si ebbero tre raggruppamenti: i Califfi da cui derivarono i Sunniti, i seguaci di Ali da cui derivarono gli Sciiti e i Kharigiti (lett. quelli che escono). Proprio questi ultimi sono da considerare i veri precursori del fondamentalismo. A differenza dei Sunniti e degli Sciiti volevano che il successore del Profeta non venisse scelto tra i suoi compagni o tra i suoi diretti discendenti, ma venisse scelto dalla comunità sulla base

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della sua assoluta purezza. Si ha quindi una coincidenza tra politica e religione. Il capo diviene un santo al potere ma, qualora non rispetti la legge, è diritto sacrosanto ribellarsi a lui. Egli è sottoposto ad una sorta di plebiscito permanente. I Kharigiti legittimavano la violenza sacra (jihad) contro chi tradisce la legge. Questi caratteri si ravvisano con le dovute differenze storiche anche nel fondamentalismo dei nostri giorni che riempie in modo funesto le cronache di oggi. Nonostante le feroci persecuzioni dei Califfi e di Ali, il Kharigismo è penetrato nella cultura islamica. Tra Sunniti e Sciiti non esistono grandi divergenze teologiche, ma diverso è il modo di intendere l’imam (capo). Per i Sunniti è colui che dirige la preghiera, per gli Sciiti invece è anche un capo politico perché interpreta sulla terra i segni di Dio. Questi ultimi riconoscono dodici imam, i primi due furono Ali e Husseyn, il 12° si è nascosto, ma deve ricomparire, quindi bisogna guardare i segni premonitori della sua ricomparsa in terra. La guida spirituale e politica viene assunta dall’ayatollah quale mediatore provvisorio tra chi si è occultato e ciò che si rivelerà. Nell’Islam esistono due tipi di fondamentalismo, quello sunnita che trova espressione nel movimento dei Fratelli mussulmani in Egitto, ritornato per breve periodo al potere dopo l’effimera Primavera Araba, quello sciita, culminato in Iran con la rivoluzione del 1979 guidata dall’ayatollah Khomeni che portò alla fine del regime dello Sha e alla fondazione di una repubblica islamica. La prima setta fondamentalista si formò in Egitto nel 1928 e prese il nome di Associazione dei Fratelli mussulmani fondata da Hasan al Banna. Nata dalle rivolte coloniali propone l’Islam come alternativa all’Occidente e alla sua cultura giudicata corrotta e corruttrice. La setta si ramificò divenendo molto segreta con un esercito clandestino e una rete di spionaggio. Sebbene osteggiati e perseguitati dal governo del Cairo, i Fratelli hanno continuato ad agire sotto re Farouk, poi dopo un’iniziale appoggio a Nasser, si opposero al processo di laicizzazione di quest’ultimo. Hanno continuato ad agire nella semiclandestinità sotto Sadat (assassinato da una loro ala nel 1981), sotto Mubarak, fino a quando, spentasi la vampata della Primavera Araba, sono risultati vincitori alle elezioni libere indette dopo la deposizione di quest’ultimo. Con il loro appoggio venne eletto presidente Morsi, ma nel 2013 un golpe militare guidato dal gen. Abd al Fattah al Sisi deponeva Morsi e dichiarava il movimento fuori legge; centinaia di militanti furono imprigionati o uccisi, il loro leader Muhammad al Badi condannato a morte. Concludendo, i caratteri del fondamentalismo sunnita incarnato dalla Associazione dei Fratelli mussulmani si possono riassumere nei seguenti punti: nostalgia per la società ideale di Medina; stato come repubblica presidenziale senza parlamento e partiti, giudicati portavoce di interessi meschini; Islam come religione di stato e lo stato come stato etico; esportare il modello islamico in altri stati vicini come Siria e Giordania. Comunque la partita con il fondamentalismo sunnita è tutt’altro che conclusa, l’IS, il caos della Libia, la strage di Tunisi ce lo dimostrano. Nel prossimo numero ci occuperemo del fondamentalismo sciita e della Rivoluzione islamica in Iran. P i e r l u i g i S e r i


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