Numero 11 3 marzo 2014
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
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B AT T I S T E L L I
Fot o Al bert o M i ri mao
Orneore Metelli Il raccont o de lla c ittà c h e c’e r a
Orneore Metelli - Terni, Porta Romana come era nel 1879 Collezione Cesare Taddei 2
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Ve r b a v o l a n t Le parole sono importanti, ripete ossessivamente Nanni Moretti in Palombella Rossa, e per ribadire il concetto non esita a prendere a sberle la povera giornalista (contraddicendosi persino un po’: a quanto pare, le parole sono importanti ma meno efficaci degli schiaffoni, nella dialettica quotidiana). Nel caso specifico, quelli che Moretti non sopportava erano i frusti modi di dire: matrimonio a pezzi - essere alle prime armi e così via: scorciatoie usatissime e virtualmente senza significato, quando non usate addirittura in maniera semplicemente sbagliata. Sono letteralmente distrutto è una frase che ormai passa inosservata, anche se, a prenderla per il suo significato vero e proprio, non potrebbe essere mai pronunciata: se si è distrutti non metaforicamente, ma letteralmente, è ben difficile che si riescaa pronunciare alcunché. Sei stata eccezionale come sempre è un altro serpeggiante ossimoro: eccezionale e straordinario sono aggettivi che se vengono ripetuti spesso, e pertanto assegnati alla normalità, perdono la loro stessa ragione d’essere. Un caso a parte merita l’avverbio assolutamente, che ormai è stato promosso al rango di automatico rafforzativo nelle risposte monosillabiche. È strano perché quel senso di assoluto che intende trasmettere è verosimilmente sentito come rafforzativo massimo da parte di chi lo pronuncia, quasi che il suo contrario, relativo, sia una qualifica di minoranza, sintomo di qualità inferiore. Eppure è evidente che la donna più bella (superlativo relativo) del mondo è più affascinante di tante bellissime (superlativo assoluto); o che per ogni bravissimo in qualche campo c’è sempre qualcuno ancora più bravo. In ogni caso, siano esse usate a sproposito o con calcolata attenzione, le parole meritano davvero di essere considerate importanti. Sono uno strumento prezioso, forse la più importante invenzione del genere umano; e sono tanti gli ammonimenti ad usarle con attenzione e consapevolezza. A dimostrazione di come si possa facilmente essere tratti in inganno, basta ricordare uno dei più famosi proverbi che ha per oggetto proprio le parole:
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quello che sottolinea la differente natura tra la parola detta e quella scritta. Verba volant, scripta manent: non è neppure indispensabile aver fatto qualche anno di latino per conoscerne il significato: le parole dette volano, quelle scritte rimangono. Viene citato spesso, soprattutto quando si vuole sottolineare l’importanza di avere sempre dei contratti, delle ratificazioni scritte di patti e di accordi che, qualora rimanessero solo verbali, potrebbero con estrema facilità restare disattesi. Una forma acculturata del più popolare carta canta e villan dorme, insomma. È però curioso che il significato ultimo che l’autore della frase voleva presumibilmente trasmettere fosse abbastanza diverso: Caio Tito, nella sua perorazione al Senato Romano, esortava qualcuno a porre estrema attenzione a ciò che scriveva, perché le parole scritte, a differenza di quelle solo pronunciate che vengono rapidamente dimenticate, restano a lungo mute testimoni di eventuali sciocchezze che si è incautamente deciso di mettere su carta. Non un’esortazione a contrattualizzare, quindi, quanto un consiglio a pensarci bene due o tre volte prima di scrivere qualcosa che potrebbe denunciarci a lungo come cretini. Ma ancora più bella è una terza interpretazione, che sembra andasse per la maggiore proprio ai tempi dell’Antica Roma. Già a quei tempi i politici facevano discorsi pubblici, mentre i filosofi e gli scrittori scrivevano i loro testi al lume di antiche lanterne. E in quell’atmosfera l’ammonimento verba volant, scripta manent veniva diretto soprattutto ai giovani che tendevano troppo a scrivere, anziché a lanciarsi in ardite orazioni pubbliche. Sembra di sentirlo, il vecchio tutore che istruisce la giovane promessa al consolato: Le parole volano, figlio mio: pronunciale, colpisci gli orecchi degli astanti, e le lingue le ripeteranno, voleranno sempre più di bocca in bocca, e tutti ti conosceranno. Se invece ti limiti a scriverle, ammuffiranno nei papiri, resteranno ferme ad invecchiare in qualche biblioteca, e nessuno saprà mai davvero qualcosa di te. Quale che sia l’interpretazione migliore, è comunque indicativo che, a quei tempi, la dissezione certosina di ogni frase serviva proprio a mostrare come uno stesso concetto potesse esprimersi attraverso sfumature diverse, o come, addirittura, le medesime parole potevano essere lette diversamente da menti differenti. Un laborioso esercizio che serviva, alla fin fine, a salvare la propria coerenza e il sacro il Principio di Non Contraddizione: se dico una cosa oggi sarà vera anche domani: e se sembra che abbia detto il contrario, beh, leggete meglio, analizzate, usate questo punto di vista, e vedrete che non è così. Ai tempi nostri, invece, questo grande esercizio intellettuale appare del tutto inutile: il Principio di Non Contraddizione è tutt’altro che sacro, e non c’è più nessun timore nell’affermare al mattino qualcosa, per poi negarla con assoluta e sicura determinazione nel pomeriggio. P i e ro F a b b r i
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ORNEORE METELLI - C o l l e z i o n e C e s a r e Ta d d e i MEDIOAREA Ve r b a v o l a n t - P F a b b r i SUPERCONTI Esserci - S R a s p e t t i Giovane Italia - G R a s p e t t i S A N FA U S T I N O Bitcoin, l’economia digitale è approvata anche in Italia... - A M e l a s e c c h e È finito lo strapotere delle banche? - M P e t ro c c h i IMMOBILIARE BATTISTELLI Lucignolo va a lavorare in Qatar - F P a t r i z i C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I L’ o l o c a u s t o d e g l i A r m e n i - P L S e r i ASM TERNI SpA A S S E S S O R AT O A I L AV O R I P U B B L I C I ASSESSORATO CULTURA SCUOLA E POLITICHE GIOVANILI Gran tour per i bikers e spettacoli nel Teatro di Carsulae - L . D i G i r o l a m o CONSORZIO DI BONIFICA TEVERE NERA
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- M. D’Ulizia, MG Cotini
SUPERCONTI NARNI IMMAGINARIA La maledizione dei Bubi - F L e l l i Tu m o r e a l s e n o - A N T E O LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I Esci da questo blog! - C Colasanti Alcesti - MV Petrioli N U O VA G A L E N O A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E L A PA G I N A Alla scoperta di... fontane d’acqua - L Santini Accordo di programma - C O N I ARABA FENICE I l C a s o , l a S t o r i a , l a Tr a d i z i o n e - V G r e c h i Il vento - L Paoluzzi Il tartufo umbro - P Passeri CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA P r i m o P i a n o - L Ta r d e l l a Come dire... - V Policreti Medicina o medicine? - DG Giorgetti Consigli nutrizionali nelle epatopatie - L Falci Bianconi ALFIO C I D AT INTRACEUTICAL OXYGEN INFUSION - A C r e s c e n z i La cisterna romana di Amelia - D Fagioli F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O ALESSIA MELASECCHE - R B e l l u c c i ACCIAIERIE DI TERNI - 130 anni Le scarpe nove - P C a s a l i Una soffitta sull’universo - M Pasqualetti ALLEANZA AMARCORD TERNANA - M B a r c a r o t t i G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
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Esserci Il sipario si è aperto su una vicenda umana di assoluta normalità: la malattia e la morte di una donna. Lei amava percorrere le strade del mondo, in terre lontane e per assaporare ogni attimo non faceva foto perché le emozioni che si annidano in noi e il senso di libertà, durante un viaggio, non possono essere fotografati, si vivono dentro e si portano in noi per sempre. Amava circondarsi di gente per scambio di pensieri, in scontri di opinioni, per incontri festosi, per condividere pomeriggi e serate dedicate a conferenze, spettacoli, concerti. Ma, nel suo ultimo tratto di strada, lo straordinario si stava delineando: niente delle esperienze passate era andato perduto, tutti i fili di una vita si sono intrecciati armoniosamente e una moltitudine di gente si è prodigata, alternata in una sincronia perfetta di interventi. È questa l’esperienza che va raccontata: non un elogio funebre, non il racconto di una morte, ma l’esaltazione della vita. Persone estranee tra di loro o con conoscenze superficiali hanno rappresentato quel grande disegno della creazione che è l’umana solidarietà e, tutti protagonisti, hanno accompagnato con serenità una loro compagna di percorso nel suo ultimo viaggio, certamente il più distante e forse, per Virginia, il più affascinante. Tutti, durante questa esperienza, abbiamo visto la materia alterarsi ed un’anima affacciarsi, uno sguardo spegnersi e una luce intorno spandersi, una mano assottigliarsi e, con la sua stretta, affidarsi. Siamo vissuti tutti, e per lungo tempo, in una dimensione non più terrena, in una terra di nessuno dove si vivono gli eventi come accadimenti irreali, impregnati di parole inutili, fievole speranze, sorrisi smorzati, sguardi appannati e sfuggenti, ma anche con un sacro rispetto per la vita che continuava ad aleggiare intorno. Lungo una scia luminosa, Lei, si è incamminata... dove andrà, non so. Ognuno ha il suo angolo di paradiso elaborato dall’intima convinzione di dover dare una quieta dimora al suo corpo stanco e una giusta liberazione ai sentimenti d’amore, imprigionati da sempre in quel corpo stanco. Un attimo, un respiro mancato e... il sipario si è chiuso. Sandra Raspetti
Giovane Italia Finito l’ascolto, su Rai3, del giovanissimo e bravissimo scienziato Amedeo Balbi intorno alla nascita, circa 15 miliardi di anni fa, dell'universo, sono assalito da rabbia, indignazione e disgusto contro la masnada di superstiziosi, semianalfabeti e incapaci che si ingegnano per stuprare (loro lo chiamano governare!) le nostre anime e i nostri corpi. Asserragliati nelle Istituzioni, intenti a strombazzare protervia e ignoranza per cercare di preservare i loro privilegi, ideologici o materiali, possono solo nascondere le verità scientifiche e i propri comportamenti mafiosi! Ogni giorno viene alla luce qualche loro malefatta, ogni giorno sembrerebbe sfaldarsi quel mondo ipocrita che si sono costruiti, ma il loro immenso potere li salva sempre e l’elenco delle loro mefitiche azioni è così lungo che... non finisce mai! Oggi cercano di convincerci che essere cristallini sia reato gravissimo; si tende anzi a voler scongiurare di dover essere, in quei pulpiti, tutti francescani o immacolati! Il pensiero corre invece amorevole verso i tanti giovani, intelligentissimi e colti, che il nostro Paese tiene in disparte, nelle cariche, negli uffizi, negli emolumenti! Un Paese che spartisce tutta la ricchezza tra corruttori e delinquenti, calciatori, comici e menestrelli. Un Paese che istituzionalizza classi, ai licei, ad esempio, di 33 studenti! Questo Paese è marcio, da buttare, a cominciare da chi lo ha ridotto così per proseguire con quelli che condannano sempre e poi, puntualmente, si rivelano di gran lunga peggiori degli altri! Noi dell’Associazione facciamo vera politica, impegnati solo negli incontri culturali, nello studio delle lingue e della scienza. Vogliamo promuovere i giovani talenti. Sappiamo che residue speranze per il Paese sono legate alla cultura e la nostra politica è quella di preparare le future generazioni all’amore per essa. Quei giovani sapranno generare una politica responsabile. Giampiero Raspetti
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Bitcoin, l’economia digitale è approdata anche in Italia... Che cosa è il bitcoin? Nient’altro che una moneta virtuale lanciata il 3 Gennaio 2009 da Satoshi Nakamoto, e, in questo momento, la più importante tra tutte le valute virtuali (tra le altre vale la pena citare Litecoin, Namecoin, Peercoin, Primecoin, Ripple...). Il bitcoin non è fatto di carta né di un qualche metallo, ma, come suggerisce il nome, è composto di bit, numeri, operazioni matematiche. A differenza delle valute tradizionali, il bitcoin non ha un ente centrale di riferimento, ma dipende da un database, in rete, che tiene traccia delle transazioni. Essendo virtuale, il suo funzionamento si basa su una complessa serie di calcoli crittografici, in modo da garantirne la sicurezza. Buona parte di questi calcoli è necessaria a verificare che le transazioni di denaro virtuale avvengano in modo lecito e sicuro. Se si spendono 2€ in edicola, si sa con certezza che andranno a finire nella cassa dell’edicolante, e che gli stessi 2€ non potranno essere riutilizzati altrove. Quindi, se c’è da una parte un utente che effettua un acquisto in bitcoin, dall’altra qualcun altro verifica che i bitcoin spesi siano effettivamente prelevati dal suo portafoglio virtuale e che lo stesso utente non possa spendere gli stessi bitcoin altrove. Inoltre al contrario delle monete tradizionali, che in caso di transazioni di una certa entità possono essere oggetto di controlli e verifiche, le valute digitali in genere sfruttano le lacune normative, che ancora non hanno legiferato per regolamentare questo genere di scambi. Da qui il loro grande successo. Potrebbe sembrare irrilevante nella vita di tutti giorni, se non fosse che le operazioni di cambio tra lo yuan cinese e il bitcoin rappresentano ormai il 21% del totale nella Repubblica popolare cinese, quando il volume delle transazioni valutarie in euro ne rappresenta appena il 6%. La stessa televisione pubblica cinese manda in onda lunghi reportage
sulla moneta virtuale, esaltandone la crescente popolarità e i vantaggi, primo fra tutti, secondo il governo cinese, quello di non essere sotto il controllo di nessun potenza capitalista! In contemporanea, il bitcoin si apprezza velocemente: ha infatti raggiunto il valore di oltre 1.000 dollari Usa e c’è chi parla dell’ennesima bolla destinata a scoppiare. Probabilmente sarà così, ma, nel frattempo, non va ignorata né sottovalutata, e quindi c’è chi si adegua. Già diffusa in negozi e attività in Europa e USA, che prevedono pagamenti senza contanti né carte, è da qualche tempo approdata anche in Italia: a Cavalese, in un salone storico per barba e capelli, non serve denaro sonante, ma bitcoin o in una pensione a Bolzano o in uno studio di consulenza a Merano, e i clienti possono anche pagare dal telefonino! Il cartello è lo stesso esposto in tutti gli altri esercizi internazionali che li accettano, “Bitcoin accepted here”. Naturalmente bisogna disporre della moneta virtuale per poterla spendere. Ma ormai il fenomeno è planetario e gli utilizzatori continuano a crescere, nonostante l’iniziale difficoltà tecnologica. Gli eventuali rischi nell’usare questa moneta non ufficiale? È un fatto che FED e BCE per ora i bitcoin non li abbiano accettati, anche se recentemente, il bitcoin ha incassato un sostegno da parte del Tesoro americano, che lo considera una “alternativa di pagamento legittima”. Intanto, il miliardario Richard Branson è un pioniere anche in questo, la sua Virgin Galactic, la prima linea aerea commerciale per viaggiare nello spazio, ha recentemente accettato il primo pagamento con la moneta virtuale, pagamento effettuato da una signora alle Hawaii che ha guadagnato molto denaro investendo e speculando proprio in bitcoin. Nel caso specifico il pagamento effettuato è stato tradotto in dollari, in modo da avere un prezzo fisso per restituirle il tutto nel caso in cui decida di non andare più a farsi un giretto nello spazio! a l es s i a . m e l a s e c c h e @ l i b e ro . i t
È finito lo strapotere delle banche? A partire dal 1 gennaio 2014 le banche non possono più applicare gli interessi sugli interessi già maturati sul capitale. La Legge di stabilità 2014 (L. n° 147/2013) ha, infatti, introdotto il divieto di anatocismo, parola complicata, di cui sicuramente avrete sentito parlare, che altro non indica se non l’interesse calcolato sull’interesse o interesse composto, secondo il gergo in uso nelle banche. La Legge, che ha modificato l’art. 120, comma 2 del Testo Unico Bancario, ha stabilito le modalità per il calcolo degli interessi prevedendo che nelle operazioni di conto corrente deve essere assicurata alla clientela la medesima periodicità di conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, stabilendo altresì che gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori, ma devono essere calcolati esclusivamente sul capitale. Anche se l’effettiva portata della norma dovrà essere misurata nella concreta applicazione pratica, in molti hanno già sollevato qualche perplessità sia per la sua formulazione, non priva di contraddizioni, sia per la scelta del soggetto chiamato a definire le modalità e i criteri di produzione degli interessi, ossia il CICR, Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, nondimeno la norma riveste grande importanza perché tutela i clienti dalle pratiche cosiddette anatocistiche ponendo una parola definitiva in termini di inequivocabile illegalità. In questa direzione merita di essere segnalata anche la sentenza n° 350 del 2013, con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito che quando il tasso di mora, le penali, le spese varie complessivamente considerate superano il tasso soglia, stabilito dalla legge antiusura 108/96, anche i mutui diventano usurai e possono essere annullati
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consentendo la possibilità di ottenere la restituzione di tutte le somme versate a titolo di interessi in applicazione dell’art. 1815 c.c. ai sensi del quale “se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La questione ovviamente non riguarda solo i mutui, ma tutti i contratti di finanziamento quali cessioni del quinto dello stipendio o della pensione, leasing per autoveicoli, immobiliari compresa l’apertura di credito in conto corrente che ha finalità assimilabili al mutuo. Ogni trimestre la Banca d’Italia pubblica i tassi medi di finanziamento per la definizione del tasso usura. Ad esempio nel periodo che va dal 1° gennaio 2014 al 31 marzo 2014 il tasso soglia su base annua, che è diverso per ogni categoria di operazione, per i mutui a tasso fisso è pari a 10,3875, mentre per la cessione del quinto è pari a 11,46 per finanziamenti fino a € 5.000,00 e 11,35 oltre i 5.000,00 euro. È bene precisare che anatocismo e usura sono cose giuridicamente molto diverse: il primo è un illecito di natura civile cui consegue un obbligo di restituzione e di risarcimento del danno subìto, ove se ne fornisca la prova, mentre l’usura è un reato punito dal c.p. 644 con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000,00 a euro 30.000,00. Attenzione dunque! Controllate con cura i vostri estratti conto bancari perché errori e possibili abusi sono dietro l’angolo. Alla luce della normativa vigente non è difficile riuscire ad opporsi alla propria banca e fare valere le proprie ragioni soprattutto nei casi di mora e ritardati pagamenti situazioni nelle quali più facilmente le spese escono dal controllo del cliente. Buona lettura del codice civile a tutti! Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
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Lu c i g n o l o v a a l a v o r a re in Qatar
Le avevano proposto un lavoro come colf in Libano, solo che il suo paese d’origine, l’Etiopia, non le consentiva l’espatrio verso Beirut, allora aveva attraversato la frontiera del Sudan e da lì aveva fatto il suo ingresso illegale nel paese dei cedri. Una mattina hanno trovato il suo cadavere appeso a un lenzuolo annodato in un ospedale psichiatrico, ma lei matta non era. Dopo mesi infernali era riuscita a fuggire dalla casa in cui prestava servizio e si era incatenata davanti all’ambasciata etiope per denunciare la condizione lavorativa in cui versava. Il direttore dell’agenzia di pulizie presso cui era segnata l’aveva prelevata a forza e portata presso un istituto psichiatrico, dove la sua tempra non ha resistito. La storia di Alem Dechasa ha superato le quattro pareti bianche in cui era imprigionata ed è stata raccolta dalla Human Rights Watch, un’associazione che documenta le condizioni di lavoro femminile più drammatiche. Esistono paesi in cui chi trova un impiego come colf diventa di fatto proprietà del datore di lavoro, con sequestro dei documenti e sfruttamento sessuale annesso. L’Organizzazione Mondiale del Lavoro ha pubblicato una lista nera di nazioni in cui si sconsiglia alle donne di andare a cercare lavoro e i paesi che hanno contato più vittime, come l’Etiopia, proibiscono alle proprie cittadine di emigrare verso un pericoloso destino. Per questo Alem è dovuta entrare clandestinamente in Libano.
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La blacklist comprende per lo più quei paesi della penisola araba che hanno avuto negli ultimi decenni un balzo in avanti vertiginoso nel PIL, ma che culturalmente sono rimasti all’usanza della tribù che mercanteggia gli schiavi. Ne sanno qualcosa le filippine che sono riuscite a fuggire dal Qatar gli ultimi due anni: 24 ore di lavoro consecutivo senza riposare mai, obbligate da ricchi nababbi a cucinare anche di notte e ad animare letti selvaggi. Ora anche le Filippine vietano alle proprie cittadine di andare a lavorare nei paesi della blacklist, ma le donne migrano alla maniera di Alem passando per l’India. Filippine, Indonesia, Sri Lanka, Nepal in Asia ed Etiopia in Africa hanno denunciato gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait, il Qatar, il Barhein, il Libano e la Giordania per violazione dei diritti umani e tratta degli schiavi, accusando di compiacenza i paesi intermediari come l’India, il Pakistan, il Sudan. E l’Italia come si pone di fronte al moderno schiavismo? Alcuni italiani sono andati a lavorare in Qatar accettando di barattare un lauto stipendio con la firma di un contratto che prevede che il lavoratore diventi “proprietà materiale” del datore di lavoro per tutta la vita! Per intenderci: se il giovane italiano volesse fare un salto a casa in Italia per la vacanze, non potrebbe imbarcarsi in aereo senza il permesso scritto del padrone; se decidesse di cambiare lavoro, il padrone dovrebbe scrivere una rinuncia di proprietà e dargli un lasciapassare per abbandonare il paese, in caso contrario… beh, non è ancora capitato, quindi nessuno si è posto il problema. Ma va bene così, se ci sono i soldi, allora viva la catene! Diceva un alticcio pizzaiolo romano all’incredulo intervistatore “qui sembra di stare tutto il giorno in un villaggio vacanza!”. Chissà che ne penserebbe Carlo Collodi… Francesco Patrizi
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L’Olocausto degli Armeni Molti sono stati gli storici che hanno tentato di dare una definizione al secolo XX che si è concluso 14 anni fa. Un secolo segnato da conflitti di inaudita violenza, da contrasti profondi e da contraddizioni stridenti. Hobsbown lo definisce Il secolo breve o Il secolo degli estremi, Teodorov come L’età dei Totalitarismi, Barraclough come Il secolo lungo, De Bernardi Il secolo delle masse, per non parlare poi della definizione più diffusa: Il secolo della scienza e della tecnica. Non vogliamo entrare nel contenzioso su quale sia quella più esatta, troppo lungo e complicato; a tale fine ne proponiamo una nostra, efficace e lapidaria: Il secolo dei genocidi e dei massacri! Proprio così, cari lettori, perché se da un lato il sec. XX è caratterizzato dal progresso, dal trionfo della tecnologia sempre più sofisticata che ha rivoluzionato e alterato la vita del pianeta dall’altro è attraversato per tutta la sua durata da una orribile scia di sangue versato non solo dai soldati impegnati nei vari conflitti, ma soprattutto da donne, bambini, vecchi, vittime innocenti di una ferocia, di una barbarie che non hanno precedenti nella storia. Il 27 gennaio è stata celebrata la Giornata della memoria che ricorda una delle pagine più nere del ‘900, la Shoà o Olocausto, in cui tre milioni di Ebrei vennero deliberatamente e razionalmente avviati al massacro con l’intento di sterminarli. Esso ha segnato una pietra miliare nella storia dell’umanità, ma purtroppo non è stato né il solo né il primo. Proprio in seguito a questo evento drammatico fu coniato nel 1944 dal giurista polacco Raphael Lemkin il termine Genocidio, derivato dal greco ghènos (stirpe) e dal latino caedere (uccidere) che prima non esisteva nemmeno nei dizionari. Poco dopo l’11.09.1946 l’Assemblea generale dell’O.N.U riconobbe il crimine di genocidio con la risoluzione 96 definendolo: Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri che siano
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stati distrutti tutti o in parte. Ad essa seguì il 09.12.1948 la risoluzione 260: la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Ma la questione è ben lontana dall’essere risolta in quanto molti stati non riconoscono tutti i genocidi commessi come ad esempio la Russia l’Holodomor degli Ucraini e la Turchia quello degli Armeni, per citare solo alcuni casi. Quindi spesso tutto rimane sulla carta e i colpevoli non pagano. Un fatto è innegabile: il Novecento, il secolo della scienza e della tecnica, si è aperto con il genocidio degli Armeni (1915) e si è concluso con la sanguinosa pulizia etnica in Bosnia (1995) e il Duemila, alias sec. XXI, alias III Millennio non promette nulla di buono in merito. Vista la vastità e la complessità dell’argomento, divideremo la trattazione in due o tre parti in modo da offrire al lettore una panoramica essenziale su questa scia di sangue che ha attraversato il secolo scorso e di fargli conoscere alcuni eventi molto drammatici che però non hanno avuto la risonanza internazionale della Shoà. Il primo olocausto della storia recente (non andiamo a quella passata altrimenti la lista si allungherebbe a dismisura) è quello degli Armeni ad opera dell’Impero Ottomano. Nel 1890 si contavano 2 milioni di Armeni in maggioranza cristiani-ortodossi monofisiti, ma anche cattolici e protestanti. Essi nella loro lotta per l’indipendenza erano sostenuti dalla Russia zarista che mirava ad indebolire l’impero ottomano per annettere dei territori e conquistare Costantinopoli. Per reprimere il movimento autonomista il governo ottomano aizzò contro di loro i Curdi sfruttandone l’odio secolare causato dalla condivisione del territorio dell’Armenia storica. Gli stessi Curdi che successivamente, tragica nemesi storica, dovettero subire una feroce persecuzione da parte della Turchia, dell’Iraq e della Siria e il loro sogno di uno stato autonomo ancora oggi non si è realizzato. Nel 1894 il sultano Abdul Hamid II attuò una prima repressione aumentando le tasse ed esasperando la popolazione armena fino alla rivolta che fu brutalmente repressa dall’esercito regolare affiancato da milizie curde con migliaia di morti, saccheggi e distruzione di chiese. Nel 1896 ad Istambul si verificò un pogrom che provocò la morte di 50mila Armeni in risposta all’occupazione della Banca Ottomana da parte di rivoluzionari armeni. L’Impero Ottomano non era nuovo a simili azioni, infatti nello stesso periodo esercitò violente repressioni a danno di altre etnie quali gli Assiri e i Greci che dopo la disastrosa guerra con la Turchia nel 1921 vennero espulsi in massa e un milione di profughi si rovesciò su Atene. Ma per gli Armeni il peggio doveva ancora venire. Negli anni precedenti la I guerra mondiale nell’Impero prevalse il movimento dei Giovani turchi che temeva un’alleanza tra Armeni e l’Impero russo che si era sempre atteggiato a protettore dei cristiani ortodossi. Così il popolo armeno rimase schiacciato tra due colossi: l’Impero ottomano che temeva una destabilizzante rivolta interna e l’Impero russo desideroso di aprirsi un varco sul Mediterraneo ed allargare i propri confini nel Caucaso, mentre la Francia appoggiava apertamente il separatismo armeno. Il 24 aprile 1915, mentre tutta l’Europa era nelle fiamme del conflitto mondiale, ad Istambul iniziò la repressione con arresti di intellettuali, poeti, politici, giornalisti armeni che vennero deportati nel centro dell’Anatolia e massacrati durante la marcia. Era solo l’inizio di una serie di marce della morte che interessarono 1.200.000 persone, gran parte delle quali perirono di fame, di sfinimenti, mentre gli armeni che prestavano servizio nell’esercito imperiale vennero disarmati. I massacri si fecero più feroci quando le truppe zariste, nelle quali militavano molti armeni, avanzavano vittoriose nella regione caucasica. Molti villaggi vennero saccheggiati e bruciati dagli irregolari curdi e dall’esercito imperiale, il tutto sotto la direzione di ufficiali dell’Impero germanico alleato degli Ottomani. Prova ante litteram di quanto da loro subirono gli Ebrei 25 anni dopo. Secondo stime approssimate i morti furono circa 1.400.000. La lontananza dello scenario di guerra, la scarsità dell’informazione, le principali nazioni europee impegnate nel sanguinoso conflitto fecero sì che l’olocausto del popolo armeno non ebbe né le testimonianze né la eco che meritava. Ma non tutti tacquero come l’ufficiale sudamericano Raphael De Nogales Mendez, al sevizio dell’Impero ottomano, che in un suo libro fece un resoconto dettagliato dei massacri di cui fu testimone e il tedesco Armin T. Wegner che nelle sue foto ha fissato i momenti più agghiaccianti dell’olocausto, per non parlare della testimonianza di vari missionari cristiani presenti nell’Impero. Nonostante ciò ancora oggi dopo quasi cento anni la Turchia e molte altre nazioni islamiche e non solo non riconoscono l’Olocausto armeno, motivo di forti tensioni tra Turchia e U.E. Nel prossimo articolo parleremo dell’Holodomor degli Ucraini, degli eccidi in Cambogia da parte dei Khmer rossi, dei massacri in Ruanda e della pulizia etnica. Pierluigi Seri
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A s s e s s o r a t o
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E d i l i z i a Si l van o Ricci
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L’ a t t e n z i o n e p e r l ’ e d i l i z i a s c o l a s t i c a
Assessore ai Lavori pubblici
Intervista a Silvano Ricci, A
L’edilizia scolastica, la manutenzione delle scuole, che posto occupano tra le priorità dell’assessorato ai lavori pubblici? Fin dal primo giorno del nostro mandato abbiamo detto chiaramente che la messa in sicurezza delle scuole sarebbe stato il nostro obiettivo primario, quello per cui avremo lavorato decisi. E così è stato, tanto che possiamo affermare di avere quasi tutti gli edifici scolastici sicuri e privi di barriere architettoniche. Non a caso Terni, proprio per quello che riguarda la messa in sicurezza delle scuole è tra le prime dieci città italiane. Una città virtuosa. L’esercizio finanziario appena passato si è concluso con l’accensione di numerosi mutui con la cassa depositi e prestiti per un importo complessivo di 4,8 milioni di euro. I mutui concessi dalla cassa riguardano proprio la messa in sicurezza delle scuole e la manutenzione straordinaria delle strade. In quali scuole verranno effettuati i lavori? Vediamo i singoli casi. Per la scuola elementare Anita Garibaldi si è provveduto all’adeguamento sismico e a quello degli impianti di prevenzione incendi per un importo complessivo di 2.000.000 di euro dei quali 1.666.00 euro con il contributo regionale e 334.000 euro con l’accensione di un mutuo. I lavori dovrebbero terminare entro Giugno di quest’anno. Lo stato di avanzamento dei lavori si aggira intorno al 70%. Per la Scuola media Anastasio De Filis c’è stato un intervento di adeguamento antincendio e abbattimento delle barriere architettoniche per un importo di 648.00 euro, di cui 390.000 euro di mutuo ed i restanti 258.000 euro di contributo regionale. È stata indetta una gara di appalto per l’affidamento dei lavori. Per la scuola elementare e materna Giuseppe Mazzini è stato previsto l’adeguamento dei locali al piano terra per permettere di ospitare la scuola materna per un totale di 242.00 euro totalmente derivanti dall’accensione di un mutuo. Nei prossimi mesi sarà redatto il progetto esecutivo poi, dopo l’espletamento della gara di appalto, i lavori verranno eseguiti, prevedibilmente, a partire dall’autunno 2014. Ancora, la scuola materna Brecciaiolo ha visto interventi per il miglioramento sismico per 241. 000 euro di contributo regionale. È in corso la gara per l’appalto dei lavori. L’inizio è previsto in aprile, la fine entro il mese di dicembre 2014. L’intervento presso la scuola materna Aula Verde ha previsto la realizzazione di una nuova sede che sarà realizzata in un’ala della media Benedetto Brin, grazie ad un finanziamento con introito con oneri di urbanizzazione. Nel prossimo mese verrà redatto il progetto esecutivo poi, dopo l’espletamento della gara di appalto, i lavori verranno eseguiti, prevedibilmente, a partire da Maggio 2014. Per il prossimo anno scolastico i bambini della materna Aula Verde dovrebbero avere la loro nuova scuola. Per la scuola elementare De Amicis è stato programmato un rifacimento del tetto, per evitare che l’acqua penetri nelle aule del secondo piano, ed un miglioramento della struttura che costerà circa 150.000 euro. È in corso la gara per l’appalto dei lavori che dovrebbero iniziare in aprile per terminare entro giugno . Per le scuole elementari Oberdan a Alterocca è attesa invece la realizzazione delle scale di emergenza: quella della Oberdan costerà 80.000 euro e 100.000 euro quella della Alterocca. Entrambi finanziati con mutui accesi a Dicembre 2013. Nei prossimi mesi verranno presentati i progetti esecutivi. Dopo l’espletamento della gara di appalto i lavori verranno eseguiti, prevedibilmente, a partire dall’autunno 2014. L’intervento per la Scuola Marconi ha interessato il rifacimento e la copertura della zona laboratori e servizi per un importo di 150.000 euro finanziati con mutuo acquisito a dicembre 2013. Nei prossimi mesi
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L a v o r i
P u b b l i c i
s c o l a s t i c a
a è u n a p r i o r i t à d e l C o m u n e d i Te r n i
Assessore ai Lavori pubblici
Fotoservizio di Alberto Mirimao
verrà redatto il progetto esecutivo poi, dopo l‘espletamento della gara di appalto i lavori prenderanno il via, prevedibilmente, a partire dall’estate 2014, mentre per la Scuola Teofoli in via Baccelli si è progettato il rifacimento della copertura dell’atrio composto da vetrate per un importo di 100.00 euro anche questo finanziato con mutuo. Per la scuola Teofoli, si sta mettendo a punto il progetto esecutivo, poi si proseguirà con la gara di appalto dei lavori. Per la scuola elementare Aldo Moro l’Assessorato ai lavori Pubblici ha predisposto un progetto per la realizzazione, all’interno dell’edificio, di una ulteriore aula. Si potranno quindi formare più sezioni dal momento che il numero di iscritti all’Aldo Moro è in continuo aumento. Un piano di ristrutturazione complessiva ha reso a norma l’edificio Donatelli, migliorandolo, dal punto di vista energetico e della sicurezza. In particolare l’intervento ha visto la sostituzione degli infissi esterni della scuola elementare e materna. L’investimento è stato di 250 mila euro, dei quali 150 mila euro dal contributo Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 100 mila euro con fondi propri dell’Amministrazione Comunale. La progettazione è stata interna al comune di Terni e i lavori sono durati tre mesi. La Donatelli è stata anche oggetto di lavori di adeguamento impianti, prevenzioni incendi e abbattimento barriere architettoniche per un importo di 400 mila euro, 200 mila provenienti dalla Regione Umbria e l’altra metà dal comune di Terni. I principali interventi hanno riguardato la realizzazione della scala esterna di sicurezza in carpenteria metallica; della riserva idrica e rete idrica antincendio; dell’impianto luci di emergenza; dell’installazione estintori e cartellonistica; del rifacimento del quadro elettrico generale e quadri elettrici di piano; del rifacimento impianto elettrico; dell’impianto ascensore con struttura portante in carpenteria metallica; del rifacimento pavimento palestra; dell’ampliamento locale mensa; del rifacimento tratti di pavimenti; della tinteggiature e verniciature. Altri interventi sono stati programmati per gli edifici delle scuole elementari di Voc. Trevi e Cesi Stazione, per la scuola materna di. Acquasparsa, per l’elementare Battisti, e l’elementare XX Settembre. Si tratta di rifacimenti e miglioramenti per un importo di 200.000 euro. Anche per questi lavori sarà acceso un mutuo. Come negli altri interventi il Comune redigerà i progetti e bandirà le gare per l’assegnazione dei lavori. Ci sono altri interventi, altri progetti che avete messo in cantiere? Nonostante il nostro impegno abbiamo ancora delle criticità su cui bisognerà intervenire. Penso ad esempio a Gabelletta. La scuola elementare di quella zona non è più in grado di rispondere alle moderne esigenze. Per questo abbiamo messo a punto il progetto per costruirne un’altra accanto agli impianti sportivi di Gabelletta. Si tratta di una scuola con tanto di palestra attrezzata, campi polifunzionali inserita in un parco. Anche per la elementare Oberdan, a Borgo Bovio, si prevede una nuova costruzione. Questa volta amplieremo l’edificio esistente con una nuova ala. Che tempi di realizzazione si prevedono per la realizzazione di queste due nuove scuole? Intanto abbiamo messo a punto i progetti, per la realizzazione tutto dipende dai finanziamenti che riusciremo a trovare e dal Governo, se, come è stato detto, si metterà tra le priorità l’edilizia scolastica dovremmo essere premiati ed ottenere i finanziamenti sperati.
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Assessorato Cultura Scuola e Politiche Giovanili Si m on e Gu erra Assessore alla Cultura
Sul progetto del riuso del Teatro di Carsulae abbiamo rivolto alcune domande a Simone Guerra, assessore alla cultura del Comune di Terni. Come è nato il progetto del riuso funzionale del Teatro antico di Carsulae? Da anni stiamo lavorando per potenziare i contenitori culturali del Comune, la biblioteca, il Caos, il centro visite di Carsulae, in modo tale da creare dei luoghi in cui fare, produrre cultura. Non solo luoghi in cui andare da spettatori. In questo filo rosso si è inserito il progetto per il teatro antico. Una struttura unica che, come raramente avviene, ha anche vicino l’anfiteatro. Abbiamo pensato di far tornare a vivere il sito archeologico nel profondo rispetto della sua importanza. Penso che un bene come questo vada vissuto, vada fatto tornare alla dimensione per cui è stato costruito nell’antichità. Il progetto per il riuso del teatro non prevede nuove costruzioni, non si toccherà nulla, si è cercato di rispettare sia il paesaggio che il monumento. L’intervento sarà contenuto al massimo per non creare nessun impatto. Tutto sarà realizzato in legno. Avevamo pronto il progetto e quando abbiamo saputo del bando europeo abbiamo partecipato e abbiamo vinto. Arriveranno 400.000 euro per i lavori. Come sarà utilizzato l’antico teatro di Carsulae? È ancora tutto da decidere ma ci sono alcuni punti fermi su cui costruire le varie ipotesi. Non possiamo trasformare il teatro antico in un semplice contenitore per spettacoli. Sarebbe svilirne il valore e l’importanza. Bisogna creare degli appuntamenti che diano al teatro un’identità ben precisa, chiara. È un luogo magico, unico. Non possiamo quindi utilizzarlo e basta; va costruito un progetto che abbia una fisionomia ben distinta e di alto, altissimo, livello. C’è già qualche ipotesi ben definita? Non ancora, ma sul tavolo di idee ce ne sono tante. Ne cito solo alcune, come esempio. Si stava pensando di chiamare un personaggio importante del mondo dello spettacolo, diverso ogni anno, e affidargli la direzione artistica del teatro di Carsulae. Sarebbe compito suo organizzare la stagione. Potremmo pensare al teatro antico come luogo per spettacoli ma anche per letture, presentazioni di libri, magari tutto collegato ad un determinato argomento. Una programmazione di spettacoli che duri tutta l’estate? Non penso che sia possibile, basterebbe far funzionare il teatro per una ventina di giorni l’anno, creare un appuntamento fisso tra giugno e luglio. Una programmazione lunga diventerebbe difficile da gestire almeno all’inizio. Bisogna poi pensare anche che il teatro è all’aperto e quindi va considerato il fattore atmosferico. Quando si potrà tornare a vedere uno spettacolo nel teatro di Carsulae? Stiamo lavorando di gran carriera, abbiamo acquisito tutti i permessi, l’ok della Soprintendeza Archeologica, quello della Soprintendenza Paesaggistica. Mancano solo alcuni certificati per la sicurezza e si potrebbe partire con i lavori. Non si tratta di opere impegnative, il problema però è che si lavorerà in un sito archeologico e quindi tutto è possibile, i tempi si potrebbero allungare per un piccolissimo intoppo. La nostra speranza comunque è di inaugurare il teatro nella prossima estate. Crede che un teatro antico come quello di Carsuale in cui saranno organizzati degli spettacoli possa attrarre spettatori anche da fuori Regione? Ne sono convinto, abbiamo un luogo con delle potenzialità enormi. Il Teatro antico di Carsulae sarà uno dei pochi in Italia in cui saranno organizzati degli spettacoli e, in più, si trova all’interno di un sito archeologico di grande bellezza. Le carte in regola per richiamare tantissima gente, anche da fuori dell’Umbria, ci sono tutte.
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Un teatro per stagioni di alto livello
Gran tour di montagna per i bikers e spettacoli nell’antico Teatro di Carsulae Leopoldo Di Girolamo Sindaco di Terni
Sono stati finanziati due progetti di grande valore, importanti anche dal punto di vista dello sviluppo economico e culturale del territorio. Si tratta del “Gran tour della montagna ternana” e dell’intervento di ripristino del teatro romano di Carsulae, grazie al quale si potrà tornare ad organizzare spettacoli, in un ambiente mozzafiato, nel meraviglioso sito archeologico. La realizzazione dei due progetti sarà possibile perché il Comune di Terni è risultato vincitore di un bando europeo per lo sviluppo regionale, grazie al quale ha ottenuto un finanziamento di 500.000,00 euro. Il primo progetto “Piano integrato d’area - percorsi d’integrazione e valorizzazione. Il Gran tour della montagna ternana” parte dall’analisi degli elementi costitutivi del paesaggio come la tessitura del territorio, la rete stradale, la rete delle acque, la sentieristica, le tradizioni, gli insediamenti, considerati come segni del territorio, con lo scopo non solo di identificare i luoghi da conservare, ma anche di individuare una linea secondo la quale sarebbe opportuno orientare lo sviluppo futuro, nel rispetto e nella consapevolezza dei valori che il patrimonio culturale ci trasmette. Il passato come volano per il futuro. Elementi di raccordo di tutto il progetto sono gli itinerari in mountain bike. Intorno a questi è stata creata una serie di strutture, servizi e attività. Saranno realizzate scuole di bike in diverse località ubicate lungo il tracciato principale del Gran Tour e bike point, punti di riferimento dove gli appassionati potranno trovare tutte le informazioni necessarie per un corretta fruizione del territorio. Funzioneranno officine di montagna dove i bikers potranno avere a disposizione un’attrezzatura minima per la riparazione di eventuali danni alle loro biciclette e dove potranno trovare in vendita dei pezzi di ricambio di facile consumo. Ci saranno punti di noleggio di mountain bike a Sant’Erasmo e presso la Cascata delle Marmore; sarà istituita una struttura di accoglienza e informazione presso il centro abitato di Porzano, dove funzionerà anche un rifugio escursionistico per i bikers. Per la recettività di montagna lungo la sentieristica è prevista anche la presenza di alcune strutture già funzionanti che consentiranno pernottamenti e ristoro. Per poter realizzare tutto questo sarà necessario completare la rete dei sentieri di montagna, realizzare una apposita segnaletica “Gran Tour”, acquistare una casetta in legno e relativo mobilio, stampare cartine e materiale pubblicitario, realizzare un sito internet che possa pubblicizzare l’iniziativa. Il progetto avrà un costo di 100.000,00 euro e sosterrà anche tutte quelle iniziative che potranno valorizzare il territorio siano esse culturali, enogastronomiche, di rievocazione di antiche tradizioni. Le varie attività saranno organizzate in sinergia con le associazioni che da anni già operano sul territorio interessato dal progetto Gran Tour. La rimanente parte del finanziamento proveniente dal bando europeo, 400.000,000 euro, servirà invece per il progetto di ripristino funzionale del teatro Romano di Carsulae messo a punto dalla Direzione Urbanistica del Comune, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica. Nel teatro dell’antica città romana sarà ricostruita la gradonata destinata al pubblico, limitatamente alla parte più bassa della cavea che, originariamente, si estendeva anche in alto sostenuta da muri radiali, come testimoniano i resti ancora visibili. Le nuove strutture saranno realizzate interamente in legno e costruite secondo i canoni dell’ingegneria naturalistica in modo tale da creare il minor impatto possibile. Con questo intervento si realizzeranno 420 posti a sedere. Il progetto prevede anche la ricostruzione del palcoscenico che, fedele a quello originale, sarà realizzato con un tavolato che renderà possibile utilizzare, per l’azione scenica, anche lo spazio semicircolare dell’orchestra, proprio come doveva avvenire per gli spettacoli nell’antica Carsulae. Il nuovo progetto ha mantenuto la memoria della skené riproponendo, in legno lamellare, la sagoma semplificata delle tre porte sceniche che si aprivano sulla parete di fondo: la porta regia al centro e le due ospitali ai lati. Le dimensioni di queste aperture sono state desunte dai resti ancora visibili nel teatro di Carsulae; l’altezza è stata ricavata applicando la regola della proporzione aurea, molto in uso in epoca classica. Un nuovo percorso di accesso, opportunamente illuminato, collegherà il centro visite al teatro e sarà privo di barriere architettoniche in modo tale da essere accessibile a tutti. Il progetto sarà completato da una nuova illuminazione che garantirà un’ambientazione suggestiva e di notevole impatto emotivo. Leo Di Girolamo
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Cons or zio di B on Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it
La Corte di Cassa al Consorzio
Il Piano di Classifica rende legittima l’imposizione dimostrando l’esistenza del beneficio sul bene immobile La Suprema Corte di Cassazione ha ulteriormente ribadito (sez. VI, n.1129 del 27/11/2013 depositata il 21/01/2014) un principio ampiamente consolidato, espresso per la prima volta dalla stessa Corte a Sezioni Unite (sentenze n. 26009, 26010, 26011, 26012 del 7/10/08 depositate il 30/10/08) e confermato con ulteriori e numerosissime sentenze della medesima Corte, ovvero: la presenza di un Piano di Classifica, regolarmente approvato, e l’inclusione del bene all’interno del perimetro di contribuenza, rendono legittima l’imposizione e dimostrano l’esistenza del beneficio sul bene stesso. La Corte di Cassazione, infatti, chiamata a decidere su di un ricorso proposto da alcuni consorziati avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale (che aveva dato ragione al Consorzio!), ha ribadito il principio della rilevanza del Piano di Classifica ai fini della legittimità dell’imposizione, riconoscendo che l’obbligo di pagamento dei contribuenti consortili presuppone la qualità di proprietario di immobili siti nel comprensorio consortile e la configurabilità di un vantaggio a favore dell’immobile. L’approvazione del Piano di Classifica esonera il Consorzio dall’onere probatorio relativo al beneficio derivante dalla bonifica, in favore degli immobili compresi nel perimetro di contribuenza. La sentenza della Suprema Corte è molto importante, riferendosi ad una serie di giudizi instaurati da numerosi consorziati, che hanno organizzato una campagna di contestazione contro l’imposizione consortile e lo stesso Istituto Consortile, predisponendo una significativa mole di ricorsi, uguali nelle motivazioni e generici nei fatti. In questa situazione la sentenza rappresenta un’importante vittoria del Consorzio, il quale si è visto così riconoscere la rilevanza della sua azione sul territorio, nonché la legittimità dell’imposizione. Si pone quindi la parola fine ad una serie di attacchi strumentali al Consorzio, restituendo dignità ai lavoratori e confermando la piena
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i fi c a Te v e re N er a
azione dà ragione o Te v e r e N e r a
Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
correttezza dell’operato degli amministratori. L’attività del Consorzio va comunque avanti nella sua opera silenziosa, ma importante, a difesa del territorio e dei cittadini. Gli interventi riguardanti la riduzione da rischio idrogeologico sono continui, nell’ottica del rispetto e della tutela ambientale. Gli effetti delle recenti piogge, che hanno procurato in Italia notevoli danni e disagi, fortunatamente nel nostro territorio sono stati contenuti a seguito dell’impegno operativo del Consorzio Tevere Nera. Gli operatori del Consorzio sono prontamente intervenuti per rimuovere situazioni di pericolo, garantendo l’efficienza dei sistemi di scolo e la corretta regimazione delle reti di deflusso idrico di fossi e canali. Dalle foto allegate evidenziamo gli interventi presso il fosso Copparone in Località San Lorenzo, il Fosso Bianco a Montecastrilli e presso il Torrente Aia. Si è provveduto alla ripulitura di fossi, al ripristino degli argini ed alla rimozione di alberi. Tutte queste attività competono ai Consorzi che ricordiamo, sono persone giuridiche pubbliche a struttura associativa, con una governance fondata sull’autogoverno dei consorziati contribuenti, a cui fanno carico le spese di funzionamento dei Consorzi e le spese per la manutenzione e gestione delle opere. I Consorzi di bonifica e di irrigazione, forte espressione di sussidiarietà, coprono il 50% del territorio del nostro Paese (oltre 17 milioni di ettari nei quali rientra tutta la pianura, la maggior parte della collina e una parte minore della montagna) e hanno realizzato e provvedono alla manutenzione e all’esercizio di un immenso patrimonio di impianti, canali ed altre infrastrutture destinate alla difesa del suolo: circa 200 mila chilometri di canali irrigui e di scolo, 800 impianti idrovori, 22 mila briglie, etc.. Ricordiamo infine la firma dell’Accordo di Programma Consorzio/Coni Umbria per la promozione dello sport in relazione al Fiume Nera. Un atto importante che vede protagonista il Consorzio Tevere Nera nel sostenere la cultura del fiume ed il suo sviluppo in ambito didattico e sportivo.
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Maria Maria Giulia Cotini è stata un’alunna vivace e impegnata del nostro Liceo tra il 1994 e il 1999. Durante il percorso universitario, effettuato presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma, ha affrontato l’esperienza dell’Erasmus a Parigi. Con un piano di studi a metà tra l’orientalistica e la storia delle religioni romane, si è laureata con il massimo dei voti e la lode nel 2008. Incline alla riflessione storico-filosofica fin dagli anni del Liceo, soprattutto laddove la cultura dell’Occidente si confronta con quella dell’Oriente, a partire dai dieci anni ha coltivato con passione il karate -nei diversi stili shito, goju, wado, shotokanfino alla cintura nera, continuando, pur tra le interruzioni dovute alle condizioni di salute e agli impegni di studio, per
circa quattordici anni. Dopo la laurea ha praticato il kung fu (wing chun, shaolin del Nord, tanglang e da un po’ di tempo l’eskrima) e ha cominciato a studiare il pugilato. Dopo aver lavorato per due anni come volontaria nell’Archivio di Stato di Terni, ha ottenuto una borsa-lavoro presso la Biblioteca Comunale di Terni, attualmente in corso, sebbene negli ultimi tre mesi sia stata costretta all’immobilità. La disciplina della mente e quella del corpo, che nelle arti marziali risultano inscindibilmente intrecciate, insieme con una curiosità intellettuale inesauribile, che si esercita soprattutto nell’ambito delle leggende e delle religioni di tutto il mondo, costituiscono la cifra della sua personalità Prof. Marisa D’Ulizia
Arti marziali e disabilità Io sono una marzialista, disabile dalla nascita. Sono spastica, non cammino, ho problemi di manualità e un deficit visivo e uditivo. Sin da bambina ho praticato il karate stando in ginocchio fino alla cintura nera e ora, dopo varie vicissitudini, pratico il kung fu su una specie di sella, un supporto ad hoc costruito da mio padre. Vorrei qui analizzare, partendo dalla mia stessa esperienza, i benefici che un’arte marziale può dare ad una persona disabile e ricordare le mille difficoltà che il praticante disabile incontra (architettoniche, fisiche, soprattutto culturali). Sin da piccola il primo e fondamentale insegnamento del mio primo maestro di karate fu che io non ero diversa dai miei compagni normali. Il maestro, quando mi lodava per qualche motivo (per la volontà nell’applicarmi o per essere faticosamente riuscita a padroneggiare la tecnica) diceva rivolto a tutto il gruppo: Lei è una di noi! Nessun altro mi aveva mai detto una cosa simile. Io sapevo benissimo che non c’erano altri bambini come me che praticavano il karate, ma non m’importava. Ciò che contava allora era giocare con il karate e con i compagni: fuori dalla palestra le occasioni di semplice gioco o svago erano quasi inesistenti, perché passavo le mie giornate fra la scuola, i compiti e l’insopportabile fisioterapia. Durante l’infanzia e l’adolescenza il karate fu per me una specie di salvagente in un mare in tempesta, che salvò il mio lato umano dal soffocamento di una realtà troppo dura (solitudine, studio pesante, interventi chirurgici e convalescenze lunghe). Crescendo, verso i sedici anni, avevo un grande sogno: una categoria
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di karate per disabili motori. Ben sapevo che era quasi irrealizzabile. Ho scritto per anni a maestri, federazioni e riviste e solo pochissimi mi diedero attenzione. Con l’università ebbi modo di avere una pratica finalmente meno saltuaria ma non meno difficile. Ho avuto seri problemi a trovare maestri che mi accettassero o palestre accessibili, ho dovuto allenarmi in palestre piene di scale e ho quasi pianto di rabbia durante alcuni stages perché nessuno si avvedeva che chiedevo di ripetere perché non sentivo (costringendomi a cercare di andar dietro all’insegnante stando carponi nel vano tentativo di captarne le parole) o nessuno praticava con me durante gli esercizi a coppia. Tuttavia riuscii a studiare kata e kumite (forma e combattimento) in modo soddisfacente, potenziando le residue capacità motorie: rotolavo in schivata, facevo capriole e cambiamenti di fronte, e avevo imparato i rudimenti del bastone. All’età di 26 anni, poco dopo la cintura nera, subii un delicato intervento ad un piede che mi impedì, da allora, di stare in ginocchio. Ero disperata perché credevo di aver perso tutto, poi mio padre costruì la sella: non potevo più rotolare o cambiare fronte, ma almeno potevo far qualcosa in ginocchio. Ero però fisicamente e moralmente a terra (l’immobilità di anni si faceva sentire) e certo non potevo pensare di usare la forza esplosiva necessaria per il karate, avevo i muscoli ridotti a zero. Poi ebbi un lampo di genio: decisi, dopo molte riflessioni, di fare Qigong e Wing Chun facendomi seguire da un insegnante privato (c’erano problemi logistici e di trasporto per frequentare la palestra). Volevo cercare sia di rinforzarmi un po’ sia di sviluppare una metodica di combattimento personale, più adatta alle mie esigenze: in ginocchio si lavora bene in frontale su corta distanza. Col tempo, dopo l’ennesima interruzione dovuta a motivi di salute, aggiunsi anche la pratica del Tai Chi. All’inizio non mi convinceva per niente, ma dava grossi risultati nella coordinazione, così decisi di praticare un po’ tutte queste discipline. Vedevo il maestro una volta a settimana e per tutti gli altri giorni mi allenavo da sola.
Giulia Però questo non mi bastava, perché il mio maestro, per quanto bravo, era oberato d’impegni, spesso non riusciva a seguirmi e allenarsi soli (facendo sforzi tripli rispetto a una persona normale e ottenendo metà del suo risultato) senza nessuno che ti corregga o ti incoraggi un po’, alla lunga è proprio deprimente. Io tra l’altro ho sempre considerato le arti marziali uno strumento d’integrazione: mi sono spesso sentita più integrata in palestra che a scuola, dove non c’era spazio per un approccio ludico col compagno. Intanto prendevo anche lezioni di Shaolin del Nord (sempre private per inaccessibilità della palestra). Il mio nuovo maestro era tanto tosto quanto bravo. Finalmente trovai modo di frequentare un giorno a settimana la palestra per il Wing Chun, e un altro giorno lui mi seguiva privatamente. Cominciarono così a tornarmi le forze e intanto facevo nuove esperienze, come lo studio delle armi. Mi gustavo fino all’ultimo ogni lezione, perché sapevo perfettamente che per qualsiasi motivo la volta successiva avrei potuto restare senza. Rimessa in sesto dopo due anni di kung fu, rientrai a karate. Inseguivo ancora la nascente categoria per disabili (avevo scoperto che altri ragazzi come me facevano delle gare) e pregai il mio maestro di farmi fare una gara. Lui mi allenò e io vinsi, ma fra noi si era generato un immenso fraintendimento. A causa di questo, poco più di un anno fa, lasciai il karate. Per tenermi in esercizio durante la preparazione alla gara, in estate avevo cominciato a fare Tanglang (regolarmente in palestra). Il mio giovane maestro sin dal primo giorno capì come doveva fare senza che io gli abbia detto nulla. Mi fece lavorare un po’ per volta con ciascun compagno, cosa fondamentale per facilitare la comunicazione e gli scambi, e con molta calma cercò di lavorare anche sulla motricità fine (la mia bestia nera) necessaria per le tecniche basilari. Mi piacque molto sia il lavoro in squadra sia l’approccio alla tecnica, anche se difficile da morire, così restai. Qualche mese dopo il maestro mi disse: Abbiamo una gara tra un mese, tu porti la tua forma in categoria coi tuoi compagni. Io restai lì basita e balbettai: Tu sei matto! Ma mi hai visto? Non c’è la categoria per disabili, non mi lasceranno neppure salire sul tappeto! E se anche potessi salirci, cosa posso fare contro i normodotati? Mi schiacceranno! Invece presi l’oro. L’esperienza più bella fu la World Cup WKU FESAM del 2012 a San Marino (categoria disabili), dove arrivai seconda nel karate e prima nel kung fu (Tanglang). La preparazione fu lunga e difficile, ma per certi versi esaltante. Un maestro di karate accettò di allenarmi in preparazione alla gara, nonostante serie difficoltà, i maestri di Shaolin del Nord e Wing Chun, oltre alla pratica dei loro stili, mi consigliavano questa o quella tecnica per il kata di libera composizione, il maestro di Tanglang s’improvvisò, in un momento di difficoltà, maestro di karate per permettermi di ripassare i kata. Mi allenavo come una pazza tutti i giorni tra riscaldamento normale, esercizi rubati alla fisioterapia, ripasso della forma… Avevo però il morale alle stelle:
mai nella mia vita avevo potuto allenarmi tanto e così a fondo, mai avevo avuto allenamenti così vari e ricchi. I miei compagni di squadra vennero da Terni a San Marino solo per vedermi gareggiare. Gli sforzi sarebbero stati premiati, ma la cosa che più mi ha fatto piacere era vedere quattro maestri di discipline e stili diversi che senza alcuna gelosia lavoravano con me, beninteso senza risparmiarmi, per farmi dare il meglio. Da allora non ho smesso di allenarmi, cercando di praticare i miei stili (anche se purtroppo ho dovuto lasciarne alcuni), che pur nella loro diversità possono aiutare molto. Per concludere, vorrei dire alcune cose a proposito dell’inclusione del disabile motorio in palestra: la cosa più importante non è fare del proprio allievo un campione o una macchina da guerra, ma aiutarlo a migliorare e a fare esperienza. L’arte marziale lo aiuterà a capire che il corpo non è solo un carcere ma anche strumento di vittoria. È già difficile per un disabile imparare a rilassare le dita, quanto sarà grande la gioia nell’eseguire correttamente una forma o meritare un “bravo!” dal maestro che finora l’ha torchiato? Altra cosa fondamentale è il gruppo. Tutti noi abbiamo bisogno, specialmente nell’adolescenza, di un gruppo di riferimento; io l’ho trovato con il karate da ragazza e con il kung fu da grande, perché attraverso lo stesso percorso di gioco, di fatica, di esperienza, si cresce insieme e si fa amicizia. È fondamentale, per l’integrazione, che l’allievo disabile venga messo accanto ad allievi normodotati e col loro aiuto, oltre ovviamente a quello del maestro, cominci un percorso lento ma godibile, difficile e forse molto sofferto, ma mai solitario e men che meno ospedalizzato. Le arti marziali possono e devono essere un modo per stare insieme al di là delle capacità e dei risultati. Altra cosa fondamentale è che le arti marziali possono aiutare, tramite combattimenti controllati o semplicemente ludici, a sfogare almeno un po’ l’aggressività nel gioco. Sembra scontato ma non lo è: il disabile (specie da ragazzo) è spesso attraversato dalla rabbia perché costretto all’immobilità senza possibilità di sfogo o gioco, e questo ovviamente genera sofferenza. Una sacrosanta scazzottata controllata, ogni tanto, non può che giovare. So di non essere più l’unica disabile a praticare le arti marziali, e vorrei che più persone disabili possano, insieme ai normodotati, accostarsi ad esse non come a una medicina ma come alla ricerca di un metodo per migliorarsi e stare meglio con se stessi e con gli altri. Maria Giulia Cotini
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L’Africa, prima che un Continente, è uno stato d’animo, dove convivono colori, profumi, emozioni. Persone e luoghi mai scontati, situazioni inattese, misteri e magie. Riuscire a trasmettere queste sensazioni è l’aspirazione di chiunque ne scriva, ma anche esercizio egoistico di non perderne la memoria. L’Autore ha vissuto dieci anni in Guinea Equatoriale. Ha avuto il tempo di condividere con i locali una fase delicata della crescita della piccola repubblica, della quale è diventato Console Onorario nel 1992. Da questa esperienza è nato il romanzo Okiri, pubblicato nel 2007 e prende spunto la raccolta di racconti Magica Africa, storie brevi ambientate in luoghi preclusi al turismo di massa e impenetrabili agli occhi di visitatori occasionali.
L a ma l e d i zi o n e d e i B u b i Fra le tante credenze che sopravvivono fra i bubi di Bioko, ha origini antiche quella che riguarda i capelli dei maschi. La tradizione vuole che sia posta estrema attenzione al taglio, non nel senso estetico, quanto piuttosto agli scarti che ne derivano. È costantemente vivo il timore che essi possano cadere in mano ai brujos ed essere utilizzati per indurre negatività sui legittimi proprietari. Non a caso, è diffusa l’abitudine, fra gli appartenenti a questa etnia, di farsi riconsegnare fino all’ultimo pelo quando ricorrono ai vari barbieri di strada, i quali rischiano di non essere pagati se non mettono in atto le opportune misure per il recupero del superfluo. Succede così che il titolare dell’esercizio ambulante si premuri di chiedere al cliente, prima che si sieda, se sia un bubi o un fang. Nella prima delle ipotesi, sa che deve stendere un ampio telo in terra dove raccogliere i residui, onde evitare discussioni che possono durare anche mezza giornata. Alla fine dell’operazione, il bubi scucuzzato, con il fagottino di capelli in mano, si apparta nei pressi e brucia accuratamente l’eccedenza, quindi soffia sulla cenere e la disperde nell’aria. Ma nella capanna di Matete Bokula e di sua moglie Betila, originari di Riaba, tutto questo laborioso processo preventivo non era mai stato reputato sufficiente a garantire la sopravvivenza di Bunate, unico figlio maschio di una prole che contava altre otto femmine. Il rischio che qualche peluzzo potesse malauguratamente disperdersi, e che qualcuno privo di scrupoli lo potesse utilizzare per fargli del male, non poteva essere corso per la serenità della famiglia. All’affetto per l’unico discendente in grado di perpetuare la stirpe dei Bokula, s’aggiungeva il meno nobile calcolo di non mettere a repentaglio lo stipendio che da qualche tempo il giovane percepiva da un’impresa edile statale, incaricata di costruire un grande ponte sul Rio Amete. In tale logica prudenziale, Bunate, che contava diciotto anni, non aveva mai subìto un taglio di capelli in vita sua, tanto che, con il passare degli anni, il codino prima irsuto, quindi il ciuffo raccolto, infine le trecce riprese a spirale, erano diventati un cespuglio più inestricabile di una foresta di mangrovie, ideale rifugio di una varietà di insetti più o meno conosciuti che avrebbe fatto la felicità di un entomologo. Quello zoo ambulante era stato modellato dalle cure amorose della madre a forma di cometa, la cui coda, dopo tanti anni, aveva raggiunto la ragguardevole lunghezza di settanta centimetri ed un peso di quasi tre chili. Per compensare lo sbilanciamento, Bunate era costretto a camminare a capo chino o a porsi una specie di supporto in legno fra le spalle e la chioma; un impaccio gravoso nello svolgimento del lavoro appena acquisito. Costretto quotidianamente a muoversi su impalcature ad oltre trenta metri di altezza, il ragazzo evidenziava profondi disagi a mantenere l’equilibrio, al punto che cominciò ad ipotizzare l’eventualità di privarsi dell’ingombrante fardello. -No. Questo mai e poi mai!- sentenziò sua madre, una volta informata dell’idea. -Se arrivi a farlo, sarà la tua fine!- riprese minacciosa la sorella maggiore. -Meglio abbandonare il lavoro, che rischiare la vita!- ribadì suo padre, quasi rassegnato a rinunciare alla sicura fonte di reddito.
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-Sono l’unico ad avere un salario in famiglia- tentò di spiegare Bunate. -Le sorelle crescono, hanno bisogno di vestiti, di sandali, di quaderni. Come pensi di fare, papà?Il tema fu trattato in lungo e largo ed occupò una settimana intera di discussioni alla ricerca di un’alternativa che mettesse d’accordo le diverse opinioni ed evitasse i continui pericoli ai quali Bunate diceva di essere esposto. Anche il responsabile dell’impresa edile, un fang, insisteva perché il ragazzo si privasse di quella inutile zavorra che gli impediva di trasportare assi, cazzuole e tondini di ferro. Sua madre l’implorava di rinunciare alla folle idea ed era prodiga di dettagli nell’elencargli le disgrazie occorse a suoi coetanei incuranti delle tradizioni della tribù. Ma una sera, tornando a casa dal lavoro, il ragazzo raccontò che la decisione era ormai presa: o i capelli o il posto di lavoro. Il capo era stato tassativo; non si sarebbe dovuto ripresentare con quel siluro in testa, pena il licenziamento. Fra proposte e minacce, fra litigi e compassionevoli abbracci, la famiglia riunita per il doloroso evento, convenne di dar seguito alla sofferta scelta, stabilendo che l’esecutrice del taglio venisse designata dalla sorte, affidata all’interpretazione astrusa di un pugno di bastoncini gettati in aria. Toccò alla madre. La quale, a malincuore, s’accinse all’operazione utilizzando un machete affilato come un rasoio. Dopo mezz’ora, fra fiumi di lacrime, lamentevoli rimpianti e tardivi ripensamenti, tutto finì. Bunate sembrava un altro. Raccolse i capelli e li bruciò, secondo i consigli della mamma. Senza quella appendice, riacquistò una posizione più eretta, pur con qualche difficoltà ad abituarsi subito alla mutata distribuzione dei pesi. Aveva una postura buffa, ma guardandosi in un pezzo di specchio, sorrise soddisfatto, rammaricandosi di aver rinunciato per tanto tempo alla nuova condizione. Tuttavia, quella notte non chiuse occhio. Abituato ad assumere due sole posizioni per addormentarsi sullo stuoino, non seppe adeguarsi alla novità, così che nel girarsi e rigirarsi arrivarono le cinque, ora in cui doveva recarsi al lavoro. Benché stanco, rinnovò il senso di sollievo, quando gettò un ultimo sguardo allo specchio, prima di uscire. Altrettanto felice fu il suo datore di lavoro, libero di affidargli compiti che prima non avrebbe potuto mai svolgere. Nel suo primo giorno a testa rasa, Bunate percorse su e giù le tavole dell’impalcatura, portando pesi anche grandi con una rapidità e sicurezza prima sconosciute. Durante la pausa per il pranzo, il ragazzo si stese a riposare sulla piccola piattaforma di una colonna ancora da gettare. S’addormentò solo per qualche minuto, pronto a scattare alla ripresa del lavoro, annunciata dal capo con il suono di un gong. Ma nell’attimo di semi-incoscienza che segue di solito un risveglio improvviso, Bunate s’alzò con la testa chinata in avanti, come aveva fatto per tutti gli anni della sua vita. Troppo tardi si rese conto che non aveva più niente da equilibrare. Oltrepassò con il piede il bordo della piattaforma, cadendo giù fino al greto del fiume, senza un fiato. Franco Lelli
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A Z I EN DA O S P EDA LI ERA
S. C. di Nefrol
Dott. Maurizio Standoli Direttore Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi A z ie n d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni
La Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera di Terni, diretta dal dottor Maurizio Standoli, è un centro di riferimento nel territorio regionale ed extra regionale per le patologie renali di interesse medico, che negli ultimi anni hanno registrato un forte aumento. La struttura si occupa della diagnosi e della cura dell’insufficienza renale, cronica e acuta e di tutte le nefropatie che ad essa conducono. Per tutte le patologie renali, accanto alla S. C. di Nefrologia e dialisi opera la Struttura Semplice Dipartimentale di Nefrologia ambulatoriale, di cui è responsabile il dottor Gianrenato Nori, che si occupa unicamente dell’attività ambulatoriale. Nel reparto di degenza, composto da 8 posti letto distribuiti in 4 stanze, sono ammessi i pazienti affetti da: nefropatie mediche che richiedono provvedimenti diagnostici o terapeutici non praticabili in regime ambulatoriale, complicanze cliniche derivanti dall’insufficienza renale o secondarie al trattamento dialitico, altre complicanze renali causate da ipertensione arteriosa e diabete mellito, nefropatie metaboliche o congenite ed ereditarie. Oltre all’assistenza ai degenti alla S. C. di Nefrologia e dialisi si fa carico di eseguire consulenze mediche presso le altre unità operative del presidio ospedaliero e svolge anche attività ambulatoriale. Dialisi extracorporea La struttura ad oggi è costituita da un Centro dialisi per dialisi extracorporea o Emodialisi (terapia fisica sostitutiva della funzionalità renale che prevede che il sangue venga estratto dal paziente, filtrato con una membrana semipermeabile e poi reintrodotto) con 25 posti tecnici accreditati per il trattamento dei pazienti affetti da uremia cronica o da insufficienza renale acuta. Le postazioni sono costituite da letti bilancia dotati di apparecchiature di ultima generazione che permettono oltre all’emodialisi convenzionale, ulteriori tecniche di supporto di avanguardia quali la dialisi ad alti flussi, l’emodiafiltrazione e la bio-filtrazione senza acetato. L’uso di materiali altamente bio-compatibili e periodici controlli di qualità garantiscono la totale sicurezza e la personalizzazione del trattamento dialitico al fine di migliorarne i risultati clinici. Il Centro è in grado di trattare con tecniche intermittenti o continue, pazienti affetti da insufficienza renale acuta degenti presso altre unità operative: terapia intensiva cardiologica e rianimazione. Opera sei giorni a settimana su due turni, con un rapporto di un infermiere ogni tre pazienti, la notte e la domenica in reperibilità, su chiamata. Dialisi Peritoneale Il centro è inoltre dotato di una sala ambulatoriale dove viene eseguito l’addestramento alla metodica manuale (CAPD) o automatizzata (APD), da praticarsi nelle ore notturne presso il domicilio del paziente. I controlli di routine vengono effettuati con frequenza mensile. In caso di necessità è garantito il contatto con il Centro Dialisi Peritoneale o per problemi tecnici tramite numero verde del servizio assistenza. L’attività ambulatoriale si articola in: Ambulatorio di nefrologia generale, ove afferiscono tutti i pazienti inviati per prima valutazione da altre strutture sanitarie o medici di medicina generale e quelli in follow-up per nefropatia cronica. Viene inoltre effettuata attività strumentale di monitoraggio per ipertensione arteriosa, e calcolosi renale. È inoltre attivo un servizio di stretta di collaborazione con la S. C. di Diabetologia per il follow up dei pazienti. Ambulatorio per uremici ed educazionale predialitico, dove vengono indirizzati pazienti con insufficienza renale avanzata con un iter di progressivo avviamento alla terapia dialitica extracorporea Ambulatorio trapianti dove vengono seguiti i pazienti trapiantati in altri centri e quelli in lista di attesa per trapianto renale Ambulatorio dialisi peritoneale, dove vengono seguiti i pazienti in dialisi peritoneale.
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Storia della Dialisi di Terni La storia dell’Emodialisi di Terni risale al 1967, quando il prof. Aldo Pauselli progettò la creazione di un centro dialisi a Terni, il primo in Umbria, seguendo l’esperienza dialitica sperimentale della Clinica urologica di Roma diretta dal Prof. Ulrico Bracci. Furono inviati per l’addestramento il dott. Giovanni Lotti e il dott. Marcello Camorani, del personale medico del reparto urologico di Terni e, l’anno successivo, il dott. Giampaolo Matocci, che si recò anche presso il Centro trapianti diretto dal prof. Cortesini e quello del Policlinico Gemelli diretto dal prof. Castagneto. L’addestramento durò due anni e coinvolse anche cinque infermieri del reparto urologico di Terni destinati a restare permanentemente nel reparto dialisi. Agli albori della dialisi, in questi centri si effettuava dialisi attraverso reni artificiali costruiti artigianalmente in loco dagli infermieri. Erano i cosiddetti “Kill” (dal nome del loro inventore), costituiti da un sistema di un foglio di cellophane su supporti di bronzo (“Reni a piastre”). Il sangue circolava tra due fogli di cellophane e il liquido di dialisi tra una piastra e l’altra, consentendo lo scambio di sostanze tossiche tra il sangue e il liquido di dialisi (preparato manualmente aggiungendo all’acqua demineralizzata i diversi sali minerali). Nel 1971 venne inaugurato il Centro dialisi di Terni sotto la responsabilità del dott. Giampaolo Matocci. È il periodo di un nuovo e più moderno tipo di rene artificiale denominato “Canister”, cui segue l’invenzione (ad opera degli italiani Cimino e Brescia) della Fistola Arterovenoso (FAV) per il prelievo del sangue
S A N TA M A R I A D I T E R N I
logia e Dialisi inseriti in addome ogni volta che si doveva effettuare il trattamento dialitico e poi tolti a fine dialisi. La svolta importante fu quando poterono essere utilizzati cateteri morbidi che venivano inseriti in modo permanente in addome con un piccolo intervento chirurgico. Questo tipo di dialisi si può effettuare a casa del paziente essendo un metodica semplice e di buona efficacia. Dati di attività Ogni anno vengono effettuate circa 14.000 Emodialisi, di cui 1.200 in urgenza per pazienti acuti o cronici scompensati; n. 6.500 circa di Dialisi peritoneale di cui 300 in urgenza per pazienti acuti o cronici scompensati; 1.500Visite nefrologiche; 150 Ecografie e/o ECD renali (ricoverati o in follow-up nefrologico); 210 ABPM (interni ed ambulatoriali); oltre a Biopsie Renali e Biopsie chirurgiche grasso periombelicale per ricerca amiloide. Tutta questa mole di attività viene effettuata in collaborazione con altre strutture ospedaliere tra cui la Chirurgia Vascolare, la Chirurgia generale e d’urgenza, la Radiologia. La struttura, inoltre, si avvale del contributo dei volontari dell’ANED (Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto) che svolgono una incessante attività di sensibilizzazione, prevenzione e informazione sulle malattie renali, la dialisi e il trapianto. Il potenziamento nel 2014 Dopo una complessa fase di elaborazione progettuale il Centro di Nefrologia e Dialisi di Terni è prossimo all’avvio di un’importante opera di ristrutturazione ambientale e tecnologica, che nel corso del 2014 lo porterà ad essere al livello degli standard attualmente richiesti per l’assistenza a patologie di grande rilevanza clinica e sociale.
Équipe
del paziente (un accesso vascolare permanente ed interno che, mettendo in comunicazione l’arteria radiale e la vena cefalica, andava a sostituire lo “shunt” esterno arterovenoso) e della FAV protesica sintetica. Solo verso la metà degli anni ‘90 le protesi divennero biologiche, utilizzando ad esempio l’uretere bovino. Inoltre, poiché con l’aumentare dell’età media dei pazienti e la perdita progressiva del patrimonio vascolare diveniva impossibile effettuare la FAV, per eseguire il trattamento dialitico venne sviluppandosi l’utilizzo di cateteri vascolari sempre di più biocompatibili, che attualmente si usano in modo permanente previo inserimento nella vena giugulare. Sin dalla sua attivazione il Centro Dialisi di Terni ebbe una grande affluenza di pazienti umbri ed anche extra regionali, con provenienza prevalente dal Sud Italia. Il primo centro dialisi venne costruito nel vecchio Ospedale di Corso del Popolo e contava tre reni artificiali. Nel 1973 fu trasferito a Colle Obito, con otto reni artificiali distribuiti in tre stanze. Nel 1986 fu trasferito nell’attuale sede, cambiando completamente la tecnologia dialitica attraverso la centralizzazione della distribuzione dell’acqua demineralizzata con l’utilizzo di singoli reni artificiali moderni e filtri di nuova generazione: filtri capillari e fibre parallele. Negli stessi anni, sotto la direzione del dottor Matocci, venivano istituiti anche altri due centri nella provincia di Terni, uno all’ospedale di Amelia (1982) e uno all’ospedale di Orvieto (1984). Un ruolo a parte ebbe la dialisi peritoneale in rapporto all’evoluzione tecnologica. I primi tentativi furono fatti nel 1971 adoperando stiletti rigidi che venivano
S.C. di Nefrologia e dialisi Direttore: Dott. Maurizio Standoli Personale Medico: S.S. Degenza Nefrologica Dott. Carlo Magarini, Gestione del percorso del trapianto renale Dott.ssa Nadia Albasini, Medico in formazione Dott.ssa Francesca Trivelli Personale Infermieristico: A. Angeli, G. Annibali, G. Barcherini, A. Bastoni, P. Galeazzi, C. Gelosi, M. R. Lanzi, G. Minchella, C. Picchioni, G. Picchioni, M. Laoreti, F. Desideri, C. Giovannini, L. Grillini, R. Melone, E. Nardi, M. Oddi, V. Proietti, M. Zagaglioni, G. Massoli, L. B. Pricop, N. Chipilova, S. Santucci, L. Pasqualetti, P. Papaianni S.S.D. Nefrologia ambulatoriale Responsabile: Dott. Gianrenato Nori Personale Infermieristico: A.M. Ceccarelli (coordinatrice), L. Pasqualletti, (ambulatorio peritoneale), P. Papaianni (ambulatorio nefrologico)
Fotoservizio di Alberto Mirimao
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Esci da questo blog! In questi giorni è impossibile non parlare di due argomenti principali: politica e Sanremo. Non so voi, ma io sono rimasta decisamente allibita quando un mio compagno di classe, tenendo in mano il cellulare, ci ha detto: Ragazzi, c’è Renzi al governo! Che sia un periodo non proprio facile lo avevamo come intuito, ma questa sensazione di instabilità continua si è accentuato (nonostante in molti non riusciamo nemmeno a capire cosa ci rimane da fare a fine giornata, dopo 14 ore di corse da una parte all’altra!) e con queste continue salite al Colle la situazione non accenna a migliorare, specie se poi si ascoltano con attenzione le dichiarazioni che i nostri politici continuano a rilasciare, l’una in chiaro contrasto con l’altra. Mentre il Festival della canzone italiana continua a imperversare con le sue notizie e finte notizie da un lato e dall’altro del web, i nostri destini come Paese vengono decisi da persone di cui non sono più certa di fidarmi più di tanto, a dirla tutta. Che si chiamino Renzi o che si chiamino Grillo, il dibattito andato in streaming tra i due non è esattamente quello che mi auguravo di vedere e ascoltare da giovane cittadina italiana ancora indecisa sulla possibilità di rimanere in patria o fuggire alla ricerca di una civiltà diversa e, magari, migliore, dove
Mitico e mitologico: personaggi e storie
ALC E ST I Chair. Nella tragedia di Euripide, è l’ultima parola di Alcesti rivolta a suo marito, Admeto, prima di morire al suo posto, estremo sacrificio d’amore. Chair è il classico saluto greco, ma letteralmente significa “rallegrati”. Alcesti era una principessa di Iolco, nella Grecia centro-orientale. Suo padre, Pelia, aveva stabilito che l’avrebbe sposata colui che fosse stato capace di aggiogare allo stesso carro un leone ed un cinghiale. Admeto, re di Fere, vi era riuscito grazie all’aiuto del dio Apollo, costretto da Zeus a servire costui a causa di uno sgarbo del figlio Esculapio, e dunque, senza ovviamente sentire il parere della giovane Alcesti, come si faceva all’epoca, i due si sposarono. Poi, un giorno, Thanatos, la Morte, arrivò a Fere per portare via Admeto. E ancora una volta Apollo lo aiutò, permettendo che qualcuno morisse al posto del re. Nessuno si offrì, neanche i suoi genitori: “cara è la luce del sole, carissima”, disse suo padre Ferete, tutt’altro che disposto ad immolarsi. Ma alla fine Alcesti si offre: innamorata per caso di un uomo che non ha scelto, quintessenza della devozione, non appena viene a sapere di come sia possibile salvare suo marito, si fa preparare un veleno e muore fra le braccia di suo marito, circondata dai figli e dai servi in lacrime. Solo allora Admeto le rivolge commoventi parole
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crescere e farmi le ossa, per poi tornare autoimmune al suolo natìo. Tra musica e politica è chiaro quale sia il mio campo, ma in questo periodo non riesco a non rimanere sempre più allibita da quello che continua a succedermi attorno, sia su un fronte che sull’altro. Mentre al Colle salgono proposte di Governo che non so fino a che punto saranno risolutive, sul palco dell’Ariston salgono artisti che ammiro per il loro percorso, ma che, con queste due canzoni a testa, mi deludono profondamente, così come mi deludono profondamente i direttori artistici del Festival che li hanno scelti. Ma possibile mai? Non dovrebbe essere il Festival della CANZONE italiana? Su quel palco appaiono, continuamente, ricordi dei bei tempi andati; omaggi alle grandi personalità che furono (e che purtroppo non sono più!) ma canzoni che, a parte qualche ovvia e rara eccezione, lasceranno il tempo che trovano, senza creare gli sconvolgimenti che tutti si auguravano. Un curioso parallelo quello tra il Festival e quello che sta accadendo sul Colle e sotto… curiosamente triste, oserei dire. La primavera sta finalmente ritornando e c’è solo da augurarsi che insieme allo sbocciare dei fiori ci sia anche per l’Italia l’opportunità di tornare a fiorire, sbocciando insieme alle migliaia di talenti in gemma che non hanno modo, spazio e mezzi per rendere questo posto più bello, più positivo e, soprattutto… più profumato. Chiara Colasanti
ormai inutili: sembra che solo ora si renda conto dello smisurato amore della donna nei suoi confronti, di come ella lo adori, di quanto sia in grado di fare per lui. Tardi. Lacrime di coccodrillo, diremmo noi nella nostra ottica disincantata. Fatto sta che il Fato, la sorte che nella mentalità greca era superiore agli dèi stessi, ancora una volta sorride ad Admeto: per caso, capita nel palazzo Eracle, che, fra un’impresa e l’altra, chiede di essere ospitato a Fere. Quando l’eroe viene a sapere dell’accaduto, si precipita alle porte dell’Ade, l’oltretomba e, dopo aver combattuto con la Morte stessa, riesce a riottenere la donna. Alcesti torna al palazzo. Muta. Eracle afferma che dopo tre giorni sarà possibile effettuare un rito che la stacchi definitivamente dal regno dei morti, cui è stata consacrata. Certamente Euripide, il drammaturgo greco più famoso che abbia mai messo in scena una tragedia su Alcesti, ha creato una situazione finale di questo tipo per enfatizzare il mistero di questa sorta di resurrezione della donna ed evitare dialoghi scontati, ma questa catalessi mostra soprattutto il distacco che c’è fra i due, fra un Admeto vigliacco, egoista, attaccato meschinamente alla sua vita ed una Alcesti eroica, splendente nel suo supremo e meraviglioso sacrificio. L’Alcesti del Simposio, i cui gesti suscitano negli dèi una tale ammirazione che Persefone, regina degli Inferi, le consentì di ritornare dal marito senza neanche l’intervento di Eracle. L’Alcesti di Frinico, la cui protagonista, si dice, era tanto nobile da ispirare lo stesso Euripide. Alcesti è il luminoso esempio di amore incondizionato, davanti al quale gli eroi greci, primo fra tutti Orfeo, che pretese di resuscitare la sua sposa defunta, Euridice, senza nulla rischiare, fallendo, sono delle nullità. “Imbelle, citaredo qual era”, secondo Platone, a dispetto della mentalità essenzialmente maschilista dell’epoca. Perché quale sacrificio è più disinteressato di quello dell’amante che, nel salutare l’amato per il quale rinuncia alla vita, non rinfaccia l’amore non adeguatamente ricambiato, non sottolinea la grandiosità della propria abnegazione, ma dice semplicemente: “rallegrati, stai bene”. Chair. Maria Vittoria Petrioli
Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882
- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
- Visite specialistiche - Analisi del passo e della postura - Elettromiografia - EEG - Ecografia apparato locomotore - Idoneità sportiva ... e molto altro
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Ateneo e dintorni
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EVENTI MARZO 2014 Sabato Lunedì
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Corso di lingua Araba Ateneo per tutte le età
Associazione Culturale La Pagina Terni, via De Filis 7 0744. 1963037
Docente Lakrad El Hassania
ore 10:00 ore 17:00
Loretta Santini Archeologia nel nostro territorio; Gianna Tei L’arte altomedioevale; Pietro Rinaldi Le risorse del nostro territorio
Giovedì Venerdì
06 07
Corso di lingua Cinese Proporzione Aurea 1
Docente Eduardo Tobia
ore 17:00 ore 17:00
Giampiero Raspetti - Da Fidia all’Irrazionale, passando per la Gioconda, i girasole, le rose e le galassie
Sabato Lunedì
08 10
Corso di lingua Araba Ateneo per tutte le età
Docente Lakrad El Hassania
ore 10:00 ore 17:00
Sauro Mazzilli Grecia classica; Marcello Ricci L’etica laica e razionalista di Democrito; Giampiero Raspetti Babilonia
Giovedì Sabato Sabato Lunedì
13 15 15 17
Corso di lingua Cinese Corso di lingua Araba Esperienza in Mali Ateneo per tutte le età
Docente Eduardo Tobia Docente Lakrad El Hassania Relatore Leonardo Paoluzzi
ore 17:00 ore 10:00 ore 17:30 ore 17:00
Giovanna Giorgetti Cibo e Medicina: un'antica indissolubile relazione; Vittorio Grechi L’atomo; Vincenzo Policreti Chi crede di essere Napoleone è sempre pazzo?
Martedì 18 Mercoledì 19 Giovedì
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Assemblea dei soci La nuova patente di guida Europea Relatore Antonio Spagnolo Corso di lingua Cinese Docente Eduardo Tobia
Venerdì
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Cultural Cabaret 7
ore 17:00 ore 17:30 ore 17:00 ore 21:00
Loretta Santini, Francesco Neri, Maria Vittoria Petrioli, Martina Salvati
Sabato Lunedì
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Corso di lingua Araba Ateneo per tutte le età
Docente Lakrad El Hassania
ore 10:00 ore 17:00
Pierluigi Seri Lo sport nell’antica Grecia; Marcello Ricci I sofisti come primi intellettuali laici; Giampiero Raspetti La nascita del numero
Martedì
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I miti basati sui falsi storici
ore 18:00
Introduce Rosario Murro Presidente Magna Grecia Viva; Pierluigi Rainone Il mito nella storia; Salvatore Giovanni Zofrea I falsi storici
Giovedì Sabato Lunedì
27 29 31
Corso di lingua Cinese Corso di lingua Araba Ateneo per tutte le età
Docente Eduardo Tobia Docente Lakrad El Hassania
ore 17:00 ore 10:00 ore 17:00
Loretta Santini Il Medio Evo - Rocche e castelli; Marcello Ricci Socrate padre della laicità moderna; Paolo Leonelli Prime abitazioni
Ogni Mercoledì
Corso di bridge
Ogni Giovedì
Corso di scacchi Sergio Rocchetti
Leonardo De Merulis
ore 21:00 ore 21:00 33
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Accordo di programma Coni - Consorzio di Bonifica Te v e re N era L’impiantistica sportiva utilizzerà l’acqua dei canali
Siglato l’accordo tra il Coni Umbria ed il Consorzio di Bonifica Tevere Nera per garantire, alle Associazioni Sportive operanti nel territorio di pertinenza consortile, l’utilizzo dell’acqua per l’impiantistica sportiva (campi di calcio, piscine etc.), attingendola direttamente dai canali e dai fossi. Si vuol evitare in tal modo l’inutile spreco di acqua potabile, consentendo alle associazioni sportive una forte riduzione di costi. Il Consorzio si impegna inoltre, nell’ambito delle proprie competenze, a garantire la promozione dello sport lungo il fiume Nera ed i corsi d’acqua, in particolare per la canoa, il rafting e la pesca sportiva. Presenti alla firma c’erano il Presidente del Coni regionale dell’Umbria Domenico Ignozza, il Delegato provinciale del Coni di Terni Stefano Lupi, che è stato il promotore dell’accordo di programma, il Commissario Straordinario del Consorzio di Bonifica Tevere Nera Vittorio Contessa ed il Direttore Carla Pagliari. Il Commissario Straordinario del Consorzio Vittorio Contessa ha precisato: con questo accordo ci impegneremo a garantire alle Associazioni che gestiscono impianti sportivi situati in prossimità dei nostri canali, l’utilizzo dell’acqua. Questa iniziativa rientra nell’intensa campagna di sensibilizzazione verso l’ambiente e l’utilizzo serio e corretto delle risorse idriche. Non tutti i cittadini conoscono l’intensa attività del Consorzio, ha aggiunto il Direttore del Consorzio Carla Pagliari. Siamo felici di metterci a disposizione dello sport, valorizzando le acque del fiume Nera, autentico motore della città, che vorremmo valorizzare anche promuovendo le attività sportive. Artefice dell’innovativo accordo è stato il Delegato provinciale del Coni di Terni Stefano Lupi che non ha nascosto la soddisfazione per i possibili sviluppi dell’iniziativa. È un accordo all’avanguardia in campo nazionale, che coniuga la promozione dello sport al rispetto e tutela dell’ambiente, ha spiegato Lupi. Il nostro territorio è ricchissimo di canali che vanno conosciuti e sfruttati per le loro enormi potenzialità. Questo Accordo di programma vuol esaltare il binomio sport e natura in relazione al fiume ed all’acqua. Promuoveremo anche a Terni il progetto regionale “Amico Fiume” che porterà molti sportivi ad interagire con il corso d’acqua più importante della nostra città: il fiume Nera. Il protocollo -ha commentato il presidente del Coni regionale Domenico Ignozza- speriamo rappresenti un primo passo verso intese anche con gli altri consorzi umbri. Si tratta di un enorme beneficio per le associazioni sportive del territorio, i cui costi delle bollette idriche spesso sono molto rilevanti. Riteniamo poi che lo sport debba porre la massima attenzione all’ambiente.
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Il Caso, la Storia, la Tradizione La Storia
Il Caso
Due cugini italo-americani, discendenti da Benedetto e Maria, una coppia italiana emigrata negli USA nei primi anni del ‘900, dopo un silenzio ultra quarantennale, che aveva fatto temere il peggio, ritrovano i loro parenti italiani da parte della loro bisnonna. Tutto ha origine dal desiderio di fare un viaggio organizzato in Italia e di dedicare un giorno intero a conoscere buona parte della parentela e vedere i luoghi dai quali i loro bisnonni erano partiti in cerca di un futuro migliore. Un problema era che il bisnonno, del quale portavano il cognome, sembrava non avesse consanguinei. Con un po’ di fatica e di fortuna invece anche i discendenti dei fratelli dell’avo sono stati trovati.
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Le ricerche fatte negli archivi del comune ove erano nati i futuri emigranti, davano questo risultato: Benedetto, all’età di trenta anni sposa Maria il 4 marzo 1897. Nel registro delle nascite non c’è traccia della sposa, della sua data di nascita e della sua paternità. In compenso si trovano registrate varie scenette inaspettate. La più comune è la seguente, più volte ripetuta, ovviamente con soggetti diversi: di fronte al sussiegoso impiegato, rappresentante del comune e del neonato Regno d’Italia, si presenta un uomo accompagnato da due testimoni (in più casi sempre gli stessi, deambulanti nei pressi del Municipio, in attesa di testimoniare qualsiasi cosa in cambio di un mezzo litro di vino). L’uomo dichiara le sue generalità e afferma di essere divenuto padre di un figlio di sesso mascolino, ieri alle ore 9. E la madre? Chiede l’imperturbabile impiegato. La madre non vuole essere nominata, risponde serenamente il neo papà. E il solerte funzionario trascrive integralmente quanto gli viene detto. Da notare il passaggio veramente epocale: dalla madre sempre certa dei latini si passa alla madre ignota del novello Regno d’Italia!
La Tradizione
Com’era possibile registrare un matrimonio tra due cittadini dello stesso comune senza specificare perché la sposa fosse priva di documenti? La risposta è stata trovata nell’archivio parrocchiale, nascosta in un cigolante cassetto. Il parroco dell’epoca, in un latino burocratico e pieno di abbreviazioni, certificava (avendo solo Dio come testimone) che il 21 febbraio 1879 aveva battezzato una bambina spuria, cioè illegittima (scegliendo la più asettica interpretazione del vocabolario latino-italiano), legittimata dal susseguente matrimonio contratto dai genitori il 5 maggio dello stesso anno. L’infanta era nata in data 16 febbraio 1879 alle ore 6 antimeridiane da Antonio e Adriana che le avevano imposto il nome di Maria Francesca. È evidente che il venerabile Arciprete riportò le suddette notizie, in bella copia, nel registro dei Santi Battesimi, solo dopo che i genitori avevano regolarizzato la loro unione di fronte a Santa Madre Chiesa. È altresì chiaro che diciannove anni dopo il 1860 c’erano ancora persone che continuavano a servirsi del sacerdote per le nascite, i matrimoni e la morte, come sempre avevano fatto per circa un millennio, snobbando Mazzini, Garibaldi, i patrioti, Vittorio Emanuele Secondo, il Comune e infischiandosene delle leggi del non più neonato Regno d’Italia. I Patti Lateranensi, insieme con altre cosette, sanarono questo contrasto. Anche oggi, dopo tanti anni e due guerre mondiali, una gran parte del popolo ignora le leggi fondamentali dello Stato Italiano. Basta dare uno sguardo alla Rete per Vittorio Grechi rendersene conto. L’Italia è quasi fatta, gli italiani ancora no.
Il vento Parlare del vento è come parlare della primavera; è lui che annuncia il passaggio dal freddo invernale alla fresca primavera, alla Rinascita. Sì, la rinascita poiché tutto nel mondo della natura parla questo linguaggio; dalle piante che mettono le gemme, la mimosa che ci dà il suo giallo stupendo, il pesco con il suo rosa delicato, il mandorlo con il bianco immacolato... insomma se tutto intorno a noi si risveglia forse dovremmo farlo anche noi, ma per farlo dovremmo essere pronti sia sul piano fisico che mentale. Il lungo inverno anche se non troppo freddo quest’anno, ci ha costretto ad una alimentazione un po’ più pesante rispetto al resto dell’anno e, come mi dicono molti pazienti, è stata colpa del Natale (anche se io aggiungo che sono passati alcuni mesi). In realtà l’inverno vuole necessariamente che la nostra alimentazione sia più ricca soprattutto anche in considerazione della nostra cultura ternana sia del maiale che del ben condito. Quindi per rinascere ed essere in armonia con la stagione e far ripartire i nostri organi abbiamo bisogno di rivedere la nostra alimentazione, con scelte adeguate e che si rifanno ai prodotti del territorio e della stagione. L’astenia primaverile è ben nota a quei soggetti che non si preoccupano di quanto stiamo dicendo e che, malgrado tutto, continuano con una dieta troppo invernale.
Bisogna infatti far ripartire il fegato che con il suo verde (bile) deve sintonizzarsi con il verde stagionale e fare in maniera tale che il polline, incolpevole delle allergie primaverili, non rappresenti più un nemico da combattere strenuamente con tutti i mezzi, compreso il cortisone, ma rappresenti l’occasione del cambiamento in tutti i sensi, a partire dall’alimentazione e dalla riduzione dell’aggressività latente. Non sono poche le persone allergiche (in aumento ogni anno) come non sono poche quelle che lamentano fastidio per il vento. Alcune addirittura vanno incontro a crisi cefalalgiche, con emicrania o genericamente mal di testa e a ben vedere e ricercare le cause, il vento è sempre l’elemento scatenante. Quindi possiamo dire: il vento, la primavera, il verde, il fegato, i muscoli, la cefalea... creando così una sorta di equazione energetica che ben ci fa comprendere come alla base del nostro equilibrio salute/malattia, ci sta non solo una componente puramente biologica ma qualcosa d’altro che va indagato e compreso. Un rimedio banale che consiglio a tutti in primavera è il Cynara scolymus ovvero il carciofo sia in estratto che come pietanza, al fine di ripulire il fegato e fare la ripartenza. Dr. Leonardo Paoluzzi Buon appetito! Medico chirurgo - Esperto in agopuntura e fitoterapia
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IL TARTUFO UMBRO Un teso ro p ro f u ma t o Cos’è il tartufo e come si riproduce Il tartufo è un fungo che in milioni d’anni d’evoluzione (c’è chi dice che sia una delle prime forme di vita vegetale comparsa sulla terra) ha scelto l’habitat ipogeo (sotto terra) per difendersi dai pericoli del clima e dagli animali. Questo fungo se ne sta protetto sotto terra, nel più stretto anonimato, finché le sue spore (ovvero i segmenti riproduttivi, paragonabili ai semi delle piante) non sono perfettamente mature; solo a questo punto emana il suo caratteristico profumo, molto aromatico, che ha il compito di richiamare gli animali che, mangiandolo, ne facilitano la diffusione e di conseguenza la riproduzione. La raccolta avviene solo in determinati periodi dell’anno, cioè a spore mature, e con l’ausilio dei cani (una volta si usavano anche i maiali) onde evitare un inutile zappamento del terreno che comprometterebbe il prezioso micelio, un complesso sistema di filamenti sotterranei che vive in simbiosi con i peli radicali delle grandi piante verdi del bosco. Il corpo fruttifero deve essere estratto in perfette condizioni di maturazione: l’esemplare acerbo, anche se più pesante e quindi e conomicamente più appetibile manca totalmente di profumo.
Il tartufo umbro Tartufi per tutte le stagioni, oltre ai tartufi bianchi ed al tartufo nero pregiato di Norcia, esistono in Umbria almeno altre sette/otto specie di tartufi capaci di sedurre il nostro palato per tutto l’anno. L’Umbria, con il suo dolce paesaggio collinare di cui il bosco costituisce una parte predominante, è un’immensa tartufaia. Il Tartufo Nero Pregiato umbro (Tuber Melanosporum Vittadini) è la qualità prevalente. Matura da novembre a marzo; la sua area di diffusione comprende tutti i territori che fiancheggiano il corso del Nera, del Corno e del Sordo, le mezze coste delle montagne spoletine, i monti martani, i monti di Trevi e il Subasio. La sua grandezza può variare da quella di una noce per arrivare ad una mela o un’arancia. La scorza è nerastra o direttamente nera e rugosa. La sua polpa (e questo è il carattere distintivo) è di colore nero-violaceo, attraversata da sottili vene di colore bianco che ai lati prendono colorazioni bruno-rosseggianti. Questa specie è presente nei terreni
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sciolti o di natura calcarea, ciottolosi, tendenzialmente aridi, ad un’altitudine che può andare dai 250-300 metri sino ai 900-1000. Il tartufo bianco è ancor più raro e pregiato. Il nome scientifico è Tuber Magnatum Pico La zona di produzione può essere individuata nell’alta Valle del Tevere, nell’Eugubino Gualdese e nell’Orvietano. Giunge a maturazione da ottobre sino a tutto dicembre, ma in zone particolarmente riparate dal gelo si può trovare sino a tutto il mese di gennaio. Vegeta ad una profondità superiore rispetto ad altri tartufi. Predilige il rapporto con alcune piante superiori quali il pioppo, il salice, l’albanella, pur vivendo in simbiosi con numerose altre piante quali la quercia, il cerro e il carpino e preferisce i fossi freschi, le anse boscose dei fiumi, i versanti più interni e profondi di colline calanchifere. Il fascino del tartufo bianco ha molte componenti: il profumo acuto, inconfondibile e assoluto, la grandezza e la forma, che deve essere la più regolare e arrotondata possibile; il sapore ineguagliabile che si esprime al meglio servito crudo senza bisogno di salse o di condimenti. La grandezza può variare da quella di una piccola noce a quella di un grosso arancio e si presenta in forma subsferica variamente arrotondata con corni emergenti. Ha il peridio o scorza non verrucosa ma liscia, di colore giallo chiaro o verdicchio, e gleba o polpa dal marrone al nocciola più o meno tenue, talvolta, quando la pianta con la quale vive in simbiosi è un tiglio o una quercia, essa è rosa, tendente al rosso vinaccio, con venature chiare fini e numerose. Emana un forte profumo gradevole. La polpa è attraversata da numerose, sottili, nervature bianche serpentiformi (sono i fasci miceliari). Il tartufo bianco si serve tagliato a fettine sottilissime con l’apposito strumento. Per il suo aroma più deciso si esalta maggiormente su piatti semplici, caldi che ne fanno risaltare l’aroma. Non va in ogni caso dimenticato che anche a ferragosto la generosa terra umbra invita all’assaggio del meno conosciuto, ma non meno gustoso e saporito, Tuber aestivum (lo Scorzone). Pietro Passeri
Te r n i - Vi a C a s s i a n B o n 1 / a ( P i a z z a Ta c i t o ) Te l . 0 7 4 4 . 4 2 5 9 4 5 - 0 7 4 4 . 4 2 4 9 8 9 w w w. i s t i t u t o i t a l i a n o a n d r o l o g i a . c o m erremedica@tiscali.it info@istitutoitalianoandrologia.com ORARIO d a l L u n e d ì a l Ve n e r d ì dalle ore 08.30 alle 12.30 dalle ore 15.00 alle 19.00
Convenzionato con ASL UMBRIA2
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Primo Piano L E I
di Spike Jonze
In un futuro non molto lontano, Theodore Twombly di mestiere scrive lettere d'amore per gente che non ha tempo (e voglia) di farlo. Ogni sera torna nella sua casa troppo vuota, parla in chat con delle sconosciute, gioca ai videogame. Finché non conosce Samantha, e se ne innamora, lentamente, passo dopo passo, risata dopo risata, pianto dopo pianto. Ma non dimentichiamo che quella di Her (come dice lo stesso sottotitolo) è una storia d'amore moderna: Samantha è solo una voce di un sistema operativo, un computer con un'anima e una testa. Ma soprattutto, con un cuore. Spike Jonze, quattro film all'attivo, e una lunga carriera negli spot e video musicali, ha finalmente realizzato l'opera della completa e definitiva maturità artistica. È la più compiuta, complessa, densa delle storie che ha raccontato, e per la prima volta il frutto di una sceneggiatura scritta senza collaboratori. È una riflessione originale sul futuro dei rapporti umani, sul modo di relazionarsi, di comunicare, di provare emozioni. In un mondo in cui nessuno più trova il tempo, o sente il desiderio, di scrivere una lettera d'amore all'altra metà della sua vita, e paga uno sconosciuto perché lo faccia al posto suo, viene del tutto naturale pensare di legarsi emotivamente ad una voce che esce da una cuffia, priva di un corpo, di mani, di capelli o di una bocca. Per un regista che ha saputo rendere sempre più sottile il confine fra realtà e fantasia, tra ciò che abbiamo di fronte e ciò che invece è solo nella nostra mente, questa non è che l'ennesima dimostrazione di un
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modo di vedere il mondo, o di vivere la vita. L'amore si nutre di sensazioni, di emozioni, di lacrime e risate, di parole dette ed altre nascoste, di bugie e incomprensioni, di lezioni e di sbagli. C'è tutto questo fra Theodore e Samantha, fra il cervello e il programma, fra il reale e il virtuale, fra il corpo e lo spirito: alla fine di tutto, è una grande storia d'amore. Raccontata con una maestria in grado di strappare l'applauso: dalla fotografia, fatta essenzialmente di primi piani, dai colori caldi e rilassanti, alla colonna sonora, come sempre misurato ed essenziale contrappunto alle azioni e alle parole. Phoenix ci regala un personaggio che il cinema da tempo aspettava, così tenero, dolce, semplice e al contempo complesso, che è impossibile non amare, o sentire vicino. Sono i suoi occhi dietro le lenti, le sue giacche rosse, i suoi baffi, le sue risate a dare corpo ad una storia così intima da diventare universale. E, alla fine del film, quando quelle stupende luci sono sfumate nel nero, niente è più come prima, tutto è stato messo in discussione, ogni cosa ci appare diversa. Spike Jonze ci ha aperto gli occhi sul mondo. Fa male, per un po'. Come tutto quello che arriva al cuore. Lorenzo Tardella Per altre recensioni visitate il blog www.ilkubrickiano.wordpress.com
Come dire... È molto interessante vedere come alcune espressioni che si inseriscono, apparentemente a vanvera, nel linguaggio parlato e che sembrano del tutto inutili, subiscano variazioni nel tempo. Variazioni apparentemente altrettanto casuali e arbitrarie, ma che, se guardate bene, in realtà dicono, sull’epoca in cui fioriscono, più di quanto si crederebbe. Negli ultimi cinquant’anni alcune delle espressioni dette per inciso, che più si sono avvicendate nei discorsi, sono state, nell’ordine: 1) Vero? 2) Cioè. 3) Come dire. Esempio: La frase: In Italia oggi non c’è abbastanza democrazia perché ognuno mena l’acqua al suo mulino, una sessantina d’anni fa poteva suonare: In Italia -vero?non c’è abbastanza democrazia perché ognuno -vero?- mena l’acqua al suo mulino. Uno o due decenni dopo, l’espressione diventa: In Italia -cioè- non c’è abbastanza democrazia, perché cioè- ognuno... ecc. Oggi suona così: In Italia non c’è, come dire, abbastanza democrazia perché ognuno, come dire, mena l’acqua al suo mulino. I tre incisi sembrerebbero ad una prima occhiata equivalenti nel loro sostanziale pleonasmo, ma in realtà non è affatto così. Il vero? ci parla di un’epoca in cui si affermavano e richiedevano certezze. Alcune cose dovevano essere vere proprio perché altre erano false e tra le due categorie non v’era comunicazione: tertium non dabatur. C’erano stati il fascismo, la guerra, la resistenza e le categorie erano impermeabili: se eri fascista non potevi essere nella resistenza o viceversa; quest’affermazione era vera, quella contraria, falsa. Ma dopo le (cercate) certezze del dopoguerra il mondo si palesava assai più complesso: si poteva essere compagni, però compagni che
sbagliavano, pensandola magari in certe cose come quelli di destra, ma rimanendo, pur sbagliando, compagni. Si poteva essere di destra, ma antifascisti. Si poteva perfino essere qualunquisti, pur desiderando determinate soluzioni politiche. Inoltre queste categorie potevano essere usate del tutto fuori contesto: un comunista poteva essere chiamato fascista per come trattava i figli e così via. Sorgeva quindi la necessità di spiegare sempre meglio cosa si dicesse ed ecco dunque sorgere il cioè. Cioè che ci parla di un’epoca in cui spaccare un capello solo in quattro non bastava. I distinguo, le precisazioni, le prese di distanza erano necessarie alla vita quotidiana. Le sinistre inoltre avevano la locuzione nella misura in cui, semanticamente assai simile al cioè, ma più complessa, quasi a dire che la realtà era tale solo nella misura in cui lo era e non un centimetro più in là. Altro che vero? Di vero non c’era più niente. Cioè, niente o quasi. È forse questo sbandamento del pensiero a portarci oggi ad una locuzione, esasperante per quanto è frequente: come dire? Fateci caso: la adoperano tutti, giovani e vecchi, belli e brutti, ricchi e poveri. Perfino gli stranieri quando parlano un buon italiano e perfino il presidente Napolitano. Perché -come dire?- quando le idee sono pasticciate e la realtà è - come dire?- ampiamente ambigua, anche l’esprimerla -come dire?in parole adeguate diventa difficile. Una vera e propria -come dire?- buccia di banana. Vincenzo Policreti
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Medicina o Medicine? Alcuni colleghi medici mi tirano bonariamente le orecchie perché in un articolo ho sostenuto che non esistono al mondo scuole mediche che non vedano mai alcun risultato positivo. Mi obiettano che solo la nostra moderna medicina occidentale usa un metodo rigorosamente scientifico, che solo tale metodo consente ad una medicina di potersi chiamare tale, mentre qualunque tipo di terapia si basi su altri presupposti, manca, in una cultura scientificamente avanzata, del diritto di essere definita “medicina”. Insomma, quella moderna occidentale è medicina, tutte le altre, antiche che possano essere, se non sono proprio fanfaluche, ci vanno comunque vicino. In effetti vi sono state, non solo recentemente, terapie pseudomediche, quando non addirittura truffaldine, di cui la scienza ha dovuto far pulizia, spesso dolorosamente ostacolata da illusioni popolari create ad arte. Non entrerò in dettaglio sui fatti, ma il problema generale è indubbiamente serio e seriamente va affrontato. Va anzitutto riconosciuta una certa confusione non tanto tra tecnici e addetti, ma nel popolo che, incompetente quanto si voglia, è tuttavia il vero destinatario dell’atto medico, non servendo questo -dovrebbe essere ovvio, ma giova ricordarlodestinato a dare prestigio a noi sanitari, bensì sollievo ai nostri pazienti. Tanto per cominciare, occorre isolare tutte le tecniche saltate fuori dal cilindro di qualche prestigiatore il quale, da buon mago, davanti alle richieste di una verifica scientifica del suo metodo si arrocca dietro paroloni e tecnicismi, compendiabili in sostanza nel classico “Il trucco c’è, ma non si vede”. Eliminare costoro dal mondo non solo scientifico, ma spesso anche lucrosamente commerciale, è sacrosanto, anche se ciò ha tuttavia un impatto tremendamente penoso su chi da loro attendeva -magari a torto- salute, salvezza, vita. Completamente diverso tuttavia si fa il discorso quando si considerino non idee dell’ultima ora, ma scuole mediche con migliaia di anni di pratica e di esperienza, empirica quanto si
vuole, ma consolidata quanto la nostra medicina moderna neppure si sogna. Gli oltre cinquemila anni dell’esperienza di scuole come la Medicina tradizionale cinese o la Medicina ayurvedica, non possono non esimere ormai queste collaudate realtà da problemi di metodo. In base a quanto avveniva nel mondo antico sì, ma raffinato e civile, a validare una scienza era il ripetuto e costante successo, verificato su basi empiriche, dei procedimenti usati. Gli antichi medici cinesi, quando constatavano che un certo procedimento aveva certi effetti con sufficiente regolarità, acquisivano la nozione che esso avesse davvero quegli effetti. Nella loro epoca essi non si chiedevano la formula capace di spiegare perché quella sostanza funzionasse, ma semmai di stabilire con la maggiore esattezza come si dovesse farla funzionare. Allo stesso modo i mastri dell’imperatore Flavio tirarono su il Colosseo senza avere alcuna idea sui calcoli statici del cemento armato. L’agopuntura così nacque e così elaborò la propria complessa scienza. Il fatto che da noi sia stata considerata ciarlataneria, fino a qualche decennio fa, dalla medicina scientifica, non va ad onore della stessa. Discorso analogo può probabilmente essere fatto per l’Omeopatia, che, in oltre tre secoli, ha invece elaborato rigidi protocolli di sperimentazione, anche se su base empirica. Ma nella loro sostanziale mancanza di apertura, gl’integralisti del metodo, sostengono che qualsiasi rimedio non validato dal loro canone sia “acqua fresca”. Tuttavia recentemente Luc Montaigner -Nobel per la medicinaha dimostrato che anche di acqua fresca esistono varie specie e, in particolare, che essa può conservare la memoria di particolari trattamenti. In altre parole: che anche l’acqua fresca può divenire una sostanza atta a modificare l’organismo: un farmaco. È pericoloso attestarsi su determinate acquisizioni ritenendo che oltre ad esse non si possa andare. Viene in mente quel direttore dell’Ufficio brevetti di Parigi che, negli ultimi anni dell’ottocento, diede le dimissioni allegando che tutte le scoperte importanti erano state fatte e quindi il futuro non poteva più riservare novità diverse da quelle già brevettate. Giovanna Giorgetti
ggiovanna@tiscalinet.it
Consigli nutrizionali nelle epatopatie EPATOPATIE ITTIRIGENE Le epatopatie ittirigene interferiscono notevolmente sulla assunzione e sulla utilizzazione degli alimenti e dei fattori nutritivi e complementari. Tutte le epatopatie ittirigene si accompagnano ad inappetenza; l’ittero, specie se determinato da occlusione totale delle vie biliari induce e determina l’insufficiente utilizzazione dei lipidi e dei fattori liposolubili. L’alterata attività metabolica del fegato si accompagna a grave perturbazione del metabolismo e delle attività di utilizzazione degli aminoacidi. Nelle epatopatie ittirigene è notevolmente compromesso il meccanismo delle vitamine liposolubili (Vit. A, Vit. K) e della lattoflavina totale. Per quanto detto le direttive generali per la dieta delle epatopatie
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ittirigene dovranno consentire la somministrazione di una razione alimentare caloricamente sufficiente, dovranno prevedere la riduzione della quota lipidica, prevederanno la somministrazione di proteine ad alto valore biologico in quantità sufficienti a riparare l’eventuale deficienza proteica dell’organismo, dovranno mantenere sufficiente l’apporto vitaminico delle vitamine liposolubili. La dieta suggerita per un individuo di circa 70 Kg dovrebbe essere costituita da 2500 Kcal ripartite per il 73% (450 g) dai glucidi, per il 16% (100 g) dalle proteine e circa per l’11% (30 g) dai lipidi. L’elevato contenuto proteico (1,43 g di proteine per kg di peso corporeo) può esplicare, nei limiti della funzionalità epatica, un’ottima attività epatoprotettiva con l’eccezione dell’insorgenza dell’encefalopatia epatica. Lorena Falci Bianconi
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INTRACEUTICAL OXYGEN INFUSION la nuova tendenza è arrivata Il segreto che tutti, uomini e donne, per un look sempre naturale vorrebbero conoscere risiede in un trattamento all’ossigeno iperbarico. Anche in Italia è arrivato il trattamento contro l’invecchiamento del viso e del corpo che negli Stati Uniti sta spopolando, dopo che la Super Star Madonna ha dichiarato di utilizzarlo, mostrando una pelle liscia e tesa. L’innovazione risiede nell’utilizzo a scopo estetico di una tecnica già nota per la cura di alcune malattie, che agisce in breve tempo, senza lasciare cicatrici, senza punture e senza dolore. L’invecchiamento cutaneo è dovuto a diversi fattori, genetici, inquinamento, stress, fumo, ma soprattutto all’avanzare dell’età. La pelle, già a partire dai trenta anni, tende progressivamente e gradualmente a perdere elasticità, compattezza, tono e ad assottigliarsi. Biologicamente si assiste anche ad una progressiva diminuzione dell’afflusso di sangue ai tessuti dovuta a una riduzione di capillari sulla cute. Ciò provoca quindi un ridotto apporto di elementi vitali necessari per il “sostentamento della pelle” con il risultato che essa perde tono, compaiono le rughe e assume un aspetto visibilmente spento ed opaco. L’ossigeno iperbarico è una tecnica di infusione percutanea, tramite un sofisticato apparecchio costituito da un generatore che trasforma l’aria (costituita al 21% da ossigeno ed al 79% da azoto) in ossigeno puro, iperbarizzandolo (portandolo cioè a una pressione superiore rispetto a quella atmosferica di 1 bar). Al compartimento iperbarizzante è collegato un deflussore a manipolo simile ad una pistola pneumatica che “spara” l’ossigeno ottenuto sulla cute con un sistema a scansione e di intensità graduabile che solo il Medico può dosare (Fig. 1). I risultati sono molti evidenti, l’evoluzione del turgore, elasticità, texture e il miglioramento in termini di luminosità, tono e spessore della zona trattata (viso, collo, decolté, mani e corpo) sono eclatanti. Notevole la diminuzione delle rughe dinamiche e statiche, il restringimento dei pori cutanei, l’involuzione dell’acne attiva e degli esiti cicatriziali post-acneici, ne fanno un trattamento medico e Fig. 2 rivoluzionario. Fig. 1 La tecnologia Intraceuticals nasce nel 2001 in Australia e deriva dalla terapia Iperbarica sviluppata per curare patologie importanti. Dopo anni di approfondite ricerche Universitarie, i biochimici di Intraceuticals hanno sviluppato ben quattro linee di trattamento utilizzando diversi sieri che vengono veicolati dall’ ossigeno: Rejuvenate (biorivitalizzante), Atoxelene (antirughe), Opulence (schiarente, illuminante, antimacchia), Clarity (antiacne). Il sistema funziona perché riesce a far penetrare i suddetti sieri negli strati profondi della pelle, riuscendo a generare un effetto cumulativo dell’idratazione a livello del derma ed una biorivitalizzazione importante. Questo effetto è possibile perché solo INTRACEUTICALS OXYGEN INFUSION crea una bolla di ossigeno iperbarico sulla cute che consente di attivare i processi per l’assorbimento dei sieri che vengono vaporizzati sul viso. In pratica si riproduce “una mini camera iperbarica” sulla cute, grazie ad una tecnologia molto sofisticata e difficilissima da copiare. La maggior parte delle “altre” apparecchiature presenti sul mercato utilizza invece l’ossigeno come fosse aria compressa, per “sparare” sul viso dei sieri eseguendo sempre e SOLO una vaporizzazione superficiale dei prodotti che non produce risultati duraturi. Ecco svelato il segreto di Madonna, Laura Pausini, Eva Longoria (Fig. 2), Katie Perry, Jhon Galliano e tante altre stars. Vuoi la pelle giovane come quella di una Pop Star senza metodi dolorosi ed invasivi? WITH INTRACEUTICAL YOU CAN. Dr.ssa Alessa n dra C re s ce n z i Medico estetico
D r. s s a
Alessandra Crescenzi
Medico Estetico
Serviz i Sa ni t a r i , V i a C e s a r e B a t t i s t i 3 6 - T e r n i
0744.59513 47
La cisterna romana di Amelia Seconda la tradizione la città di Ameria fu fondata dall’eroe eponimo Amiro. Catone fa risalire la sua origine al 1134 aC. Dall’analisi dei reperti ritrovati si può dedurre che il colle di Amelia fu frequentato a partire dall’Età del Bronzo con una continuità di vita che arriva fino ai nostri giorni. Centro fortificato delle popolazioni umbre passerà poi sotto il dominio di Roma nel III sec. aC, prima con un trattato di alleanza, poi nel 90 aC diverrà municipium amministrato da quattuorviri. Caratteristica della città sono le imponenti mura, realizzate agli inizi del III sec. aC in opera poligonale; nella costruzione furono probabilmente coinvolte maestranze laziali esperte di tale tecnica edilizia. La città romana inizia a svilupparsi a partire dal II aC ricalcando grosso modo l’area precedentemente occupata dagli umbri. Il cardo doveva essere costituito da un diverticolo della via Amerina. Da un punto di vista topografico possiamo dividere l’Ameria romana in due parti: una parte bassa -settore meridionale- dove sorgevano edifici sia pubblici che privati, di cui i resti archeologici documentano la presenza di domus, terme e forse un teatro; una parte più in alto -posizionata a nord- dove sorgeva il foro della città, situato in prossimità dell’attuale piazza Matteotti. Proprio in questo punto, sotto la piazza, troviamo la grande cisterna, costruita scavando il calcare massiccio. È un’opera di elevato ingegno divisa in dieci ambienti rettangolari. Misura complessivamente 57,50x19,60 m e l’altezza è di 5,70 m. È articolata in diverse sale comunicanti per mezzo di passaggi voltati. Le pareti di ogni vano sono realizzate in opus incertum, la pavimentazione invece è in opus signinum, meglio conosciuto come cocciopesto e usato principalmente nelle opere idrauliche per le sue proprietà idrorepellenti. Il signinum è utilizzato anche nella parte bassa delle pareti, almeno fino a 1 metro a partire dal fondo. Gli ambienti sono coperti con volta a botte realizzata in opera cementizia. A contatto con gli estradossi delle volte, cioè nella parte esterna appena sotto la pavimentazione della piazza, sono state trovate tracce di argilla utilizzata come isolante. I diversi vani della cisterna presentano un dislivello graduale di circa 1 m e 22 cm, mentre il decimo ambiente, cioè l’ultimo, ha una contropendenza di 12 cm. I vari ingressi comunicanti non sono ben allineati, c’è infatti un discreto disassamento tra un accesso e l’altro. Questo sistema ingegnoso permetteva di far defluire lentamente l’acqua, che una volta giunta all’ultimo vano rallentava ulteriormente fino a fermarsi grazie alla contropendenza e alla paratia che ne impediva il deflusso. Tutti i detriti e le impurità presenti si concentravano in tale punto, permettendo una attenta ripulitura della cisterna. L’acqua fuoriusciva grazie al sollevamento della paratia, manovrata dall’esterno attraverso un pozzo di controllo ancora oggi ben conservato. La cisterna, come accadeva per altre opere di siffatta fattura, veniva alimentata dalle acque piovane captate attraverso un sistema di adduzione che doveva coinvolgere diverse parti della città.
Di tale sistema è ancora presente all’interno, precisamente nel decimo ambiente appena sotto l’imposta della volta, una fistula acquaria di piombo. Questa grandiosa opera dapprima è stata erroneamente datata al II sec. dC, sulla scorta di un bollo laterizio presente in un rifacimento di una piccola porzione della pavimentazione del primo ambiente; nella metà degli anni ’90, grazie a un approfondito studio commissionato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, si è stabilito che si può far risalire al II-I sec. aC, quindi rientra nel progetto di pianificazione urbanistica seguito alla conquista romana. La tecnica dell’opus incertum impiegata nelle pareti ben si accorda con tale datazione. La cisterna di Amelia entra nelle cronache locali nell’aprile del 1817, a causa del crollo del Palazzo Comunitativo che poggiava proprio sopra le volte pertinenti i vani centrali della struttura. Gli ambienti e le volte furono ricostruiti inglobando nelle murature parte dei crolli. La maestria degli architetti romani non fu però eguagliata visto che oggi, da quelle volte, scende un continuo stillicidio di acqua provocato da una serie di infiltrazioni. Dal 1996, a seguito dei lavori eseguiti dal Comune, la cisterna è aperta al pubblico e si può visitare in giorni e orari prestabiliti Denis Fagioli
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La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni sta organizzando una mostra dedicata al pittore ternano Orneore Metelli. Si tratta di un’importante rassegna con oltre 80 quadri provenienti da collezioni, private e pubbliche, ternane e italiane. Ci si augura di poter portare nella nostra città anche alcuni dipinti di Metelli conservati in musei esteri, come la celebre Cascata delle Marmore di Setagaya (Giappone) o La forza del destino di Basilea. La mostra sarà, come di consueto, accompagnata da una pubblicazione: una vera e propria opera monografica sull’artista dopo quarant’anni. Palazzo Montani Leoni ospiterà, pertanto, questo nuovo importante evento, che ci si augura possa vedere la partecipazione della cittadinanza e di un vasto pubblico per un autore che merita grande attenzione e apprezzamento.
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Alessia Melasecche
Bravissima studentessa liceale, stimata professionista, bellissima donna, splendida mamma. Giampiero Raspetti
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Le scarpe nove Aho… ma quanno la smitti d’anna’ ‘n giru co’ ‘lle scarpacce vecchie e piene de sghiòzze?... Mo’ te cce porto io a ccompralle ‘n andru paju!... Mojetta mia bbella… sindi ‘n bo’… ce cammìno ccucì bbene che mme pare da sta su la bbambàcia… Mo’ te pòrto a Tterni a vvede’ ‘n do’ fanno li sardi… Scì fàmmece zzomba’ pure ccucì me se ruvìnono de più!... E non facìssi lu spiritusu… cammìna sbrìghete sciuértu! Co’ mmi moje semo partiti e appena t’émo vistu ‘n cartellu co’ scrittu “sardi” semo sùbbitu abboccati dentro ‘llu negozziu… c’éva li prezzi bbòni ma le scarpe erono o troppu grosse o troppu piccole. Me tte so’ ‘nnati l’occhi su ‘n bbellu paju nere de marca bbòna ma ddu’ nùmmeri più arde… l’ho mmisurate e mm’entravono ch’era ‘na meravija e la lunghezza no’ mme pareva tantu spropositata. Ciò ppenzatu ‘n bo’... me so’ ccunzijatu co’ mmi moje che anzi me scunzijava e mme so’ ddittu… Sindi ‘n bo’… a mme me pare che li diti toccono quaci su la punta… aho… a ‘stu prezzu ‘n do’ l’artrovo le scarpe ccucì de lussu e ssoprattuttu ccucì còmmode!?... Ho risparambiatu e mme ciànno rigalatu pure lu carzante! Era passatu ‘n bo’ de tembu... quanno mi moje me tt’ha dittu…
Ciài le scarpe nòve e non te le sì mmesse mai… armeno quanno scappi co’ mme e pporti li carzùni bblù… te le vòi mette o le mitti da parte pe’ qquanno che mmori!?... Lu ggiornu de Sanvalindìnu, co’ li carzùni scuri, finarmente ho ‘naguratu le scarpe nòve… ho mmissu li pedalìni più érti che cc’éo e esse pparevono propiu la misura mia. Avemo camminatu fino a la Bbasilica pe’ la visita a lu Santu… tutta la fiera e ppo’ semo annati a Tterni e ddoppo ‘n par d’ore mentre artornavamo a ccasa, sintìvo li piedi che mme bbullìvono e mme facevono male su le punte de li diti. Pe’ non sinti’ lu dolore cercavo de cammina’ co’ li piedi dorgi poggiannoli come se stassi su lo jacciu che sse sta pe’ rrompe. Propiu llì la passerella… sopra lu Nera… pe’ ssinti’ ‘n bo’ de refriggeriu… me le so’ ccacciate e mme so’ ‘ccortu che cc’évo ‘n bbellu bbucu su li pedalìni da ddo’ scappava fòri lu secondu ditu che mmadre natura m’ha fattu più llungu de quill’andri. Ho ‘sclamatu… Ecco perché me facevono male li fettoni!?... Mi moje me tt’ha datu ‘na guardata dentro a le scarpe e… Che tte pozzi guastatte… ce credo che tte toccavono li diti su ppe’ la punta… e qquanno la levi la carta llà ppe’ ddentro!? paolo.casali48@alice.it
Una soffitta sull’Universo Fantastico! Ma ci sono altri oggetti celesti che possiamo riuscire a vedere con un semplice binocolo? Certamente, Giovanni! Il cielo è pieno di sorprese, basta saperlo osservare! Il passo successivo all’occhio umano che può darci grandi soddisfazioni è proprio un buon binocolo! Potremo infatti scorgere gli “ammassi”, ovvero delle stelle che viaggiano insieme. Uno dei più famosi ammassi stellari aperti è sicuramente quello delle Pleiadi, sempre nei pressi di Orione. Le stelle che formano le costellazioni e sembrano viaggiare insieme, sono veramente distanti ed è soltanto una illusione ottica poiché si trovano accidentalmente nella stessa direzione nello spazio. Tuttavia ci sono dei grandi gruppi di stelle, come appunto le Pleiadi, che viaggiano davvero insieme. Questo tipo di ammassi vengono chiamati “aperti”: essi contengono diverse centinaia di stelle, insieme, ma libere. Tutti gli ammassi aperti che possiamo osservare nella nostra Via Lattea sono formati da stelle giovani, calde e luminose e si trovano nel braccio della Galassia. Sì le conosco le Pleiadi! Ho visto un sacco di foto e le ho anche osservate una volta! Sono bellissime! Qualcosa che descrivere a parole è difficilissimo! Ma invece quelle stelle che formano una specie di palla? Anche quelle sono ammassi, ma non aperti bensì “globulari”: sono strabilianti, formati da milioni di stelle vicinissime che, come dicevi giustamente tu, Leonardo, formano una sfera. Sono stelle molto vecchie e si trovano più distanti, vicino al centro della Galassia. Ce n’è uno sulla costellazione di Ercole stupendo: M13. M13? Ma che nome è? Charles Messier fu il primo a stilare una lista di oggetti celesti diversi dalle stelle, perlopiù grandi galassie, ammassi e nebulose: catalogò 110 oggetti piuttosto brillanti e alcuni visibili addirittura a occhio nudo. Ancora oggi il Catalogo Messier, che va da M1 a M110, è il più usato dagli astronomi non professionisti per indicare questi oggetti. Ma c’è un catalogo generale che comprende tutti i corpi celesti più conosciuti? Il più completo tra i cataloghi nell’astronomia amatoriale, contenente ad oggi circa 8000 oggetti, è il catalogo rivisto NGC, ovvero il New General Catalogue. Quella sera ovviamente fu dedicata al riconoscimento delle varie costellazioni estive, degli ammassi e delle nebulose visibili. Era nata una specie di gioco; presero infatti carta e penna dove scrissero i nomi degli osservatori, segnando man mano le costellazioni, le stelle e i vari oggetti celesti riconosciuti. Overlook fece l’arbitro e alla fine ebbe il compito di dichiarare il suo amico Leonardo vincitore del gioco da loro chiamato “Riconosci l’astro-oggetto”. Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it
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