Il portaborse ne sa più del senatore
... e sai cosa vedi ...
di vista
Francesco Patrizi
Giampiero Raspetti
Cocaina, cannabis e cultura generale latitante hanno messo in serio imbarazzo gli inquilini delle Camere del Senato e del Parlamento, ma ci hanno dato anche un filo di speranza (e spiegheremo alla fine perché). Poche settimane fa il programma di Italia1 Le Iene è balzato agli onori della cronaca per uno scoop: un inviato ha intervistato alcuni parlamentari che entravano a Montecitorio e, con la scusa di truccare la fronte, come si usa in tv, ha passato sui malcapitati onorevoli un tampone-test che rileva se il soggetto ha fatto uso di droghe nelle ultime 36 ore. Una buona percentuale degli intervistati è risultata positiva al test.
Dove il su? Dove il giù? Cappero, l’hai trovato, finalmente, un assoluto! Ci giocheresti... la rotondità del vicino di casa! Cavoletto... il su sta sopra e il giù sta sotto! di vista! Basta ruotare l’emisfero... e tutto cambia... non c’è bisogno che giri l’intera palla! Nè devono raggirare le sfere delle maghe, nè le tue bocce, rotondette e spelacchiate e nemmeno quella pura, celeste, chiamata, così dice Aristotele nel De coelo, etere perché gira sempre (aei qein, aei tein, sempre corre)! di vista! Parte (quanta parte?) dei nostri parlamentari è ciuca al pari di un asino canapino? Perché ti stupisci? Se in lista ci vanno quelli che hanno mangiato solo pane e partito o focaccia e sindacato e poi affaristi, cantanti, il Mago Otelma,
N° 9 - Novembre 2006 (39)
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Chi ama lascia libero
La Rete che cattura la Democrazia
Maurizio Bechi Gabrielli
Beppe Grillo
Chi non vuole l’uscita dal nido dei giovani adulti? Chi ama lascia libero. Con questa affermazione di Curzio Maltese si concludeva l’articolo sull’Angelo del focolare apparso su questo giornale prima della pausa estiva. Maltese precisa: La società italiana i giovani li coccola, li vizia ma non li ama. Ovunque, nei media, si fa un gran parlare della tendenza dei giovani a rimanere nel nido familiare perché viziati, insicuri, pigri; molto diversi dalla generazione dei loro genitori che è cresciuta col mito di Kerouac e dell’on the road. Certamente le cose stanno anche così, ma solo così? Proviamo a guardare il fenomeno da un altro punto di vista. Nel mondo animale, dopo un periodo geneticamente definito gli animali lasciano andare i loro cuccioli e, a volte, addirittura li scacciano se faticano ad allontanarsi. Perché per il cucciolo d’Uomo non è così?
Eccolo qua un altro gruppo di rompiscatole! Ma tranquilli, forse era proprio quello che ci voleva. In Italia sono nati centinaia di Meetup: venticinquemila ragazzi carichi di energia e di speranze, che insieme sono riusciti a fare cose straordinarie e vi pregherei di credermi! Questi giovani non fanno altro che utilizzare la rete per far
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Grazie, Gisa Lorella Giulivi Gisa Giani. La memoria al femminile è il titolo del convegno nazionale promosso dall’Archivio di Stato e dalla Biblioteca comunale di Terni per i prossimi 8 e 9 novembre in occasione della donazione dell’archivio privato della studiosa all’Archivio di Stato di Terni. Bibliotecaria, Gisa ha dedicato a Terni un’intera vita di studi e ricerche.
VI NCERE le b at t aglie
PERDERE la gu erra Vincenzo Policreti Sembra impossibile che nessuno l’abbia ancora capito. O forse alla vita politica si dedicano le persone meno colte e intelligenti. Ma dovrebbe essere chiaro che la corsa ossessiva a tamponare sempre ciò che non va è un comportamento perdente. In un precedente articolo (V. “Viva. il Re!” ne La Pagina di settembre) lamentavo che lo sforzo di salvare la testa alla gente obbligandola a indossare caschi e cinte, oltre che essere inammissibile rispetto alla libertà individuale, aveva risvolti disastrosi sul processo segue a pag. 4
Difendiamo la libertà d’opinione
Do you speak... italiano?
Claudia Mantilacci
Alessia Melasecche
La vicenda che ha coinvolto qualche giorno fa il giornalista e scrittore Giampaolo Pansa durante la presentazione del suo ultimo libro, La grande bugia, è da considerarsi aberrante e svilente per tutto ciò che riporta alla memoria. Bruciare i libri? Contestare e condannare un individuo solo per le sue idee? Ma non vengono in mente
Molto si è parlato recentemente di evasione fiscale e dei modi più efficaci per combatterla: secondo alcuni si tratterebbe di un male endemico e intramontabile, ma poco si é riflettuto sul fatto che i comportamenti sociali che sembrano più radicati possono essere efficacemente combattuti nel giro di pochi anni.
La capacità di capire e di comunicare in più lingue, che ormai rappresenta una realtà quotidiana per la maggioranza degli abitanti della terra, costituisce un’abilità utilissima per tutti. Imparare e parlare le lingue straniere ci aiuta ad aprirci agli altri, a culture e mentalità diverse, acuisce le capacità cognitive, infine, ci consente di mettere a frutto la libertà di lavorare o studiare all’estero ed è riconosciuta da tutti come un fattore essenziale per l’arricchimento personale e per aumentare le opportunità di lavoro. Come emerge da un recente sondaggio Eurobarometro, la metà dei cittadini dell’Unione europea è in grado di tenere una conversazione in almeno una lingua diversa dalla propria lingua madre. Le percentuali variano da un paese all’altro e secondo le categorie sociali: il 99% dei lussemburghesi, il 93% dei lettoni e dei maltesi e il 90% dei lituani conoscono almeno una lingua straniera, mentre, al contrario, la
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Fumo Fisco Francesco Borzini
Il portaborse ne sa più del senatore
Si è alzato un putiferio: il prelievo è stato fatto con l’inganno, si è violata la privacy del deputato, il Garante ha bloccato il servizio… comunque la notizia che doveva passare è passata, chi legifera contro le droghe leggere non è poi così pulito. C’è però un secondo servizio del programma ancor più sconcertante: un’inviata ha rivolto a bruciapelo ai deputati e ai senatori delle domande di cultura generale del tipo: quando è stata scoperta l’America, quando c’è stata la Rivoluzione Francese, a quando risale l’Unità d’Italia… Abbiamo così scoperto che, secondo i nostri illustri rappresentanti, Colombo ha avvistato le Indie intorno al 1600 e Garibaldi sbarcava in Sicilia mentre Danton e Robespierre affilavano la ghigliottina. Poi, alla domanda cosa pensa del dramma del Darfur, un senatore ha risposto, scuotendo la testa, che è un problema serio, serissimo, è uno stile di vita deprecabile, una moda da troncare perché deviante per queste nuove generazioni che si perdono dietro a questi darfur (!)… L’esimio senatore della Repubblica Italiana ignorava l’esistenza della regione del Sudan martoriata da anni da un conflitto interno sanguinario. Un altro senatore, alla domanda conosce Nelson Mandela, ha risposto con strafottenza di
non sapere chi fosse e che non gliene fregava un tubo di informarsi. C’è da deprimersi. Eppure un filo di speranza per il futuro del nostro paese si intravede: oggi, chi tenta un concorso pubblico per entrare in Parlamento, ha come minimo una laurea ed un master. Chi cerca un lavoro qualificante, oggigiorno, è un ragazzo che ha studiato (e continua a studiare) ben oltre i 25 anni. I funzionari di domani, dagli uscieri della Regione ai Resocontisti del Senato, saranno (e già lo sono) culturalmente e tecnicamente preparatissimi. D’altra parte l’istruzione è accessibile a tutti, la specializzazione pure, non esiste più una distinzione classista tra chi può permettersi di studiare e chi rimane a zappare i campi, tra chi è figlio di operai e chi è figlio di avvocati. La società si sta suddividendo, per fortuna, tra chi ha un’alta formazione e chi no, tra chi è preparato e chi non lo è. Il ricambio generazionale nelle alte cariche del nostro Paese è fisiologico; se la statistica non è un’opinione, chi oggi ha un’alta formazione ricoprirà domani ruoli importanti. La speranza ce l’ha data un vecchio servizio delle Iene dove si scopriva che i giovani portaborse dei senatori ignoranti possiedono, come minimo, due lauree! F. Patrizi
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Punto di vista Jack lo squartatore, calciatori, veline fatte e rifatte, untorelli, servi dei padroni, acchiappavoti, annusa-affari... è chiaro che poi il convento non possa passare altro che ossa pelate e ignoranza a tutto tondo. In Italia, sai, faccia da mulo e ipocrisia, ben presentate tra amichetti o nelle tv acchiappafantasmi, ti fanno subito responsabile di una buona fetta di Bel Paese... bello per storia e paesaggistica o perché allegramente disinvolto, involto nella sua globale ignoranza? Punti di vista! Certo l’italico paesano, magari bruttino, che vede dei furbi, ma inutili, manager accumulare incarichi e stipare montagne di emolumenti per mandare in rovina le malcapitate aziende, non ha lo stesso punto di vista dell’accumulator il quale, pur sciocco, si crede Re Mida! Ed ancora... gli eventi hanno un sapore visti da sinistra, un altro visti da destra... un significato per l’imprenditore onesto, un altro per il bravo operaio. Il che è anche naturale! Riusciremo mai a custodire un unico, questo sì assoluto, di vista, sentire cioè come la più alta dignità statale quella umana? Che non conosce punti di vista diversi, né nei cieli né nelle terre. G. Raspetti
La Rete che c a ttu r a la Democrazia
sgorgare la democrazia dal basso. Un milione e mezzo di cittadini hanno discusso e contribuito nel nostro blog alla stesura delle primarie (abbiamo analizzato quattro temi: energia, sanità, economia e telecomunicazioni), consegnate quattro mesi fa al Governo. Questa è la vera democrazia, quella che nasce dal consenso del popolo. Io non sono un blog, sono il megafono di questi giovani. La mia faccia è un pretesto, loro non sono né di destra, né di sinistra; hanno in mente progetti innovativi contro le vecchie tecnologie e incentivano le vere fonti di energia rinnovabili. In breve, questi giovani riescono a far circolare informazione alternativa, che non fa mai male. Rischio di ripetermi, ma grazie a Dio c’è la Rete, dove non esistono editori e pubblicità: non vi è censura di alcun tipo. Questi ragazzi hanno capito che il miglior modo per far sentire la loro voce e unire le loro forze è questo. In bocca al lupo agli Amici di Beppe Grillo di Terni (a pagina 14 del mensile La Pagina), nella speranza di potervi incontrare presto.
Do you speak... italiano?
maggioranza degli ungheresi (71%), dei cittadini britannici (70%) e della popolazione spagnola, italiana e portoghese (64% ciascuna) dominano solo la loro lingua madre. La conoscenza delle lingue straniere è più diffusa tra gli uomini, i giovani e gli abitanti delle città che non tra le donne, gli anziani e la popolazione rurale. Il panorama dell’offerta formativa in materia, nel nostro Paese, è confuso. Manca persino un monitoraggio ufficiale di quante siano le istituzioni che se ne occupano. Due certezze: quasi la metà di chi frequenta un corso di lingue lo fa sperando di utilizzarlo a fini occupazionali e quasi la metà dell’offerta formativa linguistica arriva dagli Enti di formazione accreditati. In questo quadro la scuola è sotto accusa. Il problema di fondo non riguarda tanto le ore che nella scuola italiana sono destinate all’insegnamento delle lingue: è il come lo si fa. Basta l’esempio dei Paesi nordici per fare un bilancio: non è un caso che siano praticamente bilingui benché a scuola le ore di inglese settimanali ammontino a 2 o poco più. Ma quando gli studenti escono da scuola, trovano che i loro governi hanno predisposto strutture e risorse che sostengono ovunque l’applicazione e l’approfondimento linguistico: dalla tv, alle biblioteche, ai giornali. La conclusione è inevitabile, e tira in ballo, in Italia, la colpevole miopia che attanaglia le istituzioni, impermeabili, salvo qualche rara eccezione (vedi il tentativo di riforma del Ministro Moratti in questo senso), ad ogni indicazione dell’UE. E, poiché in realtà gli italiani non conoscono le lingue straniere, le usano poco. Il 56,9% di coloro che parlano una lingua straniera sfrutta tale conoscenza per fare viaggi all’estero, e il 35,4% per relazionarsi con amici e parenti. Solo il 28,5% degli italiani sfrutta la conoscenza delle lingue per leggere libri/quotidiani/riviste o guardare dei film (26,5%); mentre il 25,9% è facilitato nell’uso di Internet. L’ambito lavorativo non sembra conciliarsi con l’utilizzo delle lingue, poiché riguarda solo una minoranza di persone (28,6%). L’Unione europea, dal canto suo, incoraggia attivamente i propri
cittadini ad imparare le altre lingue europee, sia per motivi di mobilità personale e professionale all’interno del mercato unico, sia come incentivo ai contatti interculturali e alla comprensione reciproca. L’UE, in realtà, promuove anche l’uso delle lingue regionali o minoritarie, ovvero quelle che non sono lingue ufficiali dell’UE ma sono parlate da non meno di 50 milioni di abitanti degli Stati membri. Un capitolo a parte lo merita il livello culturale di molti politici nostrani. C’è chi ha per loro recentemente proposto persino l’esame delle urine, dopo lo stratagemma delle Iene in base al quale sembrerebbe che un terzo circa dei parlamentari intervistati faccia uso di sostanze stupefacenti. Altri hanno aborrito il test sulla pipì perché rappresenterebbe una violazione della libertà personale. Mi chiedo: se i comuni cittadini sono sottoposti a test per impedire, giustamente, che guidino in stato di ebbrezza non sarebbe forse altrettanto utile impedire che i nostri Onorevoli legiferino in stato di incoscienza? Non solo, ritengo che occorrerebbe per loro un esamino elementare per entrare in Parlamento, anche riferito alla conoscenza delle lingue perché, visto il livello di cultura generale dimostrato da alcuni, si nutrono dubbi anche su questo. Pochi giorni or sono alcuni di essi, appartenenti a tutti gli schieramenti, sempre interrogati dalle Iene, non sapevano chi fosse Nelson Mandela, o in quale parte del globo si trovasse il Darfour. La portavoce ufficiale di Forza Italia, Elisabetta Gardini, incredibile ma vero, non è riuscita a proferire parola sul significato di quello strano oggetto rappresentato dalla Consob. Quanto al Comune di Terni occorrerebbe mandare una troupe a Palazzo Spada per verificare quanto fra i membri di Giunta sia diffuso l’uso dell’italiano. Per l’inglese c’è tempo. Per il giapponese, e la cosa ci consola, visti i frequenti viaggi di alcuni assessori nel Paese del Sol Levante, si badi bene non in classe economica come fa Blair, ma in business class, con spese a nostro carico, sembra si stiano verificando progressi incredibili! alessia.melasecche@libero.it
La Calce S. Pellegrino lavora per un’aria più pulita Il t r a ttamento con la calc e dei fumi dei processi industriali
Le attività condotte dall’uomo per soddisfare le proprie necessità civili e le esigenze industriali comportano inevitabilmente un inquinamento dell’ambiente. Basta pensare all’inquinamento dell’aria emessa dai camini delle grandi industrie, dalle centrali per la produzione di energia elettrica, dai termovalorizzatori, dagli impianti per il riscaldamento domestico e dal traffico veicolare. Molte di queste sorgenti di inquinanti sono strettamente legate alla produzione ed al consumo di energia, soprattutto di combustibili fossili che sono fonti significative di polveri e di composti dello zolfo, dell’azoto e del carbonio. Diversi processi industriali possono inoltre dare origine a inquinamento da acidi (cloridrico, fluoridrico, ecc.), da metalli pesanti o da sostanze organiche (es. le diossine). In questo contesto cresce continuamente la necessità di adottare soluzioni tecniche adeguate per ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera, adeguandosi alle richieste dell’opinione pubblica e di una legislazione europea sempre più restrittiva. Tra le diverse soluzioni possibili, l’utilizzo di un prodotto naturale come la calce ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più
importante nel trattamento delle emissioni gassose. Attualmente la calce, riconosciuta anche quale fondamentale reattivo basico nelle linee guida europee delle migliori tecnologie disponibili per ridurre l’inquinamento atmosferico di diversi processi industriali (BAT), è il prodotto più usato al mondo per questo tipo di applicazione. Le applicazioni industriali della calce nel trattamento fumi sono molteplici. La maggior parte degli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani in Italia adotta per la depurazione degli effluenti gassosi prodotti a base calce, ottenendo elevatissimi rendimenti di abbattimento sulle componenti acide (acido cloridrico e anidride solforosa)
come sui microinquinanti. In tali impianti, la calce si rivela un reagente chimico molto flessibile, adattandosi a tutte le tipologie di impianto, a secco, a semisecco e a umido, con o senza il ricircolo del reagente. I termovalorizzatori italiani rispettano senza problemi i restrittivi limiti di emissione delle componenti inquinanti utilizzando calci appositamente sviluppate da Calce S. Pellegrino (Gruppo UNICALCE). Per esempio, anche nelle condizioni di processo più impegnative, tali impianti ottengono abbattimenti dell’acido cloridrico nell’ordine del 99% con consumi pratici estremamente contenuti (12-16 kg per tonnellata di rifiuto incenerito), a tutto vantaggio dell’ef-
Punti di forza del trattamento fumi con calce Elevata neutralizzazione degli acidi (HCl, SO2, HF) A bbattim ento di me ta lli pe sa nti e c omposti organici con l’ utiliz z o di Sor ba lit ® Consumi contenuti di reagente Prodotto m olto ve r sa tile , idone o pe r tutti i tipi di sistemi di a bba ttime nto Semplicità di gestione del reagente
ficienza del processo e dell’ottimizzazione dei costi di gestione. In questa particolare applicazione, il trattamento dei fumi può essere effettuato anche con il formulato Sorbalit®, che unisce le proprietà fisiche e chimiche della calce con quelle del carbone attivo e di specifici adsorbenti, per un effetto sinergico sull’abbattimento simultaneo di tutte le specie inquinanti. Sorbalit® garantisce risultati eccellenti nelle diverse condizioni operative e impiantistiche e semplifica la gestione del processo grazie all’utilizzo di un unico reagente. Oltre al settore della termovalorizzazione rifiuti, la calce può essere adoperata con successo in molti altri processi industriali. Nel settore dell’energia è indispensabile desolforare i fumi delle centrali termoelettriche nei casi in cui si utilizzino combustibili fossili liquidi e solidi quali carbone e olio ad alto contenuto di zolfo; nel caso delle aziende del comparto vetrario e ceramico il nemico da combattere è l’acido fluoridrico; anche i cementifici, le aziende siderurgiche e chimiche sono caratterizzate da emissioni in atmosfera di inquinanti critici che possono essere affrontati con prodotti a base calce. Calce S. Pellegrino, leader nazionale nella produzione di tali prodotti, attualmente dispone di un elevato knowhow nel trattamento degli effluenti gassosi, acquisito in anni di ricerche, prove, sperimentazioni e utilizzi continuativi presso i propri clienti. Oggi i tecnici di Calce S. Pellegrino mettono a disposizione dei progettisti del settore e degli utilizzatori finali questo know-how, per indicare la tipologia di calce più adatta per i diversi processi, le soluzioni tecniche e le modalità di utilizzo per ottimizzare i trattamenti e raggiungere i migliori risultati. Direzione Marketing Ricerca & Sviluppo Gruppo UNICALCE
Calce S. Pellegrino è parte importante del Gruppo Unicalce, azienda leader in Italia nella produzione della calce.
Premier è il prestigioso marchio commerciale della Calce S. Pellegrino S.p.A. Negli stabilimenti di Terni-Prisciano e Narni-Madonna Scoperta sono prodotti premiscelati di elevata qualità che soddisfano pienamente le diverse esigenze del mercato.
La certificazione EMAS, massimo riconoscimento ambientale per una realtà industriale, è un fiore all’occhiello della Calce S. Pellegrino. Produrre nel rispetto dell’ambiente, salvaguardare la salute degli operatori interni e dei clienti, lavorare per il futuro preservando le riserve naturali, ha portato Calce S. Pellegrino ad acquisire una mentalità trasparente e moderna.
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Calce S. Pellegrino S.p.A.
Strada Amerina - 05036 Narni (TR) - Tel. 0744.75601 - 0744.756029 - www.unicalce.it - premier@unicalce.it Stab. Loc. Prisciano - 05100 Terni (TR) Stab. Loc. Madonna Scoperta - 05036 Narni (TR) Stab. Loc. Marmore - 05100 Terni (TR) Stab. Itri - 04020 Itri (LT) Stab. Loc. Contrada Lupini Palagiano - 74019 Taranto (TA)
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I roghi non illuminano le tenebre JS Lec
Difendiamo la libertà d’opinione
immagini televisive da archivio storico, tremolanti e sfocate, in bianco e nero, avvolte da una fastidiosa nebbiolina? Ebbene sì, mi riferisco proprio a quelle immagini storiche che narrano la situazione tedesca e italiana durante l’ascesa al potere dei due dittatori fascisti. È inimmaginabile che giovani esponenti della sinistra radicale che inorridirebbero a sentirsi definire tali, si comportino come dei veri e propri fascisti non lasciando parlare l’autore, tacciandolo di revisionismo antidemocratico e suggerendo di bruciare il suo libro. Bruciare il suo libro? E perché non bruciare pure lo stesso autore? Ma sì, mettiamo al rogo un uomo solo per le sue idee politiche, un uomo da sempre schierato a sinistra, ma che sta riconoscendo alcuni orrori commessi nel cosiddetto triangolo rosso dell’Emilia Romagna. Nessuno intende negare il valore storico e politico della resistenza italiana che, come ogni movimento contro le dittature, merita tutto il rispetto e l’ossequio possibili, però non è nemmeno ipotizzabile negare che alcuni partigiani commisero dei crimini rimasti impuniti ai danni di ex fascisti (veri o presunti) in quell’ottica di epurazione tout court che caratterizzò l’Italia post bellica. Se è vero, come scrisse Niccolò Rodolico (storico siciliano
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del XIX secolo), che la storia è fatta dai vincitori, non stupisce che la storiografia ufficiale abbia tralasciato di narrare le zone d’ombra della resistenza italiana. E questo è un merito che andrebbe riconosciuto a Pansa, qualsiasi sia la propria convinzione politica, perché non si possono chiudere gli occhi di fronte a fatti storici ampiamente documentati. Censurare le opinioni di un individuo è un crimine deprecato dalla Costituzione Italiana - scritta anche da moltissimi esponenti della resistenza - che sancisce chiaramente il diritto di ogni cittadino alla libera espressione delle proprie idee (Art. 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…) e non sembra plausibile che giovani appartenenti ai centri sociali, che proprio agli ideali che orientarono la nostra Costituzione dicono di ispirarsi, cadano così palesemente in contraddizione impedendo di parlare e condannando un blasonato giornalista per le sue idee. La Storia non dovrebbe essere né di destra né di sinistra, dovrebbe essere solo un’analisi imparziale ed apartitica delle cause e delle conseguenze scaturite dagli avvenimenti storici. Lo storico inglese negazionista David Irving è stato condannato alla detenzione a causa delle idee espresse nei suoi libri che negavano l’esistenza dei
campi di concentramento e della Shoah, lo stermino degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Ora, è lapalissiano che - quella propinata da Irving - sia una specie di fanta-storia non supportata da alcuna fonte o documentazione e chi scrive non si sognerebbe nemmeno di avallare le teorie dello storico britannico. Quello che però trovo esecrabile è il fatto che un uomo possa essere privato della libertà a causa delle sue idee. Nessuno dovrebbe essere messo in carcere per le idee che manifesta, la libertà di espressione del pensiero deve essere difesa sempre, qualsiasi sia il pensiero espresso, che ci piaccia o no. Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo, disse Voltaire ad uno scrittore suo contemporaneo. Non dovrebbero esistere divisioni partitiche riguardo fatti storicamente documentati, la destra italiana ha già ammesso gli errori commessi nel passato, sarebbe ora che la sinistra abbandonasse la sua presunta superiorità morale ed ammettesse che, essendo la storia fatta dagli uomini ed essendo l’uomo un animale fallibilissimo, siano avvenuti omicidi, soprusi e nefandezze anche ad opera di esponenti appartenenti alla sinistra in quel deprecabile strascico della seconda guerra mondiale. C. Mantilacci
VINCERE PERDERE
di maturazione del popolo il quale, privato della sua autonomia di scelta rischiava in tal modo di crescere con la testa intatta sì, ma vuota. Vorrei ora tornare sull’argomento da un altro punto di vista. Come ormai sanno anche gli psicologi principianti, è assai frequente che i rimedi che istintivamente si escogitano aggravino anziché risolvere i problemi che vorrebbero risolvere. Valga l’esempio della gelosia, che induce il geloso a rendersi tanto insopportabile da perdere il bene che mirava a salvare. Il riempire la gente di leggi, leggine e leggiucole, vorrebbe mirare al miglior funzionamento dello Stato, facendo sì che i cittadini, osservandole tutte, contribuissero al suo perfetto funzionamento. Ovviamente tutto questo mira a sua volta a dare il maggior benessere possibile alla maggior quantità possibile di cittadini: se lo Stato funziona, tutti se ne avvantaggiano. Invece ciò che in tal modo s’ottiene è l’effetto esattamente contrario. S’è già detto come il sostituirsi dello Stato all’autonomia privata, oltre che eticamente inammissibile sia controproducente, in quanto l’individuo, espropriato della propria sfera, ne ricava una frustrazione che rendendolo più infelice lo rende più aggressivo, con nocumento di tutta la comunità. La realtà di questo si può agevolmente verificare in una fila davanti a uno sportello, in qualsiasi autobus e soprattutto osservando l’attuale popolazione scolastica e l’incremento statistico dei suicidi. Ma c’è un altro fenomeno negativo, che si verifica particolarmente in un popolo come il nostro, splendido popolo checché se ne dica, che si ostina a voler pensare con la propria testa
le battaglie la guerra
anziché con quella di chi lo guida; rectius: lo comanda. La pletora di regole da cui il cittadino è sempre più impastoiato e sempre più inutilmente (si pensi alle leggi sulla privacy e sul fumo, due delle più idiote che mai si siano viste dal tempo delle gride manzoniane) non solo rende il controllo da parte dello Stato sempre più difficile, costoso e in definitiva inattuabile. Ma da un lato induce il cittadino ad uno sforzo per eludere le leggi stesse, sforzo che viene percepito - spesso giustamente come atto di resistenza umana più che come atto illecito. Dall’altro instilla in lui, pian piano e giorno per giorno, una cupa insoddisfazione che ne spegne la creatività, l’iniziativa, la gioia di vivere. E poiché nessuno resiste sul lungo periodo a forti frustrazioni senza riportarne danni alla salute psichica o fisica, ecco che lo sforzo cieco e ottuso per dare benessere al cittadino controllandone la salute, il comportamento, la vita, gli provoca disturbi svariati che si riflettono in maggiori spese sociali e sanitarie, in un maggior numero di incidenti e di illeciti, anche penali. Il tentativo dello Stato, così malamente guidato da persone che non devono mai essersi presa la briga di studiarsi la materia in cui mettono così disastrosamente le mani - cioè l’Uomo - di dare benessere risparmiando soldi, ottiene l’effetto diametralmente opposto: quello di dare malessere aumentando le spese. Perché può anche darsi che qualche effetto sul particolare possa, con tutti questi sforzi, essere raggiunto; ma l’effetto generale non è, non sarà, non può che essere, negativo. Come dire: vincere le battaglie, ma perdere la guerra. V. Policreti
Chi ama lascia libero
Una differenza profonda tra l’Uomo e gli altri animali è che l’essere umano investe affettivamente sulla propria prole. Il figlio diventa un punto di appoggio per la conferma di sé come genitore, per le proprie aspirazioni frustrate, per la conferma dei propri copioni di vita, sia che siano stati ereditati dai propri genitori sia che si presentino come forme di riscatto da essi. Erik Erikson parla di generatività (l’abbiamo già scritto) come capacità di prendersi cura dei propri figli, dei loro bisogni, delle loro aspirazioni. Da un punto di vista sociale, le difficoltà delle giovani generazioni di farsi strada nella vita attraverso un lavoro, una casa, una famiglia non possono ragionevolmente non preoccupare i genitori che hanno, quindi, un buon motivo per ritardare l’uscita dei figli dall’accogliente nido familiare. Ma qui vogliamo occuparci più specificatamente degli aspetti psicologici. In quest’ottica, una premessa importante che rende possibile lo sviluppo del senso di generatività è lo sviluppo ed il consolidamento di una intimità nella coppia. Spesso questa sensazione di fondo è offuscata, in uno o in entrambi i membri della coppia, e i figli diventano un oggetto di compensazione sui quali investire l’energia affettiva non spesa nella vita di coppia. L’atteggiamento verso i figli diventa allora funzionale, anche se inconsapevolmente, a sentirsi appagati piuttosto che a realizzare un senso di generatività che invece è inibito. Il comportamento dei genitori si sviluppa, di conseguenza, lungo due direttrici: il rifiuto o la seduzione. La prima è rappresentata da atteggiamenti di risentimento del tipo i figli hanno tutto quello che vogliono, io, invece, quando ero giovane… o di aspirazione
all’eguaglianza (che di fatto è il rifiuto del ruolo genitoriale), quali voglio essere come un fratello per i miei figli. La seconda è, invece, mossa essenzialmente dal bisogno di costituire come un solo soggetto con i propri figli (fusione), diamo ai figli quello che noi non abbiamo avuto. Sia il rifiuto che la seduzione attaccano l’esercizio della responsabilità genitoriale, ma questo non significa necessariamente che i genitori rinuncino a dichiarare l’intenzione di svolgere in pieno il loro ruolo. Tutto ciò trova un forte punto di appoggio in un contesto in cui il genitore sente l’autorità del proprio ruolo messa a repentaglio dalla difficoltà palpabile di orientare al meglio la vita dei propri figli dal punto di vista delle regole e dei princìpi da seguire. Mai come in questo periodo il ruolo delle classiche agenzie educative, famiglia, scuola, parrocchia, è messo in crisi da messaggi, prevalentemente di orientamento consumistico, che transitano attraverso i media e la rete telematica. L’autoritarismo generato dalla rabbia e la seduzione generata dalla sensazione di debolezza sono le risposte alla perdita di autorevolezza. Il genitore chiede così implicitamente ai figli di continuare a riempire la sua vita, continuando a permettergli di occuparsi di loro. Occorre allora che padri e madri comprendano le loro specifiche esigenze, di coppia e di ruolo genitoriale e se ne facciano carico senza proiettarle sui figli poiché, come dice il saggio, i nostri figli non sono figli nostri e la loro storia si svolge certo in collegamento, ma sostanzialmente al di fuori della loro famiglia di origine e i genitori possono solo vederli svolgere la matassa della vita che essi stessi hanno scelto. M. Bechi Gabrielli m.bechigabrielli@fastwebnet.it
T E R N I - V. d e l l a S t a z i o n e , 3 2 / 3 8 Te l . 0 7 4 4 . 4 2 0 2 9 8
Grazie, Gisa La città, dal canto suo, ne ha ricambiato la dedizione intitolandole una via, esattamente quella in cui sorge la casa dove ha vissuto con la sua famiglia, nel centro storico di Terni. Recentemente l’ICSIM-Istituto per la cultura e la storia d’impresa Franco Momigliano, con l’ISUC-Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea e la Società italiana delle Storiche, hanno istituito un premio letterario che porta il suo nome e che va a donne che scrivono del lavoro delle donne, nella più ampia accezione. Il ricordo di Gisa in città è ancora molto vivo e non solo tra gli studiosi. La sua Raccolta di voci bibliografiche su Terni, pubblicato nel 1977 dalla Deputazione di storia patria, resta un testo fondamentale per la conoscenza del territorio, accanto a Terni:cento anni di acciaio: bibliografia dell’industrializzazione, pubblicato in occasione del centenario della Soc. Terni. Ma Gisa ha avuto anche un altro merito ed è quello per cui il femminismo storico locale le ha eretto un altare nel proprio cuore. Il suo interesse era infatti particolarmente rivolto alle donne operaie della prima ora dell’industria ternana e in Donne e vita di fabbrica a Terni, pubblicato nel 1985, Gisa ha evidenziato la duplice battaglia sostenuta dalle ternane tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento: la lotta tra i sessi nella lotta di classe. L’Italia è rimasta a lungo un paese rurale in cui predominavano il lavoro agricolo e il lavoro a domicilio ed è noto come i cambiamenti storici del lavoro abbiano avuto differenti ricadute sulle due metà del cielo. Spettò, infatti alle donne, principalmente, riadattare, non senza sofferenza, non solo modalità produttive ma anche strategie di gestione pubblica e privata in un tempo in cui il mondo del lavoro era percepito come una minaccia all’integrità della famiglia e in uno spazio - quello della fabbrica che poco aveva di umano. Sul finire dell’ottocento, a Terni, nel lanificio Gruber e nello iutificio Centurini la manodopera era prevalentemente femminile. Spinte negli opifici più dalla fame che da ideali di emancipazione, le operaie della Gruber, impegnate in turni di quattordici ore, nel 1884 entrarono in sciopero rivendicando l’aumento di 20 centesimi al giorno. Per Gisa era questo l’esordio del movimento operaio ternano, considerando che le acciaierie erano ancora in costruzione. Altri scioperi, altre lotte femminili parlavano di malattie,
soprusi, molestie e conflitto con gli uomini. Erano le lotte delle centurinare ovvero le operaie dello iutificio Centurini, dipinte dalla stampa del tempo come
prenderanno spesso le distanze invitando le donne a un contegno più serio. Su queste donne la tradizione locale aveva appuntato una lettera scarlatta che pesava
virago bellicose, donne scarmigliate, ribelli e chiassaiuole, perennemente in stato di agitazione. Da queste lotte il movimento operaio e la stampa di sinistra
come una condanna: sarà Gisa, con le sue ricerche, a riabilitarne la memoria consegnando alla città un’esperienza forse unica di lotta femminile. L. Giulivi
Gisa e Pia
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S e t t e c h i l i i n s e t t e g i o r n i Un signore elegante La nostra società è farcita di innumerevoli mali portati dal benessere e dal progresso, uno fra questi è l’obesità. Studi recenti hanno dimostrato che la popolazione italiana sta ingrassando, soprattutto i bambini. La causa di questo problema si trova nel nostro corpo e nei milioni di anni di evoluzione. L’uomo e gli animali per millenni hanno condiviso la scarsità di cibo. Il primo per sopravvivere ha coltivato la terra e allevato bestiame tra inesorabili fatiche. La specie umana si è evoluta accumulando energie sotto forma di grassi e stimoli a mangiare. Oggi però basta andare al supermercato e si può mangiare a volontà, quindi si assumono energie che non verranno mai consumate nella nostra vita di sedentari occidentali. Per contro abbiamo sviluppato una concezione di bellezza fisica che sfiora l’anoressia, e quindi data carta bianca ai ciarlatani venditori di prodotti per ridurre il peso. Ogni giorno troviamo sulle pagine delle riviste femminili, su televisione e su internet, un proliferare di nuove diete e prodigi dietetici che fa invidia alla crescita dei funghi. Non bisogna essere esperti di alimentazione per rendersi conto che molti dei messaggi promozionali di questi prodotti sono incompleti, contraddittori e fuorvianti. Si è creato un business intorno all’alimentazione che spinge le aziende a lottare senza esclusione di colpi, a promettere risultati impossibili, approfittando
della fiducia del consumatore. Consumatore ormai allo stremo delle proprie forze, sballottato fra merendine al cioccolato e corpi da Venere del Nilo. Così è arrivata anche in Italia la Diet Industry, questo termine indica tutte le iniziative commerciali che propongono sistemi per perdere peso. La Diet Industry nasce negli USA nel 1864, dopo secoli ancora pervade la nostra vita quotidiana per un giro di affari milionario. L’Europa si è sforzata di proteggere i propri consumatori attraverso codici di regolamentazione pubblicitaria, ma il risultato è stato minimo. I consumatori diventano complici di queste truffe, nella speranza di veder avverarsi il miracolo di perdere peso senza sforzi. La realtà dei fatti è crudele, se consumi poco devi mangiare poco. Non esiste la bacchetta magica... se assumiamo più grassi di quelli che consumiamo siamo destinati a diventare obesi. Nei primi mesi del 2006 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto oltre 200 mila euro di sanzioni a sette pubblicità ingannevoli di prodotti dimagranti e pseudo-farmaci, dichiarando che il tasso di scorrettezza dei loro messaggi era molto elevato, in grado in qualche caso di avere effetti negativi sulla salute. Le società condannate: IBS; Euromarket; Zenobia; Equilibria; Riscaldi Luigi, promettevano la perdita di peso senza diete e in poco tempo, e la possibilità di sconfiggere la cellulite con semplici integratori o elettrostimolatori.
www.abitareinumbria.it
In un caso l’Antitrust (provvedimento 15699) ha persino accertato che un medico aveva consigliato ad una sua paziente obesa dall’infanzia un prodotto denominato LIPOTREX 24, descrivendolo come un nuovo trattamento dimagrante rivoluzionario... in realtà si trattava di un semplice coadiuvante di regimi dietetici ipocalorici, cioè serviva a completare la razione alimentare giornaliera. Addirittura in Nuova Zelanda una ricerca condotta dalla dottoressa Tonia Nicholson, del Waikato Hospital, ha rivelato che nelle discoteche neozelandesi circolavano pastiglie alle erbe come sostitute dell’ecstasy e dello speed. Pastiglie alle erbe, a base di benzil-piperazine, con gli stessi effetti delle anfetamine, che vengono usate anche nelle diete e peraltro già illegali in Australia. Quindi non ci resta che farci forza e mangiare il necessario, fare sport e guardarci allo specchio con occhio critico ma intelligente. Serena Battisti Consulente amministrativo-legale
Un signore elegante entra in un negozio del centro di una grande città, parla con il proprietario, gli fa notare la splendida automobile che ha parcheggiato di fuori, scopre distrattamente un polso avvolto da un orologio costosissimo. Poi decide di fare un acquisto importante: un gioiello, un abito, non fa differenza… Al momento di pagare, ahimè, si accorge di non avere contanti e di aver lasciato a casa le carte di credito, e propone al negoziante di pagare con un assegno, sulla bontà del quale garantisce personalmente. E il negoziante cosa fa? Non soltanto accetta l’assegno, ma, poiché quest’ultimo è di importo molto alto, consegna al facoltoso signore il resto, naturalmente in denaro contante. Il giorno dopo, l’assegno si rivelerà immancabilmente scoperto, o rubato, o denunciato da tempo come smarrito: insomma, tutto tranne che pagabile al povero commerciante… E’ uno dei mille e mille esempi di truffa, ovvero di quello che potremmo definire il reato per antonomasia: chi non ricorda Totò che vende all’ingenuo turista la Fontana di Trevi? Chi non ha sentito parlare di fantomatiche vincite alla lotteria comunicate via e-mail al fortunato che, per riscuotere, non dovrà far altro che indicare al mittente tutti i propri dati personali e bancari...? Sembrano situazioni incredibili. Eppure, la rapidissima circolazione di denaro, contante o virtuale che sia, che caratterizza ogni attimo della nostra vita, è terreno fertilissimo per ogni forma di truffa, a tutti i livelli. A partire dalle frodi informatiche, passando per le duplicazioni illecite dei Bancomat, per giungere sino alla vendita del falso abbonamento ad una rivista, o al pagamento al falso esattore delle tasse, o, ancora, alle migliaia di truffe quotidiane in danno dei consumatori, è davvero difficile sentirsi al sicuro! Cerchiamo allora di capire che cos’è una truffa secondo il nostro codice penale (articolo 640): si tratta, secondo una terminologia quanto mai azzeccata, di un artificio o di un raggiro, ovvero di un intervento volto a far apparire come veritiera una situazione che
vera non è, o a creare nella vittima un falso convincimento: tramite tale intervento, l’artefice induce in errore la vittima, procurandosi un profitto a discapito della stessa. Non stupisca che, nella realtà, siano tante le vittime di truffe, anche grossolane: il fatto che il raggiro agisca sulla psiche umana sta a significare che il truffatore può, e spesso sa, fare leva sulle debolezze o sulle disattenzioni più comuni: la voglia di liberarsi di un venditore invadente, la paura di dire di no, la fretta che induce a non leggere un documento, il timore di perdere una possibile fonte di guadagno… Ed il fatto che questo reato possa assumere un numero infinito di forme e di manifestazioni, fa sì che spesso ci si renda conto di quello che si è subìto quando è ormai troppo tardi per rimediare. E allora, due piccoli consigli. Il primo: vivere con due, quattro, dieci occhi sempre bene aperti, magari dando una mano a chi penso ai più anziani - appare più di altri una potenziale vittima del furbo di turno. Ad esempio, ponete particolare attenzione a dove cliccate, amanti di internet! Negli ultimi tempi si vanno moltiplicando esponenzialmente i raggiri in rete. Essi non si limitano più alla proposta allettante che induce ad aderire a contratti capestro o a vere e proprie bufale, ma giungono sino alla perfetta riproduzione di pagine web del tutto lecite (quali quelle relative a famosissime aste on - line), allo scopo di indurre l’utente a fornire il proprio numero di carta di credito ed altri dati sensibili che possono essere sfruttati in molteplici modi, sempre a vostro discapito. Perdete un po’ di tempo, quando navigate, per aggiornarvi consultando i numerosi siti web che fanno capo ad associazioni di tutela del consumatore: ne scoprirete delle belle! Il secondo consiglio: la vergogna di aver fatto la parte dei polli non è un buon motivo per non sporgere denuncia e non tutelarsi legalmente: si tratta spesso degli unici modi che consentono non solo una forma di reazione, ma anche la creazione di una rete di conoscenza e comunicazione che permetta di impedire al truffatore di continuare ad agire indisturbato. Avv. Giuseppe Sforza
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P O S T I La regola fondamentale è negoziare sugli interessi e non sui princìpi. Nel suo lavoro lo strumento per capire chi ce l’aveva fatta oppure no era quella frase. Te la dicevano già il primo giorno d’azienda, poi te la ripetevano per anni, in ogni angolo del mondo. L’obiettivo era smettere prima possibile di sentirla dire ed iniziare tu stesso a brandirla verso qualcun altro, di solito poco più giovane di te, a cui dovevi trasmettere i trucchi del mestiere. Quella frase decretava il momento e le forme della tua vittoria sul mondo. Passare dall’altra parte rispetto a quelle undici parole in 6 anni era un successo. In 5 era un successone. Lui c’era riuscito in 4 anni, 7 mesi e spiccioli, il tempo di diventare coordinatore della sua unità: con 6 coetanei da ammorbare con quel ritornello. Con gli stessi sei coetanei, ognuna delle tre estati precedenti, aveva scorazzato per una settimana nel Mediterraneo in barca a vela, pagata dall’azienda. È scientificamente provato come cazzare rande in compagnia aumenti la coesione e perfino l’amicizia tra i marinai e, di conseguenza, la loro produttività sul lavoro. La loro azienda aveva sempre gratificato i propri dipendenti migliori. Pacchi di Natale di tutto rispetto, buoni viaggio in quantità, sostanziosi aumenti di stipendio. Da qualche anno si era messa al passo coi tempi ed elargiva amicizia a comando, da pescare in giro per il Mediterraneo. Negli ultimi tre anni, lui e la sua squadra avevano fatto filotto. Diventando tutti amiconi, si erano fatti un sacco di
V U O T I bagni, e pure un po’ di sesso intra-team. Una tizia di Genova si era anche fidanzata, con uno di Catania. Oggi dei sei skipper aveva scelto i tre più affidabili, quelli delle grandi traversate. Luca, Milano, anni 32: esperto in contratti internazionale. Laurah, Londra, anni 30: poliglotta. Mauro, Napoli, anni 31: cavaliere dello studio alla Sapienza di Roma, economista d’impresa. Dall’altra parte del tavolo avrebbe trovato, sorridenti come puttane, quattro giapponesi della Mitsui, una delle più grandi produttrici di navi del mondo. Era la trattativa più importante che gli era mai stata assegnata. La regola fondamentale è negoziare sugli interessi e non sui princìpi. L’interesse dei signori che ogni estate lo mettevano su una bagnarola vestito di ralph lauren, era quello di entrare nel mercato giapponese, praticamente a qualsiasi condizione contrattuale. Eppure con un po’ di accortezza si poteva anche stravincere, ed era ciò che lui voleva fare. Si chiudeva sempre un quarto d’ora in bagno, prima di una negoziazione importante. Arrivava invariabilmente con 5 minuti di ritardo alla riunione. Il silenzio e l’extraterritorialità del cesso gli infondevano tranquillità. C’era un senso vacuo di trasgressione nello starsene seduto sul water a pensare, mentre di là dal corridoio, nella stanza 1323, i giapponesi erano già arrivati e scambiavano convenevoli con i suoi skipper. Immaginava la scena: mani umidicce che si stringono, cravatte annodatissime, stomachi che borbottano, silenzi improvvisi adagiati
sul ronzio del condizionatore. E lui nel bagno, a godere dell’impunità dell’adolescenza. Mentre si controllava la rasatura allo specchio ripensava ai sacrifici fatti per arrivare fin lì, allo studio disperato dell’università, allo sgomitare in una grande città dove tutti si allenavano per correre più veloce di te, alle volte che era finito per terra e gli avevano camminato sopra. Ora c’era il silenzio del bagno, e l’odore fresco del disinfettante. Guardò l’orologio: mancavano un paio di minuti al suo ingresso nella sala delle riunioni. Estrasse il piccolo astuccio dalla tasca interna della giacca, dispose la cocaina sul dorso della mano ed aspirò improvvisamente, con uno sbuffo improvviso e definitivo. Scosse bruscamente il capo indietro, rimase qualche secondo in silenzio, con gli occhi chiusi. Poi ripose l’astuccio, si lavò le mani, controllò di non avere tracce di coca sul viso o sulla giacca ed uscì dal bagno. Nel corridoio accelerò il passo, sentendo il battito del cuore precederlo di un metro almeno, incrociò un ragazzo appena assunto che gli fece rispettosi auguri per la trattativa, aprì la porta 1323 e fece il suo ingresso nella sala. Buongiorno signori. Vi prego di scusare il mio ritardo. C’era una sola sedia vuota, a capotavola: la sua. La guardò un istante, in silenzio. Poi, emanando una illimitata fiducia nelle sue capacità, vi si diresse senz’altro, a passi probabilmente troppo lunghi per quelle circostanze. feyeem@gmail.com
Si provi ad immaginare un passeggero di un treno interregionale che si avvicini sereno al posto prescelto e, dopo essersi rivolto al suo dirimpettaio con l’usuale e scontata formula (Scusi é libero?), si adagi placido sul sedile non troppo comodo e si accenda con aria soddisfatta o noncurante l‘agognata sigaretta. Oggi una scena del genere scatenerebbe reazioni, le più varie, da parte degli altri viaggiatori del vagone. Ci sarebbe sconcerto, incredulità (magari abbinata a qualche striatura di nostalgia), stizza e certo il dirimpettaio dell’ignaro contravventore, tossicchiando con malcelato fastidio (e forse con una punta di invidia), chiederebbe di spegnere immediatamente la bionda. Sembra una scena lontana anni luce da noi eppure, prima dell’emanazione della legge Sirchia che ha vietato il fumo nei locali pubblici, la situazione era ben diversa. Pochi sanno però che la sanzione connessa a tale divieto, ormai pacificamente e universalmente accettato nel nostro Paese, è in realtà risibile. I trasgressori che non rispetteranno il divieto - recita la norma - dovranno pagare una multa di 7 euro. Un importo così blando (quanti fumatori sarebbero disposti a pagarlo per farsi due tiri in un lungo viaggio su un treno a lunga percorrenza...) ci fa capire che non é certo merito della sanzione se tale divieto viene rispettato. Si potrebbe infatti dire, parafrasando il Poeta, che più che il denaro poté il disdoro, ovvero che la vera sanzione comminata al fumatore da treno non sia
FISCO
tanto quella economica quanto quella sociale. Egli sa infatti che il suo comportamento attirerebbe su di sé la disapprovazione generale degli altri passeggeri, che a loro volta, conoscendo i danni a loro direttamente arrecati dal fumo passivo, si trasformerebbero in controllori del rispetto della norma. Si può parlare in questo caso di una sanzione sociale diffusa, che impedisce il compiersi di un comportamento non accettato. Al suo formarsi hanno molto contribuito i media che, con una campagna a tappeto, hanno legittimato i non fumatori a controllare i tabagisti e a pretendere che essi non fumino nei locali pubblici. Un’analoga battaglia potrebbe essere combattuta contro l’evasione fiscale: sarebbe opportuno infatti favorire il formarsi di una sanzione sociale, facendo leva non già sul senso morale di ciascuno (ipotesi paternalistica ed inefficace), ma cercando di diffondere la percezione del danno che l’evasore cagiona con il proprio comportamento a coloro che, magari perché lavoratori dipendenti, le tasse sono costretti a pagarle fino all’ultimo centesimo. Sarebbe quindi una buona idea quella di solleticare il sano egoismo del contribuente, affinché prenda coscienza che la furbizia dell’evasore che non emette una fattura verrà inevitabilmente compensata dalle maggiori imposte che lui stesso si troverà a pagare e che dunque l’evasore (un po’ come il fumo passivo) nuoce gravemente alla salute... del proprio conto in banca. F. Borzini
BIJOUX 7
C o m u n i t à
La
Comunità di Sant’Egidio si è presentata alla città di Terni e lo ha fatto ufficialmente il 13 ottobre nella sala del Consiglio Provinciale. Nel corso dell’appuntamento, coordinato dal giornalista RAI Roberto Amen, il responsabile per Terni, Don Riccardo Mensuali, la Dottoressa Maria Grazia Proietti, geriatra all’Ospedale Santa Maria e Nadia Agostini, esponente della Comunità, hanno presentato con immagini e commenti la vita e lo spirito di Sant’Egidio, a tre anni dalla nascita del gruppo ternano. Filmati e testimonianze hanno reso degna cornice al lavoro di questo movimento di laici nato a Roma nel 1968 ed oggi presente in molte città italiane e in più di settanta paesi nel mondo ove promuove e sostiene diversi progetti di aiuto. La Comunità trova nel Vangelo e nella Preghiera i cardini che diventano testimonianza di solidarietà con i più poveri, anche oltre frontiera. Amicizia, preghiera e dialogo interreligioso, così come indicato dal Concilio Vaticano II e ribadito nel recente incontro di Assisi sono, per i membri di Sant’Egidio, la via per la riconciliazione dei
conflitti e per la pace. La Comunità è stata ed è artefice di importanti iniziative sul piano internazionale, come quella che ha consentito nel 1992 la pacificazione, dopo decenni di guerra civile, di un intero paese, il Mozambico. O come la più recente iniziativa DREAM cha ha consentito la creazione di un innovativo approccio per la cura dell’AIDS in alcuni paesi dell’Africa australe (in particolare Mozambico e Malawi). Questo approccio ha come primo obiettivo quello di consentire la nascita di bambini sani, anche da madri affette da AIDS, senza per questo trascurare la cura, peraltro effettuata con metodologie d’avanguardia, per un consistente numero di malati. (cfr. i dati sul sito ufficiale www.santegidio.org). Nell’ambito del progetto DREAM la Comunità ha potuto realizzare un Centro de Saúde all’interno del carcere di Chimoio, importante città al centro del Mozambico, e che è auspicabile possa aprirsi anche alle necessità della popolazione locale. Il carcere, nei paesi più poveri del mondo, è purtroppo uno dei luoghi dove le terribili condizioni di vita producono gravi malattie o conducono presto alla morte centinaia di giovani, spesso accusati di lievi reati dovuti all’estrema povertà e all’esigenza di sopravvivere. Ma la Comunità è attiva e concreta anche con le sue diramazioni locali sul territorio nazionale: nella nostra città, il movimento della Comunità di Sant’Egidio ha intrapreso alcune significative attività che gli consento-
no collegamento e sostegno costante, aiuto ed assistenza, presenza ed amicizia verso anziani ospitati in istituti cittadini o che comunque vivono esperienze di solitudine e difficoltà. Nel quartiere di San Giovanni, a Terni, un gruppo di anziani ogni settimana si incontra per ascoltare una pastorale, per pregare, ma anche per altre iniziative di amicizia e condivisione. Durante l’iniziativa del 13 ottobre la Comunità locale ha lanciato un appello perché si possa avviare la costruzione di una Casa per la Scuola della Pace a Blantyre, in Malawi, per consentire ai ragazzi di studiare, confrontarsi, costruire un futuro di pace e di speranza: significative le parole del fondatore, Andrea Riccardi: Nessuno è così povero da non poter aiutare un altro povero. Per qualsiasi informazione, per poter aiutare o partecipare alle iniziative, è possibile incontrarsi il sabato sera dalle ore 18:00 in poi presso al Chiesa di San Lorenzo a Terni o anche telefonare allo 0744-425791 o scrivere a ternisantegidio@yahoo.it La Comunità di Sant’Egidio si incontra e si riunisce per la preghiera ogni sabato alle ore 19:00 presso la Chiesa di S. Lorenzo, in Corso Vecchio. La preghiera è aperta a tutti ed è il momento centrale della vita della Comunità. Ogni Domenica, alle ore 11:00, nella Chiesa di San Lorenzo viene celebrata la Liturgia Eucaristica. Don Riccardo Mensuali Responsabile www.santegidio.org rmensuali@yahoo.it Tel. 0744.546507
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Comunità di
Pre m i o B a l za n 2 0 0 4 p er l ' u m a n i t à ,
La Comunità Sant’Egidio è stata fondata nel 1968 su iniziativa di A di Roma; nel 1986 è stata riconosciuta quale movimento laico d servizio dell’istituzione che in 75 paesi si impegna principalmente i Il premio straordinario della Fondazione Internazionale Balzan è d umanitaria, rivolto alla prevenzione della trasmissione del virus HIV Lanciato nel 2002 nell’ospedale centrale di Maputo, DREAM ha ra delle nuove infezioni e miglioramento visibile della qualità di vit conferenza sulle infezioni retrovirali e opportunistiche tenutasi a standard occidentali nella diagnosi e nella terapia, che sono efficien
Per unirsi alla pregh
Chiesa di San Lore
Sabato ore 19.00 Domenica ore 11.00 - Cel
Per contattare
0744 ternisantegid
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Conto Corrente Postale n COMUNITÀ DI
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SANT’EGIDIO
S ant ’Eg i d i o
la pa c e e la fratellanz a fr a i popo l i
Andrea Riccardi, oggi professore di storia all'Università degli Studi dalla chiesa cattolica. Nel frattempo oltre 40.000 persone sono al in azioni umanitarie, di pace ed intesa tra i popoli. diretto in particolare al progetto DREAM di questa organizzazione V dalla madre al bambino e attraverso trasfusioni di sangue. aggiunto nel frattempo risultati di rilievo: diminuzione dei decessi e ta. Questi risultati sono stati presentati in occasione della decima Boston nel febbraio 2003. Le novità di questo modello sono gli nti anche in strutture sanitarie poco sviluppate.
L a passione da cui siamo animati ha consentito anche ad una comunità giovane come la nostra, qui a Terni, di assumere e portare avanti importanti impegni in Africa. Riusciamo infatti a fornire sempre il pranzo della domenica nel carcere di Nacala, lavoriamo nella infermeria del carcere di Chimono e sosteniamo con aiuti e persone il progetto DREAM nel Mozambico e nel Malawi. Come Arita, Alessandro, Maurizio... adesso anche io e Claudio, da 2 anni, dedichiamo le nostre ferie al progetto DREAM, in Mozambico e Malawi. Perché questo è possibile? Perché consideriamo quei bambini, quelle donne, quei malati, quei carcerati come nostri parenti ed amici. In questa nostra famiglia allargata non si può vivere di retorica, si deve piuttosto cercare di cambiare quei destini, donando a tutti nuove possibilità nel lavoro, nella cura, negli affetti, nella dignità. In Africa abbiamo capito come conflitto e povertà siano sempre più intimamente legati e, soprattutto, così dice Andrea Riccardi, come la guerra sia la madre di tutte le povertà, distruttrice dell’impegno umanitario per il futuro di interi popoli; abbiamo capito come anche una comunità cristiana come la nostra abbia in sé una forza di pace. Ma come dare, come vivere questa pace? Secondo l’altro grande insegnamento di Sant’Egidio: Nessuno è così povero da non poter aiutare un altro povero! Nei 26 paesi africani in cui la comunità di Sant’Egidio è presente, uomini e donne credenti non vivono per se stessi, ma per gli altri, per i più poveri. Qui, gratuitamente e quotidianamente, si impegnano, sono
amici dei poveri, dei carcerati, dei malati di AIDS, lottano per la liberazione di prigionieri e per l’abolizione della pena di morte, per organizzare le Scuole della pace, luoghi di formazione alla vita e alla pace. Sappiamo bene come l’Africa sia in gran parte un continente di bambini, ma in una terra dove ogni giorno si lotta per la sopravvivenza, non c’è spazio né tempo per loro. Molti paesi africani stanno riducendo le spese per l’insegnamento e sempre meno bambini hanno accesso alla scuola. La Comunità di Sant’Egidio ha voluto creare dei luoghi dove ci sia spazio e tempo per loro: le nostre Scuole della Pace raccolgono oltre 40.000 bambini. Permettere a questi bambini di studiare vuol dire garantire loro un futuro. Sono luoghi dove si insegna a non fare la guerra, ma si educano alla pace i figli di popoli che molto spesso conoscono solo la logica della violenza. La maggior parte dei nostri bambini proviene da famiglie poverissime, sono orfani, molti bambini di strada o ex bambini soldato. Tutti, nel migliore dei casi finirebbero a lavorare molto presto. In questo senso le nostre Scuole della pace diventano un riferimento e direi una famiglia per loro, diventano quella speranza alla vita troppe volte negata, speranza a non rassegnarsi al troppo poco che c’è, speranza di una rivoluzione culturale destinata a tutta l’Africa. Penso soprattutto alle bambine, in una società come quella africana di cui le donne sono la base. Ma sono però discriminate, nell’educazione scolastica. A tal proposito un proverbio africano: In Africa se educhi un bambino educhi un uomo, se educhi una bambina educhi una nazione!
Molti bambini africani hanno un volto, e ne abbiamo visti tanti di volti, ma non hanno un nome! Almeno non ufficialmente. Si calcola che in Africa un bambino su tre non sia iscritto all’anagrafe. Solo per fare un esempio, in Malawi, paese molto povero, dove noi siamo presenti con DREAM, circa il 70% dei bambini non è registrato. Per la società questi bambini non esistono. La Comunità, con una larga campagna per l’iscrizione anagrafica, si è impegnata per dare loro un nome, perchè abbiano accesso alla scuola, perché siano riconosciuti, a tutti gli effetti, cittadini del loro paese, perché sia tutelata la loro vita. Ecco, il nostro impegno è quello di servire i nostri fratelli africani. Sant’Egidio vuole essere una traccia di misericordia e di mitezza che possa cambiare anche il destino di tanti fratelli lontani. Sant’Egidio non è una formula ecclesiale che si impone, non è una realtà che si ripiega su se stessa, ma un vissuto di uomini e donne che insieme, se vogliono, si fanno angeli di pace e misericordia per lasciare il segno della speranza, dell’amore, del Vangelo sulla terra, anche quella molto lontana. Maria Grazia Proietti
h i era d el l a Co m un i t à
enzo, Corso Vecchio
Preghiera della Sera lebrazione della Santa Messa
e la Comunità
425791 dio@yahoo.it
nte le opere della Comunità
n° 60679958 intestato alla I SANT’EGIDIO
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SERVIZI SOCIALI
I Canadesi si identificano con tre realtà: 1) il Medicare - l’assicurazione universale per le cure mediche; 2) il Multiculturismo - dovuto alla forte immigrazione determinata dalla speranza di trovare una vita migliore; 3) la Costituzione - che tutela il singolo cittadino nella ricerca di un benessere sociale ed economico sempre più diffuso e garantito dalle istituzioni. Questi i tre aspetti della loro cultura, di cui sono particolarmente fieri. La maggior parte dei Canadesi, proprio perché molto fiera di questi aspetti, è pronta a pagare le tasse, affinché la rete sociale possa beneficiarne per mantenere inalterata la propria funzione ed efficienza. Medicare rappresenta in Canada il programma dell’assicurazione nazionale sulla sanità ed è designato ad assicurare ad ogni cittadino l’accesso a tutti i servizi sanitari medici ed ospedalieri. Inquadrato nell’Atto della Salute Canadese si basa sui valori di solidarietà e di uguaglianza, princìpi ispiratori del sistema di cura sanitaria canadese. Già nel 1961 tutte le dieci province e due territori avevano firmato degli accordi per lo sviluppo dei piani di assicurazione medica pubblica che prevedono una copertura universale per i pazienti in ospedale e che potevano concordare la divisione dei costi con il governo federale. L’assicurazione, che copriva anche le visite e i servizi prestati dai medici fuori dagli ospedali, partì dalla provincia di Saskatchewan. Entro il 1972 tutte le altre province e territori si organizzarono per includere i servizi medici al di fuori degli ospedali. Il Canada ha un sistema di assistenza medica, basato sul finanziariamento pubblico, che copre le necessità private, attraverso piani di copertura sanitaria totale, i cui princìpi sono concordati a livello nazionale e le competenze sono assegnate alle varie giurisdizioni, ovvero province, da precise norme costituzionali. Il sistema medico canadese non si basa su strutture pubbliche di proprietà del governo, dove medici stipendiati esercitano le loro attività: la maggior parte dei medici, infatti, lavora privatamente e indipendentemente o in gruppo e gode di ampia autonomia. Vengono pagati generalmente in base ad un onorario-per-servizio e presentano i loro conti, per il servizio prestato, alla provincia, che provvede al pagamento. Tale organizzazione sanitaria permette al cittadino canadese di scegliere liberamente il medico o la clinica di fiducia, alla quale può accedere esibendo semplicemente la tessera sanitaria della provincia di provenienza. I Canadesi, tutti, non pagano mai direttamente per i servizi sanitari scelti, non devono riempire alcun modulo per l’assicurazione; non ci sono detrazioni, pagamenti parziali né limiti alla copertura per i servizi assicurati. Solo i dentisti lavorano indipendentemente dal sistema, ad eccezione degli interventi in ospedale. Una delle indicazioni più importanti del successo di questo sistema è lo status di salute dei Canadesi: la speranza di vita media dei bambini nati nel 1994 è di 78,2 anni, Simone Dillon indice fra i più alti dei paesi industrializzati.
Sul servizio civile
Caro Sam, non ti offendere… la tua grafia disordinata e spoglia non ha niente a che vedere con la fantasia e la bellezza dei murales! Aspetta, non chiudere subito il giornale; mi ha incuriosito proprio perché era sovrastata dalle altre scritte, dai colori e forme lussureggianti. Mi sono avvicinata al muro e ho letto; hai scarabocchiato con lo spray: “Voglio fare qualcosa per migliorare questo mondo, ma non si può fare niente”. Anche la mia camera è, in un certo senso, tappezzata di murales - cartacei sennò mamma chi la sente - e su un foglio attaccato allo specchio c’è la risposta alla tua preoccupazione: Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo (Gandhi). Comincia da te! Anche piccoli gesti possono fare la differenza, come essere gentili col vicino rompiscatole, non sprecare l’acqua, il cibo, che ne so, fare la raccolta differenziata, perfino non buttare la carta per terra. Le parole stanno a zero e i fatti parlano. Siamo responsabili delle persone e dell’ambiente che ci circondano (senza offesa, anche dei muri dei palazzi…!), e il rispetto di essi va a vantaggio anche nostro; ma di solito quando tutto va a rotoli ci sentiamo solo vittime di un sistema già esistente. In parte questo è vero, ma non deve diventare una scusa per subire e perseverare nell’errore diventando così corresponsabili dello sfacelo: perlomeno di noi stessi siamo responsabili, no? E le nostre scelte sono solo nostre, basta che riusciamo a non farci condizionare dal senso comune, dalle mode,
dalla mentalità di chi opta sempre per la via meno faticosa. Lamentarsi è uno sport molto in voga, e anche tu, caro Sam, attento a non farti coinvolgere: a chi manca il tempo, chi è perennemente annoiato, chi ha tutto ma non desidera niente di quello che possiede. Chi, come te, vorrebbe cambiare, ma paradossalmente non vuole mettersi in gioco. Come ho detto, prima di tutto a me stessa, (perché anch’io ero portata a pensarla come te), ti consiglio di prendere in considerazione la scelta del Servizio Civile. Spero che tu abbia tra i 18 e i 28 anni, altrimenti sei fuori gioco, e che non ti spaventi assumere un impegno per un anno. Lo Stato garantisce un compenso mensile per il tempo dedicato volontariamente al Paese, e anche questo non è da sottovalutare per uno studente o un ragazzo che è comunque alle prime esperienze lavorative. Il servizio civile volontario garantisce anche un periodo di formazione, ed è opportunità di educazione alla cittadinanza attiva… non è proprio quello che cerchi?! Oltre ai progetti a sfondo sociale, ci sono anche quelli dedicati alla cultura e all’ambiente, e volendo puoi fare domanda anche per quelli che si svolgono all’estero. Se vuoi saperne di più il bando e i progetti vengono pubblicati sul sito www.serviziocivile.it; non ti resta che scegliere questo o qualche altro sentiero che tra un po’ di tempo ti potrà riportare davanti a quel muro per cancellare la seconda metà della tua frase. Buona ricerca!
LA PAGINA www.lapagina.info
Beatrice Ratini
Mensile di attualità e cultura
R egistrazion e n. 9 de l 1 2 no v e mbre 2 0 0 2 pre s s o il Tr ibuna le di Te r ni D irezione e R e da z io ne : Te r ni Via C a r bo na r io 5 , te l e fa x 0 7 4 4 . 5 9 8 3 8 Tipo g r a fia : U mbr ia g r a f - Te r ni In colla b o r a z io ne c o n l’A s s o c ia z io ne C ultur a le F r e e Wo r d s
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i n f o @ l a p a g i n a . i n f o
Se i padri non insegnano più
Si rompe un rubinetto, perde lo sciacquone, il cancello non chiude bene… chiamo il nonno, chiamo il babbo oppure il professionista (che si fa pagare in nero). Le nuove generazioni non sanno arrangiarsi, si sente spesso dire, non hanno manualità nei lavori domestici. Ma ancor più spesso la frase che si sente ripetere è lascia stare, non sei capace pronunciata da genitori abilissimi verso una prole incapace o presunta tale. Secondo Edoardo Sanguineti (in Sanguineti’s song, Feltrinelli 2006) si tratta dell’annoso problema della crisi della trasmissione dei saperi. La società si regge, sin dalle origini, su un sapere tramandato all’interno della comunità; ci sono poi delle innovazioni che solo le giovani menti sono in grado di affrontare, ma una solida base di sapere tradizionale ci deve essere sempre, è quel sapersela cavare che il più grande trasmette al più giovane. Fa parte di questa solida formazione il sapere pratico, l’arte di aggiustare i rubinetti e di svitare le lampadine, di oliare la porta che cigola e di tamponare una ferita che sanguina. Perché i nonni, in questi casi, sanno sempre dove mettere le mani? Perché hanno vissuto in una società dove vedevi fare le cose, dove l’apprendimento era più visivo di oggi e si imparava velocemente; una società dove il lato pratico della vita quotidiana era molto più presente e la tecnologia non ci aveva ancora alleviato dall’onere di rimboccarci le maniche ogni tanto. Sanguineti è convinto che l’odierno mancato addestramento generazionale sia da imputare ai mutamenti sociali.
Detto in parole semplici, il padre non ammaestra più il figlio perché lo vuole dipendente e il figlio non è interessato alle conoscenze dei padri perché crede che tutto quello che c’è da imparare stia nel futuro. Due questioni spinose: la prima riguarda una rivalità generazionale ed è insita nel moderno capitalismo; la seconda riguarda la rimozione del passato ed è tipica del Novecento (distruggiamo il passato è stato il motto delle avanguardie artistiche ed è oggi il messaggio più o meno esplicito della pubblicità, vera erede del Futurismo secondo Sanguineti!). Fermiamoci qui (anzi leggetevi il libro). A noi interessa annotare quante volte sentiamo ripetere, o noi stessi diciamo a chi è più giovane: lascia perdere, non sei capace, perché in quel preciso istante il genitore non solo non sta trasmettendo nulla al figlio, ma non vuole neanche che questi impari qualcosa da lui. O meglio, deve apprendere dalla fonte paterna una mentalità, ma non ad essere autosufficiente; il genitore non vuole che il figlio se la cavi da solo, desidera anzi che resti dipendente da lui oltre l’età biologica naturale. La nostra è una società dove impera la tabula rasa, dove ogni innovazione della scienza o del mercato sembra che debba cancellare il passato, dove il sapere non è tramandabile perché il mondo cambia in fretta e un’enciclopedia di vent’anni fa è da buttare… Sarà, ma le lampadine si svitano sempre allo stesso verso dai tempi di Edison e i rubinetti, seppur con design scandinavo e acciaio speciale, gocciano come quelli di cinquant’anni Francesco Patrizi fa.
Ricordi che affiorano Ci siamo incontrate da poco in un ambulatorio medico io e Chiara, estranee l’una all’altra, lei mia ex alunna, io sua ex insegnante, ma in un primo momenti io non ho ricordi, lei non ha sospetti: siamo così cambiate? Tuttavia parliamo: del medico che si fa aspettare troppo, della sua bimba di due anni, del pediatra, e mi sembra strano che una ragazza così giovane sia già madre. Parlando ci diamo rigorosamente del lei. Poi il discorso passa alle sue varie attività, al precariato affrontato con grinta, alla laurea in lettere, conseguita con la lode nonostante un corso di studi superiori non amato. Le faccio i complimenti: mi sembra impegnata e piena di entusiasmo, perciò apprezzabile in una folla di giovani scontenti e depressi. Adesso insegna italiano ai figli degli immigrati. … Che strano, l’ho fatto anch’io come volontaria nella scuola in cui avevo insegnato, dopo essere andata in pre-pensionamento per malattia… Quale scuola? s’incuriosisce lei. Manassei rispondo. Io lì ho frequentato la scuola media. Mi guarda… e poi: Allora lei…… è la professoressa d’italiano del corso B! Lo sa che era il mio idolo! Resto sorpresa e interdetta. Perché ho dimenticato quel viso dolce, quel profilo delicato, i capelli ricci e neri, ora raccolti in alto sulla nuca? Chissà com’era da bambina questa giovane mamma così minuta che adesso scopro mia alunna, e perché mi voleva tanto bene? (non sempre si raggiunge il cuore dei ragazzi e la storia di ogni insegnante è piena di vittorie e di sconfitte). Poco dopo un lampo si fa strada nei miei ricordi nebbiosi… Ah, sì, Chiara, così carina e affezionata e quella classetta così simpatica con cui si era creato un feeling raro, prezioso. A fine anno ero andata dalla Preside per farmi confermare l’incarico, mi trovavo troppo bene, era una prima classe, sarebbe stato un peccato lasciarla. Ma la Preside voleva che assumessi l’incarico in una classe a tempo pieno, avevo i titoli per farlo e sarebbe arrivata la conferma dal Provveditorato. E Chiara, e gli altri? Uno strappo che mi fatto soffrire. Li ho rivisti due mesi dopo i miei alunni, con un’altra insegnante che forse non gli piaceva: lei severa, dura, loro col musino triste e allungato, affacciati alla porta per salutarmi. Ecco perché ho dimenticato; ma adesso ricordo e mi fa bene. Ci abbracciamo, lei piccola alunna cresciuta, io insegnante un po’ invecchiata e forse anche un po’ svanita, ma cara nel suo ricordo. Grazie, Chiara. Elettra Bertini
Questa sera in scena: I g i o v a n i E si parla di nuovo di giovani, anche nell’articolo di Scalfari su L’espresso del 26 ottobre 2006. La sua riflessione parte dal libro di Baricco pubblicato su Repubblica a puntate, intitolato I Barbari. Spiega Scalfari che i barbari di Baricco sono in realtà i giovani, a partire da coloro che hanno avuto vent’anni negli anni sessanta a coloro che di venti ne hanno ora. Essi si contrapporrebbero alle generazioni precedenti, quelle che hanno avuto vent’anni prima del sessantotto, poiché hanno perduto il desiderio di trovare un senso nella loro vita o di ricercare le proprie origini. Insomma, stando alle parole di Eugenio Scalfari, i Barbari di Baricco, vivono la propria vita in un continuo presente, non hanno aspirazioni e aspettative troppo a lungo termine, e non ricercano nel loro proprio passato. Nell’articolo poi Scalfari farà una riflessione su quale delle due generazioni di giovani gli è propria, senza infine trovare una netta identificazione in ambedue. Questo spunto mi permette una riflessione: è certamente interessante riuscire a scoprire quali caratteristiche differenziano le generazioni per comprendere anche il nostro presente politico ed economico, ma sarebbe ancora più utile capire fino a che età una persona può essere definita giovane oggi. Quali sono le caratteristiche che denotano che uno, da giovane, è diventato adulto a tutti gli effetti? La maggiore età non sembra essere sufficiente a far diventare qualcuno protagonista della sua vita di relazione col mondo economico o politico. E forse non basta neppure uno spiccato talento. Si può fare una constatazio-
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ne: molto spesso negli articoli e nei dibattiti, i giovani sono il vero oggetto di discussione. E’ oggetto di questioni il loro disagio, il fatto che è altissima la percentuale di suicidi giovanili in Europa, il problema del loro precariato o peggio della loro disoccupazione. Se un ragazzo scrive una mail a un giornale esponendo le proprie paure riguardo al futuro, è molto probabile che venga pubblicata con una risposta. E’ dunque esplicita un’attenzione ad essi. Ma il punto è: non sarà un po’ troppo strumentalizzato questo tema? Cioè: i giovani non è piuttosto il pretesto per aprire dibattiti e dimostrare interesse per un problema senza trovare veramente gli strumenti per risolverlo? In fondo questa è una problematica recente, degli ultimi anni: fino a qualche tempo fa scienziati, letterati, artisti e via dicendo, erano grandi già da giovani. Gli adulti non avevano troppa difficoltà ad accoglierli nelle loro fila. Erano veramente più bravi loro a diventare adulti o era la società degli adulti che li accoglieva con maggiore benevolenza? Il relegare persone al rango di giovani fino a tarda età, non è piuttosto un pretesto per mantenerle in un vero e proprio status il più a lungo possibile? Adelaide Roscini
N o v e m b r e
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o re 1 8 Via Petroni 24/26 - Terni
B i j o u x
INAUGURAZIONE 11
ASANTE SANA KENYA Grazie mille Kenia
Per chi ci è già stato tornare è quasi un obbligo. Per chi ancora non lo ha fatto, sarebbe un peccato vivere senza aver mai visitato quel paradiso. Parlo dell’Africa, quella vera, quella sotto l’equatore, dove tutto va al contrario di come noi pensiamo ed intendiamo la vita. Vedere tanti sorrisi stampati sui volti dei bambini, anche se vivono in condizioni per noi assurde, mi ha aiutato a far pace con il mondo ed a capire che alla fine la felicità si può trovare anche nelle cose più semplici.
Toccare con mano queste condizioni estreme di sopravvivenza aiuta a rivalutare le nostre condizioni di vita riuscendo a toglierci,
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agghiaccianti. C’è il Kenya delle persone che ogni mattina si alzano per vivere o meglio sopravvivere, per soffrire o per gioire, per rendere grazie a Dio. Dal bimbo di strada che aspira colla, al manager di Nairobi, dalla mamma che fatica per allevare il suoi dieci figli, ai mitici atleti keniani che vincono in ogni dove. C’è poi il mio Kenya, quello per il quale un giorno (non so quando) mollerò tutto e diventerà la mia terra, quello che a Gennaio prossimo mi
almeno in parte, un po’ di ansia e paura per il nostro futuro. Un viaggio in Africa contribuisce a renderci tutti un po’ migliori con la consapevolezza di portare a casa più ricchezza di quella che lasciamo. Per questo voglio ringraziare il Keny a , ASANTE S A N A con tutto il cuore per quello che mi ha lasciato dentro, per quello che riesce a dimostrare pur avendo una situazione geografica, politica, economica, del tutto instabile e precaria. L’Africa ti stupisce sempre, ti avvolge con il suo calore e ti allontana ogni volta di più dalle futilità delle nostre vite quotidiane… in Africa si vive o si muore, in mezzo non c’è tempo per l’inutile, le energie vanno ottimizzate per sopravvivere e vanno concentrate in quello che conta veramente, in modo
che l’alba torni di nuovo. In Kenya, ove pare abbia avuto origine l’uomo, si affiancano decine di culture, ideologie, villaggi, etnie diversi tra loro. Da qualsiasi punto di vista cerchiamo
di guardarlo troviamo un lato diverso. C’è il Kenya dei turisti che scorrazzano per le spiagge di Malindi e Mombasa, quelli che girano con grandi jeep per i safari per catturare immagini di qualche animale raro… spesso però si dimenticano della gente, dell’anima del Kenya, dei tanti gruppi che abitano questa terra a volte troppo difficile da vivere.
C’è il Kenya dei missionari e delle molte congregazioni che affiancano la popolazione, vivendo tra la gente povera e piena di speranza, quella che non ha nulla e a cui basta un granello di speranza per arrivare a sera. C’è il Kenya dei BIG FIVE i cinque grandi padroni della savana, il leone, l’elefante, il leopardo, il rinoceronte e il bufalo… una ricerca continua delle loro tracce. C’è il Kenya degli operai, dei contadini, dei poveri, quello del commercio che appartiene in gran parte agli stranieri, il Kenya dei Masai che bevono ancora latte e sangue di pecora, il Kenya politico, perno importante per l’Africa Orientale, il Kenya dell’AIDS con le sue percentuali di mortalità
spalancherà le braccia dicendo KARIBU (Benvenuto) e mi donerà di nuovo tutto il suo calore e il suo coraggio. Simone Carletti
MAT E M AT I C A = SEMPLICITA’ PURA Siamo tutti ma te matic i, s e mpr e !
EDUCAZIONE ALLO SPORT ....Non era solo pedalare.... Lo sport non significa record e medaglie. Il suo obiettivo è produrre emozioni e perpetuare valori. Se poi questi emergono da una disciplina, quale il ciclismo, notoriamente chiacchierata e a rischio continuo di interferenze, il peso del messaggio è folgorante. La vittoria di Bettini al Campionato del mondo 2006, di sensazioni ne ha distribuite a piene mani: ha coronato la carriera del ciclista, ha appagato la voglia degli italiani di vedere sul gradino più alto del podio un connazionale. Il modo, la tecnica, il gioco di squadra, la forza fisica hanno trovato nella figura minuta del nostro campione un perfetto melange. Ma la gioia del trionfo di Bettini si è spenta alla notizia della morte del fratello, avvenuta per un banale incidente stradale una settimana dopo la vittoria. Un gioco crudele del destino, una legge del contrappasso che dovrebbe aiutare, noi
mortali, a comprendere l’incomprensibile. A Bettini la disgrazia è servita solo a distruggerlo nell’animo e nel corpo, al punto di decidere di non correre più. Suo padre, che sotto al podio aveva gridato al figlio: Adesso hai vinto tutto, puoi ritirarti!, si è affannato a convincerlo di continuare, perchè anche il fratello scomparso lo avrebbe voluto. Risalire in bici in una corsa, come il Giro di Lombardia, alla presenza di quasi gli stessi concorrenti del Campionato del mondo e con la pena nel cuore, non dev’essere stato facile per il Grillo. La gara l’ha vinta per distacco, ha tagliato il traguardo fra le lacrime e ha dichiarato subito dopo che non era solo a pedalare. Io gli credo. E dovrebbero credergli tutti... restituiremmo così la vita, se non agli uomini, almeno agli ideali di Sport e ridaremmo senso al sacrificio, valore alla volontà, spinta all’impegno. Giocondo Talamonti
Il senso del numero, primo di una collana che percorrerà, gradualmente, molte tematiche fondamentali della matematica, è stato causa di contese asperrime tra alcune Case Editrici, tutte di gran risonanza. Ho commesso infatti un rilevante errore allorché, approfittando di numerose amicizie tra uomini di cultura, sono riuscito ad infiltrarmi e ad ottenere udienza per leggere le prime bozze del libro... inviato appunto... in visione...
presso molti indirizzi editoriali. Non lo avessi mai fatto! Se lo sono litigato! Ed anche di brutto!!! Non me lo sarei mai aspettato! S’è scatenata la bagarre, vera e propria rissa: Questo libro lo devi pubblicare tu! ingiungeva l’Editore ALFA all’Editrice BETA! Ci mancherebbe altro! Lo pubblicherai tu! Non facciamo scherzi! - E io telefono subito a Prodi, vedrai se te la faccio pubblicare! Me ne fotto, sono amico personale del Berlusca e questo libro lo pubblicherai tu, ad ogni costo o costi quel che costi! E così via.... una battaglia vera e propria, a tratti inferocita...
La Provincia di Terni per la cultura
E poi si va disinvoltamente a dire che gli imprenditori si odiamo, se ne fanno di tutti i colori, sono a coltello tra di loro! Gentili invece, altruisti, amiconi... ma molto, molto battaglieri, irsuti, davvero incazzerecci! Ed allora, per far cessare questa lotta fratricida, di cui ero responsabile, per interrompere le pur generose pugne, sono stato costretto a ritirare le mie bozze e fare tutto da solo ed in casa, casa Editrice compresa! Non sono un imprenditore e forse neanche tanto altruista... ma per la pace lo sono sempre stato! Il libro, superate le controversie, è ora in libreria al prezzo (regalo di Natale!) di 14,50 €. GR
I giovani del Rotary invitano a Terni il portavoce dei ragazzi di Locri
IL ROTARACT PER ALDO PECORA N o n la s cia mo c i s o li. . . ...il messaggio lanciato agli studenti del Liceo Classico di Terni
Aldo Pecora e Claudia Pongelli, Presidentessa del Rotaract di Terni
La sera del 24 ottobre i ragazzi del Rotaract Club di Terni hanno avuto il piacere di ospitare come relatore Aldo Pecora il portavoce del movimento spontaneo: adesso ammazzateci tutti. Ricorderete che in occasione dell’uccisone del Presidente del Consiglio Regionale Franco Fortugno alcuni ragazzi decisero di scendere in piazza per dire basta all’omertà, basta all’indifferenza, basta alla violenza. Dopo questa prima manifestazione le occasioni per Aldo e per tutti i ragazzi del movimento di farsi conoscere dall’Italia intera sono aumentate in maniera esponenziale: incontri nelle scuole, partecipazioni a programmi televisivi di politica e non. Il grande pubblico ha avuto la possibilità di divenire partecipe del dolore di questi ragazzi, dolore nascente dalla stanchezza di vedere una regione, anzi uno stato, devastato dalla piaga della malavita. Hanno portato l’Italia in Europa ma si sono scordati di portare la Calabria in Italia,
una frase da cui traspare l’ottica con cui questi ragazzi hanno deciso di lottare, con la voglia di riscattare una regione ma in una concezione dello stato come un sistema integrato, in cui il malfunzionamento di una parte porta inevitabilmente al malessere del tutto. Il ripristino della cultura della legalità questo è uno degli obiettivi principali, il far capire, soprattutto ai più giovani, che la vera forza è rivendicare ciò che spetta di diritto e non supplicare per ottenere dei favori, sfuggire alla mentalità clientelare di cui la malavita stessa di nutre. Dare ai più giovani, alle vere forze del presente la coscienza
della possibilità di fare una scelta, una coscienza che per una volta non viene promessa dall’alto ma resa concreta e tangibile attraverso quello che i ragazzi di Locri stanno facendo. Ci sono ragazzi di Locri di sessanta anni, ragazzi di Locri di Roma, Milano... è questo il vanto di un movimento che è riuscito a divenire trasversale, a raccogliere il dolore di tanti, e a dargli sfogo attraverso una lotta non violenta, una lotta fatta attraverso l’informazione, la conoscenza e la consapevolezza di come davvero stanno le cose. Non lasciamoci soli, un motto simbolo del rifiuto di voler
colpevolizzare le istituzioni (come fossero un qualcosa di altro e alieno alla società stessa), e di volere invece con forza una piena e totale autoresponsabilizzazione. Ma quelle dei ragazzi di Locri non sono solo parole; sono stati creati un sito web (www.ammazzatecitutti.org) ed un forum attraverso i quali è possibile per tutti interagire e venire a conoscenza delle mille attività promosse; iniziative che spaziano dalla riproposizione di decreti legge abbandonati da decenni in parlamento, alla partecipazione a dibattiti e programmi televisivi (coscienti della forza mediatica di tali mezzi) fino
Aldo Pecora con gli studenti del liceo classico G.C.Tacito
Striscione creato da Aldo Pecora e portato dai Ragazzi di Locri al funerale del Consigliere Regionale Franco Fortugno
agli incontri con studenti (e non) per promuovere la cultura della prevenzione e non della repressione, nella speranza che tutto questo possa servire a risparmiare magari anche una sola morte in più. Il Rotaract ha organizzato, inoltre, un incontro con gli studenti del liceo classico G.C. Tacito, fornendo così ad Aldo Pecora un altro mezzo attraverso cui sensibilizzare l’opinione pubblica ad un problema che non è più tempo di voler vedere relegato al meridione, e che è anzi venuto il momento di dover affrontare ad occhi aperti e voce alta, coscienti che come più volte è stato ribadito l’omertà si fa forte del silenzio e dell’asservimento. Sara Varazi Un affetto immutato ed un ringraziamento commosso per Claudia e Sara, giovani dell’Italia Illustre. GR
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Beppe contagia anche Terni E’ nata da poco, ma già riesce a riscuotere successo l’iniziativa di giovani ragazzi ternani, fondatori del Meetup degli Amici di Beppe Grillo di Terni. Dalla loro questi giovani hanno la fortuna del filo diretto con Beppe, per organizzare spettacoli, incontri gratuiti, conferenze, iniziative di piazza di ogni tipo. Si può accedere al loro Blog ed iscriversi gratuitamente tramite il sito internet www.beppegrillo.it Alla voce Meetup, vi è un elenco di tutte le città italiane che hanno intrapreso questo percorso. A questo punto la domanda sorge spontanea… Cosa spinge questo gruppo ad andare avanti, a costo di piccoli sacrifici in termini di tempo e denaro? La risposta è semplice: tutti i sacrifici sono ripagati dalle soddisfazioni di ogni
giorno, legate soprattutto alle adesioni ed al sostegno della città di Terni. Le nostre iniziative infatti, hanno ottenuto il consenso compiaciuto di gran parte della gente. E’ proprio da questa evidente necessità di informazione che abbiamo trovato terreno fertile per ricevere notevoli collaborazioni. Siamo stanchi di situazioni sociali incivili e poco dignitose, legate all’arrendevolezza che permea questa società. Dopotutto il segreto utilizzato dai potenti per dominare i popoli è sempre stato di mantenerli in uno stato permanente di ignoranza e povertà. Ma è proprio la presa di coscienza della gente comune che può rendere vana la prepotenza di questi Governi. In poche parole, senza l’ap-
poggio dei cittadini, i politici, le grandi aziende e le altre autorità non andrebbero da nessuna parte. La nostra critica non è fine a se stessa (tipica di coloro che altro non fanno che lamentarsi), ma vuole essere costruttiva: basta con lagne inutili... ora si reagisce! Può sembrare un progetto utopistico, ma abbiamo notato che attraverso proiezioni, incontri gratuiti, conferenze e programmi condivisi con altri Meetup, si possono riunire molte persone con interessi, finalità e obiettivi comuni.
In sintesi il nostro scopo riguarda la promozione dello sviluppo di una democrazia compiuta e il controllo di ogni processo politico e sociale. Operiamo per un’informazione corretta e pluralistica e cercheremo di comprendere e neutralizzare i meccanismi di creazione del consenso messi in atto dai media. Il nostro Meetup è apartitico: si trattano temi di attualità e politica, senza schierarsi, ma solo per denunciare ciò che non ci convince, a prescindere dalla fazione politica di cui si parla. L’apartitismo è un qualcosa che ci distingue. Crediamo che la maggior parte degli Italiani non si senta più rappresentata da alcun partito e sia stufa di sentirsi etichettare come di destra o di sinistra.
Così si limita la possibilità di ragionare liberamente dagli schemi fossilizzanti di un partito. E’ necessario a questo punto un chiarimento: non intendiamo idolatrare Beppe Grillo, né farne un mito o un guru. Lui è il nostro punto di partenza, il nostro trampolino ed alcune delle sue idee ci hanno colpito, così come il suo stile. Tutto qui. Per finire, invitiamo tutti coloro che vogliano confrontare e proporre civilmente idee e pensieri, senza pregiudizi, ma con obiettività, a visitare il nostro sito. L’adesione agli Amici di Beppe Grillo di Terni è gratuita, attraverso il sito http://beppegrillo.meetup.com/258
Amici di Beppe Grillo di Terni
F I N A N Z I A R I A . . . Dopo
la Camera, il Senato: ormai Prodi ha definitivamente chiarito la propria posizione in merito all’affare Telecom, ribadendo con forza la propria estraneità al piano Rovati e in generale la propria neutralità rispetto alle vicende dell’azienda. Nel suo ultimo incontro con i giornalisti, il Presidente del Consiglio s’è detto assai amareggiato per i sospetti e le accuse di cui è stato fatto oggetto da parte della stampa e dell’opposizione. Non riesco a spiegarmi ha dichiarato, fremente di sdegno, come si sia potuto anche soltanto ipotizzare che il capo del governo stesse interessandosi alle sorti d’una delle più grandi aziende del paese, operante in un settore strategico per la nostra economia e che dà lavoro, direttamente o tramite l’indotto, a centinaia di migliaia di persone!
Una spiegazione, in verità, a parere di Daniele Capezzone ci sarebbe: Non è senza motivo - argomenta il segretario dei Radicali Italiani - che in molti ancora dubitano che la sinistra italiana abbia pienamente interiorizzato la cultura politica liberale. Basti pensare a
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come, nella fase in cui la crisi della Fiat s’era fatta tanto grave da apparire oramai irreversibile, i leader del centrosinistra non si peritassero d’ostentare viva preoccupazione al riguardo, anziché compiacersi per il processo di distruzione creatrice in atto. Finanziaria! Puntuale come ogni anno, piomba sul Parlamento il disegno di legge più atteso, più complesso e più faticoso da discutere ed approvare. Puntuali si ripresentano anche i riti che accompagnano il percorso della finanziaria, che qui di seguito enumeriamo, rispettando rigorosamente l’ordine del tutto casuale in cui ci si affacciano alla mente.
1. Invito del ministro dell’economia a trangugiare senza troppi mugugni i provvedimenti varati, in considerazione del fatto che quest’anno (come tutti, del resto) ci troviamo con l’acqua alla gola. 2. Sconcerto dei commentatori politici (queste care anime candide) nello scoprire che il disegno di legge presentato non ha nulla a che spartire con il DPEF approvato pochi mesi prima, a fatica e dopo lunghe discussioni. 3. Sconcerto dei medesimi commentatori nello scoprire che lo stesso disegno di legge finanziaria, tra la presentazione e l’approvazione, è stato pressoché stravolto nei suoi contenuti fondamentali. 4. Seduta fiume in assemblea scatu-
rente dalla ferrea determinazione del principale partito di maggioranza di portare avanti un emendamento e dall’altrettanto ferrea volontà dell’opposizione di impedirglielo (per inciso: di regola, al termine d’una durissima battaglia parlamentare, il partito proponente riesce a superare l’ostruzionismo della minoranza, per poi scoprire al momento della votazione di non avere i numeri per far approvare l’emendamento, perché ad una formazione alleata, che alle elezioni ha preso il tre per cento, così com’è formulato non piace). 5. Tripudio dell’opposizione quando, approfittando d’un momento di distrazione della maggioranza, riesce ad impedire l’approvazione d’un articolo di quattro righe contenente una modifica di lievissima entità ad una norma la cui esistenza risultava ignota ai più. 6. Commento finale d’un osservatore spassionato (qualcuno, di anno in anno, lo si trova sempre): Certo che sarebbe proprio ora di abolirla, questa finanziaria... Ma l’anno prossimo, si ricomincia! Una cosa, comunque, della finanziaria non si potrà dire: che abbia messo le mani nelle tasche dei cittadini. Come ogni anno, a pagare per tutti sono i lavoratori dipendenti, e sui loro guadagni, si sa, il fisco mette le mani prima ancora che gli arrivino nelle tasche. Fra tutti i provvedimenti contenuti nella finanziaria, quello
che più colpisce l’immaginazione è la sovrattassa sui SUV. Un rigurgito pauperista della sinistra radicale? Non è affatto così. Semplicemente, è giusto che paghino di più quegli automobilisti che scelgono di viaggiare - magari nel caotico centro d’una città come Roma, per fare un esempio - su questi autoveicoli lussuosi e quindi costosi, ingombranti e quindi d’ostacolo alla scorrevolezza del traffico ed alla facilità di parcheggio, spinti da motori strapotenti e dunque energivori ed inquinanti.
Così s’è espresso il ministro dell’ambiente, salendo sulla Thesis che l’aspettava dinanzi a palazzo Chigi per ricondurlo al proprio dicastero.
Problema: se una botte avente una capacità di 315 senatori è piena poco più che per metà e riceve da un rubinetto tre senatori centristi dell’opposizione all’ora, ma ha un buco sul fondo attraverso il quale perde un componente della propria maggioranza originaria ogni quarto d’ora, quanto tempo occorre perché il governo Prodi cada in Senato?
Alla Confidustria di Montezemolo, con la quale s’era instaurato un buon rapporto, non piace. Ai sindacati, che si dava per scontato d’avere dalla propria parte, non piace. Alle amministrazioni locali, che sono per la quasi totalità di sinistra, non piace. Ad una parte consistente della maggioranza che dovrebbe votarla in parlamento non piace. La prima finanziaria del governo Prodi è nata talmente male ch’è persino riuscita nell’impresa di far risuscitare Berlusconi, non più segregato nel suo eremo-microimperovillaggio-vacanze sardo. Come diavolo si spiega un lavoro così pasticciato? Giulietto Chiesa ha una sua teoria: Vedete, in realtà questa finanziaria non è opera dal governo Prodi. Verosimilmente, è stata scritta da agenti CIA infiltratisi nel ministero dell’economia, coll’obiettivo di destabilizzare il paese e favorire il ritorno al potere di Berlusconi: è l’ultimo favore dell’amico George. Pare che su internet stia già circolando un documentario sull’argomento.
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E
D I N T O R N I
Secondo problema (non più aritmetico, ma filosofico): posto che Di Pietro, mentre si discuteva l’indulto, ha manifestato contro il proprio governo; che già sì mormora d’un accordo tra D’Alema e Berlusconi per far fuori Prodi ed instaurare un governo di larghe intese che conduca a nuove elezioni… per quale ragione il voltagabbana della coalizione continua ad essere considerato Clemente Mastella?!? Risposta dell’interessato: In cambio della nomea mi hanno offerto due sottosegretariati in più.
Su una cosa l’opposizione ha sicuramente ragione: è assurdo considerare ricchi quei contribuenti che dichiarano più di 40.000 euro annui. In Italia, di regola i ricchi dichiarano di guadagnare molto, ma molto meno di 40.000 euro l’anno. Fra un taglio di spese e un aggravio di imposte, il Governo troverà i soldi per finanziare una riforma della riforma delle pensioni che abolisca l’iniquo scalone, ossia il brusco incremento dell’età pensionabile previsto a partire dal 2008, ed allunghi così l’età lavorativa in maniera più graduale? L’ex ministro Maroni, padre dello scalone, ha intimato al governo: Non toccate la mia riforma! Secca la risposta del ministro della previdenza sociale Damiano: Non ci penso nemmeno. Solo a guardarla mi fa schifo.
Dove il genio di Prodi è emer-
so in tutta la sua grandezza è in riferimento al ponte di Messina. Rischi geosismici, infiltrazioni della criminalità mafiosa nei cantieri, evanescenza dei finanziamenti ed italica tendenza alla dilatazione dei tempi di costruzione mettono seriamente a repentaglio la realizzazione dell’opera? E noi mettiamo fin d’ora le mani avanti, facendo sapere a tutti che non lo vogliamo fare. Oohh! E pensare che Berlusconi, posto dinanzi agli stessi problemi, aveva sentenziato: Intanto, noi spieghiamo a gran voce che vogliamo farlo. Magari, riusciamo quantomeno a inaugurarlo. Giacché nel nostro paese, notoriamente, l’inaugurazione d’un’opera di pubblica utilità è cosa che prescinde dalla sua effettiva realizzazione.
Come sarebbe a dire, diciamo a tutti che non lo vogliamo fare? Mastella non l’ha presa troppo bene, pare. Metti che alla fine ci si riesce. Nessuno crederà che è merito nostro: penseranno tutti che ce lo siamo fatti costruire sotto il naso senza accorgercene. Vedo già Berlusconi che ammicca ai siciliani, spiegando che evidentemente ci siamo scordati di chiudere tutti i cantieri - i SUOI cantieri - e che così il ponte - il SUO ponte - è andato avanti, metro dopo metro, sino a raggiungere Reggio Calabria. Vuoi mettere la figuraccia che ci facciamo, coi nostri elettori siciliani?
Alla fine, pare che si raggiungerà un compromesso. Il ponte si fa, ma senza dirlo a Pecoraro Scanio. Quando poi lui se ne accorgerà (se se ne accorgerà), basterà prendere quella copia segnata del programma dell’Unione e... Uh, guarda, qui c’erano due pagine incollate. Ma non l’hai proprio mai letto, questo paragrafo sulle grandi opere nel Mezzogiorno?
Intanto Totò Cuffaro galvanizza i suoi elettori. La sinistra pensa che il Ponte non serve a niente! Probabilmente, la sinistra pensa anche che la frutta candita sulla Cassata non serve a niente! Ma Noi Siciliani rigettiamo questo astratto funzionalismo! Noi Siciliani siamo figli della Grande Cultura Barocca del Seicento, che ama la ricchezza, la complessità, che ha il gusto della decorazione artefatta e sontuosa, dell’intersecarsi della bellezza naturale tramandataci incontaminata dai nostri Antenati (e che noi serbiamo incontaminata per i nostri figli, come avviene nella Valle dei Templi di Agrigento) con il fascino moderno dell’opera dell’ingegno umano. Non per una meschina questione di tornaconto economico Noi chiediamo il Ponte sullo Stretto! Noooo! Noi rigettiamo questo rozzo economicismo! Per Noi il Ponte è una categoria dello spirito, una proiezione della Nostra Identità Regionale verso il nuovo millennio, verso quel futuro, verso quel progresso dello spirito prima che dell’economia, verso quella più elevata dimensione dell’essere che la Calabria così efficacemente simboleggia! La Calabria, a Noi così vicina, ma al tempo stesso così drammaticamente lontana...
Si diceva poc’anzi del genio
di Prodi, misconosciuto ai più (persino all’interno dell’Unione, per quanto ciò possa apparire strano) e purnondimeno brillante. V’è però - mirabile! - chi lo supera in finezza d’ingegno. Il viceministro Visco (giacché di questi si tratta) deve avere passato giorni terribili, notti insonni od agitate, ma alla fine è riuscito a trovare il modo di fare pagare le tasse agli evasori. Da qui a poco, gli appartenenti alle categorie note per la propensione a non dichiarare i propri guadagni non potranno più farsi pagare in contanti dai propri clienti. Come, perché non potranno più farlo? Perché SARA’ LORO VIETATO! Comprendete l’incommensurabilità dell’astuzia di quest’uomo? D’ora innanzi i lavoratori autonomi, per commettere il reato di evasione fiscale, dovranno prima violare un’altra legge! E’ inutile star qui a sottolineare quale potentissimo effetto deterrente sortirà da un simile provvedimento. E’ assolutamente inutile. Sì, decisamente, è proprio inutile.
Cartelloni pubblicitari con il logo di Forza Italia, sparsi un po’ dappertutto nelle nostre cento città (ma non li finisce mai i soldi, quel benedetto uomo?) dan conto dei già numerosi guasti apportati dal pur giovane governo Prodi. In fondo, una scritta: Noi ti avevamo avvertito. E’ vero, ma dopo cinque anni, onestamente, non potevate aspettarvi che prestassimo ancora fede a quello che ci venivate a dire...
P er
reagire agli attacchi provenienti dall’opposizione, dagli enti locali, dalla Confindustria e da varie altre associazioni e categorie sociali, il Governo sta organizzando un FinanziariaDay, nel quale i ceti beneficiat… beh, meno duramente colpiti dal suo bistrattato provvedimento sfileranno per le vie di Roma, manifestando in suo favore. Già pronti gli striscioni con gli slogan da esibire a beneficio delle telecamere (il TG3 riprenderà in diretta la manifestazione): si va dal perentorio Più tasse per i tassì (attribuibile ai fun di Bersani) all’altrettanto drastico O Luca, se vuoi tenerti il TFR, allora il cuneo te lo prendi in… (espresso da una delegazione di operai livornesi, i quali per disgrazia hanno adoperato uno striscione troppo corto perché la frase vi stesse per intero; il concetto, comunque, è chiaro). Da segnalare anche il poetico Se non vuoi pagare la tassa di successione / sbrigati a crepare signor padrone (che è piaciuto ai cassaintegrati FIAT), il malinconico Non ci sono più le tasse di una volta (opera d’una associazione di pensionati) ed il sintetico Tax vobiscum (che dovrebbe assicurare adeguata visibilità anche all’ala cattolica della coalizione). Annunciata anche la presenza d’una delegazione di reduci della finanziaria Amato del ’92. E’ prevedibile che il loro eroico sacrificio venga additato, nel discorso di Visco che chiuderà la manifestazione, alle giovani generazioni quale luminoso esempio di patriottismo fiscale. Ferdinando Maria Bilotti
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