La pagina novembre 2008

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Di che segno sei?

Un astrologo pentito ha smesso di spacciar fanfaluche perché non più sorretto dalla fantasia ed ha chiesto scusa per quelle già emesse*. Tu ascolti o leggi, di mattina, una serie di frasi demenziali. Avrai un incontro. Non dici: ma che cretinata è questa? Cominci invece a fantasticare: ... La incontrerò e le dirò bla... bla... bla.... Sei così abituato a prenderti in giro! Giornata favorevole per l’economia. Tu non hai una lira, ma ti delizi nell’illusione. Vai dicendo che ci ridi sopra, ma nel tuo intimo sai di essere molto supestizioso. Una volta gli oroscopi massacravano: Marte, in posizione non dignificata con Venere, porta sguardo equivoco, rende lascivi, facili all’adulterio, seduttori nella famiglia propria e altrui, corruttori di donne e di vergini, destinati spesso al fallimento, tocchi di mente, omosessuali, licenziosi...** - ed altre prelibatezze morali, ma... hanno dovuto cessare con idiozie negative. Adesso emettono solo carinità, che ti rendono tanto tanto contento, perché anche tu possa dire cretinamente, ma con disinvoltura: ...ma tu, di che segno sei? E perché poi tu possa, alla risposta, altrettanto scioccamente affermare... già già lo avrei proprio detto... sei un pesciolino! Stai attento alla congiuntura Marte-Venere, mi raccomando! E così riesci di nuovo a far finta di essere intelligente. E poi pretendiamo che i nostri figli vadano a scuola per studiare e capire, magari, matematica e fisica! A te non cale sapere che i segni zodiacali sono oggi pure speculazioni del pensiero scaramantico, che una stella dista un milione di anni luce e un’altra, dello stesso segno zodiacale, dista mille anni luce, ma è molto meno luminosa della prima così, vedendole sullo stesso piano, fantastichi: è un leone, ruggisce, è forte, è indomito! Non ti rassegni al fatto che l’universo abbia 15 miliardi di anni. Fuggi come dalla peste alla realtà che da miliardi di anni ci sia vita, sulla nostra Terra. Ti neghi alla verità che i nostri antenati siano vissuti già milioni di anni, prima di noi. Non vuoi saperlo perché ti piace sentirti l’unico, che tutto è ossequio verso di te... le stelle, le divinità, gli spiriti benigni... Ma pensi davvero che l’universo si scomodi per te, che le stelle ti facciano riverenza, che le divinità proteggano il tuo malleolo, che il Sole serva per far maturare le tue nespole, che gli spiriti maligni possano, dietro tuo volere, aleggiare sui nemici? Se sei cattolico verrebbe da chiedere: ma che Vangelo hai letto? Non certo quello che ho letto io! Perché non ti racconti una bella favola, quella affascinante dell’essere tu artefice del tuo destino, quella dell’amore per tutti non perché qualcuno te lo catechizza, ma sol perché sei un uomo e non faresti mai agli altri quel che non vuoi gli altri facciano a te. Perché non ti lasci guidare da un solo spirito, quello della solidarietà tra i popoli? Smetti dunque di comportarti da essere inferiore, avvolto nel tuo pensiero debole. E alla domanda: ...ma tu, di che segno sei? Segno d’uomo - rispondi pure. * In: www.cicap.org/new/articolo.php?id=101839 CICAP, Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale ** (Tolomeo, Previsioni astrologiche, III, 14)

N° 9 - Novembre 2008 (59°)

R u o t a z o d i a ca l e s u l s o ffi t t o d e l t e m p i o d i D e n d e r a h

Giampiero Raspetti

A PA G I N A . . . 2

RITA LEVI MONTALCINI , A Mel a secch e Vedo tante paludi , B R a t i n i Critica della ragion pratica del volontariato, F P a t ri zi A proposito di borsa... , J D a n i el i

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Ciao ROBERTO , P F a b b ri Storia di un impiegato , F B o rzi n i Il denaro non esiste , V P o l i cret i La solitudine del lettore , L D e P a o l i s Una mobilità sostenibile , J D ’ A n d ri a

7 8 - Liceo Classico 9 - ITC Cesi 10 - Signor Ministro, S R a sp et t i 11 12 13 14 15

Astronomia , T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri , F G u erri Astronomia , P C a sa l i , S Va l en t i n i , G C Intervista a Daniela Ghione e a Emanuela Ruffinelli TERNI , S B el l ezza Un ternano alla corte di Barack Obama


Rita Levi Montalcini cittadina onoraria di San Gemini San Gemini non è un Comune qualsiasi. Sarà la posizione di dominio sulla vallata ternana, sarà la sua storia, la fama delle sue acque o la struttura medievale delle sue mura. Spira fra i vicoli, all’ombra dei suoi palazzi, un qualcosa che conferisce ai sangeminesi l’orgoglio dell’appartenenza. E’ per questo che la cittadinanza onoraria non si assegna con molta facilità. D’altronde, dopo quella conferita ad Albert Sabin, scopritore del vaccino contro la poliomielite, che non volle brevettare per salvare da una malattia terribile milioni di bambini, solo una persona di indubbia peculiarità avrebbe potuto essere insignita di tale onore. E Rita Levi Montalcini non è proprio una donna qualsiasi per cui, proprio il giorno di chiusura della Giostra dell’Arme, nel corso di una cerimonia semplice, come è nel carattere di questa donna, ma molto sentita, è stato stretto un legame per la storia fra la comunità cittadina e la scienziata di fama mondiale. Premio Nobel per la Medicina 1986 per aver scoperto il fattore nervoso che gioca un ruolo essenziale nella crescita e nella differenziazione delle cellule nervose fra sensoriali e simpatiche, la Montalcini ha ottenuto uno dei pochissimi Nobel assegnati ad una donna. Dal 1901 ad oggi, su 741 premi conferiti, soltanto 35 sono andati a donne. Si racconta, infatti, che la sera in cui ricevette il Nobel lo speaker disse distintamente “Lady and Gentlemen” invece di “Ladies”. Si trattava infatti dell’unica Signora in sala in un mare di uomini. Ha combattuto una vita per essere accettata negli ambienti scientifici più esclusivi, ma di lei mi piace ricordare soprattutto l’impegno civile, dalle campagne contro le mine anti-uomo, a quella sulla responsabilità degli scienziati nei confronti della società. La sua figura di studiosa e di donna rappresenta un esempio alto che onora la Scienza e l’Italia nel mondo. In un momento in cui, nel nostro Paese, il merito, il rispetto, il senso del dovere prima ancora che la pretesa dei diritti, appaiono ai giovani come valori in disuso, in una fase in cui la Scuola sembra essere da troppi anni diventata un luogo di obbligata presenza, la vita della Montalcini è di monito per la serietà nello studio, per il coraggio nell’affrontare e vincere le sfide della vita, un esempio di dedizione ai valori in cui si crede. E parlando di futuro, lei, all’età di novantanove anni, non ha nessuna intenzione di andare in pensione: è ottimista, sta lavorando allo studio delle patologie neurovegetative ed è testimonial per la difesa della parità delle donne nel mondo. E’ stato quindi con profonda commozione che, da Consigliere Capogruppo, ma soprattutto da donna, ho partecipato attivamente al conferimento di questa cittadinanza onoraria. alessia.melasecche@libero.it

Vedo tante paludi

Dove ristagnano persone, idee, relazioni. Dove non si ha voglia di cambiare perché fa paura. Di crescere perché è doloroso. Di conoscere perché è impegnativo. Dove l’aria è malsana, soffocante, ma l’abitudine di sentirsi quella nota patina addosso vince il desiderio di nuove scoperte. Dove si sguazza nell’auto-compiacimento, ma ci si lamenta della monotonia. Dove chi arriva è guardato con sospetto perché viene da fuori e può portare novità. Dove si è dentro o si è fuori. Dove, dopotutto, le persone stanno bene se lasciano tutto così immobile! Raramente, vedo delle oasi. Dove si incontrano persone, si scambiano idee, si intrecciano relazioni. Dove chi arriva è sempre ben accetto perché non esistono un dentro e un fuori. Dove ci si mette in discussione, dove si può soffrire, dove si rischia. Dove si può sostare, dove si può tornare quando si vuole ma mai stabilirsi; per evitare di creare l’ennesima palude. Beatrice Ratini

Critica della ragion pratica del volontariato Nel tomo secondo de Il mondo come volontà e rappresentazione (Die Welt als Wille und Vorstellung), Arthur Schopenauer eliminò, dopo varie stesure e revisioni notturne, la voce La volontà dei singoli come strumento ad uso non retribuito della pubblica amministrazione, laddove si analizzava la possibilità recondita di elevare il volenteroso a volontario; il primo fa leva sulla propria volontà per muovere il mondo, argomentava il filosofo di Danzica, mentre sul secondo farebbe leva la pubblica amministrazione per muovere gli eventi. Durante il tirocinio presso la ditta commerciale Jenisch, il giovane filosofo ebbe la prima illuminazione, tirocinius ergo non me pagant, indotta sia dalle letture formative (vedi Leibniz, La monade non si rateizza, in De Casibus Perplexis), sia dalla coscienza che campare senza talleri, alla lunga, non induce ricchezza. Il futuro filosofo continuò a scindersi in stage e tirocini tra Weimar e Dresda, prima alla mercé del vecchio Goethe, quindi come allievo di Fichte, il quale lo influenzò con la celebre lezione sulla missione del dotto da cui la seconda illuminazione: colui che vuole infondere sapere negli altri, ben venga, ma sappia che non ne ricaverà un tallero. Fu grazie al pensiero fichtiano che il nostro si imbatté nell’idea dell’uso del volontariato come perno culturale per dare lustro al politico illuminato. Tante giovani menti e braccia coinvolte in mille cose, ma chi le paga? Sulla questione non erano mancati dissapori tra Fichte e Schelling, poiché, secondo il primo, se sei volontario, allora te lo sei cercato, mentre per Schelling la Natura non lavora a progetto, ma a tempo indeterminato (vedi Sui massimi contributi Inps in L’età del mondo). Solo il sommo Hegel sintetizzerà l’annosa problematica: se ti sbracci per fare il volontario, dopo non chiedere talleri (vedi il concetto di Immanenza della tasca vuota nel Compendio della filosofia). Schopenauer dedusse che il problema stava a monte: una Pubblica Amministrazione dovrebbe avvalorare il credo fideistico Largo ai giovani purché le opportunità non siano solo di mero volontariato, giacché un giovane alle prime armi, se accetta di volontariare, non lo fa per Spirito, ma per Necessità e Speranza (vedi anche Indigenza dello Spirito post laurea in Hegel, Fenomenologia dello spirito). Ergo, per una P.A. aver realizzato importanti progetti grazie ai volontari può essere un vanto se trattasi di interventi di carattere sociale o umanitario, non vale se trattasi di eventi di natura culturale per i quali la suddetta stipendia già degli impiegati (vedi l’implacabile logica della Scuola di Weimar: o fai lavorare gli stipendiati o stipendi chi fai lavorare). Fu così che il giovane Schopenauer decise di cassare dal tomo secondo del Die Welt als Wille und Vorstellung la voce dedicata alla Volontà come rappresentazione di un futuro impiego. Francesco Patrizi

LA

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipografia: Umbriagraf - Terni

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La Pagina

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Te m p o (in memoria di R.M.) Ci dev’essere qualcosa di sbagliato, pensavo. E certamente c’era: la mia giacca, ad esempio, unica chiara tra le molte grigio scuro; chiara e quasi dello stesso colore del legno che avvolgeva Roberto, a pochi passi da me. Ma non è importante, mi ripetevo indulgente; per quanto lui fosse sempre assolutamente impeccabile nel vestito e nel sorriso, saprà perdonarmi questo colore sbagliato e i jeans non stirati. Forse perdonerà perfino anche la distanza che separa il sorriso e le mie labbra. Ci dev’essere qualcos’altro; qualcosa di ancora più sbagliato, pensavo. Rimanevo in piedi, appoggiato alla colonna della prima fila dei banchi, e guardavo dietro, lungo la navata della chiesa. Molta gente dentro, forse ancora di più fuori, in attesa. Che sia questo? La funzione si svolge secondo la simbologia tradizionale, coi lenti rintocchi distanziati delle campane, con l’incenso lanciato verso la bara, coi crocifissi di guardia e con un prete che espleta veloce i passaggi obbligati del rito; ma Roberto preferiva altri simboli di fratellanza e comunione. Sotto il coperchio le sue mani non stringono rosari, e ha un ramo d’acacia sul petto. Forse per questo c’è chi lo saluta sotto il tetto della chiesa e chi resta invece sulla soglia, aspettando che esca di nuovo sotto il cielo. Sarà questo, davvero? No. No, perché anche questo non è davvero importante, in fondo: le persone che stavano dentro escono infine mescolandosi con quelle fuori, diventano indistinguibili, e poi hanno tutti la stessa espressione. In cento gradi diversi di intensità, ma tutte con lo stesso tema espressivo. Roberto sapeva ridere e far ridere con maestria, e ci vorrebbe davvero una sua barzelletta, adesso; narrata dalla sua voce calda e anticipatrice del riso, rilassante ed eccitante allo stesso tempo; ci vorrebbe proprio. Se si alzasse e la raccontasse al microfono, tutte quelle facce da funerale sparirebbero subito. Ma non spariscono, invece: e, dopotutto, a un funerale è facile incontrarne, di facce da funerale. No, dev’essere qualcos’altro ancora. La morte stessa, forse. Anche se basta fermarsi a pensarci solo mezzo istante per capire che la morte è necessaria, che è legata alla vita come il giorno è legato alla notte; non solo nel ritmo dell’alternanza, ma proprio nell’essenza. Una rende possibile l’altra, ognuna è impossibile senza l’altra. Dev’essere il dolore. Il dolore è sbagliato di sicuro, lo è sempre. La nostra è un’economia di emozioni complessa e imperscrutabile, ma è immaginabile, possibile, auspicabile l’assenza del dolore. Non ha l’austera necessità della morte, si può immaginare un mondo privo di sofferenze; un mondo dove mia sorella non abbia la schiena curvata adesso, in una linea precisa di pesantezza e pressione. Un posto dove sia possibile non sentire il morso continuo tra stomaco e cuore, il fiato spezzato, i muscoli duri e flaccidi al tempo stesso. Dovrebbe essere possibile non soffrire, o quantomeno non così tanto, di questa sofferenza senza lacrime e senza rabbia, di un ottuso dolore privato che solo per accidente, solo per necessità rituale viene portato qui, in pubblico, e qui indossato. E’ il dolore dell’assenza. Qui intorno ci sono amici, compagni, colleghi, fratelli, soci, ognuno dei quali ha diviso con Roberto un incontro, una schiacciata sotto rete, un articolo di giornale, un brindisi, una risata. Quale che sia la convinzione o fede di ciascuno, se si è qui è perché si è condiviso qualcosa con lui: una qualunque forma di compresenza. E per questo il suo contrario, l’assenza, genera dolore. Maggiore la compresenza, maggiore il dolore. Dal mio privilegiato posto d’osservazione, da dentro questa giacca dal colore sbagliato, vedo tutti: dentro e fuori, uomini e donne, giovani e vecchi. Vedo chiaramente che nelle diecimila differenze che corrono tra ognuno di noi abbiamo qualcosa in comune. E non è nulla di culturale o accidentale, nulla di voluto o deciso, neppure di profondo. Vedo che siamo tutti soltanto creditori di tempo. Roberto non ha più credito, e per questo non è più qui. Non è più neanche ciò che giace nel legno: lo porteremo in giro per il centro Italia verso un luogo dove sia possibile farlo volare nell’aria, anziché chiuderlo in un parallelepipedo di cemento, sotto terra. Ma, aria o terra, lui era qualcos’altro quando aveva il nostro stesso tempo. Guardo le molte persone che affollano il sagrato, e vedo tanti creditori di tempo. Tutti in misura diversa: una quantità prefissata e predestinata, secondo i fatalisti; una quantità sconosciuta e variabile, secondo altri; ma in ogni caso nient’altro che questo, tant’è vero che siamo qui a salutare chi tempo non ne ha più. Perché tutte le religioni, credenze, filosofie e convinzioni concordano sull’idea che il tempo, così come lo intendono e lo percepiscono i viventi, sia cosa diversa quando non si vive più. Si parla di eternità, che è tempo congelato; o di nulla, che è tempo infinitamente accelerato; nessuna via di mezzo. Ma in un caso e nell’altro, il tempo non è più una metrica importante, una volta varcata la soglia. Perché se esiste qualcosa dopo la vita, allora chi ci è arrivato non è più governato dal tempo, e allora è già accompagnato da tutti gli eterni; se invece non esiste, allora il tempo non può regolamentare alcunché, e quindi non dovremmo preoccuparci troppo del nostro credito esaurito. Dovremmo imparare a stupirci, ogni volta che incontriamo qualcuno. Stupirci e rallegrarci, perché quello sconosciuto che incrociamo non soltanto è proprio come noi - una piccola scheggia di tempo - ma è anche contemporaneo a noi. Essere insieme, nello stesso luogo dello spazio e nella medesima piega del tempo, è cosa eccezionale, e come tale dovrebbe essere vissuta. Anche senza la condivisione di religioni o filosofie, anche senza la coincidenza di ideali, senza l’appartenenza alla stessa famiglia, gruppo, squadra; anche senza nulla di tutto ciò, dovrebbe bastare questa consapevolezza, solo la constatazione di contemporaneità, per sentirsi uguali. Viviamo la vita nello stesso momento, fratello: dovrebbe bastare per farci star bene insieme. Per amarci, insomma; se solo non avessimo paura anche di questa parola, oltre che della morte. Piero Fabbri


Il denaro non esiste

... e io contavo i denti ai francobolli dicevo “grazie a dio” “buon natale” mi sentivo normale…

laboratori

Ticchettio di tastiera in sottofondo costante. Occhi fissi sul monitor. Fa caldo, troppo caldo per una giornata di fine ottobre. Apro la finestra dell’ufficio gialleggiante nel neon e ritorno a ballare il tip-tap sulla tastiera. Da fuori - esiste un fuori anche nelle giornate di ufficio! un ritmo cadenzato, un coro da stadio, un’onda gracchiante di megafoni. Allento la cravatta e scruto meditabondo, da una finestra del Palazzo, la cinta d’assedio dei manifestanti. La solita stanca riedizione della protesta, mi trovo a pensare. Appuntamento autunnale più puntuale della caduta delle foglie. Eppure... Spengo il computer, aggiusto la cravatta, timbro il cartellino, esco all’aperto. Li trovo ancora lì, sudati, sgolati, spompati, a innalzare il santino della “Beata ignoranza” per difendere, a detta loro, la scuola pubblica. Scansafatiche, si potrebbe pensare. Manifestanti oggi e fannulloni domani, sento commentare. Ma cosa sanno loro della riforma? Hanno letto tutti gli articoli, tutti i commi e tutti i sottocommi? Che idee hanno, cosa pensano, cosa vogliono davvero, oltre che trovare una scusa per non andare a scuola, per rimorchiare le ragazze, per stare insieme, lì, tutti insieme a protestare? Brusio di fondo di passantame scettico. Già: “insieme”, una parola che non pensavo da un po’, a pensarci bene. Ma sì, sarà la solita bolla di sapone, un nuovo ’68 montato dalla stampa, che si asciuga via nel corso di poche settimane. Eppure… Eppure sarebbe bello pensare che possa davvero accadere qualcosa di nuovo, che una generazione che tutti davamo per dispersa, rabbiosa ma silente, rassegnata a portare sulle proprie spalle precarie il peso del declino, possa alzare finalmente la voce. Possa dimostrare di non avere paura di nulla, perché tutto quello che è stato loro promesso si sta già sgretolando. Possa aver capito che, quando non ci sono più vie di fuga individuali, quando il futuro è torvo, quando tutti ti dicono rasségnati e sopravvivi, forse l’unica salvezza è stare insieme. Urlando alla facciata di un Palazzo che tanto lo sai che non ti ascolterà, ma con l’arrogante pretesa di essere protagonisti almeno di un brandello di presente. Siate arroganti, sibilo tra me e me. Siate sfrontati, mi trovo a dire a mezza bocca. E cercate di non assomigliarci, quasi urlo all’indirizzo di un alieno con un lungo trecciolone rasta che mi scruta con l’occhio stolido di un cormorano. Poi si incammina con una birra in mano ed in fondo non lo sa nemmeno lui se sta replicando il passato o costruendo il futuro. Francesco Borzini

Lab

Se ritenete di essere persone positive, che in quanto tali credono solo a ciò che vedono e spregiano fantasie e fanfaluche, siete probabilmente anche persone che credono profondamente nella realtà del denaro, in quanto esso si tocca, si misura, si scambia secondo un valore accettato. Esistono listini e mercuriali, interi corsi scolastici e di laurea se ne occupano, schiere di professionisti ai più svariati livelli ne trattano. Eppure il denaro non esiste. Esso è la più grande allucinazione collettiva che vi sia mai stata sulla faccia della terra. E per poterlo considerare reale occorrono grandi dosi di astrazione, fantasia e credulità. Infatti: cos’è il denaro? Carta. E questa carta perché ha un valore? Non perché stampata dallo Stato (questo ne garantisce solo l’autenticità), ma perché esso rappresenta una quota della ricchezza di chi lo stampa. Un tempo era l’oro esistente nei forzieri del re e la carta in quell’oro poteva essere riconvertita; più tardi esso rappresentò l’oro dello Stato e su ogni banconota c’era infatti la scritta pagabile a vista al portatore, il che per molto tempo garantì, con la riconversione in oro che chiunque poteva chiedere in qualunque momento, la veridicità di quanto vi era scritto. Però, divenendo tale veridicità per più ragioni sempre più problematica, fu fatto un vero e proprio imbroglio: con apposita legge si stabilì che sì, le banconote potevano essere convertite, ma non in oro, bensì in altre banconote della stessa carta. A questo punto il cammino verso l’astrazione s’è compiuto: oggi la carta moneta infatti rappresenta la ricchezza complessiva del Paese, ogni singola banconota rappresentandone la quota attestata dalla banconota stessa. E la ricchezza del Paese come si misura? In denaro, naturalmente. Sicché il denaro è tanto il misuratore quanto il misurato, come dire che custodito e custode, poliziotto e arrestato, diavolo e acquasanta, in una parola, parte attiva e parte passiva s’identificano (meglio: confondono) l’una con l’altra. Il che, quando anziché in campo economico avviene in quello psichiatrico, prende il nome di Schizofrenia e si cura con ricoveri e farmaci. Ma il punto che ci dice come il denaro sia pura astrazione e richieda un atto di fede totale, è un altro. Immaginiamo che un bel giorno tutti i cittadini si sveglino decisi a controllare l’effettivo valore di quella carta garantita, ma a parole, dallo Stato e pertanto rifiutino categoricamente - come avverrebbe in qualsiasi altro campo, salvo quello religioso - di accettare dal centesimo al milione, prima di aver toccato con mano la realtà di ciò che è asserito. Ebbene, in quel preciso momento l’intera civiltà crollerebbe, travolta dalla più immane catastrofe economica della storia e i singoli biglietti di banca tornerebbero al valore di ciò che effettivamente sono: carta. In realtà, e per fortuna, questo non accadrà mai; e sapete perché? Proprio per l’enorme potenza suggestiva dell’allucinazione. Questa infatti viene condivisa da tutti e tutti ci credono, proprio come il bimbo crede al Lupo mannaro di cui il nonno racconta. E se tutti ci credono, come potrebbe non essere vera? Saranno perciò certamente molti di più coloro che, leggendo questo articolo, dubiteranno della solidità mentale di chi l’ha scritto, che non coloro che dubiteranno della solidità del denaro che maneggiano e - importantissimo - sulla fede nella cui esistenza sopravvivono. Vincenzo Policreti

DENARO Moneta d’argento dei Romani del valore di dieci assi. In origine i Romani avevano per moneta l’aes rude, asse (rame) rozzo, senza forma, pezzi cioè di rame calcolati secondo il peso. Fu poi monetato e fuso in pezzi quadrati od oblunghi. Poi l’as libralis, del peso di una libra. L’as si divideva, come la libra, in unciae (once). L’asse del peso di una libra si chiamò aes grave, asse pesante. Verso il 269 aC si cominciarono a coniare monete d’argento: il sesterzio valeva due assi e mezzo; il denaro valeva quattro sesterzi, cioè dieci assi. Denarium significa infatti moneta di dieci assi. Deni, ae, a è il numerale distributivo che significa a dieci a dieci, dieci per ciascuno. Poi: 12 denari = 1 SOLDO (da solidum nummum, moneta d’oro massiccio, da solidus, massiccio, solido); 4 denari = 1 QUATTRINO (da quattro).

P.zza del Mercato Nuovo, 61 - 05100 TERNI www.salvatidiagnostica.it - Dir. Dr. Roberto Salvati

Unità Operative

Settore Medicina di laboratorio Tel. 0744.409341 Patologia Clinica (Ematologia, Chimico-Clinica, Immunochimica, Coagulazione) Microbiologia e Parassitologia Clinica Riproduzione (dosaggi ormonali, valutazione fertilità maschile) Infettivologia - Allergologia - Biologia Molecolare Tossicologica umana e ambientale - Citologia Intolleranze alimentari - Malattie Autoimmuni

Settore AcquAriAlimenti Tel. 0744.406722 Microbiologica e chimica degli alimenti e delle acque Consulenza ed assistenza tecnico-legislativa in aziende alimentari Valutazione, progettazione, implementazione piani HACCP Corsi di formazione ed aggiornamento

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La solitudine del lettore Il lettore oggi vive nella stessa solitudine di un eremita. Se una volta, infatti, era abituato alla lettura dei libri, dei quotidiani, ora, grazie agli innumerevoli cambiamenti apportati dai mezzi di comunicazione, accede direttamente in rete e scarica ciò di cui ha bisogno oppure, ancor più semplicemente, accende la tv e si isola così nel proprio mondo solitario, in cui non esiste altro che lo schermo e se stessi: la realtà nella quale vive non è più così tanto vera, ma di essa non rimane che una sottile e trasparente parvenza. Niente più carta stampata, ogni cosa viene riformattata all’insegna di questa nuova galassia multimediale in cui contano più le immagini che le parole. Ma il lungo processo evolutivo della comunicazione è spesso stato disomogeneo e imprevedibile; questo perché dipendente da un singolo fattore, individuale e culturale: il desiderio è la capacità di ciascuno nel voler comunicare, saper ascoltare, saper distinguere e cercare le informazioni più interessanti. Il tortuoso cammino ebbe inizio nel 1452 quando Gutenberg dette vita alla stampa a caratteri mobili rendendo accessibile ad una più ampia fascia di persone la trasmissione scritta della cultura. A partire dall’800 la storia dei mezzi di comunicazione si lega in modo definitivo allo sviluppo tecnologico ed industriale subendo un processo di accelerazione impressionante, il cui esito finale, volgendo lo sguardo al presente, non è poi così tanto promettente. Tra il 1830 e il 1840, l’invenzione del telegrafo rese possibile la nascita della telecomunicazione. Nel 1876 Graham Bell brevettò il telefono e sempre nello stesso periodo Thomas Edison inventò i primi sistemi per la registrazione. E fin qui sembrerebbe essersi instaurato tra uomo e mezzi di comunicazione un rapporto fondato principalmente sull’utile, dovuto alla necessità che ognuno ha di comunicare ed esprimersi. Tuttavia sarà il ‘900 a costituire la vera e propria frattura tra dimensione Gutenberg e l’attuale dimensione multimediale. Nel 1936, infatti, la BBC inaugurò a Londra il primo servizio di trasmissioni televisive. Ed ecco la televisione, una meta, se si pensa ai grandi vantaggi ricavati grazie ad essa nel campo della comunicazione, ma una regressione per l’uomo che predilige le immagini alle parole e così si lascia incantare da quella grande scatola magica che poi tanto magica non è. Non molto più in là si giunge infine all’avvento di Internet che apporta una trasformazione alle modalità di diffusione delle notizie simile a quella a suo tempo apportata dall’invenzione del telegrafo, anche se di maggiori proporzioni (e danni). E si approda così al 2000, il secolo dei media, in cui per comunicare occorre solo possedere un computer e connettersi alla chat. Internet diventa uno strumento indispensabile, come prima lo era la stampa. Ma quanto è realmente necessario? E soprattutto quanto influisce sull’uomo? Indubbiamente ha costituito una grande innovazione, che ha portato a modi di comunicazione decisamente più rapidi ed efficaci. Gli stessi e-book d’altronde ne sono una dimostrazione: piccoli libri in formato elettronico il cui termine indica sia la conversione in digitale di una qualsiasi pubblicazione sia il dispositivo con cui il libro può essere letto. Quotidiani e carta possono da ora in poi essere soppiantati da Internet; non occorre più entrare in una libreria e cercare oppure ordinare un particolare volume che può tranquillamente essere scaricato dalla rete. Così al piacere di sfogliare le pagine di un libro o un giornale si sostituisce la freddezza del computer. Il desiderio di leggere mano a mano si assopisce e per quanto la comunicazione sia stata accelerata, difficilmente verrà risvegliato. Le parole vengono sostituite dalle immagini o come dice Sartori si ritorna alla capacità ancestrale dell’uomo. E non si tratta solo di Internet, ma anche di tutte quelle altre innovazioni come la tv che portano l’essere umano ad un processo inverso, di regressione. Eppure c’è chi afferma che la galassia multimediale in fondo abbia ridato voce al mondo, piombato nel silenzio a causa della dimensione Gutenberg; possibile invece che non sia l’esatto contrario? A questo proposito Galimberti in un articolo del ’95 cita una storiella per bambini in cui si racconta che un re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio personale sul mondo: perciò gli regalò carrozza e cavalli. Ora non hai più bisogno di andare a piedi - furono le sue parole. Ora non ti è più consentito di farlo - era il loro significato. Ma in verità come poter fare esperienza del mondo portandosi il mondo a domicilio? Così l’uomo con Internet allo stesso modo perde la possibilità di fare direttamente esperienza della realtà e si chiude in una solitudine da eremita, limitandosi a consumare le immagini del mondo che gli giungono attraverso lo schermo del computer. Il mondo reale perde la sua concretezza e diviene qualcosa di astratto, una realtà digitale fantasma. Anche il solo scambio di informazioni avviene in modo solitario; ciascun utente infatti è solo di fronte al suo computer attraverso il quale gli giungono dati e immagini inviategli da un altro utente, altrettanto solitario. Così la comunicazione diviene fredda, passiva e con essa anche le persone. In conclusione l’uomo, perdendo la capacità di fare direttamente esperienza dal mondo, verrà soffocato da una massa di dati, finirà per non comprendere più la realtà; privato dei mezzi di comunicazione, della possibilità di condividere le proprie esperienze, finirà per essere ancor più solo pur vivendo in un mondo comune, diverrà un navigatore solitario, naufrago a sua insaputa nella propria realtà fantasma. Livia De Paolis

Una mobilità s o s t en i b i l e Un primo criterio per mettere a confronto i vari biocombustibili è quello di considerare le emissioni di CO2 nell’intera filiera (well-to-wheel: dal pozzo alle ruote): ovvero l’impatto ambientale in termini di rilascio in atmosfera di gas serra per la loro produzione e distribuzione (well-to-tank: dal pozzo al serbatoio del veicolo), oltre che in seguito alla loro combustione (tank-to-wheel: dal serbatoio alle ruote del veicolo). E’ interessante confrontare le performance dei biocombustibili anche con i combustibili tradizionali, considerando le varie tipologie di sistemi propulsivi: motori a benzina e a gasolio tradizionali, propulsori a GPL e a metano, sistemi a trazione ibrida e a celle a combustibile. Evidentemente i propulsori tradizionali hanno un impatto ambientale simile per quanto riguarda la prima parte della filiera, ovvero la produzione e distribuzione della benzina e del gasolio, mentre i motori Diesel hanno un vantaggio in termini di rendimento e quindi minori consumi e minori emissioni di gas serra rispetto ai motori a benzina. I propulsori capaci di bruciare biocombustibili hanno dei vantaggi in quanto la produzione di tali carburanti comporta l’assorbimento di gas serra per fotosintesi clorofilliana. D’altra parte, a seconda delle tipologie di biocombustibili, variano le emissioni di gas serra in seguito alla loro combustione. Infine i sistemi propulsivi ad idrogeno, basati sulla tecnologie delle celle a combustibile, hanno lo straordinario vantaggio di non rilasciare in atmosfera gas serra allo scarico (l’idrogeno si combina con l’ossigeno e non produce ossidi di carbonio o altri gas responsabili dell’effetto serra). Ma rimane al momento l’handicap dell’impatto ambientale della produzione dell’idrogeno, al 95% ottenuto bruciando combustibili fossili. In prospettiva, l’etanolo da grano, insieme con il bio-diesel di seconda generazione (di origine cellulosica) e con l’idrogeno da fonti rinnovabili, posseggono il maggior potenziale per contenere le emissioni di CO2. Altro criterio di confronto è il tenore energetico dei vari tipi di combustibile. Rispetto alla benzina tradizionale, l’etanolo possiede circa il 30% in meno di energia: per sostituire un litro di benzina occorrono circa 1,3 litri di etanolo. Da tenere in considerazione anche le modifiche che è necessario apportare ai tradizionali propulsori a combustione interna quando si utilizzano miscele di combustibili tradizionali e di biocombustibile. Ad esempio, quando il tenore di bioetanolo nella benzina supera il 5%, i tradizionali propulsori ad accensione comandata (ciclo Otto) necessitano di modifiche a vari componenti. Quando si utilizzano miscele tra il 10% ed il 25% di bioetanolo, sono necessarie modifiche sostanziali: al sistema di iniezione, alla pompa del carburante, al regolatore di pressione, al filtro del carburante, al sistema di accensione, al filtro dei vapori carburante, al serbatoio carburante e al convertitore catalitico. Se si utilizza l’E85 (miscela costituita all’85% da bioetanolo), è necessario modificare anche la meccanica del tradizionale motore a benzina, la composizione dell’olio motore, il sistema di aspirazione e di scarico, il sistema di avviamento a freddo. Inoltre, è necessario prevedere speciali sensori nel sistema di alimentazione del carburante per analizzare la miscela e controllare l’iniezione, oltre a particolari sensori allo scarico per misurare il tenore di ossigeno e determinare il contenuto alcolico della miscela. Tra i principali pregi dei biocombustibili: la varietà e la rinnovabilità delle risorse di partenza, la biodegradabilità, la riduzione delle emissioni di gas inquinanti e di gas serra in atmosfera, nel caso del biodiesel e del biometano l’utilizzabilità nei tradizionali motori a combustione interna senza particolari modifiche. Tra i maggiori difetti dei biocombustibili: i costi maggiori rispetto ai carburanti di origine fossile, altri usi industriali e alimentari delle risorse di partenza più redditizi, scarso potere lubrificante e difficoltà di avviamento a freddo (nel caso del bioetanolo), il potere solvente e corrosivo (nel caso del biodiesel), la necessità di raccolta differenziata delle risorse organiche (nel caso del biometano). Ing. Jacopo D’Andria

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C a n to n o t t u r n o d i u n p a s t o re e r r a n t e d e l l ’ A s i a

La noia leopardiana come elemento chiave della vita umana Se a qualcuno si chiedesse cosa realmente desidera dalla vita, come vorrebbe che essa fosse, nella maggior parte dei casi la risposta rifletterebbe il desiderio di un’esistenza priva di patimenti, nella quale ogni desiderio venga appagato. Ma è poi questo ciò che renderebbe davvero felice l’uomo, la possibilità di vedere ogni aspirazione soddisfatta? Per Leopardi, di certo, la vita non era questa. Egli, citando alcuni versi del celebre Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, dipingeva la condizione umana affermando: Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,/ e un fastidio m’ingombra/ la mente, ed uno spron quasi mi punge/ sì che, sedendo, più che mai son lunge/ da trovar pace o loco. L’uomo era, infatti, considerato dal poeta come costantemente vessato dalla noia, sentimento nato dal contrasto tra desiderio e mancato appagamento dello stesso. Ma non è, in fondo, proprio questo “spron” la molla della vita umana? Cosa sarebbe una esistenza nella quale si ottiene sempre e comunque ciò che si desidera? Una vita felice, risponderebbero superficialmente i più. La possibilità di acquietare ogni desiderio, pur potendo a una prima analisi sembrare priva di aspetti negativi, soffocherebbe quella che è la fiamma della vita stessa: il bisogno, la voglia di lottare per ottenere qualcosa. Se fossimo già sicuri di poter avere tutto, quale sarebbe lo scopo della vita? Crogiolarsi semplicemente in una condizione d’immutabile stabilità, condurrebbe l’uomo, col procedere, a vivere in uno stato di apatia, semplicemente beandosi di ciò che possiede, senza recepire in nessun modo stimolo alcuno, senza vivere quella che è la gioia che scaturisce dal lottare per raggiungere una meta. Un uomo può condurre una vita degna di essere chiamata tale pur non potendo soddisfare ogni suo desiderio, proprio (e soprattutto) perché vive stimolato da uno “spron”, dal tentativo di trovare qualcosa che appaghi i suoi bisogni, che lo renda migliore. È, dunque, superficiale la lettura dell’esistenza che ne propone lo stereotipo di perfezione in una realtà priva di ogni delusione. È, infatti, propria dell’animo umano quella disposizione naturale ad appagare i propri desideri, alla lotta per raggiungere un obiettivo, ed eliminando le condizioni che rendono possibile questa tensione, eliminando il desiderio di conquistare qualcosa, in quanto essa ci è sempre e comunque fornita, non si potrebbe non privare l’individuo stesso di una parte costitutiva del suo essere uomo. Chiara Barzetta - III PI

La vertigine di un vuoto infinito A differenza degli altri canti “pisano-recanatesi”, centrati sul dialogo di Leopardi con il piccolo mondo di Recanati, questo è ambientato in un luogo lontano ed indefinito e il suo protagonista è un anonimo pastore, portavoce degli stati d’ animo di tedio e di sgomento provati da ogni uomo di fronte alla vanità e alla incomprensibilità dell’esistenza. Un solco tanto marcato, su un piano sia strutturale che contenutistico, non è stato tracciato casualmente, ma è funzionale a suscitare emozioni di natura diversa rispetto alle altre opere di questo ciclo. Si può affermare, infatti, che in questo componimento il pessimismo cosmico di Leopardi giunga al suo culmine e termini la parabola intellettuale che era iniziata con i piccoli idilli del 1819. Il Canto Notturno giunge, attraverso un procedimento meramente intellettivo e non più sensistico, a determinare la vanità del tema eroico di varcare ogni limite di spazio e tempo (cfr. L’ Infinito), e a svelare l’ unica risposta possibile a qualsiasi domanda di senso che l’ essere umano si pone: E’ funesto a chi nasce il dì natale, non solo l’uomo, ma ogni essere, è destinato alla perpetua infelicità. Ciò che il lettore può provare quindi non è altro che infinita angoscia, contemplando l’ostinato silenzio della luna e la solitudine disperata del pastore, e, in generale, il vuoto abissale e desolante dell’universo. Ogni parola, ogni meditazione, lo stesso ritmo musicale della poesia, che riecheggia i canti lamentosi dei pastori kirghisi, concorre a scatenare in noi le più cupe riflessioni sulla condizione degli esseri viventi, immersi in un cosmo malevolo e insensato. Ma anche se così non fosse, basterebbe analizzare il significato filosofico della figura del pastore per comprendere il tetro messaggio leopardiano: egli è un personaggio primitivo, ingenuo, in constante contatto con la natura, eppure consapevole dell’infelicità universale non meno degli uomini civilizzati. Il Pessimismo Cosmico, quindi, segna la fine di una stagione del pensiero occidentale e il Canto Notturno è il suo epitaffio, che il lettore non può che osservare sconsolato. Alberto Coletti - III PN

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LICEO CLASSICO

Il perché della vita e la questione irrisolta Giacomo Leopardi fu non solo un poeta, ma anche un filosofo instancabile, che per tutta la vita tentò di dare un significato all’esistenza umana e, in particolare, al dolore, che egli G . C . T A C I T O riteneva connaturato ad essa. Il suo pensiero fu, sin dall’inizio, improntato ad un forte pessimismo, tanto più esacerbato dall’accettazione di una visione meccanicistica del cosmo. Tale pessimismo raggiunge il suo culmine nell’opera Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia, dove assume un carattere cosmico, in quanto esteso a tutto l’universo. Leopardi, attraverso la voce di un umile pastore, si interroga sul perché della vita, ossia di “questo vagar mio breve”, le cui sofferenze terminano solo con l’ “abisso orrido, immenso” della morte. Per l’uomo e per qualsiasi altro essere vivente, perciò, la nascita è la causa prima del dolore esistenziale. La domanda sul significato della vita è, a mio parere, fondamentale. La concezione maturata dal Leopardi è terribile: nel momento stesso in cui affronta tale domanda, egli afferma l’impossibilità di dare una risposta; rifiuta qualsiasi religione, qualsiasi ideale, qualsiasi tentativo umano di dare un fine alla realtà; ritiene che il mistero dell’esistenza possa essere contemplato, ma non capito. Dunque che valore ha la vita? Nessuno. Non esiste alcuna illusione, cioè alcun postulato del pensiero, che sia valido, in quanto l’unica certezza è la sofferenza del vivere, comune a tutta la natura. Così l’uomo si vede privato di un motivo valido per stare al mondo, per lottare contro le sventure, per ricercare una condizione di felicità. A mio parere, dunque, Leopardi lascia irrisolta tale questione: Se la vita è sventura, perché da noi si dura?; in altre parole, perché gli uomini la sopportano, dimostrando in realtà un forte attaccamento ad essa? All’interno del canto la morte è rappresentata come un ritornare e confondersi nella materia, che, in quanto tale, non offre alcuna consolazione all’uomo; potrebbe comunque essere una soluzione, dato che la vita stessa è male. Perché, dunque, scegliere di vivere? Laura Noceta - III PI

L’uomo errante in se stesso ...e quando miro in cielo arder le stelle;/ dico tra me pensando:/ a che tante facelle?/ che fa l’aria infinita, e quel profondo/ infinito seren? che vuol dir questa/ solitudine immensa? ed io che sono?... In questi versi Leopardi esprime i grandi interrogativi sul senso della propria esistenza che ogni uomo allora ed oggi si pone. Il poeta, nel corso della sua vita, attraverso la sua poetica è riuscito a fissare l’atteggiamento dell’uomo di fronte a tali interrogativi e qui ne dà la soluzione. Leggendo i piccoli idilli conosciamo un Leopardi, un uomo, che tenta, come ne L’infinito, di perdersi in questi interrogativi, di entrare in simbiosi con “l’aria infinita”, “l’infinito seren” e “il naufragar m’è dolce in questo mare” ne è la piena ammissione. Il Leopardi ventunenne de L’infinito, come ogni giovane che attraverso lo studio della storia, della letteratura è venuto a contatto con questi interrogativi e se li è posti esso stesso pensando alla propria vita, tenta ancora di dar loro una risposta, o almeno di capirli, di capire se stesso attraverso domande esistenziali. Sente il bisogno di farlo. Ne L’infinito in un certo senso si crede ancora in queste domande: il poeta, il ragazzo credono che forse anche nel solo atto di perdersi nell’infinito sia la risposta e, dopo, la realtà, il vero diventeranno chiari, e, tramite questi versi che appartengono ai canti Pisano-Recanatesi ed a un Leopardi ormai totalmente fuori dalle illusioni giovanili, il poeta lo vuole comunicare all’umanità. Gli interrogativi del canto notturno, la domanda “io che cosa sono?” sono la soluzione stessa: questi interrogativi non possono che rimanere tali, non vi è una risposta, né razionale né sentimentale, né filosofica, né storica. Questa è la consapevolezza del Leopardi e dell’uomo adulto. Sono questi interrogativi sul mondo e su se stesso che guidano l’uomo nella sua vita e per Leopardi nel suo percorso di coscientizzazione del vero. Non vi può essere una risposta universalmente valida: l’umanità non la troverà mai; forse è proprio ricercandola in se stesso e nel mondo che l’uomo Erika Molica Colella si conosce e vive.


I.T.C. Federico Cesi

Il 26 settembre 2008 gli alunni frequentanti il Percorso Integrato Istruzione-Formazione Web Engineer hanno sostenuto l’esame di qualifica professionale, concludendo così il primo ciclo di istruzione-formazione previsto dall’offerta formativa dell’I.T.C “F. Cesi” di Terni. Per comprendere meglio il tipo di esperienza vissuta dagli alunni presentiamo brevemente la struttura di tale percorso: si tratta, come sottende la stessa definizione, di un percorso che prevede 24 ore di lezione curriculari, da svolgersi nella sede scolastica, e 10 ore di lezioni extracurriculari che vengono svolte presso la Tekna di Terni (agenzia di formazione accreditata). Nei primi tre anni di scuola gli alunni che hanno scelto tale indirizzo di studi hanno seguito fuori sede, in aule di informatica adeguatamente accessoriate, le lezioni di discipline professionalizzanti del settore informatico e, nelle normali aule scolastiche, le lezioni previste dal piano di studi IGEA dell’Istituto Tecnico Commerciale. Al termine del percorso triennale gli allievi hanno sostenuto gli esami di qualifica professionale alla presenza di due rappresentanti della Provincia di Terni, un rappresentante della Regione Umbria, un rappresentante del Ministero del Lavoro, un rappresentante del Ministero della Pubblica istruzione, un rappresentante delle Associazioni sinda-

Percorso Integrato Istruzione-Formazione Web Engineer

cali, un rappresentante delle Associazioni di categoria, un rappresentante della Tekna, il Tutor scolastico, i docenti, gli esperti esterni e hanno conseguito la certificazione Cisco Systems. Ci sembra interessante, dopo tali precisazioni, riportare quanto riferito dagli allievi, che oggi stanno regolarmente frequentando la quarta classe programmatori del “F. Cesi”, dopo aver sostenuto gli esami di cui sopra: Quando abbiamo scelto di frequentare il percorso integrato avevamo solo 14 anni e lo abbiamo fatto quasi per gioco, ma ne siamo usciti a “testa alta”, malgrado si sia trattato di un percorso impegnativo conclusosi con un esame altrettanto serio e articolato. Tale esperienza ci ha responsabilizzato in modo significativo e ci ha dato l’opportunità di diventare un coeso gruppo classe. Oggi possiamo affermare con orgoglio: ci siamo riusciti, abbiamo imparato molto e saremo pronti a ripetere di nuovo la stessa scelta!

In cammino verso il lavoro

E’ stata dura … ma ne valeva la pena!

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Scuole Elementari

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Signor Ministro, sono un’insegnante in pensione, ma emotivamente mai andata in pensione. Non ho mai scritto mail ad alcuno, se non ad amici, ma questa volta, mi creda, è un’emergenza. Non ho colore politico in questo momento perchè credo che tutti, indistintamente, realizzino progetti positivi e non: nessuno è esente da errori... nessuno è totalmente nell’errore. Quando ci si inoltra nella fase della progettualità, bisognerebbe sempre chiedersi: Dove sto sbagliando...dov’è il punto debole? Perchè c’è, mi creda... inevitabilmente il punto debole o errato c’è. Questa domanda mi ha accompagnato nel lungo viaggio, fantastico e misterioso che l’infanzia propone a noi adulti. Nonostante questo ho certamente sbagliato. Non sono stata missionaria, ma solo e sempre una professionista: ho ingurgitato libri, ho collaborato con associazioni della scuola, ho partecipato a seminari, corsi d’aggiornamento anche d’estate, quando altri erano in vacanza, a corsi triennali di informatica già nei lontani anni 80, ho interagito con i colleghi perchè più intelligenze potessero sbagliare di meno. Lavorare in equipe e poi in team nelle classi era di fondamentale importanza perchè solo così si creava una osmosi culturale che gli alunni recepivano. L’ insegnante unica è appartenuta alla mia infanzia... mi ha dato una grossa fetta di strumentalità in lingua italiana, in aritmetica e geometria... e tanta tristezza... Un insegnante unico può essere eclettico e creativo, ma anche spento e piatto. Un insegnante unico non può soddisfare le molteplici conoscenze che la società propone, non può soddisfare le infinite potenzialità intellettuali che il bambino possiede. Signor ministro, mi creda, il bambino è immerso in uno straordinario mondo di stimoli culturali: giochi elettronici, computer, vacanze e viaggi internazionali, palestre, campi di calcio, pomeriggi con gruppi di coetanei... è abituato a relazionarsi con adulti della famiglia, della scuola, del tempo libero... non lo rinchiuda in un’aula con un solo insegnante che non può detenere, da solo, le sfumature della metodologia e della didattica di quasi tutte le discipline. Si insegnava lingua italiana... si insegna da anni linguistica con i linguaggi della comunicazione verbale e non; si insegnava aritmetica e geometria... si insegna da anni matematica con i linguaggi propri di essa... c’ è poi il settore storico-antropologico-scientifico per il quale è possibile tuffarsi nell’ambiente dell’archeologia, negli ecosistemi che pullulano intorno al bambino, nel magico mondo del laboratorio scientifico dove microscopi, provette, beute e pipette aprono spazi illimitati di conoscenza. C’è il mondo dei colori e dei suoni che proiettano nella dimensione dell’arte: la mia generazione, con il maestro unico, è cresciuta senza di essi. La gestione della classe da parte di più insegnanti è una straordinaria palestra di vita e di democrazia: si immettono in essa le peculiarità di ciascun docente, i linguaggi, l’emotività, il temperamento, la gestualità, le possibili divergenze di opinioni e diversi stili di intervento; tutto ciò amplia il linguaggio, prospetta soluzioni diversificate, insegna il confronto e lo scontro dialettico, nell’interesse di un comune obiettivo. L’ uomo di domani, l’uomo del mondo del lavoro dovrà avere una variegata gamma di conoscenze, una pregnante valenza culturale ed emotiva, la fluidità mentale indispensabile ad individuare soluzioni multiformi in breve tempo. La scuola elementare ha voluto e formato insegnanti specializzati nei vari settori, ormai da anni. Non permetta che tutto questo si disperda: ogni insegnante, solo con se stesso e la classe, si cimenterà maggiormente dove si sente più esperto tralasciando o peggio ancora, trasmettendo le proprie insicurezze nelle altre discipline. I processi cognitivi si attivano in un contesto di relazioni: in un ambiente familiare deprivato culturalmente, il bambino, fin dalla nascita avrà una scarsa valutazione di se stesso e una limitata integrazione sociale. Il maestro unico non può che impoverire culturalmente tale contesto come non può, per la numerosità delle classi, per gli impegni didattici da portare a compimento, soffermarsi sugli infiniti risvolti di ordine psicologico intessuti nei bambini. Signor ministro, gli alunni sono persone dalla nascita e crescono, troppo spesso, trascinandosi dietro le incoerenze, le ambiguità, le intolleranze, le lacerazioni intime dei loro genitori (quando ci sono). Mi fanno compagnia da anni le parole di un bambino: Grazie maestra, per quello che hai fatto per me. Lo disse avvicinandosi, come era solito fare per trovare un conforto, un rifugio rassicurante. Il padre era morto di overdose e lui, bambino, aveva bisogno di capire. Ho parlato con lui perchè la condivisione della classe con altre colleghe lo ha reso possibile. Devi ringraziare te stesso - risposi - Le mie parole sarebbero andate via col vento se tu non fossi stato disponibile ad ascoltare. In ogni classe gravitano penose vicende umane... in ogni classe ciascun bambino ha bisogno e diritto di esprimere gioie ed angustie. Vicende umane di ordinaria follia, ma anche di straordinaria emergenza di vita. Mi riferisco agli ormai tanti bambini di colore o di altra religione e cultura che vengono a noi senza conoscere la lingua, intimoriti da quanto succede. L’incontro con loro è per noi una ricchezza inestimabile, ma quanto tempo dovrà trascorrere prima che se ne abbia una piena consapevolezza! Signor ministro, tenti una riforma della scuola secondaria e sia presente nelle facoltà di ordine pedagogico preposte all’insegnamento perché è lì che bisogna creare i docenti adeguati a soddisfare le molteplici esigenze di una società in progressiva evoluzione, ma anche confusa e disorientata. Quando un ragazzo esce da un luogo di divertimento e si schianta contro un albero perchè le sostanze che circolano in lui ne hanno alterato la psiche, quando i ragazzi si dilettano ad umiliare, a danneggiare un loro compagno... non si può intervenire con lezioni di educazione stradale o con un voto, sic et sempliciter, di condotta perchè il problema è di portata enorme: è l’essenza dell’uomo, della sua valenza sacra ed insostituibile che va costruita con progetti educativi, in interazione con gli organismi sociali presenti sul territorio. La scuola si può riformare solo tenendo conto che essa vive dietro una cattedra, non dietro una scrivania. A Lei, signor ministro... buon lavoro. Sandra Raspetti maestra

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Le mie prospettive mentali si ampliarono vedendo la Terra sullo sfondo nero e poco invitante del vuoto, eppure le tradizioni del mio Paese mi avevano abituato a guardare oltre i confini fissati dall'uomo e oltre i pregiudizi. Non occorre intraprendere un volo spaziale per raggiungere tale stato d'animo. Rakesh Sharma (Soyuz T-11, Aprile 1984)

Appassionare, incuriosire, coinvolgere, avvicinare alle scienze astronomiche i lettori di questa rivista e interfacciare la nostra attività con i cittadini ternani, sono stati gli obiettivi primari che ci hanno guidato, fin dal mese di marzo di quest’anno, alla elaborazione di queste due pagine. Siamo sicuramente sulla buona strada. La conferma ci viene dalle migliaia di persone che hanno visitato l’Osservatorio di S. Erasmo, gioiendo nel riconoscere ad occhio nudo le costellazioni in cielo e con la visione al telescopio di tanti oggetti celesti. Alcuni sono ritornati più volte, per osservare un cielo stellato sempre diverso, altri portando un binocolo oppure un piccolo telescopio che avevano messo in cantina perché incapaci di far funzionare, altri ancora hanno pensato bene di diventare soci e stanno iniziando a fare ricerca con il telescopio di 500 mm di diametro dell’osservatorio di S. Lucia di Stroncone. Ma non siamo egoisti! Non dovete per forza venire da noi. Se avete deciso di osservare la volta celeste dal giardino della vostra casa oppure di recarvi in montagna da soli o con pochi amici per gustare appieno il fascino dell’universo, avvolti nel buio e silenzio più totali, saremo comunque al vostro fianco. Vi chiederete in che modo. Ma con La Pagina, naturalmente, dove, a partire dal prossimo mese, troverete su questo editoriale la nuova finestra: Primi passi fra le stelle. Di volta in volta, saranno trattati vari argomenti come ad esempio le caratteristiche principali dei telescopi; dove sono dislocati nelle nostre vicinanze i luoghi migliori per fare le osservazioni; come risolvere i problemi logistici sul campo; i primi oggetti da osservare; come iniziare a cimentarsi con la fotografia astronomica; guida agli acquisti per telescopi, binocoli accessori, libri e riviste, ed altro ancora. Capito? Non perdetevi nessuna puntata! Non dimenticate infine, che per qualsiasi problema e/o informazione, potete sempre contattarci telefonicamente o ancora meglio via e-mail agli indirizzi riportati in questa pagina. Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com

A sso c i a z i o n e Tern an a A strofili M a ssi m ilian o B eltram e Via Maestri del Lavoro, 1 - Terni tonisca@gmail.com 329-9041110

www.mpc589.com L’osservatorio astronomico di S. Erasmo è aperto gratuitamen te per i cittadini l’ultimo venerdì di ogni mese dalle ore 21,30.

Una

costellazione

al mese

Prolungando di circa quattro volte l’allineamento tra Megrez e Dubhe (la Delta e la Alfa rispettivamente) dell’Orsa Maggiore arriviamo alla costellazione dell’Auriga, formata da un grande pentagono di stelle. Poiché l’Orsa Maggiore in questo periodo è bassa sull’orizzonte nord, potreste avere difficoltà a rintracciarla. Allora prendete come riferimento la Polare e spostatevi verso est fino ad incontrare una stella molto brillante, con una colorazione che la pone a metà strada tra la bianchissima Vega della Lira e l’arancione Arturo dei Bootes: è Capella (la Capra), la stella più luminosa del pentagono dell’Auriga, con una magnitudine prossima allo zero. Non vi potete sbagliare! Dista 42 a.l. ed è luminosa 128 volte il Sole. Ha accanto un piccolo triangolo di stelle più deboli (i Capretti). La stella Alnath, sulla base del pentagono, anticamente chiamata Gamma Aurigae, è ora conosciuta ufficialmente come Beta Tauri, cioè non appartiene più alla costellazione dell’Auriga ma alla costellazione del Toro (per i nomi delle stelle vedi Pillole di astronomia di questo mese). La costellazione rappresenta un cocchiere che trasporta sulle spalle una capra e regge due o tre capretti in una mano e una frusta nell’altra. Il cocchiere è generalmente identificato con Mirtilo, figlio di Ermes (messaggero degli déi), e cocchiere del re Enomao. Egli tradì il suo padrone manomettendo il cocchio e facendolo morire per esaudire il desiderio della figlia di Enomao, Ippodamia, che si era innamorata di Pelope. L’oracolo aveva infatti predetto ad Enomao che sarebbe stato ucciso dal futuro genero ed egli, per non concedere in sposa la figlia, sfidava tutti i pretendenti ad una corsa con un cocchio. La posta in gioco era la mano della figlia nel caso in cui avesse vinto o, in caso contrario, la morte, ben sapendo di essere invincibile poiché possedeva i cavalli più veloci del mondo. Pelope, con l’inganno, vinse la gara e sposò Ippodamia, ma rifiutò di ricompensare il cocchiere gettandolo in mare. Mirtilo, mentre annegava, lo maledisse insieme a tutta la sua stirpe. Ermes, per ricordare il figlio, lo trasformò nella costellazione dell’Auriga. Giovanna Cozzari

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Apertura per il giorno venerdì 28 novembre 2008 È Luna nuova, pertanto con il buio assoluto, se ci assisterà una serata limpida, il cielo sarà ricchissimo di stelle. L’inverno è alle porte, Giove e Venere sono bassi sull’orizzonte ovest appena tramonta il Sole. Le costellazioni del Toro, dei Gemelli ed Orione saranno l’attrazione principale della serata e con il telescopio punteremo i loro gioielli: M1 (nebulosa del granchio), M 35 (ammasso aperto), M 45 (pleiadi) e M42 (nebulosa di Orione). Verrà osservato il cielo ad occhio nudo, e per mezzo di potenti, filiformi raggi laser, vi faremo conoscere tutte le costellazioni visibili, ed i relativi modi per orientarsi nella volta celeste. Simuleremo al computer l’universo, tramite sofisticati software di astronomia. Federico Guerri LA SICUREZZA DEI TUOI INVESTIMENTI

Vico Catina 15/A - Terni ilconvivioterni@virgilio.it

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0744471180 Chiuso di Domenica


Lu Bbigghe Banghe L’andru giornu stevo a jacchiera’ co’ ll’amicu miu. Me tt’ha fattu... Caru Lunardinu... devi sape’ che nojandri stemo su ‘na galassia che ‘nsieme a andri mijardi... A Zzichi’... quistu lo sò già! ‘N sarà che mme l’arpeti n’andra vorda!? No no... ‘ncora ‘n so’ ccucì! Te volevo di’... che ‘st’ammassi de stelle... se stanno ‘llontananno tra dde loro... Ammappete se cche occhi! Io non vedo neanche quella Lattea che cce stemo dentro... figuramoce!... Mo’ tte vojo spiega’ come se capisce… a ppropositu... senti ‘stu sonu de sirene? Senti che sse stanno a ‘vvicina’?... È l’effettu Dopplere! Ma come... io non sò se sso’ li pompieri o l’ambulanza e ttu... già hai capitu a qquilli che j’ha fattu male!? Tuttu ringalluzzitu me tt’ha fattu... Ma che stai a ddi’! Devi capi’... che ‘lla sirena aumenta la ‘cutezza de lu sonu quanno s’avvicina e... è ‘n bo’ più ggrave quanno s’allontana... ’Mbe’ quilli llà ddentro... quanno li portono via, sicuru che stanno peggiu... Zzichi’! Non me fa’ confonne... Lunardi’! Che tte stevo a ddi’? Ah ’mbe’... lu Dopplere... e ccucì è ppe’ le galassie!... Ma allora ciai anche le recchie bbone!... Ma nno! E’ cche ciavemo certi apparecchi che chiappono li strascichi de li colori che lasciono quanno esse se movono. Se s’avvicinono tra dde loro so’ ‘zzurri... mentre quilli che ‘emo vistu so’ rrosci... e allora s’allontanono... e sse mmo‘ s’allontanono... prima stevono più vvicine... e pprima ancora stevono più vvicinu ancora... e allora c’è statu ‘n momentu... nove... dieci mijardi d’anni fa che stevono tutte appiccicate. Immaggina la pressa de l’acciajeria che ffa diventa’ lu palazzone picculu picculu come ‘n granellu de sabbia! Sa’ che ccallu che sentivono strette strette ‘n quillu modu... e allora so’ sbottate... bbom... anzi Bbigghe Bbanghe! Li schizzi dappertuttu e l’Universu s’è ‘ncuminciatu a spanne. E no’ mme di’ ‘n do’ vole arriva’... perché so’ ttutte ‘potesi! Po’ darsi che ciarpenza e arfà lu giru all’incontrariu... e ppo’ arparte de novu! A Zzichi’... certu che s’armane sbalorditi! Ahò... guarda ‘n bo’ se cche erono ‘lle sirene... guarda che ‘ntrociata ‘lle ddu’ macchine rosce?! Quelle se vede che se stevono a ’llontana’... ma da la stessa parte! PC

ASTROrime… Terra Impiega una giornata per una rotazione… (23h 56m) ma un’intera annata per la rivoluzione. (365g 6h) Dal Sol la sua distanza… (149,6 milioni di km) la giusta inclinazione… (23° 27’) quell’aria in abbondanza fan cambio di stagione. Un quarto è terra ferma… gli oceani ancor più e questa è la conferma di un bel pianeta blu. (d=12.736km) paolo.casali48@alice.it

Le Supernovae

Nella prima puntata di questa serie di articoli dedicati alle supernovae abbiamo accennato al fatto che l’immane esplosione di una supernova può superare in luminosità l’intera galassia che la ospita. Ma cosa succede realmente alla stella che esplode ? Normalmente, la maggior parte del materiale che componeva la stella viene lanciato nello spazio e gli elementi che lo compongono si mescolano con le vicine nubi di gas interstellare; a volte, però, la stella non viene distrutta del tutto e al suo posto rimane un astro la cui definizione è al limite delle conoscenze scientifiche: si tratta infatti di una stella di neutroni o di un buco nero, la Resto della supernova galattica esplosa nel 1604 ed osservata da Keplero. cui spiegazione rimandiamo eventualmente ad una nuova serie di articoli. E’ invece interessante notare come la catastrofica fine di una supernova possa segnare l’inizio di una nuova vita: le onde d’urto create dall’esplosione della stella possono infatti compattare le eventuali nubi di gas interstellare presenti nelle sue vicinanze fino a innescare una serie di processi nucleari che portano alla accensione di una nuova stella. Inoltre, i materiali pesanti ( carbonio, ossigeno, ferro, ecc. ) dapprima forgiati nel nucleo della supernova e poi espulsi nello spazio a seguito della sua esplosione, potrebbero agglomerarsi assieme ai gas interstellari e formare dei corpi più o meno grandi che, orbitando intorno alla nuova stella, andrebbero a costituire il suo sistema planetario. Poiché il carbonio e l’ossigeno sono i mattoni fondamentali della vita, si può quindi affermare che, in epoche remotissime (qualche miliardo di anni fa) una supernova relativamente vicina potrebbe aver innescato l’accensione del Sole ed aver avviato i processi per la formazione della Terra e la comparsa della vita su di essa. Stefano Valentini

Pillole di astronomia Solo 264 stelle hanno nomi propri, circa 170 hanno nomi arabi o derivati dall’arabo come Vega, Deneb e Altair, 27 hanno nomi latini come Regolo e la Polare e 22 greci come Arturo e Sirio. La maggior parte corrisponde alle stelle che già nel catalogo di Tolomeo (II sec. dC) avevano nomi propri. Per quanto riguarda i nomi derivati dall’arabo non sempre il significato del termine è compiuto in quanto sono giunti a noi attraverso deformazioni, riscritture e traduzioni varie. Ma le stelle visibili ad occhio nudo sono molte di più e vengono generalmente indicate con lettere dell’alfabeto greco seguite dal genitivo del nome latino della costellazione: Alfa la più luminosa, Beta quella immediatamente meno luminosa e così via anche se questo ordine non è sempre rispettato. La stella più brillante dell’Auriga, Capella, si chiama Alfa Aurigae. Quando, per ciascuna costellazione sono esaurite le lettere greche si passa alle lettere latine. GC

Asteroide scoperto dall’Osservatorio di S. Lucia di Stroncone Nominato dal Minor Planet Center, Cambridge, USA Amleto Falcinelli N° 7963 MPC 33387

Discovered on Feb. 1st 1995 at Stroncone. Named in memory of Amleto Falcinelli ( 1921-1996 ), Italian bantam-weight boxing champion who fought from 1936 to 1956 in Italian, European and international rings. Legendary are his five matchces against the Spanish champion Romero for the European title which he won several times.

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I n t e rv i sta alle autrici Quattrocento documenti storici, trecento foto in gran parte inedite, tabelle riepilogative sono solo alcuni dei risultati di una indagine svolta, sul territorio ternano, da Daniela Ghione e Emanuela Ruffinelli, autrici del libro Dalla “saggezza pratica” alla “scienza della salute”. Percorso storico evolutivo dell’assistenza a Terni. Da dove nasce questo vostro impegno? In occasione della discussione della tesi per il conseguimento della Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, abbiamo deciso di approfondire la locale storia dell’assistenza sanitaria ed in particolare quella infermieristica. - risponde Emanuela Ruffinelli - Pertanto, attraverso lo studio di documenti risalenti al 1200, periodo di grande attenzione verso i sofferenti, fino al 1971, anno di istituzione del Corso per Infermieri Professionali a Terni, abbiamo rivissuto gli eventi politici, culturali, sociali, economici ed umani che hanno determinato l’evoluzione assistenziale. Come avete percorso questa strada di riscoperta di documenti storici? - chiediamo a Daniela Ghione. Abbiamo avuto accesso ai diversi archivi storici locali, consultato libri, alcuni dei quali di cartapecora, sfogliato pagine di documenti ormai destinate a polverizzarsi, creato quindi un archivio fotografico e una raccolta di materiale cartaceo; tutto questo ha significato, per noi, non solo collegare il passato con il presente ed il futuro, ma anche ricostruire, con molta emozione, la storia dell’assistenza infermieristica a Terni, per molto tempo ignorata, minimizzata e fraintesa. Ai numerosi documenti del passato, riportati in toto od in parte, nel libro voi avete inserito anche alcune interviste a colleghi, effettuate recentemente. Da quali considerazioni è nata questa scelta? - Chiediamo ancora ad Emanuela Ruffinelli. Intervistare professionisti sollecitandoli a ricordare episodi di vita vissuta, ci ha permesso di non disperdere quel patrimonio di esperienze umane e professionali di quanti, anche occasionalmente, hanno vissuto e contribuito a dare dignità alla nostra professione perché, come asserì il Prof. Francesco Bellini nel 1882, “l’Infermiere o Signori, non è mica un semplice pulitore di stoviglie, o rifacitore del letto dell’ammalato, ma è un buon aiuto del Medico, un secondo amico, dopo questi, dell’ammalato stesso (…) dobbiamo rivolgere l’animo nostro per educarlo, istruirlo, affinché egli possa davvero essere il buon aiuto del sanitario. Non s’improvvisa, l’Infermiere!”. Nel vostro libro si trovano riferimenti solo alla professione infermieristica o avete riportato documenti di interesse anche di altri professionisti? No. La figura infermieristica si delinea attraverso la lettura dei documenti relativi sia alla formazione che all’attività lavorativa, ma nel testo vengono riportati documenti riguardanti la professione medica e le figure interessate all’assistenza nel tempo. Aggiunge Daniela Ghione: Con ciò mi riferisco a tutti coloro che, ad esempio, un tempo assistettero i malati costretti nei lazzaretti, alle Congregazioni di Carità o ai Volontari del soccorso. Un capitolo in particolare è dedicato all’assistenza ospedaliera, trasversale a tutte la professioni, motivandone la sua ascesa ai livelli di eccellenza odierni. Un’ultima domanda la rivolgiamo ad entrambe le Autrici. Avete progetti per il futuro o la realizzazione del libro vi ha esaurito in termini di risorse fisiche, psicologiche od altro? Lo sguardo che si scambiano ed il sorriso che appare sulle loro labbra ci fa intendere la risposta prima ancora di udirla. Abbiamo ancora molti documenti da valorizzare, molte foto inedite, molti ricordi da documentare e da rispolverare riproponendoli all’attenzione dei concittadini ternani. No, non ci fermeremo qui! - Rispondono all’unisono. www.abitareinumbria.it

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La nostra Città ha una storia, un passato e tanti primati. Riscopriamoli insieme, uno alla volta. Il 1° Settembre 1939 le truppe naziste invadevano la Polonia. La Francia e l’Inghilterra, in difesa di quest’ultima, dichiaravano guerra alla Germania. Cominciava così la II Guerra Mondiale. La notizia faceva subito il giro del mondo e a Terni il venditore di giornali per le vie della città urlava: s’è smosso lu furmicaru, presagendo lo scatenarsi dell’immane conflitto. L’Italia, legata ai tedeschi dal Patto d’Acciaio, ma colta di sorpresa e sentendosi ancora impreparata alla guerra, dichiarava la propria non belligeranza. Una scelta che appariva momentanea, considerata la forza e i successi dell’alleato, come pure la sete di gloria e le manie di grandezza del Regime, che aveva già trascinato il Paese alla conquista dell’Impero e spedito militi e camice nere a fianco di Franco nella Guerra Civile Spagnola. Una posizione puramente attendista, che non lasciava tranquilla l’opinione pubblica, tanto più che, proprio in quei giorni, un invito governativo consigliava lo sfollamento delle grandi città e a Terni un’ordinanza prefet tizia dettava precise norme per la protezione antiaerea. La notizia della Dichiarazione di Guerra arrivò come un fulmine a ciel sereno qualche tempo dopo, in un mattino d’autunno. Anacleto, lo strillone de Il Messaggero, soprannominato den den per la sua capacità d’imitare la campana del tram, percorse le vie della città e le strade della campagna circostante gridando a squarciagola: leggete la dichiarazione di Guerra - leggete la dichiarazione di Guerra. Quel giorno vendette un mucchio di giornali, ma si beccò anche una denuncia per diffusione di voci allarmistiche e tendenziose. Negli uffici della Regia Questura, al funzionario di polizia che gli chiedeva conto del suo operato, fece leggere a sua discolpa un trafiletto del quotidiano, che appunto titolava: La dichiarazione di Guerra e in cui era riportata la decisione del mitico Learco di non partecipare al prossimo Campionato Italiano di ciclismo su strada. Una difesa ineccepibile, che disarmava il poliziotto e sul piano formale faceva cadere l’accusa. Dovettero quindi rilasciarlo e Anacleto riprese a diffondere il giornale, accolto dalla simpatia dei ternani, che, dopo lo sgomento iniziale, avevano sorriso dell’episodio e ancor più dei suoi risvolti tragicomici. Non sorrideranno invece il 10 Giugno dell’anno successivo, quando dal balcone di Palazzo Venezia Mussolini avrebbe annunziato alle camice nere della rivoluzione, ai combattenti di terra, di mare e dell’aria … che ... l’ora segnata dal destino, l’ora delle decisioni irrevocabili ... batte nel cielo della nostra Patria. Era, anche per l’Italia, l’inizio della guerra, un conflitto impari, un’immane sciagura, che avrebbe trascinata la Nazione nel dolore, nel lutto e nella disperazione. Sergio Bellezza

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Un ternano alla corte di Barack Obama Quanto i fumetti di Walt Disney, ma anche film come Ghost o ET, brani musicali come Born in the USA - o altri ancor più evocativi - incidono sul nostro modo di pensare e sui nostri comportamenti? Pur non essendo antropologo né sociologo, azzardo una risposta: credo non poco. Ognuno può scegliere l’America del cuore ed è un’America che non parla solo il linguaggio arido del dollaro. C’è l’America dell’affrancamento dalla schiavitù; quella dei diritti di libertà e dei corrispondenti doveri. L’America che ha sconfitto il nazismo. L’America della Nuova frontiera. L’America sotto il cui ombrello protettivo ci siamo

Con... il sosia...

rifugiati ai tempi della Guerra Fredda. L’America dell’allunaggio. L’America che ha subìto l’11 settembre. E l’America che, con una tragica bugia, ha portato la guerra in Iraq per un pozzo di petrolio in più: 4.100 soldati statunitensi, di cui 100 donne, e oltre 80.000 civili iracheni sono tutti affratellati dallo stesso destino di morte. Questa non è più la mia America, non quella che mi ha portato per mano, non quella su cui fantasticavo, ammirato. Occorreva perciò fare qualcosa contro un’agonia politico-economicoculturale che avrebbe trascinato nell’abisso l’intero Occidente.

Proprio il nostro gruppo ha scoperto una cosa assai singolare: ci giochiamo l’elezione per $ 0,17. Pochissimi infatti sanno che, perché la busta con il voto non sia distrutta, deve essere affrancata con la tariffa da $ 0,59 e non con la tariffa ordinaria, pari a $ 0,42! Il reclutamento dei volontari procede fino alle ultime ore, un movimento che ha assunto dimensioni mai viste: solo nella Greater Miami dovremmo essere in poco meno di 10.000 (diecimila!), pronti a dare il massimo fino alla fine. In America, infatti, non c’è il silenzio elettorale e porta a porta

E qui comincia la mia storia. Dopo otto anni di lavoro e grazie all’importantissima esperienza maturata con il mio maestro, Enrico Melasecche, il 30 giugno scorso mi dimetto dalla Regione Umbria e volo in Florida, Stato in bilico per eccellenza. Di fatto non conosco nessuno, ma sono certo che molti cittadini americani sono più che preoccupati per il futuro proprio e della loro nazione. L’occasione per studiare il sistema americano da vicino, capire le vere preoccupazioni della gente, dare concretamente una mano, creare un vero e proprio network di conoscenze si prospetta grazie ad un incontro del tutto casuale - la mia amica Shelly -, avvenuto camminando per la città. Del resto, sostiene il poeta, la vita è un viaggio da fare a piedi... Shelly è la mia fortuna perché, con la sua vivace militanza, mi proietta immediatamente nel mondo dei pro-Obama, ma i primi membri dello staff di Obama - giovanissimi giunti a Miami da mezzo mondo - sono qui solo da metà luglio e, per i primi 30 giorni, l’attività è puramente organizzativa, essenziale in uno Stato che, per motivi regolamentari, non ha nemmeno partecipato alle Primarie. Miami è realtà difficile per i Democratici americani perché molti cubani, gruppo formato da ben 700.000 persone su 2.300.000 (Greater Miami), ancora non perdonano a J.F.K. la resa al castrismo. Quindi occorre studiare attentamente i quartieri, nominando responsabili all’altezza. Soprattutto via Internet si recluta un numero crescente di volontari e, attorno al 20 agosto, la macchina parte con il suo carico di lavoro, essenzialmente concentrato su: - voter registration: per votare per la prima volta occorre iscriversi su uno specifico modulo e di questo si occupano i volontari dei partiti; - porta a porta per diffondere il verbo del cambiamento; - telefonate alle famiglie per capirne l’orientamento e tentare di renderle parte attiva; - inserimento dati al computer dei risultati di quanto si è fatto ai punti precedenti; - eventi, anche variopinti, spesso tesi alla raccolta fondi, necessari tanto più che Obama ha rinunciato al finanziamento pubblico e ai contributi dei lobbisti: giungono la moglie Michelle, alcuni artisti ed anche illustri pastori. In ottobre, i gruppi di lavoro sono consolidati, ma cambiano le priorità: persuasione degli indecisi e concentrazione sul voto via posta o anticipato (dallo scorso 20 ottobre), previsti dalla legge.

Con... il fratello di Jacqueline Kennedy

e telefonate di persuasione possono proseguire persino durante l’election day del 4 novembre. Sono convinto che, come nei fumetti che leggevo da bambino, modelli virtuosi, eroi in carne e ossa esistano tanto nella vita quotidiana quanto in politica: Barack Obama, con la sua storia personale, dimostra di essere uno di quegli eroi, uno di noi. La spinta e la partecipazione senza precedenti delle masse indicano che la sua potrà essere la prima vera presidenza del popolo degli Stati Uniti d’America. Andrea Liberati Miami, 25 ottobre 2008

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