Pudore e giustizia
Giampiero Raspetti
N° 9 - Novembre 2009 (69°)
Zeus ordinò ad Ermes di distribuire alla specie umana, minacciata di andar distrutta, il pudore e la giustizia. Chiese Ermes a Zeus: Devo distribuirli come è stato fatto per le arti, cioè uno solo che possegga l’arte medica basta per molti profani o le consegno a tutti? A tutti, rispose Zeus, le città non potrebbero esistere se solo pochi possedessero pudore e giustizia, come avviene per le altre arti. Istituisci, a nome mio, una legge per la quale sia messo a morte come peste della città chi non sappia avere in sé pudore e giustizia. Platone, Protagora, XII No, non penso come la maggior parte delle persone in merito al dualismo vita privata - vita pubblica. La vita privata, ripete affabilmente, anche se con piglio austero, la brava gente, non si tocca! Sì, ma quale vita privata, di chi? Quella dell’uomo qualunque o quella dell’uomo pubblico, o, magari, dell’addetto al sacro? Ritengo si possano considerare private le piccole malazioni (comunque da condannare) di chi, scoperto, contamina al massimo il vicino di casa: viene ritenuto, giustamente, un malandrino, si prendono le distanze, ma tutto finisce lì. Reputo invece che non ci sia niente di più pubblico del privato di un politico, il quale, infatti, fa ricorso alla sua vita privata da ammirare quando gli fa comodo, per essere eletto, mentre per il resto... tabù... “è il mio privato!”. Un amministratore della cosa pubblica, colui che ci rappresenta, nel paesello come nel villaggio globale, se è uno zozzone getta fango, non solo a casa sua o nel parco esiguo del vicinato, ma sulle somme istituzioni. Le istituzioni siamo noi, la nostra storia, i nostri padri, i nostri figli. Costui diventa poi anche ricattabile, in forme dirette o indirette, in denaro o in pressioni politiche. Quest’ultime provenienti più dal suo stesso entourage che dagli avversari partitici. Pagare (nelle forme più diverse, non solo in denaro) le prostitute, naturali o transgeniche, sarebbe dunque reato solo per l’uomo della strada? Ma siete proprio sicuri di voler raccontare questo ai vostri figli? Ci siamo tutti ispirati al sentimento del pudore. Siamo stati e siamo, tutti, cavalieri della giustizia. E ora dovremmo passar sopra a impudicizia e illegalità intonandoci alla moderna cantilena - il privato è sacro o a quella più datata: ascolta quel che il prete dice, non quel che il prete fa! Ma che è ‘sta zozzeria? I futuri candidati a ricoprire ruoli istituzionali dovranno essere tutti integerrimi. Per esserne certo mi rivolgerò, prima del voto, a Zeus Soter, salvatore e liberatore del popolo, ma anche signore della folgore divina. Posso infatti anche accettare che un vicino di casa non annoveri, tra le sue virtù, pudore e senso della giustizia, ma rifuggo come dalla peste chi, eletto, non ne abbia ad iosa (a dio sa quanto... cioè).
Maurizio Sabatini
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Quel pomeriggio di un giorno da spigole - F P a t riz i Il nuovo capitalismo imprenditoriale - A Mel a secche Alle otto della sera - P F a b b ri Il valore del posto fisso - F B o rzi n i E la dignità che fine fa? - C C o l a sa n t i I perché senza risposta - S R a sp et t i ABIO per il bambino in ospedale - B R a t i n i Bastardi senza gloria - R D i o t a l l evi NIAF - A L i b era t i E’ il bello del calcio... - G Ta l a m o n t i Rifiuti: cambiare mentalità - A R a t i n i Italo Calvino e la fantascienza - P S eri Parliamo di letteratura - D Vi t a l i PROGETTO MANDELA I N T E R C R A L - S P a sca rel l i I N T E R PA N AEREI - E B Maialpolitik - J D a n i el i FONDAZIONE CARIT ARCHE’- G C h i a p p a Astronomia - T S ca cci a f ra t t e, G C o zza ri , F Guerri Astronomia - P Casali, F Valentini SUPERCONTI
Figli dell’epoca Siamo figli dell'epoca, l'epoca è politica. Tutte le tue, nostre, vostre faccende diurne, notturne sono faccende politiche. Che ti piaccia o no, i tuoi geni hanno un passato politico, la tua pelle una sfumatura politica, i tuoi occhi un aspetto politico. Ciò di cui parli ha una risonanza, ciò di cui taci ha una valenza in un modo o nell'altro politica. Perfino per campi, per boschi fai passi politici su uno sfondo politico. Anche le poesie apolitiche sono politiche, e in alto brilla la luna, cosa non più lunare........ Wisława Szymborska
il Parlamento val bene una lisca
Un movimento globale per lanciare il nuovo c a p i t a l i s m o i m p re n d i t o r i a l e
E così, alla fine, abbiamo scoperto che le famose spigole erano un omaggio agli allievi ufficiali alpini e che il Generale non ha infangato l’Arma né abusato del suo potere. La notizia è passata in sordina, ma vale la pena darle rilievo. È l’agosto del 2005, l’allora Comandante Generale Roberto Speciale della Guardia di Finanza si reca in vacanza a Predazzo, in provincia di Trento, e si porta sull’aereo dell’arma moglie, suocera e amici. L’altura mette appetito alla combriccola, così al Generale o forse alla suocera, come nelle migliori commedie di Aldo Maccione - viene voglia di una grigliata di pesce. Dato che in Trentino scarseggiano i pescherecci, per reclutare la materia prima viene mandato un aereo Atr 42 delle Fiamme Gialle in direzione di Roma. La segreteria del Generale fa passare l’uso-vassoio del Atr 42 come trasporto autorità. L’imprevisto accade alla pista di decollo, quando le suddette alte cariche si presentano in veste di alto carico da dieci casse: il pilota, mosso da un raro senso di decoro, incrocia le braccia. La questione però va risolta velocemente, perché il pesce fresco non può attendere, così i fedelissimi di Speciale reclutano sul posto un’autorità compiacente che prontamente sale sull’aereo per una non meglio specificata missione carbonella. E così, anche l’impavido ospite finisce dalla caserma alla brace, coinvolto nello scandalo delle spigole indecorosamente cotte al fuoco delle Fiamme Gialle. Quattro anni dopo, i giudici ci informano che il pesce era una gentile offerta per gli allievi alpini di Predazzo e che cotanta generosità generalesca valeva bene un volo dell’Arma; e poi, sull’aereo c’era sì un comandante scroccone, ma il reato di accompagnatore ittico non è previsto dal codice. Roberto Speciale, ex Generale oggi Onorevole, esce quindi indenne dallo scandalo al cartoccio e a noi, che c’eravamo indignati per una cena dal conto pecuniario e simbolico eccessivo, non resta che sparecchiare. Ma quanto è costata questa grigliata alla nazione? Pagine e pagine di giornali, solidarietà a prescindere della compagine di centro destra al Gen. Speciale e conseguente elezione del suddetto al Parlamento Italiano (come è prassi nel nostro paese); un’elezione servita come digestivo dai maggiordomi di Montecitorio per mandare giù la lisca messa di traverso non da politici avversi o da nemici interni, ma da quell’eroico ignoto pilota della GdF che, quel pomeriggio di un giorno da spigole, non volle assolvere l’urgente e servile missione carbonella. Onore ai digiuni! Francesco Patrizi
Le nuove generazioni di imprenditori innovatori sono destinate ad essere tra i protagonisti della fase economica che sta prendendo campo in risposta alla prima vera crisi globale, derivata da quello che Carl Schramm, Presidente della Kaufmann Foundation, individua come bad capitalism (capitalismo cattivo), un insieme di contraddizioni e limiti del capitalismo dell’era dell’information society. L’Italia è stata colpita meno di altri paesi dalla crisi, ma l’onda d’urto la scuote con forza, cogliendola assopita nel torpore di una progressiva marginalizzazione nei confronti delle economie più avanzate e soprattutto di quelle emergenti, in quanto storicamente in debito temporale con le scelte strategiche su innovazione, ricerca ed economia. Ed oggi, l’incapacità di guardare attivamente al futuro e di operare conseguentemente è un grave handicap. Per evitare ulteriori arretramenti occorre decisamente andare oltre il superamento dei problemi contingenti. La crisi è destinata ad agire, per un verso, da rallentamento della corsa sfrenata di un capitalismo globale trainato dalla leva finanziaria, per un altro, da catalizzatore di un nuovo capitalismo imprenditoriale alla Schumpeter, dove la capacità di innovazione è destinata a giocare un ruolo chiave. La prospettiva di una ripresa economica trainata da un capitalismo imprenditoriale che nasce dalla scienza e dalla tecnologia, è un’opportunità da non trascurare. Ma il lungo percorso dell’imprenditoria comincia, ovviamente, dall’educazione. Ha bisogno di unire competenze, ricerca, lavoro e soprattutto una speranza per i più giovani: quella di poter realizzare la propria idea. È anche questo lo spirito della Global Entrepreneurship Week (GEW) che prenderà il via il 16 novembre e impegnerà 82 paesi nel mondo, milioni di persone, in migliaia di eventi fino al 22 novembre data di chiusura ufficiale, con l’obiettivo di ispirare e indirizzare i giovani verso l’innovazione, l’immaginazione e la creatività. Nata dalla combinazione ed espansione di due iniziative simili promosse dalla Kauffman Foundation negli USA e dal neo primo ministro Gordon Brown in UK, la GEW, coordinata dalla sede di Terni di META Group, è un evento mondiale che coinvolge centinaia di partner nell’organizzazione di eventi e iniziative che hanno l’obiettivo di stimolare innovazione, immaginazione, creatività e voglia di fare, soprattutto presso i più giovani. Per una settimana, milioni di persone in tutto il mondo saranno accomunati dalla partecipazione a un movimento di soggetti imprenditoriali impegnati a generare nuove idee e cercare un modo migliore per operare nella realtà globale. www.unleashingideas.org/italy a.melasecche@meta-group.com
Quel pomeriggio di un giorno da spigole ovvero
LA
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
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Alle otto della sera
laboratori
Un giorno, ad un personaggio dello spettacolo ormai un po’ dimenticato dal pubblico, venne proposta la conduzione di una trasmissione radiofonica serale. L’attore avrebbe di gran lunga preferito essere scritturato per uno show televisivo, ma essendo in chiaro declino aveva fame di contratti e, prima di rifiutare, indagò un po’: Quando andrebbe in onda, questa trasmissione? chiese agli organizzatori: Tutti i giorni alle 20.00 risposero gli interrogati. E l’attore, stupito: Però! Siete disposti ad affidarmi una fascia oraria così importante, un vero “prime time”? E’ molto lusinghiero. Dovettero spiegarli, in tutta onestà, che il prime time radiofonico è cosa ben diversa da quello televisivo. Proprio a causa dello strapotere della TV accade che le fasce orarie in cui la maggior parte della popolazione è a casa, seduta di fronte ad un televisore acceso, siano quelle in cui è meno probabile trovare orecchie disposte ad ascoltare la radio. E se tra le otto e le dieci di sera si combatte la feroce e quotidiana battaglia dell’Auditel, le scaramucce per gli indici di ascolto radiofonici si svolgono su tutt’altre ore della giornata: la mattina, il pomeriggio, e soprattutto in quelle fasce orarie destinate agli spostamenti: le ore di punta rallentano le automobili, e dentro le automobili suonano e parlano le autoradio. Così, l’offerta che i misteriosi radio produttori fecero all’attore non era particolarmente lusinghiera. Alle otto della sera sono pochi
coloro che sono lontani dalla tavola imbandita; non per niente è l’ora canonica delle trasmissioni televisive più seguite in assoluto: i telegiornali. Sperare di riuscire a fare una trasmissione radio che, in quell’orario disgraziato, possa trasformare i telespettatori in radioascoltatori è quasi come credere all’esistenza di Harry Potter o dell’orso Yoghi. Ma in fondo anche l’orso Yoghi e Harry Potter godono di un certo grado di esistenza reale, se hanno arricchito il loro inventori e se siamo qui a parlarne: e infatti, nonostante tutte le difficoltà al contorno, c’è stato almeno un caso di una trasmissione radiofonica di successo in quell’orario particolarmente difficile: si tratta di una trasmissione di Radio Due Rai, che sfacciatamente si è chiamata con l’ora stessa di messa in onda: Alle Otto della Sera. Trasmissione apparentemente anomala, nel palinsesto d’una rete a vocazione leggera e d’intrattenimento: si strutturava infatti su cicli di trasmissioni di venti puntate della durata di circa mezz’ora, intermezzi musicali compresi: al netto della sigla e delle canzoni, ogni ciclo, grossomodo mensile, si risolveva quindi in sette ore di trasmissione su un tema specifico trattato da una singola voce narrante: una sorta di radio-saggio, o radio-documentario. Il primo ciclo di venti puntate fu dedicato alla vita di Annibale, il grande punico, narrato dalla voce di Giovanni Brizzi; a quello, in dieci anni di vita, hanno fatto seguito quasi 150 altri cicli, tutti di elevato interesse e narrati da autentiche
Lab
autorità del campo: storici come Franco Cardini, Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Sergio Romano, Silvia Ronchey, e molti altri: filosofi come Giorello e Vattimo, matematici come Lucio Russo e Piergiorgio Odifreddi, che per una volta non si è rifiutato di figurare nello stesso elenco con conduttori cattolici come Valzania, Svideroschi e chissà quanti altri; e del resto, nello stesso elenco figurano anche acerrimi nemici come Vittorio Sgarbi e Federico Zeri. Si ritrovano anche alcune tra le migliori firme del giornalismo italiano, come Rampini, Severgnini, Guerri, Volcic; rispuntano politici come Martelli e Cossiga, ma anche personaggi dello spettacolo come Lucio Dalla, Paolo Conte, e perfino Elio delle Storie Tese. Tutti insieme, più tutti quelli colpevolmente non citati, a parlare di argomenti che spaziano dal De Bello Gallico a Hitchcock, dalla sessualità dell’antica Grecia alla base di sommergibili italiani sull’Atlantico, dall’ epistolario romantico del Settecento alle fabbriche italiane contemporanee. L’ascoltatore medio, finito un ciclo, rimaneva stupito delle cose che era possibile raccontare su argomenti di cui spesso non conosceva neanche l’esistenza, e aspettava l’inizio del ciclo successivo con la curiosità paurosa di chi teme che il prossimo argomento possa essere meno interessante del precedente. Cosa che non capitava quasi mai, e non perché ci fosse sempre un crescendo rossiniano nella scelta dei temi, ma solo perché, ripetutamente eppure inaspettatamente, si scopriva che ogni argomento, se ben narrato,
risultava profondamente affascinante. Quest’anno, però, la bella avventura finisce. Molti direttori, nell’estate del 2009, hanno cambiato occupazioni e poltrone; anche Radio Due ha cambiato direzione, e il nuovo direttore ha deciso che Alle Otto della Sera deve sparire dal palinsesto. Quella mezz’ora così radiofonicamente vivace, in cui la cultura diventava spettacolo e intrattenimento, viene cancellata, assorbita dalla trasmissione seguente che, non ce ne vogliano i conduttori, è trasmissione perfettamente ordinaria, e che non aveva certo bisogno di trenta minuti in più. Alle domande degli ascoltatori che interrogano e si interrogano su perché debba sparire una trasmissione così longeva, bella e culturale, il nuovo direttore di Radio Due Rai, Flavio Mucciante, risponde che è proprio la cultura ciò che la uccide. Alla precisa domanda apparsa su un forum, risponde: Questo programma risulta stridente rispetto al resto del nostro palinsesto, e poi ipotizza, come unica alternativa alla cancellazione, la remota possibilità di migrazione su Radio Tre. Ed è proprio nella giustificazione addotta il crimine
maggiore. Le trasmissioni radio si fanno e si cancellano da quando la radio esiste, e la cosa non dovrebbe fare notizia: ma sentire che una trasmissione viene cancellata perché ad alta connotazione culturale è veramente triste. Non conta che avesse appassionati, non conta che fosse già in una fascia oraria disgraziata. La mission di una radio generalista di stato deve essere solo l’intrattenimento leggero e non può avere una mezz’ora di cultura: neanche se in quella mezz’ora la cultura è evidentemente in grado di intrattenere, come mostrano i molti fedeli ascoltatori della trasmissione. No, non sia mai: bisogna estirpare, eliminare. Peggio ancora: ghettizzare: c’è già una radio noiosamente culturale, no? Noi speriamo che, in un modo o nell’altro, Alle Otto della Sera sopravviva. Ma se anche ce la facesse, anche se riuscisse ad arrivare sana e salva sul palinsesto di Radio Tre, ciò non toglierebbe nulla alla tristezza dell’operazione: l’intrattenimento culturale non può esistere. Se esiste, va eliminato: o, al massimo, mandato al confino. Tutto ciò ricorda qualcosa, e non è un bel ricordare. Piero Fabbri
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Il valore del posto fisso e il fantasma del precariato
Il posto fisso è un valore. Questo è quanto ci ha svelato, con tono oracolare, il ministro Tremonti. Pensavo che immediatamente si sarebbe gridato alla scoperta dell’acqua calda. Oppure mi sarei aspettato che qualcuno mettesse in evidenza la poca coerenza del ministro dell’economia, che discetta di posti fissi dopo aver imposto con la manovra dello scorso luglio una controriforma della scuola che ha inchiodato al precariato migliaia di insegnanti. Niente (o molto poco) di tutto questo. Da una parte si è levata la voce garrula dell’ineffabile ministro Brunetta, che ha definito il posto fisso come un retaggio del secolo passato. Sembra infatti che la sola idea di erodere le tutele dei lavoratori mandi una parte del nostro Governo in libidinoso solluchero. Dall’altra, però, una sinistra che proprio della lotta alla precarietà dovrebbe fare la sua bandiera, non ha mancato l’occasione per stupire. Il posto fisso appartiene al passato, ha detto più di qualcuno, perché il nostro sistema produttivo richiede maggiore dinamismo. Senza indulgere all’antipolitica, è bene pretendere da chi ci rappresenta un po’ di onestà intellettuale. Conosco impiegati comunali precari, commessi precari, segretarie precarie, giornalisti precari, portieri di hotel di lusso precari, insegnanti precari, bidelli precari, medici precari. Qualcuno sa spiegare quali sarebbero le esigenze produttive che, in casi come questi, rendono necessaria la flessibilità? Guardiamo la realtà in faccia: nella gran parte dei casi
il contratto di lavoro precario viene scelto dal datore di lavoro perché consente un salario di ingresso più basso e perché il lavoratore, pressato dalla spada di Damocle del mancato rinnovo del contratto, è posto costantemente sotto ricatto. Le imprese hanno perso l’arma della svalutazione competitiva della lira ed ora, per mantenersi competitivi, si svalutano i lavoratori. Certo, c’è chi il precariato lo sceglie e ci vive anche bene. Conosco diverse persone, con una professionalità valida e spendibile (ma quasi sempre anche con una famiglia facoltosa alle spalle), che rifuggono dal posto fisso. Ma ce ne sono tante, troppe, che il precariato lo subiscono come una malattia, che si accontentano di stipendi da fame, che sono ormai abituati a non rivendicare più nulla (perché sennò mi mandano via), che vedono gli altri lavoratori come diretti concorrenti abbandonando ogni forma di solidarietà e che si sono arresi all’idea che se gli affari vanno bene guadagna l’azienda, ma se gli affari vanno male a rimetterci è il lavoratore. In un Paese pronto a soccorre grandi imprese e banche al primo starnuto, stiamo accettando di far slittare il rischio di impresa sulle spalle del lavoratore. In un Paese in cui si è allargata a dismisura la forbice tra rendite, profitti e salari (il cui valore reale è fermo a 15 anni fa, ma nessuno lo dice) pare che il costo della crisi debba essere necessariamente pagato dalle piccole aziende e dai lavoratori, specialmente dai più
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giovani. In un Paese in cui il management aziendale si tramanda di padre in figlio, in cui per fare il notaio conta il cognome che porti, in cui è difficile persino avere la licenza di un taxi, in cui la mobilità verticale è praticamente assente, in cui il ricambio della classe politica è lento e procede per cooptazione, è possibile che il dinamismo ce lo devono imprimere solo i lavoratori? Il tutto senza considerare che, a livello sistemico, il precariato non aiuta l’economia. Anzi, il fantasma del precariato porta ad un’allocazione delle risorse umane iniqua e inefficiente, se è vero che molti di coloro che non hanno le spalle coperte, pur di agguantare un posto fisso si accontentano di un lavoro purchessia. Un lavoratore che cambia continuamente professione, che non si avverte come parte integrante dell’azienda, che si sente impaurito e stressato, potrà costare di meno, ma difficilmente sarà un lavoratore efficiente. Certo, nei casi (rari, ma esistenti) in cui la flessibilità serve davvero alle aziende, costituendo un valore aggiunto, non deve certo essere inibita. Allo stesso modo deve essere tutelato il diritto delle aziende di mettere alla prova i nuovi assunti per un periodo congruo e di mandare a casa gli scansafatiche per non esserne zavorrati. Per tornare alle argomentazioni di Tremonti, persino Fausto Bertinotti ritiene che il suo sia un modo di pensare da ancien regime. La definizione è eufonica, ma non convince. La stabilità lavorativa è davvero un valore, come lo è tutto ciò che consente di progettare e vivere la propria vita anche oltre l’ingranaggio del lavoro e della produzione. Quale sarebbe l’alternativa? Un mondo di lavoratori fibrillanti, mobili e flessibili, eternamente dinamici, perennemente in discussione e in competizione, liquidi ed evanescenti, senza radici e senza prospettive a lungo termine, elettrizzati e spaventati come biglie impazzite di un flipper e magari illusi che tutto ciò li renda imprenditori di se stessi? È questo il mondo che vogliamo? Per qualcuno è forse il migliore dei mondi possibili. Per quanto mi riguarda sarebbe un mondo desolante. Francesco Borzini
E la dignità che fine fa?
Escort, baby escort… cambia il nome, ma sempre quello è. Anzi, peggio. Tutto ciò mi mette paura. Sì, lo so che è sempre esistito e sempre esisterà, ma questo abbassamento dell’età media mi mette seriamente in allarme. Com’è possibile che brave ragazze di buona famiglia consumino rapporti occasionali sotto pagamento in oggetti di seconda (se non terza o quarta) necessità? Iphone, braccialetti di brillanti, ipod, jeans all’ultimo grido, scarpe e borse da urlo (per il prezzo esorbitante più che altro) sono all’ordine del giorno per le baby escort. Ma perché? Purtroppo il perché è lampante, sebbene contornato dalla torbida oscurità della non conoscenza di noi stessi. Parlo in prima persona plurale perché, sebbene ben lontana da un mondo del genere, mi sento chiamata in causa. Dolorosa causa, purtroppo, ma il mondo è tutt’altro che rose e fiori. Pensare che ragazzine di 15 o 16 anni svendano il loro corpo per saziare quella insaziabile fame di qualcos’altro è assolutamente incredibile. Eppure accade che per un braccialetto di brillanti abbiano rapporti con ragazzi brutti e brufolosi, ma a loro non importa come, a loro importa dove arrivano. Ma che fine hanno fatto i sani valori di una volta? No, non è una tirata di orecchie piena di clichés e di ritorni al passato. Questa è una mia semplice riflessione. Mi ritengo tutt’altro che bacchettona, ma so per esperienza personale che persone come me vengono catalogate come alternative solo perché ormai le alternative al divertimento comune sono quelle che una volta erano il divertimento. Adesso se non ci si sballa, se non ci si ubriaca fino a dimenticarsi di avere un nome e a star male fisicamente, se non ci si rinchiude in buchi con musica
strabiliante, luci psichedeliche e compagnie adatte… non ci si diverte. E gli adulti? Che fine hanno fatto? Bèh, non mi stupisco. Sono gli adulti che quando sentono che no, il sabato sera non esco tutte le settimane, solo quando mi organizzo con il mio gruppo oppure Sì, esco ma non vado in discoteca, ti squadrano come se fossi una bestia rara. Per carità, ringraziando Chi di dovere non siamo tutti così (adulti o meno), ma sentirsi così non è piacevole ed è normale che ragazzine insicure già per il periodo assurdamente strano che stanno vivendo si rifugino in quel mondo patinato e pieno di stelline (pronte per essere dimenticate nelle stallone dei dimenticatoi mediatici) se non vengono seguite, ascoltate e strigliate a dovere quando necessario. Non stupisce che per loro il modello da seguire sia la tanto chiacchierata D’Addario, perché all’estero se la contendono e in Italia presto farà un calendario. Certo, perché adesso il sogno è quello di fare un calendario. E qui abbiamo parlato solo di femmine, ma non siamo solo noi, genere vanitoso per antonomasia, a vivere questa perdita di valori. Il genere maschile, purtroppo, non sta meglio ed è una caduta generale verso il baratro della vacuità, dell’esteriorità, nello sfavillio di mille luci che esaltano i trucchi messi in atto per apparire, non per essere, migliori. Giuro che se si va avanti così i calendari non li sfoglio più. Fossero anche dei gatti e dei cani. O ci diamo una scossa e cerchiamo di far tornare a ruggire la grinta, l’orgoglio di essere vivi (ma vivi sul serio e non su una foto che impallidirà assieme allo sfogliare dei calendari!) e la voglia di far sentire l’anima al suo posto oppure veramente non si saprà più il significato della parola dignità. Chiara Colasanti
E' inutile farsi troppe domande... è inutile cercare risposte: esse saranno evidenti per ciascuno di noi quando useremo le orecchie per ascoltare e non solo sentire, gli occhi per vedere e non solo guardare, la mente per elaborare e non solo recepire, la parola per confrontarci e non solo blaterare. Ma una pioggia di perché ci piove addosso: dopo il perché mamma?... ben altri ne arrivano e ben più pesanti da sostenere. Perché un insegnante dovrebbe affrontare tematiche di civile convivenza democratica quando dal palcoscenico del piccolo schermo si scannano fazioni opposte, gentiluomini e signore nullafacenti, invasati di protagonismo? Perché la ragazzina, che si guarda intorno spaurita, dovrebbe rinunciare a gonfiarsi le tette se, tutt'intorno, esplodono le tette? E dovrebbe non soffermarsi sulla sua immagine se la donna immagine è diventato un mestiere? Perché entrare nel tunnel del lavoro precario o nella catena di montaggio quando, con qualche ora di sacrificio, in posizione comoda (a secondo dei casi), può portare a casa due o più stipendi mensili di un metalmeccanico? Perché cercare un lavoretto quando, con un curriculum abbellito e ben confezionato, con la disponibilità al factotum e con una dose massiccia di vuoto etico e intellettuale, si può accedere alla gestione della res publica? Perché non si dovrebbero acquistare certi prodotti commerciali se la pubblicità garantisce miracolose risoluzioni? Che importa la verità quando l'informazione mendace è più credibile perché ti fa sognare? Perché un ragazzotto dovrebbe avere relazioni interpersonali civili e rispettose se l'omo vissuto e stagionato si rapporta con arroganza offensiva e, apriti cielo, un codazzo di omini lo supporta, lo approva? Perché un bambino non dovrebbe urlare, sbattere i piedi, avere crisi isteriche quando vuole ottenere qualcosa se l'adulto gli mostra modi aggressivi e dirompenti quando qualcuno rompe a lui il giocattolo? Perché i docenti non dovrebbero essere investiti, da genitori e alunni, di accuse e improperi quando valutano profitto e comportamento, se la società ha ormai creato modelli di comportamento allo sbaraglio e livelli di conoscenza praticamente nulli (se fossero rilevanti non succederebbe quanto sopra)? Per dare una risposta a questi e ad altri infiniti perché, non occorre rievocare i bei tempi passati (una volta c'era... una volta sì che..); in ogni epoca la società confeziona se stessa con i mezzi a disposizione (non c'erano media e marchingegni straordinari di comunicazione); non si possono riesumare ricordi, avere nostalgie e rimpianti... occorre solo guardarsi allo specchio e scrivere su di esso, chiara e ben visibile a ciascuno di noi, una sandraraspetti@umbriainfo.com sola parola: dignità.
I p e rc h é s e n z a r i s p o s t a
A BIO per il bamb in o in o s p e d a le ABIO (Associazione per il Bambino in Ospedale) nasce a Milano nel 1978 per promuovere l’umanizzazione dell’ospedale e minimizzare l‘impatto del bambino e della sua famiglia con le strutture sanitarie. Dal 2006 ABIO diventa Fondazione e ad oggi si contano oltre 70 associazioni costituitesi in tutta Italia sul modello di Milano, con oltre 4000 volontari. Il volontario ABIO si prende cura sia del bambino che dei suoi genitori. Accoglie il piccolo paziente al momento del ricovero e lo assiste durante tutto il tempo della degenza, rappresentando un intermediario con il personale sanitario e spiegando le varie procedure terapeutiche cui verrà sottoposto. Inoltre rende più accoglienti gli ambienti della struttura sanitaria con decorazioni e arredi e garantisce al bambino una presenza rassicurante in assenza della mamma o di altri familiari. La formazione è considerata fondamentale per la Fondazione ABIO, anche perché nei reparti ospedalieri operano e interagiscono diverse figure professionali e il volontario deve agire in modo non competitivo ma integrativo, creando con tutti un rapporto di collaborazione finalizzato al miglioramento della qualità complessiva dell’assistenza. La buona volontà è fondamentale, ma non basta: quando si ha a che fare con i bambini occorre essere preparati. Un volontario che non sa bene quali siano le sue mansioni, o che si ritrova in situazioni che non è in grado di gestire, si sente a disagio e non può essere di nessun aiuto per gli altri. Per questo motivo volontario ABIO si diventa. Dopo un incontro informativo in cui vengono illustrati struttura, scopi, attività dell’associazione e requisiti, inizia il corso di formazione di base. La disponibilità richiesta è di un turno alla settimana in ospedale per almeno un anno e la frequenza di corsi di formazione permanente. Insomma, un impegno. Sarebbe stato meglio tornare alla stessa ora, disse la volpe. Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro comincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Da Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Beatrice Ratini Quentin Tarantino colpisce ancora. Presentato a Cannes, Bastardi senza gloria è sicuramente una delle sue migliori opere. Tutta la pellicola è permeata di quelle tracce autoriali cui il regista di Pulp Fiction ci ha da sempre abituati: oltre ai riferimenti a vecchi war movies (Quel maledetto treno blindato), o agli spaghetti western, troviamo tutte le altre caratteristiche che ci aspetteremmo in un suo film, dalla violenza iperrealista alla presenza di lenti (forse troppo) e calcolati dialoghi Pulp che rubano il posto all’azione (persino in un film di guerra!); dal gioco delle citazioni, che ha visto il suo apice in Kill Bill, a movimenti di camera che tendono ad infrangere le più famose regole di regia, il tutto frullato e ben amalgamato in quella sorta di pastiche postmoderno che è il vero marchio di fabbrica tarantiniano. Il film è diviso in cinque capitoli, nei quali ci vengono presentati i Bastardi guidati da Aldo Rein detto L’Apache (Brad Pitt), la francese ebrea Shosanna Dreyfus (Mèlanie Laurent), il colonnello delle SS Hans Landa (un magistrale Christoph Waltz) e tutti gli altri personaggi le cui singole storie si intrecciano fino a risolversi nella scena finale della pellicola. Fin qui non sembrerebbe niente di nuovo, ma una novità c’è, eccome se c’è. Ciò che era solo un sussurro nelle altre pellicole di Tarantino, cresce in questa sua ultima opera fino a diventare un grido: la sua mai celata passione per il Cinema e per tutto ciò che lo concerne è il vero e proprio leitmotiv del film. In ogni scena, in ogni dialogo c’è sempre un riferimento più o meno diretto alla settima arte tanto da rendere il Cinema il vero protagonista della storia, con buona pace di Brad Pitt e compagnia e di quanti credevano di vedere un film di Tarantino sulla guerra. Bastardi senza gloria è un film sul Cinema. Ci sono infatti continui riferimenti ai vari ruoli dell’industria cinematografica, da quello dell’attore a quello del proiezionista, ma anche ai mezzi di cui il cinema si serve. E’ però nella scena finale che possiamo riscontrare, violenta come un pugno in faccia, la vera concezione tarantiniana del cinema: durante la prima di un film di propaganda nazista a cui assistono le più importanti personalità del terzo Reich, un attentato volto a far bruciare il cinema con dentro tutti i suoi spettatori, pone fine alla seconda guerra mondiale uccidendo in sol colpo, tra gli altri, Hitler e Goebbels. L’impossibile succede. Il mai-storicamente-accaduto accade proprio di fronte ai nostri occhi regalandoci una catarsi che nessuna tragedia greca ha mai raggiunto e che ha il suo apice massimo nello scempio del cadavere di Hitler. La vendetta ebrea per cui tutti sotto-sotto abbiamo sempre fatto il tifo può compiersi quindi doppiamente grazie al Cinema: a quello di Quentin Tarantino - che sempre più sembra dire il film è mio, e lo faccio come mi pare - ed a quello, inteso come edificio, di Shosanna Dreyfus che appicca l’incendio purificatore bruciando decine di pellicole - il materiale di cui sono fatti i sogni - che nell’epoca in cui è ambientato il film erano composte di un materiale altamente infiammabile. La sensazione finale che si ha alzandosi dalla sala è quella di aver assistito ad un vero capolavoro impregnato di tutte le caratteristiche che hanno reso abbigliamento donna famoso Quentin Tarantino - un regista unico nel suo genere e che troppi continuano a criticare paragonando ogni sua pellicola a quel Pulp Fiction che lo consacrò definitivamente - e che è la vera summa di tutta l’opera del regista di Knoxville. Riccardo Diotallevi
B a s ta rd i s e n z a g l o r i a
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Raramente l’Hotel Hilton di Washington si colora come nelle frenetiche ore del Gala NIAF, prestigioso appuntamento che, ogni ottobre, riunisce nella capitale americana i massimi livelli politici, economici e sociali degli Stati Uniti e del Belpaese, con nomi illustri del mondo delle arti e dello spettacolo. E con ben 3.000 ospiti di cui il 30% circa giunge direttamente dall’Italia.
Arthur Furia
Quest’anno la NIAF ha posto al centro delle iniziative benefiche il conforto alle popolazioni terremotate. Lo stesso Gianni Chiodi, presidente della Regione Abruzzo, intervenendo al Gala, ha ringraziato pubblicamente l’America per l’impegno nel favorire la ricostruzione. Quanto all’aspetto politico, le personalità intervenute sono state davvero di altissimo rango, a significare quanto gli italoamericani contino nell’amministrazione Obama, forse più dei latinos: dalla speaker del Congresso, Nancy Pelosi, al Segretario di Stato alla Sicurezza Nazionale, Janet Napoletano, al capo della CIA, Leon Panetta, a molti altri. Solo al Gala NIAF si può conversare amabilmente con il giovane vicecapo dello Staff di Obama, Jim Messina, fiducioso sulla riforma sanitaria e
sulla ripresa economica. E teneramente legato alla sua fidanzata con cui, però, non si è deciso a ballare i classici italiani anni ’60 che hanno chiuso una serata unica. Arthur Furia, al vertice della charity che, negli Stati Uniti, rappresenta quasi 26 milioni di italoamericani, parla a tutto campo dell’azione della NIAF. Con qualche divagazione sull’Umbria e perfino su Terni. Avvocato Furia, come spiegare agli italiani quanto la NIAF sia importante nelle relazioni tra i due Paesi? La NIAF è il soggetto associativo leader negli Usa per la promozione degli interessi politici, economici e culturali dell’Italia e degli italo-americani. Una fondazione benefica senza fini di lucro, ma anche un’istituzione educativa che fa da ponte tra
Italia e Usa. E poi gli italoamericani che ottengono successo hanno maggiore interesse a valorizzare le proprie radici, investendo in Italia, acquistandovi proprietà, entrando in società con italiani e, certo, apprendendo la lingua - l’italiano è la quarta più studiata qui. Lei ha ricordato il successo di molti italo-americani e la NIAF dà opportuno risalto alle loro storie. Come giudica lo sforzo dell’Amministratore Delegato del Gruppo Fiat, Sergio Marchionne, come lei abruzzese, per diffondere il Made in Italy negli Usa? Penso sarà ben accolto. Gli Stati Uniti hanno una vera e propria venerazione verso il Made in Italy, sinonimo di qualità e design assoluti, superiori al brand tedesco e giapponese. Dunque, la base su cui Marchionne sta lavorando
è davvero forte e ricettiva. Quali sono i rapporti della NIAF con l’Umbria e con Terni? Con la Regione Umbria dobbiamo conoscerci meglio se vogliamo crescere e potenziare la nostra economia e cultura. Molto si può fare. Conosco, invece, da anni la città di Terni grazie alla fama mondiale del suo Patrono, San Valentino.
funzione sociale di scaricare le tensioni della comunità. E lo fa per di più gratis. Nella civiltà occidentale, ma per essere più esatti in quella italica, la poco invidiabile funzione di parafulmine è tradizionalmente svolta da arbitri e allenatori di calcio, i quali nascono anch’essi con evidenti vizi genetici. Si dice che i primi siano partoriti già con le corna, sgambettino in modo compulsivo e che siano amorevolmente allevati a decidere in fretta ogni cosa, senza
guardar troppo se in maniera esatta o sbagliata; i secondi, pure segnati da un destino ineluttabile, vengono alla luce già provvisti di collanina da cui pendono corni rossi, gobbetti, zampette di lepre, numeri scaramantici, acquasantiere in miniatura, calzini spagliati, ecc. Da quel momento, vengono addestrati alla sopportazione, alla precarietà professionale, all’attacco mediatico di opinionisti, giornalisti e giornalai. La differenza fra i bantù africani e i predestinati nostrani è che, a parità di insulti, quelli di casa nostra prendono milioni di euro. E in virtù di questa magnanima elargizione, la nostra cosiddetta civiltà pretende che i beneficiati del calcio accettino le critiche di chi paga e non si mostrino arroganti, presuntuosi o stizzosi. Anche perché, per quanto
un allenatore si dia da fare nel distribuire verità e assiomi, moduli e schieramenti, tattiche e strategie, la scienza che sottende alla pratica calcistica non è affatto matematica, anzi consente ad ogni cretino di dire la sua senza rischio di essere smentito da un riscontro obbiettivo. E’ il bello del calcio e la ragione del suo successo planetario. E’ un po’ come una certa pelle che si adatta elasticamente ai cambiamenti di volume e alle sollecitazioni. Si vocifera che per vincere occorre preparare un terreno simile a quello che precedette gli ultimi mondiali vittoriosi dell’Italia, affrontati sull’onda dello screditamento internazionale per calciopoli. Se fosse veramente così, aspettiamo. Ma se l’impresa non dovesse accadere, qualcuno dovrebbe chiedere ospitalità in un villaggio bantù. Ing Giocondo Talamonti
E’ il bello del calcio… L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro, recita l’articolo 1° della Costituzione. Quindi, dire ad altri: a lavorare, andate a lavorare…, non viola alcuna legge di buona creanza, anzi, è perfettamente costituzionale. Tuttavia, occorre fare delle distinzioni: analizzare bene a chi è diretta la frase e chi è che la pronuncia. Se si tratta di un coro che parte dagli spalti di uno stadio di calcio, all’indirizzo di giocatori svogliati, può essere un invito a provare quanto sia duro il lavoro in fabbrica per portare a casa un millesimo dello stipendio che, di solito, i calciatori prendono per giocare, nonché uno sprone ad avere più rispetto per i soldi del biglietto tirati fuori da chi assiste alle loro mediocrità. Se, al contrario, a pronunciare la stessa frase è un
allenatore rivolto al pubblico allora l’esortazione diventa offesa; offesa a chi sulle gradinate il lavoro ce l’ha, ma teme di perderlo, al precario che lo vede a sprazzi, all’ostinato che lo cerca senza trovarlo, al giovane che studia con tante paure per il suo futuro. Ma tant’è; ognuno ragiona con la pancia che ha. In Africa, presso i bantù, chi nasce con difetti fisici viene additato come portatore di disgrazie sull’intero villaggio: se piove troppo è colpa sua, se piove poco si deve a lui, se manca il cibo se ne deve far carico subendo una serie di violenze verbali, disprezzo, riprovazione e isolamento dal gruppo. Però, a ben guardare, il poverino, che s’immola senza fiatare, svolge l’importante
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Rif i uti : p ri m a di t u t t o c a m b i a r e mentalità
Il rifiuto non deve essere più considerato come tale, ma come un materiale che, opportunamente trattato, può essere riutilizzato in qualsiasi processo produttivo. Questo è uno dei princìpi cardine alla base della filosofia del Centro di Riciclo di Vedelago, in provincia di Treviso: qui un’azienda privata, guidata dalla Sig.ra Carla Poli, sta disegnando una nuova via nel trattamento e nello sfruttamento della risorsa rifiuto, facendo leva prima di tutto su un nuovo modo di pensare. E anche di agire, con l’obiettivo dichiarato di eliminare gli inceneritori e le discariche, grazie allo sfruttamento economico di (quasi) tutto quello oggi viene bruciato o portato in discarica, con le disastrose conseguenze per l’ambiente che ben conosciamo. Come funziona il metodo studiato dalla Poli e dalla sua equipe, che stanno fornendo consulenze in tutta Italia per attivare altri centri di riciclo? E’ basato essenzialmente su tre fattori: raccolta differenziata porta a porta, accurata selezione dei materiali, e infine produzione, da quello che rimane e che erroneamente viene chiamato rifiuto indifferenziato, di un granulato plastico dalle mille possibilità di utilizzo, per mezzo di uno specifico processo tanto semplice quanto geniale. Andando per ordine, alla base di tutto c’è l’impostazione di una corretta raccolta differenziata porta a porta, l’unica modalità che, a differenza dei cassonetti ad hoc per ciascun materiale presenti anche nella nostra città, può garantire una adeguata qualità dei diversi materiali che devono essere riciclati. Le modalità e il tipo di raccolta variano da zona a zona in base al tipo di rifiuti, che in molti casi, per aumentare la massa critica, possono essere aggregati con quelli prodotti da aziende locali come quelle artigiane. I progetti specifici tengono poi in massima considera-
zione il tipo e le caratteristiche delle materie primeseconde (le materie prime ottenute dal riciclaggio) che si punta a produrre al termine del processo. Dalla raccolta differenziata i rifiuti, organizzati in veri e propri flussi di materiali, vengono conferiti al centro di riciclo; qui per mezzo di un impianto di selezione e pressatura e grazie al lavoro di una trentina di operatori, vengono raffinati e resi omogenei. Questo perché, ovviamente per le materie prime riciclate, il valore è direttamente proporzionale alla qualità: il motivo per cui i cassonetti carta/plastica/vetro e quant’altro sono poco efficaci è proprio che, per varie ragioni, tra cui la noncuranza e non conoscenza dei cittadini, ma anche la loro deresponsabilizzazione in assenza di un controllo puntuale, non riescono a garantire la raccolta uniforme di materiali omogenei; tutto questo rende molto più difficile la vendita o il conferimento ai vari consorzi di riciclaggio di queste materie e ne abbassa di fatto notevolmente il valore commerciale, fino al punto che, per materiali troppo impuri, si è costretti a procedere allo smaltimento in modo tradizionale. Se invece la raccolta differenziata è svolta in maniera corretta, obiettivo che la Poli in base alle esperienze già vissute dichiara essere raggiungibile in pochi mesi in qualunque realtà, dal piccolo comune della Sardegna fino al grosso quartiere romano, il successivo processo di selezione è meno costoso e fornisce materiali quali plastica, alluminio, acciaio, materiali ferrosi e
vetro, così come carta e legno, che possono essere conferiti agli appositi consorzi nazionali che li pagano profumatamente. Ma il vero salto di qualità attuato a Vedelago sta nello step successivo del processo, ovvero in come viene trattato il rifiuto cosiddetto indifferenziato (quello per intendersi dei normali cassonetti dell’immondizia) insieme agli scarti del processo di selezione sopra descritto. Da una accurata analisi è risultato che, una volta tolto il vetro, il metallo e gli altri materiali più nobili, una notevole percentuale di questo rifiuto è in realtà composta da materie plastiche. L’impianto di Vedelago, con un processo meccanico di estrusione e granulazione, che non prevede incenerimento e quindi non produce sostanze dannose, viene ridotto in una specie di sabbia di materiale plastico che è utilizzabile nello stampaggio di qualsiasi manufatto, dagli arredi da giardino ai guard rail, solo per citare alcuni esempi. La stessa sabbia può essere proficuamente impiegata nell’edilizia, aggiungendola alla normale sabbia, riuscendo addirittura a migliorare le caratteristiche complessive del cemento prodotto grazie alle maggiori doti di elasticità conferite. E lo studio di ulteriori utilizzi è all’ordine del giorno. La bontà e la tipologia di questi granulari, per i diversi scopi, è certificata dal rispetto del Sistema Qualità ISO e soddisfa i requisiti previsti dalle strette normative Europee nei vari settori. Ed il Centro di Vedelago, studia come rendere possibile, insieme alle aziende
potenziali clienti del prodotto finale, l’utilizzo del granulare nei diversi impieghi, arrivando a cooperare con le istituzioni per la definizione delle norme e delle caratteristiche indispensabili. Come ha affermato la Sig.ra Poli durante la recente visita al Centro Riciclo alla quale hanno partecipato il Sindaco Di Girolamo insieme ad esponenti politici e tecnici del Comune, della Provincia di Terni e dell’Asm, i migliori risultati si ottengono grazie alla sinergia tra i cittadini, le istituzioni, le aziende che riciclano i materiali e quelle che alla fine impiegano nel loro processo produttivo le materie prime riciclate: in pratica una filiera in cui tutti guadagnano, perché il cittadino si vede ridurre la tariffa dei rifiuti se differenzia in maniera corretta, le istituzioni hanno minori costi di gestione e virtualmente possono azzerare il ricorso a inceneritori e discariche realizzando grandi risparmi anche in termini di salute pubblica, le aziende che riciclano guadagnano in quanto rivalorizzano materiali altrimenti quasi inutilizzati, e le aziende manifatturiere grazie alle materie prime-seconde hanno costi che come detto si possono ridurre anche di
cinque volte. Il tutto, se non bastasse, genera anche una notevole domanda di lavoro (che in questi tempi di crisi certo non guasta) se si considera che un inceneritore dà lavoro a poche unità operative, mentre a Vedelago sono necessari oltre 35 operai specializzati. Una controprova di tutto questo? Ad esempio a Treviso il Comune ha bloccato la costruzione di un nuovo inceneritore, l’acquisizione di terreni per una nuova discarica, portando, caso forse unico nel nostro paese, all’attivo nel bilancio comunale la voce relativa alla gestione dei rifiuti. Sarà possibile realizzare qualcosa del genere a Terni ed in Umbria? La volontà di perseguire questa strada da parte di alcune forze politiche, come l’Italia dei Valori che per prima ha portato localmente l’attenzione su questi temi, è determinata, e con l’appoggio dei cittadini e dei vari enti in gioco, anche nella nostra città potremo superare il triste capitolo dell’incenerimento e del conferimento in discarica. Alberto Ratini Per chi volesse approfondire se ne discuterà al seminario Umbria Sostenibile???, il prossimo 14 novembre alle 9.30 alla Sala Consiliare della Provincia.
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Italo Calvino e la Fantascienza
Italo Calvino, dalla personalità troppo spiccata per restare legato ad una corrente precisa come il Neorealismo, passò ben presto ad altre esperienze. Egli univa all’agilità della scrittura, che faceva di lui lo scoiattolo della penna, la curiosità tipica dell’intellettuale che non si accontenta mai di risposte pre-confezionate o di nozioni preconcette, ma che è sempre alla ricerca di nuovi orizzonti da esplorare, di nuove strade da percorrere. Proprio per questo motivo, lasciandosi alle spalle l’esperienza neorealistica del Sentiero, dei Racconti, di Marcovaldo e la fantasia allegorica della trilogia de I nostri antenati, tutti lavori di grande impegno artistico e di successo, cambiò quasi completamente genere de-
dicandosi ad investigare i rapporti che intercorrono tra fantasia e scienza, tra letteratura e scienza. Il passaggio dal Cavaliere inesistente alle Cosmicomiche (1965) rappresenta questo brusco cambiamento di rotta. Esplorato ormai il territorio della storia come luogo dell’invenzione fantastica, Calvino esamina tutte le possibilità offerte dalla scienza e dai suoi concetti fondamentali, come quelli di spazio e di tempo. La fantasia quindi si trova in una situazione veramente paradossale: può espandersi in una moltitudine di invenzioni quanto più si basa su una situazione reale, del resto un’ipotesi scientifica è astrattamente reale. Gli anni Sessanta rappresentano per lo scrittore un autentico giro di boa; sono infatti caratterizzati da una lunga parentesi francese durata dal 1967 al 1980, con lunghi soggiorni in Italia a cui lo legavano vecchie e consolidate amicizie e la collaborazione con la casa editrice Einaudi e con vari quotidiani.
A Parigi, dove si era trasferito con la famiglia, la sua cultura acquista un taglio più decisamente europeo allontanandosi definitivamente dal Neorealismo, distacco già evidente nella trilogia degli Antenati. In questo periodo entra in contatto direttamente con la cultura francese dominata dallo Strutturalismo, corrente che in vari campi quali la linguistica, l’antropologia, la critica letteraria cercava di ricostruire i modelli sui quali si fonda l’oggetto nella sua complessità. Conosce il critico e saggista R. Barthes (1915-1980), si avvicina alla Semiologia, stringe rapporti di amicizia con R. Queneau di cui traduce I fiori blu (1965), entra a far parte del circolo Ou.li.po. che tendeva a mettere in evidenza gli artifici su cui si basa la letteratura. Non va poi dimenticato l’apporto della narrativa sottile ed intellettualistica di J. Borges, la cui influenza è fortemente presente in questa fase della narrativa di Calvino. Durante questo periodo denso di fermento creativo,
di contatti, di scambi culturali, nascono due opere significative: Le Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967). Con questi due libri egli intraprende un progetto narrativo che fra edizioni e riedizioni lo impegnerà per venti anni fino al 1984, anno della loro edizione definitiva. Le prime si compongono di dodici racconti, ciascuno dei quali si apre con un enunciato scientifico, dal quale lo scrittore trae spunto per creare narrazioni bizzarre e paradossali in cui scenari interplanetari fanno da sfondo alla realtà quotidiana. Del resto anche il titolo non lascia equivoci: cosmica è l’ambientazione, comico è l’effetto creato dal corto circuito tra la complessità della cornice e la normalità delle situazioni. Il protagonista è un essere indefinito dal nome impronunciabile Qfwfq che non è un personaggio bensì una voce, un punto di vista proiettato su un mondo in cui la parola e l’immagine non hanno più spazio. Le Cosmicomiche lanciano una sfida: applicare creatività artistica al rigore degli
enunciati della scienza. Mentre la scienza conferma il disorientamento dell’uomo che ha perso contatto con la realtà, la letteratura con la sua ironia può impadronirsi delle sue formule fredde e farle funzionare come una specie di lente deformante che ci permette di vedere il mondo in modo nuovo ed impensato. In Ti con zero (rappresentazione della variabile temporale T ridotta al punto di origine zero) la letteratura diventa gioco combinatorio, in una visione che ha in J. L. Borges il suo più valido interprete. Calvino è convinto che la saggezza epico-narrativa dell’umanità sia stata ormai distillata e che il mondo è ormai rinchiuso nella scrittura, pertanto è inutile interrogare la vita, bisogna interpellare i libri. La letteratura diviene quindi l’unica scienza capace di esplorare le possibilità infinite dell’universo, scomponendo la realtà negli elementi base per poi ricomporla in nuove combinazioni. Questa problematica sarà sviluppata nell’ultima fase della narrativa dell’autore e sarà oggetto del prossimo articolo. Pierluigi Seri
Di cosa parliamo quando parliamo di letteratura Parliamo di romanzi? D’amore, d’azione, brillanti, trash, pulp, postmoderni, classici o cos’altro ancora? Non proprio. “Se vogliamo portare a termine qualcosa, dobbiamo ignorare che, nonostante siano state prese tutte le precauzioni, la fine sarà inconcludente. Questo ignorare non è una dimenticanza attiva, ma un’attiva marginalizzazione della materia paludosa e acquitrinosa, dell’assenza di una base solida nei margini, all’inizio e alla fine”. Così scrive la critica e intellettuale indo-statunitense Gayatri C. Spivak. I margini sono il luogo in cui si praticano discipline come la filosofia e la letteratura. Sono il luogo in cui avvengono i fatti più interessanti. Siamo parlando dei margini della nostra coscienza civile, della nostra società, della nostra economia, le aree torbide che non
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raggiungono mai la pubblica attenzione. Di questi acquitrini tratta il più importante libro della letteratura italiana degli anni 2000, Gomorra di Roberto Saviano. La palude che si estende da Napoli a Casal di Principe, fino a Roma e Milano, fino a Madrid e Londra, Pechino e New York. Saviano fa letteratura perché ci descrive la materia oscura di cui sono fatte le cose, esattamente come il Conrad di Cuore di tenebra. La tenebra non sta nelle giungle dell’Africa o della provincia casertana, come pure tutti credono; la tenebra sta nelle grandi capitali occidentali. Ammettiamo quindi che la letteratura non sia solo uno svago, ammettiamo che possa essere un mezzo per conoscere ciò che ancora non si conosce: la verità. Un termine alquanto svalutato oggigiorno, insieme a
un altro, libertà. Cos’è la verità? Leonardo Sciascia ci viene incontro ne Il giorno della civetta: “La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”. Toccare la verità è estremamente spiacevole, anzi, è proprio un lavoraccio, una gran seccatura. Bisogna sporcarsi le mani e tanto. Spesso è preferibile fare finta di niente, in fondo si vive meglio. E questo lo sanno tutti, perché a tutti prima o poi succede di dover fare questo tipo di scelta. Ma ciò, secondo Niccolò Machiavelli, non è concesso al Principe. Chi vuole occuparsi della Repubblica, intesa come Cosa Pubblica (quanto suona diversa questa espressione rispetto a “Cosa Nostra”...) deve imparare a riconoscere ed accettare la verità,
per quanto dura e spiacevole sia. E non stiamo parlando di politica. Il benessere della comunità e dei suoi vicini passa attraverso la ricerca e conoscenza della verità. Questo dovrebbe essere precisamente il lavoro dello scrittore. Scrivere e testimoniare la verità. Testimonianza, esattamente come fecero alcuni dei più grandi scrittori italiani, Galilei, Levi, Pasolini. Testimoni, martiri, disposti all’estremo sacrificio, esposti al rischio di affondare nell’acquitrino. Parliamo di persone che si mettono, anche metaforicamente, in prima linea, di faccia alla realtà, rivolti alla faccia più nascosta ed estrema e marginale della realtà. Persone che hanno descritto l’oscurità, come lo statunitense Cormac McCarth che ne La strada ha raccontato un mondo devastato e infernale: Ce la caveremo, vero, papà?/Sì. Ce la caveremo./
E non ci succederà niente di male./Esatto./Perché noi portiamo il fuoco./Sì.Perché noi portiamo il fuoco. Oppure come l’anglo-indiano Salman Rushdie, che ha riportato la sconvolgente complessità e ricchezza del mondo, il senso di sorpresa e di meraviglia di fronte a tutte le storie che è possibile raccontare, che è bello raccontare, che è importante raccontare: La letteratura è dove vado per esplorare i luoghi più elevati e più infimi della società e dello spirito umano, dove spero di trovare non la verità assoluta, ma la verità del racconto, dell’immaginazione e del cuore. Diego Vitali
La Provincia di Terni per la cultura
Nonostante le difficoltà economiche che si prospettano anche per il 2010, l’AC Progetto attiverà comunque i laboratori di Progetto Mandela per continuare a dare la possibilità ai giovani di incontrarsi e lavorare insieme alla realizzazione di eventi e spettacoli attorno ai temi di grande attualità come il pregiudizio e il razzismo. A 20 anni dalla sua prima indagine sulla problematica dell’immigrazione e la diffidenza verso l’altro, il Progetto Mandela torna sulla tematica. In una società che tenta di negare il suo essere già multietnica e che percepisce il fenomeno delle migrazioni come pericoloso e destabilizzante, ci sembra nuovamente urgente affrontare il problema del pregiudizio, che crea paura e fomenta razzismo. La conoscenza dell’altro è il primo passo verso il superamento di paure irrazionali e di pregiudizi e verso l’impegno per una società rispettosa dei diritti di tutti. Il giorno 5 novembre alle ore 16.00 prendono il via i laboratori di drammaturgia, recitazione e comunicazione. In seguito saranno aperti anche quelli di musica e di scenografia. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti. Per informazioni ed iscrizioni: tel. 0744431792, 3398519563, 3386869245 - e-mail: progetto.mandela@gmail.com
Diritti in scena Reading di teatro contemporaneo per i Diritti Umani - Rassegna a cura di Irene Loesch - Centro per i Diritti umani. Prende inizio il 19 novembre una rassegna di letture teatrali dedicate alla drammaturgia contemporanea che tratta le tematiche dei diritti, curate dal Centro per i Diritti Umani in collaborazione con la BCT presso il Caffè letterario. In un incontro al mese, per sei mesi, saranno presentati in forma di lettura testi teatrali collegati con i temi affrontati durante il corso Lungo cammino verso la libertà che si svolge presso il Centro socio-culturale di Via Aminale a partire dal 20 ottobre 2009. Il Centro per i diritti umani da 10 anni si occupa di teatro civile sia sul piano della ricerca che della produzione. Tante le tematiche trattate negli spettacoli prodotti: la pena di morte, i Desaparecidos, le Bambine soldato, la Shoa, il Porrajmos, il conflitto israelo-palestinese, solo per citarne alcuni. Questa rassegna in forma di lettura è un’occasione per far conoscere al pubblico testi della drammaturgia contemporanea che difficilmente vengono proposti nelle stagioni di teatro e vuole essere anche un ulteriore passo verso l’istituzione di quel premio internazionale di scrittura teatrale sui temi dei diritti per il quale il Centro si sta adoperando da qualche anno.
Calendario 19 novembre ore 17.00 Bambi, elle est noire mais elle est belle… di Maïmouna Gueye, traduzione Gaia Bastreghi. L’autrice, Maimouna Gueye è anche attrice e regista. I suoi spettacoli sono “j’accuse” implacabili sulla condizione della donna africana: testi duri, diretti. In Bambi affronta il tema del piccolo razzismo, quello che si può trovare ovunque, anche in una Parigi di nicchia, educata e attenta al rispetto delle differenze. Una storia emblematica, sicuramente ispirata alla sua vita, quella di Bambi elle est noire, mais elle est belle. Un razzismo dolce, persino affettuoso, che si culla in cliché banali e quotidiani, e proprio per questo più difficile da riconoscere. Ma quel che rende speciale il testo è che non si ferma al politicamente corretto. Lo sfogo di Bambi non risparmia nessuno. Attacca la cultura africana maschilista, rivendica alle mogli abbandonate dai mariti, emigrati in cerca di lavoro, il diritto al piacere, ridicolizza i marabout e i tabù della religione. Voce narrante: Donatella Calamita 17 dicembre – ore 17.00 Rifrazioni - Il diritto di esistere di Martina Banchetti, Sibilla Barbieri, Tiziana Bergamaschi, Laura De Marchi, Maria Teresa Di Clemente, Katia Ippaso, Serena Grandicelli, Francesca Sattaflores, Cinzia Villari (Premio Roma 2009 di scrittura teatrale femminile) Frutto di un Laboratorio di scrittura collettiva questo testo è scritto a 9 mani. La finzione drammaturgica sviluppata attorno a una pluralità di voci prende spunto da diverse storie di cronaca di donne reali: Zamira, inconsapevole kamikaze cecena; Varis Dirié, giovane donna somala che rievoca la sua esperienza di bambina vittima dell’infibulazione; Rita Atria, collaboratrice di giustizia, suicida a 17 anni; Chantall, prostituta bambina figlia dell’alta borghesia; Maddalena, che con difficoltà ricorda una inconfessabile violenza familiare; Maria, l’urlo ancora inascoltato di una madre di Plaza de Majo. Ma accanto a tanto dolore ci sono anche donne più fortunate che, come Marléne Dietrich e Annie Fratellini, la piccola grande donna clown della famiglia Fratellini, attraverso l’arte testimoniano la loro rivincita, determinando il proprio destino e la propria felicità. Tutto in una struttura drammaturgica dove l’essere o non essere della donna lascia con il fiato sospeso. Reading a cura di Scena sensibile, Roma
Lungo cammino verso la libertà Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani e delle loro violazioni
E’ iniziato il 20 ottobre presso il Centro socio-culturale di Via Aminale, il corso sui Diritti Umani tenuto dal Prof. Marcello Ricci e organizzato dal Centro per i Diritti Umani in collaborazione con la Biblioteca di Terni e con il contributo e il patrocinio dell’Assessorato alla cultura del Comune di Terni e dell’Assessorato ai Servizi sociali della Provinca di Terni. Più di 120 uditori, la maggior parte studenti dei Licei di Terni e Narni, si sono riversati nella sala conferenze di Via Aminale ed hanno iniziato il lungo percorso che in 23 incontri li porterà a conoscere a fondo i Diritti Umani e le loro violazioni di ieri e di oggi.
Incontri Via Aminale - Terni Ogni martedì dalle ore 15.30 alle ore 17.00 17 novembre ‘09 I diritti umani nella storia - parte IV: Il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali (1966), la Convenzione europea (1950), la Carta africana (1981), la Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo nell’Islam (1990) e la Carta araba dei diritti dell’uomo (1994). 24 novembre ‘09 I diritti della donna - parte I: Le donne e la politica; le donne e il lavoro; caccia alle streghe. 1 dicembre ‘09 I diritti della donna - parte II: La donna e l’istruzione; la donna nell’Islam. 15 dicembre ‘09 I diritti della donna - parte III: La donna e la mutilazione genitale; la “Convenzione sui diritti della donna (1979). Gli incontri sono supportati da proiezioni di documenti e/o fiction storici. Al termine di ogni incontro, il Prof. Ricci rimane a disposizione per chiarimenti e dibattiti. Ingresso libero Per informazioni e-mail: centro.dirittiumani@gmail.com telefono: 0744431792, 3398519563, 3386869245
Le letture saranno corredate da bibliografe sull’argomento, sia di testi teatrali sia di letteratura, poesia e saggistica.
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Intercral w w w. i n t e rc r a l t e r n i . i t
Te r n i e P r a g a 8
“Nell'aprile 2001, la Città di Terni ha ospitato, per la prima volta, una delegazione ufficiale del Distretto Municipale di Praga 8, guidata dal Sindaco Sig. Josef Nosek e composta dal consigliere all'ambiente e traffico, Sig. Ludek Hoznauer, dal capo Gabinetto del Sindaco, Sig.ra Eva Burianova, e dall'Assessore Jiri Vogel. In quell'occasione, i Sindaci dei Comuni di Terni e di Praga 8, l'On. Paolo Raffaelli e il Sig. Josef Nosek, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa, preparatorio alla stipula del gemellaggio tra le due città, gemellaggio che sarà ufficializzato nel prossimo mese di settembre, quando una delegazione ternana, con in testa il Sindaco, contracambierà la visita a Praga 8. Il Distretto Municipale di Praga 8 contava, al 1° settembre 2001, una popolazione, di 104.900 abitanti. Sviluppatosi con gradualità, conseguentemente alla
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crescita dell'intera città si estende dalla periferia di Praga fino a toccarne, con i suoi quartieri più meridionali, il centro. I confini del Distretto sono stati definitivamente fissati nel 1960 e contengono nove zone, di cui quattro per intero Bohnice, Kobylisy, Ciimice e Karlin - e cinque parzialmente - Liben, Troja, Stìzkov, Novè Mesto (New Town) e Zizkov.”. Questa è una parte del testo riportato nel sito del Comune di Terni riguardo al gemellaggio. Da allora credo che tra le due città non ci sia stato più nessun rapporto o meglio nessuna iniziativa ufficiale alla quale abbia partecipato la nostra comunità. Allora ci viene spontanea una domanda: a cosa servono i gemellaggi? Possiamo dare una risposta del tipo: i gemellaggi vogliono dare una risposta concreta al bisogno di incontrarsi e di stabilire un clima di collaborazione e di amicizia. Unire le città per unire i popoli e le nazioni: a questo obiettivo tendono gli scambi culturali, economici, sociali e sportivi; la reciproca conoscenza della storia, dei costumi, della vita sociale e produttiva, e tutte le altre piccole e grandi iniziative che caratterizzano i gemellaggi. Il progetto Il circuito dei gemellaggi, che la nostra Associazione intende realizzare, è quello di rivolgersi a tutte le città gemellate con Terni, con le quali sono stati attivati, da tempo, rapporti e progetti di tipo economico, sociale culturale e turistico ai quali pos-
sono aderire liberamente tutti i cittadini che hanno il desiderio di esprimere la propria vocazione verso l'amicizia, la solidarietà, la conoscenza e lo sviluppo di temi su costumi, usanze, aspetti culturali particolari, etc. Il senso del gemellaggio oggi è profondamente mutato rispetto al passato e alle origini della sua nascita. Siamo passati da un gemellaggio di tipo istituzionale che coinvolgeva solo i rappresentanti delle Amministrazioni locali, ad un gemellaggio che coinvolge sempre più il tessuto sociale delle città attraverso le associazioni sportive, culturali e di volontariato. Il nostro intento è di riattivare questa rete di relazioni per contribuire a creare opportunità. Siamo convinti che la nuova sfida stia nel territorio, nella sua valorizzazione e nella sua promozione. Ogni territorio è ricco d’opportunità sia economiche, con aziende e territori dotati di tutte le necessarie infrastrutture, sia turistiche e artistiche con musei, monumenti, laghi, parchi che rappresentano una risorsa importante. Attraverso il turismo, con le sue azioni di promozione e di accoglienza, essenziali per la diffusione della conoscenza di realtà, culture e abitudini differenti, vogliamo fare in modo di rendere protagonisti sia i visitatori sia gli abitanti delle varie destinazioni. Vogliamo stimolare la curiosità e il desiderio di saperne di più, scoprire che la differenza di lingua o di costumi non è una barriera, ma una ricchezza. Il turismo applicato ai gemellaggi rappresenta un’opportunità di crescita economica per le città che, legate da un patto d’amicizia, possono sviluppare anche dei flussi turistici, creando posti di lavoro, stimolando un indotto significativo e generando reddito a beneficio dell’intero territorio. Ci rendiamo conto dell’ambizione che muove i nostri intenti, la sfida è però molto stimolante. Cercheremo di raggiungere i nostri obiettivi. Praga 8 sarà il nostro banco di prova. Dott. Sandro Pascarelli
A.S.D. BURRACO IL DRAGO CRAL INPS CRAL PROVINCIA di Terni A.S.D. Circolo POLYMER CDS Terni - AZ. OSP. - ASL CRDC COMUNE Terni
Cenacolo Culturale Per meglio conoscere il passato e il presente del nostro territorio, anche al fine di scorgerne alcuni possibili scenari futuri, l’Intercral di Terni propone, ai suoi soci ed alla cittadinanza tutta, un Cenacolo Culturale. Si tratta di un ciclo di 14 incontri-conferenze che si terranno, a partire da gennaio 2010. Le conferenze, della durata di 45 minuti circa, inizieranno alle ore 20 e saranno seguite da una Cena Conviviale. Nel prossimo numero de La Pagina esporremo luogo di svolgimento e date. Prof. Daniele Di Lorenzi Relatori Poesia a Terni Dott. Gianni Giovannini Prospettive per l’Ospedale S. Maria di Terni Dott. Giampaolo Gravina Vini del Ternano: appunti di degustazione Arch. Paolo Leonelli La perdita di edifici e del tessuto urbanistico Dott. Michele Martella Sport e salute dei giovani ternani Dott.ssa Alessia Melasecche Terni e il nuovo capitalismo imprenditoriale Prof. Renzo Nobili Storia di Terni Dott. Francesco Patrizi Il cinema durante il ventennio Dott. Giacomo Petrarca Francesco e Valentino Prof. Giampiero Raspetti Progetti per Terni Prof. Paolo Renzi Archeologia: storia di Terni Dott. Pietro Rinaldi Terni: acque e territorio Dott.ssa Emanuela Ruffinelli Gli Ospedali di Terni Dott. Enrico Squazzini Terni nella preistoria Anche se si rimane alquanto dubbiosi in merito alla definizione di zona a traffico limitato dalle ore 1 alle 6 della notte e non di zona a traffico limitatissimo o inesistente, pure è così, se vi pare. Non avrete dunque problemi di parcheggio se deciderete di partecipare ad alcune conferenze o ad una sola di esse.
Attività del Cral Inps Terni 6/7/8 Dicembre 2009
Ponte di Sant’Ambrogio Cremona - Milano - Vigevano Domenica 20 dicembre 2009
Torna anche quest’anno, nella splendida cornice di piazza Santa Croce a Firenze, il meraviglioso mercatino di Natale Heidelberger Weihnachtsmarkt info 339.4330715 Il giorno 27 novembre 2009 si terrà, presso il Circolo Il Drago, in Via Silvestri n. 20, con inizio alle ore 20, un incontro, relatore il Prof. Giampiero Raspetti (ANTIMAGO RASPUS), sui temi della scaramanzia, della numerologia e degli oroscopi. Anche tale incontro avrà la durata di circa 45 minuti. Seguirà, sempre presso lo stesso Salone Conferenze del Circolo Il Drago, la Cena Conviviale. Al termine di quest’ultima interventi e discussione.
Per prenotare: F. De Nardis 3482864978 A. Giocondi 3394330715 S. Pascarelli 3356511243
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A E R E I
Quell’anno andai in vacanza in Nepal e mi portai dietro la Bibbia. Da un po’ di tempo mi chiedevo come fosse possibile credere in Dio. Mi ero talmente fissato che avevo iniziato ad incontrare un prete, una volta al mese. Parlavamo dei vangeli, di Gesù Cristo, gli chiedevo come potesse aver camminato sulle acque. Parlavamo anche di politica però, e di calcio, e del grande inquisitore. Il prete mi disse, l’ultimo gradino che la ragione deve salire è riconoscere che ci sono infinite cose che la superano. Non ne ero molto convinto e glielo dissi. Avemmo qualche discussione abbastanza accesa e per un paio di mesi non lo vidi. Continuai a cercare le tracce della mia religione da solo. In quel periodo Rachele era immersa nello studio e non capiva bene cosa stessi inseguendo. Quando le riferivo dei miei colloqui con il prete spesso mi interrompeva, mi faceva domande, rideva delle mie risposte. Mi diceva che la fede era un dono e non un teorema e che parlare del grande inquisitore con un prete sarebbe servito solo ad allontanarmi di più da Dio. Le dissi che volevo scoprire le tracce della mia fede perduta, vedere dove mi avrebbe condotto seguirle a ritroso.
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Forse volevo solo sbirciare dietro il sipario dell’infanzia mentre finiva. Una domenica alla fine mi portò a messa con lei, dopo molti anni. Tutto mi sembrò strano ed irreale, con le capigliature celestine delle vecchie in prima fila e la predica del prete sulla famiglia. La chiesa era fresca e bellissima, io e Rachele gli unici giovani. All’uscita mi feci il segno della croce con l’acqua benedetta, mi fece pensare all’alba cristallina e gelida di un muratore d’inverno. Rachele mi prese per mano e mi chiese cosa pensassi della predica del prete. Le risposi che non avevo ascoltato, che mi ero distratto guardando dei capelli blu. Mi lasciò la mano, finse di darmi uno schiaffo, poi si mise a ridere, intatta. Dopo qualche settimana Ashley mi invitò ad andare con lui in Nepal. Gli dissi che era una vacanza troppo dura per me, cercai di rifiutarmi. Rachele disse che passare del tempo con Ashley mi avrebbe fatto bene, che mi avrebbe distratto dalle mie fissazioni. Mi lasciai convincere: incontrai Ashley a Katmandu, lui ed i suoi amici venivano dall’Australia e dall’India. Lasciammo la città e ci dirigemmo verso Daulaghiri, Ashley mi disse che un tempo era considerata la montagna più alta della terra. Dopo 10 giorni iniziai ad avere mal di testa lancinanti a causa dell’altitudine ed a rimanere indietro rispetto al gruppo. Maledissi il momento in cui mi ero fatto convincere a quella bravata. Due giorni dopo la partenza avevo dato ad Ashley alcuni dei miei bagagli, compresa la Bibbia. Non pensai mai a Dio in quei giorni. Dai 3000 metri in su la marcia si fece difficilissima per il freddo e per l’aria ra-
refatta. Gli ultimi chilometri ci fermavamo ogni 50 metri per riprendere fiato. Qualcuno vomitò, una ragazza svenne, il mio zaino pesava ormai solo 5 chili, quello di Ashley più di 30. Dopo venti giorni di marcia arrivammo a 4500 metri ed iniziammo a ridiscendere a valle. Quando arrivammo a 4000 metri vidi in una vallata sulla nostra destra un aeroplano. Era vicinissimo a noi, conservato molto bene. Pensai di avere le allucinazioni. Gli sherpa ci dissero che era un aereo svizzero, faceva da supporto a una spedizione: aveva fatto un atterraggio di emergenza molti anni prima e non era più ripartito. Ci allontanammo dalla pista e ci avvicinammo ai rottami dell’aereo: erano distanti non più di 200 metri. Mi trascinai per 100 metri, fermandomi più volte cercando di respirare: qualcuno tra noi era già nei pressi dell’aereo. Feci qualche altro passo, poi mi fermai a metà strada, stetti lì alcuni secondi. Mi voltai, tornai indietro sulla pista, mi sedetti. Guardai gli altri vicino all’aereo, improvvisamente rinvigoriti. Rientrai a Milano che l’estate era quasi terminata, esausta. Rachele mi aspettò all’aeroporto: vedendomi arrivare sorrise, i suoi occhi bruciavano come il riflesso del sole sulla neve. Andammo a cena fuori, usciti dal ristorante facemmo una lunga passeggiata verso casa. Molti locali erano ancora chiusi, l’umida notte milanese era piena di tram, ambulanze e solitudini come sempre. Mi guardai intorno e ripensai alla quieta e terribile maestosità dei posti che avevo appena visitato. Mi domandai se quelle vette silenziose fossero
state abbastanza alte per guardare più da vicino il cielo, se quel mio viaggio fosse servito a qualcosa oppure no. Avevo smesso di interrogarmi su Dio ormai dall’inizio della nostra marcia in Nepal: si trattava di una vittoria o di una resa? Qualcuno mi aveva detto un giorno che la natura era la differenza tra l’anima e Dio: era vero? I mesi successivi Rachele riprese a dipingere, le piacevano le figure di donne solitarie e tristi come quelle di Modigliani, pensavo che fosse bravissima. La guardavo a lungo mentre disegnava, le davo qualche suggerimento, lei mi spiegava le tecniche che usava ed il messaggio che voleva trasmettere. Non uscivamo molto, ma ci piaceva affacciarci a tarda notte dalla finestra, vedere le persone salire sui tram, immaginare il futuro, guardare in silenzio la città rotolare verso l’alba. In tutti quei mesi di pitture, discussioni e notti insonni, non parlammo più della mia ansia di religione e di riscoperta, come se quella parte della mia vita fosse per sempre rimasta nel bagaglio di Ashley, in Nepal. Capii che in quell’anno erano successe molte più cose di quanto pensassi, che la vita e la natura e le creature non sono necessariamente un’emanazione di Dio, ma possono essere ciò che resta una volta dimenticato Dio. L’estate successiva al mio viaggio in Nepal passai per la prima volta dopo molto tempo di fronte alla chiesa del mio grande inquisitore. La messa della sera era finita da poco, nell’aria fresca c’era ancora odore di incenso e di vecchi vestiti a fiori: in sacrestia trovai il mio prete, che non vedevo da più di un anno. Mi riconobbe, iniziammo a
parlare, mi chiese perché non fossi più andato a trovarlo e cosa avessi fatto in quell’anno, se avessi continuato le mie letture, a quale conclusioni fossi giunto. Gli raccontai del mio viaggio in Nepal, delle montagne spietate ed eterne che avevo visto, del mio ritorno, dei mesi successivi insieme a Rachele. Gli ricordai di quando andavo a parlargli, di quando con tutte le mie forze cercavo di ritrovare la mia fede di un tempo, fatta di suore che insegnavano e dei soffitti alti e scuri dell’infanzia. Gli ricordai quella frase sulla ragione, che deve accettare che vi sono infinite cose che la trascendono. Gli parlai del canalone tra le montagne in cui un aereo giaceva da molti anni e di come a soli cento metri da esso mi fossi fermato, quasi esanime, e fossi tornato indietro. Gli dissi che anche nella mia ricerca mi ero fermato prima dell’ultimo gradino, per ignavia o per ibris, e mi ero voltato indietro. Gli ricordai le mie domande banali e le risposte insoddisfacenti che avevo ricevuto, gli parlai di come avessi deciso di costruire la mia legge morale negli occhi di una ragazza; di come anche lei non mi avesse dato nessuna risposta, ma a sua volta mi avesse posto solamente delle domande: su di me, sulla mia anima, su quanto forte fosse il mio sentimento. Gli dissi di aver abiurato alla mia ricerca, accettando di credere unicamente all’amore di una donna, di fronte a cui una religiosità laica e lacerata, sola, poteva forse esistere. Il prete mi benedisse, uscii dalla chiesa, la sera si stava svegliando in silenzio, iniziai di nuovo il mio cammino verso casa. EB
L a F o n d a z i o n e Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Giovedì 29 ottobre la Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni ha presentato, nella sua sede di Palazzo Montani Leoni, il libro Arte e territorio. Interventi di restauro. Alla presentazione sono intervenuti Bruno Toscano, professore emerito di storia dell’arte moderna dell’Università Roma Tre, i Soprintendenti e gli storici d’arte delle Soprintendenze per i Beni Architetto-
nici e Paesaggistici e per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e del Polo Museale della città di Roma. Si tratta del 4° volume della collana, uscita per la prima volta nel 2001, in cui sono contenuti saggi storico artistici sulle opere restaurate dalla Fondazione negli ultimi anni. Tutte le schede sono state realizzate grazie ad accurati studi delle fonti condotti da stimati storici dell’arte e sono corredate di relazioni tecniche di restauro redatte dai restauratori che hanno curato l’intervento. In questo quarto volume sono illustrati i restauri realizzati dalla Fondazione CARIT nei comuni di Amelia, Ferentillo, Narni,
Orte, Otricoli, San Gemini e Terni. Si tratta per lo più di dipinti murali e su tela, affreschi, sculture lignee e in stucco, altari e superfici lapidee databili tra il XIII e il XIX secolo. Meritevole di un cenno è sicuramente la campagna di restauro condotta nella chiesa di San Salvatore di Otricoli nel 2006-2007, che ha consentito di riportare in luce importanti affreschi del XIII-XV secolo in gran parte sotto scialbo. Tra i dipinti su tela si menziona in particolare la pregevole opera raffigurante la Madonna in trono col Bambino, sant’Anna e due angeli attribuita a Federico Zuccari (Sant’Angelo in Vado 1540/41 - Ancona 1609) presente nel Santuario della Madonna della Cerqua di Narni e restaurata nel 2001, oltre alla bella pala della Madonna col Bambino e santi assegnata a Calisto
Calisti (attivo nel viterbese e in Umbria tra il 1623 e il 1651) presente nella chiesa di San Nicola a Poggio di Otricoli e restaurata nel 2006. Nel volume sono stati inoltre inseriti due importanti interventi condotti a Terni dalla Fondazione: il restauro della facciata del Santuario di San Francesco terminato nel 2005 e il restauro, realizzato nel 2007, dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria Assunta. Molto interessante poi l’approfondito studio sull’Oratorio del Santissimo Sacramento di Miranda, luogo ricco di dipinti murali di Sebastiano Flori (attivo a Terni tra il 1560-1584) e bottega riportati in luce grazie ad una campagna di restauro realizzata dalla Fondazione tra il 2000 e il 2006. Tra le sculture lignee si
può, infine, segnalare un pregevole crocifisso della seconda metà del XV secolo attribuito alla bottega tedesco-umbra custodito nella chiesa di Santa Maria Annunziata e San Brizio di Papigno. La collana Arte e territorio rappresenta ormai un importante appuntamento atteso non solo dagli studiosi di arte e dagli addetti ai lavori, ma anche da quanti amano le bellezze artistiche del nostro territorio e con passione e dedizione ne seguono le vicende storiche. Con questa pubblicazione la Fondazione si propone di far conoscere gli interventi conservativi effettuati, offrendo al contempo un contributo alla conoscenza storica e all’approfondimento critico di molte opere d’arte talvolta poco note perché presenti in “centri minori”.
Musica, maestro!
Visto l’interesse suscitato dall’articolo d’argomento musicale pubblicato nel precedente numero de La Pagina (Il quartetto Per la Fine del Tempo di Messiaen), noi di Archè abbiamo pensato di esplorare la vita musicale della nostra città che, a nostro parere, ci riserverà liete sorprese. Chi scrive non ha alcuna cultura musicale specifica, ma solo una passione per l’ascoIto e la partecipazione ad eventi musicali. Pertanto chi legge vorrà perdonare eventuali svarioni ed ingenuità, ma apprezzare la volontà di comunicare l’interesse per la musica dal vivo. E’ vero che siamo
immersi durante la giornata nella musica riprodotta, più spesso male che bene, ma assistere all’evento musicate direttamente, a contatto con gli esecutori, è tutt’altra esperienza. Quali sono dunque le possibilità di assistere ad eventi musicali nella nostra città? Per avere un panorama il più possibile completo, ci siamo rivolti al Maestro Angelo Pepicelli che ci ha gentilmente concesso una intervista. Archè: Maestro Pepicelli, Lei, oltre ad aver costituito con suo fratello Francesco il “Duo Pepicelli” e con il violinista Mauro Loguercio il “Trio Modigliani”, con i quali svolge intensa attività concertistica in Italia ed all’estero, è titolare della cattedra di pianoforte all’istituto Briccialdi e Presidente dell’Associazione Filarmonica
Umbra. Sappiamo che le passate stagioni della Filarmonica hanno avuto un particolare successo di pubblico, presentando artisti del calibro di Accardo, Ughi, Sokolov e tanti altri. Ci illustra la prossima stagione concertistica 2009-2010? Maestro Pepicelli: A causa da un lato delle note difficoltà economiche in cui versa la nostra società, e la cultura in particolare, e dall’altro dell’annunciata, poi ritirata, chiusura del Teatro Verdi, siamo stati costretti ad una ricerca attenta della prgrammazione, improntata più del solito alla varietà della proposta accoppiata alla più alta qualità. Ospiteremo a Terni grandi artisti come De Maria, Sollima, l’Orchestra tzigana di Budapest ed il Quartetto della Scala. Andremo inoltre ad ascoltare al Parco della Mu-
sica protagonisti del calibro di Abbado, Pollini, Masur e Pappano. Infine anche quest’anno ci sarà una programmazione per le Scuole della nostra città. A: Maestro, oltre alla vostra attività, quali sono le altre occasioni per ascoltare musica, e non solo classica, dal vivo a Terni? MP: Intanto sono felice di affermare che la nostra città presenta una offerta musicale ricca e varia, per mia esperienza paragonabile, se non superiore a molte città italiane. Vorrei citare il Concorso Internazionale Casagrande, le stagioni dell’Associazione Araba Fenice, dell’Associazione Visioninmusica, dell’Accademia Hermans, di Terninjazz, dello stesso Istituto Briccialdi, la rassegna Maree e il circuito del Club curate dall’Arci, il Cantamaggio,
Associazione Interamnense di Cultura
il festivai Ephebia Rock, e certamente ne tralascio tante altre meritevoli d’attenzione. A: Certamente non mancano occasioni di ascoltare musica di qualità dal vivo. Se il direttore de La Pagina ed il Presidente dell’Archè lo consentiranno, è impegno di chi scrive contattare tutte queste realtà musicali presenti nella nostra città per conoscere meglio la loro attività insieme ai lettori de La Pagina. Gentile Maestro, La ringraziamo per la preziosa collaborazione. Per Archè Giulio Chiappa
Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica
Fisioterapia e Riabilitazione Dir. San. Dr. Michele A. Martella - Aut. Reg. n. 8385 del 19/09/01
Terni - Via Botticelli, 17 - Tel 0744.421523 - 401882 13
Pitagora fu il primo a chiamare cosmo la sfera delle cose tutte, per l’ordine che esiste in essa.
La nostra associazione, si è ulteriormente potenziata con il recente arrivo di un nuovo, potente strumento osservativo: un telescopio riflettore tipo Dobson con lo specchio principale di ben 400 mm di diametro. Per intenderci è della stessa dimensione del telescopio dell’osservatorio astronomico di S. Erasmo con la differenza che, privo di motorizzazione, non si presta alla realizzazione di fotografie, ma a proprio vantaggio ha le prerogative di essere poco ingombrante (si può trasportare con una normale autovettura) e si monta/smonta in pochi minuti. E' uno strumento eccezionale nel suo genere, che ci permette di divulgare l'astronomia in piazza facendo vedere oggetti celesti invisibili alla maggior parte di strumenti amatoriali: con una lunghezza focale di 1800 mm possiamo spingerlo tranquillamente ad oltre trecento ingrandimenti!. L'abbiamo collaudato immediatamente sotto il cielo buio di Forche Canapine in occasione dello Star Party di luglio, con grande soddisfazione dei soci e visitatori presenti; successivamente, portato un po' in giro nei paesi limitrofi di Terni, è risultato determinante collocato nel prato adiacente l'osservatorio di S. Erasmo per diluire la fila del numeroso pubblico che interveniva durante le aperture estive. L'acquisto del Dobson 400, si è reso possibile grazie alla donazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni. E' un doveroso e sincero ringraziamento quello che facciamo al Presidente e a tutti i consiglieri della Fondazione CARIT, non solo per questo magnifico telescopio, ma anche per gli aiuti elargiti negli anni passati e che hanno permesso la dotazione di attrezzature indispensabili per quell'opera di divulgazione delle scienze astronomiche, che noi orgogliosamente e disinteressatamente mettiamo a disposizione della collettività. Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com
As s o c i a z i o n e Ternan a A strofili - Massimiliano Be ltrame V i a M a e s t r i d e l L a v o r o , 1 - Te r n i tonisca@gmail.com 329-9041110 www.mpc589.com
L’osservatorio astronomico di S. Erasmo è aperto g r a t u i t a m e n t e per i cittadini l’ultimo venerdì di ogni mese dalle ore 21,30.
costellazione
al mese
Sotto ed a ovest della grande costellazione di Pegaso che domina il cielo autunnale, si dipanano, debolissime, le stelle dei Pesci, dodicesimo segno dello Zodiaco. La costellazione inizia con una specie di “Y” sotto Andromeda e termina con un caratteristico pentagono sotto il quadrato di Pegaso. I nostri antenati vedevano due pesci uniti da corde avvolte attorno alle loro code. Secondo una delle tante versioni mitologiche Venere e Cupido si sarebbero trasformati in pesci per sfuggire all’ira del gigante Tifone durante la guerra contro i Giganti. Ad ovest dei Pesci e sotto Andromeda la costellazione zodiacale dell’Ariete è caratterizzata da stelle poco vistose e priva di oggetti visibili con piccoli telescopi. Il nome, di origine antichissima, rappresenta il mitico animale dal vello d’oro, mandato da Zeus a salvare i figli della dea delle nubi Nephele. Tra l’Ariete ed Andromeda un’altra piccola costellazione, facile da riconoscere: il Triangolo. Era conosciuta dai Greci come Deltaton, per la sua forma simile alla lettera “delta”, o come Trigonon e identificato con la Sicilia per la sua forma triangolare. Arato di Soli (270 a.C.) scrive: “Nei pressi di Andromeda si trova l’isola della Sicilia, simile ad un triangolo con il lato più corto ornato di stelle vicine”. Giovanna Cozzari
Osservatorio Astronomico di S. Erasmo
Pillole di Astronomia
Osservazioni per il giorno Venerdì 27 Novembre 2009 Alle ore 21,30 (orario di apertura dell'osservatorio) troviamo la Luna alta nel cielo meridionale; è di 10 giorni e rimane a darci fastidio (si fa per dire!) con la sua luminosità per tutta la serata. Giove oramai è troppo basso sull'orizzonte e ben presto scompare inghiottito dall'inquinamento luminoso di Terni. Ci conviene puntare il telescopio verso est e sarà la galassia di Andromeda il primo oggetto da osservare. Il settore di cielo compreso tra le costellazioni del Toro, di Auriga e Perseo è ricco di ammassi aperti e fra i tanti osserveremo i più interessanti: Le Pleiadi (M45) il doppio ammasso di Perseo ed M15. Gli astrofili dell'A.T.A.M.B. oltre alla postazione del telescopio, saranno a vostra disposizione per indicarvi tutte le costellazioni ed i relativi modi della volta celeste, nonché simulazioni al computer tramite sofisticati software astronomici. Federico Guerri
La costellazione dei Pesci contiene il “punto d’Ariete” in quanto nei Pesci, all’equinozio di primavera, il Sole attraversa l’Equatore Celeste. Invece 2000 anni fa il Sole, all’equinozio di primavera, veniva a trovarsi nella costellazione dell’Ariete. A causa della precessione degli equinozi, lento spostamento dell’asse terrestre in 26.000 anni, l’Ariete giunge con un mese di anticipo sull’Equatore celeste. Per ragioni storiche il passaggio del Sole attraverso l’eclittica viene ancora chiamato “punto d’Ariete” e contraddistinto con il simbolo γ che ricorda le corna dell’animale. GC
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Una
Aëtius, II 1, 1 [Doxographi graeci 327]
L’ o s s e r v a t o r i u L’andru ggiornu stevo a cchiacchiera’ co’ ‘n gruppittu de amici... cercavo de cunvinceli a iscrivese a l’ATAMB(e)... Associazzione Ternana Astrofili Massimijano Bertrame. Je dicéo che... de astrofili qui ppe’ Terni ce ne stanno ‘n mucchiu... sia de quilli veri che dde quilli sulu de nome come mme... e tutti semo invaghiti de la vorda celeste. Ognunu de noi cià ‘n telescopiu llà casa e cchi non ce l’ha... non s’avvilisce de certu... perché co’ l’occhi nudi e ‘n cielu stellatu se la pòle aggusta’ anche de più... e ppo’ quanno cià voja po’ addopra’ li telescopi de l’associazzione o de li compagni sui... come faccio io! Lu strumentu miu è ssempre ‘n probblema addoprallu... perché mi moje... co’ la scusa che ‘mpiccia llà ccasa e ppo’ stòna co’ li mobbili... me l’ha fattu ‘ncastra’ dentro a lu sgabbuzzinu che... ppe’ tirallu fòri... ce devi penza’ ‘na settimana prima e... dda lu stratu de porvere che cce sta sussopra co’ ‘n po’ de calculi se pòle risali’ all’urdima vorda che l’ho addopratu. Però lu telescopiu... s’è tantu grossu... lu postu più adattu pe’ ttenellu è su ‘n osservatoriu... come quillu de Santa Lucia... messu su ‘n postu isolatu e scuru... ‘na specie de cupola che sse scuperchia sussopra come ‘n cappellu che, senza levallu, pe’ guarda’ per aria lu sgarri. Zichicchiu m’ha dittu che cce ne stanno ‘n saccu de osservatori sparsi pe’ lu monnu... quillu de Monte Pàloma ‘n California, de Arcetri a Firenze, de Kitte Pikke in Arizzona, de Monte Mariu a Roma, de Mauna Kea a l’Haway, de Santa Lucia a Stroncone, de La Silla in Cile, de Santu Rasimu a Cesi, de Polinu a Arrone, de... Senti ‘n bo’ Lunardi’... me fa unu... ma tu su qquarchidunu ce sì annatu llà ppe’ ddentro?... Scì... unu n’ho visitatu! Ma mo’ no’ mme ricordo se era quillu ‘n do’ steva lu telescopiu Habbele o... quillu su ppe’ Santu Rasimu! paolo.casali48@alice.it
ASTROrime... Eclisse lunare La Terra in rotazione… diciamo un po’ importuna… talvolta si frappone tra il Sole e la sua Luna. Allor la Luna Piena che dava al ciel chiarore uscendo dalla scena (entra nell’ombra) si adombra con rossore. L’eclissi poi finisce… la Luna torna sgombra… per chi lo percepisce è stata in cono d’ombra. PC
Accadde a Novembre... La Nebulosa del granchio 10 novembre 1695 – Nasce l’astronomo britannico John Bevis. Nel 1731 fu il primo ad osservare la Nebulosa del Granchio, ma la notizia non ebbe diffusione, tant’è che Charles Messier, uno dei più famosi astronomi francesi, la riscoprì indipendentemente nel 1758 e la indicò come M1 nel suo celebre catalogo. Bevis, venuto a conoscenza del fatto, informò Messier della sua osservazione del 1731, e questi prontamente aggiunse una nota nelle edizioni seguenti del catalogo, riconoscendo a Bevis la paternità della scoperta. La Nebulosa del Granchio I cieli non sono eterni: una stella nasce, evolve ed infine (immagine effettuata dall’Oss. di Santa Lucia di Stroncone) muore. Il canto del cigno di una stella però, può far apparire nel cielo una nuova stella, una stella ospite, come veniva definita dagli antichi astronomi asiatici. La Nebulosa del Granchio è ciò che resta dell’esplosione di una supernova, osservata nel 1054 principalmente dagli astronomi asiatici, che l’annotarono appunto come stella ospite nei loro annali. Così veniva riportata in uno dei tanti registri cinesi: Il primo anno di regno dell’Imperatore Chi-Ho, il 5° mese, il giorno chi-ch’ou (4 luglio 1054) una stella ospite apparve parecchi pollici a sud-est di Tien Kuan ( Zeta Tauri ). Dopo più di un anno, essa è diventata progressivamente invisibile. Anche gli astronomi Giapponesi lasciarono tracce scritte dell’osservazione della stella ospite: La seconda decade del 4° mese del 2° anno dell’era Tien-Ki (20-29 maggio 1054)… una stella ospite apparve in Hsin-Tsui (la Tartaruga, equivalente di Orione ); essa era visibile nei cieli orientali. Brillava come una cometa in Tien-Kuan ed era grande quanto Giove. Uno storico arabo invece, adducendo negatività all’eccezionale fenomeno, scrisse: Una delle epidemie più note della nostra epoca è quella che scoppiò quando una stella spettacolare apparve nell’anno 446 dopo l’Egira (dal 12 aprile 1054 al 1° aprile 1055). Per quanto riguarda l’Europa, si è creduto a lungo che non vi fossero state osservazioni circa l’eccezionale evento, adducendo la motivazione ad un periodo di quasi due anni di cattivo tempo su tutto il territorio, tesi assolutamente insostenibile. Altra motivazione del prolungato silenzio era l’oscurantismo medievale e la diffusione della teoria aristotelica sull’immutabilità del cielo, anche se questa teoria si diffuse solo nel secolo successivo… Cosa succedeva allora in Europa nella primavera del 1054? Sicuramente l’evento principale fu la morte del Papa Leone IX, il 19 aprile 1054. Libuinos, un sotto-diacono del Papa, descriveva così l’evento: Una stella decorata con ornamenti meravigliosi, che brillava tramite la luce di numerosissime fiaccole, e lungo la quale la sua anima (l’anima del defunto Papa Leone IX) fu condotta in Cielo dagli Angeli ed un monaco fiammingo invece, sempre riferendosi alla morte del Papa scriveva: … e nella stessa ora in cui la sua anima lasciò il suo corpo, e non solo a Roma dove egli riposava, ma ovunque nel mondo, agli uomini apparve un cerchio di una straordinaria luminosità nel cielo. E’ evidente che le date occidentali e quelle orientali non coincidono. Perchè? A quei tempi l’astronomia-astrologia cinese, basata soprattutto su eventi inattesi come comete e stelle nuove, era al servizio dell’Imperatore; il 1054 fu un anno estremamente negativo per la corte cinese e nel mese di maggio, per di più, si verificò un’eclisse solare (che per un Imperatore del Sole si capisce bene non sia di grande auspicio!). Forse gli astronomi di corte, tenendo molto a conservare la testa sul collo, hanno creduto opportuno attendere qualche tempo prima di comunicare la presenza di una stella ospite. In Europa le cose non andavano molto meglio. Lo scisma tra Chiesa d’Occidente e d’Oriente e i problemi derivanti fecero stendere un velo di silenzio (qualcuno lo definisce censura) su questa supernova eccezionale e scomoda. Che sia del Papa o dell’Imperatore, a volte il potere è più forte di tutte le stelle! Fiorella Isoardi Valentini
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