Mensile gratuito
N째 09 - Novembre 2011 (89째)
Senatori della città
Governi razionali
- P Fabbri
La creatività al potere
4
- A Melasecche
I poveri mangiano, i ricchi digiunano
- V Policreti
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STUDIO MEDICO BRACONI
6
Sardegna: arredamento tipico e non solo
- C Mansueti
24° mostra mercato nazionale del tartufo di FABBRO 7
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TERNI E NARNI
8
Le anime sante e gli spiriti maligni
9
INTERPAN
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Marco Mengoni, intervista con il “Re matto”
11-12-13
LICEO CLASSICO - A Bregliozzi, M D’Ulizia, Gilda, V Novelli, E Giocondi, S Pacioselli, A Pieroni
14
L’associazione NahArti e la sua missione
15-16-17-18
Alla scoperta di... SCARZUOLA e BUZZINDA - L Santini
19
COLLESCIPOLI Trovato animale mostruoso
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La casta sul tetto che... costa
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I sapori della tradizione, L’OLIO
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La verità sul 2012 Santa Croce
- V Grechi
- L Bellucci
- F Li Gobbi
-LB
- P Seri - L Santini
- conferenza di Walter Ferreri
- libro di Leonardo Sinibaldi
Il calcio alla rovescia - libro di Riccardo Zampagna
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Senatori della città - libro 24
Problema della tolleranza nel cinque-seicento - M Ricci
25
TECNICHE DI PRECISIONE
26
ASILO NIDO MONTESSORI
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STEVE JOBS
28
La Restaurazione
- C Colasanti - L B - F Ne r i
Orrori e Splendori 29
ALFIO
30-31
Astronomia
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SUPERCONTI
LA
- a c u r a d i P Le o n e l l i
- T S c a c c i a f r a t t e , E Co s t a n t i n i , P C a sa l i , F Va l en t i n i
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
0744424827 - 3482401774 w w w. l a p a g i n a . i n f o
Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. E’ vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
Dove trovare
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ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CIVITA CASTELLANA SUPERCONTI V. Terni; MASSA MARTANA SUPERCONTI V. Roma; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; PERUGIA SUPERCONTI Centro Bellocchio; RIETI SUPERCONTI La Galleria; ROMA SUPERCONTI V. Sisenna; SUPERCONTI V. Casilina 1674 (Grotte Celoni); SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; TERNI Banco Libri P.zza Tacito; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; Cral Provincia di Terni; CRDC Comune di Terni; Edicola F.lli Galli - V. Narni - Zona Polymer; Edicola M&C - V. Battisti; Edicola Scoccione - V. Marzabotto; INPS - V.le della Stazione; Libreria ALTEROCCA - C.so Tacito; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C. Comm. Le fontane; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; TUTTOCARTA - V. Maestri del Lavoro 1; TODI SUPERCONTI V. del Broglino; VITERBO SUPERCONTI V. Belluno; VITORCHIANO SUPERCONTI Località Pallone.
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laboratori
I biopirati del nuovo millennio - F Patrizi
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La politica nazionale è certamente importante ma è nelle città che si assiste di prima mano alla traduzione delle sue sottili strategie. E’ nel territorio che si apprezza, in particolare, un partito o se ne prova indignazione. Ed è proprio per gli esempi elargiti a piene mani da tantissimi politicanti di paese che la falla precipita e si fa voragine. Costoro, che prosperano in tutti i partiti, s’impegnano alacremente in pratiche volte più al permanere che al cambiare. Autodefinitisi politici, presumono anche di saper amministrare, senza aver mai gestito alcunché. Dotato di sagacia nel gestire uomini e idee, di solida esperienza lavorativa, di attitudini manageriali, di capacità di intendere progetti o di personale perizia progettuale, l’amministratore è chiamato ad esaltare tutte le risorse esistenti e a crearne di nuove, favorendo soprattutto l’imprenditoria locale. Il politicante presume invece di saper amministrare... gli eventi, la cultura, il turismo, il sociale... il futuro dei cittadini... ma quante ne sa? Taluni, nella loro opaca vita, non hanno mai dato prova di alcunché, mai lavorato, mai qualcosa da dire, ma nessun ritegno nel dirla. Il mondo attuale non è certo mundus, pulito ma è stato trasformato dalla politica in un im-mundus tossico, utilitaristico, affaristico, velinistico-zoccolante giacché è stato sparso a piena mano, attraverso esempi ributtanti offerti da molti politicanti, il seme del cavolsuismo ad oltranza. Noi di Fiore di Pesco riteniamo invece dovere comune quello di impegnarsi disinteressatamente per la propria terra, per la propria città, per il proprio paese. A tal fine abbiamo editato e distribuiamo gratuitamente il volumetto Senatori della città. In esso si parla della politica dei valori condivisi, di promuovere un volontariato a tutto tondo, da parte, in particolare, di quegli amministratori e di quei politici che, dopo aver espletato due mandati, se si credono ancora così importanti come da sempre fanno apparire, e lo sono davvero, inibiti tutti per legge, soprattutto morale, a qualsiasi ulteriore mandato politico, inizino ad impegnarsi in maniera completamente gratuita ad esclusivo vantaggio dei giovani, qualunque sia l’orientamento partitico di quest’ultimi. I Senatori della città parlano con i cittadini, consigliano i giovani, mettono non solo la loro esperienza ma anche il loro sapere a disposizione degli altri. Istituiscono corsi per futuri amministratori, corsi nei quali scambiare idee, promuovere progetti, ma, soprattutto, preparare alcuni cittadini ai saperi necessari per un amministratore moderno. Gratuitamente, perché chi ha già dato ed è bravo e saggio non prende soldi dagli altri, altrimenti si riduce a mercenario e un mercenario ha a cuore solo i suoi interessi. Intanto, il 14 novembre, hanno di nuovo inizio i corsi gratuiti di matematica, presso la biblioteca comunale. Una esperienza giunta al terzo anno e che ora viene richiesta anche da altre città italiane. La nostra politica è assiologica, dei valori, e reca con sé la presunzione che molti di questi siano condivisibili e che alcune nostre idee possano essere utili ai nostri giovani, qualsiasi sia la loro bandiera. Siamo dunque degli illusi, ma... ...Vi deve pur essere gioco e innocenza e dovizia di fiori, altrimenti per noi sarebbe troppo piccolo il mondo e la vita non un piacere. Giampiero Raspetti
Lab
P.zza del Mercato Nuovo, 61 - 05100 TERNI www.salvatidiagnostica.it - Dir. Dr. Luciana Salvati
Unità Operative
Settore Medicina di laboratorio Tel. 0744.409341 Patologia Clinica (Ematologia, Chimico-Clinica, Immunochimica, Coagulazione) Microbiologia e Parassitologia Clinica Riproduzione (dosaggi ormonali, valutazione fertilità maschile) Infettivologia - Allergologia - Biologia Molecolare Tossicologica umana e ambientale - Citologia Intolleranze alimentari - Malattie Autoimmuni
Settore AcquAriAlimenti Tel. 0744.406722 Microbiologica e chimica degli alimenti e delle acque Consulenza ed assistenza tecnico-legislativa in aziende alimentari Valutazione, progettazione, implementazione piani HACCP Corsi di formazione ed aggiornamento
I biopirati del nuovo millennio: dai Caraibi all’Africa passando per le vene
Niente bende sull’occhio e mano uncinata, i pirati del nuovo millennio si presentano sotto la veste assai meno romantica di biologi ricercatori e non si spostano sui velieri, ma a bordo di jeep con le quali setacciano il continente africano in cerca di microrganismi. Prendiamo il caso della multinazionale Genencor: i suoi biologi si sono recati in Kenya per studiare le biodiversità dei laghi del paese e hanno scovato un micobatterio adatto a scolorire i jeans; il ricavo di tale impiego si aggira sui 3,4 miliardi di dollari annui, ma il governo keniota non ha visto un centesimo. La Procter&Gamble estrae un microrganismo dal lago Nakuru per produrre un detersivo molto diffuso, mentre la Sygenta si è appropriata dei bulbi di una pianta della Tanzania nota come impatiens usambarensis, la terza pianta ornamentale più venduta negli USA. Come mai questi signori sfruttano le risorse di paesi a cui poi non versano un centesimo? L’escamotage legale è offerto dalla legge americana: basta depositare presso l’ufficio brevetti il microrganismo, il bulbo o il micobatterio africano e se ne acquista la proprietà intellettuale e commerciale. La Sail&Corp Improvements è arrivata addirittura a brevettare il tiff, il cereale che sfama da secoli la popolazione etiope e ora gli abitanti di Addis Abeba, per creare nuovi prodotti dalla loro farina, devono pagare una multinazionale olandese. Il fatto è che la legge è uguale per tutti, ma non tutti hanno la stessa idea e la stessa conoscenza della legge; il concetto di proprietà intellettuale appartiene al diritto delle società moderne occidentali ed è stato imposto a gente che non lo contempla nella propria cultura giuridica. In altre parole, nessuno ha avvertito gli etiopi che dovevano sbrigarsi a brevettare il cereale che gli cresce intorno alla casa per tutelarlo. Comunque questi nuovi pirati che depredano i beni della terra (da cui il nome biopirati) si spingono molto più in là dei laghi e dei campi dell’Africa: la nuova isola del tesoro ambita dagli emuli di sir Francis Drake è la mappa genetica dell’uomo; si calcola che già un quinto dei geni del nostro corpo sia di proprietà di privati. Questo vuol dire che per fare ricerca sui geni patogeni bisogna pagare, e lautamente, chi ne detiene i diritti, ecco perché le terapie e i medicinali per patologie molto gravi hanno un costo elevatissimo. È il corpo umano il vero business del domani. L’ufficio brevetti americano comunque non sempre accetta di registrare la paternità di una scoperta se non ne è convinto… ne sa qualcosa il governo etiope che sta cercando da anni di registrare la terza pianta di caffè nazionale, ma si vede ogni volta rifiutata la richiesta; ed ha una certa fretta, dal momento che la catena di coffe-bar Starbucks possiede già le altre sue due piante! Francesco Patrizi
Governi razionali Abbiamo la memoria corta. Questo dipende certo dal fatto che la vita stessa dell’uomo non è particolarmente lunga, almeno se commisurata sui tempi della storia; venti anni bastano a fare di un bambino un adulto consapevole, ma sono davvero pochi se comparati al milione di anni del genere Homo, o anche solo ai pochi millenni di Storia di cui abbiamo reale memoria diretta. Accade così che dall’alto dei pochi anni che ci è stato dato di vivere si è portati a pensare che tutto quanto conosciamo abbia durata e valori eterni, o quasi; ma se questo è certo vero per molte emozioni e caratteristiche che fanno dell’Uomo quello che è, altri aspetti sono invece molto più transitori, volatili, e ciò nonostante rischiano di essere considerati eterni e immutabili. Sono cambiati, e continuano a cambiare velocemente, molti criteri morali sui comportamenti sessuali, ad esempio: il giudizio che si dava solo una decina di lustri fa sull’omosessualità, sull’adulterio e sui comportamenti erotici in genere era molto diverso di quello a cui siamo abituati oggi. La stessa cosa -ma in direzione inversa, verso una minore tolleranza- è accaduta nello stesso periodo in paesi che hanno introdotto nelle loro legislazioni i comandamenti di qualche fondamentalismo religioso. Del resto, per quanto noi ci dichiariamo orgogliosi di discendere dal punto di vista culturale e politico da quegli antichi Greci che inventarono la filosofia, la matematica e la democrazia, è indubbio che non esiteremmo a giudicare come peggio che obbrobriosi alcuni dei loro comportamenti verso i fanciulli. Allo stesso modo può apparire del tutto inevitabile, agli occhi dell’italiano medio dei giorni nostri, che il governo sia materia per politici, e che i politici siano prevalentemente personaggi che mirano soprattutto al mantenimento di potere e privilegi. Ma non è stato sempre così. Ci sono stati tempi e luoghi (anche se abbastanza rari, a dire il vero) in cui si pensava che fosse opportuno che a governare lo Stato ci dovessero essere uomini saggi; filosofi, insomma. E per quanto possa accadere incredibile, persino nel giovane Regno d’Italia capitò che fu nominato Presidente del Consiglio un personaggio che campeggia, sia pure come astro di moderata grandezza, nei volumi di storia della matematica: si tratta di Luigi Federico Menabrea, e fu una sorta di informatico ante-litteram. Collaborò con Charles Babbage, il costruttore di quell’Analytical Engine che fu il primo antenato dei moderni computer, e con Augusta Ada Byron Lovelace, la figlia del poeta Geoge Byron che è oggi considerata la prima autrice di programmi per calcolatori della storia. Andando molto più indietro nel tempo, in quella Magna Grecia che è parte della storia di molto territorio italiano, si può risalire fino al sesto secolo avanti Cristo, quando a Crotone imperava -e non solo culturalmente- la scuola di Pitagora. Né Menabrea né Pitagora possono essere considerati degli esempi di governanti particolarmente memorabili: Menabrea era essenzialmente un militare conservatore, contrastò Garibaldi che voleva liberare Roma, fece ricorso al balzello più impopolare della storia, la famigerata Tassa sul Macinato. Pitagora dal canto suo aveva un approccio forse un po’ troppo fondamentalista del concetto di disciplina, credeva nella metempsiscosi, aveva una fobia esasperata delle fave e imponeva ai suoi discepoli d’essere vegetariani. In ogni caso, la sua scarsa adattabilità alla politica moderna e contemporanea è forse dimostrata al meglio quando la sua scuola dimostrò l’incommensurabilità tra il lato e la diagonale del quadrato. Il fatto che la relazione tra i due segmenti non fosse in nessun caso esprimibile come il rapporto tra due numeri interi, lo sconvolse fino quasi alla pazzia. Non poteva accettare l’idea che esistesse qualcosa che -letteralmente- sfuggiva alla possibilità della ratio, della messa in relazione: non tollerava l’idea dell’irrazionale. Ne fu così sconvolto che ordinò che la scoperta non venisse rivelata, e quando Ippaso di Metaponto disubbidì e rese la cosa di pubblico dominio, i suoi allievi della scuola crotonese misero a morte il disubbidiente. Per i politici di quel tempo, l’irrazionale era semplicemente intollerabile. Tutto il contrario, si direbbe, dei politici dei giorni nostri. P i ero F ab b ri
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La creatività al potere!
I poveri mangiano, i ricchi digiunano
Adattarsi, improvvisare e raggiungere lo scopo, non sarà forse tra le citazioni più scientifiche, ma la celeberrima frase di Clint Eastwood (alias Gunny, nell’omonimo film di fine anni ‘80) rende bene l’idea. Volendo invece ricorrere a qualcosa di più alto si può scomodare Erich Fromm: “Che cos’è la creatività?…è la capacità di vedere…e di rispondere”. Il risultato comunque non cambia. E’ ormai riconosciuto a livello globale e si sono scritti fiumi di parole sul tema: la creatività aggiunge valore alle persone, permette di affrontare il mondo contando pienamente sulle proprie risorse e non solo su ciò su cui ci si sente più preparati e quindi più sicuri. Ma la creatività non è innata, va “tirata fuori” ed educata, costa impegno ed energia da parte di tutti coloro che sono coinvolti nel processo. Ad oggi, in Italia, l’investimento nei confronti dei giovani e della loro creatività risulta essere scarso e poco incisivo. I luoghi tipicamente deputati a questo, come scuole, università, ecc., indirizzano i loro sforzi principalmente verso attività ampiamente codificate, che mirano ad uniformarli verso un dato livello di conoscenza, mentre poco tempo viene dedicato a stimolare e valutare le loro capacità creative, le loro doti ed i loro talenti. E’ per questo che merita di essere conosciuta un’iniziativa decisamente fuori dai canoni, il Creativity Camp, un percorso dove i giovani hanno la possibilità di esprimere le loro idee innovative condividendole, in un contesto di gioco, di lavoro di gruppo e insieme ad altri giovani, di verificarne la fattibilità e l’efficacia tramite l’incontro con le imprese del territorio. E non si tratta di qualcosa che funziona solo sulla carta, ma anche nella realtà e riscuote ampi consensi. Basta leggere i feedback entusiasti dei giovani ternani creativi, Silvia Santarelli, Jessica Sini, Gabriella Quadro, Daniela Veneri, Stela Haxhiraj, Emiliano Leti, Annalisa Micanti e Mattia Francescangeli, che si sono messi in gioco partecipando all’ultima edizione ternana che si è tenuta a metà ottobre. Esperienza unica, speriamo ripetibile, con delle persone altamente qualificate capaci di interagire con noi tutti attraverso attività volte a far emergere la nostra personalità e sviluppare un approccio di risoluzione a problematiche di vario genere mettendo a dura prova la nostra intelligenza. Attività e persone di questo genere dovrebbero trovarsi più spesso! e poi L’esperienza al Creativity Camp è stata sicuramente interessante, formativa ma soprattutto STIMOLANTE! Tutte le attività fatte mi hanno aiutato a capire molto su quello che potrebbe essere il mio futuro quindi GRAZIE di questa opportunità! e ancora E’ stata un’esperienza sicuramente originale, molto importante per cercare di manifestare o di esprimere la propria creatività che molto spesso mettiamo da parte. Un’iniziativa coinvolgente da ripetere poi E’ stata un’esperienza davvero bella, entusiasmante! L’idea di creare qualcosa per stimolare i ragazzi è geniale ed originale soprattutto perché non ci viene mai dato spazio. Le attività sono state divertenti e coinvolgenti oltre che interessanti. Ho appreso molto in questi giorni, soprattutto che devo lavorare molto sulla mia idea! Grazie. L’iniziativa www.creativitycamp.it rientra nelle Azioni ProvencEgiovani Anno 2010 del Ministero della Gioventù in collaborazione con l’Unione Province d’Italia. I Creativity Camp sono dei momenti ludico/formativi durante i quali i giovani partecipanti, tra i 17 e i 22 anni, sviluppano e perfezionano un’idea innovativa imprenditoriale con l’aiuto di esperti di settore. Hanno solitamente una durata di 3 giorni e si svolgono in residenze turistico-alberghiere che facilitano l’operatività e la collaborazione. Insomma, oltre ad essere un investimento sul proprio futuro, non si può dire che ci si annoi! a.melasecche@meta-group.com
Dietro il titolo provocatorio del presente articolo, c’è un fatto ben noto: Anoressia, Bulimia e Vomiting, i disturbi psicogeni dell’alimentazione, sono un privilegio dei popoli ricchi: quelli poveri non li conoscono. In certi paesi dell’Africa o dell’Asia molti affamati sarebbero sinceramente stupiti se sapessero che da noi le donne cercano, in generale, di mangiare poco e che alcune si spingono tanto avanti da morire di fame. Ci sarebbe quasi da fare dell’ironia, se non fosse che l’anoressia è davvero una malattia grave, nei casi estremi mortale. Ma attenzione: l’ossessione per il mangiare poco non è della sola anoressia: paradossalmente anche le bulimiche che si abboffano vorrebbero calare di peso, non aumentare; solo che, imponendosi diete assolutamente irrealistiche, finiscono col causare esse stesse proprio ciò che più temono: il mangiare compulsivamente, smodatamente, sguaiatamente fino a scoppiare, col risultato di sentirsi dei vermi non solo perché hanno mangiato a quel modo, ma perché pensano di non essere state capaci di non mangiare, lontanissime dal capire che la loro volontà non c’entra né tanto né poco e che la natura ha le sue (provvidenziali) leggi. Se rimediano a questo vomitando dopo l’abboffata mantengono il proprio peso, ma al posto di un disturbo ne hanno due, dati i gravi guasti che il vomitare frequente e prolungato nel tempo provoca all’organismo e a parte lo schifo. Caratteristica infatti tanto delle anoressiche quanto delle bulimiche è di proporsi un moderato calo di peso rispetto a quello attuale, qualunque esso sia; e di proporsene uno successivo non appena il peso desiderato sia stato raggiunto; la differenza è che le anoressiche ci riescono fino a ridursi in scheletri e le bulimiche no. Queste ultime tendono a evitare grossi problemi con la famiglia perché pubblicamente stanno a dieta e si abboffano di nascosto; le vomitatrici invece riservano il segreto non alla fase del mangiare, ma a quella del vomito. Le anoressiche, forti e coriacee nella loro malattia, digiunano coram populo o quasi. Ciò provoca tutta una serie di tentativi dei familiari e dell’ambiente in genere per indurle a mangiare almeno un po’. Occorre che chi ha a che fare con un’anoressica sappia che questi tentativi, lungi dal risolvere il problema lo aggravano. Più ci si affanna nel tentativo di farle mangiare, più esse si intignano a resistervi; inoltre si finisce con il fare il loro gioco, riconoscendo implicitamente che il mangiare è la cosa più problematica del mondo, che è proprio l’inammissibile presupposto filosofico alla base di questi disturbi. E allora i poveri genitori che vedono consumarsi la loro figliola e giustamente se ne struggono, che devono fare? Per prima, la cosa più difficile: non intervenire. Per seconda, la più opportuna: mettere la faccenda nelle mani di un buon terapeuta. Oggi vi sono approcci diversi a questo disturbo, purtroppo dei più resistenti alle terapie; d’altra parte non vi sono alternative, in casa e da soli difficilmente si risolverà qualcosa. A meno di non pensare che le vie del Signore sono infinite e contare su padre Pio. Hai visto mai? Dr. Vincenzo Policreti
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w w w. l a p i a z z e t t a r i s t o r a n t e . i t lapiazzetta.terni@libero.it
PSICHE
Psicologo, psicoterapeuta policreti@libero.it
Il carcinoma della mammella è il tumore più diffuso nelle donne dei paesi occidentali per le quali il rischio di ammalarsi nel corso della vita giunge fino al 10 %. La prognosi è relativamente buona se la diagnosi viene eseguita precocemente. Esistono situazioni in cui un importante fattore di rischio è rappresentato dalla familiarità: circa il 10-15 % delle donne che sviluppa un carcinoma della mammella ha una parente di 1° grado che è stata colpita dalla malattia. Obiettivo primario è trovare il tumore in fase pre-clinica, condizione che aumenta la curabilità della malattia riducendo la demolizione chirurgica. L’unica tecnica che permette di identificare la lesione in fase preclinica è la mammografia, metodica che offre una sensibilità elevata. Cos’è la mammografia? E’ una particolare radiografia delle mammelle che impegna una bassissima dose di raggi X, grazie alle moderne apparecchiature che utilizzano sistemi digitali. Proprio in virtù della bassissima dose di raggi X è possibille eseguire periodicamente mammografie senza rischi significativi. Questo permette, infatti, di ripetere l’esame anche una volta l’anno, cominciando dopo i 40/45 anni a seconda dei casi. Non procura dolore, al massimo solo un lieve e momentaneo disagio per il delicato sistema di compressione sulla mammella, necessario per ottenere immagini più nitide e precise. Essa consente di individuare le lesioni (v. le microcalcificazioni) che spesso rappresentano la fase iniziale della formazione di un tumore; infatti i segni mammografici per individuare un carcinoma iniziale sono spesso minimi. La sensibilità è strettamente correlata alla corretta metodologia: l’uso di apparecchiature non idonee e la non perfetta esecuzione tecnica inficiano la diagnosi. Dai tempi di Salomon, chirurgo tedesco che, nel lontano 1913, riprese le prime immagini radiografiche su campioni di tessuto mammario ad oggi di strada se ne è percorsa. Dai mammografi tradizionali che erogavano una dose media di 2 mGy per esposizione ai moderni mammografi digitali che riducono la dose del 40% si è avuta una grande evoluzione tecnologica. L’innovazione tecnologica più incisiva infatti è rappresentata dai sistemi digitali che, oltre a ridurre sensibilmente la dose, possiedono un miglior potenziale diagnostico e permettono l’elaborazione dell’immagine. Le domande più frequenti che le donne rivolgono al medico senologo sono: 1. Quando devo iniziare ad eseguire la mammografia? Risposta: generalmente dai 40 anni, salvo in casi dì familiarità nel qual caso si inizia almeno 5 anni prima l’età di insorgenza del familiare malato più giovane. 2. Ogni quanto tempo va eseguita? Risposta: ogni 12-18 mesi tranne nelle pazienti ad alto rischio o già operate per le quali la cadenza è annuale. 3. Quale rischio ho di cancro indotto dalle radiazioni? Risposta: il rischio cumulativo aumenta del 10% dopo 20 anni di screening biennale iniziato dai 40 anni, a fronte del vantaggio che, per ogni cancro radioindotto, 300 vengono identificati grazie alla mammografia in fase preclinica. 4. Perché non eseguire l’ecografia esente dal rischio di radiazioni? Risposta: perché non consente di visualizzare le microcalcificazioni o comunque i segni minimi di cancro, tuttavia tale indagine è molto utile come completamento diagnostico nei seni densi o nelle donne giovani. 5. Quali accorgimenti devo osservare? Risposta: la fase del ciclo mestruale non è condizionante ai fini della qualità delle immagini; tuttavia è preferibile eseguire l’esame mammografico evitando la fase periovulatoria (metà ciclo) e/o premestruale qualora la mammella risultasse particolarmente dolente per tali periodi. 6. Come si svolge? Risposta: l’esame mammografico viene generalmente eseguito in stazione eretta, a seno nudo, appoggiando una mammella alla volta su un apposito ripiano ad altezza regolabile. L’apparecchio determina una leggera compressione sulla ghiandola che migliora la qualità dell’immagine mammografica. Normalmente vengono eseguite 2 o 3 radiografie per ciascuna mammella con ripresa dall’alto verso il basso, obliquamente o lateralmente, per una completa visione di tutta la ghiandola.
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L’esame dura pochi minuti e può essere completato anche da una valutazione clinica della mammella.
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Sardegna: arredamento tipico e non solo
Mi è capitato di andare nel cuore della Sardegna per lavoro; inizialmente ero un po’ contrariata, pensavo che la Sardegna fosse solo sinonimo di bel mare, belle spiagge e buon cibo, poi, costretta da cause di forza maggiore, sono andata a visitare i paesini dell'entroterra e con mia grande sorpresa li ho trovati molto interessanti. Queste piccole realtà non abbandonano le loro radici e le loro tradizioni bensì cercano di tramandarsele da genitori in figli. Sapevo già quanto fosse particolare l'arredamento sardo, ma non sapevo che tutto quello con cui arredano le proprie case è fatto con le proprie mani! Tappeti, coperte, tende, cesti, utensili, mobili e preziosi tutto può essere fatto a mano da qualche artigiano locale che con pazienza e precisione certosina crea il proprio oggetto d'arte. L’artigianato sardo può essere definito vera e autentica arte popolare, in quanto tutto il popolo di questa bellissima isola esprime con l'artigianato le proprie origini e la propria cultura. Girando per i paesini non è difficile imbattersi in qualche anziana signora che, seduta sugli scalini della propria casa, intreccia cestini, oppure, scovare in qualche cantina mani esperte che, con l'ausilio di telai, creano arazzi, coperte o tappeti. Questa cultura ha la propria particolarità in base al paese di appartenenza, in modo che un occhio allenato possa riconoscere un tappeto di Sassari piuttosto che di Cagliari, così come un cestino di Castelsardo piuttosto che uno di Oristano. Il tipo di intreccio o di nodo determina il luogo di appartenenza come se fosse una garanzia di autenticità del prodotto. Il bello del “fatto a mano” è anche l'esclusività! Ogni cesto può essere fatto a richiesta ed anche su misura; c'è quello che serve per abbellire il centrotavola oppure per mettere la biancheria sporca in bagno, quello per le riviste in salotto, basta dire a cosa ci serve, quanto grande lo vogliamo e aspettare che la fantasia e la bravura di queste donne lo realizzino. Discorso analogo per i tappeti e gli arazzi realizzati a mano con l'ausilio di telai (verticale, tipico della Barbagia o quello orizzontale in legno diffuso in tutta l'isola). Queste non sono le uniche arti che vengono coltivate in Sardegna, l'arte orafa ha il suo fascino, molte donne al rientro da un viaggio in Sardegna le vediamo con al dito una fedina sarda fatta con la filigrana d'oro. Il bello di questo artigianato è che, nonostante le mode ed il consumismo, non ha perso il suo fascino e valore in questa isola. Claudia Mansueti info@claudiamansueti.it
Il Padiglione Degustazioni delle eccellenze: la novità 2011 della Mostra del Tartufo di Fabro (TR). La novità dell’anno 2011 è il nuovissimo Padiglione delle Eccellenze alimentari del territorio a cura dell’Associazione CentroDentro di Fabro Scalo e allestito in Piazza IV Novembre a Fabro Scalo. Il padiglione consiste in un elegante gazebo in cui sarà possibile gustare in orario pranzo/cena i prodotti locali cucinati sul momento dallo chef Maurizio di Mario, noto per le sua partecipazioni alla trasmissione televisiva “Chef per un giorno” in onda su La7, su Discovery Real Time e su Lei di Sky, e lo chef Alessandro Lestini. Il menù prevederà tutti prodotti locali che andranno dal pane al vino, dall’olio alle carni suine e chianine, formaggi e prodotti dolciari. Allo stesso tempo, in un gazebo più piccolo adiacente sarà possibile degustare e acquistare durante tutta la giornata i prodotti locali, che saranno presentati direttamente dal produttore, in modo da creare contatti e interazione tra il visitatore e il territorio. Aprendo il Padiglione delle Degustazioni, si è voluto presentare il territorio direttamente nel “piatto” con le produzioni d’eccellenza di questa zona in modo da creare nel visitatore una “memoria del gusto”, memoria ricca di suggestioni e sensazioni che, essendo positive, lo indurranno a tornare e a far partecipi amici e parenti, trasformando il territorio fabrese e orvietano in un luogo speciale per tutti coloro che sono alla ricerca di cose buone e gustose.
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La Fondazione della Cassa di Risparmio di Terni e Narni ha promosso e organizzato nella sua sede di Corso Tacito 49 a Palazzo Montani Leoni, una mostra antologica sul pittore ternano Felice Fatati affidandone la cura al critico d’arte Mino Valeri. Si tratta della rassegna più organica realizzata sino ad oggi sulla figura dell’artista che viene giustamente considerato tra le personalità più importanti e rilevanti del novecento umbro. La mostra comprende 87 opere, molte delle quali inedite, tra dipinti, disegni ed acquarelli che abbracciano un arco di tempo che va dal 1937 al 1977, anno della morte dell’artista. Si tratta di una importante iniziativa culturale la quale, oltre a rendere omaggio ad una rilevante figura di artista che ha onorato la città di Terni e l’intera Umbria, vuol anche far ricordare la figura di Felice Fatati a tutti coloro che lo hanno conosciuto come medico pediatra e farlo conoscere alle giovani generazioni. La rassegna è accompagnata da un catalogo di circa 150 pagine. Contiene la presentazione del Presidente della Fondazione Carit, Mario Fornaci, un saggio critico del curatore e un ricordo del nipote del pittore, Giuseppe Fatati. Nel volume sono riprodotte tutte le opere esposte mentre i repertori comprendono la vita, le mostre personali effettuate, le presenze in collettive e una ampia bibliografia. Completa il catalogo una vasta documentazione fotografica. In realtà, guardando la produzione dell’artista, appare difficile scindere le diverse tecniche, essendo una produzione unitaria nelle proposte estetiche, nelle pur diversificate tematiche, nelle soluzioni poetiche, nelle strutturazioni articolate ed a volte complesse. In sostanza ci sembra che la produzione di Fatati parta inevitabilmente dal segno grafico, che poi si trasfigura negli oli, negli acquarelli, le “acque colorate”, e rimane intatto, incisivo, vigoroso e limpido nei disegni, nella “pittura in bianco e nero”. Mino Valeri
La mostra sarà aperta nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle ore 11 alle 13 e dalle 17 alle 19 fino al 31 dicembre 2011 Catalogo in sede
Ingresso gratuito
Felice Fatati, pittore, uomo di scienza, poeta, epigrammista, nasce ad Arrone (TR) nel 1908. Dopo gli studi a Terni, frequenta, prima a Perugia, poi a Roma, la facoltà di medicina. Nella capitale prende parte alla vita culturale frequentando i cenacoli che facevano capo a Marinetti, Bontempelli, Bragaglia. Nel 1929 pubblica un poemetto futurista dal titolo “Gioia degli aeroplani”, premiato dal Sindacato Scrittori. Nel 1931 si laurea in medicina e nel 1934 ottiene la specializzazione in pediatria. Nel 1936 sposa Maddalena Sigismondi e l’anno seguente nasce la figlia Viviana chiamata affettuosamente Kytta. Nel 1937 si registra la sua prima presenza in una mostra. Inizia così la sua intensa, qualificata attività artistica. Nel 1955 tiene a Roma la sua prima mostra personale ed un suo dipinto viene acquistato dalla Galleria Nazionale d’arte moderna. Nel 1959 muore la moglie Maddalena e per l’artista è un colpo durissimo. Si dedica con crescente impegno all’attività di pediatra eseguendo, in un isolamento spirituale, centinaia di opere grafiche, poesie, epigrammi. Sulla spinta di estimatori, sue opere sono presenti in collettive e nel 1961 consegue il primo premio alla rassegna internazionale per il centenario dell’Unità d’Italia. Realizza, nel 1972, 35 inchiostri per illustrare il Cantico delle Creature di San Francesco. Un nuovo lutto lo colpisce nel settembre del 1977 con la morte dell’adorata figlia Kytta. Tre mesi dopo, nel dicembre del 1977, Felice Fatati muore e viene sepolto nel cimitero di Arrone.
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Le anime sante e gli spiriti maligni Intorno agli anni trenta del ‘900 si raccontava che in ogni paese, anche se piccolo, c’erano almeno un paio di persone dedite allo spiritismo, ai riti esoterici e a fare e disfare fatture e malefici, dietro compenso. Questa attività veniva integrata dalla vendita di erbe curative per le malattie più frequenti e temute, erbe raccolte nelle notti particolari, con un preciso rituale, mescolando tradizioni tramandate da una generazione all’altra, con esorcismi e preghiere. Interrogare le anime dei defunti aveva lo scopo di tentare di conoscere il futuro o, meglio ancora, di tentare di scoprire monete d’oro e altri preziosi, nascosti da briganti o da chissà chi, nei secoli passati. Il problema era riuscire a decifrare i segnali che giungevano dall’aldilà e per questo bisognava essere addetti ai lavori. Un bel pezzo di terreno di mio nonno, seminato a granturco, era compreso in una zona dove si diceva ci fossero sepolti dei tesori. Il nonno era preoccupato perché negli anni precedenti qualcuno gli aveva devastato le colture in atto, facendolo imbestialire. Invece di arare e seminare i campi come faceva lui, quel ristretto gruppo di fannulloni e perdigiorno, vegliava la notte per fare quelle cretinate e in più danneggiava il lavoro degli altri. Bonariamente li detestava. Quel venerdì d’estate, con una luna piena che sembrava una frittata di mille uova, poteva essere la notte propizia per chi si dilettava a scavare, pensò il nonno. Detto, fatto, cenò presto quella sera, poi, caricato il fucile ad avancarica, si recò nel terreno mettendosi di guardia. Si sistemò a un centinaio di metri di distanza dal luogo dei probabili scavi, in una posizione sopraelevata, mettendosi seduto, con la schiena appoggiata al tronco di una quercia secolare che lo teneva nascosto con la sua ombra. Dopo appena un minuto, avvinto dal sonno, cercò di mettersi più comodo. Piegò l’inseparabile giacca di velluto con passatora (tasca passante dietro la schiena) a mo’ di cuscino, si sdraiò per terra, allungò le gambe e si addormentò. Poco dopo, quatti, quatti, silenziosi e con fare furtivo, arrivarono tre individui armati di zappe, pale e vanghe. Dopo una serie di scongiuri per tenere buoni gli Spiriti Maligni e la promessa di far dire Messe a suffragio delle Anime Sante, se avessero reso facile il ritrovamento della famosa pentola piena di monete d’oro, iniziarono a scavare. La terra era rossa e soffice, senza sassi e quindi facile da rimuovere senza far rumore. Un po’ di fruscio lo avevano prodotto solo per estirpare le piante di granturco per farsi uno spazio di manovra di circa cento metri quadrati. Lavoravano alacremente alla luce della luna piena ma ogni tanto si fermavano per captare un rumore o un segnale: poteva essere un avvertimento delle Anime Sante per dare loro indicazioni sul gradimento dello scavo. Erano quindi vigili e sospettosi come un asino con le formiche sul culo. Avere a che fare con le Anime impalpabili, che non vedevi ma le sentivi attorno, metteva loro addosso un sudore freddo che colava lungo la schiena. Avevano fatto tutto quello che le Anime Sante avevano loro chiesto, compreso l’ordine assurdo di cenare con una frittata cotta con le parole. Cotta con le parole? Ma che richiesta era mai questa? Ma l’esperto di esoterismo aveva spiegato con sussiego che si trattava di cuocerla non col fuoco di legna, bensì con quello prodotto bruciando libri e giornali. Erano perciò consapevoli di correre grossi rischi perché con il Mondo dei Morti non si poteva scherzare. Appena un refolo di brezza faceva vibrare le foglie secche della piantagione di granturco, sobbalzavano col cuore in gola immaginando il lamento delle Anime disturbate nel loro Sonno Eterno. In una parola sola, se la stavano facendo sotto per la paura! Ci mancava pure quella civetta, regina degli uccelli del malaugurio, che squittiva poco lontano dalla cima di un vecchio olmo, nel cui tronco cavo allevava la prole. All’improvviso, il nonno cambiò posizione e attaccò a russare. Chi non ha mai sentito mio nonno russare, difficilmente può rendersi conto della varietà di lugubri mugolii che era in grado di emettere. Sembrava, a volte, una segheria disastrata, con pochi rumori costantemente ripetuti e molti altri assolutamente variabili, sia come tono che come cadenza. All’inizio si partiva con sbuffi e sospiri di varia tonalità che gradatamente diventavano sempre più rauchi finché iniziavano lentamente a scemare, fino a spegnersi del tutto quando andava in apnea respiratoria. Dopo un lungo e pericoloso silenzio, per recuperare tutta l’aria che gli era mancata, si scatenava in un crescendo catastrofico di ahaa..., ahaaa..., ahaaaa…, ahaaaaa…. Poi, in rapida successione, si passava a rantoli, lamenti e grugniti luciferini, come di un essere straziato da sevizie indicibili e infine sgozzato come un capretto, con l’urlo che si spegneva come un eco lontano. I nostri scavatori, al primo rumore percepito, drizzarono subito le orecchie per decifrare se le Anime Sante manifestavano ancora compiacimento per lo sterro. In una notte estiva, in mezzo a un campo, non è facile analizzare un suono in mezzo a tanti altri. Si andava dal frinire delle cicale al cri-cri di una moltitudine di grilli, dallo squittire delle civette al cra-cra di rospi e ranocchie della vicina pozza d’acqua, col sottofondo del fruscio della brezza, intervallato dall’abbaiare secco di una volpe lontana. Dopo il silenzio dell’apnea, i successivi catastrofici rumori emessi dal nonno, rumori che sembravano provenire dalle viscere fetide della terra, furono immediatamente interpretati come una ribellione degli Spiriti Maligni a chi li stava disturbando nel loro Sonno Eterno. E con gli Spiriti Maligni è peggio che con le Anime Sante: si salvi chi può. Balzarono fuori dalla buca e via a gambe levate, biascicando ...Madonna mia aiutace…, col cuore in gola e l’aria che non riusciva a entrare nei polmoni. Quando venne giorno il nonno si svegliò, convinto che non fosse venuto nessuno e dispiaciuto per aver dormito scomodo sulla terra dura, invece che in un comodo e crepitante letto col materasso di camiciòle (le brattee del granturco usate per riempire lu pajacciu). Poi vide lo scempio del suo granturco (...m’ho’carpitu ‘na pasina de ranturcu e ho’ fattu ‘na pistareccia che ‘n te dico!), e la grande buca; fece un paio di santi e qualche madonna di buon mattino, poi prese pale, zappe e vanghe abbandonate, se le mise sulla spalla sinistra, sulla destra il fucile, e lentamente si avviò verso casa. Da quella volta, dopo che si era sparsa la voce, nessuno ha più avuto l’ardire di andare a scavare di notte nel nostro campo. Vittorio Grechi
ilconvivio.terni@libero.it
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Chiusura Domenica
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Marco Mengoni
Intervista con il “Re Matto” adesso anche “Solo” È cambiato, sicuramente maturato, non solamente a livello professionale ma anche nell’aspetto e nel suo particolarissimo modo di interpretare le canzoni. Sicuro e audace con un qualcosa in più negli occhi. Occhi profondi, scuri come la notte avvolti in una brillantezza da angelo nero, elemento fondamentale del suo fascino. Marco Mengoni, poco più che ventenne ha già una carriera da fare invidia a chi vorrebbe diventare una pop star e magari vincere il premio più ambito nella musica: conquistare il cuore della gente e avere tanti fan, pronti a seguirti ovunque, anche in capo al mondo, per ascoltare la tua voce. Attrae e affascina il “fu Re Matto”; dopo il grandioso successo del passato che per mesi lo ha visto in vetta alle classifiche, Marco ha ricominciato il suo nuovo tour in tutta Italia scatenando l’urlo di gioia di centinaia di ammiratori. Proprio lo scorso 27 settembre è uscito il suo primo album di inediti dal titolo Solo 2.0, dove il primo singolo si chiama Solo, una delle canzoni più scaricate su iTunes. Tantissime le visite su YouTube, per vedere il videoclip musicale, tanti i
fan che su facebook ogni giorno si iscrivono sulla sua pagina. Marco è tornato con una consapevolezza in più, svelata in questa intervista intima ed esclusiva. Allora Marco, ti imbarazzano le interviste… Diciamo di sì. Non mi piace parlare molto con la stampa, trovo i giornalisti dei ficcanasi, anche se poi svolgono un importante lavoro d’informazione e gliene sono grato. Il tuo nuovo singolo si intitola Solo, ti senti mai solo? Sì, mi capita spesso di sentirmi solo, anche quando mi trovo in compagnia di altre persone. Sono io che cerco la solitudine, mi piace, è un modo che ho per estraniarmi, per non pensare, per rilassarmi. È una cosa che fin da adolescente ho sempre cercato, ma non perché sono asociale, semplicemente perché mi serve per staccare la spina ogni tanto. Il filo conduttore che lega i dodici inediti dell’album Solo 2.0 è la solitudine, come mai questa scelta? Perché con il passare degli anni mi sto accorgendo che una peculiarità della nostra epoca è l’isolamento delle persone. Persone che vivono in completo isolamento dal mondo, senza amici, senza affetti, soli dietro i computer, i social network e le illusioni della rete web. Mi spaventa tutto questo. Con il mio nuovo album ho voluto raccontare questa tendenza, crediamo che face book ci riempia di amici ma non è così. Io credo nel contatto diretto con le persone, ho una visione forse troppo romantica dell’amicizia e del suo valore, mi piace la chimica quando due persone si conoscono, come si guardano, il profumo che ognuno di noi emana. Inoltre la solitudine a cui mi riferisco è la stessa che ho provato dopo la fine del mio primo tour: nessuno mi chiamava, la tristezza di sentirmi escluso, non sapevo che fare, sono stato malissimo, poi ho iniziato a lavorare al nuovo album. Su Facebook hai tantissimi amici e nella vita reale? Ho pochissimi amici, sono persone genuine che mi vogliono bene e di cui mi fido. Loro, insieme a mia madre, sono le persone che mi stanno vicino nei momenti difficili e in quelli belli, grazie alla loro presenza mi sento forte. Quando sono lontano da casa mi mancano, così prima di iniziare un concerto telefono a tutti e mi danno la giusta dose di coraggio per iniziare. Hai paura prima di salire sul palco? Sembra stupido ma all’inizio avevo molta paura, delle volte mi tremavano persino le gambe. Ora sono più tranquillo, ho imparato a giocarmela di più, a lasciarmi andare, spesso anche improvvisando delle cose senza senso, come un vero folle, poi sono o non sono il ‘Re Matto’? Cosa ti dice tua madre, quando la chiami al telefono prima di un concerto? Posso essere sincero? Assolutamente, devi… Merdaaaa!! (urla e sorride con leggerezza). È una sorta di rituale portafortuna e fino ad ora ha sempre funzionato. Inoltre mi dice che mi vuole bene, che mi pensa e prega per me tutte le sere. Io la sento sempre vicina, è una donna straordinaria, la donna della mia vita. E oltre a tua madre c’è un’altra donna nella tua vita sentimentale? Ho due amiche favolose, sono praticamente l’opposto, un po’ come l’acqua santa e il diavolo, con loro mi confido per ogni cosa, insieme sono il giusto equilibrio nella mia vita. Delle volte litighiamo, arriviamo anche a dirci cose molto pesanti, ma siamo legati da un affetto assoluto e grandioso. Io intendevo se hai una ragazza, se frequenti una donna? Sì lo so, ho capito perfettamente, è questo che non sopporto dei giornalisti! No, non frequento nessuna donna (se la ride sotto i baffi). Come ti senti attualmente, spiritualmente parlando? Mi sento bene, sono felice e completo. È una cosa difficilissima da spiegare, ma per la prima volta da quando sono nato mi sento veramente bene, realizzato e con tutto ciò che mi serve per essere sereno. Sono un tipo molto nervoso, in passato ho sofferto di attacchi d’ansia, tremendi e difficili da curare, poi con lo yoga e l’aiuto di mia madre sono guarito. Attualmente vivo in un equilibrio perfetto, ho più sicurezza e mi sento realizzato, anche sapendo perfettamente che la strada è tutta in salita e non si finisce mai di imparare. Sbaglio o sei cambiato, hai qualcosa di diverso? Sì è vero, è una consapevolezza nei confronti della vita e del mio lavoro. Ho maggiore fiducia in me stesso e in chi mi circonda, pur parlando di solitudine nel mio album credo che le persone siano il vero potenziale di cui ogni uomo non dovrebbe mai fare a meno. In questi ultimi mesi ho imparato ad apprezzare maggiormente le piccole cose della vita. I complimenti e ogni altra forma di riconoscenza che i fan mi dimostrano, li assimilo come un dono bellissimo, come una forma di energia in grado di ampliare la mia. Sono felice perché mi sento amato, mi sento più accettato dal pubblico. Mi sembra che sei stato sempre accettato dal pubblico, fin dagli esordi! Sì, e ne sono felicissimo, ma prima vedevo il pubblico come delle persone che decidono se piaci oppure no, in grado di fare il successo o l’insuccesso di un artista con il loro giudizio e questo mi spaventava. Adesso, invece, vivo la vita con più serenità: so che mi vogliono veramente bene. Cosa fa Marco Mengoni quando non è impegnato con la musica? Sembra strano ma ascolto altra musica. I favolosi Beatles sono i miei preferiti, in questo periodo poi Amy Winehouse almeno una volta al giorno l’ascolto, ho pianto per la sua morte, una perdita terribile, era la mia cantante preferita, lei era veramente sola e soffriva. Per lei ho cantato al Festival Teatro Canzone dedicato a Gaber, lo scorso luglio, un momento indimenticabile che porterò sempre con me, ho pianto e tanto. Mi anticipi i tuoi progetti futuri? Ho un tour favoloso e ricco di sorprese, la mia attenzione è tutta concentrata lì. Inoltre sto pensando di organizzare un evento in collaborazione con l’Unicef ad anno nuovo, voglio dedicarmi ai bambini, quelli bisognosi di amore e cure, i bambini sono una ricchezza per lo spirito e per la vita. Terni - Via dello Stadio 63 Poi non so, penso di essere già molto impegnato così. Tel. 0744 401995 Lorenzo Bellucci lorenzobellucci.lb@gmail.com
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Serve a qualcosa studiare?
Salve professoressa, come sta? Ho appena letto un post sul forum del Corriere “Avanti Pop” che parlava della polemica scuolapubblica contro scuola-privata. Seguo le notizie dall’estero. Le scrivo dalla Francia, mi sono laureata in fretta e furia alla Luiss ed ho fatto i salti mortali per entrare in specialistica alla Sciences Po di Parigi. Dopo l’Erasmus a Bruxelles, ho preso la decisione definitiva di andarmene dalla nostra povera patria. Sulla scia di un’epifania di pirandelliana memoria, mi è venuto il riflesso incondizionato di scriverle. Ho conosciuto il mondo delle università private, sia in Italia che qui a Parigi. Coniugano alte competenze didattiche e accademiche con una solida organizzazione amministrativa; la preparazione che offrono, e il prestigio del nome, sono un biglietto da visita eccelso per entrare nel mondo del lavoro. E me ne sto rendendo conto proprio in questi giorni in cui sono alla ricerca di uno stage e di una prima esperienza lavorativa. Ma non mi fa paura competere con studenti di Cambridge o di Harvard, perché la scuola pubblica italiana mi ha dato tanto. Quello che volevo dirle è che io non sarei qui senza quei cinque anni tanto amati e tanto odiati nel Tacito di Terni. Mi ha insegnato il metodo, il rigore, l’analisi, la precisione e la capacità di sintesi. Mi ha permesso di coltivare la mia passione per le lingue, senza le quali una laurea in relazioni internazionali è senza valore. Lo studio del greco e del latino, lingue morte tanto biasimate, mi hanno insegnato il senso della sfida: le lingue orientali sembrano meno impossibili se si pensa che c’è stato un tempo in cui si è compreso l’ottativo e si è tradotto da un alfabeto totalmente estraneo. Senza quei ritmi serrati che mi hanno insegnato a coniugare quotidianamente esperienze curricolari ed extracurricolari non sopravvivrei in queste dure settimane a metà tra lavoro, studio e preparazione di concorsi. Non di meno, il livello degli insegnanti è elevato, tanto da essere paragonabile a quello universitario. Poche volte, in ambito accademico, ho incontrato professori al suo livello, o a quello di alcuni suoi colleghi, con tanta passione e un’infinita capacità di trasmettere l’amore per la materia, e per la conoscenza in generale, agli studenti. Sono uscita da quel liceo con tanto senso critico e un bagaglio culturale invidiabile. E questo non dipende soltanto dal fatto che fossimo una buona classe, ma che fossimo seguiti da professori eccelsi che ci hanno sempre saputo valorizzare. Me ne resto a Parigi ancora per un anno e mezzo, quasi sicuramente. Sto in un master in affari europei e spero di passare il concorso per la Commissione europea a Bruxelles. Ho rinunciato al concorso per la diplomazia italiana perché è semplicemente medievale. In più, non ci sto a rappresentare l’Italia all’estero. Se di diplomazia si tratta, che sia europea. La saluto dicendo che non ci sto quando i politici attaccano la scuola pubblica italiana, perché so quanto vale. Tenete duro!!! Parigi, 4 marzo 2011
A volte capita. Capita che una provocazione giornalistica susciti reazioni emotive e impegnate riflessioni. E’ successo di recente in terza liceo dove un’alunna, Maria Caterina, ha proposto di leggere l’articolo di Ivo Diamanti, pubblicato recentemente su Repubblica.it, dal titolo Cari ragazzi, non studiate! L’amara requisitoria del giornalista ripeteva -con dubbio gusto per i giochi antifrastici- l’invito a non studiare, e soprattutto nella scuola pubblica, perché poco o nulla utile ai fini lavorativi e di affermazione, in una società dove contano veline e calciatori e dove sono clientele e parentele ad avere la meglio sul merito. Di qui reazioni diverse: sconcerto, dolore, assenso, ripulsa … Ne è nato un dibattito, che ha coinvolto anche la classe seconda e che si è arricchito del contributo della mail ricevuta nel marzo scorso da Gilda, un’ex alunna (maturità 2007), che reagiva a una analoga provocazione. Ve la proponiamo con l’auspicio di suscitare un dibattito sul valore della cultura e sul ruolo della scuola pubblica, insieme alle lettere di risposta al giornalista, due tra le tante, spontaneamente prodotte in classe II e III IF. Prof.sse Annarita Bregliozzi
Marisa D’Ulizia
Un abbraccio, G i l da
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Lo studio, carta vincente per i giovani italiani Le serie difficoltà dei giovani e le prospettive incerte stanno mettendo a rischio il loro futuro e quello del Paese. La crisi, che dal 2008 sta colpendo il Paese, ha aggravato ancora di più il problema e sono i giovani a subirne i contraccolpi più forti. È l’allarme lanciato da Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, secondo cui: la crescita economica non può fare a meno dei giovani né i giovani della crescita…le difficoltà da loro incontrate” -ha aggiunto- devono preoccuparci non solo per equità ma per un problema di inutilizzo del loro patrimonio di conoscenza e capacità di innovazione, quindi, uscire dalla stagnazione riavviando lo sviluppo con misure strutturali è oggi una priorità assoluta della politica economica del nostro Paese. La Provincia di Terni Un periodo drammatico per il Paese giunto sull’orlo del baratro in cui è difficile andare avanti. Stiamo assistendo pertanto ad per la cultura un vero e proprio esodo, un’ondata migratoria che coinvolge i giovani italiani costretti ad andare all’estero per aspirare ad un futuro migliore. Infatti, ciò che manca in Italia è uno spazio, uno spazio fisico e mentale che consenta di avere futuro e speranze. Come afferma Mario Calabresi, direttore della “Stampa” nel suo recente Cosa tiene accese le stelle, questa sensazione di apertura e lo stimolo a pensare in positivo sono stati il motore della nostra crescita nel dopoguerra. Oggi gli ostacoli sono tanti e non ci sono più quelle garanzie e quelle sicurezze che avevano le generazioni precedenti. È la società stessa che non offre più soluzioni valide per tutti e quindi ognuno è costretto ad intraprendere un percorso individuale. È proprio all’interno di questo clima di sconforto e di rassegnazione che il nichilismo e la sfiducia prendono il sopravvento. Viviamo in un presente dilaniato e paralizzato in cui manca ogni riferimento al passato e ogni idea di progettazione futura. Oggi, quindi, tutto è nelle nostre mani e soltanto la grinta e la determinazione ci consentiranno di affrontare le sfide raggiungendo un esito positivo. Lo studio, quindi, è la carta vincente in un periodo in cui i giovani italiani non investono più nel loro futuro perché sono attanagliati da un malessere e da uno sconforto che genera in loro soltanto delusione nel momento in cui si misurano con la realtà di un Paese che non crede più in loro. Pertanto, è necessario studiare poiché è la cultura che rende liberi, critici e consapevoli. Studiare, tuttavia, non ha come unico obiettivo il titolo di studio, perché nessun titolo di studio può garantire una riuscita automatica. L’importante è invece credere nelle proprie capacità e non smettere mai di aspirare ad un futuro migliore convinti che saremo noi giovani a decidere il nostro futuro, dando una svolta definitiva ad un Paese che sta collassando. Oggi, infatti, che cos’è l’Italia se non un Paese in cui regna l’indifferenza e il convincimento che per fare la velina, il tronista e il precario non sia necessario avere una cultura, perché l’importante non è essere ma apparire? Siamo noi giovani italiani che non dobbiamo mostrarci passivi ed indolenti nei confronti di questo cambiamento radicale che ci sta travolgendo affinché le nostre menti non siano soggiogate. Ragazzi, studiate: meglio critici che ingenui! Novelli Vanessa II IF
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C a ro d i re t t o re Caro direttore, leggendo quella che io definirei, almeno in parte, una sua provocazione, mi sono trovata a provare diverse sensazioni. Lei ci suggerisce di non studiare perché della cultura non ce ne faremo niente, perché al giorno d’oggi sono avvantaggiati i tronisti, le veline, i “figli di papà” che molto spesso non sanno neanche cosa voglia dire passare gli anni più belli della vita sopra a dei libri che ogni singolo pomeriggio ti osservano e ti incitano ad aprirli, seppur controvoglia. E’ vero, devo ammetterlo, sembra che frequentare un liceo, un’università, oggi equivalga a studiare inutilmente, a sprecare del tempo prezioso. Effettivamente non posso negarlo, perché ne faccio esperienza quotidianamente: mia sorella, 28 anni, laureata in economia e commercio a pieni voti, specializzata in marketing e gestione delle aziende è disoccupata da circa un anno. A poco servono i continui colloqui, dato che la maggior parte delle volte è superata da qualcuno che ha le famose conoscenze, oppure i progetti che l’azienda si era prefissata di attuare non partono neanche più, o le aziende non riescono ad assumere nuovo personale in quanto sono già in crisi con quello esistente. Intanto, lei non ha un lavoro, non può sposarsi, non può costruirsi una famiglia, perché farlo sarebbe un suicidio: significherebbe far nascere un bambino, pur essendo consapevoli di dargli un futuro incerto, in cui la precarietà regna sovrana. Che cosa dovrei pensare di questa realtà, allora? Dovrei davvero continuare a studiare, ad impegnarmi, a sacrificarmi, se poi so che non c’è spazio per me nel mondo del lavoro? Dovrei davvero continuare a sentirmi umiliata quando persone che hanno una cultura nettamente inferiore alla mia riescono a raggiungere gli obiettivi prefissati? Non ci sto. Nella mia vita ho sempre mal sopportato le ingiustizie ed essere posti in un angolo dopo che per anni hai faticato è un’ingiustizia. Un’ ingiustizia bella e buona! Ma se da un canto studiare sembra essere una perdita di tempo, perché comunque non riesci ad acquisire nella società il ruolo e l’incarico che vorresti ricoprire, dall’altra mi chiedo che cosa sarei io senza lo studio. Potrei godermi la mia adolescenza in completa tranquillità senza più l’ansia dei compiti e delle interrogazioni quotidiane? Sì. Potrei uscire tutti i giorni con gli amici senza dover sentirmi in colpa perché non ho finito di studiare il paragrafo di storia per il giorno successivo? Sì. Ma sarei davvero me stessa? Sarei davvero felice di avere questo illimitato tempo ozioso sine dignitate? Non sentirei la mancanza dei libri, dello studio, delle parole che ti penetrano l’animo e ti fanno riflettere, hanno un effetto catartico, ti educano, ti fanno crescere? Non possiamo privarci della cultura. Lo studio deve essere pane per i denti, ti rende critico e consapevole della realtà in cui vivi, ti permette di scegliere il Bene ed è l’unica cosa che ti fa sentire veramente libero. Non possiamo smettere di andare a scuola, né tanto meno all’università perché scegliere una facoltà significa essere consapevoli di quello che si vuole diventare, che non significa necessariamente ricoprire chissà quale alto incarico, ma vuol
dire sentirsi realizzato, appagato, libero e felice delle proprie scelte. Non si può abolire l’istruzione, la cultura e la scuola. Non possiamo estirpare le nostre radici che si nutrono di cultura da sempre. Lei pensa davvero che assumere un tale atteggiamento può portare a un miglioramento? Se accogliessimo la sua tesi, da qui a qualche anno saremo tutti degli ignoranti, dei deficienti, nel senso che mancheremo di una parte della nostra formazione. L’Italia sarà un paese di asini; è davvero questo che vuole? Desidera davvero una degradazione e un così totale annientamento degli italiani? Concludo dicendo che credo fermamente nella formula umanistica homo faber fortunae suae e, dato che non ho mai amato raggiungere facilmente lo scopo che mi ero prefissata, ma ho sempre avuto un certo interesse per le sfide, accolgo anche questa. Continuerò a studiare, proprio così come ho sempre fatto, in primis per la mia formazione culturale, poi perché la speranza è l’ultima a morire e, se devo sperare in un futuro che non sia precario come è la realtà attuale, allora voglio forgiare il mio destino senza che nessuno mi tolga la voglia di andare avanti per la mia strada. Sara Pacioselli III IF
Alessandro Pieroni II IF
Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica
Fisioterapia e Riabilitazione Dir. San. Dr. Michele A. Martella - Aut. Reg. n. 8385 del 19/09/01
Terni - Via Botticelli, 17 - Tel 0744.421523 - 401882 13
L’associazione NahArti e la sua missione: valorizzare il patrimonio storico della città e del comprensorio
All’inizio del 2010, causa il contagioso entusiasmo di alcuni giovani ternani formatisi per operare professionalmente nel mondo della cultura, nasceva l’associazione “NahArti”, che fin dalla scelta del nome dimostrava la volontà di riallacciarsi alle memorie storiche locali traendone linfa vitale per ideare e dar vita a nuove proposte culturali, al fine di far conoscere ed apprezzare il territorio anticamente abitato dalla tribù dei Naharti. Ne nacque in tempi rapidi, intuendo la potenziale attrattiva di uno dei molteplici aspetti affrontati dalla mostra dedicata a Piermatteo d’Amelia al CAOS, un evento che, ruotando intorno alle opere dell’eccelso pittore rinascimentale dislocate in contesti extramuseali, offriva il pretesto per invogliare turisti e conoscitori a visitare alcuni centri minori, fornendo al contempo l’occasione di entrare in luoghi altrimenti inaccessibili. L’appuntamento era inoltre abbinato ad un convegno che fu tenuto nella meravigliosa cornice di Palazzo Petrignani: il tutto -visite guidate agli itinerari comprese- ebbe la durata di tre giorni e fu incoraggiante il notevole afflusso di pubblico che vi partecipò. Anche se l’associazione sembrava nata per gioco, visto quel primo inaspettato successo i NahArti ci hanno preso gusto. Ad Aprile 2011 promuovono così l’evento “Amelia, la piccola Roma”, dove si alternano una giornata di studi incentrata sui palazzi amerini e sulle loro pregiate decorazioni di età manierista e barocca e visite guidate al centro storico che includono non solo le lussuose dimore d’epoca ma pure le Cisterne romane, il Teatro settecentesco, il Museo archeologico. Il secondo giorno registra un boom di presenze, specialmente di persone provenienti da fuori regione, in prevalenza da Roma. Era inevitabile pertanto che anche a Terni, presto o tardi, ci si accorgesse della loro preparazione e competenza: così, nell’ultimo fine settimana di settembre, l’associazione NahArti ha organizzato e realizzato per la prima volta in città un ambizioso progetto di apertura straordinaria di beni culturali solitamente chiusi al pubblico, offrendo visite guidate gratuite a residenze storiche, in alcuni casi di proprietà privata. L’Assessorato alla cultura ha patrocinato la loro idea, avendo così la possibilità di fare dono all’evento Terni On, la nostra Notte Bianca, di una sferzata di cultura in più, aprendo le porte dei palazzi nobiliari tra i più interessanti del centro storico. Un’occasione ghiotta sia per i cultori della storia dell’arte, sia per i più curiosi che non si trincerano dietro un “tanto a Terni non c’è niente da vedere”. I NahArti hanno dato vita a piacevoli visite guidate, supportati, per quanto riguarda il primo appuntamento del pomeriggio a palazzo Giocosi Mariani, dagli studenti del Liceo Artistico Metelli. All’interno dell’edificio, i visitatori sono stati accompagnati dai brani eseguiti dai musicisti dell’Istituto Briccialdi che qui ha sede; nel mentre hanno potuto ammirare gli splendidi affreschi fiamminghi del Cinquecento. A palazzo Morelli, distante pochi passi, è stato protagonista il grande salone ricco di allegorie di gusto barocco voluto dal cardinale Saverio Canale, protettore delle scienze e delle arti. L’ultima visita in programma è stata quella a palazzo Gazzoli, dimora della più potente e filoclericale famiglia ternana, sorto su
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preesistenze romane testimoniate dalla vasca termale, dai mosaici e dalle scuderie edificate sulle strutture del teatro romano. Il palazzo ha conseguito le forme attuali alla fine del Settecento ed è tornato agli antichi fasti solo dopo i recenti restauri che hanno restituito intatto il suo grande fascino di edificio “stratificato” nei secoli. Poi, sulla scia delle Giornate Europee del Patrimonio, c’è stata la possibilità di raddoppiare l’offerta e di aprire le porte di altre tre residenze storiche. Nella silenziosa mattina che ha seguito gli stravizi della Notte Bianca è stata la volta di palazzo Montani Leoni: attuale sede della Fondazione CARIT, era una magione aristocratica fondata dai Fazioli nel XVI secolo, ma venne notevolmente modificata in seguito all’apertura di Corso Tacito: presenta oggi al suo interno significative decorazioni liberty. Nel pomeriggio è stata la volta di palazzo Spada che ha saputo stupire i moltissimi che, pur abitando nella città di Terni, non avevano mai avuto occasione di osservare da vicino il vasto ed originale ciclo ad affresco opera di Karel Van Mander, artista fiammingo giunto da Roma per lo stretto legame che univa il conte Michelangelo Spada alla corte pontificia. L’ultima visita proposta è stata a palazzo Bianchini Riccardi: anch’esso sorto su antiche vestigia di età romana, presenta un’imponente quanto misurata facciata rinascimentale, composta da un lieve bugnato che offre tenui passaggi di luce e presenta l’edificio come vero e proprio orgoglio d’arte per la nostra città. Al suo interno le grottesche cinquecentesche e gli stucchi fanno da cornice a scene riprese dalla mitologia greco-romana, di cui è stato spiegato il loro carattere allusivo agli interessi del committente, Ludovico Rosci, amante dell’arte, erudito, raffinato collezionista e proprietario di una ricca biblioteca, membro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e protetto da Paolo III Farnese. Il bilancio, alla fine del week-end, è stato quello di un autentico successo in termini sia di critica che di affluenza. Alcuni giornali scrivono che per la prima volta Terni è apparsa ai visitatori che hanno partecipato agli itinerari urbani in programma “come una città non solo industriale, ma polo artistico e monumentale in grado di competere con le altre città dell’Umbria”. L’ottimo risultato riscosso presso il pubblico, inoltre, non può far altro che regalare ulteriore slancio ai NahArti, che si sono già riversati sul lavoro di progettazione dei prossimi impegni per offrire nuovi spunti e temi di interesse, agire in nome della valorizzazione di un territorio ricco di storia e di arte e non soltanto delle acque della Cascata e delle vestigia contemporanee dell’industrializzazione. Pare proprio, in definitiva, che i tempi siano maturi per poter sfruttare turisticamente il patrimonio storico di Terni insieme a quello naturalistico e alle peculiarità antropiche della zona, unitamente alle eccellenze eno-gastronomiche, alla possibilità di dedicarsi al relax e al benessere e di praticare sport outdoor, senza mai dimenticare le numerosissime attrattive del territorio circostante, colmo di opportunità in attesa di esser colte e fruite da tutti. Federico Li Gobbi
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Collescipoli Trovato in un campo agricolo un animale mostruoso Incredulo da qualche giorno e allo stesso tempo perplesso, Osvaldo, contadino settantenne di Collescipoli, da anni dedito alla cultura agricola e al lavoro nei campi, la sua vita, la sua passione. A inquietarlo il ritrovamento in uno dei suoi campi del corpo di un animale morto, che più che animale sembra essere un mostro, una sorta di incrocio tra un grande cinghiale, la testa di un maiale e la bocca di un lupo. Grande e pesante, ben 164 Kg, il pelo corto color ruggine e la testa incassata nel corpo senza collo, il muso senza peli, liscio e bianco come quello di un suino, gli occhi bianchi, i denti aguzzi e grandi più di un lupo, le zampe simili a quelle di una capra. Che roba è? -si domanda Osvaldo da giorni- Giaceva morto a terra con le zampe sporche di terriccio e fango, la bocca digrignata come se volesse ancora mordere. Mai visto un animale del genere! A vederlo bene sembra proprio una mutazione genetica, simile a quelle che si vedono in tanti film americani di fantascienza, ma qui non c’entra, qui il mostro è in carne e ossa. Non si sanno le cause della sua morte, non si sa neanche di che cosa possa nutrirsi una creatura del genere e neanche quanti anni abbia. Una cosa è certa, la sua fisicità è spaventosa. Quando l’ho trovato -continua il contadino- pensavo fosse un cinghiale, ma è strano trovarli da queste parti, così ho chiamato il mio veterinario di fiducia, ma neanche lui a parte le ipotesi è stato in grado di identificarlo. Sembra strano perché l’animale, privo di coda, orecchie e organi di riproduzione, tipici di tutti gli animali, presenta invece, al suo interno un apparato organico identico a quello di un maiale. Le ipotesi fornite dal dott. Fulvio Rossini, veterinario spoletino, sono due. La prima è che potrebbe trattarsi di un animale nato dall’accoppiamento riproduttivo tra una scrofa e un cinghiale, difficile da credere se pensiamo che il maiale e il cinghiale pur simili nel genere non potrebbero mai accoppiarsi, per la loro diversità istintiva sita nella loro naturale predisposizione, ma pur sempre un’ipotesi. La seconda è che si tratterebbe di una malformazione avuta nel feto, magari di un animale simile al cinghiale. Come esistono le malformazioni umane lo stesso potrebbe essere accaduto per l’animale in questione. Supposizioni che non trovano una verità scientifica ma che cercano di spiegare questo fenomeno anomalo quanto impressionante. Segnalazioni passate della sua presenza o di uno strano avvistamento non sono mai giunte al Corpo Forestale dello Stato, tanto meno gli abitanti della zona non hanno mai notato qualcosa del genere. Non ci sono animali uccisi, tracce del passaggio di questa creatura. Non resta che fare delle supposizioni. Dalle analisi del sangue effettuate sull’animale e dalla successiva autopsia, non ci sono chiare tracce di sostanze nutritive assimilate, neanche nello stomaco, informazioni importanti che avrebbero permesso l’identificazione alimentare, ciò di cui si nutre la creatura. L’ipotesi allora più accreditata è che forse sia morto di fame e questo spiegherebbe anche la mancanza di ferite o perdite di sangue sul suo corpo. Sempre nel segno del dubbio l’idea che l’animale sia nato da un parto naturale tra due maiali o cinghiali e che l’allevatore fino a quando l’animale era piccolo ha deciso di tenerlo, magari sorpreso dalla sua forma mostruosa, poi, cresciuto troppo, abbia deciso di liberarlo e questo, trovandosi senza nutrimento, sia morto perché non abituato a cacciare. Non risultano, inoltre, dichiarazioni da parte di allevatori che in passato abbiano denunciato la nascita di un animale particolare. La sua origine è sconosciuta, uno scherzo cromosomico? Chi sa? Forse veramente un mostro. E se il mostro avesse altri figli sparsi in giro? Se qualcuno allevasse di nascosto creature mostruose come questa o si divertisse a fare degli strani incroci genetici? Non perdiamo tempo in futili fantasie, sarà stato solamente un caso. Anche se, da quando Osvaldo ha fatto questo ritrovamento, sia lui sia i suoi coetanei della zona, controllano con più attenzione ciò che si muove nei campi e se prima pensavano a una volpe, a un istrice o un piccolo innocuo riccio, adesso si pensa a qualcosa di diverso. Lorenzo Bellucci
CASA DELLA DIVINA PROVVIDENZA res idenz a protetta e residenza c omuni t a r i a
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La casta sul tetto che… costa Anno 2007, mese maggio, i giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella pubblicano la prima edizione del libro La Casta nel quale tracciano un quadro impietoso e crudamente realistico della classe politica italiana nel suo insieme senza risparmiare alcun schieramento sia del governo che dell’opposizione. Ne esce il quadro sconfortante di un paese in cui la brama di poltrone spinse ad inventare comunità montane al livello del mare, dove il Quirinale spende più di Buckingham Palace, dove un pasto a Montecitorio costa meno di una qualsiasi mensa aziendale! Ricordo il senso di frustrazione impotente misto ad indignazione provato nel leggere quelle pagine in cui si snocciolavano cifre, dati, tabulati, da far venire prima il capogiro poi un nauseabondo dolore allo stomaco, manco si viaggiasse con il mare forza 7. Allora, come tanti lettori mi sono chiesto: le cose stanno proprio così? E’ questo che fa la nostra classe politica che puntualmente viene a corteggiare noi elettori ad ogni tornata elettorale? Così finiscono i soldi di noi contribuenti ai quali vengono ormai cronicamente chiesti sacrifici per fronteggiare una crisi senza fine? Abbiamo a questo punto un barlume di speranza? Da quella data sono passati quattro anni lunghi come quattro secoli per tutte le vicissitudini storiche, politiche, economiche, interne ed esterne, nazionali ed internazionali avvenute nel frattempo. Sono anche usciti altri libri, altri giornalisti hanno fatto sentire la loro voce polemica contro una classe dirigente sempre più barricata dietro un’oligarchia fatta di privilegi assurdi, sprechi, abusi e soprusi. Basti pensare a La Deriva (2008) degli stessi autori, poi Sanguisughe (2011) di M.Giordano, L’Orda… è perfettamente inutile proseguire l’elenco altrimenti occuperemmo lo spazio dell’intero articolo. Si tratta di autori diversi sia per formazione culturale che per orientamento ideologico, ma nello sciorinare dati, fatti, cifre concordano tutti su di un punto: troppo spesso la politica costosa ed impotente… parla di altro dimenticando le reali esigenze del paese e dei suoi cittadini. Puntualmente all’uscita di ognuno dei libri citati scoppia la solita bomba editoriale, migliaia di copie vendute, dibattiti, forums, conferenze, special televisivi, gazzarre in diretta tra esponenti del governo e dell’opposizione che si rinfacciano errori ed omissioni… il solito teatrino a cui le reti pubbliche e private ci hanno ormai abituati! Insomma dopo tutto questo can-can mediatico, qual è il seguito? Cosa fa di concreto la nostra classe dirigente? Come reagisce ad accuse così gravi? Quali iniziative intende prendere? Risposta: ben poche per non dire nessuna, salvo una serie di promesse, buoni propositi, solenni rassicurazioni destinate a rimanere sulla carta o perdersi nelle onde elettromagnetiche della telecomunicazione. Ciò che si recepisce è uno sconfortante quanto frustrante senso di immobilismo in cui le regole del gioco sembrano già scritte e non possono essere cambiate per le complesse alchimie degli equilibri politici delle forze in campo. Da una parte abbiamo una compagine governativa sempre più ingessata nei palazzi di potere, attaccata alle proprie poltrone e preoccupata di assicurare i necessari equilibri interni per garantirsi la sopravvivenza fino alla fine della legislatura, dall’altra un’opposizione variegata, eterogenea, spessissimo divisa e litigiosa che anch’essa occupa i palazzi di potere, magari non ai piani alti (sarebbe troppo!) più preoccupata di cercare la contrapposizione che elaborare un programma costruttivo, serio e soprattutto unitario di vera alternativa al governo attuale. Il premier invece si mostra indaffaratissimo a garantirsi a qualsiasi costo (todo modo!) la propria carica fino al 2013, incurante delle sollecitazioni che gli vengono da varie parti di fare il passo indietro che egli si guarda bene dal fare… il potere logora, ma è meglio non perderlo, secondo quanto ha affermato una vecchia volpe della politica italiana, l’on. G. Andreotti. All’esterno degli storici palazzi di potere dove governo e opposizione continuano ad accapigliarsi, si trova il paese reale con le sue urgenti problematiche, un paese invecchiato biologicamente con una marea di giovani in cerca di prima occupazione, di precari ormai over 40 che reclamano una sistemazione stabile, di pensionati che debbono tirare avanti con un misero assegno mensile, di padri e madri di famiglia che di punto in bianco si sono trovati senza lavoro e non sanno come campare. Un paese sostanzialmente immobile che non riesce a sfruttare le sue positive qualità universalmente riconosciute (inventiva, genialità, capacità di adattamento) gestito da una casta oligarchica volta soprattutto al mantenimento dei propri privilegi fatti di auto blu, pensioni d’oro, incarichi super pagati, favolosi assegni che si cumulano ecc. Sembra che la storia abbia fatto un brusco passo indietro all’epoca dell’Ancien régime quando oltre i cancelli della dorata reggia di Versailles c’era il terzo stato che viveva nella miseria o, per stare a casa nostra, ai tempi della Serenissima quando potenti famiglie come i Mocenigo, i Dandolo, i Vendramin… lottavano per la supremazia, mentre il resto della popolo doveva imbarcarsi sulle navi a far la guerra contro i Turchi, se voleva sopravvivere. Tangentopoli, Parentopoli, Sprecopoli… sono i neologismi divenuti ora di uso comune, tutti puntualmente con il suffisso poli, ma che, per ironia, con la polis (città-stato) e soprattutto con la gestione di essa hanno ben poco a che vedere. Si è creata una frattura sempre più profonda, una vera e propria forbice, tra il paese reale e la classe politica nel suo insieme che il cittadino comune giudica inadeguata e nella quale non si riconosce. Sintomatici sono gli appelli lanciati sempre più spesso del presidente G. Napolitano affinché la politica, non le lotte di potere o peggio quelle di parte, riprenda la sua centralità. I fatti di Roma (non entro nello specifico perché esula dal tema dell’articolo) dove la cieca e deplorevole follia distruttrice di una minoranza ben organizzata si è abbattuta sulla città deturpandola nel suo patrimonio e sui cittadini inermi che hanno visto andare i fumo in pochi attimi anni di sacrifici, suonano, al di là delle valutazioni tecnico-politiche di circostanza, come un drammatico campanello di allarme che la classe politica ha il dovere di non ignorare. A complicare un quadretto degno delle migliori statuette di via S. Gregorio Armeno a Napoli, ci si mette anche una folla di telepredicatori, comici, vignettisti che rispondono ai nomi di Da Vinci, Fazio, Santoro, Crozza, Gruber, Floris ecc. i quali da tutte le reti pubbliche e private irrompono prepotentemente e puntualmente quasi ogni sera nelle nostre case impartendoci, da perfetti tuttologi, lezioni di politica, di economia, di morale civica ecc. e girando, come recita un vecchio proverbio, il coltello nella piaga. Ma attenzione! Con questo non si vuole per nulla affatto mettere in discussione la libertà di parola che resta un pilastro fondamentale della democrazia e nemmeno mettere in dubbio la giustezza delle critiche che vengono in tali trasmissioni mosse, ma la cosa certa è che il cittadino in tale situazione si sente sempre più disorientato e sempre meno garantito da uno stato diventato nolente o volente espressione di una ristretta cerchia di persone i cui interessi appaiono lontani anni luce ai suoi. Insomma, se è vero che nel tal settore siamo ultimi, in quell’altro al 37° posto e via discorrendo, ci sarà pure qualche settore in cui la situazione è così catastrofica! In ogni caso, se veramente le cose stanno così, è arrivato il momento che i signori della casta che si coprono sotto varie sigle, si diano una mossa una volta per tutte e senza ritardi, prima che il paese sfugga loro di mano. La frustrazione e l’impotenza potrebbero tramutarsi in rabbia… Che si diano da fare anche loro a riparare il costoso tetto che occupano e che hanno reso pieno di falle, senza infilare le mani nelle tasche del cittadino, come è stata prassi fino a questo momento. Una via di uscita va trovata perché esiste, basta volerlo. Pierluigi Seri Concludo con le parole del celebre giornalista G. Bocca: Dio benedica questo sgangherato, ma amato paese!
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Un viaggio nella storia di Braccio, Bingo, Don e Cantante. E, soprattutto, la scoperta di un luogo immaginario capace di raccontare vizi e virtù dell'Italia degli ultimi trent'anni. Un romanzo certo complesso, Santa Croce, anche dal punto di vista della struttura narrativa, e popolato da tanti personaggi attraverso i quali si raccontano le esperienze che hanno portato i protagonisti a vivere la vicenda legata a Braccio, alla sua malattia e alla voglia, in un modo o nell'altro, di raggiungere un obiettivo, con l'aiuto dei suoi amici. Il libro può essere acquistato presso la libreria Alterocca.
I l 2 0 1 2 , s e g n e r à d a v v e ro la n ost ra f in e? Interpretazioni sul calendario Maya, inversione del campo magnetico terrestre, impatto con una cometa o un asteroide, variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, allineamento dei pianeti, esplosione di una supernova vicina e formidabili tempeste solari, sono solo alcune delle ipotesi che si stanno sbandierando da molto tempo, da tanti profeti e su tutti i canali dei mass-media. Tutti i cittadini interessati a questo argomento e desiderosi di approfondimenti, non potranno mancare all’appuntamento di sabato 26 novembre a Terni, Palazzo Primavera, Via Giordano Bruno, 3 (inizio ore 17.00), dove il famoso astronomo torinese Walter Ferreri presenterà il suo libro: La verità sul 2012. Autore di una ventina di libri di carattere astronomico che spaziano dalla fotografia astronomica, ai cannocchiali e telescopi, al Sole, alla Luna fino a spingersi ai confini dell’Universo alla ricerca di forme di vita, Walter Ferreri ha prontamente risposto al nostro invito e ci regalerà un pomeriggio davvero interessante.
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Senatori della città
Composto a più mani
La pubblicazione curata dall’ex giocatore rossoverde e dal giornalista ternano, Ivano Mari, ripercorre, nella prima parte, la carriera del calciatore ternano ed è corredata da tantissime fotografie che raccontano i momenti più interessanti. Nella seconda, invece, Riccardo racconta degli aneddoti curiosi (gioie, liti furiose con allenatori, grandi gesti di generosità) che hanno caratterizzato la sua esperienza mentre la terza parte raccoglie le testimonianze di allenatori, dirigenti ed ex compagni di squadra che hanno condiviso con Riccardo la splendida avventura calcistica. Nella quarta ed ultima parte, invece, c’è l’album dei ricordi con Riccardo alle prese con giocatori del calibro di Maldini, Totti, Zanetti, Veron, Materazzi, Mihajlovic, Mexes, Buffon e tanti altri campioni ancora. L’intero ricavato della vendita del libro verrà destinato all’acquisto di un mammografo digitale da donare all’Ospedale di Terni. Da segnalare che prima della partita di addio al calcio di Zampagna, che si è disputata al Liberati la sera del 2 luglio 2011, Riccardo ha consegnato a “Terni X Terni anch’io” un assegno di 20.000 euro, quale prima tranche della vendita del libro per l’acquisto del mammografo digitale. Si spera che con l’arrivo del Natale si possano vendere altre copie per aumentare il contributo e procedere con un ulteriore versamento.
Lo scritto, composto a più mani e a più pensieri da semplici cittadini, non impegnati nella politica attiva che, liberatisi della dicotomia destra-sinistra, si accordano, non ideologicamente né a difesa di padroni, sul da farsi e sui comportamenti da tenere. Nessuno, tra noi, è interessato al vigente mercato politico o amministrativo; ci limitiamo ad indicare proposte, progetti, azioni per la città. Ci rivolgiamo a chi è nauseato dai vergognosi esempi messi in mostra, vuoi dall’omuncolo smanioso di potere, vuoi da quello che tenta di sbarcare il lunario con la politica. Penseremo ai giovani, per cercare di offrire loro un futuro migliore. Non indicheremo chi, a nostro parere, dovrebbe essere eletto. Segnaleremo invece la tipologia del candidato che, per il bene delle istituzioni, dovremmo evitare di eleggere. Ci impegneremo perché gente senza arte né parte non seguiti a fare del male al decoro pubblico. Ci siamo autoeletti Senatori della città. L’investitura è legittima perché riteniamo di avere carte culturali e morali in regola e perché siamo pronti a dare senza chiedere, men che meno denaro pubblico. Pensiamo anche che dopo due mandati i politicanti, se si sentono così importanti e sempre che lo siano davvero, invece di brigare per continuare la loro opera, spesso devastante, dovrebbero mettere il loro sapere a disposizione dei giovani della città, giovani intelligenti, colti, attivi, quelli che intendono vivere esclusivamente con il proprio ingegno e con il proprio lavoro. La precisazione si impone poiché la politica va sempre più infoltendosi di personaggi che mai hanno lavorato e che sono privi delle capacità di controllo necessarie alla gestione anche solo di una bancarella di semi salati. Questi avventori, tuttavia, vogliono farci credere di saper amministrare i nostri beni comuni! Il libro è gratuito per tutti coloro che ne faranno richiesta. info@lapagina.info 3482401774
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Problema della tolleranza nel cinque-seicento tolleranza tra i loro princìpi fondamentali. Essa per i sociniani era il frutto del ricorso alla ragione critica per interpretare la Bibbia e della convinzione della preminenza dell’etica sulla dogmatica, cioè della idea che l’essenza del cristianesimo si trovasse non in una serie di dogmi ma nel messaggio evangelico dell’amore e della carità, messaggio che, a loro avviso, concordava con le esigenze della ragione. Anche la separazione dello Stato dalla Chiesa era per loro condizione essenziale per l’affermazione della tolleranza. In Inghilterra il latitudinarismo insisteva sulla esistenza nel cristianesimo di un nucleo di verità fondamentali comuni a tutte le chiese, fondate sulla Scrittura e ammesse da tutti. Per questa setta le divergenze dottrinali non potevano essere motivo di divisioni e intolleranza in quanto riguardavano questioni oscure e incomprensibili. In Olanda gli Arminiani (da Arminio prof. all’Università di Leida) contestavano la rigida dottrina calvinista della predestinazione, secondo la quale Dio dall’eternità aveva già stabilito chi si sarebbe dannato e chi si sarebbe salvato indipendentemente dai meriti individuali e sostenevano la responsabilità e la collaborazione dell’uomo alla propria salvezza, attraverso le opere buone. Questo principio della libertà umana li portava a sostenere il pluralismo religioso e quindi la tolleranza. Dietro questa posizione tollerante c’era la spinta della ricca borghesia dei ceti mercantili aperti al pluralismo ideologico e al pacifismo. Quanto al contributo al dibattito sulla tolleranza del fattore politico, esso era inevitabile dal momento che gli scontri religiosi andavano ad incidere negativamente sulla pace sociale e in qualche modo lo Stato doveva intervenire. Si cominciò a discutere sul rapporto StatoChiese e, accanto alla posizione che sosteneva la necessità da parte dello Stato di far propria una dottrina religiosa e di imporla a tutti, si andava sviluppando la concezione secondo cui Stato e Chiese devono essere separati, avendo lo Stato come compito primario quello di garantire a tutte le posizioni religiose la libertà dottrinale e di culto. In altre parole cominciò a nascere la dottrina dello Stato laico e aconfessionale. Era la posizione di Johann Crell, convinto sociniano, o di John Milton e molti altri fino a John Locke. Anche il fattore culturale contribuì in modo determinante all’affermarsi dell’esigenza di uno
Storicamente il problema della tolleranza si pose a partire dalla Riforma protestante, quando l’unità religiosa del mondo cristiano si spezzò e il potere politico si trovò a doversi confrontare con sudditi che aderivano ad una pluralità di credi differenti. La tolleranza dunque venne a porsi con grande urgenza come problema non solo teologicoreligioso ma anche politico e giuridico. In questa situazione l’Europa visse tra il Cinquecento e il Seicento un periodo di forte instabilità e di guerre di religione e si assistette al trionfo dell’intolleranza. Vi era infatti diffusa, sia tra i cattolici che tra i protestanti, la convinzione che la fede fosse la condizione necessaria per la salvezza dell’anima e che essa fosse incarnata in un complesso di dottrine dogmatiche (ortodossia) e in un’organizzazione ecclesiale esclusiva che dovessero valere in modo assoluto come verità. Se questa era la premessa, risulta chiaro come l’errore dovesse essere perciò perseguitato con tutti i mezzi, anche con la forza, se si volevano salvare le anime. In tale situazione cominciarono a levarsi, seppur isolatamente, voci e movimenti a favore della tolleranza religiosa. Le spinte provenivano da vari fattori: quello teologico-religioso, quello politico, quello culturale, quello economico. È proprio nell’ambito teologico e religioso che nacquero idee a favore della tolleranza. In campo cattolico cominciarono a diffondersi le posizioni umanistiche di Erasmo da Rotterdam che ponevano il valore del Vangelo e della carità al di sopra della ortodossia dogmatica, mettendo l’accento sulla libera scelta della coscienza in fatto di religione. In campo protestante si svilupparono, sotto la spinta del principio luterano del libero esame dei testi sacri, tutta una serie di sette che rinunciavano al fanatismo dottrinale per sostenere forme chiare di tolleranza. Ad esempio i cosiddetti Sociniani (dai fratelli Fausto e Lelio Socini da Siena) che a livello dottrinale si distaccavano sia dai cattolici che dai luterani, poiché negavano la Trinità, il peccato originale, la predestinazione e la mediazione della Chiesa tra uomo e Dio, e sostenevano, nel loro catechismo del 1605, la
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spirito di tolleranza. Sulla scia della rivoluzione umanistica e rinascimentale, che poneva al centro l’uomo come soggetto libero e razionale e la natura come oggetto di ricerca e di conoscenza, cominciava ad affermarsi la rivoluzione scientifica, ossia lo studio sperimentale della natura alla ricerca delle leggi che la regolano. In tal modo l’uomo moderno sconfiggeva la vecchia cultura aristotelica e la sua coscienza diventava il centro della libera scelta anche in campo religioso. Da ultimo il fattore economico: con l’emergere della nuova classe borghese e soprattutto nella seconda metà del Seicento con lo sviluppo del capitalismo finanziario e commerciale nasceva l’esigenza di superare le divergenze religiose per preservare relazioni sociali stabili e pacifiche che favorissero i commerci. È il caso soprattutto dell’Olanda che, per la sua politica di tolleranza, divenne rifugio di molti perseguitati religiosi europei e sviluppò una notevole floridezza economica, al contrario della Spagna che, con la sua politica intollerante e inquisitoria, che condusse alla espulsione degli ebrei e degli arabi, ostacolò la formazione di un forte ceto borghese e si avviò così al declino economico e politico. Marcello Ricci
A = A1, A4, B7, C4, C7, E5, F6 D = B3 E = A7, B4, D1, D8, G2 G = E4 I = C2, D5, E7 L = A2, A3, B5, B6, F4 M = D2, F7 N = D6 O = D3, F8 R = A8, C8, E1, E2, G1 S = A6, C6, F1 T = C3, D7, E6 U = F2 V = C1 X = B1 Y = E3 Z = F3
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J O B S
Un maestro di vita nell’era dell’hi-tech Q
uasi un mese fa è morto uno degli uomini che ha collaborato a rendere il mondo “di allora” il nostro mondo contemporaneo, quello stesso mondo controverso e complicato che tanto ci debilita ma che tanto amiamo, in fondo, anche se non lo ammettiamo poi così spesso. Un uomo che non verrà dimenticato facilmente: un uomo che, con i suoi difetti e con i suoi pregi, ha saputo emozionare e dare un esempio decisamente importante e valido da seguire. Un egoista, un cinico e un egocentrico, chiaramente, che è riuscito a cambiare le vite di milioni di persone, portando un’azienda nata da un sogno di libertà a diventare l’azienda leader nel suo campo, paragonata a un tiranno, che però tanto ha dato alla nostra società. Una persona senza paura di andare controcorrente, un grande uomo che ha saputo giocare le sue carte nel modo migliore e nel momento più appropriato, pur facendo i suoi errori e pagandone le conseguenze. Un uomo che ha fatto scelte assolutamente opinabili e ostacolate da molti, ma che è riuscito a farsi valere, fino alla fine, anche sul male che lo ha afflitto negli ultimi sette anni e che, normalmente, porta a morire entro un anno dalla contrazione della malattia. Steve Jobs non potrà essere semplicemente un uomo che verrà ricordato negli annali, nei libri di storia e negli articoli specializzati: il suo nome rimarrà ben impresso nel cuore e nella mente di coloro che devono ringraziare Steve per il lavoro che ha fatto e per il gigante che ha messo in piedi e che sta guidando le imprese del settore verso un mercato completamente nuovo. Ma Steve Jobs non era solo un genio del marketing (oltre che di informatica, chiaramente): era un uomo in grado di incantare intere masse di persone, non solo con le sue creazioni, ma anche con le sue parole, che hanno saputo commuovere e stimolare alcune delle ultime generazioni a continuare sulla propria strada. In un momento come questo di crisi e incertezza una personalità del genere ha svolto un compito importante, dando fiducia a chi, di fiducia, ne vede ben poca e dando l’esempio a chi, di esempi validi, ne ha avuti davvero pochi. Penso non ci sia conclusione migliore di uno stralcio del discorso che ha tenuto a Stanford qualche anno fa e che penso dovrebbe essere fatto vedere nelle scuole medie e superiori, ovviamente unite ad un’opera di risveglio delle coscienze per cercare di scuotere dall’apatia che sta divagando le masse di coloro che sono il futuro dell’oggi e del domani. Bisogna trovare quel che amiamo. E questo vale sia per il nostro lavoro che per i nostri affetti. Il nostro lavoro riempirà una buona parte della nostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è di fare quello che riteniamo essere un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che facciamo. Chi ancora non l’ha trovato, deve continuare a cercare. Non accontentarsi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie d’amore, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, bisogna continuare a cercare sino a che non lo si è trovato. Senza accontentarsi. Chiara Colasanti
N on ci sono dubbi sul fatto che la sua eredità,
sia morale sia tecnologica, continuerà a vivere anche dopo la sua morte, influenzando il modo di vivere di tantissime persone. Una perdita di valore mondiale Steve Jobs, scomparso poco più di un mese fa, dopo aver combattuto per anni contro una grave forma di tumore al pancreas. Un grande uomo che ha saputo nell’arco della sua intensa vita, rivoluzionare il modo di comunicare tra le persone e vedere il mondo, regalando la meravigliosa possibilità di interagire attraverso la tecnologia in modo nuovo, cambiando il rapporto tra mondo digitale e vita reale. Steve Jobs con il suo ingegno, la sua tenacia è morto all’età di 56 anni, troppo presto per un genio del suo calibro, gettando le basi della moderna industria hi-tech, è stato il leader buono del grande dono: la Apple. Grazie a lui si sono aperte le porte di una nuova era, dove il digitale di alta definizione ha raggiunto livelli mai visti prima e le capacità interattive dei computer, iPod, iPhone e ultimo iPad sono diventati straordinari, in grado di cambiare anche i nostri gesti e la nostra idea di realtà. La Apple sotto la sua guida è stata la fautrice di una sorta di rivoluzione industriale, non solamente per i numerosi posti di lavoro impiegati nella realizzazione dei prodotti, ma soprattutto per la creazione di una linea basata tutta sul principio del touch screen, dell’interattività dei contenuti e lo scambio degli stessi tra diverse forme di dispositivi. Nella vita conta solamente una cosa: quello che lasci dopo la tua esistenza, il senso del tuo vivere, il cambiamento o miglioramento che porti con le tue idee. Steve Jobs, è stato uno dei rari uomini a cambiare il mondo, regalando all’umanità intera, qualcosa di prezioso e utile. Figlio di una ragazza-madre che lo diede in adozione, Jobs ha avuto un’adolescenza difficile, tra povertà e speranza, e quando nel 2004 gli fu diagnosticato un tumore al pancreas dal quale poi guarì, nel 2009 fu sottoposto a un trapianto di fegato. Una salute difficile e piena di ostacoli, ma ciò nonostante una grandissima forza di volontà, tanto da portarlo ad andare avanti e credendo nei suoi progetti. Memorabile il suo discorso nel giugno 2005 agli studenti della Stanford University in California, un discorso diventato un vero testamento morale ai giovani e che da anni spopola sul Web. Stay hungry, stay foolish, Restate affamati, restate folli -disse commosso ai giovani- Il vostro tempo è limitato, allora non buttatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciate che il rumore delle opinioni degli altri affoghi la vostra voce interiore. Abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno già cosa voi volete davvero diventare. Tutto il resto è secondario. In quell’occasione Steve Jobs ha descritto ai ragazzi in procinto di concludere il loro percorso di studio non un futuro roseo e di gloria, non ha parlato dei suoi successi o delle sue idee geniali, ma ha parlato dei suoi fallimenti, di quando lasciò l’università, delle continue indecisioni che lo tormentavano, del suo licenziamento alla Apple. Perchè? Perchè la lezione più importante da imparare nella vita è che i fallimenti non sono altro che opportunità, nel senso che fallire in qualcosa ci costringe a fare qualcos’altro, e chissà? Forse è proprio lì che troveremo la grandezza. Per Jobs è stato così, sia quando ha deciso di abbandonare il college prima della laurea, sia quando è stato licenziato dalla sua stessa Apple. Se questi due fallimenti non fossero avvenuti, probabilmente oggi non avremmo l’iPad e i film della Pixar. Dovete credere in qualcosa, il vostro intuito, il destino, la vita, il Karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita -disse sempre in quell’occasione Jobs- e parlando del suo rapporto con la morte dichiarò: Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per aiutarmi a fare le grandi scelte della vita. Nelle sue parole nel suo modo di fare c’è un chiaro riflesso del professore di lettere interpretato da Robin Williams nel film L’attimo fuggente, una volontà a dire: Cogliete l’attimo, Carpe diem, non lasciatevi vivere ma vivete. È stato questo il senso della sua missione, il segno lasciato per le future generazioni. Lorenzo Bellucci
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La Restaurazione
Il tempo: un qualcosa di estremamente misterioso per tutti, poiché diamo ormai per scontato il suo scorrere regolare, ininterrotto. Nel momento in cui però si deve fornire una sua definizione, la maggior parte di noi si trova allora a riflettere sulla sua natura: nel corso dei millenni, ad esempio, molti filosofi ne hanno negato l’esistenza, considerandolo una mera convenzione, mentre, una buona parte dei culti religiosi lo crede un limite umano, poiché la nostra vita si articola durante lo svolgere degli anni rendendoci mortali, a differenza delle divinità, eterne grazie alla caratteristica di non essere subordinate a qualsiasi tipo di legge naturale. Perfino la scienza, nonostante abbia ottenuto dei risultati, spesso ha fornito risposte incerte e contraddittorie. E’ comunque certo che la successione di più eventi simultanei chiamata Storia è dagli albori della civiltà individuata all’interno di una cronologia temporale, dunque si può affermare che, come fino ad ora non si è riusciti a traslare delle
persone nel passato, non è quindi possibile nemmeno far ritornare la nostra situazione sociale e politica indietro di un determinato periodo. E’ proprio a causa di questa condizione umana che fallì uno dei tentativi più famosi di invertire il normale corso delle lancette della storia, conosciuto da tutti con il nome di Restaurazione. Il contesto in cui quest’ultima si inserì è uno dei più importanti dell’epoca moderna, poiché l’ozioso e piuttosto monotono XVIII secolo venne bruscamente interrotto dalla Rivoluzione Francese, la quale fece capire all’élite dell’ancien régime che il popolo, non più disposto a sottostare al dominio dell’odiata nobiltà e dell’alto clero, era ormai pronto a prendere in mano autonomamente le redini della propria nazione, difendendola da ogni ingerenza straniera, anche ricorrendo all’uso delle armi. Ciò, in effetti, fu quasi esattamente quello che accadde, poiché la clamorosa sconfitta di varie coalizioni create dalle grandi potenze reazionarie, aprì la strada all’ascesa di Napoleone Bonaparte, il quale, dopo aver dato vita ad un immenso impero continentale, coinvolse nell’amministrazione locale degli stati nuove classi
dirigenti come quella borghese, la quale modernizzò l’apparato burocratico, venendo inoltre a conoscenza di nuovi valori come quello della libertà, dell’uguaglianza fra le perpersone e della democrazia. Quest’ esperienza innovativa si interruppe nel 1815, anno in cui, dopo la disfatta dell’esercito francese causata dalla campagna di Russia e dalla battaglia di Waterloo, le Monarchie ultra-conservatrici convocarono il Congresso di Vienna, il quale, guidato da personalità come il Principe di Metternich ed il Duca di Wellingtone, stabilì un quasi totale ritorno ai confini politici precedenti al 1789, rafforzando inoltre la Dinastia degli Asburgo, degli Hohenzollern e dei Romanov, le quali crearono la Santa Alleanza, basata, almeno formalmente, sulla comune fede cristiana, ideata però, in realtà, per poter reprimere con la sola forza militare ogni tentativo di cambiare l’ordine costituito. Quest’ultima avrebbe quindi dovuto garantire a tempo indeterminato i princìpi di non supremazia di uno stato su degli altri ed inoltre quello della legittimità del potere dei sovrani, i quali, tornati ad esercitare il proprio presunto mandato divino dopo essere stati deposti dalle forze rivoluzionarie, almeno teoricamente avrebbero
Orrori
&
dovuto regnare per sempre, in modo da applicare il dovere di mantenere l’oppressivo sistema politico ricreato. Codesta alleanza avrebbe avuto ancora un senso, almeno secondo il mio parere, nel periodo delle guerre di successione per i vari troni europei, ma non ormai nel quarto lustro del 1800. Erano infatti mutati molti dei princìpi che avevano caratterizzato i decenni precedenti: era finita l’epoca dei despoti illuminati mentre era iniziata quella dei moderni sovra ni costituzionali, antichi privilegi medievali appartenenti a determinate classi sociali apparivano obsoleti ed infine era chiaro che il corso degli eventi stava vigorosamente virando verso percorsi diversi. Coloro che si opponevano a tutto ciò non adeguandosi ai diversi cambiamenti, volendo quindi mantenere inalterato il proprio potere assoluto, stavano in realtà firmando con il sangue la condanna a morte delle proprie casate. Ovviamente adesso si potrebbe pensare che, essendo io un contemporaneo, stia giudicando in maniera eccessivamente
Splendori
DECORTICARE (secondo il dizionario di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli): se riferito ad una pianta, asportarne la corteccia; se riferito a salumi, privare della cotenna; Decorticare (secondo me): se riferito ad un palazzo cinquecentesco, operazione da incolti e analfabeti. Quanto ancora dovremo aspettare perché Palazzo Spada sia deterso da uno sporco secolare, intonacato e tinteggiato come ad esempio lo splendido Palazzo Bianchini? Orrori e splendori, a cura di Paolo Leonelli
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presuntuosa degli errori le cui conseguenze non erano allora minimamente immaginate, ma, in realtà, non è così. Lo stesso Principe di Metternich, pur definendo ufficialmente la nostra una semplice “espressione geografica”, aveva segretamente capito che, nella nostra nazione, durante gli anni si sarebbero sviluppati troppi movimenti di opposizione al controllo austriaco, al quale presto non sarebbe più stato sufficiente la repressione eseguita dall’esercito, per il semplice fatto che il secolo che iniziò dopo il Congresso di Vienna e terminò con la fine della Grande Guerra avrebbe inevitabilmente portato alla dissoluzione dell’Istituzione dell’Impero, cancellando per sempre l’Europa politica fino ad allora conosciuta. Il pensiero politico del famoso ministro è racchiuso infatti nella sua famosa frase: Gli abusi del potere generano le rivoluzioni: le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso. La prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli. F ran cesco Neri Classe IIA ScM L. Da Vinci
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A n d i a m o i n o r b i t a - L’ e s p l o r a z i o n e d i P L U T O N E Partiti da Mercurio, ci siamo, di puntata in puntata (come dire di pianeta in pianeta), allontanati dal Sole e ora con Plutone siamo arrivati ai confini del Sistema Solare. Proprio alla fine non direi, dal momento che dopo Plutone si trova quella Fascia di Kuiper che si estende fino ad una distanza approssimativa di 50 U.A. (7,5 miliardi di Km.) dove sono stati già scoperti centinaia di grossi asteroidi e se ci allontaniamo ancora entriamo nella Nube di Oort, enorme serbatoio di miliardi di comete a lungo periodo. Plutone non è più considerato un pianeta vero e proprio, poichè il 24 agosto 2006, a Praga, 2000 astronomi di tutto il mondo decisero di declassarlo a Pianeta Nano dal momento che non possedeva le caratteristiche principali di tutti gli altri pianeti. A tenere compagnia a Plutone, sono stati inseriti Cerere (il più grande degli asteroidi che orbita tra Marte e Giove) e tre grossi asteroidi della Fascia di Kuiper: Haumea, Makemake ed Eris (Vedi foto 1). Così distante dalla Terra, Plutone non è stato mai avvicinato da sonde artificiali e dobbiamo aspettare ancora quattro anni circa quando la navicella americana New Horizons arriverà a destinazione per studiare Plutone e le sue Lune. La New Horizzons, lanciata da Cape Canaveral il 19 gennaio 2006, con una velocità di 58.536 km/h (circa 16,26 km al secondo!), è l’oggetto artificiale più veloce che abbia mai abbandonato la Terra ed al suo interno, oltre alla ricca strumentazione scientifica, viaggiano parte delle ceneri di Clyde Tombaugh, scopritore di Plutone nel 1930 dall’osservatorio astronomico di Lowell in Arizona. Nel frattempo, ci dobbiamo basare sulle osservazioni effettuate dai maggiori telescopi terrestri e su quelle del telescopio spaziale Hubble. La Foto n° 2 effettuata da quest’ultimo solo quattro mesi fa, mostra Plutone con il suo maggiore satellite Caronte (scoperto nel 1978) , gli altri due Nix e Hydra (scoperti nel 2005) e una nuova piacevole sorpresa, ovvero una quarta Luna, denominata provvisoriamente P4 (diametro stimato fra 13 e 34 Km.), che impiega 31 giorni per fare un giro completo intorno a Plutone. Continuate a seguirci, cari lettori, fra quattro anni vi daremo informazioni più dettagliate!! Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com Anassagora, Democrito e Cleante dicono che tutte le stelle si muovono da oriente a occidente.
Aëtius, II 16, 1 [Doxographi graeci 345]
Parliamo delLA LUNA I moti della Luna - Se l’astronomia è la scienza più antica, certamente essa è iniziata con l’osservazione della Luna, delle sue fasi, del suo moto rispetto alla Terra e al firmamento. La scoperta delle leggi che regolano la gravità ci ha fatto capire come i moti della Luna non siano soltanto la conseguenza del rapporto che la lega alla Terra e al Sole, ma essi subiscono, anche se in modo blando, l’influenza gravitazionale del sistema solare, della galassia e dell’universo nel suo insieme. Guardando la volta celeste, abbiamo la sensazione che si muova da est verso ovest in modo continuo ed inarrestabile. Per la Luna, osservandola attentamente nell’arco di un mese, notiamo che le cose avvengono in modo diverso poiché essa, rispetto alle stelle fisse, ritarda il suo sorgere di circa tre quarti d’ora ogni sera. Se una sera la vediamo spuntare dall’orizzonte vicina ad una stella di riferimento, vedremo che nella serata successiva la Luna si è allontanata dalla stella medesima di circa 13 °, la sera ancora successiva di 26°, la terza sera di 39° e così via, sorgendo nuovamente in prossimità di quella stella, circa 27 giorni dopo (Fig. 1). Cosa è avvenuto? Cerchiamo di seguire i movimenti del nostro satellite. Il movimento di rotazione la Luna lo effettua intorno al proprio asse in senso Ovest-Est (così come avviene per la Terra). La velocità angolare media è di circa 13 gradi al giorno, per cui una rotazione completa su se stessa avviene in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 12 secondi, precisamente lo stesso tempo che la Luna impiega per percorrere una rivoluzione completa intorno alla Terra. E’ a causa di questo sincronismo che il nostro satellite volge a noi sempre la stessa faccia. Il movimento di rivoluzione intorno al nostro pianeta avviene anch’esso in senso antiorario, alla velocità di circa un chilometro al secondo, lungo un’orbita ellittica di cui la Terra occupa uno dei due fuochi. Non vorrei complicare la vita al lettore, ma la durata di una rivoluzione lunare è diversa se essa viene riferita a una stella fissa della sfera celeste (mese sidereo, che dura poco più di 27 giorni), o se viene riferita nuovamente al raggiungimento dell’allineamento Terra-Sole (mese sinodico). Esso dura circa 29 giorni e mezzo perché nel frattempo la terra è progredita nel proprio moto di rivoluzione e la Luna è costretta ad allungare la rotazione di oltre due giorni per ritrovarsi di nuovo allineata con il Sole. Questo concetto, di per sé semplice, risulta complicato renderlo comprensibile in poche parole, per questo, invito il lettore interessato a frequentarci nelle nostre sedi ogni Martedì o l’ultimo Venerdì di ogni mese, dove potrà incontrare personale disposto a fornire chiarimenti. I moti finora descritti riguardano più direttamente il rapporto Terra-Luna, che ruotando insieme intorno al Sole, generano il movimento di traslazione lunare. Esso non è altro che la traiettoria descritta dalla Luna mentre ruota intorno alla Terra e con essa intorno al Sole nel periodo di un anno (Fig 2). Anche questo movimento si presenta abbastanza complesso. La Luna, nel compierlo rispetto al Sole, descrive un andamento sinusoidale,trovandosi ora al di qua, ora al di là della linea dell’orbita terrestre. Così, cambiando continuamente posizione rispetto alla sorgente di luce, vista dalla Terra, la Luna ci mostra le sue fasi, di cui avrò modo di parlare in seguito. Le librazioni lunari ci danno la possibilità di vedere, da Terra, porzioni di superficie lunare maggiori della metà precisa, che in teoria ci dovrebbe essere mostrata se la Luna fosse dotata di moto coassiale e con traiettoria circolare intorno alla Terra. Queste condizioni in realtà non avvengono perché la Luna percorre un’orbita ellissoidale, a velocità variabile (leggi di Keplero), posta su un piano diverso (5,09°) dall’eclittica. Inoltre, la Luna, avendo la forma non perfettamente sferica con densità non omogenea, è sottoposta a oscillazioni continue sia nel senso della longitudine che della latitudine di cui nell’insieme le librazioni sono il risultato visibile da Terra. Enrico Costantini
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La Via Lattea
Nel 150° dell’unità d’Italia
‘N bo’ de tembu fa… co’ Zzichicchiu e ‘n andru amicu erimo annati su ppe’ l’osservatoriu de Santu Rasimu e stavamo a ggustacce la vorda celeste. Se vedevono ‘n saccu de stelle ma tirava ‘na strina che tte la sintivi pe’ ll’ossa... nonostante tuttu Zzichicchiu ‘nsistiva ‘mperterritu a ‘mparacce ‘n saccu de cose ‘stronommiche... Tutti quill’astri che stete a vvede’... Sirio... Procione... Capella... Aldebaranne... Arturo... fanno parte de la galassia nostra ch’è la Via Lattea... se chiama ccucì perché ‘n tembu a l’antichi je paréa ‘na svordicata de latte. Secondo lu mitu se dice che Ercole quann’era picculu... mentre steva a ppoppa’... ha strizzatu’n bo’ troppu forte e j’è schizzatu lo latte de Era fino su lu celu... a ppropositu... vedete quella striscia biancastra su la vorda celeste... quella è la Via Lattea... e anche noi famo parte de essa! L’amicu nostru lu vedevo ‘n bo’ titubbante... ‘nfatti è ‘ntervinutu e... Finché mme dici che Ercole, pe’ cciuccia’, pòle ave’ strizzatu le zzucche de Era e j’ha fattu schizza’ lo latte fino a llassù... ce posso anche créde... ma che nnoi che stemo qqui... me dici che stemo anche dentro a la Via Lattea che sta llassù... me scombussula tuttu lu comprendoniu!? Zichicchiu… carmu carmu… proseguenno j’ha spicificatu... Caru amicu miu... cerca de capimme... quanno guardamo quella specie de chiarore biancastru... noi stemo a gguarda’ a lu centru de la Via Lattea... devi sape’ che è ccome ‘n discu appiattitu co’ ‘n rigonviamentu llà ppe’ mmezzu... tipu ‘n discu volante ma fattu de stelle. Noi ce trovamo da ‘na parte... se po’ di’ sull’ale e... è ccome se stassimo a gguarda’ verso l’abbitaculu ‘n do’ de stelle ce ne stanno tante de più!... Stemo sembre sussopra ma je stemo da ‘na parte... e issu… Me pare chiccosa d’ave’ ccapitu... cumunque... ammazzi se cche ffriddu... ciò li fettoni de jiacciu... mo’ me vojo mette a ffa’ ddu’ sardi pe’ scallammeli. Io lu guardavo mentre zzombava e j’ho dittu... Ammappete se cche ssardazzipperu che ssì!?... No’ l’éssi mai dittu... t’ha datu ‘na capocciata su ‘n ramu de ‘n pinu che steva bbassu bbassu... e simurdaneamente t’ha ‘ttaccatu ‘na sòrfa che pressappocu facéa ccucì... Ahiaiai... ammazzi se qquante stelle... ahiaiai... ammazzi se qquante stelle... A ‘llu puntu ho ccercatu de consolallu ‘n bo’ dicennoje... Amicu miu... nn’hai sintitu che Zzichicchiu cià dittu che vvedemo più stelle quanno guardamo versu lu rigonviamentu!?... Allora ringrazzia lu celu che non te poli vede’ ‘llu bbernocculu che tt’è spuntatu su ppe’ la capoccia. paolo.casali48@alice.it
Celebrato in tutte le grandi e piccole città d’Italia con spettacoli, rievocazioni storiche di eventi, battaglie e personaggi risorgimentali, sta per concludersi l’anno del centocinquantesimo dell’Unità della nostra nazione. Ma il 1861 fu un anno particolarmente prolifico anche in campo astronomico: innanzitutto, visto che parliamo dell’Italia, vanno ricordati i due asteroidi Ausonia ed Esperia, scoperti da due grandi astronomi italiani rispettivamente a Napoli La cometa Tebbutt in una illustrazione di e Milano (e l’ubicazione delle due città sembra Edmund Weiß (1837-1917), studioso di comete quasi voler sottolineare l’unità). Il 10 febbraio 1861, e direttore dell’osservatorio di Vienna all’Osservatorio astronomico di Capodimonte (Napoli), Annibale De Gasparis scoprì l’asteroide (o pianetino) Ausonia non senza difficoltà, come egli stesso asserisce nelle memorie con cui comunica la scoperta: … concludo col dichiarare che devo attribuire la scoperta di questo nuovo ospite celeste … all’affettuosa gentilezza del Ch.mo Barone Plana, che ha messo a mia disposizione l’Osservatorio e fornitomi tutti i mezzi necessari … averlo, direi quasi, riscoperto dopo la lunga interruzione di quindici giorni a cagione del continuo cattivo tempo. L’apparenza è quella di una stellina di decima grandezza. Ausonia, nel latino arcaico, era l’antico nome dell’Italia centrale e meridionale, esteso in seguito a identificare tutta l’Italia. Il 26 aprile di quello stesso anno, a Milano, presso l’Osservatorio Astronomico di Brera, un altro grande astronomo, Giovanni Schiaparelli, scopriva il pianetino Esperia (il nome col quale gli antichi greci identificavano l’Italia). Così scriveva un giornale dell’epoca circa la scoperta: … mentre si prestava ad osservare il pianeta Ausonia, scoprì un altro pianeta finora incognito, e che appartiene alla classe numerosa di quei piccoli astri che descrivono intorno al sole le loro orbite comprese fra quelle di Marte e di Giove. Esso è situato nella costellazione del Leone non molto lontano da Saturno, ed è molto difficile a vedersi, non essendo la sua apparenza per nulla diversa da quella di una stella della undicesima grandezza. Il nome Esperia fu dato in omaggio all’unità d’Italia, avvenuta poco più di un mese prima, il 17 marzo. L’11 novembre 1861 avvenne un altro rilevante evento astronomico: il transito di Mercurio sul Sole, che fu osservato da tutti i più importanti Osservatori d’Italia. Ma in quell’anno la scoperta che ebbe più risonanza a livello mondiale fu la scoperta di una grande cometa, conosciuta come C/1861 J1, o cometa di Tebbutt, o anche semplicemente la grande cometa del 1861, scoperta il 13 maggio da John Tebbutt, un giovane agricoltore australiano, il quale pochi giorni dopo scrisse al giornale the Sydney Morning Herald una lettera che venne pubblicata il 25 maggio: … mentre ero intento ad osservare il cielo con un piccolo telescopio la sera di lunedì 13 ultimo scorso, una stella nebulosa di quinta magnitudine circa posta nella costellazione Eridano ha attratto la mia attenzione … constatando che nel catalogo di Lacaille non c’erano stelle nebulose in quella stessa posizione, ho immediatamente ipotizzato che doveva essere una cometa … ho comunicato la scoperta a Mr. Scott, dell’Osservatorio di Sidney, il quale, non ho dubbi, è riuscito ad effettuare alcune osservazioni dell’oggetto. In Europa fu visibile solo alla fine del mese di giugno, ma destò lo stesso scalpore. In Gran Bretagna venne così descritta: Poche comete hanno suscitato una maggiore sensazione della Grande Cometa del 1861. È stata scoperta dal Sig. J. Tebbutt, un osservatore dilettante nel New South Wales, il 13 maggio, prima del suo passaggio al perielio, che ha avuto luogo l’11 giugno. Passando dal sud del mondo nel nord divenne visibile in questo paese (Inghilterra) il 29 giugno, anche se fu vista solo la sera successiva. La cometa ha un lungo periodo di 408 anni, il che significa che riapparirà nei nostri cieli solo nel 2269, ovvero qualche anno dopo che si saranno svolti i festeggiamenti per i quattrocento anni dell’Unità d’Italia!. . . f o r s e . . . Fiorella Isoardi Valentini
Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osse r vaz ioni pe r il gior no ve ne r dì 2 5 N o v e m bre 2 0 11 Con la Luna sotto l’orizzonte abbiamo l’occasione di osservare oggetti deboli ed estesi, come galassie e nebulose. Punteremo quindi la famosa Galassia del Triangolo (M33) di pochi gradi sotto la Galassia di Andromeda e la nebulosa planetaria NGC 1514 nella costellazione di Perseo. Non mancheremo di osservare Giove che in questo mese è nelle migliori condizioni di osservabilità. A seguire ci spingeremo ancora più lontani nel sistema solare (2.85 miliardi di Km di distanza): ingrandendo un piccolo puntino luminoso apparirà un dischettino verde/celeste: Urano! Come al solito, osservazioni ad occhio nudo della volta celeste e dimostrazioni al computer. TS
ASTROrime... Vega Stella alfa della Lira… (costellazione) bianco azzurro il suo colore… e nel cielo la si ammira anche per il suo splendore. Questa “aquila in picchiata” (al-Nasr al-Waki) neo polare… lei sarà (fra 11.500 a) ma si dice… lo sia stata (per la precessione) certo pure… in vetustà. (14.300 anni fa)
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