C a r i a t i d i
Giampiero Raspetti
N° 8 - Ottobre 2007 (48)
Adoro, come tutti, la politica. Disprezzo, come molti, chi l’ha ridotta a incapacità, privilegio, corruzione. L’editoriale di ottobre non trae, come il precedente, ispirazione dalla chambre DeMaistriana, ma dalla grotta cumana ove incappo in vaticini inquietanti sul futuro della politica: 4 formazioni, vecchie quanto il cucco, di identico peso elettorale, il 22,9%, fedelissime al mai abbandonato ordinamento, quello della prima repubblica. Le denoterò D, O, O’, S con D ed S alle estremità, D alle colonne d’Ercole, S all’altro confine, posto da Alessandro Magno nella terra degli Indi. Per questi praticoni di lungo corso la Terra è infatti sempre piatta; la geometria esclusivamente euclidea, l’asse di riferimento cartesiano, delle ascisse (+ o -, credito o debito... bene o male). L’universo ha un solo centro e questo è, c’è da dirlo?, il nostro pianeta, che, a sua volta, ha un unico centro (... dalle parti di Foligno). Chi è nel mezzo è protetto, benedetto, moderato, bello, intelligente, casto, pio, a una spanna dalla santità, vive come un pascià e a piedi caldi se ne sta. Gli altri? Bruttini e cattivelli, sono gli opposti, e gli opposti si toccano, ad infinitum o nell’utopia, terra di nessuno, durante le calende greche in particolare! La gente per bene non può che andare al centro (in medio stat virtus... o… virus, non ricordo bene), non vorrà mica confondersi con gli estremisti, che sono, come dice la parola, capaci di gesti estremi! Le 4 formazioni, con forte piglio, riproporranno ritualità allarmanti e stantie, parate di natura varia, e, über alles, la veneranda politica assiale. Già Malcom X diceva, molto propriamente, che da uova di gallina nascono galline, non oche! Ed anche diverse galline idiote, aggiungerei. La politica nuova deve essere, alfine, assiologica, dei valori condivisi cioè, quella che seppellisce bizantinismi su centro geografico e difesa di interessi personali o corporativi, la politica ove si respira dignità, trionfa il senso della responsabilità personale ed intensissimi sono i sentimenti di solidarietà umana. Speranze e comportamenti diversi, anche opposti, determinano due chiare e divergenti visioni sociali e quindi una vera, matura politica bipolare! Da una parte fedina penale e coscienza immacolate, dall’altra i rimanenti; laici oppure confessionali; chi accetta solo quello che può guadagnarsi onestamente e con le sole proprie forze o i cultori di privilegi, i servi; da una parte la tunica lacera e polverosa di Gesù, dall’altra l’ostentazione di lusso e lussuria di alcuni sedicenti seguaci; in un polo chi incessantemente ed umilmente si impegna, come Cristo dettò in modo inequivocabile, a favore degli umili (Gino Strada, Don Luigi Ciotti e tantissimi altri uomini veri), nell’altro chi scodinzola ai ricchi, comunque lo siano, purché potenti. Nella politica assiologica le attuali cariatidi politiche, quelle che per esalare il loro debole pensiero sanno solo sparlare degli altri, non esistono, figure senza senso. Hanno solo saputo portare corruzione, mafie e privilegi super omnia. Il vero bipolarismo è nei valori, nelle verità accertate, non nelle chiacchiere, nelle offese, nelle facce di bronzo. Non è bipolarismo quello delle armate schierate a destra o a sinistra, intente a stringere al centro per camuffarsi da moderate, ma che, nella realtà, operano in modo spudoratamente estremo. O e O’ saranno di certo centrali rispetto a D e ad S e stabilmente piantati a Roma, città eterna. Si rabbrividisca pure al pensiero che taluni, nella attuale barbarie politica, vorrebbero collocare la capitale d’Italia e del mondo intero (Roma, caput mundi) nel paesino, magari, che dette i natali al Sig. Borghezio! Esco dalla grotta e rabbrividisco davvero: i 4 raggruppamenti sono identici a quelli di prima, anzi più sono uguali e più sono potenti! Il centro O è il centro assoluto e quindi il buco nero, il grande risucchiatore. All’inizio, però, insieme all’altro centrino O’ non supera il 50%. Sappiamo allora tutti come riandrà a finire. Assisteremo di nuovo a fasti norcini-negromanti della città di San Benedetto, vicinissima a Foligno. Che fare? Andrò, Guerriero Sfinito, sul Lago di Pilato, sotto la cima del Vettore, per lavarmene definitivamente le mani o farò visita, Guerrin Meschino, ad Alcina, esperta di magia nera, nella vicinissima grotta delle fate, sul Monte Sibilla, per continuare a sperare nella Politica?
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L e t t e r a a u n a p r o f e s s o r e s s a , A . Melas ecch e E v e n t i a l G a n d h i d i N a r n i , G. At an as i D i r i t t i u m a n i , M. R i cci U n a m o b i l i t à s o s t e n i b i l e , J . D ’ A nd ria U n l i b r o s f i z i o s o , B. Ratini S l o g a n , P. F a b b ri C o g i t o , e r g o s u m , C . Ma n t i l a cci U n d i b a t t i t o i n f i n i t o , A . R o sci n i L a f e s t a n o n è q u i , F. P a t ri zi S e s s o e p i a c e r e , C . C a rd i n a l i P o l i s , F. Ma si n i Vi g n e t t e , J . D a n i el i
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Scuola elementare , a cura di S. Raspetti LICEI Scuola media, a cura di P. Giani
L a P r o v i n c i a d i Te r n i p e r l ’ i s t r u z i o n e : ISTITUTI SUPERIORI Daniele Di Deodato U n b a r a t t o l o d i l a t t a , G. R i t o Circuito dell’acciaio OSPEDALE DI TERNI Te r n i , l a f a v o l a : F U C AT , a cura di G. Raspetti Dalla A alla V , F. M. B i l o t t i L’ A g e n d a TA FA Z Z I ! , F. M. B i l o t t i
PROFILICENTROCUCINE PROFILIARREDAMENTI
Tra di noi I NCI VI L I Che paese è quello che abbandona delle disperate nelle grinfie di immonde bestie, le confina lungo le strade, tra i rifiuti, accanto a divani e materassi bisunti, a fianco di rottami di lavatrici e di frigoriferi? Un paese civile abolisce radicalmente tali pubbliche oscenità. Riusciremo a far sì che tutti abbiano dignità lavorativa e libertà di scelta? A VOLT E ... A volte ho l’impressione che ci impietocisca di più il carnefice, le sue insanità, la sua dolorosa infanzia, piuttosto che l’atroce sorte della vittima e il dolore che perennemente strazierà la sua famiglia. GI UST I Z I A I neonazisti esaltano Dacau. Accontentiamoli, ospitiamoli lì. Lentamente svaniranno i loro bollori.
Lettera a una professoressa A Barbiana si leggeva il giornale. Tutte le mattine. Era materia di studio. A un certo punto leggere la prima pagina d’un giornale (quella che prima saltavamo sempre) diventò troppo meglio che leggere quelle dello sport (che prima erano state la nostra unica lettura), ricorda uno degli allievi, era la lingua insomma, quella di cui ci aveva parlato tante volte don Lorenzo, la famosa chiave per tutti gli usci, come diceva lui. Questo mese sento il dovere di richiamare l’attenzione sull’eliminazione fisica, è proprio il caso di dirlo, quasi totale, dell’archivio storico dell’emeroteca presso la Biblioteca Comunale di Terni. Da qualche settimana, ogni studente, ricercatore, cittadino si deve recare a Perugia o fuori regione, perdere mezza giornata e sobbarcarsi le relative spese, per consultare un quotidiano stampato dal dopoguerra ad oggi. Pochissimi i periodici, e rari i giornali, che sono stati microfilmati, neppure il 5% del totale! Quaranta anni fa, nella Lettera a una professoressa i ragazzi di Don Milani, proprio loro, più deboli, meno istruiti, illustravano la fondamentale importanza della scuola, dello studio, della centralità della cultura e della persona. Possibile che un’intera classe dirigente, alfabetizzata, che si dice moderna, non si renda conto del pesante errore compiuto, ammesso che di errore si possa trattare, visto che si è deciso di conservare solo l’Unità, sin dal 1952, unico quotidiano, con La Repubblica, ammesso ad un trattamento privilegiato? La giustificazione è che si tratta dei più richiesti e quindi, d’ora in poi, tesi di laurea, ricerche, approfondimenti, vi si dovranno basare. E’ questo il sapere critico che si vorrebbe imporre ai più giovani? A parole li vogliamo liberi di
Dove trovare
capire e di giudicare, ma nei fatti c’è chi è convinto di poterli formare con un solo DNA. Quanti di noi si sono recati in emeroteca a recuperare una notizia, a leggere una storia? Con la lettura chiunque può maturare sensibilità ed arricchire il proprio patrimonio culturale e umano in un mondo complesso, la capacità di capire diventa essenziale. Per questo appare ingiusta la distruzione di un patrimonio accumulato nel corso dell’intera seconda metà del secolo scorso. Non si è tenuto in considerazione il lavoro altrui, dei professionisti della carta stampata, ma anche dei tanti dipendenti comunali che avevano riservato a quelle carte attenzioni e cure, peraltro si è bruciato il denaro pubblico, non poco, speso per trasferire e ricatalogare tutti i quotidiani da Palazzo Carrara alla nuova sede. Il mio appello è rivolto a tutti, perché il fatto non passi inosservato, affinché nella nostra città ognuno possa essere libero di pensare e ragionare con la propria coscienza e la propria sensibilità, possa leggere ciò che vuole, possa educare i propri figli non a valori imposti, ma liberi di crescere, ragionare, parlare ed agire in base alle proprie convinzioni maturate altrettanto liberamente. Il resto è solo grigiore e mediocrità, di qualsiasi colore politico si ammanti.
Il Centro Studi Gandhiani dell’Istituto Gandhi di Narni, in collaborazione con l’Ambasciata dell’India in Italia, ha organizzato, il 3 ottobre, al Teatro Comunale di Narni, la 8° Giornata gandhiana, momento di riflessione sulla figura e sull’opera del Mahatma, rivolto agli alunni delle ultime classi dell’Istituto ed al pubblico interessato. Il tema di questo anno è stato Gandhi, maestro di vita e di pensiero. Apprezzatissimo l’intervento del Prof. Giuliano Boccali, docente di Indologia all’Università di Milano, che ha trattato il tema: Gandhi e l’eredità della non violenza nel mondo contemporaneo. Ex alunni dell’Istituto hanno raccontato il viaggio effettuato lo scorso anno in India. E’ stato inoltre effettuata la premiazione del Concorso nazionale di poesia, giunto alla quarta edizione, che ha visto la partecipazione di numerosi ragazzi di tutta Italia e di alcune scuole indiane. La performance del laboratorio musicale dell’Istituto, diretta da Romano Quartucci e Cristina Luchetti, ha chiuso l’evento. La giornata gandhiana organizzata dal Centro Studi Gandhiani costituirà sempre, in un mondo dominato da guerre e violenza, un incitamento ad indirizzare la propria vita nella direzione dei princìpi di pace, tolleranza e non violenza. Prof. Gabriella Atanasi
alessia.melasecche@libero.it
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Iniziamo una rubrica che, in vista del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) intende far conoscere cosa sono i diritti umani, quali sono e le problematiche che comportano, tra cui, ad esempio, quella riguardante il loro valore universale. Essi sono un insieme di norme relative ai diritti dell’individuo, ma anche dei popoli, che dovrebbero essere valide per tutti e definite e tutelate da documenti internazionali quali Dichiarazioni, Patti e Convenzioni, stabiliti nell’ambito dell’ONU. I diritti non sono stati riconosciuti tutti insieme e nello stesso momento, ma si sono affermati lungo il cammino della storia. I primi ad affacciarsi sono stati quelli definiti appunto della prima generazione, legati all’affermarsi della borghesia e dello stato liberale, cioè di quello stato che è fondato sulla sovranità popolare e sulla dottrina del Giusnaturalismo, che ammetteva l’esistenza di diritti naturali che ogni individuo porta con sé dalla nascita come il diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà. Sono definiti diritti di libertà perché tutelano la libertà dell’individuo rispetto allo Stato. Storicamente si spiega come mai siano nati per primi dal momento che la borghesia che li sostiene
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Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni Redazione: Terni V. Carbonario 5, tel. 074459838 - fax 0744424827 Tipografia: Umbriagraf - Terni In collaborazione con l’Associazione Culturale Free Words
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Direttore
Michele Rito Liposi Giampiero Raspetti
R E D A Z I O N E Elettra Bertini, Pia Giani, Alessia Melasecche, Francesco Patrizi, Alberto Ratini, Beatrice Ratini, Adelaide Roscini, Albano Scalise.
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www.europarl.europa.eu combatte lo stato assoluto (1500-1700) che li negava e nel quale tutti i diritti erano di uno solo, il sovrano. Vengono definiti diritti civili e politici e, mentre lo stato liberale si afferma sempre più, ai diritti già detti si affiancano il diritto alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, il diritto di partecipazione alla vita dello stato attraverso i partiti politici, le organizzazioni sindacali, il diritto di voto. Successivamente si affermano i diritti detti di seconda generazione quando storicamente la democrazia e il socialismo (1800-1900) si fanno portatori dei cosiddetti diritti economici e sociali e culturali quali il diritto al lavoro, alla casa, alla assistenza sanitaria, alla protezione della maternità e dell’infanzia, all’istruzione. Fa parte di questa generazione il diritto per ogni popolo ad autodeterminarsi, cioè ad essere libero. Ancora nel 1900 si parla di diritti di terza generazione che sono diritti più collettivi, detti anche diritti di solidarietà quali il diritto allo sviluppo per ogni popolo, il diritto alla pace, il diritto ad un ambiente sano dal punto di vista ecologico, il diritto al controllo delle proprie risorse nazionali, il diritto di accesso al patrimonio comune dell’umanità. Infine oggi si sono individuati altri diritti di quarta generazione legati allo sviluppo delle società industriali e della scienza quali il diritto alla libertà informatica e il diritto alla integrità del proprio patrimonio genetico. Come si vede la scoperta di nuovi diritti è legata allo sviluppo della nostra società; non bisogna però mai dimenticare che ogni volta che si rivendica per sé un diritto, lo si deve ammettere anche per gli altri e dunque si afferma anche un dovere. Nella prossima puntata affronteremo il problema centrale della teoria dei diritti: i diritti umani sono universali, cioè validi per tutti, o sono invece solo il prodotto della cultura occidentale? Marcello Ricci
Una mobilità sostenibile
Mentre il XIX secolo è stato quello della Rivoluzione industriale, essenzialmente basata sullo sfruttamento del carbone, il XX secolo è stato senza alcun dubbio quello della mobilità e dell’utilizzo del petrolio e dei suoi derivati. In altre parole, il secolo dell’automobile e dei suoi propulsori a combustione interna. Del resto, la grande disponibilità del petrolio, la relativa semplicità dei processi di raffinazione e di produzione dei carburanti e la facilità della loro distribuzione globale hanno favorito la diffusione di automobili equipaggiate con motori di piccole dimensioni, di costo contenuto e con notevole autonomia. I motori a combustione interna sono così stati protagonisti della motorizzazione di massa dell’intero pianeta. Ma ora, all’alba del XXI secolo, l’ambiente e le limitate risorse della Terra chiedono il conto. Lo smog, il buco dell’ozono, l’effetto serra sono entrati a far parte del linguaggio comune e l’opinione pubblica avverte gli effetti di uno sviluppo energetico basato sullo sfruttamento di risorse non rinnovabili e sul deperimento della qualità dell’aria, del suolo e dell’acqua. Inoltre, le tensioni internazionali legate allo sfruttamento delle risorse petrolifere ancora disponibili hanno contribuito a far schizzare verso l’alto il prezzo del petrolio, che in questi giorni ha superato la soglia psicologica degli 80 $ al barile ed è ormai da anni oltre i 50 $ al barile. Certo, l’evoluzione tecnologica ha subito una brusca accelerazione dopo il primo shock petrolifero degli anni 70: le normative sulle emissioni introdotte nei vari mercati e la crescente consapevolezza delle problematiche ambientali e relative alla salute pubblica hanno prodotto propulsori più efficienti e determinato l’introduzione di sistemi di diagnosi di bordo e di abbattimento dei gas inquinanti rilasciati dagli scarichi dei veicoli a motore. E’ opinione diffusa che la soluzione maestra per minimizzare l’impatto ambientale dei mezzi di trasporto privati sia svecchiare il parco circolante, sostituendo le vecchie Euro 0 non catalizzate con le moderne e pulite Euro 4. Molti ricordano che un’automobile equipaggiata con un motore a combustione interna e conforme alle attuali normative anti-inquinamento consuma la metà ed inquina cento volte in meno rispetto ad una sua antenata di appena 30 anni fa, ed è in grado di realizzare prestazioni migliori. Ma gli stessi esperti omettono di ricordare che l’impatto ambientale delle automobili va considerato a livello globale: rispetto a 30 anni fa i veicoli a motore circolanti sono diventati 20 volte più numerosi e la percorrenza media di un’automobile attuale è 10 volte maggiore, ergo l’impatto ambientale delle auto su scala mondiale non è diminuito, bensì raddoppiato. E se oggi circolano sulla superficie del nostro amato pianeta oltre 700 milioni di veicoli, circa i due terzi dei quali in Europa e Nord America, si prevede che con gli attuali tassi di crescita di paesi emergenti come Cina, India, Russia e Brasile il parco circolante globale raggiungerà gli 1,2 miliardi entro il 2020. Come dire, la mobilità è destinata a diventare sempre più una delle questioni più cruciali, ed è chiaro che una mobilità sostenibile è condizione indispensabile perchè l’automobile ed in generale il trasporto privato possano continuare ad esistere così come li conosciamo oggi. Ing. Jacopo D’Andria
UN LIBRO S s fiz io s o L’italiano, lezioni semiserie di Beppe Severgnini è un libro che davvero posso dire di aver divorato. Con abbondante ironia, non fornisce un semplice manuale di regole, ma preziosi consigli e accorgimenti per utilizzare in modo più consapevole ed efficace la nostra lingua. Ricordare la ricchezza dei vocaboli tra cui potremmo scegliere, contrapposta allo abuso dei termini approssimativi che vanno tanto di moda; scolpire un testo facendo emergere quello che vogliamo dire o anche tenere a mente che tutto ciò che è superfluo in un discorso, non è solo inutile ma perfino dannoso, sono solo alcuni dei suggerimenti contenuti nel libro. E valgono per chiunque si trovi alle prese con la scrittura di un testo qualsiasi, fosse anche una semplice email. Leggendo il libro, mi è venuto in mente un parallelismo tra il linguaggio e la cucina: non è forse la tavola il luogo deputato per discutere, fin dal simposio greco? Come ognuno di noi combatte quotidianamente la sua piccola battaglia contro piatti monotoni, così dovrebbe farlo contro i discorsi piatti; alcuni sono capaci di esprimersi al meglio con ingredienti semplici, mentre altri credono che solo infarcendo un periodo con decine di subordinate potranno essere efficaci. Accumulazione è nemica di essenzialità perché spesso vanno in direzioni opposte: l’una a riempire vuoti, l’altra a valorizzare un pieno, e questo vale sia nel modo di scrivere, quanto in quello di cucinare. Un pesce naufrago nelle salse? Forse è poco fresco, e spesso troppo condimento nasconde l’intenzione di coprire, mascherare, distogliere: per esaltare un buon sapore può bastare un filo di olio - mi perdonino gli chef della novelle cousine! Così discorsi contorti, paroloni, termini specialistici fuori luogo dovrebbero subito accendere in noi un campanello d’allarme: forse l’intento non è quello di comunicare un’idea nel modo più efficace possibile, ma quello di nascondere sotto una mole di parole un vuoto di contenuti… Concludendo, che si legga o meno il libro, quello che penso sia importante è tenere a mente che la lingua italiana ci offre possibilità infinite di espressione da conoscere meglio e utilizzare in maniera efficace, completa e concisa, e che impegnarsi su questo fronte è davvero affascinante e divertente.
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Chissà, forse potrebbe bastare uno slogan. Un motto, un grido di battaglia, purché sonoro ed efficace, come La Fantasia al Potere del vetusto sessantotto. Però dovrebbe essere uno slogan di difesa e non d’attacco, quindi non vale riciclare motti cheguevariani come Hasta la Victoria Siempre, o addirittura il Credere Obbedire Combattere dei fasci di combattimento, se a qualcuno venisse mai la bellicosa voglia. Andrebbe alla perfezione il triplicemente ribadito Resistere resistere resistere di Francesco Saverio Borrelli; ma il guaio è che riciclare gli slogan è ancora più difficile che riciclare le battute, perché un motto si porta dietro non solo il suo significato, ma anche il marchio di fabbrica del suo autore, l’imprinting del momento storico di creazione, l’odore stesso della fazione politica che ne ha fatto bandiera. E invece noi, qui e adesso, non abbiamo nessuna fazione politica, nessuno schieramento, nessun santo in cielo da chiamare a proteggere quella fragile istituzione che ha un disperato bisogno di slogan (e magari fossero solo gli slogan, a mancare). Perché se della scuola nessun potente parla mai male, certo sta ben attento a non impegnarsi per farle del bene. Le prove di accesso all’università, quest’anno, sono salite agli onori della cronaca per evidenti imbrogli, raggiri, truffe e truffette. Ma in fondo il diminutivo è immeritato, se c’è chi è arrivato a pagare trentamila
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euro per superare la prova. Ma le prove d’accesso truccate, per quanto illuminate dai riflettori dei media, sono ben poca cosa di fronte a tutto il resto: ricercatori senza futuro, facoltà scientifiche senza iscritti, ricerca universitaria senza i fondi neanche per respirare. E scuole secondarie e primarie al fondo della classifica europea di rendimento, e il mestiere d’insegnante guardato dall’alto in basso da chiunque, e la poca fiducia nella scienza e nella cultura. Sì, detto così è un po’ qualunquista, è un po’ fare d’ogni erba un fascio, ma questo è un po’ causato dal fatto che lo sfacelo è davvero macroscopico. Le crepe sono da ogni parte: negli studenti che cercano il voto e non la preparazione, nei genitori pronti a lottare come furie contro il caro-libri ma che non rinuncerebbero mai allo zainetto firmato per i loro figli, nei professori depressi che si nascondono, nei giovani ricercatori costretti a scappare all’estero. Eppure, la scuola non è mai vera emergenza, per la politica: emergenza è nome che si coniuga sempre con la finanziaria, con le pensioni, qualche volta con la sanità: ma mai con la scuola. Eppure la scuola è, banalmente, il futuro della nazione. Per questo bisogna resistere, e magari trovare lo slogan adatto da urlare in giro, per ricordarlo a tutti. Per ricordare che non ha davvero senso preoccuparsi per il presente, se si lascia marcire il futuro. Piero Fabbri
Beatrice Ratini
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COG ITO , E RG O S U M
Cogito, ergo sum (Penso, quindi esisto). E’ la famosa locuzione del filosofo e matematico francese Cartesio (René Descartes, 1596-1650) per esprimere la certezza che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante. Anche se l’articolazione della sua speculazione partiva dal dubbio metodico per giungere alla scoperta di princìpi su cui basare la propria conoscenza, vorrei spendere alcune parole a sostegno di questo metodo che offre la possibilità di distinguere il vero dal falso anche nella vita di tutti i giorni. Ognuno, quindi, è sicuro di esistere in quanto è soggetto che dubita, cioè pensa. Ed è proprio questo che all’uomo moderno, molto spesso, manca: dubitare e, quindi, pensare. Se smettiamo di pensare, smettiamo anche di esistere. Forse pensano e, quindi, esistono quei giovani che si rifugiano nell’alcol o nelle droghe pesanti? Forse pensano e, quindi, esistono coloro che siedono ore ed ore davanti alla tv per seguire grandi fratelli, isole di più o meno famosi, pupone e cervelloni, le varie poste per te, i numerosi saranno famosi, gli innumerevoli giochi a premi? E perché, mi chiedo, le trasmissioni serie ed impegnative, quelle che stimolano i nostri neuroni, vanno in onda dopo le 23? Verrebbe da dire: ma allora lo fanno apposta! Con un fine specifico. Che potrebbe essere quello di mantenere il livello culturale ed il senso di partecipazione molto basso. Nella italica società sembra che tutto complotti affinché l’uomo non pensi. E la cosa avvilente è che anche i media si sono sintonizzati su questa lunghezza d’onda. Le notizie di cronaca che ci vengono propinate dall’inizio alla fine di ogni TG, i numerosi tabloid scandalistici che si occupano degli amori che sbocciano ed appassiscono nel giro di una notte, i modelli vincenti che ci vengono proposti (veline, calciatori, furbetti di quartiere ed affini, che guadagnano e bruciano milioni di euro in pochi anni), la politica urlata e fatta di dichiarazioni infamanti contro gli avversari, il perenne gusto dietrologo per ricercare motivazioni assurde ad ogni proposta innovativa, la
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mancanza di lungimiranza da parte della nostra classe politica, le reiterate riforme e controriforme che si susseguono ad ogni nuovo Governo, l’eccessivo lassismo nei confronti della microcriminalità (ora sembra siamo giunti ad una vera svolta), l’uso di alcol e di droghe pesanti da parte dei giovani: sono i sintomi di una malattia che si sta insinuando pericolosamente nei loro e nei nostri cervelli. Dobbiamo dire basta a tutto questo se vogliamo dare un segnale positivo d’inversione di tendenza e, soprattutto, se vogliamo che i giovani riacquistino fiducia in se stessi e si riapproprino di quel senso civico che hanno smarrito da tempo. In questa ottica ci corre l’obbligo di chiamare in causa la famiglia, la scuola, la politica, le Istituzioni. Dobbiamo scrollarci di dosso questa patina opaca che non ci lascia vedere più in là del nostro naso e che ci intrappola tessendo una rete invisibile che ingloba il nostro cervello, portandolo, come si usa dire, all’ammasso. Ogni uomo ed ogni donna sono, invece, portatori di una unicità irripetibile che deve essere svincolata da questa sorta di assedio cui siamo sottoposti giornalmente. Occorre ricostruire la nostra società su pilastri solidi, su valori inalienabili, dando nuova speranza alle giovani generazioni. Quanto è avvilente sentirsi dire tanto non c’é niente da fare: sono tutti uguali. Ridiamo speranza ai giovani, riconsegnando loro il diritto di dubitare e, quindi, di pensare in modo autonomo e costruttivo, coinvolgendoli in maniera diretta e non ricercando il loro assenso guidato dai soliti manipolatori. Torniamo a dubitare e, quindi, a pensare! Ma con il nostro cervello, uscendo anche fuori dal coro, in maniera originale e non becera. Non tiriamoci indietro! Affrontiamo la nostra vita, le nostre sfide, i nostri problemi con coraggio ed in nome di una società più giusta e rispettosa dei diritti di tutti. Facciamo in modo che la libertà, quella vera, non sia solo un’illusione. Claudia Mantilacci
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d ib a tti t o
La parità non si inventa da un giorno all’altro. Non è che una si sveglia al mattino incazzata come una belva e dice: oggi voglio essere paritaria, dopo di che incomincia, dal droghiere in poi, a dire che è uguale all’uomo. Mille anni di oppressione non si cancellano con un colpo di spugna anche perché l’oppressione mia ha voluto dire il privilegio e il potere dell’altro. Queste le parole di Emma Bonino nel 1977, trent’anni fa, nell’ambito di un dibattito con alcuni giovani ventenni. Il tema centrale è il ruolo che hanno le donne, nei partiti, ma inevitabilmente anche negli altri contesti. A pubblicarne le battute è un giornale giovanile, Doppiovù, alla pagina 14 del gennaio 77, sotto il titolo Non siamo gli angeli del ciclostile. Mi colpiscono senz’altro l’attualità evidente del tema e alcune affermazioni dirette e chiare fatte dalla Bonino che avrei proprio voluto sentirmi rivolgere oggi. Io mi ricordo la faccia masochista di alcuni gruppi in cui ho militato quando mi sentivo carica dei destini dell’umanità, senza aver mai preso in considerazione il destino mio, per cui tutto era fondamentale, compresa la rivoluzione in Angola. Però la rivoluzione contro mia madre non era fondamentale per nessuno e tanto meno per me perché non ne avevo coscienza. Anche io non mi ritrovavo in quella attività militante e una
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delle cose scoperte dalle femministe è far politica con allegria, il riso è rivoluzionario e la ricerca della felicità è rivoluzionaria. E’ proprio il finale di questo intervento, che può stupire per la semplicità, a non essere affatto scontato. Se ancora l’autonomia della donna e la sua incidenza in dibattiti sull’attualità o su qualsiasi altre questioni oggi non hanno ancora avuto il loro esploit, forse è proprio perché ogni donna non ha imparato a capire se stessa, la sua specificità e, semplicemente, ciò che le piace. Infatti Emma Bonino più avanti commenta: la rivoluzione reale e culturale che noi femministe stiamo cercando di fare è questa: io mi sento donna prima che radicale, semmai il fatto di essere radicale è stata un’acquisizione successiva. In precedenza affermava che la
f e s t a
Iniziare un articolo parlando del Darfur significa perdere la metà dei lettori prima della seconda riga, perciò cominceremo parlando di Steven Spielberg e di Mia Farrow. Niente scandali matrimoniali, questa volta. Il primo farà la regia delle Olimpiadi di Pechino, la seconda si è autoingaggiata come guastafeste. Cantare per la pace, per l’ambiente e per i diritti va molto di moda, non ha ricadute politiche, ma aiuta a formare l’opinione pubblica, soprattutto presso i più giovani (i quali si fidano più di una rockstar che di un premio Nobel!). Ma oltre a cantare per la pace, cosa
OLIMPIADI IN CINA? NO, GRAZIE!
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può fare di più pratico una star dello spettacolo? La storia che riportiamo è iniziata quando un piccolo sudanese è fuggito dal campo profughi. Approdato negli USA, ha proposto ad uno scrittore di raccontare la tragedia che aveva vissuto. Che non era il Darfuf, ma il genocidio precedente (e meno conosciuto). Lo scrittore ha però avvertito il giovane: anche se il nostro libro sarà un bestseller, non cambierà le cose nel tuo paese. Possibile, ha chiesto il ragazzo, che il mondo dello spettacolo e della cultura non possa fare niente? I due hanno chiesto allora aiuto a Mia Farrow. L’attrice, già ambasciatrice UNICEF, non ama perdersi dietro a concerti di beneficienza o sfilate di solidarietà. E infatti ha subito individuato il mezzo per arrivare al governo sudanese (per chi non lo sapesse, è il mandante del genocidio): la Cina. Il paese asiatico non è molto sensibile ai diritti umani, ma si sta costruendo un’immagine di nazione moderna (per questo ha ingaggiato Spielberg per le Olimpiadi). Ed è il maggior
vera scoperta delle femministe è stata l’autocoscienza. Infatti la donna che guarda dentro di sé riscopre la propria identità e la sua diversità rispetto ad alcuni stereotipi che le sono stati affidati e rispetto a valori acquisiti per tradizione. In ciò le può essere da maestra Simone de Beauvoir, che qui non viene mai citata, forse perchè sostenitrice inconsapevole di un femminismo dell’uguaglianza. Precedendo di qualche decennio questo dibattito, attraverso Il secondo sesso, la filosofa francese, convinta che donna non si nasce, ma si diventa, ha gettato solide basi da cui ancora non ci siamo evolute troppo. Pur facendosi sostenitrice di un’uguaglianza fondamentale di partenza tra i sessi, non avrebbe disdegnato affatto la valorizzazione libera del sentire e dell’essere specifica di ogni donna, sostenuta dalla Adelaide Roscini Bonino.
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acquirente di petrolio del Sudan. Mia Farrow ha chiesto a Spielberg di boicottare la Cina se questa continua a fare affari con un governo accusato di genocidio. Così la Cina, che sta organizzando il più grande spettacolo del mondo, per non perdere la faccia, ha dovuto chiedere ufficalmente al governo sudanese di sconfessare i guerriglieri da lui stesso armati. Una piccola cosa o forse una grande cosa. Staremo a vedere. Comunque il gesto di Spielberg ha gettato un ponte tra spettacolo e politica. Nel fatuo mondo dello spettacolo, la prassi efficace si gioca sull’esserci/non esserci, dissentire, non condividere. Esibirsi è sempre una festa gioiosa, ma se il messaggio che deve passare è l’indignazione e il rifiuto, non è il mezzo adatto. Non si può organizzare una festa, come fa Al Gore, per dire che il pianeta è minacciato dal clima impazzito. Come ha fatto Spielberg, meglio minacciare di rovinare la festa! Francesco Patrizi
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Eccoci ad una nuova tappa del viaggio intrapreso attraverso il sesso per giungere al piacere. Quanto contano i profumi, gli odori, la dolcezza o l’aggressività del tocco della mano/i, l’intensità dei baci e non ultima l’immaginazione……?? Da dove comincia poi, tutto questo? L’uomo deve partire sempre da se stesso: dunque, il prendersi cura di sé, il considerarsi piacevole, piacersi sono aspetti fondamentali. Essi si riferiscono alla sessualità come al modo in cui ognuno di noi sta (bene) con il proprio essere uomo o donna e con la propria parte femminile o maschile. L’Eros dev’essere primariamente una forma di autoinnamoramento: baciare l’altro immaginando di baciare le proprie labbra, per esempio. Si può provare a costruire la propria immagine di sé (nella propria mente e/o disegnandola) partendo dalla parte del corpo che più ci piace di noi stessi, e sviluppare così una seduttività più marcata e forte. L’Eros attiva l’immaginario e l’immaginazione, e da essi attinge. Non più spettatori della natura, diventiamo i soggetti del piacere che viviamo. La curiosità e la crescita interiore spingono l’uomo a poter vivere una profonda emozione del sesso solo nella conoscenza prolungata. Essa permette, nell’affetto tra due persone, di creare nuovi orizzonti che nessun rapporto fuggevole riesce mai ad offrire.
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L’erotismo riguarda i modi con cui vogliamo coinvolgere il nostro partner, i nostri comportamenti e stili sessuali preferiti. In esso prevalgono gli aspetti artistici del sesso: l’erotismo evidenzia una ricerca, un ideale, un’attività creatrice che lo collegano all’arte e lo qualificano come attività che implica la persona umana nella sua totalità. Deve quindi avere come premessa la disponibilità emozionale ad una relazione intima. L’erotismo diventa così un processo in base al quale i due sessi si osservano a fondo per capirsi e capire, devono identificarsi, assumere il ruolo dell’altro. Viene così sottolineata una forte componente mentale, un processo cognitivo che tenta di cogliere il diverso e il comune in ciascuno, al punto da consentire la fusione nel piacere ed il godimento del sentimento di unità che ne risulta. (a) - Cosa vogliamo dire all’altro/a? (b) - Cosa intendiamo comunicargli di noi? (c) - Cosa ci piacerebbe che sapesse di noi? Avete mai provato a meditare un abbraccio?!? E’ possibile abbracciare l’altro per dirgli (a): quanto ci teniamo a lui/lei; che amiamo stargli accanto; che desideriamo fare molte cose insieme; ecc… Allora scegliere quell’abbraccio che renda questo messaggio, che esprima ciò che è nella nostra intenzione dire all’altro/a.
Oppure, abbracciare per sentire cosa ci arriva, come è, lasciarsi imprimere dalle sensazioni ed emozioni che lo accompagnano. Possiamo decidere di fare qualcosa perché vogliamo che conosca un aspetto di noi stessi (b). E’ ovvio che ogni gesto parla della persona che lo fa; ma agirlo con la consapevolezza di ciò che vogliamo esso esprima può renderlo più incisivo, può donargli un significato maggiore. Innanzitutto, diventa così una scelta (attiva) che ci vede attori di quel che stiamo vivendo. E questo segna la differenza fra l’esperienza del dare come (una) scelta libera, e quella del cedere in (una) forma passiva. Se accedo alla prima esperienza posso poi giungere anche alla seconda, (e cedere) senza la paura di perdere qualcosa e/o di essere sopraffatto/a dal partner. In questo cammino, un soggetto si racconta all’altro (c), reciprocamente: fa sapere di sé che è disponibile all’incontro, che vuole e che sta imparando a fidarsi dell’altro, che intende farsi forza delle proprie paure ed affrontarle, costruendo insieme al partner un altro racconto che parla di sé in relazione all’altro, di sé e/con l’altro. White afferma che l’uomo non cambia mai in solitudine, ma ha sempre bisogno dell’altro che gli sia da stimolo. Si cambia solo e sempre in relazione agli altri. L’immaginario che riguarda il modo in cui vediamo noi stessi e gli altri condiziona quello in cui gli altri ci percepiscono. Ciascuno di noi trascorre la maggior parte del proprio tempo (24 ore!) con se stesso, più che con chiunque altro. Perciò, se questo me stesso è una compagnia piacevole (per me), con più probabilità lo sarà anche per gli altri. E se anche l’idea che ho dell’altro è positiva, allora questo pure concorrerà a far sì che più facilmente l’altro sia portato a contraccambiare con la medesima gradevolezza e piacere nella relazione. Claudia Cardinali Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in sessuologia clinica
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La parola politica etimologicamente dovrebbe significare bene di molti; durante il percorso storico dell’umanità si sono sviluppate correnti filosofiche che hanno generato ideologie mirate a raggiungere lo scopo insito in questo termine. Che significato ha oggi, e soprattutto per un giovane , questo concetto astratto per il quale tanti uomini e donne hanno lottato e sacrificato famiglia, affetti, la vita stessa? Nell’ultimo ventennio, sempre più caratterizzato dall’affermazione del singolo, ha più senso parlare di politica quando la parola stessa è divenuta sinonimo di arrivismo, imbrogli, connivenze e scandali? Con la caduta del muro di Berlino sono cadute anche le ultime ideologie o presunte tali, e, con il mercato globale, si è affermato un nuovo tipo di Ideologia McDonald, che è ovunque e nella quale mangi sempre e solo le stesse cose. Questa deformazione mentale ci è trasmessa soprattutto dai mass-media, i quali, ci offrono dei piatti già pronti, sapientemente confezionati, non consentendoci di avere una propria opinione. Eccoci qua, noi giovani, capaci di convocare un comitato di base solamente per decidere se fare una festa demenziale all’assemblea d’istituto o se guardare un film che di culturale ha ben poco. Gli ideali sono diventati degli abiti da indossare a seconda del fine che si vuole raggiungere: ecco ragazzi fare i neonazisti per tatuarsi svastiche e fare i picchiatori solo per il gusto di scaricare frustrazioni e rabbia sui più deboli, o altri che girano con
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la maglietta del Che per giustificare il fatto di fumare spinelli o per fare colpo sulle ragazze cui piace tanto il tipo politicamente impegnato a sinistra. La verità è che non esistono più le parole collettività, unione, collaborazione, partecipazione. Non un’associazione studentesca, non un dibattito politico, nessun obiettivo comune da perseguire, nessuna idea costruttiva su quali possano essere gli strumenti da utilizzare per realizzare i nostri progetti. Ed è colpa nostra? Solo in parte: il nostro qualunquismo è dovuto sia al fatto che siamo figli della generazione dei consumi, che ha consumato anche i propri ideali, sia al fatto che oggi la politica è diventata una non meglio definita professione che permette di apparire, di essere qualcuno che conta, di beneficiare di innumerevoli privilegi ed immunità che al comune mortale non sono permessi. Dobbiamo difenderci dalla nostra ignoranza, che spesso è usata come arma contro noi stessi, prima di tutto ritrovando il senso del nostro Io, e poi il senso del nostro Io in un gruppo, inteso come unione di persone che condividono gli stessi obiettivi, che sperano ancora in un mondo meno indifferente e corrotto, in una giustizia più equa, in un prossimo più solidale. Infine, ricordiamoci che, come sostiene Platone nella Repubblica: la giustizia esiste solo nell’alto dei cieli, ma questo non significa che dobbiamo rinunciare a cercarla anche sulla Terra. Francesco Masini
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w w w. l a p a g i n a . i n f o dal 2002 ad oggi 5
Il giorno 20 luglio 2007 Stefano Zavka ha raggiunto la cima del K2, la montagna delle montagne, il più difficile e affascinante colosso della catena Himalayana. Ambita da tutti gli alpinisti del mondo conta solamente 30 scalate italiane in 52 anni di storia di cui veramente pochissime senza ossigeno. Il K2, Chogori in lingua baltì che significa La grande montagna, non ha bisogno di presentazioni, è la seconda vetta più alta della terra con i suoi 8611m e di gran lunga la più difficile dal punto di vista tecnico. E’ situato nella catena montuosa del Karakorum in territorio pakistano. E’ anche chiamata La montagna degli italiani perché fu
una spedizione tutta italiana che riuscì, nel 1954, a portare sulla vetta due alpinisti: Lino Lacedelli ed Achille Compagnoni. Rappresenta il sogno di ogni alpinista, ma anche la più grande preoccupazione. E’ una montagna temibile ed allo stesso tempo affascinante. La via di salita seguita dalla spedizione è quella che, dal versante sud, risale lo Sperone degli Abruzzi. Il nome è dovuto a Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi che per primo, nel 1909, intraprese questo itinerario. Anche se è il più seguito per raggiungere la vetta del K2 e sebbene venga considerato come la via normale della montagna, questo percorso è
Fieri di te SEMPRE
Stefano con la scultura, dono del Comune di Terni, dell’artista Agapito Miniucchi per deporla sul K2.
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Stefano in vetta al K2 tutt’altro che semplice presentando tratti di roccia verticale e ripidi pendii di ghiaccio. Diversi passaggi chiave segnano i 3300 metri di dislivello dell’itinerario, che si sviluppa con un percorso molto esposto e battuto dai venti che incalzano fra il K2 e il Broad Peak. Il Campo Base è posto tra i 5000 e i 5050m sul ghiacciaio Godwin Austen. La via vera e propria comincia a 5300 metri, dove si lascia il ghiacciaio per attaccare lo Sperone. Con una prima parte di neve e terreno misto a tratti abbastanza ripida, si sale fino al campo I (6100m). Da qui una serie di ripidi pendii di misto portano fino alla base del difficile tratto di roccia verticale conosciuto come Camino Bill, dal quale si ha accesso al pendio su cui viene solitamente posto il campo II (6750m). Al di sopra del campo, la Piramide Nera rappresenta un altro impegnativo ostacolo, con rocce ripidissime che solo attorno ai 7700 metri perdono verticalità, lasciando spazio all’ampio plateau nevoso chiamato La Spalla, dove viene installato il campo III. L’inclinazione non eccessiva
del terreno consente un leggero recupero di energie fisiche e psichiche fino agli 8300 metri, dove inizia il tratto più difficile della salita: il famigerato Collo di Bottiglia, uno stretto e ripido corridoio ghiacciato che conduce sotto ad un immenso seracco da aggirare sulla sinistra con un delicatissimo traverso, oltre il quale si raggiungono i pendii finali e poi la vetta (8611m). La missione K2 Freedom 2007 ha riproposto il raggiungimento della vetta, senza l’ausilio supplementare di ossigeno, con una squadra del centro Italia a cui ha partecipato attivamente con tenacia e con impegno Stefano soprannominato dagli amici ZAZZA. Durante la fase più delicata della discesa Stefano, dopo
aver ceduto il passo ad un altro componente della spedizione, che era stato colpito da un principio di congelamento, veniva sorpreso da un’improvvisa e violentissima bufera, prima di arrivare al campo IV posto a 7.900 metri di quota. La guida alpina di Terni Stefano Zavka risulta così disperso da quel venerdì notte. Il giorno successivo, maledettamente, per una tormenta in quota scatenatasi senza remissione, tutti i componenti delle spedizioni sono stati costretti ad abbandonare il campo e lasciare in fuga la zona della morte. Resta solo il vuoto in quanti hanno trepidato, sperato e sognato con Stefano. A. e F. Borzini
A STEFANO La montagna, la tua grande passione, ti ha esaudito. Si è concessa ed ha permesso che raggiungessi la vetta. Coronando il sogno della vita. Il vento impetuoso e gelido forse un po’ geloso ed infido ha convinto la neve a trattenerti guarnendo con un fiore il bianco manto. Un dono sì importante, ma tanto costoso. A noi prigionieri del tempo che scorre logora e consola piace pensarti lassù vicino al cielo in compagnia della luna e delle stelle. Ogni stella che brillerà ai nostri occhi ci rispecchi sempre il tuo sorriso e rinnovi il ricordo della tua bella persona, di chi metaforicamente non s’arrende finché non è giunto in vetta di chi cerca con fatica la propria via e lotta a denti stretti ad ogni costo contro ogni avversità. L’Immensa Misericordia frutto del più grande Amore ti accolga e ti renda merito per la gloriosa impresa. Resterà negli occhi, di tanti amici, caro Stefano la tua arrampicata in piazza sulla facciata del vecchio palazzo comunale, ultimo saluto alla tua città.
A.B.
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
Scuola Elementare L ’ a r t e
Venire da lontano In un fazzoletto di terra ci stiamo tutti: bisogna stringerci è vero, siamo tanti, ma è confortante pensare che possiamo sostenerci, condividere pene e giubili, che gli eventi di alcuni coinvolgono tutti. La Natura ci unisce: smottamenti geologici, terremoti, alluvioni, cicloni... svanisce il letargo della quotidianità e si invia denaro, indumenti, farmaci; scompaiono così, dai nostri atavici condizionamenti, quegli occhi allungati, fessurine sul mondo, di gente lontana; quel colorito pigmentato, bruno, incipriato di melanina, che ha sgomentato per secoli orde di popoli che si sono autorizzati, solo per diversità di derma, a massacrare, a schiavizzare. E’ in questi casi che si risveglia in molti la compassione, sentimento impregnato di simbiosi emotiva: en-pathos, vivere, in noi, gli affanni, i patemi degli altri. Ma solo in pochi alberga, incontaminabile, il sentimento della con-vivenza. La disponibilità di inviare aiuti si può avere: tu sei là e là rimani. Altra cosa è l’accoglienza nel mio stesso rione, sullo stesso pianerottolo. Io non ti conosco, non conosco i tuoi pensieri, le tue usanze, le tue abitudini, non so comunicare con te perchè quei suoni brevi e squillanti che emetti mi riescono incomprensibili, non so prevedere i tuoi gesti, i tuoi intenti...
E’ la paura, la non conoscenza, che alimenta la diffidenza, che per le strade spinge a guardare di sottecchio, con artefatta noncuranza, l’altro che incroci, ma... lui, l’altro che incrocia te, è immerso, solo, senza la solidarietà della proprio gente, tra suoni di una lingua ignota che deve imparare in fretta per sopravvivere. Ancora una volta è la scuola, quell’ambiente di incontro che, da sempre, ha riunito intelligenze diverse e diverse personalità, ad accogliere anche le diverse culture. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di formare il gruppo per confrontarsi, per riempirsi di emozioni che rimangono più impresse delle nozioni, per sentirsi rassicurati dalla presenza dell’altro, che esso sia colorato o sbiadito, non importa. E il gioco ci rende uguali: la campana, la corda, il tiro a piattello, la corsa dei sacchi, acqua/fuoco, girotondo: giochi che hanno allietato l’infanzia di tanti di noi...e di tutti perchè rispondono al bisogno di movimento e di scoperta proprio dell’uomo: correre, saltare, saltellare, lanciare, cercare... A scuola si imbandisce proprio una grande tavola dove tutti sono invitati e ciascuno porta in essa la sua TERRA, quella parte di mondo che per situazioni climatiche, per credenze culturali, ha sviluppato non un modo diverso di essere, ma solo un modo diverso di apparire.
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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
PR O G E T TO IN TERCULTURALE Simona Bocaletti Istituto Comprensivo G. MARCONI a c ur a di
La mostra, allestita nel giugno 2007, è stata l’atto finale e visibile di un percorso educativo condotto l’intero anno scolastico per riflettere intorno ad una dimensione interculturale ormai dominante nella scuola per la presenza di alunni di varie nazionalità. Era necessario progettare delle azioni didattiche per realizzare una integrazione fondata sul rispetto delle diversità e la scoperta delle analogie tra culture diverse. Abbiamo visitato il mondo della favola, dei giochi, delle abitazioni, dell’abbigliamento, del cibo e della musica. La realizzazione del progetto è stata possibile per la collaborazione dei genitori e del CIDIS, intervenuto con alcuni mediatori culturali.
Sandra Raspetti
Il Borgo Servizi Società Cooperativa Sociale Iscritta all’ Albo Società Cooperative a Mutualità Prevalente n. A146384
A G E N ZIA T E R N I e RIETI Simone Grilli Via della Vittoria 30/a 05100 TERNI
TEL 337274808 FAX 0744421947 simonegrilli@virgilio.it
Sede Legale Via F.lli Cairoli, 24 - 06125 Perugia Tel. 075 51.45.100 Fax 075 500.45.84 mailbox@consorzioabn.it La Cooperativa Sociale ha per obiettivo generale quello di sviluppare l’occupazione sul territorio e, in particolare, l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, altrimenti escluse o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Principali servizi: Pulizie - Manutenzione Verde - Ristorazione - Facchinaggio - Installazione pannelli fotovoltaici.
La cooperativa impegna circa trecento lavoratori, un centinaio dei quali sono persone svantaggiate.
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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo
L I C E O
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S C I E N T I F I C NARNI O
La politica è oggi al centro dell’interesse dei mass-media e di buona parte della popolazione, ma è sufficiente guardare l’organico parlamentare per capire che coinvolge attivamente solo la fascia più adulta degli italiani. È da tanto che si parla di ringiovanire o svecchiare la politica, ma non c’è stata mai una svolta radicale in questa direzione, sia perché i politici si tengono bene strette le proprie poltrone, sia perché la maggior parte di noi giovani non ha mai cercato di ottenere veramente qualcosa. Dai sondaggi svolti si può notare che la stragrande maggioranza dei ragazzi ha interesse solamente per altri ambiti come lo sport; il 20% dei giovani è dedito all’associazionismo e solo il 4% è attivo in circoli politici; i giovani non si inteL I C E O
D O N AT E L L I
S C I E N T I F I C O
In una società controllata da una generazione politica che sta degenerando ogni giorno, che dimostra sempre più di essere falsa e corruttibile, che va sempre più spesso incontro a scandali, spesso clamorosi, dove si possono trovare delle soluzioni che portino a dei miglioramenti sensibili, su chi si deve far leva per la rinascita morale del mondo? Probabilmente, o forse obbligatoriamente, proprio su noi giovani, anche se la tendenza, specialmente in Italia, è quella di rimanere in politica fino alla veneranda età di sessant’anni, con dei soggetti che addirittura superano gli ottanta, basti guardare i Presidenti del Consiglio e i vari capi di partito, che inseriscono molto spesso nei propri progetti politici la parola giovani, senza poi rispettare concretamente tali progetti. D’altra parte anche i giovani hanno le loro colpe: la maggior parte delle persone arriva alla fatidica soglia della maggiore età (quindi arrivano al momento in cui possono esprimere la
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ressano di politica perché la ritengono un mondo difficile e ostile, di cui non si sentono parte integrante, la vedono come qualcosa di estraneo ai propri interessi. Il loro principale e a volte unico obiettivo è il divertimento. In verità la politica è importante e fondamentale, ma i giovani rischiano di lasciare il potere nelle mani delle solite persone che così possono fare e disfare a loro piacere. I vecchi molte volte non mostrano la volontà di concedere spazio, ma va anche detto che i giovani non hanno mai cercato di ottenere una grande visibilità, forse perché è sempre più facile criticare che prendere delle posizioni e agire di conseguenza. E’ però anche vero che in Italia i partiti offrono scarse possibilità di accesso ai giovani che spesso godono di poca considerazione. Per far fronte a questo problema si sono create formazioni giovanili di partito, ma il risultato non è sempre stato positivo. Crediamo però che i giovani prendendo parte a queste associazioni, assumendosi delle responsabilità, possano ottenere ruoli di maggior rilievo. Avere più spazio sarebbe quindi meno difficile perché anche i vecchi di fronte a questo auspicabile fenomeno, non potrebbero che
propria preferenza) completamente inesperte, senza alcun interesse all’attualità e, di conseguenza, alla politica. Il fenomeno può essere legato a vari fattori: vivere all’ombra dei genitori, per esempio, può portare alla non formazione di una propria personalità e quindi al disinteressamento totale nei confronti della realtà che non riguarda la propria persona. Altri credono che il mondo finisca là dove arriva il loro sguardo, cioè non solo ignorano, ma non vogliono nemmeno sapere ciò che accade più in là dei confini che essi stessi si pongono. Esiste, in ogni caso, una relativamente piccola parte dei giovani che si interessa al mondo della politica, che si impegna anche concretamente organizzando e partecipando a congressi, manifestazioni e vari eventi; queste persone sono veramente degne di rispetto perché si impegnano e si mettono in gioco per ciò in cui credono, siano loro di una qualunque coalizione politica, perché in ogni caso si esprimono in qualche modo e non lasciano che qualcuno decida per loro ma, al contrario, manifestano una propria volontà. Per diffondere l’interesse alla società politica si dovrebbe eliminare quella che è una legge scolastica non scritta: il non fare propaganda politica in classe. Ciò comporta il non
Indubbiamente sono finiti gli
favorirlo. Nella nostra città, Narni, è recentemente nata una formazione politica, la sinistra giovanile, a cui chi scrive ha aderito. Le iscrizioni sono andate sempre aumentando, dimostrando che, se si lascia spazio ai giovani, questi rispondono prontamente e attivamente. La nostra esperienza è stata e continua ad essere positiva, quindi la comune speranza è che nascano sempre più formazioni giovanili, per darci più spazio e permetterci di collaborare per fornire un nuovo volto alla politica. Anche se inizialmente può sembrare difficile, invitiamo i giovani a non vedere la politica come qualcosa di estraneo, ma ad avvicinarsi ad essa per rendersi conto che è un’attività importante, interessante, ma soprattutto alla loro portata. Solo così potremo dare un segnale di svolta e, finalmente, dare visibilità alle nostre idee! Yuri Nevi Francesco Giovannini
occuparsi della storia contemporanea (dalla seconda guerra mondiale in poi, per capirci) perché troppo vicina e riguardante in ogni caso la situazione attuale e quindi perché si teme di influenzare un gruppo di persone con il proprio punto di vista. Cosi facendo non si può cambiare la pigrizia e il disinteressamento giovanile: i giovani non hanno ancora capito che, anche se non si interessano alla politica, la politica sicuramente si interesserà di loro. VG Stefano Diomei Manuel Nardoni
Riposto l’eschimo e la sciarpa rossa, riposta la kefia, i giovani ripropongono, per la politica, un mix di abiti più versatili: giacca blu indossata sopra il jeans, magari rigorosamente firmato. Al posto della molotov portano con sé l’hipod. Certo è un’altra musica, più moderata, meno violenta, ma sicuramente vissuta in maniera
anni ’70, quando migliaia di giovani scendevano in piazza per far valere i propri ideali e questa cosa mi dispiace non poco, dato che, da giovane interessato alla politica, trovo tra i miei coetanei il disinteresse più totale. Il fatto che i giovani siano distanti dalla politica è un argomento trito e ritrito, però mi piacerebbe individuarne i motivi. Sicuramente la colpa più grande è da imputare alla classe politica, che, oltre a far di tutto per suscitare sfiducia tra la popolazione, giovane e non, da una quindicina d’anni sta prendendo una strada sempre più democratica e moderata, uccidendo lentamente la vecchia politica ideologica e scacciando i giovani ancora capaci di sognare; sono infatti dell’idea che non si possa parlare ad un ragazzo (o almeno non a me!) di compromesso, di mediazione e di larghe intese. Però non credo sia questo il motivo principale dell’allontanamento, non credo che sia colpa dei nostri parlamentari se la maggior parte dei miei coetanei rimane indifferente quando dentro le scuole un preside calpesta i loro diritti o quando vengono intossicati dalle emissioni degli inceneritori. La causa di questo disinteresse è da ricercare di più nel nostro tempo, nel finto benessere in cui più individuale e più distaccata senza volantini o accesi ideali non nella mischia dei cortei bensì isolati davanti allo schermo di un pc come spettatori distanti di ciò che avviene intorno a loro o nel mondo. E che dire dei colori? Il rosso ed il nero che un tempo infervoravano gli animi, al punto che la volante della polizia pattugliava le agitate assemblee studentesche nelle quali si finiva spesso alle mani per affermare ognuno le proprie idee, hanno ora lasciato il posto a colori più delicati, più sfumati. Le assemblee studentesche alcuni anni fa erano il momento di contrapposizione politica tra gli studenti, oggi sono quasi deserte e vengono utilizzate come un giorno aggiuntivo di vacanza in cui di tutto si parla fuorché di politica. Anche le università in un passato recente erano teatro di scontri tra opposte fazioni e, non di rado, la polizia disperdeva con i lacrimogeni i manifestanti. Sulla politica oggi, invece, i giudizi sono discordanti. Chi se ne occupa tramite neo associazioni - come la sinistra giovanile - e ne discute, 2-3 volte a settimana, a tavolino insieme agli altri membri; chi parla delle proprie opinioni in modo meno impegnato, qualsiasi sia il suo orientamento politico, chi assume posizioni estremistiche, cercando di imporle poi ad
tutti siamo avvolti e che ci ha drogato con cellulari, internet, reality e vestiti firmati. Non voglio passare per antitecnologico, non lo sono, però mi fa rabbia vedere che c’è gente la cui preoccupazione principale è avere l’ultimo modello della D&G e a cui, se una catastrofe ambientale o un crack finanziario mandassero a rotoli il paese non importerebbe nulla, salvo che questi non andassero a interrompere la trasmissione di Amici di Maria DeFilippi. Ma non voglio puntare troppo il dito e non voglio neanche fare il disfattista; conosco parecchi giovani che si danno da fare seriamente all’interno di associazioni e movimenti, c’è la Consulta Provinciale degli Studenti che a livello scolastico fa un bel lavoro, ci sono giovani che vogliono ancora cambiare qualcosa, che a modo loro fanno politica, giovani che però non si trovano con le varie logiche di partito e ne restano fuori. Forse allora non tutti i giovani sono così lontani dalla politica come sembra. Forse sarà dai movimenti e dalle associazioni che un giorno i giovani rifaranno propria la politica. Forse un giorno sentiremo di nuovo per le strade tuonare il grido: Lotta Continua sarà!! Io dal mio canto… lo spero. Daniele Giuliani IVA
altri, utilizzando spesso comportamenti violenti, oppure, ed è la maggior parte, chi non se ne occupa affatto, dicendo semplicemente: io non mi interesso di politica. Alcune volte invece qualcuno cerca di unire scuola (quello che ci interessa e ci accomuna tutti quanti) e politica, come, ad esempio, il Collettivo Studentesco. L’uso che attualmente si fa della politica è di strumentalizzare uno sciopero o un corteo come pretesto per fare un’assenza a scuola, senza conoscere, il più delle volte, la vera motivazione della manifestazione a cui abbiamo aderito. Come interpretare questo atteggiamento di disaffezione e disimpegno dei giovani verso la politica? Spesso dipende da superficialità, da scarso impegno ma anche da una diffusa e generalizzata crisi di un valore che un tempo era considerato ideale, mentre, in seguito, le vicende di cronaca hanno dimostrato essere oltremodo materiale. Sicuramente gli avvenimenti hanno ingenerato sfiducia e diffidenza verso gli attori della politica e questa sfiducia nei confronti dei politici si è ben presto allargata anche alla politica in quanto tale. Forse la trasparenza e l’onestà, nelle parole e nei fatti da parte dei politici, farà riavvicinare i giovani alla politica. Massimiliano Marziali VD
I O, G I O V A N E, E
L a s f i d u c i a n e i c o n f ro n t i d e l l a c l a s s e d i r i g e n t e p o r t a a l c ro l l o d e i v a l o r i p o l i t i c i I giovani e la politica: addio sintonia!
La nostra epoca sta indubbiamente vivendo un gravissimo momento di disorientamento per quanto riguarda il sistema valoriale di riferimento e, in particolar modo, i cosiddetti valori politici. La crisi della famiglia e della scuola in particolar modo pesano in modo drammatico sul mondo dei giovani italiani, del tutto privi di punti di riferimento, in balìa di una classe dirigente del tutto incapace a leggere questo mondo e, di conseguenza, a suo modo disorientata. Il mondo istituzionale appare allora sempre più distante nei confronti del giovane che rimane così inascoltato e, soprattutto, indifeso. Ne fa buon gioco della situazione il mondo della politica o della presunta tale, tenendo in
considerazione il significato etimologico del termine, che dovrebbe agire secondo il buon senso a favore dell’intera comunità ma che, facendo leva sulla più completa disinformazione e distacco dell’intera popolazione, agisce solo ed esclusivamente a proprio favore. La politica ormai non rientra più nel vocabolario del giovane italiano, parola che piuttosto da tempo si associa a insoddisfazione e insofferenza dovute all’incertezza in cui volge l’intera società, alla precarietà nel mondo del lavoro che essa ha portato nel nostro paese negli ultimi tempi, per non parlare della miriade di promesse non mantenute da parte di tutti gli schieramenti politici. Non si può pretendere che i giovani
Scorrendo i giornali, in questi
te ai tanti esempi di cattiva amministrazione, di abusi, di ingiustizie perpetrate da uomini politici (nella più totale impunità, per giunta) è legittimo indignarsi, ed è altrettanto legittimo il rifiuto netto e assoluto del sistema. Ma siamo noi che dobbiamo semmai attivarci per cambiarlo in meglio, e questo essen-
giorni, ci si accorge che si fa un gran parlare di politica e di antipolitica. Mi domando: ha senso la politica? Non è più onesta l’antipolitica? Riflettendoci, alla fine mi rispondo: noi, soprattutto noi giovani, non possiamo non essere politici. Certo, di frona nostra generazione non di L Lrado viene accusata di prestare troppa poca attenzione ai problemi della società e di partecipoco attivamente alla poliA pare tica. Ammesso che l’interesse è sicuramente diminuito rispetto a quello che potevano avere, anche solo i nostri genitori, poco più di trent’anni fa, tuttavia bisogna riconoscere che la colpa di questo distacco dalla politica non è attribuibile esclusivamente alla latitanza dei giovani dai partiti. L’entusiasmo e la passione che caratterizzano l’animo giovanile sono stati con il passare del tempo, dalle lotte studentesche del ’68 ad oggi, indirizzati verso obiettivi che presentavano una più immediata realizzazione, perchè inserirsi nell’ambito politico si è dimostrato sempre più complicato e poco stimolante. Bisogna sottolineare innanzitutto che l’approccio con il mondo della politica da parte dei giovani non viene agevolato, da una classe dominante, egemonica che non lascia spazio alle nuove leve e da un linguaggio poco comprensibile ai
più, costituito da termini complessi e tecnicismi, estraneo ad un pubblico giovanile. Inoltre non va sottovalutato che siamo sostanzialmente influenzati dalla delusione generale provocata da risultati sempre più scadenti, presentati come significativi solo da coloro che vi hanno lavorato. In questo modo la politica appare a noi come un qualcosa di astratto e molto lontano che poco rispecchia le cose in cui crediamo e che vorremmo vedere realizzate. Nostro malgrado ci troviamo ad impiegare il tempo in altre attività che oltre a coinvolgerci in modo produttivo offrono un più immediato riscontro. Questo stato di cose, questo scoraggiamento ci portano inevitabilmente ad accettare il più delle volte passivamente le decisioni o i provvedimenti presi per noi da qualcun altro, senza porci troppe domande e perdendo così l’opportunità e l’entusiasmo di poter influire positivamente su questioni che riguardano direttamente anche il nostro futuro. M. Laura Coricelli
si impegnino per realizzare la crescita di un mondo che non li attende e che non li considera affatto. Un mondo che dovrebbe fornire loro ideali da seguire, leader come bandiere dietro le quali lottare per i propri diritti, per le proprie libertà…. questo avveniva ai tempi dei loro genitori. Era il ’68, quando ancora nel mondo si credeva negli ideali;
zialmente per due ragioni. Innanzitutto perché, noi, per la nostra età, sentiamo forte il bisogno di vivere l’appartenenza, il confronto, il dibattito e la crescita attraverso la conoscenza e l’esperienza dell’altro, ed essendo quindi animali per eccellenza politi-
a quei tempi, il 24 aprile del 1971 per l’esattezza, circa 300mila ragazzi si riversarono per le strade di San Francisco e circa 700mila a Washington per manifestare contro la guerra in Vietnam. Si pensi che la più grande manifestazione avvenuta contro l’attuale guerra irachena è avvenuta il 24 settembre del 2005 e ha contato la partecipazione di 100mila persone. Nell’attuale scenario è, quindi, indubbiamente in atto un rapido mutamento negli interessi dei giovani volto sempre più all’isolamento nei confronti del mondo circostante. E’ in questa situazione che l’azione della politica dovrebbe essere guida, considerando i giovani come il futuro del nostro Paese, attuando nuove politiche giovanili per accreci, per natura, come direbbe Aristotele, ci sentiamo parte di un tutto, parte attiva, autenticamente coinvolta. In secondo luogo, perché sempre noi giovani dobbiamo lasciare ad altri il disfattismo: il futuro è nostro, e magari cadremo anche nelle illusioni, sicuramente proveremo lungo il nostro tragitto un inevitabipaese, pensano solo ai propri. Si parla tanto di una generale perdita di fiducia nella classe politica attuale. Come potrebbe essere altrimenti? Ormai non si può parlare più di politica come di quella capacità di ben governare e di affrontare i problemi della polis ma come di una macchina obsoleta ed incapace. Non si pensa più a costruire qualcosa, ma solo a demolire questo o quell’altro avversario; collaborazione e dialogo hanno perso il proprio significato e nell’immaginario collettivo la politica è più simile ad una piovra, mantenuta dai cittadini, che con i suoi tentacoli non fa altro che prendere incessantemente. E’ dai giovani, allora, che deve partire un nuovo input, una nuova forza capace di scuotere questo sistema ormai vecchio ed obsoleto, sono le nuove generazioni che hanno il compito di cambiare questo sistema e non è vero che la politica è qualcosa per i grandi, nonostante siamo abituati
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G. C . TA C I T O scere, o meglio, per far nascere nei giovani interesse nella politica, eliminando tutto ciò che fino ad ora li aveva allontanati da essa: gli scandali, l’opportunismo, i giochi di potere della classe politicante; ripartendo a questo punto dalle fondamenta: la famiglia, la scuola e il senso civile. Luca Medici IIIORD
le senso di sconforto, davanti al quale ci sentiremo impotenti, ma non sarà certo un mondo corrotto a fermare la nostra voglia di credere in un futuro da difendere. Noi, noi più che mai, abbiamo il diritto di essere realisti e di esigere quello che oggi appare impossibile. Luisa Borini
IIIAMS
L i c e i
a vedere raramente qualche illustre personaggio al di sotto dei 45 anni. La politica è cosa di tutti, bisogna comprendere che noi giovani, in prima persona, siamo parte integrante di questa società e abbiamo diritto di farci sentire. Se qualcosa non va bene, se vediamo ciò che non vorremo vedere, non si può delegare all’infinito ad altri l’onere delle nostre lamentele. Per poter far sì quindi che le nuove generazioni si riaccostino al mondo della politica è necessario semplificarlo poiché ormai è divenuto un ingarbugliato labirinto. Il filo di Arianna allora non può essere che la chiarezza, la semplicità e la limpidità.
P O Parlare di politica non è mai stato semplice, sia per la L varietà e complessità dell’argomento, sia a causa, incredibile ma vero, della mancanza di adeguati interlocutori. I Provate a domandare ad un ragazzo chi sia il ministro dell’interno o che cosa è il T Welfare e nella maggior parte dei casi avrete per risposta occhi sgranati o scrollate di capo. Dopo tanti anni di deluI sioni e promesse ci si inizia a stancare di tutti coloro che, invece di fare gli interessi del C Non sono più giovane, ma ho passato la vita a contatto con i giovani e lo ritengo un privilegio della professione di insegnante. Ho sempre invitato i miei alunni a di politica. Non solo ad informarsi, ma ad impegnarsi personalmente nelle attività di un partito o istituzionali, perché delegare e poi criticare non è un metodo corretto. Oggi, con rammarico, sconsiglio ad un giovane di occuparsi di politica: dopo averla sfiorata per alcuni anni, ritengo che l’attuale classe dirigente priva di valori A occuparsi e di ideali l’abbia resa immorale e antieducativa. Le continue inquisizioni di ogni frangia di potere a tutti i livelli ne sono una triste conferma. Giulia Minucci
Matteo Crasti VE
Immorale perché abitua a simulare e dissimulare: troppi politici presentano quello che è in realtà un vantaggio personale come un vantaggio per la città o il Paese, a volte le due cose coincidono, più spesso no, allora mi chiedo sempre, di fronte ad una scelta politica cui prodest? e tutto diventa chiaro. Abitua all’ipocrisia: in tale ambito dire la verità o quel che si pensa è rischioso, meglio dire solo ciò che conviene. Antieducativo perché in questo ambiente si vive tra sospetti e slealtà, è ingenuo fidarsi dei colleghi: mors tua vita mea o se più vi piace homo homini lupus. La maggior parte dei dirigenti di un partito non ama le critiche, chi le fa prima o poi subisce ritorsioni, ma, senza autocritica, come si cresce? I partiti strumentalizzano i giovani: li fanno lavorare e poi li ignorano. Vedo il male diffuso in tutto il corpo politico; non voglio cavalcare il vento dell’antipolitica, che ritengo pericoloso e strumentale (per il discorso del cui prodest), ma è urgente e necessario cambiare realmente rotta. Prof.ssa Gabriella Silvestri
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Istituto Comprensivo Statale
S c u o l e m e d i e
Giovanni XXIII Torniamo a scuola. Quella scuola che ha ancora, per noi, lo stesso significato attribuitole dagli antichi greci: riposo, tempo libero. Il luogo ove chi ha tempo e fortuna attende al potenziamento della sua mente; l’istituzione in cui il giovane si dota di una personale ed autonoma mappa culturale, ove si fabbrica una delle più affascinanti avventure che pensiero conosca. Torniamo a scuola per riconsegnare il testimone, per porgere un microfono quindi una opportuna visibilità ed una appropriata risonanza a chi si impegna per la cultura, credendoci, come i Presidi e gli Insegnanti che, disponendo di un prezioso bagaglio culturale ed intellettivo, apportano grandi benefici alla civiltà del tessuto umano che oggi viviamo... Così scrive il prof. Giampiero Raspetti, direttore del mensile La Pagina che, dallo scorso aprile, ci ospita con uno spazio che viviamo con sempre maggior entusiasmo. Non posso che condividere il suo pensiero, consapevole che anche così si possa contribuire alla crescita ed alla autodeterminazione dei nostri giovani. Colgo l’occasione, in qualità di capo d’Istituto, per porgere un sentito ringraziamento sia al direttore del giornale che offre all’istituzione scolastica la possibilità di uscire dall’isolamento in cui si trova ormai da troppo tempo, che ai Docenti di questo Istituto che hanno saputo cogliere tale preziosa opportunità. Prof.ssa Annamaria Amici
COMENIUS DI SVILUPPO La scuola nella comunità, la comunità nella scuola l’onore e l’onere, in itinere, di illustrare ai lettori i contenuti ed i percorsi di lavoro. In questa sede mi piace - da docente - definire i contorni, come in una cornice, del perché di questo intreccio: Ambiente e cittadinanza europea. Il profilo di nuovo cittadino europeo è tutto inscritto nel futuro e l’Ambiente è dove questo futuro cittadino si troverà a vivere. Dobbiamo quindi a scuola far conoscere agli studenti non solo il passato ed il presente, ma dare loro le chiavi interpretative per discriminare i segni che oggi ci possono far immaginare quale sarà realisticamente lo scenario Ambiente dei prossimi anni. Non con alchimie magiche, letterarie, immaginifiche e catastrofiste, ma con gli occhiali della scienza, perché gli studenti di oggi, adulti cittadini nel domani, possano saper fare quelle I l t e m p o è a g l i s g o c c i o l i scelte di protezione e conservazione di se stessi e della natura che noi contemporanei stentiamo ad operare con determinata convinzione Se è vero, come è vero, che le politiche ambientali, per dirla con le parole di Maria Antonietta Della Torre in “Le ragioni morali dell’ambientalismo” N (libro semplice ed o e incisivo, la cui lettum ra è accessibile a i C tutti, acculturati e i u non) incidono su: c a) l’esistenza degli c i uomini nel futuro
In questa seconda annnualità del Progetto Comenius di Sviluppo, finalizzato Consumption alla promozione di un nuovo profilo di cittadino europeo, ci occuperemo di Ambiente. Saranno due gli ambiti di ricerca sui quali gli studenti produrranno materiali pubblicitari ed apriranno tra pari un confronto di dimensione europea: 1) il consumo alimentare strettamente legato alla conservazione della nostra salute e quindi, di conseguenza, alla prevenzione delle malattie, in particolare quelle cardiovascolari; 2) la tutela, il consumo ed il risparmio della risorsa acqua. Lasceremo agli studenti stessi Quality
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b) sulla loro identità c) sul loro genere di vita, allora ne consegue che da serie misure ambientali deriva un principio di giustizia rispetto agli uomini di domani, detentori del diritto a ricevere in eredità un ambiente idoneo alle loro esigenze. Occorre quindi far assumere al tema Ambiente, ed alla necessità di conservarlo, tutelarlo e non utilizzarlo oltre le sue capacità di carico, un VALORE ETICO, che orienti il processo di educazione delle giovani generazioni e che sia tale da riorientare da subito nell’oggi le scelte degli addetti ai lavori, sia tecnologiche, sia produttive, sia di conservazione del territorio e della nostra salute. Da questo nuovo valore etico dell’Ambiente deriva la necessità di un rapporto tra noi e la natura, che assuma l’Ambiente come diritto transgenerazionale: in quest’ottica il diritto all’Ambiente diventa diritto della persona, definibile anche in dimensione transnazionale, concorrendo quindi ad un nuovo profilo di cittadinanza sia per chi già oggi vive, sia per chi dovrà vivere domani. Anche questa sfida che ci viene avanti dal futuro va affrontata, combattuta e vinta: la scuola ancora una volta deve essere in prima fila per assolvere fino in fondo il ruolo che le spetta: dare conoscenze e concorrere alla formazione del cittadino del domani, un domani che vogliamo sia migliore dell’oggi. Prof.ssa Maria AntoniettaCrescentini
Coordinatrice del Progetto Comenius di Sviluppo
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Un po’ di storia - Primo gong
Le origini
Natura, sentimenti, emozioni. Nell’intreccio di questi elementi si rintracciano le origini della musica, della pittura e della danza. Ci riferiamo, dunque, a tempi remotissimi, dove la natura, elemento dominante fortemente emozionale tutta ancora da esplorare, era il palcoscenico dei sentimenti dell’uomo. Inizialmente quindi, prima ancora che sbocciasse qualcosa di simile ad una musica vera e propria, l’uomo osservava i suoni della natura: il fruscio del vento tra le foglie, il suo sibilo tra le canne e l’ululare tra le gole rocciose, il gocciolio della pioggia dai rami, il rombo assordante dei tuoni, i versi singolari e differenti degli animali. Tutto questo veniva interpretato come opera di spiriti, temuti, corteggiati nella paura di subire le loro forze oscure e misteriose. Erano queste forze a provocare non solo i grandi fenomeni come il sorgere del sole o la nascita degli uragani, ma anche la vita e la morte, il premio del cibo abbondante e la punizione delle sofferenze. Bisognava renderle amiche e favorevoli e il suono della voce e degli strumenti sembrò un modo molto efficace. Ancora oggi alcuni popoli primitivi credono che, dopo la morte, l’anima del defunto sopravviva come spirito che parla con i suoni della natura e che sa ascoltare. Tu sei cieco ma le tue orecchie non sono sorde: Ascoltami! Così cantava, sonagli alla mano, un vecchio capo della tribù africana dei Bakanghi sulla tomba di un famoso cacciatore. Gli oggetti di uso comune diventano strumenti musicali: la frombola (sasso fatto ruotare e scagliato) è la prima sirena; le mazze da guerra sono i primi battenti per la percussione di oggetti diversi; le canne con cui si costruiscono le campane diventano flauti; l’arco per le frecce diventa la prima corda vibrante, pizzicata e poi sfregata. Conchiglie, ciottoli, legnetti, noccioli inanellati fra loro a decorare collo, polsi e caviglie sono i primi strumenti che scandiscono le danze propiziatorie. Prof.ssa Pia
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ISTITUTI SUPERIORI La Provincia di Terni per l’istruzione
LE PRIORITA’ DELLA PROVINCIA: autonomia e riorganizzazione scolastica
La Provincia di Terni per l’istruzione
3 milioni di € per valorizzare il proprio patrimonio e 760 mila € a sostegno dell’autonomia scolastica
Tre milioni di euro per la realizzazione di opere strutturali e di straordinaria manutenzione e 760 mila euro per la sperimentazione di sistemi di potenziamento e sostegno dell’autonomia scolastica: questo il contributo concreto messo in campo dalla Provincia di Terni per migliorare la logistica e la sicurezza nei vari Istituti superiori di sua pertinenza. Nel corso di una recente riunione dell’Esecutivo è stato fatto il punto della situazione tenendo conto degli investimenti effettuati in questo settore. Dall’incontro è emerso che sono in corso di completamento i lavori edili ed impiantistici al F.Cesi per consentire il trasferimento, insieme all’ITC, del corso alberghiero dell’Istituto Casagrande. Sono inoltre stati acquistati i nuovi arredi per garantire l’avvio dell’attività didattica con la nuova strutturazione.
Presso l’ITIS Allevi sono stati eseguiti interventi strutturali per consentire ad alcune classi dell’Istituto Magistrale l’accesso ai locali del 2° piano, precedentemente occupati dagli studenti dell’indirizzo alberghiero del Casagrande. Per quanto riguarda il liceo scientifico R.Donatelli sono in via di ultimazione i lavori per l’utilizzo di alcune aule da parte del liceo scientifico G.Galilei, nonché per una migliore organizzazione dell’archivio. Al liceo classico G.C.Tacito sono in esecuzione i lavori di adeguamento alle norme di sicurezza, che non dovrebbero intralciare l’avvio del nuovo anno scolastico nel rispetto del cronoprogramma concordato con la direzione scolastica e con le soluzioni organizzative stabilite. Al liceo scientifico Majorana di Orvieto sono state eseguite opere di manutenzione ordinaria, mentre entro settembre
sarà consegnata la nuova palestra. Per quanto concerne invece l’Itis di Amelia, sempre entro settembre, prenderanno il via i lavori per la realizzazione del corpo scale e dell’ascensore, nonché per la sistemazione dell’area esterna. Nello stesso mese è prevista inoltre la consegna dei lavori per l’installazione dell’ascensore all’Itis di Terni, mentre per quello del Galilei i lavori sono già in corso. Per tutti questi interventi, come detto, è previsto un investimento complessivo di 3 mln €. Si tratta di un notevole sforzo che l’Amministrazione provinciale sta portando avanti per realizzare consistenti miglioramenti al patrimonio scolastico di sua competenza - afferma il Presidente della Provincia di Terni, Andrea Cavicchioli - attuando anche una significativa ottimizzazione della logistica che risponde alle attese di alcuni istituti. Gli investimenti complessivi - tiene a specificare - sono attuati dall’Amministrazione prevalentemente con fondi del proprio bilancio. Dei contributi a sostegno dell’autonomia scolastica è stata data notizia, invece, nel corso di una riunione del Tavolo provinciale di concertazione del sistema integrato per le politiche scolastiche in cui è stata operata una ricognizione generale sui problemi della scuola superiore nella nostra provincia e che, di fatto, ha rappresentato l’avvio della Conferenza provinciale sulla scuola.
Si è parlato, in particolare, di costituzione di distretti formativi per gli indirizzi tecnico-professionali e di assegnazione di budget (siamo in fase strettamente sperimentale) ai singoli istituti secondari. Presenti all’incontro il Presidente della Provincia di Terni, Andrea Cavicchioli, il Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, Nicola Rossi, l’Assessore provinciale alle politiche formative e scolastiche, Donatella Massarelli, gli Assessori all’Istruzione dei Comuni di Terni e Narni, Alida Nardini e Francesco De Rebotti, i Dirigenti scolastici degli Istituti superiori, rappresentanti del sindacato e delle associazioni di categoria. Numerosi gli argomenti trattati nel corso dell’incontro che presentava un nutrito ordine del giorno: linee guida della Conferenza provinciale; programmazione complessiva dell’attività scolastica; rapporto con l’università; formazione gestita da Regione e Provincia ed assetti logisticofinanziari. Nei vari interventi è stato rimarcato l’impegno ad operare secondo le linee guida della riforma scolastica secondaria, soprattutto nell’ottica di una ottimizzazione delle proposte educative, dell’istituzione di nuovi indirizzi e di una razionalizzazione di quello tecnico-professionale. La Provincia, sulla base di quanto già precedentemente stabilito fra tutti i soggetti interessati, ha ufficializzato l’erogazione ai Dirigenti scolastici di contributi per complessivi 760 mila euro,
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finalizzati alla sperimentazione di sistemi di potenziamento e sostegno dell’autonomia scolastica. Grande soddisfazione per il risultato raggiunto è stata espressa dall’Assessore Massarelli: Soprattutto - ha evidenziato - per la qualità del sistema formativo e di istruzione che si sta realizzando e che deve essere monitorato, tarato e migliorato progressivamente. Cogliendo l’occasione dell’avvio dell’anno scolastico, il Presidente Cavicchioli e la stessa Massarelli hanno formulato l’augurio di buon lavoro a tutti, confermando l’impegno dell’Amministrazione provinciale, per le materie di propria competenza, ad adottare concretamente il metodo della concertazione che ha già dato - hanno sottolineato - positivi risultati in merito a recenti decisioni adottate in tema di logistica e di programmazione generale. A cura dell’Ufficio Stampa
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Campionati Italiani Giovanili Finale 100 metri dorso cat. ragazzi
Daniele Di Deodato MEDAGLIA DI BRONZO
Il giovane nuotatore ternano, nato nel 1993, Daniele Di Deodato, molto conosciuto nell’ambiente natatorio umbro, ha conquistato il podio nella finale dei 100 metri dorso ai Campionati Italiani giovanili, disputatisi nel mese di agosto, presso il Foro Italico di Roma. Davvero magistrale la sua gara, preparata mentalmente in ogni particolare e condotta con determinazione e tenacia dalla prima all’ultima bracciata fino a realizzare il tempo di 1’.02.67 ad un solo decimo dal secondo classificato; un tempo che gli ha permesso anche di frantumare il precedente record regionale di categoria di 1’.03.16. Il risultato conseguito premia la volontà e l’impegno di questo bravissimo giovane che coniuga le sue eccellenti doti tecniche ad una accurata preparazione per la quale ogni giorno fa fronte a notevoli sacrifici, dovendosi dividere tra onerosi allenamenti e seri impegni di studio.
Bastava poco. Un barattolo di latta, abbandonato per strada dall’incuria della gente, rumoroso rotolava ai calci delle nostre corse spensierate. Bastava poco per festeggiare il sole, bastava poco per tramutare in oro il niente. Quante battaglie fra i vicoli e la piazza, la nostra guerra delle spade di legno! Lotte cruente, ma era un gioco, fino al calar del sole per affacciarsi poi verso l’azzurro, tutti noi insieme, per godere dell’ultime fiammate sulle onde. Rapiti sguardi, sinonimo di pace, da quell’incanto che non conosce l’odio, nell’onestà del gioco nessuno si schierò mai col nemico. Sul video il sangue di reciproche stragi arrossa le nostre serate e riporta alla mente il passato delle lotte fra bambini per le strade, ma era un gioco. Basterebbe poco per non odiare, ancora meno basterebbe per amare. Un barattolo vuoto per la strada. Giuseppe Rito
Ritorna...... il
CIRCUITO DELL’ACCIAIO 32 a ed izione - 14 ot t obre 2007 Puntuale come un orologio arriva, con l’inizio dell’autunno, l’ennesima edizione del Circuito dell’acciaio, una manifestazione sportiva organizzata al fine di stimolare i più pigri a lasciare in casa pantofole e poltrone per vivere una giornata all’aria aperta in scarpette tuta o calzoncini corti camminando, marciando o correndo secondo le proprie possibilità e grado di allenamento. Chi non l’ha mai provato non può capire il grande benessere psico-fisico che un salutare impegno sportivo può riservare ad ognuno di noi. Per questo il gruppo ternano, oltre ad organizzare queste domenicali iniziative popolari, si impegna per propagandare l’impegno fisico a tutti i livelli, consapevole del grande beneficio che arreca un responsabile impegno sportivo. Per il terzo anno consecutivo la manifestazione si lega gioiosamente ed affettuosamente con i Bersaglieri che saranno presenti in massa ma che soprattutto saranno presenti con la Fanfara della sezione di Viterbo che allieterà i tanti podisti che raggiungeranno Terni per l’occasione. L’edizione n° 32 (!) del Circuito dell’acciaio si svolgerà domenica 14 ottobre e sarà preceduta, sabato 13 ottobre, da un’iniziativa di accoglienza presso lo spazio multifunzionale di Via Irma Bandiera, messo gentilmente a disposizione dalla II Circoscrizione Cervino. Insomma, un bel progetto complessivo reso possibile dalla disponibilità delle Istituzioni locali: il Comune di Terni, la Provincia di Terni, la Regione Umbria, ma anche la Camera di Commercio e alcune attività commerciali della provincia che hanno creduto in un progetto che incide in maniera non trascurabile anche sulla crescita economica della città. Anche quest’anno al Circuito dell’acciaio, che è aperto anche agli atleti competitivi, si annunciano presenze di podisti provenienti da ogni parte d’Italia; una partecipazione che premia lo sforzo del gruppo organizzatore che ha messo in programma ben 14 categorie maschili e femminili con ricchi premi in natura che vogliono significare anche una partecipazione gioiosa in una gara con se stessi e con gli altri. Ma il gruppo organizzatore invita anche il cittadino della strada a prendere in seria considerazione l’opportunità lanciata dal Circuito dell’acciaio di partecipare a questa camminata che, partendo dal Campo Scuola Casagrande, si snoda verso Campomicciolo, Papigno e poi sulla Statale Valnerina, fino ad arrivare al Parco delle Cascate, per poi rientrare a Terni, sempre lungo la strada Valnerina.
VicoCatina 15/A - Terni ilconvivioterni@virgilio.it
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0744471180 Chiusura settimanale Domenica
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T erni
Dario Ottaviani, Dal Comune all’albero della Libertà Cronistoria di fatti ternani dal 1200 al 1700
Walter Mazzilli Le Vie e le Piazze di Terni
Terni 1974 - Società Arti Grafiche Nobili - Terni
Opera promossa dal Comune di Terni
Nel 1817 il diffondersi di una epidemia di tifo petecchiale induce il Comune a trasferire l’ospedale, dal fabbricato di S. Antonio abate al più isolato convento di S. Maria delle Grazie (cfr. Riccardo Gradassi Luzi, 1985: 333). A sua volta, nel 1832, la confraternita di San Nicandro, titolare del sodalizio lo trasferisce dai locali del convento delle Grazie al palazzo Mazzitelli, nell’area attualmente occupata dal parcheggio di Largo Manni. L’ing. Giuseppe Giannelli è incaricato di ristrutturare e ampliare la struttura che nel 1858 era pressoché al suo compimento, ampliata di altro braccio proteso al lato Sud mediante acquisto di alcuni caseggiati aderenti alla vecchia fabbrica (cfr. Riccardo Gradassi Luzi, 1985: 333). Nel 1943 l’edificio è lesionato dalle bombe. Nel dopoguerra e fino agli anni ‘60, il fabbricato è destinato ad alloggio per senza tetto e, infine, completamente demolito (Manuali per il territorio, 1980: 195). Così un altro pezzo della città antica è pag 155 stato cancellato!
Un lazzaretto a Le Grazie Dalle Cronache cittadine si ha notizia che nel 1657 fu aperto un lazzaretto presso il convento francescano delle Grazie, vicino alla chiesa di Santa Maria, sorta per profezia di San Bernardino da Siena su di un colle ricco di acque e di elci e che fu decorata da pittori come Giovanni Spagna, Nicolò Alunno, Benozzo Gozzoli e il Perugino. In questo sacro luogo dimorarono eremiti e pellegrini illustri insieme a penitenti e al Beato Barnaba Manassei, e, dopo il passaggio dell’intero edificio al Demanio, da qui scomparvero illustri dipinti unitamente a quelli rappresentanti gli stemmi delle famiglie “Nobili” di Terni. Poco dopo anche il convento di San Francesco nella città fu adibito ad ospedale mentre imperversava la peste che decimava quotidianamente vite umane e in quel frangente il vescovo diocesano mons. Sebastiano Gentili, seguito dal Capitolo della Cattedrale e da tutto il popolo, fiducioso della potenza della fede, salì con la reliquia del sangue di Cristo in cima alla torre dei Barbarasa e dall’alto di essa benedì la città. Un’iscrizione latina posta spontaneamente al lato della torre da Felice de’ Barbarasa ricorda ancor’oggi il fatto: SEBASTIANO GENTILI EPO INT QUI OBE PESTEM PUBBLICE GRASSANTEM EX AC BARBARASIORUM TURRI CRISTI SANGUINIIS RELIQUIAS CIVIBUS QUOS INTRA LARES OCCLUSIS RESTINGUENDAM OSTENDI XI KAL JULIAS A MDCLVII FOELIX BARBARASIUM PUBBLICI PRIVATIO BENEFICII pag 148 MONUMENTUM OBSEQUENTISSIMUS POSUIT
Dario Ottaviani, L’OTTOCENTO A TERNI (Parte II) - Società Arti Grafiche Nobili - Terni 1984
Nel 1863 l’Ospedale della città fu trasferito dal convento dei Minori Osservanti delle Grazie al Centro abitato in un edificio appositamente ripristinato, già di proprietà dell’estinta famiglia Mazzitelli, situato in prossimità della sponda destra del fiume Nera in un lembo estremo ad est della città al numero civico 34 dell’omonima via. Nei secoli successivi l’ospedale fu arricchito di altri legati e quando nel 1739 la Confraternita dei Disciplinati fu soppressa, i beni di essa e dell’Ospedale passarono alla Confraternita di San Nicandro detta anche “dei Nobili di Piazza”. Sembra anche che l’Ospedale degli infermi occupasse l’area dove in epoca successiva sorse l’anfiteatro Gazzoli e dove erano situati gli antichi fabbricati di Sant’Antonio Abate al centro della città. Nel 1810 durante l’occupazione francese l’Ospedale di Terni venne trasferito nel monastero di San Procolo, verso la porta del Tre Monumenti, nell’edificio dove fino a pochi anni orsono era la Caserma F. Brignone la cui area è al presente occupata dalle officine Fontana e dall’Istituto delle Suore Leonine, ma avvenuta la restaurazione del governo pontificio l’Ospedale fu nuovamente traslocato negli antichi locali di Sant’Antonio. Nel 1816 però l’Ospedale a causa di una epidemia di tifo petecchiale, propagandatosi dall’ospedale degli infermi, fu trasferito al Convento di Santa Maria delle Grazie fuori della Città, da dove, a causa della distanza dell’edificio dalla città venne trasferito al numero civico 34 della via dell’Ospedale in un vecchio edificio, posto fra viuzze e miserevoli casupole dell’antica città che lo soffocavano da ogni lato, ove ebbe la sua sua sede fino ai tempi del conflitto 1940-45 quando fu distrutto dalle bombe angloamericane. In ogni caso l’infelice ubicazione dell’Ospedale, insieme alle condizioni edilizie poco soddisfacenti, l’inadeguatezza dei più elementari servizi interni e soprattutto l’incremento della popolazione di Terni, fin dagli anni immediatamente successivi al suo impianto fecero pensare alla costruzione di un nuovo Ospedale civile il cui progetto “... il dottor Fabri e l’ing. Sabbieti hanno redatto e pubblicato di un nuovo ospedale a padiglioni, sul modello del Tempeloff di Berlino, che dovrebbe sorgere in prossimità della porta Garibaldi, appunto nei locali oggi occupati dall’Orfanotrofio maschile”. Per difetto di capitali l’iniziativa rimase sulla carta e la costruzione del nuovo Ospedale, dopo una sistemazione di fortuna nei locali del non più esistente convento dell’Annunziata, in zona porta Romana, dopo le distruzioni della guerra 1940-45 e dopo un secolo ha avuto la sua realizzazione in zona Colle Obito alla periferia della città nel 1970. Oggi di fronte al distrutto vecchio Ospedale in fondo alla via omonima è ancora l’edificio della suggestiva chiesetta di San Giuseppe, officiata dai Cappuccini, ove era un tempo venerata l’effige di Sant’Antonio Abate, e fino a pochi anni or sono, nella ricorrenza del Santo, il 17 gennaio, “nel cui chiassuolo i capi dei mulattieri, dei vetturali, e dei bifolchi ogni anno nel giorno della festa del Protettore portavano a benedire le bestie”. Essi avevano l’obbligo di lasciare tanta legna da ardere quanto era sufficiente per un annata al piccolo antico Ospedale, molti di noi ricordano davanti alla chiesetta la tradizionale sfilata degli animali parati a festa per la benedizione annuale in una atmosfera di allegria e folclore paesano nei pressi dei ruderi pag 29-30 della chiesina di Santo Onofrio accanto alle mura.
Fonti attendibili rivelano come la palma al centro del Giardino Miselli, in Via I Maggio, sia la stessa dei giardini interni all’ex Ospedale di Corso del Popolo. Non è però stato possibile accertare con documentazione.
Elia Rossi-Passavanti TERNI NELL’ETA’ MODERNA Stabilimento F. Damasso - Roma - MCMXXXIX - XVII EPIDEMIA - L’ OSPEDALE TRASFERITO AL CONVENTO DELLE GRAZIE ANNO 1817 d. Cr.
Infierendo in Terni una epidemia
A s s t e r A s s i s t e n z a
T e r n a n a
a s s i s t e n z a 24 o r e s u 24 in casa in ospedale assistenza infermieristica pulizie giornaliere grandi pulizie bagni e pedicure accompagnamento baby sitter dog sitter Centro residenziale per anziani V . l e B r i n , 1 1 3 - T e r n i con accoglienza giornaliera, 0 7 4 4 . 4 2 8 2 8 0 di fine ed intera settimana 3 4 8 . 0 4 1 4 7 1 6 Strada La Castagna, 15 - Terni
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di tifo petecchiale, per ordine del Governo, il Convento Francescano delle Grazie fu destinato provvisoriamente ad ospedale per tutti quelli che erano attaccati da quel morbo, con promessa che, cessato il pericolo, il Convento sarebbe stato restituito ai religiosi. L’ospedale vi fu trasferito in seguito all’ordine della Sacra Consulta del 7 agosto. Il 2 gennaio del seguente anno 1818 un Rescritto Pontificio, approvando il piano della Congregazione dei Vescovi e Regolari fissava definitivamente l’ospedale in questo convento e stabiliva la residenza dei frati delle Grazie nel piccolo Convento di S. Girolamo del Monumento. Ma dopo poco tempo, data la lontananza dalla Città, e le difficoltà per il trasporto degli infermi, l’Ospedale fu riportato entro l’abitato, ad oriente della città, in un fabbricato appartenuto anticamente alla estinta famiglia Mazzitelli. p 321
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U n o
s t a b i l i m e n t o
c h e
s f o r n a
G H I O T T O N E R I E i n
c o n t i n u a z i o n e
Visita interessante quella da noi fatta sotto la guida del Sig. Nello Giorgi, direttore e titolare dell’azienda. Visita interessante perchè ci ha dato un esempio concreto delle capacità di un piccolo industriale che, nel clima delle contraddizioni di una società, nella quale il monopolio soffoca ogni iniziativa e tende ad instaurare il regno del dispotismo più assoluto, riesce a farsi largo ed a
dalla Stazione Ferroviaria è invece un autentico vulcano in continua attività eruttiva di cioccolate e caramelle, plasmate dalle macchine, curate amorevolmente, incartate accuratamente, nel quadro confortato dall’igiene più scrupolosa, da una trentina di donne in grembiule bianco, serie, inesauribili per tutte le ghiottonerie che le circondano, ma inflessibili ed attente per quel che riguarda l’esecuzione del
meritare la fiducia della collettività per la quale ha saputo far qualcosa di buono. Al vederla dal di fuori la palazzina che ospita il piccolo complesso Fucat non sembra essere sede di una fabbrica, anche se si tratta di una fabbrica di cioccolate e caramelle la cui fama ha varcato i limiti della regione umbra. Bianca, con una scritta semplice sulla facciata anteriore, la palazzina sita in Via Curio Dentato a circa 200 metri
lavoro a loro affidato. La fabbrica in questi ultimi giorni ha visto completare il suo primo ciclo ricostruttivo: alcune macchine nuove, innovazioni varie hanno completato lo stesso ciclo iniziato sulle macerie lasciate dai bombardamenti... Nel reparto cioccolate il cacao attraverso un processo di lavorazione minuzioso e calcolato in ogni suo particolare si trasforma in tavolette di cioccolato, in gianduia, in
baci, che amorevolmente vengono poi incartati da pazienti e abili operaie. Nel reparto caramelle la più moderna tecnica ha ripudiato la lavorazione a mano e
viene poi tagliuzzato, sempre meccanicamente, in quelle parti che prendono il nome di caramelle. Poi al setaccio ed infine all’incartatrice.
circonda tutta la lavorazione che viene eseguita in questa fabbrica dove un gruppo di lavoratori e lavoratrici hanno trovato il modo di porre in risalto le capacità del popolo
riguardante l’avvolgimento del prodotto con la carta stagnola o con quelle similari. Qui tutto è meccanico. La pasta, immessa in una macchina che potrebbe essere chiamata treno...caramelle, si trasforma in un budello che
Da qui alle scatole, ai sacchetti, al magazzino spedizioni. Interessante, davvero interessante. E più importante ancora, oltre che interessante, ci è sembrata la constatazione da noi fatta in merito alla accuratezza che
lavoratore ternano, desideroso di contribuire allo sviluppo dell’economia nazionale. Paolo Grassi Da L’UNITA’ Cronaca di Terni Mercoledì 26 ottobre 1942
TL aE fRa vN I ola S ettimo brano della favola ternana. R iepilogo: Dicembre 2006
Acque e terre emerse Gennaio 2007
Chiare e dolci acque Febbraio 2007
L’acqua e le sue proprietà Marzo 2007
Interamna Aprile 2007
I primi forni Maggio 2007 GULLIVER: forno solidale Ottobre 2007 GR FUCAT
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D a l l a A a l l a V di F e r d i n a n d o M a r i a B i l o t t i Av v e r s a r i In politica, due uomini che si trovano sulle opposte estremità della medesima barca. Beneficienza - Una forma elegante di pubblicità. - Fare del bene donando denaro se si è poveri e sconosciuti o mettendo all’asta le proprie mutande se si è ricchi e famosi. Comunista Un uomo che si pone tutte le domande giuste e poi sbaglia sistematicamente nel darsi le risposte. Demagogo Un politico che preferisce seguire gli umori dei cittadini piuttosto che guidarne gli intelletti. Elettorato Non ha sempre ragione, ma a sua discolpa va detto che spesso viene chiamato a scegliere fra due torti. Fanatico Un uomo che crede in quello che dice. Giustizia Un accettabile compromesso fra la libertà e l’uguaglianza. Italia Un paese che poco si piace, ma assai si compiace; dove le leggi sbagliate non si cambiano, ma si aggirano; dove l’opposizione non protesta, ma insorge; in cui si confondono affari e politica, giustizia e politica, storia e politica, finanche sport e politica; dove le tragedie si potevano sempre evitare; dove gli intellettuali non costituiscono la crema della società, bensì la schiuma; che per i suoi problemi non cerca soluzioni, ma capri espiatori; dove ciascuno nega l’innocenza del proprio vicino, per meglio giustificare la colpevolezza propria; in cui non si vieta per impedire, ma soltanto per scoraggiare; dove si applaude ai funerali e si piange nei varietà televisivi; dove le autorità sono deboli con i forti e forti con i deboli che dovrebbero proteggere; dove se il bambino muore è colpa dell’ospedale e se
sopravvive merito d’un santo; in cui professori e studenti ragionano ancora su come costruire il socialismo, quando ancora non è riuscito ad affermarvisi il capitalismo; dove tutto è lecito, fuorché ciò ch’è legale; dove si considerano giovani politici che potrebbero definirsi, tutt’al più, giovanili; eccetera, eccetera, eccetera. Lobbista Un uomo che ha ragione da comprare. Moderatismo Malattia senile del comunismo. Neocomunista Soldato che senza avvedersi della smobilitazione del proprio esercito, impugnando un’arma scarica, si lancia all’assalto d’una fortezza ormai abbandonata dal nemico, per ottemperare agli ordini ricevuti da superiori defunti. Oratore Un uomo che pone la retorica al servizio della logica. O - più spesso - fa l’inverso. Politica - L’arte di sporcarsi le mani mantenendo pulita la propria coscienza. - Un continuo, precario compromesso tra ciò ch’è giusto e ciò ch’è necessario. Referendum Strumento che hanno a disposizione i politici per scoprire di quanto le proprie opinioni si scostino da quelle dei cittadini che si illudono di rappresentare. Sta t i s ta Politico capace d’anteporre una convinzione ad un sondaggio. To t a l i t a r i s m o Un sistema politico che pretende di conseguire il progresso per mezzo della barbarie. Utilitarismo L’egoismo della maggioranza. Vi n c o l o e s t e r n o Capro espiatorio sul quale i politici fanno ricadere la responsabilità del loro agire nell’interesse del paese, per scusarsene agli occhi dei cittadini.
L ’ a g e n d a
T a f a z z i !
Nostalgie veterooperaiste? Tentazioni pianificatrici? Niente paura! Cari amici democratici, ecco pronto per voi un prontuario di facile lettura, che vi consentirà di affrontare a grande velocità tutte le svolte della strada che deve condurre la Sinistra nel terzo millennio, senza venire sbalzati dal posto di guida o quanto meno senza vomitare troppo nel percorrerla. Garantito dai più rinomati editorialisti del Corriere della Sera!
Otto proposte di politica economica per un domani migliore 1 - Aprire i mercati alle merci
5 - Riformare il welfare state,
d’importazione. Non esiste prodotto fabbricato da un’azienda occidentale che una fabbrica cinese non sappia far peggio, ma pagando un decimo i propri dipendenti. Quanto alle probabili ripercussioni d’una simile strategia sul tessuto industriale nostrano, nessun timore: è assurdo affannarsi per scongiurare i processi di delocalizzazione, quando un operaio specializzato che perde il proprio lavoro può facilmente trovarne uno nuovo in un call-center o alla cassa d’un ipermercato. 2 - Liberalizzare i movimenti di capitale. È stupido preoccuparsi, come va di moda oggigiorno, della propensione di banche e società finanziarie ad imbarcarsi in speculazioni azzardate: è ovvio che esse non si comporterebbero in tal modo se non fossero più che sicure di poter contare, in caso di rovesci, su salvataggi di stato effettuati tramite robuste iniezioni di danaro pubblico. 3 - Rompere i monopoli pubblici. Non ha senso mantenere in piedi carrozzoni sperperatori e inefficienti per offrire elettricità, acqua o biglietti ferroviari a prezzi politici, quando la tutela dei diritti dei consumatori può essere molto più efficacemente garantita dalla concorrenza tra due o tre oligopolisti privati che si spartiscono i mercati liberalizzati. 4 - Ridurre il potere dei sindacati in materia di contratti. Oggi un costo del lavoro esageratamente alto scoraggia la creazione di nuova occupazione, costringendo tante famiglie a reggersi sullo stipendio d’un unico membro, quando con un drastico taglio ai salari si potrebbe consentire ad entrambi i coniugi, al figlio diciottenne e al nonno a carico di partecipare al processo produttivo, portando a casa un reddito complessivo neppure tanto inferiore a quello che prima garantiva il solo impiego del marito.
tagliando drasticamente gli interventi a pioggia di natura assistenziale per finanziare più incisive politiche di premiazione dei meritevoli. Non è chiara la ragione per cui il governo dovrebbe sforzarsi di migliorare le condizioni di vita dei ceti inferiori, perseguendo l’eguaglianza delle condizioni materiali, quando mediante una politica di eguaglianza delle opportunità può consentire a singoli suoi appartenenti di passare ad una classe sociale più elevata, lasciando parenti, amici ed ex compagni di scuola nella peste. 6 - Più flessibilità. Avere il posto garantito a vita non è davvero nell’interesse dei lavoratori: se non sei obbligato a cambiare mansione e ad imparare di nuovo tutto da capo almeno quattro volte nell’arco della tua vita lavorativa, arrivi ai 60 col cervello atrofizzato come quello d’un astronauta che ha fatto il viaggio per Marte senza portarsi niente da leggere (lo dimostra una ricerca effettuata da una corporate university statunitense). 7 - In pensione a 65 anni: è semplicemente assurdo che in Italia si vada in pensione a 50 anni, quando c’è tanta offerta di lavoro per le persone in età matura. Non tutti lo sanno, ma le grandi imprese italiane cercano disperatamente degli ultrasessantenni ricchi d’esperienza per rimpiazzare i cinquantenni di cui si liberano appena possono, ma non ne trovano perché i lavoratori che hanno posto in mobilità dieci anni addietro sono andati nel frattempo in pre-pensionamento. 8 - Promuovere lo sviluppo dei fondi pensione. Che senso ha mantenere in piedi un costoso sistema pensionistico pubblico, quando le società di gestione del risparmio non aspettano altro che di poter investire oculatamente e ad esclusivo beneficio dei lavoratori i loro sudati guadagni?
Per chiudere in letizia (rivolto ai lettori con tono professorale) …quanto al problema dell’identità politica del Partito Democratico, forse possiamo dare risposta al quesito ragionando per sottrazione. Ordunque, il Partito Democratico non sarà neocomunista, perché Diliberto non ci sarà (ma non fategli sapere che lo date per scontato, altrimenti sarebbe capace di aderire, giusto per fare il bastian contrario); non sarà postcomunista, perché la sinistra diessina (il correttore automatico si ostina a scrivere “diossina”: forse Bill Gates ha sentito parlare di Fabio Mussi) ha scismato per conservare la propria identità; non sarà socialista, perché i socialisti si fanno una costituente per i fatti propri; non sarà radicale, perché…, beh, perché a quel punto chi lo terrebbe Pannella?; non sarà liberale, perché Dini e gli amici suoi stanno levando le tende; infine non sarà repubblicana, perché siamo inguaribili ottimisti e presumiamo che il PD riuscirà a prendere più del quattro per cento. Ragion per cui possiamo concludere che… uhm… ehm… uuuh… credo di avere un impegno su un altro giornale. Concluderemo in altra occasione. (Esce dall’occhiello dell’articolo di taglio basso.) Ehi, ma quello non è De Mita? F.M.B.
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