Numero 1 3 8 ottobre 2016
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Foto Giampaolo Napoletti
La più vecchia del mondo Nonostante tutto, sappiamo ancora molto poco della storia degli uomini. Abbiamo costruito, miti, leggende, religioni per raccontarci e spiegarci a noi stessi, ma su come abbiano fatto gli esseri umani a diventare quello che sono oggi sappiamo davvero poco dal punto di vista scientifico. La storia comincia quando cominciano le fonti, e le fonti sono prevalentemente scritte, e di conseguenza è molto complicato ricostruire la storia dell’Uomo prima dell’invenzione della scrittura. Esistono altre fonti importanti: manufatti, reperti archeologici, pitture rupestri; ma sono naturalmente di difficile interpretazione, oltre che rari. E tanto più si va indietro nel tempo, tanto più è difficile raccogliere testimonianze di qualsiasi tipo. L’antropologia riesce a ricostruire dei momenti cruciali: dai primi australopitechi alla comparsa dei primi rappresentanti del genere “homo”: erectus, abilis, sapiens. Ci racconta che veniamo tutti dal cuore dell’Africa, e ci siamo diffusi piano piano in tutte le terre emerse. L’homo sapiens compare forse due milioni, forse solo duecentomila anni fa: pochissimo tempo, se paragonato ai tempi dell’evoluzione del pianeta e della vita; ma un tempo lunghissimo, se paragonato a quanto poco profonda è la nostra conoscenza storica. Le civiltà più antiche del mondo non risalgono molto oltre i dodicimila anni di storia; la Mezzaluna Fertile di Babilonia, l’antico Egitto; la Valle dell’Indo, alcune regioni della Cina. Ma lo stesso termine “civiltà” è ambiguo: segna il passaggio da una vita primitiva ad una più organizzata; un po’ paradossalmente, visto che la radice etimologica di “civiltà” è la stessa di “città”, la nascita della civiltà è strettamente connessa alla scoperta (o invenzione) dell’agricoltura: quasi come se città e campagna, che sono spesso viste come contrapposte, fossero invece generate insieme, come se discendessero dalla stessa matrice. Del resto, è logico: per centinaia di migliaia di anni gli esseri umani sopravvivevano solo raccogliendo frutta spontanea, bacche, radici e cacciando piccoli animali: è solo quando qualcuno è riuscito a capire che seminando (con un incredibile atto di coraggio: significava sacrificare del cibo, i semi, nella speranza che la stagione successiva ne sarebbero cresciuti
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w w w. l a p i a z z e t t a r i s t o r a n t e . i t lapiazzetta.terni@libero.it
di più) e coltivando si poteva avere una vita migliore. Ma sul pianeta non sono poi tante le zone in cui l’agricoltura poteva essere inventata: ci vuole un clima adatto, e molta acqua disponibile: le regioni dove sono sorte le prime civiltà sono proprio quelle che avevano queste rare caratteristiche. Gli insediamenti umani, al pari degli uomini, nascono, crescono, e scompaiono. Molte antiche città sono decadute e scomparse sotto i colpi della natura, della sfortuna e della volubilità delle passioni umane. Ma in quelle zone antiche esistono e resistono ancora città antichissime, che possono pertanto vantare il privilegio di dirsi le più antiche città del mondo: con buona pace della tradizione che attribuisce a Roma il titolo di “Città Eterna dall’alto dei suoi quasi tremila anni di vita, esistono città certamente molto più antiche. Atene, abitata continuamente da settemila anni; e comunque probabilmente superata nella stessa Grecia da Argo, leggendaria patria d’Agamennone. La palestinese Gerico, ricordata quasi sempre solo per le sue mura che la Bibbia dice essere state travolte dal suono delle trombe di Giosuè, e che può vantare forse undicimila anni di vita; stessa età, più o meno, dell’antichissima capitale siriana, Damasco. E, sempre in Siria, grosso modo con pari anzianità -e di conseguenza con pari dignità di avocarsi il titolo di “più antica città del mondo”- Aleppo. Aleppo, che per tutta l’antichità è stata una delle città più grandi del Medio Oriente; Aleppo, che durante il millennio dell’Impero di Costantinopoli era seconda solo alla sede imperiale e al Cairo, come popolazione e grandezza. Aleppo, che fino a pochissimo tempo fa contava ancora quasi due milioni e mezzo di abitanti. Gli abitanti di Aleppo oggi sono solo seicentomila, e sono tutti prigionieri. Tutti che anelano di scappare da quello che è diventato un inferno assai peggiore di quello descritto da Dante. La città non esiste quasi più; anzi, esiste ancora ma sarebbe quasi meglio si fosse dissolta davvero, perché quello che della città resta sono solo rovine, disperazione, dolore che si tramette dalle brecce nei muri devastati alle ferite nella carne dei suoi abitanti prigionieri. E le bombe cadono ancora, in continuazione. Bombe siriane, dalle città sorelle; bombe russe, occidentali, turche. Bombe d’una guerra quasi incomprensibile, dove ci sono anche truppe americane ed europee. Non si riesce quasi più nemmeno a capire chi combatte cosa, e contro chi. Se Aleppo è davvero la città più antica del mondo, forse è in questi giorni che la vedremo morire. E se è certo vero che non è l’età d’una città a contare, perché non è certo più lecito cancellare una città moderna rispetto ad una antica, visto che a morire sono sempre gli esseri umani di questi nostri tempi, è forse un po’ più crudele e doloroso vedere cancellare diecimila anni così, senza ragione. Del resto, le guerre una ragione P ie ro F a bbr i vera non ce l’hanno mai.
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Qu ant antoo è b e l l a T e r n i È successo di nuovo: dopo più di trent’anni da quando a Berlino ho sentito dire da un cameriere Quanto è bella Terni! (vedi articolo LPU ottobre 2014), mi sono ritrovata nella stessa situazione. Questa volta era la proprietaria di una pasticceria nel centro storico di Mantova dove stavo comprando i dolcetti tipici del luogo. Vi racconto così una gita a Mantova, la città che è stata dichiarata “capitale della cultura” per il 2016. Era candidata con Terni. Il confronto diventa d’obbligo, non senza aver ricordato che per questa candidatura non contano i monumenti che una città possiede -per questi Mantova avrebbe comunque vinto a mani bassema i progetti per il suo sviluppo. Ricordo alcuni monumenti: il Palazzo Ducale con la stupenda Camera degli Sposi, il favoloso palazzo Te, la chiesa di San Lorenzo, la basilica di Sant’Andrea dell’Alberti solenne elegante e maestosa. È una piccola cittadina -non raggiunge i 50.000 abitanti- con strade lastricate dall’acciottolato del fiume Mincio che si allarga intorno alla città come un lago. Il colpo d’occhio è davvero eccezionale: Mantova è quasi un’isola sull’acqua, circondata da un’oasi verde. La città da tempo ha un turismo culturale, sportivo, enogastronomico molto sviluppato, ma il suo nuovo stato di “città della cultura italiana 2016” ne ha decuplicato le presenze, come affermano le guide che conducono i gruppi in visita alla città. Per tutto il centro storico rigorosamente chiuso al traffico, è un brulicare di turisti al seguito di queste guide con il loro simbolo di richiamo o di aggregazione tenuto alto sulla testa; di ristoranti che espongono il loro menu turistico, di bancarelle con souvenir dove non manca l’immagine di un monumento entro una palla di vetro da cui scende la neve o il grembiulino da cucina con stampigliato il nome della città o ancora il magnete che immortala qualche panorama. Tutti simboli, negativi o positivi che siano, del turismo di massa. Io, turista tra i turisti, ho goduto di tutte le bellezze del luogo e poi mi sono attardata, come d’obbligo, a comperare souvenir tra cui i dolcetti tipici. La signora della pasticceria mi ha consigliato il panpepato di Ferrara che, come si sa, nel 2015 ha ottenuto il marchio IGP. È stato un tuffo al cuore! Il nostro buonissimo panpepato non ha ottenuto niente (come mai?) e vi assicuro che è molto più ricco di sapore, di ingredienti, di storia, di profumi, di sapienza culinaria. Declino gentilmente l’offerta dicendo che sono di Terni, che lo ho assaggiato al ristorante e che non posso portare nella mia città un dolce di cui andiamo tanto fieri. La signora sgrana gli occhi e apre la bocca in un sorriso pieno ed esclama: Quanto è bella Terni! Dico la verità: rimango stupita e, dopo essere rimasta a bocca aperta per qualche secondo pensando dentro di me al confronto tra i monumenti delle due città, chiedo timorosa che cosa le sia piaciuto. Risponde che le è rimasta nel cuore la Cascata delle Marmore e che Terni l’ha solo attraversata: sapeva di San Valentino, sapeva che c’erano alcune belle chiese, ma non sapeva come organizzare la visita. Tutto ciò mi porta a fare molte considerazioni, ma ne dico una per tutte: la non capacità di sviluppare il turismo, di valorizzare i beni culturali, naturalistici, enogastronomici della nostra città e del nostro territorio caratterizzato dal turismo mordi e fuggi: pillole di bellezze naturali o architettoniche, senza alcuna attenzione alla storia, alle tradizioni, all’identità di un luogo. Per quanto riguarda Terni e il suo circondario,
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La più vecchia del mondo - P F a b b ri CNA- CONFEDERAZIONE NAZIONALE ARTIGIANATO Quanto è bella Terni - L S a n t i n i BMP - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale ALLA SCOPERTA DI... - L S a n t i n i Sindrome da handphone - A M el a secch e La figlia del padrone - F P a t ri zi OTTICA MARI Terapia rigenerativa dell’artrosi - V B u om padre CMT- COOPERATIVA MOBILITÁ TRASPORTI AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI Tumore al seno - S t u d i o M ed i co A N T E O L’importanza della vitamina D - G P o rca ro Trattamento dell’Acne Volgare - C D i o t ur ni ACUSTICA - E B o cca ca n i Curare la Sciatalgia con l’Osteopatia - M M ar tellotti I Giochi della Valnerina - A sso ci a zi o n e C ultur ale L a Pagina La mamma è sempre la mamma - M P et ro cchi La monnezza spazziale - P C a sa l i HEALTH & TRAINING STUDIO - L R i cci Andavamo a scuola a piedi - V G rech i STUDIO MDICO TRACCHEGIANI FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO GLOBAL SERVICE MEDICENTER GROUP
basterebbe confezionare pacchetti turistici di due o tre giorni da vendere alle agenzie di viaggi che, partendo dai punti chiave del turismo come la Cascata delle Marmore e la tomba di San Valentino (ambedue conosciuti in tutto il mondo), includa per esempio mezza giornata a Carsulae, mezza a Piediluco, mezza a Terni con visita alle chiese (Duomo, Cappella Paradisi), alla Pinacoteca, al Museo Archeologico, con un occhio a due monumenti che rappresentano in modo eccezionale la storia di Terni: la Grande Pressa e la Lancia di Luce di Pomodoro. Si può includere anche il Museo delle Armi, unico al mondo o quel grande open museum che è fatto degli innumerevoli reperti di archeologia industriale che hanno fatto la storia di Terni, spesso oggi godibili perché ristrutturati e adibiti a nuovo uso, come il complesso dell’ex Siri che oggi ospita il centro policulturale con i musei cittadini. Il pacchetto dovrà includere pranzi con prodotti tipici del luogo: ne abbiamo tanti, dalla pasticceria, al panpepato, alle ciriole, al pane. Tutto con guide autorizzate che spieghino la storia, i monumenti. Solo allora cominceremmo ad assomigliare a una città turistica e potremmo far conoscere l’identità della nostra città. Sono stata anche a Ferrara (il pacchetto turistico era di due giorni), città stupenda, poco più popolosa di Terni. Non parlo dei monumenti che la rendono interessante. Voglio parlare invece di quei vasti parchi verdi tenuti ben puliti, con l’erba tagliata, le panchine sparse ovunque. Voglio ricordare i sentieri pedonali o ciclabili -Ferrara è conosciuta come la città delle biciclette- che corrono per tutta la città, in mezzo al verde o lungo il circuito delle mura o seguono in tutta la sua lunghezza il corso del Po. Il mio cuore ha pianto calde lacrime al pensiero dei giardini di Terni (ricordo che è una delle città italiane con più verde per abitante) così mal tenuti e pieni di erbacce. Mi sono rattristata al pensiero delle piste ciclabili non utilizzate, al percorso lungo il Nera quasi sconosciuto e in degrado. Se vogliamo Terni bella -e lo vogliamo- dobbiamo risolvere immediatamente questo stato di abbandono. Non mi rivolgo solo all’Amministrazione che deve fare per prima la sua parte, ma mi rivolgo anche a tutti quei cittadini che spesso, ahimè troppo spesso, si mostrano incivili e insensibili riducendo le strade e i giardini a un immondezzaio. Per favore: un po’ più di amore per questa città! Loretta Santini
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PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Sindrome da handphone Si chiama proprio così, sindrome da handphone, tradotto letteralmente “da telefono in mano”, o nomofobia (ovvero il prefisso anglosassone abbreviato no-mobile combinato con il suffisso fobia), ovvero “sindrome da disconnessione”. Comunque la si chiami, si tratta chiaramente di qualcosa di molto simile ad un’ossessione che ci contagia a milioni, già solo in Italia. Una sensazione di panico vi assale non appena vi accorgete di aver dimenticato lo smartphone a casa? Non riuscite a resistere più di dieci minuti senza controllare le notifiche? Pensate che stia squillando anche quando non è così? Se avete risposto sì ad almeno due domande su tre, allora potreste aver sviluppato anche voi questa dipendenza. Nell’era digitale e dei social network, l’essere connessi e l’accedere alle informazioni è appena ad un click di distanza. Senza neppure dover scomodare il pc, grazie agli smartphone, siamo in grado, di fatto, di connetterci con chiunque ovunque e di dare risposta praticamente a qualsiasi domanda e chiarire qualunque dubbio. Non dobbiamo neppure cercare, basta chiedere ai vari assistenti digitali, ovvero ai Siri, Cortana, etc. di turno. Secondo il professore di psichiatria all’Università del Connecticut, David Greenfield, l’attaccamento allo smartphone è molto simile ad altre dipendenze più note, in quanto, allo stesso modo, interviene nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che media il piacere nel cervello. Essendo rilasciata durante le situazioni piacevoli, stimola la persona a cercare l’attività o l’occupazione piacevole.
Ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo. Non potendo sapere quando questo accadrà, si ha l’impulso di controllare in continuazione innescando lo stesso meccanismo che si attiva in un giocatore di azzardo. Come dice il saggio “il troppo storpia” e dato che questa dipendenza di fatto ipnotizza le persone e le obbliga anche ad utilizzare solo la mano che rimane libera pur di non staccarsi dal cellulare, è stato stilato, da un gruppo di esperti tra sociologi ed antropologi, un decalogo denominato “libera-mani” all’interno del quale compaiono, tra gli altri, i seguenti suggerimenti: andare in bici o fare una passeggiata, ovvero rilassarsi mantenendo il contatto “reale” e non virtuale con ciò che ci circonda; resistere strenuamente all’impulso di controllare ossessivamente lo smartphone; lasciarsi emozionare da colori e odori intorno a noi; individuare i momenti in cui spegnere il cellulare per dedicarsi a chi ci è intorno; tornare all’uso di accessori più tradizionali, perché se abbiamo un orologio potremo non controllare l’ora sul telefono, se usiamo una sveglia non dovremo ancora una volta affidarci al cellulare, etc.; cercare di incontrarsi il più possibile di persona; introdurre volontariamente degli ostacoli per accedere allo smartphone, come ad esempio un codice di sicurezza particolarmente complesso; se possibile concentrare l’uso del telefono in un unico momento della giornata e avere così poi più tempo da dedicare ad altro; ed infine, tenere le mani impegnate funge da antivirus alla sindrome da hand-phone naturale, come usare le mani libere per interagire con gli altri. alessia.melasecche@libero.it
La figlia del padrone Quella mattina l’aveva vista passare in auto seduta sul seggiolino, indossava un elegante vestitino rosa, aveva le guance paffute, le manine si agitavano, sembrava che la stesse salutando. La notte, nascosta in quella stessa auto, Barka era fuggita dal suo padrone. L’autista aveva guidato a lungo, poi aveva spento il motore. Illuminata dalla luce dei fari c’era una donna precocemente invecchiata che la fissava e tremava. Quella notte Barka, 18 anni, nata schiava figlia di schiavi, aveva conosciuto sua madre. In Mauritania, nella lunga striscia desertica tra la costa marocchina e la costa senegalese, dal 2007 la schiavitù è reato, ma il regime militare che ha conquistato il potere nel 2008 non ha quasi mai applicato la legge. Solo sporadicamente sbandiera una condanna del tribunale speciale della schiavitù per giustificare i contributi che lo Stato prende dalla comunità internazionale per contrastare il fenomeno. Secondo una lunga tradizione, la popolazione minoritaria, gli arabo-berberi, detti anche i mori-bianchi, tiene la popolazione negroide in stato di schiavitù in virtù di una falsa interpretazione del Corano. Barka aveva avuto la sua prima bambina quando aveva poco più di 12 anni; nata dalla violenza del suo padrone era stata affidata alla sua adorata figlia, una ragazza pallida che ardeva dal desiderio di diventare madre. A Barka non era concesso di incontrare la sua bambina, ma quando sentiva passare l’auto del padrone, gettava sempre un occhio nella speranza di vederla, ben vestita e ben nutrita.
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Era stata quindi la volta del figlio del padrone ed era nato un maschietto, futura manovalanza per la fattoria. Perché non ne approfitti anche te, ho visto come la guardi! Aveva detto il padrone ad Anas, l’autista, un uomo di colore che stava segretamente cercando la donna che aveva dato alla luce Barka e che 15 anni prima era stata ceduta ad un’altra fattoria. Chissà, una mamma è sempre una mamma, potrebbe aiutare la figlia a fuggire da questo inferno, all’inizio potrebbe nasconderla … ma in Mauritania uno schiavo nasce schiavo e muore schiavo e così quella donna che tremava alla luce dei fari, si era recata quella notte stessa dal vecchio padrone per implorarlo di perdonare Barka e riprenderla con sé. Ma prima si era rivolta a quella figlia che non vedeva da 15 anni: Pensaci bene, la tua bambina crescerà come una padrona, che vuoi di meglio? L’altro tuo figlio se la caverà, come tutti. L’associazione che dal 2008 si occupa della tutela degli haratin, gli schiavi liberati, si chiama IRA e si batte perché chi ha la pelle nera possa avere diritto alla terra e agli animali, senza discriminazioni. Tutti gli ex schiavi vivono in povertà e finiscono per essere aiutati dai loro ex padroni che li mantengono seguendo un precetto religioso che chiede alla casta superiore di aiutare con l’elemosina i senza casta. Quando la sera rientra a casa, in bicicletta perché non fa più l’autista, Anas saluta sua moglie Barka e trova sempre il tempo di giocare con i bambini di lei, che gli corrono incontro e gli saltano addosso, il più piccolo seminudo e sorridente, la più grande con un malconcio vestitino rosa. Francesco Patrizi
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AZIENDA OSPEDALIERA
Struttura Semplice Dipartim
La Valvuloplastica Percutanea e le nu
Prof. Marcello D ominici R e s p o n s a b i l e d e lla Str uttur a Se m plic e D ip a r tim en ta le d i E MO D IN AMIC A de lla A z ien d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni
A Terni è definitivamente iniziata l’era del trattamento percutaneo delle patologie valvolari. La possibilità di riparare o sostituire le valvole patologiche senza la necessità di un intervento chirurgico tradizionale rappresenta una prospettiva affascinante tuttora in piena evoluzione. Nonostante l’intervento chirurgico tradizionale rappresenti ancora lo standard terapeutico di riferimento, queste tecniche innovative sono attualmente applicabili in condizioni di elevato rischio operatorio, come nel caso di pazienti più anziani per esempio, e rappresentano un’alternativa reale. In questo senso, le tecniche percutanee e di chirurgia tradizionale non vanno considerate tra di loro competitive, ma si completano vicendevolmente per poter offrire ad ogni paziente la migliore prospettiva di guarigione e di vita. Fino a pochi anni fa, per esempio, circa il 30% dei pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa restava del tutto escluso dalla possibilità di un intervento chirurgico risolutivo, perché giudicato del tutto inoperabile o perché gravato da un rischio operatorio troppo elevato. Si tratta di pazienti affetti da gravi patologie di altri organi, come polmoni o fegato, oppure pazienti molto anziani, giudicati troppo fragili per affrontare un intervento chirurgico tradizionale, che comporta un’anestesia generale prolungata ed una circolazione extracorporea. Oggi, per questi pazienti è possibile ricevere anche a Terni una nuova valvola impiantata con un intervento percutaneo: con il termine “percutaneo” si intende un trattamento o una procedura eseguiti senza la necessità di un intervento chirurgico vero e proprio, bensì mediante puntura della cute e con l’impiego di lunghe sonde, chiamate cateteri, dirette fino al cuore attraverso arterie e vene. Queste procedure si svolgono all’interno di sale operatorie dotate di strumentazioni radiologiche per la visualizzazione degli strumenti impiegati e il loro utilizzo all’interno del corpo. Esse sono tradizionalmente note come “sale di emodinamica”, eredi delle strutture che ospitarono i primi cateterismi cardiaci. Ancora più affascinante è la possibilità di riparare per via percutanea una valvola malata, come avviene per gli interventi di MitraClip nell’insufficienza valvolare mitralica: l’intervento consiste in una “clip”, o molletta, fissata sui lembi della valvola mitrale; la clip avvicina i lembi riducendo il grado di rigurgito valvolare. La tecnica è particolarmente complessa ma permette di ottenere dei risultati straordinari in pazienti con grave scompenso cardiaco, inoperabili e, fino ad oggi, senza alcuna speranza. L’Angiografo di ultima generazione di cui recentemente si è dotata l’Emodinamica di Terni ha consentito un grande progresso nell’esecuzione di tali procedure. La nuova sala possiede le apparecchiature più moderne e all’avanguardia. È fornita del miglior apparecchio angiografico attualmente in commercio, che la pone tra le migliori in Italia e con l’ecocardiografo tridimensionale integrato e la configurazione con cui è stata allestita la rendono probabilmente unica. Con questa nuova e moderna apparecchiatura l’Emodinamica di Terni si pone all’avanguardia nell’esecuzione della valvuloplastica percutanea e in generale in tutte le procedure delle cardiopatie strutturali (difetto interatriale, forame ovale pervio, difetto interventricolare, chiusura dell’auricola ecc.), aggiungendo un ulteriore elemento di crescita in una
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branca della medicina che in questi ultimi anni ha visto l’Emodinamica dell’Azienda ospedaliera di Terni confrontarsi con i più famosi centri nazionali. Dati di attività. Quindi ancora maggiore qualità per questa struttura, che già adesso è uno dei fiori all’occhiello della sanità ternana. Infatti, già nel 2013, in uno studio effettuato dal Sole 24 Ore Sanità (Programma Nazionale sugli indicatori sull’attività delle 114 aziende ospedaliere e universitarie italiane) emerse che l’Azienda ospedaliera di Terni era una delle migliori in Italia, posizionandosi all’ottavo posto, unica umbra fra le prime 40 nazionali, e il primo indicatore preso in esame erano le procedure eseguite in Emodinamica. L’Emodinamica dell’ospedale di Terni ha iniziato la propria attività nel 2001, ponendo fine ai viaggi della speranza dei pazienti ternani verso altre regioni. In pochi anni è diventata punto di riferimento per tutto il territorio circostante ed ha segnato un grosso cambiamento per l’Azienda ospedaliera di Terni e in generale per la sanità umbra. Attualmente esegue circa 1600 procedure l’anno, di cui oltre 700 angioplastiche coronariche e con un fatturato di circa 6 milioni di euro si pone tra le maggiori Strutture di tutta l’Azienda Ospedaliera di Terni. Risponde alle esigenze del territorio ternano ma anche ad un territorio più ampio, che va anche oltre i confini regionali. La Struttura infatti viene ritenuta un’importante attrazione extraregionale e circa il 20% di pazienti proviene da altre regioni, con un incremento costante della mobilità attiva.
S A N TA M A R I A D I T E R N I
mentale di EMODINAMICA
uove frontiere della cardiologia a Terni molti anni è andata oltre, utilizzando l’arteria radiale sinistra, che ne fa una scuola unica in Italia, che ha prodotto in letteratura molti studi dove si dimostra come questo particolare approccio sia migliore per efficacia, sicurezza e per minore esposizione alle radiazioni ionizzanti, sia per il paziente sia per l’operatore. Ricerca: Oltre agli studi sulla tecnica per l’approccio radiale sinistro, nell’ambito della ricerca l’Emodinamica si distingue attualmente per la partecipazione a due Studi Internazionali molto importanti: “Absorb II” e “Global Leaders”. Per questi studi il centro di Terni è stato scelto insieme a pochissimi altri centri italiani ed è risultato il miglior arruolatore italiano. In particolare nello studio “Absorb II” l’Emodinamica di Terni ha impiantato il primo Stent Riassorbibile in Italia nelle procedure di angioplastica coronarica, permettendole di ottenere una vasta esperienza nel settore di queste protesi innovative, che scompaiono dopo aver svolto il loro compito, lasciando la coronaria libera senza la presenza di alcuna struttura metallica o corpo estraneo nel proprio interno. Didattica: L’Emodinamica di Terni è coinvolta nella didattica del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di Terni e collabora con la Scuola di Specializzazione in Cardiologia. In questi anni ha contribuito alla formazione di futuri medici e cardiologi fornendo le basi della Cardiologia Interventistica ed in alcuni casi formando emodinamisti completi e può essere segnalata come un esempio di sana integrazione tra Università ed Ospedale.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Angioplastica coronarica primaria nell’infarto acuto del miocardio 24h su 24: L’Emodinamica di Terni garantisce una reperibilità 24 ore su 24 per l’esecuzione dell’Angioplastica Coronarica Primaria come trattamento dell’infarto acuto del miocardio (una delle prime cause di morte) e la rivascolarizzazione precoce in pazienti affetti da sindrome coronarica acuta. Questa tecnica di alta specialità può migliorare la prognosi di molti pazienti affetti da emergenze cardiologiche e in molti casi può salvarne la vita. La gestione del paziente con l’infarto acuto coinvolge in modo integrato il personale sanitario di tutta la provincia, dai primi sintomi, alle prime cure, al trasporto ed infine l’accoglienza in ospedale e l’arrivo in Emodinamica nel più breve tempo possibile. Accesso radiale sinistro: Una delle caratteristiche per cui l’Emodinamica di Terni è apprezzata, specialmente dai pazienti, è l’accesso radiale invece di quello femorale nella quasi totalità dei casi: in altre parole esegue le procedure introducendo i cateteri dal polso invece che dall’inguine. Questa tecnica incontra prima di tutto il favore dei pazienti, che non sono più costretti dopo la procedura a rimanere immobili a letto per 24 ore con la compressione sull’inguine. Inoltre questa tecnica riduce l’incidenza di complicanze vascolari con riduzione di morbilità e mortalità, riduzione della durata del ricovero e dei costi ospedalieri e mobilizzazione precoce del paziente. L’Emodinamica di Terni è stata tra i primi centri italiani ad utilizzare questa tecnica, ma ormai da
Responsabile Équipe Prof. Marcello Dominici Medici Dr. Carlo Bock, Dr. Alessio Arrivi, Dr.ssa Caterina Milici, Dr. Matteo Casavecchia, Dr. Marco Bazzucchi, Dr.ssa Paola Mezzetti (ecocardiografista), Dr.ssa Martina Sordi (ecocardiografista) Coordinatrice infermieristica Sala di Emodinamica Laila Sapora Infermieri Sala di Emodinamica Anna Lisa Battistini, Lorella Ceppi, Susanna Cicoletti, Simonetta Lupi, Simonetta Menichelli, Monica Picchioni, Simonetta Raffanelli, Monica Servili, Enrica Tracchegiani Tecnici di Radiologia Luca Cosentino, Giulia Feliciani, Chiara Giamminonni, Danilo Mattioli Coordinatrice infermieristica Degenza Oriana Spera Infermiere Degenza Raffaella Mallamaci, Brunella Tazza, Raffaella Dalla Libera, Annunziata Mattina, Alessandra Gubbiotti, Diomira Iacarelli
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La mamma è sempre la mamma In sede di separazione dei coniugi o di regolamentazione del diritto di visita dei figli tra genitori non coniugati, l’affido, salvo casi eccezionali, è condiviso e ciò per l’intenzione, lodevolissima, di mettere al centro di ogni decisione l’interesse dei minori che per avere una crescita sana e serena hanno bisogno di entrambe i genitori, la cosiddetta bigenitorialità. La giurisprudenza ha sempre evidenziato tale aspetto non solo per quanto riguarda i bambini, ma anche per gli adolescenti. Recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 settembre 2016, n. 18087, ha riconfermato un orientamento, più che consolidato nella prassi, ossia la cosiddetta maternal preference, che indica nella madre il genitore con il quale i figli devono convivere prevalentemente. Nel caso specifico la coppia si era separata consensualmente ed i figli minori erano stati collocati in modo paritario presso le abitazioni dei genitori. Dopo un anno, la moglie si rivolgeva al Tribunale per chiedere il collocamento dei figli presso di sé, motivando la domanda di modifica con la loro tenera età nonché con il disagio sofferto a causa dei continui spostamenti. Oltretutto, la donna aveva accettato un lavoro in una città lontana dal luogo di residenza del padre. La consulenza disposta dal Tribunale riconosceva nel padre il soggetto presso il quale era più opportuno collocare prevalentemente i figli. Il Tribunale disponeva in conformità. La donna reclamava il provvedimento presso la Corte d’Appello, la quale, pur riconoscendo la correttezza della consulenza accoglieva le richieste della madre. La Cassazione, cui ricorreva il padre sostenendo che la preferenza accordata alla madre avrebbe leso l’interesse dei figli, come riconosciuto dalla consulenza, e violato l’art. 337 ter c.c., che tutela il diritto alla bigenitorialità, dava ragione alla madre. La Corte concorda con l’applicazione del criterio presuntivo della maternal preference, la cui valenza scientifica è indiscussa e, quanto al diritto al trasferimento della residenza dei minori in affidamento, ha ritenuto che il giudice non ha il potere d’imporre ai coniugi di rinunciarvi,
essendo il trasferimento un diritto fondamentale costituzionalmente protetto. Colui che intenda trasferirsi lontano dall’altro coniuge non perde, pertanto, l’idoneità a essere collocatario dei figli minori, avendo il giudice esclusivamente il dovere di valutare se risponda maggiormente al preminente interesse dei figli il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori. La Giurisprudenza non è però univoca sul punto... Ad una pronuncia di analogo significato rispetto a quella appena riportata “In tema di modifica delle condizioni di separazione giudiziale, il coniuge separato, collocatario del figlio minore, può trasferire altrove la residenza propria e del figlio, anche senza il consenso dell’altro genitore, non comportando ciò, di per sé, il venir meno dell’affido condiviso o di quel collocamento, in quanto ogni statuizione al riguardo va adottata esclusivamente in funzione del superiore interesse del minore (nella specie, la Suprema corte ha confermato il provvedimento di merito che aveva disposto il collocamento di due minori presso la madre, che per esigenze di lavoro si era trasferita in altra città, distante da quella originaria di residenza, dove viveva l’altro genitore, i cui rapporti quotidiani con le figlie venivano compressi, tenuto conto dell’esigenza di assicurare a queste ultime, ancora in tenera età, la costante presenza della madre”. Cass. sezione I civile; sentenza, 12-05-2015, n. 9633, se ne possono opporre altre secondo le quali il diritto del genitore di trasferire la propria residenza può essere limitato al fine di valorizzare il prevalente interesse del minore alla sua serena crescita psico-fisica, (Cass. sentenza del 18 settembre 2014, n. 1969). Avere un diritto però in tali casi non equivale a poterlo esercitare. In mancanza di consenso espresso dell’altro genitore occorre sempre ottenere un provvedimento del Giudice, altrimenti il rischio è grosso: “risponde del delitto di sottrazione di persona incapace il genitore che, senza il consenso dell’altro, porta via con sè il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sè, quando tale condotta determina un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma”. Cass. sentenza 29/07/2014, n.33452. legalepetrocchi@tiscali.it
La monnezza spazziale L’andru ggiornu io, Zzichicchiu e ‘n andru amicu stavamo a ffa’ ‘na camminata pe’ Llungonera e… vidissi se cche trafficu!?... Chi tte passàa de qqua chi dde llà… te sbucavono da tutte le parti e ‘n ze potéa ‘ttraversa’. L’amicu nostru ‘n bo’ ‘nnervusitu t’ha presu ‘n sòrdu e… O la va o la spacca… testa passamo… croce ‘spettamo ‘n andru po’!… Ma che ssì paciu… j’ho fattu… che è st’azzardu!?... Mica stemo su ppe’ lu spazziu… suli suli senza ‘tomobbili… senza strombazzate… do’ ‘n ce sta piriculu d’èsse presi sotto… damme ‘stu sordu va… testa ce spostamo lassù… croce restamo qui mmezzu! ... Zzichicchiu che cce stéa a ssindi’… Ma che stete a ffarfuja’… mica c’ete da fa’ voi ma io che vve stò a ssinti’!... Era ‘n tembu… ma da lu ’57… da quanno li russi hanno ‘ncuminciatu co’lu sputtinicche ‘ttornu a la
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Terra… de razzi ce n’avemo mannati mijaja… pe’ le cumunicazzioni… pe’ le privisioni… pe’ li ggippiesse… e ppo’ ce stanno centinaja de mijoni de rifiuti grossi come ccammionne e picculi picculi come granelli de sabbia… lassù ce semo persi pure ‘n paru de guanti… ‘na macchina fotografica… ‘na cassetta d’attrezzi… e qquella è ttutta robba che cce ggira ‘ttornu a mmijaja de chilometri orari… vacce ‘n bo’ a sbatte!?… A Zzichi’ ‘n te prioccupa’ che ccucì ‘emo risòrdu lu probblema de lo lavora’!… Annamo a ffa’ li scupini spazziali!… A Lunardi’… famo testa o ccroce p’anna’ a ‘rcòje tutta ‘sta monnezza che cce pòle casca’ su ppe’ la capoccia... Bbbravi!… Però prima provate ‘n bo’ a scommétte pe’ cchi è più ‘mbranatu de voi ddue... armeno ‘llu sordu armane per’aria e ppotete ‘ncumincia’ a ffa’ pratica co’ qquillu. Paolo Casali
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Andavamo a scuola a piedi Nei primi anni dopo la seconda Guerra Mondiale si andava a scuola a piedi, in città ma soprattutto in campagna. Siccome non c’era carenza di bambine e bambini, come c’è ora, nelle frazioni più grandi di ciascun comune erano state istituite le pluriclassi elementari. Esse raccoglievano i residenti di una o più vallate vicine, abitate quasi esclusivamente da contadini in proprio, che vivevano dei prodotti della loro terra. Iniziava allora lo sviluppo industriale post bellico, tanto che in ogni famiglia non era difficile trovare almeno un componente che, pur lavorando in una grande fabbrica, facendo anche i turni, nei periodi di riposo si “riposava” lavorando nel proprio terreno. È facile comprendere che nelle suddette condizioni, per andare a scuola, c’era chi doveva fare solo qualche centinaio di metri e chi doveva sobbarcarsi diversi chilometri attraversando boschi, campi coltivati o torrenti, camminando in precario equilibrio sui grandi sassi sporgenti dall’acqua. Scendere al mattino dal monte alla valle per raggiungere la scuola elementare di Castiglioni, era una bazzecola. Al ritorno, per risalire in quota, ci voleva molto più tempo e si faceva sentire il peso dei libri, l’immancabile ombrello (non c’erano ancora le previsioni del tempo) e d’inverno l’abbigliamento pesante, comprensivo degli scarponi chiodati, alleggeriti nel corso degli anni, con l’entrata in uso di quelli gommati. Nel primo giorno di scuola la mamma accompagnava la progenie fin davanti alla maestra, dopo aver raccomandato durante tutta la strada il comportamento da tenere in classe e minacciando, nel caso le fosse arrivata qualche lamentela, l’uso della bacchetta sulle gambe nude. Nei giorni successivi da ogni casolare o piccolo agglomerato di case si formavano gruppetti di scolari di ambo i sessi e di età diverse, che però frequentavano le medesime pluriclassi. Le scorciatoie campestri per raggiungere la scuola erano più di una e venivano scelte in base al tempo o al capriccio dei più grandicelli. Se ad esempio pioveva, si passava dal percorso più lungo (detto dei Calandrelli) che permetteva di poter tenere l’ombrello aperto, perché privo di piante prossime al sentiero. Se invece faceva caldo era preferibile fare il percorso più breve e ombroso ma molto più ripido, salendo nel bosco detto de lu Pojanu e poi, continuando l’ascesa si attraversava una serie di bassi uliveti. Nelle mattinate gelide bisognava evitare il percorso più lungo perché, dovendo attraversare il torrente che scendeva da Valle Fredda, si rischiava di scivolare sul ghiaccio che si formava sopra i sassi sporgenti dall’acqua, come detto pocanzi. Per colazione i figli dei contadini portavano in genere due fette di pane raffermo (in campagna il pane veniva cotto di regola una volta a settimana) con dentro prosciutto crudo stagionato, o prosciutto di spalla (la cosidetta spalletta), oppure una salsiccia sott’olio spalmata. Dopo la Pasqua, pizza di formaggio e capocollo o le solite due fette di pane col formaggio fresco di pecora o di mucca. Vedere gli altri bambini, figli di operai o di artigiani, che ogni mattina sgranocchiavano un panino o due fette di pane fresco imbottite di profumatissima mortadella, comprati dai genitori da Sepio (Eusebio), gestore dell’unico generi alimentari della zona, faceva venire l’acquolina in bocca. A volte ci si metteva d’accordo sullo scambiocolazioni con reciproco vantaggio, poiché una salsiccia sott’olio, spalmata sull’ottimo pane raffermo, non si poteva acquistare in nessun negozio, ma faceva venire ugualmente l’acquolina in bocca! Quando si passava dalle elementari alle scuole medie, il percorso per Arrone diventava più lungo di qualche chilometro ma meno scosceso. L’edificio scolastico non era molto grande e quindi c’erano i doppi turni: al mattino era occupato dalle elementari e al pomeriggio, dalle 14 alle 18, c’erano le medie. Per tornare a casa ci voleva un’ora buona con l’aiuto di un genitore che si caricava sulle spalle borse piene di libri e vocabolari e con la fioca luce di una torcia per intravedere il percorso. Dopo le medie si scendeva a Terni col tram per andare alle scuole superiori. Il lunedì mattina, arrivati col tram a fine corsa a piazza Valnerina, si attraversava la vallata fino a Borgo Rivo, passando da Villa Palma, perché dalle 10 alle 12 c’era educazione fisica presso la locale scuola. Ridiscendendo si mangiava un panino presso una famosa trattoria immersa nel verde, poi a scuola tutto il pomeriggio, dedicato ai laboratori. Ricordare quei tempi e quelle camminate potrà sembrare a un ragazzo di oggi un racconto intriso di fantasia. Vittorio Grechi Non è fantasia, era solo una delle tante realtà dell’epoca.
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I BANDI 2016 DELLA FONDAZIONE CARIT
Lunedì 12 settembre 2016, a palazzo Montani Leoni, il Presidente Luigi Carlini ha presentato i bandi 2016 della Fondazione Carit. Si tratta di un bando di idee nel settore del Volontariato, assistenza e beneficenza e di un bando sul turismo nel settore dello Sviluppo locale. Bando di idee Idee innovative per la prima infanzia L’attività filantropica delle fondazioni bancarie è da sempre incardinata sull’attenzione ai più deboli, tra cui rientrano ormai i bambini, che rappresentano il futuro della nostra società, ma che purtroppo oggi si trovano in situazione di grande vulnerabilità. In Italia, infatti, i bambini sono fortemente a rischio per l’avanzata delle nuove povertà, non solo economiche, ma soprattutto educative, a causa del dissesto e delle difficoltà delle famiglie. Per questo motivo la Fondazione Carit, in linea con le progettualità nazionali messe in campo anche da altre consorelle, ha inteso pubblicare il presente bando, che si pone l’obiettivo di aumentare la fruizione dei servizi 0-3 anni attraverso soluzioni innovative e flessibili per ampliare l’offerta e renderla più interessante per le famiglie. Al bando, che prevede due fasi, possono partecipare Organizzazioni senza scopo di Lucro con le seguenti caratteristiche: - operanti per statuto nel settore socio educativo e che abbiano esperienze pregresse di lavoro con la fascia di età 0-3 anni; - costituite da almeno tre anni dalla data di pubblicazione del presente bando; - con la sede legale nel territorio di riferimento della Fondazione come previsto dall’articolo 2 dello Statuto. Il bando è disponibile on-line sul sito della Fondazione (www.fondazionecarit.it) e la scadenza per la presentazione dei progetti è stata fissata al 31 ottobre 2016. Per questo bando la Fondazione ha messo a disposizione uno stanziamento complessivo di Euro 72.000.
Bando Verso uno sviluppo locale sostenibile La Fondazione Carit ha inteso pubblicare il presente bando per la presentazione di progetti volti alla promozione dei più importanti siti culturali, storico artistici e ambientali del territorio, con particolare attenzione alla Cascata delle Marmore, alla Basilica di San Valentino di Terni, alle aree archeologiche di Carsulae e Otricoli, nonché alle località collinari e montane del territorio di intervento al fine di incrementare il turismo del comprensorio. Ritenendo che i suddetti siti costituiscano un’importante risorsa per lo sviluppo economico locale su cui sino ad ora si è investito probabilmente in modo poco adeguato, la Fondazione
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ha in animo di sostenerne il potenziamento e la valorizzazione attraverso l’incremento delle attività sportive per i giovani (sport acquatici lungo i fiumi e il lago, bike, trakking, escursionismo, ecc.) e di percorsi fruibili per i disabili. Ciò avendo a mente che i requisiti fondamentali per un “turismo di qualità” debbano tener conto in via prioritaria di strutture e luoghi accessibili a tutti. Il turismo è diventato, infatti, nell’arco dell’ultimo secolo, un bisogno sociale primario. Rappresenta non solo un fattore economico di straordinaria importanza, ma anche uno strumento di conoscenza ed emancipazione personale. Per questi motivi è oggi indispensabile garantire l’accesso all’esperienza turistica a tutti i cittadini, indipendentemente dalle condizioni personali, sociali, economiche e di qualsiasi altra natura che possano limitare la fruizione di questo bene. Al bando possono partecipare i soggetti in possesso dei seguenti requisiti: • organizzazioni senza scopo di lucro; • costituiti da almeno tre anni dalla data di pubblicazione del presente bando; • con sede legale nel territorio di riferimento della Fondazione come previsto dall’articolo 2 dello Statuto. Il bando è disponibile on-line sul sito della Fondazione (www.fondazionecarit.it) e la scadenza per la presentazione dei progetti è stata fissata al 15 novembre 2016. Per questo bando la Fondazione ha messo a disposizione uno stanziamento complessivo di Euro 128.000. Il testo integrale dei bandi e la relativa modulistica sono pubblicati sul sito www.fondazionecarit.it in cui è disponibile anche uno spazio FAQ (domande frequenti) in cui porre i quesiti e consultare l’archivio delle risposte. Alla presentazione dei bandi il Presidente Carlini ha riferito: «La Carta delle fondazioni, nel sancire i principi di trasparenza, imparzialità e non discriminazione, prevede che le fondazioni, attraverso i bandi procedano a una valutazione di merito delle iniziative per perseguire con maggiore efficacia ed efficienza gli obiettivi programmati. L’articolo 11 del Protocollo di intesa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’ACRI, sottoscritto nell’aprile del 2015, stabilisce altresì che il bando costituisce la modalità operativa privilegiata per selezionare le erogazioni da deliberare. Per queste ragioni- ha spiegato Carlinila Fondazione Carit ha inteso avviare il processo di selezione delle proprie erogazioni adottando lo strumento del “bando” nella speranza che questa esperienza possa essere accolta positivamente anche dalla comunità». IL PRESIDENTE (Luigi Carlini)
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