Numero 1 3 7 settembre 2016
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Foto Marco Barcarotti
CASE ROTTE È difficile parlare del terremoto. È quasi impossibile non parlarne, però, quando arriva. Si può tacere, se tutta la città si sveglia per le scosse, se molta gente si riversa nelle strade in piena notte, se sulle facce dei ternani si disegna prima dell’alba l’espressione comune e diffusa di spavento e terrore? Spavento e terrore che poi sono niente, rispetto alla distruzione e alle morti che sono corse attraverso i paesi in cui il terremoto non si è limitato a spaventare, ma è arrivato sotto forma di devastazione totale e assoluta. Ma si può parlarne senza ripetere parole scontate, obbligate, quasi rituali? Il rito ha la caratteristica essenziale nella ripetizione, e purtroppo di ripetizioni periodiche si tratta, ormai. C’è quasi una cronologia collaudata: lo spavento, le notizie drammatiche dalle zone colpite, la conta dei morti, la ricerca dei sopravvissuti, la mobilitazione delle istituzioni e dei volontari, le tendopoli, le raccolte di fondi, i piani di ricostruzione, le critiche ai piani, le ricerche delle cause dei crolli di ciò che non doveva crollare, e poi i primi cantieri, la lunga e lenta attesa di chi non ha più una casa, la breve e rapida capacità di dimenticare di chi è sfuggito al disastro. Ci sono cose davvero nuove, da dire? Gli esperti ricorderanno tristemente che l’Italia trema spesso, ed è illogico sperare che non lo faccia più. Le statistiche dicono che c’è da aspettarsi un sisma di grado uguale o superiore a quello che ha appena colpito Amatrice e dintorni mediamente ogni sei o sette anni: non è insolito che l’Appennino Centrale abbia tremato nel 2016 dopo che aveva colpito L’Aquila nel 2009; è stato insolito che non ci siano stati terremoti di quella magnitudine tra quello d’Irpinia del 1980 e quello dell’Aquila del 2009. Gli amministratori diranno che occorre riscostruire, e ricostruire bene; che dovranno essere rispettate le regole e le procedure, che occorrono soldi, che i soldi si troveranno, che si farà in fretta.
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La gente comune, in epoca di social network, riempirà le bacheche e le pagine soprattutto di critiche indignate, alternate a qualche post addolorato e un po’ retorico. E non mancherà neppure il pugno di idioti -pochi, per fortuna- che attribuirà la colpa del disastro alle cause più inverosimili e abiette. Parole nuove, concetti davvero significativi, quasi nessuno. Del resto, è davvero difficile trovarne: per questo ci si rifugia nel rito. Forse si può provare ad uscire dal solito, e ritrovare concetti più diretti e immediati, nel punto di vista dei bambini. Un servizio radiofonico di pochi minuti, nei giorni subito seguenti, dava la parola ai bambini raccolti in una tenda di Amatrice, dove alcuni volontari cercavano di distrarli, per quanto possibile. “Sto qua perché la mia casa è rotta…”, diceva una voce piana, non rotta dall’emozione, una normale voce di bimbo. “La mia non è tanto rotta, ma quelle vicine sì, non riesco ad entrarci”, gli faceva eco un’altra. Le case sono rotte, non si possono usare. Implicitamente, la logica diretta dei bambini sembra pronta a proseguire, anche se l’intervista non va oltre: bisogna aggiustarle, le cose rotte, o buttarle via. Bisogna che le nuove -cose o case, è lo stesso- non si rompano più, per quanto possibile. Bisognerà aggiustarle bene. Fuori dal rito, nella semplice logica della gestione delle cose. Bisogna aggiustare le case, o bisogna trovare i soldi per comprarle nuove; bisogna stare attenti a non sprecare, e anche a non farsi rubare i soldi che servono per comprare un oggetto importante come una casa. Bisogna fare in modo che la nuova casa sia fatta da bravi lavoratori, con buoni mattoni e buon cemento. Bisogna solo rispettare le regole, se le regole sono buone. Non si può chiedere altro agli uomini. Non serve a granché mobilitarsi in caso di emergenza, se poi si torna a dimenticare le regole e le buone pratiche. Anche se può sembrare strano e distante, il rispetto del normale vivere civile è forse la migliore opera di ricostruzione che ogni cittadino può mettere in atto. Pagare le tasse, ad esempio; ma anche rispettare le code alla posta, parcheggiare in maniera ordinata, essere gentili col prossimo, non gettare cartacce per strada. Sembra ridicolo, vero? Usare i cestini e non litigare per una precedenza non sono azioni che ricostruiscono le case, e certo non ridanno la vita ai morti sotto le macerie. Però, forse, tutto nasce da qui: dal banale e noioso rispetto civile, che inizia evitando di sporcare le strade o di saltare una fila, e poi continua, continua, fino all’idea che si deve lavorare correttamente, che è sbagliato rubare, che ogni azione che si compie, quando si lavora nella società civile, non serve solo a guadagnare lo stipendio, ma anche a costruire qualcosa di duraturo. Come le nuove case per i bambini che oggi hanno la casa rotta, ad esempio. P ie ro F a bbr i
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Il non finito Michelangelo con il suo non-finito, ha fatto dei capolavori: il suo non-finito è stata la misura della sua arte. Basti pensare alla forza espressiva dei Prigioni o della Pietà Rondanini, per rendersi conto come questa tecnica avesse tutta la compiutezza del finito, come fosse una scelta cosciente dell’artista che così caricava le sue opere di una potenza creativa ed espressiva non comune. Non ha la stessa valenza artistica il non-finito di Terni. Un rapido e triste elenco: la metropolitana di superficie, il teatro Verdi, la fontana di piazza Tacito, le aiuole e il verde dei giardini e delle rotonde, la bretella che dovrebbe congiungere via del Centenario alla Marattana, il cosiddetto Tulipano e tante altre non so che cosa. Chi ha letto gli articoli scritti in questi anni di collaborazione con La Pagina, sa bene quanto io abbia esaltato la bellezza di Terni, con quanta passione ho invitato le persone a osservare con nuovi occhi e con più attenzione quello che avevano intorno: monumenti, affreschi, chiese e palazzi e anche il risanamento di quartieri o il riuso di fabbriche dismesse. Lo slogan Terni è bella è stata quasi una costante, il mio invito a far conoscere ed amare ai cittadini questa città. Sono stata spesso accolta con un sorriso ironico e, sebbene non abbia lesinato le critiche e messo in luce le cose che non andavano, sono stata giudicata troppo positiva, troppo dolce. E allora oggi desidero unirmi al coro degli scontenti e di tutti quelli che io amo definire contro (e sono la maggior parte), riconoscendo loro il merito di stimolare gli amministratori e di mettere in evidenza come questa bella e antica città si sia addormentata, stia gradatamente subendo un degrado che è fisico e culturale. Ma andiamo con ordine. Guardiamo alla favola della metropolitana di superficie che chiamerei l’incompiuta o la metropolitana fantasma (tratta Terni-Cesi sulla linea della vecchia Centrale Umbra con ben nove stazioni intermedie). Avrebbe dovuto essere attivata nel 2002. Sono state realizzate stazioni e creati sottopassi, oggi in stato di abbandono e degrado. Il resto è stato rimandato di anno in anno (ora si parla del 2018) e per molto tempo non è stata attiva neanche la vecchia linea ferroviaria. Solo da pochissimo ha ricominciato a essere riutilizzata con una carrozza talmente brutta che ho rimpianto quando questo trenino, che aveva accompagnato per anni studenti all’Università di Perugia e operai alle fabbriche di Terni, era stato dipinto con i soliti graffiti colorati che almeno mascheravano il grigio scorticato della carrozza. La fontana di piazza Tacito: di essa tutti ricordiamo le belle cartoline che diffondevano l’immagine di Terni nel mondo. Era il simbolo della città con il suo pinnacolo d’acciaio, i suoi mosaici disegnati da Cagli, l’acqua che scendeva nella vasca come una cascata. Tante sinergie in campo per il suo restauro e per la messa in sicurezza, tanti progetti e rimpallo delle responsabilità: di fatto la situazione è in stallo e sono anni che è chiusa dietro tabelloni di legno utili solo alla pubblicità. Parlare del teatro Verdi dà tristezza. L’opera di Luigi Poletti è chiusa dal 2011 e, pur essendo stati effettuati lavori di consolidamento della staticità del pronao della facciata, attende un restauro e una riqualificazione che, tenendo conto delle normative di sicurezza, vede contrapposti due orientamenti progettuali o, per semplificare, due fazioni: chi vuole il ripristino della struttura interna originaria (recupero filologico) “ammirata per sobrietà ed eleganza” e purtroppo andata perduta con i bombardamenti dell’ultima guerra, e chi vuole un ampliamento che dovrebbe integrarsi con lo spazio circostante in una visione più moderna e flessibile. Intanto gli spettacoli vengono rappresentati nel teatro Secci, un teatro non adeguato a molte rappresentazioni tradizionali perché concepito senza sipario, con quinte strette e con molti altri problemi di fruibilità noti a chi ci lavora Forse sta succedendo per il teatro quello che successe per la Bibliomediateca quando si scontrarono due opposte visioni: chi voleva la torre dell’orologio come era un tempo svettante sull’antico Palazzo Comunale, chi voleva una progettazione moderna. Si scontenta sempre qualcuno, ma almeno è stata fatta. Per quanto riguarda le aiuole e le rotonde, qualcosa si
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Case rotte - P F a b b ri CNA- CONFEDERAZIONE NAZIONALE ARTIGIANATO Il non finito - L S a n t i n i BMP - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale ALLA SCOPERTA DI... - L S a n t i n i Il club degli unicorni - A M el a secch e Campagna Prevenzione Auditiva INMEDICA Olimpiadi di Rio: Italia fantastica! - S L upi CMT- COOPERATIVA MOBILITÁ TRASPORTI I gemelli ritrovati di Bogotà - F P a t ri zi Viaggiando in Sicilia con l’Umbria nel cuore - P Cres cim beni OSTEOPATIA IN GRAVIDANZA - M M ar tellotti Studio Medico ANTEO - Istituto di Bellezza STELLA POLARE AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI La lingua di Adamo - P a u l F ra n ço i s G eo rg elin OTTICA MARI Terremoto di Amatrice: emergenza nel paese delle emergenze - PL ACCADEMIA ACOS - C D o ro f a t t i D’estate s’andava a vendere la frutta - V G rechi HEALTH & TRAINING STUDIO - L R i cci FONDI PENSIONE - P C resci m b en i APPUNTO di Fabio Pecorelli - a cu ra d i F Patr iz i FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO Siderurgia - Omaggio a Terni - R B el l u c ci Il danno da vacanza rovinata - M P et ro cchi Radiche d’amore - P C a sa l i ITS - INNOVAZIONE TECNOLOGICA E SVILUPPO BENITO MONTESI - R B el l u cci GLOBAL SERVICE MEDICENTER GROUP
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muove, ma troppo poco: il verde incolto sta nascondendo le aiuole un tempo orgoglio della città e temo che troppa acqua dovrà passare sotto i ponti per riportare il verde cittadino al suo stato di godibilità. E che dire della bretella che congiunge via del Centenario alla Marattana? Dopo anni di lavori -interrotti perché erano stati riportati alla luce resti di Terni preromana- è stata aperta e inaugurata in pompa magna. C’è però un problema: non sbuca. E pensare che ci sono tutte le indicazioni stradali per arrivare alla zona di Maratta: alla fine della strada -bella, asfaltata, con corsia ciclabile e piazzole di sosta- dopo qualche centinaio di metri si arriva nel nulla e bisogna riprendere una delle vecchie stradine. Dunque è pressoché inutile, come è inutile il ponte che dovrà essere demolito e ricostruito perché non si trova al giusto livello della strada appena realizzata. Ecco alcuni esempi -ma ce ne sono molti altri- del non-finito di Terni. Aspettiamo ancora: quo usque tandem… abutere patientia nostra? (fino a quando … abuserai della nostra pazienza?). Ho volutamente preso in prestito l’espressione di Cicerone nella 1^ Catilinaria perché esprime perfettamente il limite di sopportazione ormai ampiamente superato e ho volutamente messo i puntini di sospensione al posto del nome Catilina, perché ognuno possa inserire chi ritiene responsabile di ciò. Io penso che non ha importanza quale progetto risulti vincente sull’altro, perché ci sarà sempre la critica per quello che sarà stato realizzato e verrà scontentata una delle fazioni cittadine. Io penso soprattutto che i cittadini abbiano perso la pazienza per questo immobilismo, per questo degrado. Essi sanno che non è questione di soldi perché alcuni di questi lavori sono già finanziati e spesso rifinanziati. Il malcontento serpeggia inarrestabile perché si percepisce l’inerzia, la trascuratezza, il pesante fardello della burocrazia e di stantie discussioni e rimandi nel tempo: tutti segnali che lasciano ormai pensare che, al fondo del problema ci sia la mancanza di un amore vero per questa città e per la sua crescita culturale. I cittadini saranno comunque contenti se queste opere smetteranno di essere Loretta Santini non-finite.
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PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
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Il club degli unicorni Unicorni, sì, ma non gli animali dal corpo di cavallo dotati di corno in mezzo alla fronte, bensì le start up tecnologiche in grado di superare il miliardo di dollari di valutazione. Imprese non mitologiche come i fiabeschi quadrupedi, ma anche in questi tempi moderni, il club degli unicorni è decisamente un club per pochi. Il bello è che si può partire da un garage per diventare un unicorno da miliardi di dollari, ma per uno che ci riesce in migliaia perdono la vita o rimangono al palo, economicamente parlando. A Darwin sarebbero piaciuti molto, confermando con la loro esistenza le teorie sulla lotta per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie traslate dalle scienze naturali alla fenomenologia economica. Precisiamo subito che gli unicorni non vivono solo nella Silicon Valley, ma iniziano a proliferare anche nel vecchio continente, dove però mancano ancora i big americani. Il mercato USA resta un caso a sé stante, innanzitutto per le dimensioni, tanto che replicarlo sarebbe impossibile. Negli ultimi mesi l’accelerazione è stata notevole, definita sbalorditiva dagli esperti del settore, e sembra proprio che la vecchia Europa abbia alzato l’asticella in tema di vitalità imprenditoriale e di contenuto tecnologico proposto. Ovviamente non è tutto rose e fiori, alcune nuove realtà spiccano il volo, altre escono dal club dei miliardari, come il famosissimo operatore di viaggi online spagnolo eDreams. Nel 2009 c’erano solo 4 startup al mondo valutate più di un miliardo di dollari, mentre oggi il Regno Unito è il maggior allevatore di unicorni, con 17 società. Un ruolo importante è svolto dalla Svezia, con 6 imprese (basta citare Spotify), seguite da Russia e Germania (con Zalando). Per l’Italia, c’è il caso di Yoox, che ad aprile 2016 aveva un valore di 4 miliardi di dollari.
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Queste aziende europee hanno impiegato tra i 7 e i 9 anni per diventare unicorni. Ma attenzione, al di là degli investimenti raccolti e delle valutazioni degli analisti, al momento soltanto il 60% degli unicorni europei fa profitti. Da start up a unicorno il percorso non è breve e il metro di misura sono i dollari fatturati. Il primo passaggio va da start up a scale up (chi riesce a fatturare almeno 10 milioni l’anno) e poi si vola al miliardo. Start up, scale up e unicorni hanno una caratteristica in comune, di solito crescono grazie agli investimenti privati e non sono quotati in Borsa. Altro fattore chiave, il business deve essere tale da poter crescere, se esistono le condizioni, molto rapidamente anche a livello internazionale. Attirano in questo modo capitali sempre più ingenti in cambio di quote azionarie sempre più piccole da investire per acquisire altre imprese, eliminando sul nascere la concorrenza, direttamente o indirettamente, e ampliare così il proprio portafoglio con nuovi prodotti, servizi e applicazioni. È noto che in questo periodo si stanno sviluppando aziende eccezionali le cui storie di mega-super-iper-successo fanno sognare molti. È bene però tenere i piedi per terra perché, a livello microeconomico, gli unicorni non possono costituire il fondamento dell’ecosistema delle start up, anche perché a volte sono il frutto di sopravvalutazioni. Sicuramente è molto interessante per l’economia nel suo complesso sostenere in maniera sana e ragionata la crescita delle start up, soprattutto di quelle che, più o meno titolate, hanno la possibilità e le caratteristiche per diventare, nel volgere degli anni, dei bellissimi unicorni. alessia.melasecche@libero.it
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Olimpiadi di RIO: Italia fantastica! Una miniera di medaglie conquistate dai nostri azzurri Abbiamo vissuto una estate illuminata dai Giochi Olimpici di Rio. Ogni quattro anni il mondo, non solo sportivo, riesce a fermarsi per dar vita a quello che è lo spettacolo più entusiasmante in assoluto: l’Olimpiade. Un fantasmagorico teatro di colori, un bazar di popoli, un immenso circo dove volteggiano atleti ed atlete, nel quale si materializzano sogni e speranze, ma anche profonde disillusioni. Partecipare ad una olimpiade è il traguardo di ogni sportivo, non c’è vittoria che valga il sapore della medaglia olimpica. L’Italia intera durante i Giochi si riconosce pienamente nella sua Nazionale, fremendo (scoprendoci perfino intenditori) anche in quelle discipline che, pur non godendo di grande popolarità, sono autentici forzieri colmi di medaglie. L’ultimo tiro di Niccolò Campriani, l’ultimo tuffo di Tania Cagnotto ci hanno portato in cielo, così come l’ultimo balzo ha strappato lacrime e medaglia dal volto sofferto di Vanessa Ferrari nel corpo libero della ginnastica. Abbiamo esultato per la medaglia d’oro nello skeet femminile della tiratrice umbra Diana Bacosi, in una finale all’ultimo piattello contro l’altra azzurra Chiara Cainero. Nella stessa serata mi raggiunge telefonicamente l’amico Luca Biscetti, sportivo vero, tiratore eccellente che ha conquistato nei mesi scorsi con la società sportiva Tiro a Volo Marmore il decimo titolo italiano a squadre nello skeet, vincendo contro campioni blasonati come l’olimpionico Andrea Benelli. Con questo risultato la società Tiro a Volo Marmore nello skeet è la prima a fregiarsi della meritata stella . Luca, per anni presidente provinciale della Fitav di Terni, è una persona schietta e diretta, crede in quello che fa e lo persegue con determinazione senza particolari mediazioni od utilitaristiche scorciatoie. Al suo sport ed alla pratica venatoria ha sempre dato tutto. Ho avuto l’onore di festeggiare con lui ed i suoi compagni di squadra la conquista del titolo italiano. È stata una serata di sport, d’amicizia ma soprattutto di vera passione. Ho conosciuto una bella realtà composta da un presidente preparato, da dirigenti ed atleti di valore. Appartengono indubbiamente, con merito, a quella meravigliosa tradizione di tiratori ternani che molto hanno dato agli allori nazionali. In quelle brevi battute scambiate al telefono Luca mi esprime la gioia per la vittoria di questa ragazza. Mi racconta che ha calcato giovanissima le pedane di tiro a Terni, di come tutti le vogliono bene, degli inizi nei Cas della Federazione e molto altro ancora, sul filo della concitazione e della soddisfazione. Un filo di commozione lega questi frammenti di conversazione. Dall’altro capo del filo un uomo di sport, un maturo professionista che si scioglie nell’emozione della sua passione. Nel quadriennio olimpico appena concluso ho ricevuto tante personali soddisfazioni dal mondo dello sport. Questa semplice telefonata tra amici è da annoverare tra quelle emozioni che solo
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chi ama lo sport può comprendere. Come non parlare poi dell’altro umbro, il folignate Andrea Santarelli che ha dedicato al narnese Carlo Carnevali, il commissario tecnico azzurro prematuramente scomparso, l’argento vinto nella spada a squadre? Forse ancora non ho realizzato -ha scritto Santarelli- cosa è successo e dove siamo arrivati. Questo momento l’ho aspettato da quel lontano 31 dicembre 2008 quando Carlo Carnevali se ne andò. Da allora ho cercato con tutto me stesso di conquistare una medaglia olimpica per dedicargliela. Ringrazio i miei compagni e lo staff della nazionale -ha aggiuntoma questa medaglia è tutta tua Carlo. Grazie di tutto! Solo lo sport riesce a scrivere pagine simili, colorando con toni pastello i sentimenti di chi lo vive. Come non citare poi l’argento della nuotatrice di fondo Rachele Bruni, l’oro del ciclista Elia Viviani nell’Omnium, od anche il duecentesimo oro nazionale conquistato da Fabio Basile nel Judo, l’oro di Garozzo nella scherma o quello magico di Greg Paltrinieri nel nuoto? Ci siamo stropicciati gli occhi con il volley maschile. La vittoria sugli Usa al tie break ha entusiasmato. La medaglia d’argento è un grande risultato per questi angeli o demoni, al pari del secondo posto nel beach volley maschile con Lupo - Nicolai. Davvero bravi. Come d’altronde nella pallanuoto: il settebello ed il setterosa ci hanno regalato un bronzo ed un argento! A medaglia anche nella lotta, nel ciclismo e nella marcia femminile. Alla fine chiudiamo al nono posto assoluto nel medagliere olimpico: 8 ori, 12 argenti ed 8 bronzi. Un risultato importante che premia il valore dei nostri atleti, facendoci dimenticare le amarezze nel ciclismo con la caduta di Nibali lanciato a medaglia ed i discutibili arbitraggi nella boxe. Delusione nell’atletica e nel tiro con l’arco che pure ci aveva abituato a grandi successi. Sul bilancio finale pesano anche le famigerate medaglie di legno, i quarti posti che sono stati una delle nostre specialità in questa Olimpiade di Rio. Che bella Italia! L’appuntamento è per i Giochi Olimpici di Roma nel 2024. Noi ci saremo. Stefano Lupi Delegato Coni Terni
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I gemelli ritrovati di Bogotà Uno è timido e non sa ballare, l’altro si lancia in pista, uno preferisce il divano, mentre l’altro ha la musica nel sangue: tutti e quattro i gemelli sono nati a Bogotà 25 anni fa, ma si sono conosciuti da poco. Da quand’è che arrotondi lo stipendio in macelleria? Chiede Ines al collega Jorge, impiegato presso un commercialista. Jorge ci ride su, Ines insiste: Quello che ho visto eri proprio te, hai fatto finta di non riconoscermi, mi stai prendendo in giro? La sera dopo torna nella macelleria e stringe amicizia con William, il sosia del suo collega. Guarda, dice Ines la mattina seguente mostrando a Jorge le foto di facebook, tu e William siete due gocce d’acqua! I due ci scherzano su, scorrono le immagini della vita del sosia macellaio finché Jorge non resta a bocca aperta: in una foto William abbraccia il fratello, che è identico in tutto e per tutto al suo gemello Carlos. Jorge e Carlos sono gemelli eterozigoti, non si somigliano in nulla, carattere opposto, corporatura diversa, soprattutto Jorge non somiglia a nessuno dei due genitori, mentre Carlos e il fratello di William sono identici a sua madre. Jorge telefona subito al fratello: Dobbiamo fare una gita, poi ti spiego. Si recano nella macelleria, ma William è in ferie. Lasciamo perdere queste stupidaggini, dice Carlos, che però tutta la notte non fa che rimuginare su queste strane somiglianze; la mattina seguente torna al negozio da solo e non appena varca l’ingresso, il ragazzo al bancone lo chiama per nome: ma non dice Carlos, lo chiama Wilber.
L a madre di Wilber e di William vive in un paesino sperduto in montagna, i suoi due gemelli sono nati in un ospedale di Bogotà lo stesso giorno di Carlos e Jorge, sono cresciuti in una baracca fatiscente, il padre non l’hanno conosciuto e la madre si è sempre chiesta da chi avesse preso Wilber, così introverso e delicato, tutto l’opposto di William, alto, muscoloso, sempre a caccia di ragazze, com’era suo padre. La madre di Jorge e di Carlos, nati in una famiglia benestante della capitale, chiede ai figli di smetterla con queste strane idee, qualsiasi cosa sia accaduta nel reparto maternità quel giorno, loro sono e resteranno i suoi gemelli diversi. Una sera i quattro si danno appuntamento per una pizza, poi vanno in discoteca. William e Jorge si presentano con la camicia slacciata, la catenina d’oro e il gel sui capelli, neanche si fossero messi d’accordo; gli altri due, molto timidamente, con un pullover e un’aria spaurita. Ad accompagnarli c’è una ragazza che studia psicologia e che li ha contattati perché vuole fare la tesi su di loro e capire quanto nella sintonia tra gemelli dipende dalla natura e quanto dall’educazione. Il volume della musica sale, i due gemelli più scaltri si scatenano, gli altri due li guardano appoggiati al bancone, poi vengono trascinati in pista dal fratello dell’uno o forse dell’altro, non si capisce bene, e si lasciano andare, non gli interessa di essere un caso da studiare, la pista da ballo ormai li ha rimescolati insieme, come la vita. Francesco Patrizi
Vi a g g i a n d o i n S i c i l i a con l’Umbria nel cuore La Sicilia, così lontana e così e così vicina, tanto diversa dalla nostra regione ma anche con tante analogie. Come l’Umbria anche la Sicilia è una regione che ha tutto; a noi manca solo il mare che a stento i laghi riescono a compensare. Il cuore verde d’Italia e il cuore storico del Mediterraneo gareggiano, forse senza saperlo, quanto a beni archeologici, culturali, risorse naturalistiche, prodotti agroalimentari, turismo di nicchia ma anche di larghi strati sociali, scuole comprese. Qualcuno sa che l’olio di Sicilia e dell’Umbria hanno ricevuto l’ambito premio Sirena d’Oro di Sorrento, unico concorso nazionale dedicato all’olio D.O.P.? La magia della Sicilia, ispirata dalla sua storia complessa ed articolata, dalle sue tradizioni popolari, dalla sua cultura profonda è in Umbria la magia del sacro, dei suoi santi, delle sue basiliche, delle sue rocche, delle sue tradizioni sacre e profane. Umbria e Sicilia per le risorse di cui dispongono costituiscono una sintesi perfetta delle bellezze dell’Italia intera ed è per questo che spesse volte le istituzioni, Camere di Commercio in
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primis, si incontrano e danno luogo ad operazioni di marketing per promuovere insieme entrambi i territori sui versanti del turismo culturale, religioso, sportivo, naturalistico ed enogastronomico. Tante risorse che non sempre, però, si identificano con vere attrazioni, ed è questa la sfida che ci attende, ed è per questo che le due regioni si confrontano perché la magia, i colori, i profumi di entrambe costituiscano un unicum, un pacchetto altamente attrattivo per chi voglia conoscere il cuore, la storia e la bellezza del nostro Paese. Queste considerazioni, insieme a molte altre, ho tratto da un recente viaggio in Sicilia, dalla costa occidentale a quella orientale, nel corso del quale la mia mente da un primo approccio di incondizionata ammirazione, è passata ad un atteggiamento quasi inconsapevolmente competitivo pensando alla nostra terra, per poi addivenire ad una sintesi assolutamente vincente quando ho compreso che Umbria e Sicilia sono due facce splendide della stessa medaglia, la medaglia chiamata Italia. Paolo Crescimbeni
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AZIENDA OSPEDALIERA
Struttura Complessa di Medicina Intern
Prof. Giuseppe Schillaci D i r e t t o r e d el D ip a r tim e nto di Me dic ina e S p ec ia lità M ed iche de lla Az ie nda O s pe dalie r a “ S . Ma r ia ” d i Te r ni
Il Dipartimento di Medicina e Specialità Mediche, diretto dal Prof. Giuseppe Schillaci, è il più grande dei Dipartimenti dell’Azienda Ospedaliera di Terni, provvedendo complessivamente a oltre un quinto di tutti i ricoveri dell’ospedale. Articolato in 11 Strutture, a direzione sia ospedaliera sia universitaria, il Dipartimento copre un’ampia gamma di specialità dell’Area Medica che comprendono oltre alla Medicina Interna e Malattie dell’Apparato Respiratorio, Clinica Medica, Oncoematologia, Clinica delle Malattie Infettive, Nefrologia e Dialisi, Endocrinologia, Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica, Andrologia ed Endocrinologia della Riproduzione, Geriatria, Clinica Dermatologica. La Struttura Complessa di Medicina Interna e Malattie dell’Apparato Respiratorio, diretta dal professor Giuseppe Schillaci, è articolata in 2 unità di degenza: le Malattie dell’Apparato Respiratorio (MAR), di cui La Pagina si è già occupata, e la Medicina Interna. LA MEDICINA INTERNA: GLI SPECIALISTI DELLA COMPLESSITÀ L’unità di Medicina Interna è costituita da 24 letti di degenza ordinaria, e una serie di Servizi e Ambulatori per la diagnosi e il trattamento delle patologie internistiche di pazienti ricoverati in ospedale o per esterni, curati dai 6 dirigenti medici del Reparto. Le sfide portate dal prolungamento della sopravvivenza delle malattie cronico-degenerative, dall’invecchiamento della popolazione, dall’immigrazione, dalla sempre maggiore quota di pazienti ricoverati che presentano più patologie, richiedono non solo una specifica competenza specialistica, ma una visione d’insieme che porti a una sintesi dei sintomi e dei dati obiettivi. In questo contesto, la Medicina Interna possiede gli strumenti culturali e metodologici per affrontare la sfida della complessita . L’attività della Medicina Interna è rivolta alla diagnosi e al trattamento delle malattie di tutti gli organi e sistemi “interni” come l’apparato cardiovascolare, digerente, respiratorio muscolo-scheletrico, il tessuto connettivo, i sistemi endocrino, metabolico e immunitario, i tumori, i reni, il sangue, le malattie infettive. L’attività ambulatoriale, con prenotazione CUP, è rivolta a pazienti inviati dal medico curante per una valutazione specialistica o provenienti da questo o da altri reparti come visita di controllo dopo la dimissione. Le attività specialistiche ambulatoriali svolte nell’ambito del reparto vanno dall’Ambulatorio di Medicina Interna all’Ambulatorio di ImmunoReumatologia all’Ambulatorio di Epatologia Virale, al Centro di Diagnosi e Cura dell’Ipertensione Arteriosa. Per assicurare queste funzioni sono stati messi a punto molteplici servizi, non solo di diagnostica clinica, ma anche di diagnostica strumentale e di laboratorio, svolte dagli stessi dirigenti medici del reparto, con formazione “sul campo” dei medici specializzandi che acquisiscono così competenze e
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autonomia (ecografia cardiovascolare, ecografia internistica, test da sforzo cardio-polmonare, laboratorio di Fisiopatologia Cardiovascolare e Medicina dello Sport con la collaborazione tecnica del dottor Francesco Papi). Tutto ciò permette alla Medicina Interna di ridurre la pressione sui Servizi aziendali (ad es. diagnostica per immagini) e di contribuire alla riduzione delle liste di attesa e della durata dei ricoveri. La Medicina Interna assicura infatti un elevato volume di ricoveri (circa 1600 all’anno), con indicatori di efficienza elevata (indice di performance) e complessità crescente (“peso medio” dei ricoveri). Il reparto di degenza è collocato al piano terra dell’ospedale. Gli ambulatori sono dislocati presso il poliambulatorio interno all’ospedale e le attività del Centro Ipertensione si svolgono al 5° piano. Attività didattica. L’Unità di Medicina Interna è sede di un’intensa attività didattica universitaria (Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di Perugia) e post-universitaria. Hanno sede presso l’Unità di Medicina Interna le Cattedre di Medicina Interna e di Nefrologia, affidate al professor Giuseppe Schillaci, e la Cattedra di Medicina d’Urgenza, affidata al dottor Giacomo Pucci. Il professor Schillaci è inoltre direttore della
S A N TA M A R I A D I T E R N I a e Malattie dell’Apparato Respiratorio Diretto dal professor Giuseppe Schillaci, il Centro si avvale del coordinamento clinico del dottor Giacomo Pucci e della collaborazione delle Infermiere Professionali Carla Dotti e Laura Mulattieri, nonché dei medici specialisti in formazione in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico. Il Centro, già accreditato presso la Società Italiana per l’Ipertensione Arteriosa (SIIA) come Centro per la Diagnosi e Cura dell’Ipertensione, è stato recentemente insignito dalla European Society of Hypertension del titolo di European Hypertension Excellence Center (Centro di Eccellenza Europeo nell’Ipertensione). Il titolo è stato consegnato lo scorso 11 giugno nel corso di una cerimonia tenutasi a Parigi in occasione del 26° Convegno annuale della società. Attivo da oltre 3 anni, il Centro Ipertensione Arteriosa di Terni esegue oltre 1.000 prestazioni ambulatoriali ogni anno, ripartite tra visite specialistiche, esami diagnostici e strumentali, studio delle forme di ipertensione arteriosa resistente e secondaria, misurazione ambulatoria della pressione arteriosa nelle 24 ore, orientati alla diagnosi e cura del paziente iperteso di difficile gestione clinica. Le visite presso il Centro Ipertensione Arteriosa si prenotano tramite il Centro Unico Prenotazioni (CUP). Il Centro svolge inoltre attività intraospedaliera di consulenza presso il Pronto Soccorso dell’Azienda ospedaliera di Terni relativamente ai casi di competenza, ed è autorizzato al rilascio della certificazione per l’ottenimento dell’esenzione dal pagamento della spesa sanitaria per ipertensione arteriosa. Alle attività cliniche si affiancano il Laboratorio di Fisiopatologia Cardiovascolare e Medicina dello Sport e il Centro di Ricerca Clinica per lo studio dell’Ipertensione Arteriosa e della funzione vascolare del Dipartimento di Medicina dell’Università degli Studi di Perugia, sede di Terni, che negli ultimi 4 anni ha prodotto oltre 80 pubblicazioni scientifiche sulle maggiori riviste internazionali.
Scuola di Specializzazione post-laurea quadriennale in Medicina dello Sport e dell‘Esercizio Fisico, che diploma specialisti esperti in medicina delle attività fisico-motorie e sportive, con prevalente interesse alla tutela della salute dei praticanti tali attività in condizioni fisiologiche e patologiche.
L’Équipe dell’Unità di Medicina Interna è costituita dal Direttore (Prof. Giuseppe Schillaci), da cinque Dirigenti Medici Ospedalieri (Dott. Giovanni Rocco Fabrizio, Dott. Marco Giuliani, Dott. Carlo Mattioli, Dott. Cristiano Pizzuti, Dott.ssa Claudia Telesca), un Ricercatore Universitario convenzionato (Dott. Giacomo Pucci) e i Medici Specializzandi in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico dell’Università di Perugia. Il Coordinatore infermieristico è il Sig. Sandro Bonifazi, e prestano servizio presso l’Unità 12 Infermieri Professionali e 3 operatori sociosanitari di supporto infermieristico.
Attività di ricerca. L’Unità di Medicina Interna è sede di un’intensa attività di ricerca clinica nei diversi campi della Medicina Interna, con particolare riferimento alle malattie cardiovascolari e metaboliche, all’ipertensione arteriosa, allo studio dell’invecchiamento vascolare e ai rapporti tra malattie reumatiche e rischio cardiovascolare. CENTRO IPERTENSIONE
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Nell’ambito della Struttura Complessa di Medicina Interna è attivo il Centro per la Diagnosi e Cura dell’Ipertensione Arteriosa. L’ipertensione arteriosa colpisce circa un terzo della popolazione adulta del nostro Paese, pari a circa 16 milioni di individui, e rappresenta, secondo i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il principale fattore di rischio a livello globale per mortalità (responsabile di circa 8 milioni di morti ogni anno) e per malattie cardiovascolari (infarto, ictus cerebrale, arteriopatia periferica) e renali.
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La lingua di Adamo 1° - L'emergere del linguaggio
La prima cosa che possiamo dire sull'origine del linguaggio è che non sappiamo quando, come e dove è nato il primo linguaggio dell'uomo, cioè un'articolazione di suoni che avesse un significato più preciso dei gesti, delle grida e dei grugniti degli antropoidi. Si tratta di un immenso divario costituitosi in milioni di anni. Le ricerche dei paleoantropologi, da quando fossili di diversi ominidi sono stati scoperti nel XIX secolo, ci hanno rivelato il fisico, la cultura ed i mezzi di vita di questi primi ominidi, ma non ci sono mezzi scientifici per risolvere, con esattezza e certezza, il mistero della origine del linguaggio. I linguisti, in studi comparativi tra le lingue più anticamente attestate, e tenendo conto d'evoluzioni fonetiche, hanno soltanto potuto proporre ipotesi sul modo di sviluppo del linguaggio. Gli antropologi sono allora intervenuti per indicare il nodo della questione, dicendo che la facoltà del linguaggio fosse legata allo sviluppo del cervello e alla posizione della laringe, che si è abbassata progressivamente da quando l'uomo ha raggiunto la deambulazione verticale. Ed è una lunghissima storia cominciata qualcosa come 30.000.000 di anni fa, quando un ramo di futuri bipedi si separò da quello delle scimmie. Si osserverà allora un'evoluzione lineare di diversi tipi fino alla comparsa, 5.000.000 di anni fa, di un ominide che verrà chiamato Australopiteco, il quale viveva negli alberi in Africa orientale. Una delle sue forme, 2.400.000 anni fa, riceverà il titolo di Homo habilis. Gli antropologi dicono che doveva aver sviluppato un importante linguaggio fatto di grida, di gesti, di attitudini e di espressioni del viso, ma che non poteva, per le due condizioni esposte qui sopra, varcare la soglia del linguaggio vocale. Ma la stazione verticale di Homo erectus, 1.500.000 anni fa, sviluppata per la necessità di vedere il pericolo in pianura, permetterà forse a questo lo sviluppo di un linguaggio vocale. Un altro tipo umano che segue, chiamato Pitecantropo, appare soprattutto in Cina e in Asia sud-orientale 800.000 anni fa. Con una capacità cerebrale leggermente inferiore alla nostra, è riconosciuto inventore del fuoco. Ma arriviamo in tempi più recenti: nel 1856 viene scoperto in Germania l'Uomo di Neanderthal, battezzato Homo Sapiens e nato più di 350.000 anni fa. Con una capacità cerebrale paragonabile con la nostra e una cultura spirituale nascente con il culto dei morti, possiamo pensare che avesse sviluppato un vero linguaggio.
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Poi viene scoperto a Cro-Magnon in Francia, nel 1868, il nostro capostipite Homo Sapiens Sapiens, presente in Europa 40.000 anni fa, che verosimilmente avrà avuto la capacità del linguaggio alla sua nascita. E forse avrà anche preso qualche elemento del linguaggio del suo predecessore durante migliaia di anni di probabili contatti, prima della scomparsa di questo. Abbiamo dunque qualche difficoltà ad individuare la stirpe nella quale nacque Adamo. Il linguaggio, infatti, era una necessità vitale per esseri che, vivendo di caccia in pianura e minacciati da carnivori più potenti di loro, dovevano sviluppare un sistema di comunicazione per coordinare le azioni comuni di caccia e di difesa. Comunque, nemmeno per i nostri cugini di Neanderthal, scomparsi circa 35.000 anni fa, possiamo sapere come sono andate le cose. Nel XVIII secolo, il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibnitz metteva in rilievo, in "Nuovi saggi sull'intendimento umano", l'imitazione onomatopeica dei suoni naturali. Il filosofo francese Etienne de Condillac diceva, nel suo "Saggio sull'origine delle conoscenze umane", che il linguaggio primitivo era costituito da interiezioni emotive. Ci sembra normale che queste espressioni individuali fossero presenti in un linguaggio che stava nascendo. Ma lo scopo principale del linguaggio dell'uomo era senza dubbio quello di comunicare con i suoi simili. Dunque, dopo una necessaria denominazione degli animali che vedeva, come fece Adamo, e dei vegetali da cui prendeva cibo, doveva esprimere i propri sentimenti: percezioni, avvertimenti, ordini, divieti, azioni, ecc. Le parole erano probabilmente brevi, come interiezioni monosillabiche, invariabili e indipendenti le une dalle altre, se prendiamo in esempio i segni cinesi che ancora oggi sono monosillabici, invariabili e senza indicazione grammaticale di genere o altra. Comunque, la nozione di grammatica, come oggi l'intendiamo, doveva farsi aspettare durante molto tempo nelle protolingue. Nel frattempo, con un'estensione facendo appello alla memoria del passato, con pensieri emotivi ed affettivi, il linguaggio si avvierà verso considerazioni future, come azioni da organizzare ed esprimere in modo non equivoco. E il linguaggio umano progredirà al ritmo della scoperta del mondo, cioè della necessità crescente di esprimersi e della Paul François Georgelin socializzazione dell'uomo.
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Te r r e m o t o d i A m a t r i c e : e m e rg e n z a n e l p a e s e d e l l e e m e rg e n z e “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” recita solennemente l’art.1 della Costituzione. Io personalmente aggiungerei “e sulle emergenze”. Nel bel paese là dove ‘l sì suona, qualsiasi evento si trasforma come per magia in emergenza. Sì,cari lettori, ne abbiamo per tutti i gusti e in tutte le salse: emergenza rifiuti, emergenza frane, emergenza immigrati, emergenza idrica, emergenza ambiente ecc... ma ce ne è una che si presenta in modo cronico, direi quasi ciclico: quella dei terremoti. Infatti alle ore 3.36 del 24.08.2016, magnitudo 6.0, puntuale come una maledizione, se ne è presentata l’ennesima che si aggiunge ad una lunga e drammatica lista. Questa volta sono stati colpiti i centri di Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto e relative frazioni, situati in una zona a confine tra Marche, Lazio e Umbria alle falde dei monti della Laga, meta ambita nei mesi estivi di turisti in cerca di tranquillità, frescura e cucina genuina. Purtroppo a farne le spese non sono stati solo i residenti, ma anche ignari turisti, alcuni dei quali stranieri che erano giunti sul posto attratti dalla bellezza della natura, come gli sfortunati ospiti dell’Hotel Roma rimasti sepolti sotto le macerie di una struttura fino a quel momento vanto del paese. Costruito cento anni fa, era considerato il simbolo della città e della tradizione locale rappresentata dal piatto tipico degli spaghetti all’amatriciana, noti in tutto il mondo e immortalati in celebri films da attori come Alberto Sordi, Aldo Fabrizi… Addirittura il piano di emergenza del comune lo aveva individuato, insieme alla scuola elementare R. Capranica, ristrutturata nel 2012, come luoghi di ricovero per eventuali calamità naturali! Le cose sono andate diversamente in quanto entrambi gli edifici sono crollati, il primo si è trasformato in tomba per i suoi ospiti, il secondo era fortunatamente vuoto per le vacanze estive. La fascia dell’evento sismico si trova in una zona sismologica molto attiva nell’ Italia centrale di cui fa parte anche L’Aquila, dove un terremoto nel 2009 provocò 300 morti e 65000 sfollati e vaste zone dell’Umbria sconvolte nel 1997 da un intenso terremoto che provocò notevoli danni, ma fortunatamente poche perdite di vite umane. Le documentazioni storiche attestano che Amatrice venne rasa al suolo da un sisma di pari intensità l’8 ottobre 1639 con centinaia di morti. Altri eventi minori si verificarono nel 1672, nel 1703, nel 1859 e nel 1883. Accumoli venne colpita nel 1627, nel 1703, nel 1730 e nel 1883. Le date parlano chiaro ed è impossibile non notare la coincidenza di alcune date prima di giungere alla botta finale del 24 Agosto scorso che ha provocato finora 294 morti. Che l’Italia sia un paese prevalentemente sismico, lo sanno tutti, basta rivolgere lo sguardo alla storia recente per sapere quanti terremoti disastrosi si siano succeduti nello scorso secolo accompagnati da emergenze relative con il loro strascico nauseante di polemiche sui ritardi, abusi, inadempienze e sprechi vari cui hanno fatto seguito denunce, processi interminabili, interpellanze parlamentari senza venir a capo di nulla e, come al solito, a rimetterci sono stati coloro che nello spazio di pochi secondi hanno perso tutto: casa, familiari, affetti, ricordi! Prima di addentrarmi nell’argomento, anche se si parla di uno scenario di morte e di devastazione, voglio iniziare con una nota positiva, consapevole che il male esiste ed è molto evidente, il bene invece passa in seconda linea; proprio da qui voglio partire. Esprimo la mia riconoscenza e ammirazione agli uomini ed alle donne dei Vigili del Fuoco, della Protezione civile, del Soccorso alpino italiano che dalle prime ore hanno lavorato al limite delle
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forze scavando anche a mani nude tra le macerie sotto un sole cocente, salvando la vita a più di 200 persone. Esprimo la mia riconoscenza e ammirazione ai Carabinieri, alla Polizia di stato, alla Guardia di finanza, all’Esercito che hanno assicurato ordine e sicurezza nelle zone terremotate, scongiurando l’odioso fenomeno dello sciacallaggio, senza dimenticare tutte le organizzazioni civili sia laiche che religiose, uomini e donne che hanno provveduto a fornire assistenza e conforto ai terremotati distribuendo loro generi di prima necessità. Fin dalle prime ore dopo l’evento, seguendo un copione scritto e riscritto più volte, sono apparsi due volti dell’Italia. Quello dell’Italia generosa e solidale, tutta cuore e sentimento, che ha risposto come sempre compatta alla richiesta di aiuto e soccorso alle popolazioni terremotate, mettendo a disposizione mezzi, uomini, donazioni. Questa è l’Italia che ci piace e nella quale ci riconosciamo! Purtroppo esiste un’altra Italia, indubbiamente minoritaria, ma ben organizzata, popolata dai soliti furbetti che non perdono l’occasione di piegare tutto a proprio vantaggio. È un’Italia cinica, cialtrona ed egoista che approfitta delle disgrazie altrui per trarre illeciti profitti, usando tutti gli escamotages per aggirare le leggi. È l’Italia, tristemente nota nei media, fatta di sprechi, di prestanome, di inadempienze in cui, secondo le parole di Paolo Grasso, “criminali diventano imprenditori e imprenditori diventano criminali”. Ricordate le ciniche parole di quel galantuomo intercettate pochi minuti dopo il terremoto dell’Aquila che al telefono diceva “io già ridevo!”? Esistono purtroppo due forme di sciacallaggio ugualmente ributtanti ed odiose: quello composto da delinquenti comuni che vanno a rubare nelle case squassate dal sisma e che non hanno riguardo nemmeno per loro stessi, rischiando la vita per pochi spicci; quello più grave composta da colletti bianchi, gente rispettabile solo nelle apparenze, in realtà spregiudicata che non si ferma di fronte a nulla pur di realizzare i propri illeciti guadagni. Quello a cui si assiste in questi giorni sembra un copione consumato: la magistratura che mette sotto sequestro immobili indagando su presunte irregolarità, i vari canali televisivi che ci presentano una lunga teoria di esperti in cui ognuno sembra volerci insegnare la soluzione dei problemi, il ritorno in anticipo di Porta a Porta, definita presuntuosamente non so da chi “il terzo parlamento” (come se non bastassero quelli che abbiamo già) con a capo il dott. Vespa che, reduce dal sole di Ponza, agita le grandi mani quasi a voler plasmare la realtà quale demiurgo della situazione. E il potere politico o meglio la casta che fa? Ovvio, nemmeno in questi momenti così drammatici riesce a trovare una doverosa e rispettosa linea unitaria. Infatti, dopo generiche e scontate dichiarazioni, sono già iniziati i distinguo. I vari partiti senza esclusioni sono troppo impegnati in giochi di potere, in polemiche interne ed esterne tanto sterili quanto lontane dalla vita reale del paese che in momenti simili ha bisogno di fatti e non di parole. Tutto questo a me sembra un tragico minuetto danzato sulle porte di un cimitero. Ma da tutti un coro unanime: NON VI DIMENTICHEREMO! E invece ci siamo dimenticati di Messina, della Marsica, del Friuli, dell’Irpinia, dell’Umbria, dell’Aquila, dell’Emilia. Staremo a vedere! Fosse finalmente la volta buona! Pierluigi Seri
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D’estate si andava a vendere la frutta Nei mesi estivi, se la frutta abbondava, il contadino si alzava all’alba per raccogliere quella matura, prima che uccelli e insetti iniziassero il banchetto. Con le prugne riempiva a metà due bigonce mettendole a strati sovrapposti, intervallati da ramoscelli con foglie per impedirne lo schiacciamento, poi le caricava sull’asina, mettendoci sopra un paio di grandi canestre di vimini piene di fichi, ricoperte con grandi foglie di scarsellone (farfaraccio) per preservarle dalle voraci vespe. Fatto ciò, la donna più anziana della famiglia, in genere la nonna, prendeva con sé un nipote per compagnia, lo metteva a cavalcioni sul basto, vi appendeva anche la bilancia e via a piedi per raggiungere il paese o la città vicina. E allora erano grida a squarciagola per richiamare le massaie alle compere: Ficheee…femmeneeee – e giù risate e sberleffi da parte dei vecchi seduti lungo la strada a godere del fresco mattutino. Attirata l’attenzione, il repertorio cambiava: Ficore e brugnuli, femmene…frischi, frischi, appena cordi (Fichi e prugne, donne… freschi, freschi, appena colti). In risposta alle grida c’era chi si affacciava alla finestra e chiedeva il prezzo (e chi, uditolo rispondeva: Magnatele) e chi scendeva dai tortuosi vicoli lacustri dell’abitato di Piediluco, con una mano in tasca a proteggere il borsellino degli spiccioli e l’altra infilata nei manici della capace sporta. C’era chi portava un canestro e chi il vassoio di legno detto capistìu, per sistemare al meglio la frutta da acquistare. Si contrattava sul prezzo ritenuto sempre troppo alto, ma alla fine non si poteva resistere dal comprare, dopo aver debitamente assaggiato le fresche prugne e i dolcissimi fichi. A vendita terminata, la nonna si accostava al cocomeraio chiedendo una bella fetta di cocomero da una lira (!) per il nipote. Co’ ‘na lira te pozzo dà solo quarche seme, nonnetta mia, rispondeva ridendo il venditore. Guastave a vui e le lire! ‘Na vòrda ‘na fetta costava du’ sòrdi! (Accidenti a voi e alle lire! Una volta una fetta costava due soldi!). Dopo aver convenuto il nuovo prezzo in lire -Costa più ‘na fetta de cocommeru che ’n chilu de brugnuli!- il nipote finalmente poteva assaporare la succosa fetta rossa come premio, poiché si era dato da fare a riscuotere e a dare il resto, visto che l’antenata aveva più dimestichezza con i centesimi anteguerra che con le lire. Anche oggi c’è chi vorrebbe abbandonare l’euro e tornare indietro alla lira, non per difficoltà a dare il resto ma solo per miopia politica. Vittorio Grechi
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DISCIPLINA PER LA PRESENTAZIONE DI RICHIESTE DI CONTRIBUTI PER L’ANNO 2016
La Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, persona giuridica privata senza fini di lucro e dotata di piena autonomia statutaria e gestionale, persegue esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico (Statuto, artt. 1 e 2) indirizzando i suoi interventi in alcuni settori previsti dalla normativa vigente. Per il 2016 il Comitato di indirizzo della Fondazione ha individuato nel Documento Programmatico Previsionale annuale i settori rilevanti e quelli ammessi verso i quali orientare l’attività istituzionale. La Fondazione svolge la sua attività istituzionale nei comuni previsti dal vigente Statuto (www. fondazionecarit.it) attraverso: a) la realizzazione di progetti propri; b) l’erogazione di contributi indirizzati a progetti predisposti da terzi nei settori indicati nel richiamato DPP dalla Fondazione e destinati a produrre risultati socialmente rilevanti in un arco temporale determinato. Ciò posto, la Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni emana il presente avviso per raccogliere e regolamentare richieste di contributi per le iniziative di cui alla precedente lettera b), da realizzare nell’ambito dei settori di seguito specificati: Settori finanziabili con il seguente avviso: - Ricerca scientifica e tecnologica - Arte, attività e beni culturali - Educazione, istruzione e formazione, incluso l’acquisto di prodotti editoriali per la scuola - Volontariato, filantropia e beneficienza - Sviluppo locale. 1) Chi può presentare la richiesta per ottenere un contributo dalla Fondazione La Fondazione esamina le richieste pervenute esclusivamente da: a) soggetti pubblici o privati senza scopo di lucro, dotati di personalità giuridica, nonché imprese strumentali, costituite ai sensi dell’art. l, comma 1, lett. h) del D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153; b) cooperative sociali di cui alla Legge 8 novembre 1991 n. 381; c) imprese sociali di cui al D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 155; d) cooperative che operano nel settore dello spettacolo, dell’informazione e del tempo libero; e) altri soggetti di carattere privato senza scopo di lucro, privi di personalità giuridica, che perseguono scopi di utilità sociale nel territorio di competenza della Fondazione, per iniziative o progetti riconducibili ad uno dei settori di intervento. 2) Chi non può presentare la richiesta per ottenere un contributo dalla Fondazione Sono escluse dagli interventi della Fondazione le richieste: - di natura commerciale, lucrativa e che producano una distribuzione di profitti; - provenienti da imprese di qualsiasi natura con esclusione delle imprese strumentali e dei soggetti di cui alle lettere b), c) e d) del precedente punto 1; - provenienti da partiti e movimenti politici, da organizzazioni sindacali o di patronato e di categoria; - provenienti da persone fisiche, con l’eccezione delle erogazioni sotto forma di premi, borse di studio o di ricerca; - provenienti da soggetti che non si riconoscano nei valori della Fondazione o che comunque perseguano finalità incompatibili con quelle dalla stessa perseguiti. TERMINI DI PRESENTAZIONE DELLE RICHIESTE Le richieste di contributo potranno essere presentate nel seguente periodo: dal 1°/07/2016 al 30/09/2016. Le richieste di contributo che perverranno in questo periodo saranno esaminate entro il 31 dicembre 2016. Dovrà essere presentata una richiesta per ciascun progetto per il quale si chiede il sostegno finanziario. Le richieste dovranno essere indirizzate,
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a mezzo lettera raccomandata A.R., alla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Corso C. Tacito, 49 - 05100 Terni, ovvero a mezzo P.E.C. (fondazione.carit@pec.it), ovvero a mezzo raccomandata a mano che potrà essere consegnata presso gli uffici della Fondazione all’indirizzo sopra indicato, rigorosamente in busta chiusa, dal lunedì al venerdì dalle ore 11,30 alle ore 13,00. Il richiedente dovrà presentare la documentazione richiesta dalla Fondazione. Per la presentazione delle richieste, la modulistica è disponibile e scaricabile dal sito internet della Fondazione www.fondazionecarit.it. Tutti i dati forniti saranno trattati nel rispetto delle previsioni del D.Lgs. 196/2003 per le sole finalità legali ed amministrative della Fondazione. SONO ESCLUSE LE RICHIESTE relative a progetti proposti da organizzazioni di volontariato che possono beneficiare di erogazioni da parte del CE.S.VOL.; relative a erogazioni generiche e/o a copertura di disavanzi economici e/o finanziari pregressi. ESAME DELLE RICHIESTE La Fondazione potrà discrezionalmente: 1. accogliere integralmente o parzialmente la richiesta di contributo; 2. definire le modalità e la cadenza di erogazione del contributo concesso; 3. riservarsi di richiedere ulteriore documentazione, anche in momenti successivi alla conclusione del progetto, e compiere ogni accertamento che ritenga opportuno; 4. riservarsi il diritto di accesso nei luoghi ove si realizza il progetto o si svolge l’attività e la facoltà di controllare in loco lo stato di avanzamento dei lavori. OBBLIGO DELLA RENDICONTAZIONE L’erogazione delle risorse deliberate per l’intervento è effettuata di norma a consuntivo sulla base della presentazione del rendiconto analitico di cui all’allegato 2 “Richiesta liquidazione contributo” e secondo quanto previsto dal Manuale di rendicontazione che fa parte integrante del presente avviso, oltre alla seguente documentazione: impegno del richiedente a presentare alla Fondazione, entro 60 giorni dall’approvazione, i bilanci consuntivi dell’anno in cui è stato richiesto il contributo e dell’anno in cui è stato erogato; relazione finale contenente informazioni esaurienti in merito alla realizzazione del progetto e allo specifico utilizzo del contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni; rassegna stampa relativa al progetto; documentazione fotografica relativa al progetto. REVOCA DELLE EROGAZIONI La Fondazione potrà revocare l’assegnazione qualora: a) siano accertati i motivi che inducano a ritenere non possibile la realizzazione o la continuazione del progetto o del sostegno; b) sia accertato, all’esito della verifica della rendicontazione, l’uso non corretto dei fondi erogati; in questo caso la Fondazione potrà in qualsiasi momento disporre l’interruzione della contribuzione e richiedere la restituzione delle somme già eventualmente versate; c) il soggetto beneficiario non abbia dato seguito ai contenuti del progetto proposto ovvero alle eventuali indicazioni della Fondazione per la sua realizzazione; d) il soggetto beneficiario non abbia concertato con la Fondazione le attività di comunicazione relative al progetto; e) sia accertata l’esistenza di ulteriori contributi di altri Enti non precedentemente dichiarati; f) sia decorso il periodo previsto dal Regolamento per l’attività istituzionale per la realizzazione del progetto e per la rendicontazione dello stesso. IL PRESIDENTE (Luigi Carlini)
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Il d a n n o d a v a c a n z a ro v i n a t a L’argomento è già stato trattato in precedenza ma al rientro delle ferie qualcuno, purtroppo, sarà rimasto deluso dal suo tanto agognato periodo di riposo e, pertanto, ritengo utile fare di nuovo il punto della questione, vagliando la giurisprudenza nel frattempo intervenuta e tenendo conto del fatto che dal Codice del Consumo si è passati al Codice del Turista, circostanza, questa, che evidenzia l’importanza della materia. Il Codice del Turismo definisce il “danno da vacanza rovinata“ come “un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta”, a patto che l’inadempimento sia “di non scarsa importanza“ (art. 47). Si tratta evidentemente di voce di danno non patrimoniale da distinguere dal vero e proprio danno patrimoniale consistente in una perdita economica immediatamente percepibile e valutabile, quale la perdita del bagaglio, oppure l’esborso necessario per far fronte alla cancellazione di un volo, solo per fare alcuni esempi. Il danno da vacanza rovinata consiste proprio nella perdita di una occasione di relax e si verifica quando non si è potuto godere pienamente del viaggio come occasione di piacere, di svago o di riposo, ma, anzi, si è patito quel disagio psicofisico che si accompagna costantemente alla mancata realizzazione del programma previsto. E ciò soprattutto oggi per la particolare importanza che si attribuisce alla ferie a causa degli elevati livelli di stress normalmente raggiunti nella nostra vita quotidiana. Tutto ciò non significa comunque che vi sia una forma di automatismo risarcitorio, ed infatti, sarà sempre necessario fornire la prova del disagio in concreto patito “Il danno non patrimoniale da vacanza rovinata richiede la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dall’istante, al fine di accertarne la compatibilità col principio di tolleranza delle lesioni minime (precipitato, a propria volta, del dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 cost.), e si traduce in un’operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, dalla constatazione della violazione della norma di legge che contempla il diritto oggetto di lesione, attribuisce rilievo solo a quelle condotte che offendono in modo sensibile la portata effettiva dello stesso” . Cass. civ., sez. III, 14-07-2015, n. 14662. In punto di onere della prova il turista è tenuto sempre a provare le caratteristiche del contratto di viaggio, allegando le circostanze dell’inadempimento di controparte mediante fotografie dei luoghi che evidenzino la differenza tra quanto in origine pattuito e quanto in concreto ricevuto. Ma ricordate che il diritto al risarcimento del danno alla persona si prescrive in tre anni dalla data del rientro dal luogo di partenza, salvo il termine di diciotto o dodici mesi per quanto attiene all’inadempimento di prestazioni di trasporto comprese nel pacchetto turistico per le quali si applica l’articolo 2951 del codice civile, ex art. 44 Codice del Turista. Per quanto concerne il danno non alla persona il diritto al risarcimento del danno si prescrive in un anno dal rientro del turista nel luogo della partenza ex art. 45 Codice del Turista. Quindi non buttate mai nessuno dei documenti forniti all’atto della prenotazione, fate foto dettagliate e se qualcosa non funziona a dovere scrivete immediatamente al vostro rientro una raccomandata a.r. con tutte le contestazioni del caso. Buona lettura del Codice del Turista a tutti! legalepetrocchi@tiscali.it
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R a d i c h e d’amore Mi’ nonnu stéa dicenno... Terni mia... ‘n tembu che non pòzzo più scorda’, co’ ppochi sòrdi e ‘n bo’ de fantasia me déi tantu gustu de campa’. Erimo ggente tantu labboriosa... chi era condadinu e cchi artiggianu... non c’era ‘st’esistenza turbinosa e anche lo magna’ era più ssanu. Tutte le donne stéono llà ccasa mentre nojandri fòri a llaora’... de fiji ce ne stéono ‘na spasa e cc’éi pure tempu pe’ rruzza’. Caru nonnu… te j’ho ddittu… ma perché nun te stai zzittu tu quann’éi laoràtu te mettéi ggiù sdrajàtu mentre nonna ‘l riposa’ lu passàa a sfaccenna’... quistu essa m’arcontatu e ttu... te ne sì scordatu. Ce stéa pure Terni ‘ndustriale... lui come gnente fosse ha ‘rsiguitatu... e cchi cce lavoràa ... bbene o mmale ciaéa qui la stòzza ‘ssicuratu. Vidissi quanta ggente qqua ‘n città... pure vinuti da li colli ‘ntornu co’ la speranza de lo guadambia’ fòri de casa tuttu ‘l santu giornu. Noi ‘emo fattu postu ‘nche a le donne e ‘emo dimostratu ‘n’onestà... ch’ a ddilla come mmo’ po’ corrisponne ave’ rraggiuntu quarche parità. Caru nonnu... te j’ho ddittu… ma perché nun te stai zzittu quillu ch’ete voi scartatu sulu noi l’emo ‘rraffatu. Doppo quillu fatiga’ c’era a ccasa lo sgobba’... quistu nonna m’arcontatu e ttu… te ne sì scordatu. Ma tuttu quillu ch’è ssuccessu prima cià ‘n bo’ portatu a èsse come ssemo… m’ha dittu nonnu degnu de più stima… e ttuttu po’ anna’ mèjo se vvolemo. Sicuru che nojandri sèssu forte noi sfrutteàmo tantu la ‘gnoranza ma pe’ ffurtuna nostra o bbòna sorte le donne c’éono tanta ‘ccomodanza. Cercamo d’azzecca’ ‘n bo’ la misura e addopra’ più vvorde anche lu còre ‘n modo che la vita nun ze scura in questa città nostra de l’amore. Caru nonnu ciài raggione ma non fatte mo’ illusione a ‘stu puntu ‘n do’ che stamo noi co’ ggustu seguitamo se sso’ radiche d’amore mo’ mettemo anche lu core… quistu nonna ha dichiaratu ma no’ mme l’ha ‘ssicuratu. Quistu munnu è ffattu a scale chi le scenne e cchi le sale basta pocu a fatte pènne che dall’ardu déi scenne... se sso’ radiche d’amore mo’ mettemo anche lu còre. Paolo Casali
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Benito Montesi
Da semplice, ma grande, pallavolista della mitica Bosico Volley di Terni, agli incarichi piÚ alti, per la Federazione italiana e per la Federazione mondiale, di uno sport nobile e bello. Attualmente è, tra altri incarichi sportivi, Coordinatore Tecnico Sportivo Settore Sitting Volley Nazionale. Un autentico vanto per la nostra città . Giampiero Raspett i 30
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