Perennemente primordiali
Noi furbi
Raffaela Trequattrini
Giampiero Raspetti Nell’articolo “Hanno colpito New Orleans la città del peccato” (D. Olivero, La Repubblica, 3 settembre) si legge: L ’America fondamentalista tira in ballo l’uragano Katrina interprentandone disegni e fini. Che a parlare siano integralisti cristiani, musulmani, ebrei, evangelici, seguaci New Age, il messaggio è sempre la stesso: Dio ci ha punito. Una punizione declinata in base all’esigenza del predicatore di turno: per i peccati secolari di N. O., per la politica pro-Sharon di Bush, per aver offeso la Madre Terra con una politica ambientale disastrosa, per fermare un Gay Pride che doveva avere luogo questo fine settimana. Uno dei motivi più evidenti per punire N. O. è che la città è notoriamente peccaminosa almeno dai tempi di Storyville, il quartiere dove alcol,
Foto di Alessia Melasecche
Si dice che nel nostro Paese, a partire dagli anni ’80, abbia cominciato ad imperversare una logica competitiva all’americana, che trova la sua massima espressione negli ambienti di lavoro, per la quale pur di risultare i migliori si sarebbe disposti a vendere l’anima al diavolo e a calpestare il cadavere di chiunque. Ora vi aspetterete che io voglia denigrare l’arrivismo (definito da alcuni imprenditori illuminati la sana competizione), ma non è così, al momento. Non ce ne sarebbe ragione… Giacché io credo in realtà che questo fenomeno, dai connotati deprimenti e secondo me d’origine tutt’altro che sana, ultimamente interessi di fatto la netta minoranza dei lavoratori; ma non nel senso che la gran parte di essi cerchi di dare il massimo, spinta da motivazioni meno malate, come sarebbe auspicabile, quanto piuttosto perché l’intento
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N° 7 - Settembre 2005 (27)
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Star sempre meglio!
Integralismo:
Vincenzo Policreti
Monica Tarani
Noi psicologi siamo quotidianamente a contatto con una constatazione sconcertante: nella grande maggioranza dei casi i rimedi che si escogitano per supplire ai guasti della vita, anziché migliorarla la peggiorano. Qualche esempio? La gelosia rende la persona sgradevole, proprio quando sarebbe necessario fosse più gradevole; gli incoraggiamenti ai depressi li deprimono sempre più, le esortazioni a mangiare alle anoressiche e a non farlo alle bulimiche, ne aggravano i rispettivi disturbi… e si potrebbe continuare. Purtroppo la cosa non si limita alla psicoterapia. Nei rapporti tra le persone e tra i popoli, che di persone sono composti, quelli che vengono comunemente ritenuti rimedi tendono
Andiamo in discoteca? Perché invece non facciamo quattro passi sulla luna? Stando a quanto dicono gli esperti, non passerà molto che frasi come queste saranno roba di tutti i giorni. Bisogna ammetterlo, l’uomo ne ha fatta di strada da quando se ne andava in giro per le caverne con la clava in mano! Eppure, nonostante tutto, l’umanità ha conservato immutata una propria caratteristica, una costante che l’ha accompagnata nel lungo, faticoso cammino: i più grandi gesti d’amore così come le peggiori atrocità sono stati tutti compiuti in nome della religione. Pagani, cristiani, musulmani accomunati dallo stesso desiderio di compiacere la divinità adorata.
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ad ognuno il suo
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Donne Il cielo NARNI SCALO La Settimana dell’Artista 2005 BACONE DA TERNI Educazione al cibo SLOW FOOD Lo zoo di Simona
Il ritorno degli ALTOFORNO Stranieri DOC L’ONU dei giovani Tipi Gruppo Centralmotor
Tecnologia e qualità della vita...
Badanti d’Egitto
Alessia Melasecche
Francesco Patrizi
…ecco i fili conduttori dell’Esposizione Universale di Aichi 2005 (Nagoya, terzo polo industriale del Giappone). Una fiera della modernità, che ha preso il via il 25 marzo e resterà aperta al pubblico fino al 25 settembre. Per la prima volta un’Esposizione Universale si ispira ad un tema ambientalista: La saggezza della natura, rilanciando così la necessità, più che mai urgente dopo Kyoto, di uno sviluppo compatibile con l’ambiente. Due simpatiche mascotte per l’evento: nonno e nipote, ovvero Kikkoro e Morizò campeggiano ovunque in Giappone (fuori e dentro l’Expo). L’Expo 2005 è anche una grande avventura di marketing, che coinvolge più di 120 Paesi di tutto il mondo che per
Le vedi in giro solo il giovedì pomeriggio; camminano senza guardarsi troppo intorno, non fissano le vetrine dei negozi, non sorridono quasi mai. Per vederle sorridenti bisogna andare al parco della Foresteria, dove si ritrovano tra connazionali, si portano da mangiare e qualcuna si fa tagliare i capelli da un’amica. Sono le badanti ucraine, le più richieste, le più serie, le più instancabili. A volte chiedono un po’ stupite perché i ragazzi, dopo la scuola, si stravaccano sul divano dove loro stanno facendo le pulizie, invece di andare a lavorare come i coetanei ucraini. Ancora non hanno capito come funziona in Italia. E pensare che fino a settanta anni fa le badanti le esportavamo noi.
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Noi furbi maggiormente diffuso mi sembra quello che si può riassumere nella frase minimo sforzo per il minimo rendimento accettabile! Sarebbero ben lieti i vari dirigenti, pubblici o privati, di avere alle loro dipendenze gente che se non riesce ad emergere dalla massa si sente fallita, insoddisfatta, frustrata, per non dire di peggio; ma la verità è che dopo aver assistito ad innumerevoli casi in cui le competenze e la validità delle prestazioni hanno dovuto soccombere di fronte a tessere di partito o a fenomeni di esagerata accondiscendenza nei confronti dei capi, qualcosa si è rotto. Così, in un’Italia dove la parola meritocrazia ormai fa ridere anche i polli (cioè noi stessi…), l’intelligenza e le capacità di una persona, nell’ambito della sua attività, non si valutano più in relazione alla qualità dei risultati conseguiti, ma alla quantità di energie risparmiate alla faccia di chi paga lo stipendio. E se è lo Stato… tanto meglio!!! Conseguenze per il lavoratore: il lavoro si trasforma in un peso quotidiano, magari poco gravoso, ma squallido ed alienante; non è piacevole dedicare tanto tempo della propria vita ad un’attività che non offre alcuna soddisfazione. Conseguenze per il datore di lavoro: si sente costretto ad assumere atteggiamenti guardinghi e malfidati, entrando in uno stato di stress che non può certo migliorare la situazione, specie se la si valuta nell’ottica delle più moderne strategie manageriali. Tenere tutto sotto controllo in molti casi è assolutamente impossibile, e anche quando lo fosse, incide in modo negativo sulla motivazione dei dipendenti, quindi, sul loro rendimento. Conseguenze generali: la qualità dei servizi risulta scadente e scadente risulta la qualità della vita. E pensare che noi Italiani ci sentiamo un popolo di furbi…!!! R. Trequattrini
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Star sempre meglio!
con scoraggiante regolarità ad aggravare i mali che dovrebbero curare. Basti pensare alla legge del taglione, invano avversata dalla religione col prescrivere di porgere l’altra guancia. Non ci vuol molta intelligenza per capire che, se rendiamo male per male, non faremo che indurre l’altro ad aumentare il male verso di noi e poi ancora il nostro verso di lui in una spirale mefitica. Che le persone semplici non lo capiscano è anche comprensibile, giacché la spiegazione di tanta irrazionalità sta nell’emozione, non nella ragione. Ma che tale principio stia ancora alla base d’istituti di diritto internazionale, come la Rappresaglia, è cosa che lascia veramente sconcertati. Purtroppo capita la stessa cosa con molti dei mezzi che escogitiamo per renderci la vita più facile. Il telefonino ne è un ottimo esempio. Presentato come un mezzo di enorme comodità, in quanto permette di contattare chiunque, ovunque e in qualunque momento, e quindi in teoria di migliorare la comunicazione tra esseri umani, s’è rivelato, per il benessere, quasi disastroso: infatti, distruggendo implacabilmente la sfera privata (chiunque ti può chiamare anche mentre fai l’amore o stai al cesso) ha aumentato in maniera esponenziale lo stress, già oltre il limite della tollerabilità, cui siamo tutti esposti perché ormai nemmeno chi il telefonino non usa (rara avis) può fare un discorso filato con nessuno, a meno che non incontri un’altra rara avis come lui, avis che essendo
LA PAGINA Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838 Tipografia: Umbriagraf - Terni Consiglio di redazione M. Battistelli, E. Bertini, A. Ratini, A. Scalise, G.. Talamonti, S. Tommasi, S. Trastulli, C. Visaggio, G.. Viscione
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appunto rara, di regola non troverà. Ma a questo inconveniente se ne aggiunge un altro anche peggiore: il fatto che il comunicare tramite cellulare abbia un prezzo tutt’altro che trascurabile, fa sì che le conversazioni tendano ad essere sintetiche o addirittura scritte, come negli sms. Il parlar tranquillo, gratuito e ponderato viene quindi sostituito da un dire sintetico, essenziale, veloce che elimina il valore delle pause, delle mezze parole, in breve, della riflessione e del pensiero. Insomma: questo strumento diretto a migliorare la comunicazione, non solo non la migliora, ma la peggiora decisamente, eliminandone quell’elemento sottile e umano senza il quale è addirittura dubbio che la comunicazione possa esser davvero tale. Si tratta probabilmente di un’incapacità, forse atavica, dell’uomo di integrare i suoi bisogni reali, espressi dai suoi valori tradizionali, con le acquisizioni, oggi rapidissime, della scienza. Alcuni immaginano la soluzione in un radicale rifiuto della scienza stessa; ma poi, se si eccettuano i veri e propri barboni, delle acquisizioni scientifiche non riuscirebbe in realtà a fare a meno nessuno: ve lo immaginate l’accendersi una sigaretta strofinando due bacchette tra loro? Ma è pur vero che anche altre possibili soluzioni (p. es. un uso non consumisticamente voluttuario del mezzo tecnico) cozzano anzitutto contro una generale mancanza della coscienza degli inconvenienti che il mezzo produce, poi contro una chiara indisponibilità del grosso pubblico ad un uso razionale del mezzo stesso. Senza contare gli interessi economici enormi che vi stanno sotto e che fruttano guadagni sufficienti ad impedire, a chi ha denaro e potere, anche se privo d’etica, che tutto quello che ho scritto fin qui venga conosciuto e diffuso. V. Policreti
RIFKIN E ILSINDACO
Integralismo: ad ognuno il suo I libri di storia sono pieni di sacrifici umani, di cristiani inchiodati al palo, di San Francesco, di missionari, di Teresa di Calcutta; così come lo sono di crociate contro gli infedeli, di roghi di streghe, di tribunali dell’Inquisizione. Cose di altri tempi? Vorrei poter dire di sì con totale convinzione, ma non me la sento. I giornali ci danno quotidianamente notizia di kamikaze che si fanno saltare in aria seguendo i precetti del Corano, perché il Corano è la legge, e chi muore per la giusta causa sarà portato nella gloria di Allah. Integralismo tutto islamico che non ha niente a che vedere con la cultura occidentale? Solo per quello che riguarda i suoi aspetti più cruenti, perché c’è un tipo di estremismo religioso, più subdolo e perciò altrettanto allarmante, che si sta insinuando anche nella nostra cultura. La fortuna ha voluto che il Cristianesimo, a differenza della religione islamica, si diffondesse nei Paesi d’Europa, dove menti illuminate di protestanti, anglicani in testa, hanno posto un freno allo strapotere temporale della Chiesa (religione sì, ma le leggi le fa lo Stato), dando così il via alla laicizzazione e quindi alla modernizzazione degli Stati. Grande conquista per quei tempi, fatto scontato per i tempi correnti; o almeno così dovrebbe essere. Dico dovrebbe, al condizionale, perché da qualche tempo ho la strana, sgradevole impressione che ci si stia allontanando dal civilissimo principio libera Chiesa in libero Stato e ci si stia abbandonando ad una nostalgica quanto pericolosa regressione, che tanto ricorda il più oscuro Medioevo. Qualche esempio? Nella cattolicissima Italia la Chiesa detta legge in materia di sessualità e di morale; nelle
scuole pubbliche si insegna religione cattolica, invece di una più interessante storia delle religioni, peraltro molto più consona ad una società multietnica, quale è quella in cui viviamo. Per non parlare dell’ultimo referendum, in cui l’interferenza del Cardinale Ruini è stata a dir poco vergognosa. Tutti dobbiamo stare in allerta, perché nessuno sfugge all’occhio vigile della censura cattolica. Ne sa qualcosa la scrittrice J.K.Rowling, che ha visto annoverare il suo Harry Potter, simpatico mago sempre in lotta contro le forze del male, tra i nemici della religione cattolica. E a lanciare l’accusa non è stato un Don Abbondio qualsiasi, ma nientemeno che il Cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI. Qualche differenza con le medievali consuetudini di bruciare i libri nelle piazze, metterli all’indice o sconsigliarne la lettura? A me viene in mente la condanna a morte emessa dagli integralisti islamici nei confronti di Salman Rushdie, autore dei famigerati Versetti satanici. E a voi? M. Tarani
Molto, molto apprezzati la presenza e l’intervento del Sindaco Raffaelli alla conferenza di Jeremy Rifkin il 3 settembre a Terni. Per chi non lo sa, Rifkin è uno studioso americano di livello internazionale che, come tutte le persone di cultura o quanto meno di buon senso, teme per il futuro del nostro pianeta. Il modello di evoluzione basato sul petrolio – sostiene – da un lato porta a un inquinamento crescente, dall’altro consente a pochi potenti, di avere in mano le chiavi dello sviluppo mondiale mediante il controllo dell’energia, facendo per sé la parte del leone. Contro tale modello Rifkin propone una produzione di energia dall’idrogeno, che si ricava dall’acqua ed è quindi aperto a tutti, mediante energia solare, aperta a tutti, che verrebbe prodotta dai singoli privati secondo i bisogni; privati che, connessi l’uno all’altro da una rete, esattamente come già avviene con Internet, si scambierebbero i surplus, in un sistema completamente democratico di compensazioni incrociate, che taglierebbe fuori definitivamente tutte le lobby, le competizioni, le guerre per l’energia. Un’idea stupenda, una vera e propria rivoluzione. Utopia? Ogni idea nuova lo sembra, all’inizio. Sacrosanta quindi la presenza del Sindaco, che appartiene ad una parte politica che della democrazia ha fatto un vessillo cui riesce perfino talvolta a tener fede. E tuttavia… il Sindaco di Terni non fa mistero, nella sua onestà, di essere fautore del progetto di centrale elettrica da 800 megawatt (riducibile a 400, che tanto poi a 800 ci si porta dopo), il cui massacrante impatto ambientale si giustificherebbe per asserite, ma erronee esigenze di produzione. Con le idee di Rifkin si trova quindi in diametrale disaccordo. Allora delle due l’una: o il nostro Sindaco s’è scordato come la pensava (in politica non solo può capitare, ma può essere anche giusto), oppure ha finalmente cambiato idea; e in questo caso, venga pubblicamente lodato proprio da chi, come noi, questa sua convinzione avversa e avversò. Comitato civico contro la centrale
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Perenneme n t e p r i m o r d i a li prostitute e gioco d’azzardo si mescolavano al ritmo delle note di King Oliver e del jazz che stava nascendo. I primi a far notare che Dio finalmente si era stufato sono quelli di Repent America, sede a Philadelphia, che si definiscono cristiani che agiscono per salvare coloro che bruceranno per l’eternità. E così Dio avrebbe fermato anche il Martedì grasso, festa pagana in cui uomini e donne ubriachi si lasciano andare a sesso ed eccessi. Senza contare che, come scrive sul suo sito il direttore Michael Marvage, in Lousiana ci sono 10 cliniche abortiste, 5 solo a N. O. e questo rende la città “la capitale mondiale dell’omicidio”. Come già avvenuto per lo tsunami del 26 dicembre scorso, anche molti integralisti islamici sono impegnati a rivendicare il ruolo di Dio. Il “terrorista Katrina è uno dei soldati di Dio”, si trova scritto sul quotidiano del Kuwait Al Siyassa. “Katrina è stato inviato da Dio per combattere al nostro fianco”. Il pensiero di codesti signori suona come primordiale: esiste solo la loro concezione del mondo. Per costoro perfino lo studio sull’elettricità è stato diabolicamente peccaminoso, perché anche il fulmine, come le pesti, le carestie, tutti i peggiori mali, erano (e sono) considerati punizione divina quindi da accettare supinamente e penitentemente. Q uando Benjamin Franklin inventò il parafulmine, il clero, sia in Inghilterra che in America, condannò subito “l’empio tentativo di ostacolare la volontà di Dio”. Infatti, come ben sapevano tutte le persone ragionevoli, il fulmine viene inviato da Dio per punire l’empietà. Le persone virtuose non vengono mai colpite dai fulmini. Quindi, se Dio voleva colpire qualcuno, Franklin non avrebbe dovuto ostacolare il Suo Disegno; anzi, farlo sarebbe equivalso ad aiutare i criminali a scamparla. Ma Dio fu all’altezza della situazione, se dobbiamo dar credito a ciò che dice il dr. Price, uno dei maggiori teologi di Boston. Dato che il fulmine era stato reso innocuo dai “pali di ferro inventati dal
Te c n o l o g i a e q u a l i t à d e l l a v i t a . . .
sagace dr. Franklin”, il Massachusetts fu squassato dai terremoti, che il dr. Price ritenne fossero stati causati dall’ira di Dio nei confronti di quelle “punte di ferro”. In un sermone egli disse: “A Boston ne sono stati eretti più che in qualsiasi altro posto in New England e Boston sembra essere quella più tremendamente squassata. Oh! Non esiste scampo dalla mano potente di Dio”. [Bertrand Russel, Rassegna di assurdità intellettuali, Haldeman-Julius, 1943.]
Per taluni la vita è odio, arroganza e sopruso: penitenze (per gli altri), privilegi (per se stessi). L’uomo mistico ha ostacolato anche tutti i medicamenti che lenissero il dolore, ha inflitto crudeli sofferenze ai pazzi perché ritenuti posseduti dal demonio, deducendone che qualsiasi dolore sofferto dal pazzo sarebbe stato sofferto anche dal diavolo per cui il poveretto era selvaggiamente percosso fin quando il diavolo non si decidesse ad abbandonarlo. Al loro paragone, Nerone, Hitler, Stalin, appaiono misericordiosi. L’uomo mistico si opporrà sempre al bene ed al progresso dell’umanità alla quale cercherà di far infliggere tante altre torture in nome della sua verità, che ritiene assoluta, e che ostenta con il nome di morale. Si tratta spesso di superstizione e si fonda sulla paura: paura della sconfitta, della morte, dell’aldilà. Il dogma nutre la paura. La paura genera la crudeltà. La scienza è riuscita a farsi strada lottando contro vecchi pregiudizi (superstitio: sopravvivenza del primordiale). La coraggiosa scienza e la mente evoluta possono educarci a smettere di cercare sostegni ideali, a non inventare alleati celesti per le nostre becere beghe, piuttosto a far sì che il nostro comportamento qui, su questa terra, sia tale da farne un luogo ove vivere tutti fraternamente, senza odi e rancori, e ad emarginare quegli interessati professionisti del mistero e del terrore che infangano, colpendoli alla radice, gli altissimi sentimenti di moralità e di religiosità nutriti da una umanità non più G. Raspetti primordiale.
sei mesi rappresenteranno il meglio delle proprie industrie e della propria ricerca, cercando di colpire i visitatori: dall’esibizione dei lottatori di sumo e di lotta greco romana, tra loro a confronto, nel padiglione della Spagna, al filmato toccante ed commuovente sui mali del mondo della Francia (che i pronostici danno come vincente del primo premio), alle atmosfere da foresta pluviale in quello messicano, alla linearità e all’armonia di quello coreano, alla voluta mastodonticità di quello cinese, all’operosità di quelli del sudest asiatico (più che in un’esposizione ci si ritrova in un laboratorio, dove si dimostra, si produce e soprattutto si ven-
de!), alla genialità di quello americano dove una simpatica riproduzione di Benjamin Franklin introduce alle nuove conquiste della tecnica e della scienza (il tutto finisce con una vera e propria doccia a cui sono sottoposti gli ignari visitatori dopo che un fulmine interattivo ha colpito, tramite un aquilone, una chiave di ferro, riprendendo così il noto esperimento che ha dato vita alle ricerche di Franklin), ecc. All’Italia, presente con un proprio padiglione, è stato affidato il compito di sviluppare il tema dell’Arte del vivere, un
successo annunciato e più di 10.000 visitatori al giorno. L’intenzione di rappresentare il vivere italiano secondo un’impostazione emozionale ha guidato il percorso progettuale, proponendo non un allestimento tradizionale fatto di oggetti ed informazioni, ma un luogo di coinvolgimento totale dei sensi: paesaggi, acqua, luce, materie da toccare, suoni, odori ed immagini avvolgenti. Lentamente ci si avvicina al fulcro del padiglione, in un’area dove si racconta la storia del Satiro Danzante, statua del IV secolo a.C., attribuita a Prassitele, ripescata nel 1998, nel canale di Sicilia e completamente restaurata. Nella cavità oscura della grande sfera che la contiene è possibile girare intorno all’opera su un percorso sospeso, che la fa apprezzare a quote diverse e ne evidenzia grazia e armonia (il cantautore Franco Battiato ha composto una serie di brani suonati in sottofondo). Uscendo ci si ritrova in un’area interamente dedicata alle Regioni Italiane (quelle che hanno voluto partecipare!), dove ciascuna presenta al pubblico la propria identità (spiccano il Piemonte con una Fiat 500 riprodotta a grandezza naturale interamente in cioccolato bianco; la Regione Friuli il cui stand è progettato da Missoni; la Sicilia dove campeggia un olivo secolare trasportato con mille attenzioni dalla terra d’origine). Tra le linee guida tracciate per la progettazione dell’allestimento del padiglione italiano, la scelta ambientale si è indirizzata in maniera primaria verso la sostenibilità dello sviluppo dei prodotti industriali attraverso l’impiego di una certa quantità di materiali e componenti italiani con un
basso impatto ambientale (riciclabili o riciclati) e l’utilizzo di tecniche di assemblaggio e posa in opera che ne facilitino il riuso. Il progetto del padiglione, nel rispetto delle strategie economiche nazionali e internazionali sul modo di produrre e di consumare, è sintetizzabile dalle linee guida dei programmi 3R’s (Reduction, Reuse, Recycling) e 3L’s (Low cost, Loose fit, Long life). Oltre ai padiglioni nazionali non potevano mancare quelli dei grandi gruppi tecnologici giapponesi (Toyota, Itachi, ecc.), quelli solidali, oltre a quelli eco-solidali, (United Nations, Croce Rossa e Mezza Luna, ecc.), il padiglione del Comune di Nagoya, ente ospitante, con il caleidoscopio più grande del mondo, e poi…un chilometrico loop centrale
completamente in legno per raggiungere a piedi ogni estremità dell’Esposizione, una funivia e mezzi di trasporto terrestri al limite della fantascienza, giornate a tema, spettacoli continui, megaschermi giganti ad alta risoluzione, bandiere, montagne russe e ruote panoramiche, presentazioni di treni iperveloci (l’ambizioso Giappone non si accontenta più dei tre Shinkanzen, i treni proiettile, che marciano a soli 300 km/h, ora si mira ai 500 km/h!)…e file interminabili, a meno che non si disponga di prenotazioni per gli ingressi (soprattutto per i padiglioni più tecnologici) e pass. In conclusione: visitare l’Expo 2005 è una vera e propria esperienza di vita e per questo altamente consigliata! A. Melasecche
Le più richieste nel Mediterraneo erano le goriziane, più serie e lavoratrici delle toscane, più ordinate delle calabresi. Anche le dalmate erano assai apprezzate, insieme alle friulane e alle istriane; ma avere in casa una goriziana era considerato chic, come riporta un articolo datato 1886 di un giornale di Alessandria. Danica Furlan, ottantacinque anni, racconta orgogliosa di quando divenne dama di compagnia della regina d’Egitto. Berta Gregoric, settantasei anni, rimpiange i bei tempi, quando si occupava delle nipotine del re Faruk, lasciate per tornare in Italia, dopo la guerra, accanto al marito partigiano: laggiù ero una signora, qui in Europa sono tornata per fare la serva. Lo ha raccontato a Franco Però, un regista che sta allestendo uno spettacolo intitolato Quando una sera, ad Alexandria. Per ricordare quando Alessandria era la New York del Mediterraneo, quando il flusso migratorio si muoveva dall’Europa verso il sud, verso Smirne, Istanbul, Atene. E l’Italia mandava laggiù le sue figlie a cercare lavoro, come sarte, cuoche, cameriere, balie, dame di compagnia. Insomma, come badanti. Non parlavano bene la lingua, sotto le palme dei minareti si incontravano nei giorni di libera uscita, forse si tagliavano i capelli tra di loro, per risparmiare. E si chiedevano come mai i ragazzini egiziani non andassero a zappare la terra come i loro coetanei a Gorizia. Non sapevano che la storia gira… F. Patrizi
Badanti d’Egitto
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D M e n d e
E’ quasi impossibile che una donna mussulmana si ribelli al suo regime di vita, o perché ama profondamente la sua famiglia tanto da non gettare fango sul nome, o perché non sa che fuori dalle mura di quella casa esiste una vita diversa, libera come quella degli uomini. A volte i suoi aguzzini sono degli estranei che nel ventunesimo secolo praticano ancora la schiavitù e tentare la fuga equivale a trovare una morte certa. La determinazione di alcune di queste vittime ha trovato la via di fuga e il coraggio di farsi portavoce di tutte le altre. Non le troverai per strada a bere un caffè mentre ridono soddisfatte della loro conquista. Le ferite sono profonde e indelebili, sono donne ormai segnate dall’esistenza e soprattutto sorvegliate speciali perché hanno osato mettere in discussione le loro radici. I panni sporchi si lavano in casa, ma poi restano sempre sporchi. Oggi sono nascoste e protette dalle minacce e dai tentativi di uccisione che ormai pendono sulle loro teste. Credo che un tributo dovuto a tanto coraggio sia conoscere le loro storie di persecuzione, dolore e paura. A più di cinquant’anni dall’approvazione della Dichiarazio-
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ne universale dei diritti dell’uomo, c’è ancora chi vive in schiavitù. Quella di Mende Nazer in Schiava non è una storia che appartiene ad un passato ormai dimenticato, ma una vicenda dei nostri tempi, consumatasi in un Sudan dilaniato dalle guerre civili e approdata alla Londra del 2000, dove la ragazza riconquista finalmente la sua libertà e si riappropria della dignità personale. Mende era stata una bambina felice in un villaggio di capanne abitato dalla tribù dei Nuba; coltiva il sogno di diventare medico, impegnandosi a fondo nello studio. Ma sulla sua strada c’è un futuro di orrore e disperazione: i predoni mujaheddin, in nome di Allah, danno fuoco al villaggio, uccidono e seviziano uomini e donne e rapiscono le bambine, per venderle come schiave alle famiglie arabe più abbienti del Sudan. Mende non è più una persona, è uno strumento di lavoro. Dall’alba a notte inoltrata è costretta a tirare a lucido la casa di una famiglia borghese, ricevendo in cambio soltanto maltrattamenti, qualche avanzo di cibo e l’assoluto divieto di uscire di casa. Non ha più un nome, non ha più un’identità.
a l t r e Fa riflettere Non sottomessa che include la sceneggiatura di Submission: il libro di Ayaan Hirsi Ali è una freccia che squarcia il silenzio sulla condizione della donna nell’Islam. L’introduzione di Adriano Sofri merita un plauso particolare, arrichisce e rende preziosa un’opera già penetrante di per sé. Se volete approfondire il caso Submission il video è disponibile su www.radioradicale.it con tanto di traduzione. Credete che una normale famiglia magrebina una volta trasferita in un paese occidentale dimentichi le sue tradizioni in nome dell’integrazione? Dovete assolutamente leggere Murata viva di Leila. Leila è uno pseudonimo. L’autrice di questo libro abita in una località segreta della Francia con il figlio Ryad e sta cercando di ricostruirsi una vita. Ha provato a strappare quelle radici non sue per essere come le sue amiche francesi, avrebbe voluto solo l’amore di suo padre, ma neanche i tentati suicidi, le fughe da casa, l’anoressia hanno permesso che potesse evitare un matrimonio combinato affinché il suo sposo potesse ottenere il permesso di soggiorno francese. Merita una segnalazione particolare anche Bruciata viva di Suad.
Bruciare viva, è questa la punizione assegnata dalla famiglia per aver commesso il peggiore dei peccati, essere rimasta incinta prima del matrimonio. Nonostante le ustioni di terzo grado che la ricoprono, Suad riesce a salvarsi. Con l’aiuto di un’organizzazione umanitaria, fugge in Europa. Da qui, con indosso una maschera che protegge e nasconde il suo viso deturpato, racconta al mondo la sua storia, sfidando la legge degli uomini e la loro sete di vendetta. Letture che permetteranno una visione più intima e penetrante della realtà femminile nel mondo mussulmano. Anna Luciani
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Ta g l i n e l l a c a r n e Sono 26 i Paesi africani dove, con modalità diverse, si pratica la mutilazione genitale femminile. La Somalia ha il triste primato: il 98% delle donne somale sono state sottoposte all’infibulazione faraonica, la più devastante. Le mutilazioni genitali femminili sono considerate, tradizionalmente, un atto d’amore e di attenzione della famiglia verso la bambina: una donna non infibulata è una bambina di cui nessuno si prende cura. Oltre che per preservare la verginità della donna, necessaria per trovare un marito, l’infibulazione serve anche a placare i suoi istinti sessuali, condizione necessaria per un marito poligamico. Le complicanze sanitarie sono molte: setticemia, tetano e infezioni varie portano alla morte soprattutto perché l’infibulazione è praticata in situazioni igieniche precarie dalle nonne o dalle santone di turno. Ecco una testimonianza di chi l’infibulazione l’ha vissuta davvero. Un giorno mia madre mi annunciò che stavo per essere infibulata. Nella nostra tradizione, questa cerimonia segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta… Il giorno stabilito, poco prima dell’alba, la donna delle infibulazioni arrivò a casa nostra… La signora mi fece sedere su un basso sgabello di legno e mi divaricò le gambe il più possibile, poi scavò un buco nel terreno sotto di me. Vedendola estrarre un rasoio e lavarlo, rimasi paralizzata dal terrore. Poi, senza dire una parola, si accovacciò tra le mie gambe. La sentii afferrarmi le labbra della vagina e cacciai un urlo da gelare il sangue. Con un rapido movimento della lama verso il basso, mi tagliò la carne. Io gridavo e scalciavo, cercando di divincolarmi: era il dolore più intenso che avessi mai provato. “No! No! Umi falla smettere!” strillai, mentre mia madre e le mie sorelle mi tenevano ferma. Con le lacrime agli occhi, la mamma formulò silenziosamente con le labbra una parola: “Scusa, scusa, scusa”… Il peggio però doveva ancora venire. La donna aveva finito di tagliarmi la carne della vagina, ma poi si chinò di nuovo e la sentii afferrare qualcosa, che cominciò a incidere con il rasoio. Il dolore era anche più forte di prima, se possibile. Urlavo cercando di togliermi di dosso la mia aguzzina, ma mi tenevano così saldamente che non potevo fuggire. Alla
fine, con le braccia ricoperte di sangue, la donna asportò qualcos’altro dal mio corpo e lo gettò nella buca; ricordo che aveva un’espressione soddisfatta, come se tutto stesse andando a meraviglia. “Metti l’acqua sul fuoco”, disse la donna a mia madre, senza traccia di emozione nella voce. Mentre stavo lì , ansimante e scossa dai singulti, la vidi infilare un grosso filo di cotone in un ago, che immerse nella pentola d’acqua bollente, per poi recuperarlo dopo qualche secondo e chinarsi di nuovo tra le mie gambe. “No!” gridai, tentando di divincolarmi. “No! No! No!”. Ma ero immobilizzata, e intanto lei cuciva i resti della mia vagina. Mi è impossibile descrivere la sofferenza a parole… Quando tutto finì, io ero quasi fuori di me. La donna riempì la buca di terra, che poi pestò con il piede. Al posto della mia vagina c’era soltanto un foro grande all’incirca quanto la punta del mignolo; tutto il resto era scomparso. Quell’orribile intervento era durato più di un’ora… Dopo l’infibulazione alcune ragazze della nostra tribù morivano a causa dell’infezione. Altre morivano più avanti di parto, perché la loro vagina era troppo stretta. Per lo stesso motivo, spesso il primo figlio moriva alla nascita… Soltanto due mesi dopo riuscii a perdonare i miei per avermi lasciata infibulare. Ora so che lo fecero perché temevano che altrimenti non mi sarei mai sposata: nessun uomo nuba sposa una ragazza che non sia “stretta”, perché ciò dimostra che è vergine. Mamma e papà erano convinti di agire per il mio bene. Testualmente ripreso da Schiava di Mende Nazer
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n n e D 2 Novembre 2004. Il regista Theo Van Gogh viene barbaramente e ritualmente ucciso da un fanatico estremista mussulmano olandese per aver leso l’immagine dell’Islam. Buttato giù dalla bicicletta con colpi di pistola a ripetizione in faccia mentre chiedeva al suo esecutore pietà, la gola squartata secondo una precisa cerimonia, e una lettera conficcata nella pancia che annunciava la morte della sceneggiatrice del suo film Ayaan Hirsi Ali, vero obiettivo dell’aggressione, che da allora vive in una località segreta sotto scorta armata. Ma perché tanta brutalità? Ayaaan Hrsi Ali è una donna somala infibulata e oggi parlamentare olandese autrice del libro Non sottomessa che esprime la più drastica e coraggiosa posizione mai apparsa per la libertà della donna nell’Islam.
Questo libro comprende anche la sceneggiatura di Submission il film che ha condannato a morte Theo Van Gogh. Sdegnati e offesi della morte di Van Gogh dalla posizione privilegiata di occidentali autoctoni, abbiamo giudicato questo atroce omicidio come la rivendicazione dell’estremismo arabo soprattutto sulla questione donna. Io in pri-
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mis, schifata e amareggiata delle violente torture praticate alle donne nel mondo arabo, ho letto questo omicidio come l’atto di un mussulmano che non intende prendere ordini su come vadano allevate e trattate le proprie donne, ma non solo, anche come un’eccesso di devozione ad una fede totalmente irriverente verso la vita umana che permette tante atrocità in nome di Allah. Poi fortunatamente ho scalfito la sottile patina della semplice superficialità per cercare di capire l’altro punto di vista, perché mi sono detta, che doveva necessariamente esserci un altro punto di vista. La realtà è che la violenza, soprattutto quando manifestata con tanta efferatezza, non ha giustificazione di essere e che tante donne soffrono la prigionia della loro tradizione. E proprio nella tradizione ho trovato il bandolo della matassa. Il Corano non incita tutta questa aggressività né tanto meno parla di infibulazione di cui Hirsi Ali è stata vittima; il delitto d’onore, la lapidazione e il velo non derivano da alcun precetto coranico. Il testo sacro ammette invece le percosse e la poligamia, ma anche in questo senso esistono sforzi per modernizzare pratiche tramandate da secoli ma che in realtà non calzano più sia con le nuove necessità della famiglia sia con la dignità della donna. Di recente alcuni autorevoli studiosi islamici hanno sconsigliato la pratica dell’infibulazione primo fra tutti l’allora Gran Muftì d’Egitto Mohammed Sayid Tantaoui che in un fatwa di due anni fa scrisse che non si poteva trarre dal Corano né dagli insegnamenti del profeta Maometto indicazioni al riguardo. Dichiarò inoltre di non aver mai sotto-
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posto la figlia a tale pratica. Subito dopo questo illustre parere il Consiglio di Stato Egiziano il 27/12/97 lo vietò in tutto il Paese. E’ stato sufficiente? Sicuramente no perché la pratica dell’infibulazione pur non essendo un precetto religioso dilaga nella credenza che le donne non infibulate siano impure. E la verginità della donna è il pensiero onnipresente, l’unica ragione d’essere. Le menomazioni genitali, per la preservazione dell’imene, sono solo uno dei problemi che devono affrontare le donne islamiche volte ad una vita d’ubbidienza verso padre e fratelli prima e verso lo sposo poi. Sposo che non viene scelto da loro ma dalla famiglia, sposo che nella maggior parte dei casi non conoscono nemmeno. La donna islamica deve preservarsi vergine per tutta la sua esistenza per arrivare a donare quell’unico aspetto del suo essere, così limitativo e ben poco identificativo, ad un perfetto sconosciuto. Botte e minacce orrende sono l’unico incoraggiamento a questo fine: Ti sgozzo e bevo il tuo sangue, dice il padre a Leila in Murata viva.
Ma generalizzare non aiuta né il mondo occidentale nel difficile compito di comprendere come sostenere il mondo femminile islamico, tanto
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meno le popolazioni mussulmane nella decodifica del loro testo sacro modificato nell’intendimento da retaggi culturali profondissimi. Ho visto il cortometraggio di Van Gogh e pur credendo saldamente nella libertà di espressione e di pensiero il caso Submission ha dato un po’ di fastidio anche a me, donna occidentale devota alla bandiera dell’uguaglianza tra i sessi. A volte per amore di polemica si fanno e si dicono cose molto strampalate dice Emma Bonino a Radio Radicale che non capisce come mai, se veramente si volesse distribuire il video, nonostante il produttore sia terrorizzato dalle minacce, non si possa fare in cd piuttosto che attendere per forza l’evento cult del momento. Si possono fare molte, moltissime cose per il mondo arabo e per la libertà di espressione ma non è detto che si debba per forza fare una proiezione in piazza. Carlo Panella giornalista ed esperto dell’Islam dichiara che è inammissibile cedere alle minacce di fascisti islamici, ciò nonostante il video è impresentabile, un errore, offensivo per gli islamici moderati e democratici che abbiano voglia di aprire un ponte di dialogo tra le culture e le religioni. Panella si riferisce alla scena portante del film che ritrae i versetti del Corano proiettati sulla schiena nuda di una donna percossa. La donna litiga con Dio rinfacciandogli tutto il male che le è stato fatto in suo nome. Toccante il testo, ma ancor di più che il monologo inizi e finisca con la preghiera della donna a dimostrazione che l’amore verso Allah è comunque e sempre forte e necessario nella femminilità
o islamica. L’unico tasto dolente è l’irriverenza con cui viene trattato l’argomento che non apre le porte a nessun confronto, ma aumenta l’odio tra popoli diversi. Mi ha colpito un esempio fatto da Carlo Panella in un’intervista per far capire quanto Submission sia offensivo e volgare. E’ come se un laico europeo o comunque occidentale volesse sponsorizzare l’uso del preservativo al fine di prevenire l’Aids contro il precetto della Chiesa di fare sesso prima del matrimonio e per farlo riprendesse una scena con preti e suore che lo utilizzano durante un’orgia! Le donne islamiche sono molto religiose e credo che tutto ciò sia offensivo soprattutto nei loro confronti. La rottura di questo ciclo di violenze psicologiche prima ancora che fisiche deve comunque tener conto del delicatissimo equilibrio che esiste tra la donna e i suoi diritti, tra la donna e la sua religiosità e non ultimo tra la donna e l’amore profondo per la sua famiglia che pur costringendola ad una vita da abda, schiava, o da yebit, ragazza indegna di nome, resta e resterà il punto di riferimento della sua vita. Sono ricattate soprattutto dall’amore che provano per la famiglia e tutto diventa ancor più complicato. Mettiamoci pure, oltre alla dipendenza emotiva e affettiva, quella economica e il quadro è assolutamente completo. Le parole d’ordine dovrebbero essere intransigenza verso gli atti violenti e minatori, rispetto e comprensione verso chi ha vissuto in modo diverso da noi e dialogo per integrare in una sovracultura tutto il meglio delle nostre differenze. Francesca Capitani
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C L’influenza dei polli
Vediamo se riuscite ad indovinare di quale film si tratta. La trama: siamo in Inghilterra, da poco si è venuto a sapere che in un paese orientale è stato scoperto un nuovo virus animale, altamente mortale, che si sta evolvendo in una mutazione trasmissibile all’uomo. L’Occidente trema, perché un’eventuale diffusione del virus nei paesi ricchi comporterebbe una gravissima crisi economica e sociale. Soprattutto, non è ancora disponibile un vaccino. O meglio, il vaccino è disponibile, ma per proteggere meno del 2% della popolazione bri-
tannica per un mese, come afferma il governo inglese. La situazione comincia a farsi delicata, e il premier d’oltremanica deve prendere una decisione. Semplice: il vaccino è distribuito soltanto all’èlite del potere, e ad una ristretta cerchia di persone. Quelle che contano, insomma: politici (quelli della maggioranza), giornalisti (solo alcuni), addetti alla sicurezza e al servizio sanitario. Classico copione americano: i potenti si salvano e lasciano che i poveri (o i nemici) muoiano. Che film è? Non lo avete ancora capito?
La ECOGREEN s.r.l. svolge attività di CONSOLIDAMENTO di scarpate e pendici rocciose effettuando i seguenti interventi:
- ispezione di pareti rocciose di qualsiasi natura e acclività - disgaggio e demolizione di ammassi rocciosi di qualsiasi dimensione - posa in opera di reti metalliche paramassi - placcaggio di superfici rocciose fessurate ed instabili - posa in opera di barriere paramassi Nel campo dell'ingegneria naturalistica la ECOGREEN s.r.l. ha acquisito una significativa esperienza nell'utilizzo di tecniche di idrosemina potenziata, di invecchiamento accelerato delle rocce e di interventi di consolidamento delle scarpate con l'utilizzo di talee vive e/o morte.
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E ci credo. Non è affatto un film. È la realtà. Il virus H5N1, comunemente detto influenza dei polli o aviaria, si è mostrato al grande pubblico in questi ultimi mesi, quando in alcune regioni orientali i casi di malattia tra i volatili sono aumentati. Gli scienziati hanno però constatato che il virus ha subìto una mutazione che lo ha reso trasmissibile all’uomo. Finora i morti sono 120, tutte persone che lavoravano a stretto contatto con uccelli infettati. Gli esperti hanno più volte ammonito che, se il virus arrivasse a diffondersi in modo serio all’uomo, potrebbe avere delle conseguenze catastrofiche, soprattutto perché il vaccino è molto difficile da reperire. Ma questo non sembra più di tanto preoccupare il governo inglese. Il Sunday Times ha da poco riportato la notizia: Alcuni esponenti dell’èlite britannica sono stati inseriti in una lista di precedenza per ricevere pillole e vaccini, a carico dei contribuenti, qualora il paese venisse colpito dalla mortale influenza aviaria. Élite? Precedenza? Una spy story! Ma chi sono i prescelti? I primi della lista sono i politici della maggioranza: il sindaco di Londra Livingstone ad esempio ha già speso un milione di sterline per assicurarsi pastiglie per i suoi impiegati. Nella lista invece non compaiono membri dell’opposizione. Dopo i politici troviamo gli operatori del servizio sanitario, seguiti dagli operatori dei settori pubblici più importanti (sicurezza, sanità…); poi vengono giornalisti e addetti all’informazione, in particolare quelli della tv pubblica BBC, alcuni dei quali hanno pensato bene di buttarla sul ridere. Jeff Randall, editor commerciale della BBC, ha detto: Volete dirmi che figuro nella lista privilegiata dell’influenza aviaria? Splendido. Ho sempre saputo che sarebbe stato utile lavorare per la BBC. Nick Clarke, presentatore radiofonico: Sono certo di non meritarlo. Il mio programma divulga notizie e commenti e se c’è una cosa che non serve in una pandemia sono i commenti. La situazione scende poi nel paradossale. Il governo ha già ordinato 14.6 milioni di dosi di Tamiflu, un farmaco antivirale, per il 2007, e la spesa totale sarà di circa 100 milioni di sterline. Chi pagherà questi soldi? È ovvio, il cittadino. Lo stesso cittadino che non è stato inserito nelle liste di precedenza. Ma allora, quando arriverà il virus, a cosa serviranno gli operatori sanitari, se non avranno chi curare? E i giornalisti chi informeranno? I cittadini saranno tutti morti! Beh, sì, questa sarebbe proprio una bella trama per un film. Tragicomico, però. Massimo Colonna
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La mirabile storia di Pianoman
Un ragazzo è stato trovato sulla spiaggia dell’isola di Sheppey l’aprile scorso, tutto bagnato e intirizzito, senza documenti. Persino le etichette con la marca dei vestiti erano state staccate. Aveva con sé solo un disegno a matita di un pianoforte a coda. La stampa lo ha subito ribattezzato Pianoman. Hanno scritto che era vestito elegante, ma completamente fradicio, che non capiva nessuna lingua, ma sapeva suonare intere partiture di Beethoven a memoria. Alla fine la storia si è rivelata una bufala: il ragazzo ha confessato di essere tedesco, frustrato e in cerca di notorietà. E di non saper suonare il pianoforte! Attenzione: proprio questo è l’aspetto più interessante dell’intera vicenda, perché ci aiuta a capire come i mass media hanno costruito la notizia ricorrendo a delle tecniche narrative molto raffinate. Per prima cosa, hanno fornito solo alcuni dettagli: il ragazzo, hanno scritto, indossava un vestito elegante completamente fradicio. In verità non era elegante, la polizia aveva detto che dai vestiti non sembrava un vagabondo, ma la stampa ha insistito su un dettaglio che, abbinato al disegno del pianoforte, lasciava intravedere l’avventura… Seconda mossa: hanno scritto che il ragazzo non capiva nessuna lingua, ma messo di fronte ad un pianoforte suonava delle partiture complicatissime. In realtà si era limitato a pigiare un solo tasto, come aveva subito rivelato il medico curante alla stampa, ma la stampa ha riportato solo metà della notizia, ovvero: si è finalmente seduto al pianoforte e…
Qui interviene l’abilità giornalistica: cosa poi avesse fatto non l’hanno scritto, ma hanno atteso che la notizia, rimbalzando di bocca in bocca, si completasse da sola. Dato il primo dettaglio dell’elegante / fradicio, il secondo del disegno del pianoforte, ora lo si descriveva seduto davanti allo strumento. Il resto è andato da sé, affidato non più alla documentazione, ma alla immaginazione del lettore. Da qui è nata la falsa notizia che Pianoman suonasse splendidamente. Ad indirizzare questo credo popolare è stata la stampa stessa, dapprima fornendo gli indizi in maniera abile e accorta, poi abbinando la vicenda di cronaca al film Shine (ispirato alla vera storia di un pianista pazzo diventato barbone). Quando si è diffusa l’idea che il ragazzo fosse un genio del piano, i mass media non hanno fatto altro che riportare la voce popolare, ovvero si dice che; non hanno più attinto alle notizie ufficiali che arrivavano dalla clinica, ma alle voci di strada che volevano Pianoman genio pazzo. In pratica hanno dato in pasto al lettore medio proprio quello che voleva credere, lo hanno assecondato; occultando, finché è stato possibile, la deludente verità. La vicenda di Pianoman è l’ennesima dimostrazione di quanto l’informazione oggi abbia preso il posto del romanzo d’appendice, di come cerchiamo l’evasione fantastica e il sogno non più nei libri, ma nella stampa. E finiamo per chiedere al telegiornale, come fanno i bambini: dai, raccontaci una storia… Francesco Patrizi
c a z i o n e Un film autoprodotto Una volta scelta la telecamera, vediamo la strumentazione necessaria per ottenere uno stile decisamente cinematografico. Consiglio di girare un film usando prevalentemente il cavalletto, per dare un certo ordine alle inquadrature, che con la telecamera a mano non avremmo. Nei film che vediamo al cinema, la telecamera è sempre sorretta o da una Steady Cam o dal Dolly, che consentono di ottenere dei movimenti morbidi e regolari. Non avendo questi macchinari si rischia di fare delle riprese disordinate, dai movimenti visibilmente amatoriali. In ogni caso dipende sempre dal tipo di scena che stiamo girando: in un film d´azione sarà altresì consigliabile fare riprese in movimento. Ad esempio in Irreversible (con Vincent Cassel e Monica Bellucci) la telecamera compie dei movimenti volutamente disordinatissimi, tanto da far venire il mal di testa. Ma si tratta in ogni caso di eccezioni, di invenzioni del regista per ricreare un particolare stato d´animo nello spettatore. Il vero cinema necessita di un certo stile nelle inquadrature, necessita di una prospettiva ricercata e non casuale, che va studiata a tavolino in fase di sceneggiatura, avendo già in mente quali saranno le locations e come sarà posizionata la telecamera. Non a caso nello story-board si
disegnano tutte le inquadrature che verranno poi realizzate nel film. Il parco luci è importantissimo: per donare alle immagini un colore bello, vivo, bisogna illuminare a dovere la scena. Immaginate di stare in una stanza in penombra: i colori appaiono spenti, tendenti al grigio.
Se nella stessa stanza mettiamo una bella lampada da 500 watt, i colori come d´incanto si accenderanno. Le lampade devono avere una luce bianca e non giallastra, (come le lampade che si usano in casa) perché altrimenti rischieremmo di avere dei colori di scena sporcati: se ad esempio illuminiamo con una luce giallastra un muro bianco, quest´ultimo non apparirà bianco, bensì beige. Tuttavia in alcune scene si usano dei particolari filtri colorati, detti gelatine posizionati davati alla lampada, che servono per donare alla scena un colore più suggestivo. Sarà il direttore della
- Il Passo fotografia a scegliere il tipo di luce da utilizzare nelle varie scene, dopo averla concertata con il regista. Un buon film per essere tale deve avere una bella fotografia, per questo il direttore è considerato il numero due sul set, dopo il regista ovviamente. Gli aggiuntivi ottici sono delle lenti speciali da mettere dinanzi all’obiettivo per allargare o stringere l´inquadratura. Nelle telecamere a pellicola che vengono usate nel cinema si cambia direttamente l´obiettivo per avere una inquadratura più o meno larga: questo non è possibile nelle digitali comunemente usate dai filmaker, visto che hanno l´obiettivo fisso, bisogna perciò avvitare queste lenti sull´obiettivo per modificare il campo d´azione. Gli aggiuntivi che allargano il campo d´azione vengono chiamati grandangoli e donano alle immagini una prospettiva più marcata, poiché è come se dilatassero lo spazio: un oggetto vicino appare come più lontano dalla realtà rendendo l´inquadratura più caratteristica. Gli aggiuntivi che restringono il campo d´azione vengono chiamati tele ed è come se comprimessero lo spazio: un oggetto posto a dieci metri dal protagonista è come se apparisse appena dietro di lui; sono generalmente usati per i primi piani, poiché consentono di mettere a fuoco il soggetto, per dargli maggior risalto, sfuocando lo sfondo. Andrea Sbarretti
Virus, antivirus e Islam Popolo di Internet fai attenzione. Arriva sul web un nuovo virus: Yusafali-A, capace di aggredire i computer degli utenti che navigano in siti hard e di disconnetterli all’istante. In un periodo in cui è altissima la tensione fra la cultura occidentale e quella orientale fa dunque la sua comparsa in rete il primo virus moralista della storia. Una volta intrufolatosi nel vostro pc, il predicatore digitale farà comparire sui vostri monitor una scritta in Arabo, tratta dal Corano, che invita al pentimento l’utente per aver visionato del materiale a luci rosse. Niente a che vedere con virus molto più crudeli attualmente in circolazione, capaci di mettere ko il vostro computer, eppure il nuovo arrivato risulta comunque efficace. C’è da scommettere sul fatto che più di qualcuno sarà pronto alla rivolta culturale, sentendosi privato della libertà a lui più congeniale, quella a luci rosse. Eppure in questa storia che potrebbe erroneamente assumere dei contorni xenofobi c’è qualcosa che desta qualche riflessione. Il porno sviluppa un giro d’affari annuale pari a 57 miliardi di dollari, ogni anno 72 milioni di persone visitano almeno uno dei 4,2 milioni di siti hard presenti in rete (senza contare le 372 milioni di pagine on-line disponibili), ed è dunque oggettivo che la pornografia rappresenti un mercato florido a cui l’utente medio pare non voler rinunciare soprattutto attraverso il web. Un virus è un programma
creato da un esperto informatico che non ha altro scopo se non quello di far danni all’interno del vostro computer. Si intrufola nel vostro pc attraverso la rete ed ha un unica modalità di guarigione: l’antivirus. Sorpresa: gli antivirus migliori, soprattutto aggiornati, sono a pagamento. Appare chiaro che senza virus, non esisterebbero gli antivirus. Risulta forse fin troppo facile capire allora che è forse la vendita del secondo la causa che genera il primo. Alla luce dei fatti c’è da chiedersi se Yusafali-A non sia allora semplicemente l’ultima trovata di chi gestisce il circolo vizioso virus-antivirus in cui ogni utente è intrappolato, e che ha deciso di incastrare la fetta più grande di consumatori on-line, approfittando, inasprendolo, di uno scontro culturale ora più che mai attuale. Ed il simpatico giochino non sembra avere fine: si è calcolato che nel 2007 saremo protagonisti passivi di un nuovo giro d’affari da 12 miliardi di dollari, utili a proteggere da nuovi virus un altro apparecchio a noi tanto caro: il cellulare. Francesco Bassanelli
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il Talvolta gentile, talvolta capriccioso, talvolta orrendo, mai uguale per due istanti di seguito; quasi umano nelle sue passioni, quasi spirituale nella sua tenerezza, quasi divino nella sua infinità. John Ruskin, Il vero e il bello: il cielo
Magma fondente, raffreddamento, solidificazione, presenza di acqua e minerali, almeno per un miliardo di anni.
La vita fa la sua comparsa: molecole che si aggregano in combinazioni sempre più articolate e si diffondono sulle terre emerse dalle acque... per altri miliardi di anni. Che significa un miliardo di anni? Di un miliardo di lire, o anche di euro, riusciamo ad afferrare la portata, abbiamo mattoni di paragone (con un miliardo di lire possiamo, ad esempio, acquistare 2 appartamenti, con un miliardo di euro 4000 appartamenti, un intero quartiere, molto esteso, ma sempre contornabile, afferrabile dalla nostra immaginazione). Di un miliardo di anni no, non abbiamo la minima percezione e le pietre di paragone sono, al più, granellini di sabbia. Possiamo, riferendoci alla storia, tornare indietro ai tempi dei nostri nonni… cento anni fa. Facciamo uno sforzo, riferendoci a quanto studiato a scuola, ed arriviamo alla nascita di Cristo: duemila anni fa. Quanto progresso in duemila anni! Come tutto era diverso! Ancora indietro… civiltà greca, egiziana, sumera.
Altre migliaia d’anni. Facciamo cifra tonda: diecimila. Dieci volte questo enorme spazio temporale vale solo centomila anni… la notte dei tempi. Dieci notti dei tempi… un milione di anni… che occorre moltiplicare ancora per mille, per ottenere il miliardo. Pensate a quanti mutamenti evolutivi in almeno 5 miliardi di anni, moltissimi dimostrati dalla scienza, al di là di ogni possibile dubbio. Circa un milione e mezzo di anni fa, in virtù della spinta evolutiva e di lenti adattamenti, compare l’homo erectus, un antenato che, acquistata la posizione eretta, alza lo sguardo al cielo.
I primi osservatori, ignari della natura delle stelle e delle dimensioni sconfinate dell’universo, seguendo un impulso innato, presero ad osservare, segnalare, misurare, organizzare. Stabilirono nessi tra fenomeni celesti e terrestri: in particolare, tra il ciclo delle stagioni e la posizione del sole rispetto alle altre stelle o tra le fasi lunari e l’intensità delle maree.
Tale principio di causa ed effetto porterà inevitabilmente ad una grande varietà di credenze irrazionali.
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C ielo
Infatti, insieme ai grandi fenomeni astronomici periodici, il proto-uomo assiste impotente all’azione devastante di piogge torrenziali, fulmini, uragani, terremoti… mentre la volta stellare è là, imperturbabile, avvolgente, regale… Lui è tremante, si ammala… è mortale. L’eterea concavità sempre lì, immutabile, luogo di forza e di potere… di perfezione. Sicuramente dimora di esseri superiori, di divinità.
Così, fin dalla preistoria, l’osservazione del cielo orienta il pensiero umano in due direzioni: da un lato, a cercare leggi naturali, eterne e immutabili, che trovano proprio nel cielo la loro espressione perfetta; dall’altro, a collocare esseri sovrannaturali e onnipotenti in un cielo che appare misterioso e inaccessibile con la conseguenza di accettare le disgrazie come manifestazioni della collera celeste. Ha qui inizio una storia molto miserevole: per alcuni il mistero, senza pensarci su, diventa immediatamente miracolo o volontà divina. Alcuni cominciano ad industriarsi per sfruttare la paura per proprio tornaconto. Si evidenziano allora due opposte indoli: o cultore di privilegi o uomo libero. Fiorisce la genìa degli umili servi del potente, che una letteratura postuma definirà servi dei padroni. Essendo amici sono anche dei profeti (pro femi: parlare a nome di qualcuno), interpretano la volontà della stella o, con indifferenza, di qualsiasi parto delle loro menti affamate e speculatrici. A loro la divinità confida tutto. Occorrono sacrifici!, anche umani: sempre degli altri. Non s’è mai dato il caso che una divinità abbia detto al suo sacerdote: serve, immediatamente e nel silenzio più assoluto, il tuo sacrificio. Esegui e non rompere...! La tribolazione spetta così agli altri, ai meno potenti, ai poveri disgraziati; i privilegi ed il dettar norme a loro, umili servi del loro grande dio. Dall’altra parte l’uomo che si sente molto modestamente parte del tutto, ha vergogna di razzolare nei privilegi, e, mettendo in campo grandi capacità morali ed intellettive, cerca di capire cosa ci sia dietro ai fenomeni e capisce, per dirne una, che è la terra a girare intorno al sole e non viceversa. Naturalmente tutto questo non avviene in modo indolore perché l’altro, il custode del sacro, interviene con violenza inaudita: non può permettere che una verità solare ed oggettiva, smantelli il suo paradiso terrestre. Costui tiene molto alla forma, al rito, alla spettacolarità, ai nastrini sbrilluccicanti. L’altro tiene soprattutto ai con-
E quella conca rovesciata che chiamano Cielo, Sotto cui ingabbiati viviamo e moriamo, Non levate a Essa le mani impetrando aiuto... giacché Impotente si muove come te e me. Omar Khayyam, Rubayyat
tenuti: a lui basta una tunica, un semplice, logoro saio, una tuta, un maglione sbrindellato. Senza questo secondo uomo, l’umanità sarebbe ancora nella schiavitù, al bagliore dei roghi santi.
Comportarsi degnamente solo perché si è uomini e non per scampare l’inferno. Non mi riferisco certamente a quelle tante, meravigliose persone, che hanno autenticamente la fede in Dio, puro amore, e si comportano di conseguenza. Io posso solo invidiarli, non ho la fortuna della fede, non accetterei mai di comportarmi bene per paura della legge o per evitare castighi eterni. Né chiederei mai niente per me, magari con 2 o 3 segni della croce e toccando 2 o 3 volte terra, riducendo così la divinità ad un servo al servizio di una tibia o di un perone. La superstizione è ovunque, nei riti, nelle messe in scena, nella richiesta di beni temporali: è incoraggiata a dilagare. Chi la fermerà? Abbiamo bisogno di cultura, onestà, semplicità, tolleranza, educazione, rispetto per tutto e per tutti, qualunque anima abbiano, vegetativa, sensitiva o razionale. Abbiamo la forza che ci dà l’alta prescrizione morale: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te! Chi disse, aggiunse anche che sarebbe morto Lui per amore degli altri, per salvarli! E’ tutto… e tutto il resto appartiene solo al capitolo del vile potere temporale, nastrini compresi. Giampiero Raspetti
IL MESE La tradizione romana attribuisce a Romolo la divisione dell’anno in 10 mesi: 1. MARTIUS 2. APRILIS 3. MAIUS 4. IUNIUS 5. QUINTILIS 6. SEXTILIS 7. SEPTEMBER 8. OCTOBER 9. NOVEMBER 10. DECEMBER * Quando il fondatore di Roma suddivise con ordine il tempo, stabilì che il suo anno fosse di dieci mesi. Certo, o Romolo, conoscevi le armi più degli astri, ed era più assillante il pensiero di vincere i popoli di confine. Tuttavia v’era una ragione che lo mosse, ed egli ha di che giustificare il proprio errore. Il tempo necessario perché il bambino esca dal grembo materno Romolo pensò bastasse anche per compiere un anno. Per altrettanti mesi dalla morte del marito, la sposa continua a indossare le vesti a lutto nella vedova casa. Dunque a queste cose mirò la cura del trabeato Quirino quando alle rozze genti diede le leggi dell’anno. Di Marte era il primo mese, di venere il secondo: questa, materno principio; quello, in quanto suo stesso padre; il terzo fu denominato dai vecchi, il quarto dai giovani, tutti gli altri che seguono dal numero di ciascuno.* Il calendario di Romolo sarebbe, sempre secondo la tradizione, stato riformato da Numa Pompilio e i mesi da 10 passarono a 12. Ne riparleremo. G.R.
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Ovidio, I Fasti, BUR Classici antichi, libro I, [27 - 42]
TERNI - V. della Stazione, 32/38 - Tel. 0744. 420298
R idens...? L’OROSCOPO DEL MESE 7777777 Il mese è sotto il segno del 7
ANTIMAGO RASPUS
L’ANGOLO
del
La guerra dei mondi
L’oroscopo ha quindi valore settimana per settimana.
1-7 Sei sotto il segno dei Sette Saggi il cui celebre mito fa risalire il primo insediamento sumerico a enigmatici progenitori venuti dal mare. Essi fondarono, insieme agli accadi (o semiti) la civiltà mesopotamica e gettarono le fondamenta di quella splendida e imponente ziggurat culturale destinata a dominare tutto l’antico oriente e ad influenzare, seppur indirettamente, la nascita del mondo occidentale e della sua civiltà. Il mondo occidentale, compostamente grato, ricambia, esportando il fior fiore delle dovizie democratiche e visitando continuamente gli eredi dei sumeri, consegnando loro doni a grappoli e ripulendoli di liquido sporco, appiccicaticcio e maleodorante. Se devi recarti a Ur o a Uruk ma anche a Nippur o in Babilonia non andare con il tank ma va per mare quindi in barca o in vascello, al più col gommone. 8-14 Sei sotto il segno dei Sette Sapienti Per i nati l’8 - Prendi moglie dai tuoi pari: se infatti la prenderai tra coloro che sono più di te, avrai padroni, non parenti. (Cleobulo) il 9 - Non fare amicizie in fretta e non interrompere frettolosamente quelle che hai fatto. (Solone) il 10 - Scegli il danno piuttosto che un guadagno turpe: per il primo ti addolorerai una sola volta, per il secondo tutta la vita. (Chilone) l’11 - Non abbellire il tuo aspetto, ma sii bello in ciò che fai. (Talete) il 12 - Terribile è conoscere ciò che accadrà, ma conoscere quello che è accaduto dà sicurezza. (Pittaco) il 13 - Ottieni con la persuasione, non con la violenza. (Biante) il 14 - Sii lo stesso con gli amici, nella buona e nella cattiva sorte. (Periandro) 15-21 Sei sotto il segno mistico Se c’è tempesta tieni sott’occhio le bestie pure per prenderne, all’occorrenza, a 7 a 7, un maschio e la sua femmina; e delle creature volatili dei cieli a 7 a 7, maschio e femmina. Se devi recarti a Gerico sappi che l’ultimo grido della moda turistica consiste nell’adunarsi in squadre di 7 persone e, muniti di 7 trombe, assediare, per 7 giorni, la città di Gerico e al settimo giorno girare attorno la città per 7 volte. 21-28 Seguita a viaggiare ma.... Se Saturno e Marte controllano i luminari, coinvolgono in situazioni di grave rischio: con navigazione difficile e naufragi, o anche con marce faticose e in luoghi deserti, quando Saturno e Marte si trovano in segni d’acqua; con frane e venti furiosi se transitano in segni fissi; con carenza di viveri e con pestilenze quando sono in segni solstiziali ed equinoziali; con assalti di pirati, agguati e rapine, se in segni a forma umana; con aggressioni di belve o terremoti nei segni di terra. Se si aggiunge anche Mercurio, le minacce saranno quelle del clima e di accuse insidiose, e anche di morsi di serpenti e di altri animali velenosi. [Claudio Tolomeo, Le previsioni astrologiche, libro IV] 29-30 Sei sotto il segnetto misto Un incontro ti porterà al settimo cielo. Se si romperà lo specchio appiccato alla parete avrai 7 anni di guai; ugual pena se abbatterai un abete illegalmente. Se hai l’itterizia potrai guarire mangiando una prugna secca farcita con 7 pidocchi vivi. Osserva particolarmente le 7 virtù teologali, non incappare nei 7 peccati capitali, abbi devozione per i 7 spiriti di Dio, venera le 7 gioie della Vergine Maria, temi i 7 diavoli da cui fu liberata la Maddalena, ripeti spesso le 7 vocali, canterella le 7 note musicali, ricordati che una volta i pianeti, su cui si fondano tutti gli oroscopi, erano 7, quelli dei giorni della settimana, ma ora qualcosuccia è cambiata, ma non per gli astrologi. A proposito, non rivelate loro che continua la scoperta di nuovi pianeti, tanto non ci rimarrebbero male: loro sanno benissimo di dire scemenze. Né pretendete che possano capire la precessione degli equinozi perché questo sì che sarebbe un vero miracolo! E non giocate neanche voi con queste banalità... uomini siate e non pecore matte! KOPPA TETA
In questo numero ho l’onore di presentarvi il film che ha polverizzato tutti i precedenti record d’incasso, trasmesso in tutte le sale della galassia con il titolo: Quello che i terrestri pensano di noi. Come testimonianza dell’enorme successo riscosso riporterò alcuni stralci delle più significative recensioni: Marzian Mirror: Erano anni che non squamavamo così tanto per le risate. Alpha Centauri Cronicle: Fino ad oggi ci consideravamo i maestri indiscussi della sospensione dell’incredulità. Dopo questo film non avremo più il coraggio di menzionarla. La gazzetta di A come Andromeda: Roba da fantascienza! Klingon news: …d’altronde l’abbiamo sempre affermato che i terrestri sono deficienti. La storia è pressappoco questa. Tre milioni di anni fa, scusate se è poco, un esercito di alieni appartenente alla tribù dei Fallacciani sempliciotti sotterra una moltitudine di navicelle da combattimento nella crosta terrestre e, scusate se mi ripeto, per tre milioni di anni osservano l’evoluzione del nostro pianeta. A questo punto una domanda sorge spontanea: chi li stipendiava? Improvvisamente, forse spinti dall’eccessiva diminuizione del numero dei tordi nell’atmosfera, a suon di tempeste e fulmini richiamano dal sottosuolo le navicelle somiglianti ad enormi medusone ed iniziano il micidiale attacco. Intanto per il nostro eroe è il turno di affidamento dei suoi due figli, un ragazzo di 16 ed una ragazzina di 7 anni. Non passa molto tempo che i figli iniziano a frignare che vogliono ritornare a Boston dalla madre. L’intenso frignare oltre che infastidire notevolmente il pubblico in sala evidentemen-
te irrita oltremodo anche gli alieni che li prendono immediatamente di mira e tentano disperatamente di eliminarli. Ma benché distruggano intere città al loro passaggio non c’è trippa per gatti; non riescono neanche a scalfirli. Intanto il figlio, notevolmente disturbato, non vuole nascondersi con il padre ma vuole combattere gli alieni, sconfiggerli, e ricongiungersi vittorioso a Boston con la madre. Durante l’attraversamento di una collina i nostri incontrano dei militari con tanto di camionette e carri
spruzzate sul terreno. A questo punto il nostro eroe nota una pianta di bombe a mano, ne coglie un paio e rivolgendosi alla medusona le urla di catturarlo. Chiunque altro sarebbe stato fulminato istantaneamente ma il nostro eroe viene riconosciuto, incartato, e posto nel cestino insieme alla figlia. Quando si apre un foro che li sta per risucchiare lui gli ficca dentro le bombe a mano e il medusone esplode. Semplice no? Evidentemente i Fallacciani non avevano visto Indipendence day.
armati. Quest’ultimi gli annunciano che i loro missili non riescono a colpire le medusone perché sono protette dal leggendario scudo energetico. E’ qui che il figlio non resiste più, e al grido di Più difficoltà più onore! abbandona padre e sorellina e si unisce ai militari. Ma non fanno in tempo a partire che le medusone arrivano e addio al plotoncino. Le camionette e i carri tornano indietro incendiati e dei militari e del figlio non v’è più nessuna traccia. Sempre braccati i nostri ricominciano la fuga, ma ahimé (finalmente!) una medusona con i suoi tentacoloni cattura la bambina e la mette insieme ad altre prede in uno dei due cestinoni da supermercato che trasporta sotto, pronte per essere fagocitate e poi
Finalmente padre e figlia raggiungono Boston ma vengono attaccati da un altro medusone che però inizia a barcollare, perde lo scudo protettivo e viene abbattuto dai missili degli onnipresenti militari. La stessa fine fanno tutte le altre navicelle. Ma tutto questo passa in secondo piano. Voi non ci crederete, ma chi incontrano i nostri una volta arrivati al cospetto dei parenti? IL FIGLIO!!! E come c’è arrivato lì? Zitti chi lo sa! Scusate, dimenticavo. I Fallacciani sempliciotti sono morti a causa dei batteri terrestri, ma sarebbe stato uguale se la causa fosse stata gli orecchioni. Degli alieni decisamente fuori alienamento e uno Spielberg sulla via del rinc… Orlando Orlandella
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S cuola e D iritto Settembre, andiamo... ...è tempo di studiare! Cosa? Dove? La scuola italiana non esiste più! Esistono scuole: tutte intente, per sopravvivere, a potenziare la loro individualità ed a contendersi gli alunni a colpi di POF (Piano di Offerta Formativa): c’è la scuola che offre corsi di vela, corsi di uncinetto, settimane montane e marine con puntatine al casinò, corsi di danza, teatro a go go, anche con registi che a malapena sanno leggere e scrivere... L’insegnamento diventa merce, anche con lo sciagurato sistema dei crediti, delle frazioni di punto (la raccolta dei punti dei supermercati). La scuola poi, non può più bocciare! Se bocci, anche il fannullone più fannullone, perdi iscritti e, se sei Preside, puoi perdere la presidenza. I Presidi, molti ex sindacalisti, smettano di autonominarsi manager e diano prova di essere autenticamente uomini di cultura, non burocrati timorosi. Gli insegnanti?… tutti uguali, lo stesso stipendio per tutti... tutti promossi d’ufficio. Un insegnante che, ad esempio, limita la sua conoscenza alle regolette e pretende tutto a memoria dai suoi studenti, conserverà sempre il posto, non sarà mai immesso nel ruolo per lui molto congeniale di segreteria telefonica. Un insegnante bravo rischia invece di perderlo il posto, giacché, mettendosi a studiare ed a ricercare con gli studenti, affascinandoli e dando loro il gusto della cultura, è inviso a tutti. Gli altri insegnanti lo temono perché sa motivare a studiare, a ricercare, a produrre dispense, libri d’istituto (non quei tomi ultralogori che il mercato impone)... si sentono persi… non possono esporsi così tanto... non sono in grado di capire che il loro primo dovere è quello di produrre cultura, non ripetere nozioni! Avete mai sentito parlare di pagelline per gli insegnanti? Perché non ci sono? Perché tutti godono della stessa carriera? Assegniamo invece, ab inizio, a tutti gli insegnanti uno stipendio adeguato alle 36 ore settimanali: diciamo 3600 euro mensili. In 36 ore: organi collegiali, lezioni, lavori di gruppo, preparazione e correzione dei compiti, colloqui con i genitori, ecc. A casa l’insegnante se vuole studia, o pittura, fa centrini, colleziona hamburger… Diciamo 18 + 18 ore: 18 di cattedra e 18 per tutto il resto. Lo studente, all’inizio dell’anno, si iscriva ai corsi tenuti dai
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professor tal dei tali. Ci saranno docenti più gettonati, altri meno, altri menissimo. Il docente gettonato sceglierà: conferenze pluriclassi in aula magna, abbinamento di lavoro con uno o più colleghi che si occupino particolarmente della preparazione e della correzione dei compiti. Potrà ridurre al minimo le ore collegiali, potrà progettare e produrre ricerche, lavori seri ed impegnativi, aumenterà notevolmente lo stipendio di base e sarà uno degli insegnanti-guida dell’istituto. E’ bene che gli insegnanti bravi li scelga, questi sì, il mercato, non il Preside o il gruppo più forte del collegio dei docenti, normalmente chiamato la palude. Chi dice che lo studente sceglierebbe gli insegnanti che non fanno fare niente, taccia per sempre perché non ha capito proprio niente della stragrande maggioranza dei giovani, che sanno chi sono gli insegnanti bravi e sono pronti a seguirli, come son pronti ad abbandonare l’insegnante fasullo! I docenti poco gettonati faranno le ore di lezione per cui sono richiesti. Lo sono per 8 ore? Prenderanno 1000 euro in meno, oltre agli euro in meno delle ore per doveri collegati, e avranno poco peso nella gestione della vita d’istituto. I docenti non gettonati... cambieranno mestiere.. la città ha, ad esempio, carenza di operatori ecologici. E invece la scuola va avanti, si fa per dire...: Gli studenti italiani hanno difficoltà di lettura, sono ignoranti in scienza, capiscono poco la matematica. L'Ocse (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica) li boccia senz'appello nel serrato confronto con i coetanei di altri trentun Paesi. Nei test per la comprensione di un brano scritto gli adolescenti della Penisola sono ventesimi. Stanno al ventitreesimo posto per cultura scientifica e in matematica è ancora peggio: arrivano ventiseiesimi. Se andate poi a scrutare tra le indagini IEA (International Education Achievement), vi verrà il magone, ma capirete tante cose! In Italia la retorica e la ciarlataggine sono merce sonante. Basta dare discredito alla scienza, magari tentando di togliere dagli studi Darwin e tanti altri scienziati, non finanziare la ricerca e i giochi (sporchi) sono fatti. Chissà perché sempre insieme, mistica e mercato!
Shopping di settembre
Ma che mercato, alfine, sia! Facciamole tante scuole, pubbliche e private, ma che siano tutte all’insegna dello studio e della cultura, laiche, non ideologiche. Spero soltanto che si sappia, anche in una auspicabile competizione culturale tra istituti, ben distinguere tra conoscenza e concezione perché ho timore che nella fase più delicata dell’apprendimento si possa favorire non già un tessuto culturale omogeneo e socializzante ma un inserimento in tante visioni parziali, di parte, tanti brandelli di concezioni irreparabilmente disgiunti tra loro. Ma l’immaginate? Una scuola cattolica, una marxista, una liberale, una radicale, una di comunione e liberazione, una di liberazione e basta!!!!! Non amo una società che nasce dal patchwork, sono per una società che sappia scegliere (exlegere), si confronti liberamente, dopo aver conosciuto tutto quello che appartiene alla cultura ed alla scienza. Misticismo ed ideologia non vanno a scuola: chi li vuole se li faccia, quando vuole e dove vuole, nel rispetto delle coscienze di tutti, senza imposizioni o volgari pressioni sui lacchè dello stato laico. Scuola e Stato: destini paralleli. Ci si riempie la bocca con lo Stato e intanto lo Stato è stato disgregato. Lo Stato non c’è più, occupa l’ultimo posto tra gli enti che compongono la Repubblica, dopo le associazioni della società civile, pubbliche o riservate, i comuni, le province, le regioni. Il locale prevale sul nazionale, gli interessi particolari su quelli generali, il privato sul pubblico, la merce sulla cultura. L’autonomia scolastica, l’autonomia delle strutture sanitarie, la polizia regionale costituiscono un potente grimaldello per scardinare lo Stato Sociale. Altro che Europa, rispetto cioè delle varie identità nazionali e, ineluttabilmente, ricerca di forme di equilibrio tra le strutture scolastiche, sanitarie, giudiziali. Giampiero Raspetti
Arriva Settembre, si torna dalle vacanze e si comincia a pensare alla scuola dei figli. Ogni anno in questo periodo le famiglie italiane si trovano di fronte all’ennesima stangata. Per settimane i bambini vengono bombardati dalla pubblicità televisiva. Tra spot, cartoni animati e telefilm, le marche la fanno da padrone. La volontà dei nostri bambini è messa alla prova da messaggi subliminali, subdoli e scorretti. Secondo i calcoli di ADOC, ADUSBEF, CODACONS e FEDERCONSUMATORI, ogni famiglia spenderà in media 621 euro per mandare i figli a scuola. Rispetto al 2004 c’è stato un aumento di 36 euro. La spesa è così ripartita: 289 euro per i libri e 332 euro per il corredo composto da zaino, astuccio, quaderni etc.. Eppure non inseguendo le mode è possibile risparmiare fino al 40%, acquistando prodotti di identica qualità. A nostro modesto parere questo comportamento dei massmedia rasenta la truffa. L’Art. 640 C.P. recita: chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito…. Ai fini della sussistenza del reato di truffa il raggiro non deve necessariamente consistere in una particolare subdola messa in scena, basta qualsiasi simulazione o dissimulazione posta in essere per indurre in errore. Ora riflettete e chiedetevi se non è un inganno una pubblicità che fa credere che comprando un tal zaino diventerai velocissimo e fortissimo, oppure sarai una bellissima ragazza. Inoltre serve che il truffatore abbia condotto il soggetto passivo in errore con l’intento di riceverne un profitto. È indubbio che qualunque ditta produttrice di cartoleria vuole ricavare un guadagno dalla propria attività, soprattutto quelle che spendono fondi per farsi pubblicità. Il delitto di truffa si consuma esclusivamente quando dalla induzione in errore di un soggetto, mediante gli artifizi e raggiri, l’autore consegua un ingiusto profitto con altrui danno; danno che deve avere contenuto patrimoniale, cioè deve consistere in un impoverimento patrimoniale del truffato. Pensiamo ai nostri stipendi e quanto possa incidere su di essi
una spesa iniziale di oltre 600 euro, che aumenta con l’andare dell’anno scolastico, poiché le penne si esauriscono, i fogli vengono scritti e via dicendo. Tutto ciò è più riprovevole se si guarda al soggetto passivo del reato cioè un minore,una persona che per antonomasia andrebbe protetta e tutelata da chiunque. Ricordatevi, però, che risparmiare si può. Prima di tutto fate una lista di quello che serve a vostro figlio, se qualcosa è rimasto dall’anno precedente potrà essere riutilizzato. Poi recatevi in più negozi, almeno quattro, e confrontate i prezzi, al supermercato avrete più possibilità di trovare occasioni. Una volta individuato così il negozio più conveniente, parlate con vostro figlio, fategli capire che le marche non sono un simbolo di intelligenza o di bravura, ma solo di spreco e lusso. Ditegli che non sarà migliore con lo zaino firmato. A questo punto potrete recarvi nel negozio da voi scelto e comprare il corredo insieme a vostro figlio, magari permettendogli una firma a sua scelta e il resto di semplice buona fattura. Non comprate più di quello che serve perché spesso aspettando si risparmia. In molte città le amministrazioni insieme alle associazioni di consumatori e alle organizzazioni del commercio hanno raggiunto un accordo al fine di offrire alle famiglie un corredo scolastico completo a prezzi contenuti e garantiti, basta chiamare le associazioni di consumatori per avere tutte le informazioni. Oppure potete aderire all’iniziativa di alcuni studenti che hanno costituito presso molte città d’Italia dei mercatini del libro usato che vengono venduti a prezzi simbolici. C’è anche la possibilità di scaricare i libri di testo via internet pagando solo i diritti d’autore rivolgendosi al sito: http://consultazione.adozioniaie.it; insomma dopo GUTEBERG la rivoluzione dell’editoria passa per il computer. Sarebbe inoltre auspicabile che ciascuno di noi insegnasse ai propri figli che essere differenti è spesso segno di audacia, fierezza e lungimiranza. Differenza che può riscontrarsi anche nella scelta di uno zaino o di un quaderno, magari di carta riciclata. Serena Battisti
La Settimana dell’Artista 2005 III Edizione
I percorsi dell’arte e dell’artigianato La Provincia di Terni per la cultura
La Provincia di Terni per la cultura
VISCIONE Costruzione L Tecnica mista, modellato, olio, acrilico cm 75x80
CAPETTI Frammenti Tecnica mista cm 68x68
Una mostra come tante altre? Forse, ma non fine a se stessa. Non una fiera delle vanità. Nel panorama delle iniziative culturali locali i linguaggi figurativi contemporanei spesso vengono emarginati o rappresentati occasionalmente in modo dispersivo e in forma (auto)celebrativa, ciò comporta una percezione distratta, distorta, ambigua e soprattutto inefficace. La Settimana dell’Artista non è solo una mostra, è soprattutto un’occasione per conoscere la produzione artistica del nostro territorio. Un appuntamento annuale per rintracciare o seguire i percorsi di quanti usano il linguaggio visivo nella comunicazione e la ricerca poetica a livello professionale o per diletto. Un’occasione che si vuole dare ai giovani per far conoscere e mettere in discussione il loro lavoro e confrontarlo con esperienze più consolidate; un’occasione che si dà ai meno giovani che si avvicinano al linguaggio visivo e vogliono mettere in mostra il loro lavoro; un’occasione che si dà al pubblico interessato per seguire i percorsi degli artisti che da tempo operano nella nostra provincia. La Settimana dell’Artista comprende tre sezioni: La sezione invitati, che presenta ogni anno un numero ristretto di artisti residenti nella provincia di Terni la cui opera per qualità formali e/o di pura ricerca poetica merita una particolare attenzione; La sezione aperta e proposte che presenta operatori nel campo del visuale che chiedono di partecipare alla Settimana dell’Artista - tra questi una commissione composta dal direttore artistico, dalla presidente dell’Associazione Minerva e tre artisti invitati, ne selezionerà tre che nella successiva edizione saranno inseriti nella sezione percorsi -; La sezione percorsi che si propone di seguire di anno in anno l’evoluzione di operatori visivi, invitati, o che hanno già partecipato alle precedenti edizioni, o vincitori della Sezione aperta e proposte. Tra i lavori esposti in questa sezione saranno selezionate tre opere che verranno vendute a cura dell’Associazione Minerva ad Enti Pubblici o ad Importanti aziende private. Ogni anno La Settimana dell’Artista affronta un tema di confine; per l’edizione 2005 sarà “l’artigianato - dove finisce l’arte e inizia l’artigianato? Nel 2006 sarà “l’industria - il prodotto industriale diventa oggetto d’arte”. Lo spazio e le risorse economiche attualmente a disposizione non permettono l’inserimento di alcune importanti forme di comunicazione visiva che prevedono l’uso del corpo, le installazioni, le performances, la videoarte ecc., ma l’interesse e la sensibilità dimostrata dal Comune di Narni, dalla Fondazione Carit, dalla Provincia di Terni, dalla CNA di Terni, dalle imprese locali e dalla Regione Umbria, fa sperare che nelle prossime edizioni questa mancanza verrà colmata con l’utilizzo di spazi diversi su tutta la città di Narni, creando un’omogeneità espositiva e di azione tra Narni centro storico e Narni scalo ispirata alle peculiarità culturali delle diverse realtà socio-urbanistiche. Mauro Pulcinella
Vincitore dell’Edizione 2004
GRAPPOLI Vegetazione Tecnica mista
MILARDI Maschera Rossa Tecnica mista, legno, acrilico cm 50x50
Dal 24 Settembre al 2 Ottobre Narni Scalo, Via Minerva n. 6
RAPACCINI Tecnica mista
Requiem
Apertura dalle 16,30 alle 22,00 Domenica 25 settembre dalle 10,30 alle 13,00 e dalle 16,30 alle 22. Sabato 1° e Domenica 2 ottobre orario continuato dalle ore 10,30 alle 22,00.
PANTALEONI Tecnica mista
Paesaggio cm 80x100
CHIOCCHIA Tecnica: acrilico
Umbria cm 90x90
INGRESSO LIBERO Organizzazione: Mariacristina Angeli, Presidente Ass. Minerva Direttore artistico: Mauro Pulcinella
info 3339144745 e-mail associazioneminerva@virgilio.it www.cesvol.net/associazioneminervanarni www.associazioneminervanarni.it
CAPONI Altare Tecnica mista, pigmenti, oro cm 52x36
VITTURINI Forme della natura soggette a mutazione n° 8 Tecnica: acrilico su tela (Trittico) cm 150x345
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E ducazione al C ibo Te r n i a t a v o l a con gli appassionati svedesi
Saranno giorni densi di curiosità e sperimentazioni quelli che si appresta a vivere l’eno-gastronomia ternana. Sabato 24 e domenica 25 settembre si terrà, infatti, il primo momento di una serie di scambi culturali a carattere eno-gastronomico e turistico che la Condotta di Terni di Slow Food si appresta ad avviare. L’iniziativa, denominata Incontri a tavola: Terni e la Scania, due modi di vivere slow, si svolgerà ad Amelia all’interno del prestigioso chiostro di Palazzo Boccarini e vedrà la partecipazione attiva e collaborativa di alcune delle migliori realtà culinarie, alimentari e vitivinicole locali e di una delegazione della Scania, regione della Svezia meridionale. Ospiti d’onore saranno infatti i rappresentanti del Convivium Slow Food di Scania e della città di
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Helsingborg, mentre un gruppo di quattro eccellenti cuochi svedesi si alterneranno agli altrettanto quotati colleghi ternani nella preparazione dei banchetti. Il programma della manifestazione, patrocinata da Comune di Amelia, Provincia di Terni, CCIAA di Terni e IPPS “Casagrande”, è articolato in due serate conviviali ma non mancherà tuttavia di momenti di riflessione e approfondimento. Nel corso delle cene saranno proposti due differenti menù italo-svedesi, alternanze di piatti locali e svedesi (antipasto, pietanza principale italiana, pietanza principale svedese, dessert italiano e dessert svedese) accompagnate dagli ottimi vini offerti e presentati dalle cantine del comprensorio amerino. Una sorta di sfida senza vincitori tra diverse realtà culinarie che vedrà chef di indubbio talento alle prese con i rispettivi prodotti locali e impegnati nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi possibili abbinamenti e armonie di sapori. Alta cucina servita in un contesto decisamente evocativo, partecipazione aperta a tutti (fino a 140 posti a serata) e prezzi
Pe rc h é si dice... Fare scarpetta La locuzione deriva dall’usanza di raccogliere sughi e intingoli con un pezzo di mollica di pane, spinta con un dito per aderire meglio alla superficie del piatto e resa concava dalla pressione del dito stesso, che ricorda così un piede infilato in una piccola calzatura. SC assolutamente popolari. Gli incontri a tavola saranno anche il pretesto per far conoscere agli ospiti della Scania le eccellenze artistiche, culturali ed enogastronomiche del territorio ternano-amerino e per favorire una maggiore conoscenza reciproca su cui fondare promettenti prospettive di promozione culturale e turistica. A questo scopo sono previste alcune visite guidate nel comprensorio ed un convegno (domenica 25 settembre) su ambiente, prodotti tipici e turismo in cui interverranno i rappresentanti delle istituzioni locali patrocinanti, alcuni noti ricercatori locali e i delegati svedesi. Si parlerà di enogastronomia ma anche di sviluppo sostenibile, di storia locale e di politiche attive di difesa, di patrimonio culturale ad ambientale e di prospettive di sviluppo. Insomma di tutti i temi che da anni caratterizzano il movimento slow food. Per informazioni e dettagli www.ternislow.com e info@ternislow.com. Mirko Checcacci
Un tipico ginocchio di pecora Ricordo bene il racconto di un amico, anni fa, al ritorno da un suo viaggio in Mongolia. Alloggiato in un hotel che definì turistico all’apparenza, al mattino si avviò affamato al tavolo della colazione; lungi dall’aspettarsi cornetto e cappuccino, non poteva neanche immaginarsi quello che si trovò di fronte: ginocchio di pecora lesso, tè con burro rancido, miglio fritto e un bicchierino di un non ben identificato e fortissimo liquore. Un pasto, sì, ma qualcosa di molto lontano del concetto che la parola colazione richiamava nella sua mente. Un’esperienza senz’altro sorprendente e in qualche modo disturbante. L’episodio può essere un utile spunto per riflettere in breve su come il cibo sia un sistema complesso, potremmo dire un codice che comunica e quindi mette in comunicazione diverse identità. Viaggiare è ovviamente uno dei modi più diretti per conoscere culture differenti, di cui il cibo è una grande espressione. Il turista viene a contatto con un sistema gastronomico inevitabilmente diverso dal proprio, sia di poco, se il viaggio è breve, sia altamente, come per un italiano in Mongolia. Ciò che distingue l’approccio del turista da quello di un immigrante, ad esempio, è la consapevolezza di stare per affrontare un sistema culinario alieno avendo scelto di farlo, per il piacere di viaggiare. Un turista non deve necessariamente adeguarsi a nuovi cibi quotidiani, ma può scegliere di farlo, come no, per un breve periodo. Di fronte a un alimento sconosciuto, repellente o poco invitante possiamo permetterci reazioni diverse che vanno dal totale rifiuto alla totale accettazione; dipende da quanto siamo disposti a mettere in discussione quel
complesso di norme sociali, pulsioni e conoscenze che costruiscono la nostra identità e fanno del cibo estraneo minaccioso, o affascinante che sia - l’alterità. In ambito gastronomico il confronto fra culture diverse - quindi fra l’Io e l’Altro - ha partorito il concetto di prodotto tipico, un alimento che, con certe particolari caratteristiche, è presente solo in una certa zona geografica e con essa si identifica, distinguendosi da ogni altro alimento. I prodotti tipici sono una risorsa immensa per un territorio e i turisti, fortunatamente sempre di più curiosi e disposti ad accettare un cibo non familiare, vanno alla ricerca degli autentici alimenti tradizionali di una zona. Eppure la confusione è ancora molta: non è facile stabilire cosa sia veramente autentico e tradizionale, e spesso il turista ha un’immagine patinata, idealizzata e statica del prodotto tipico. I concetti di autentico e tradizionale per un prodotto sono in costante movimento e ridefinizione in relazione a molti elementi, come ingredienti impiegati, tecniche di produzione ecc., che possono variare nel tempo, con le interazioni sociali, i commerci. Può servire al turista consapevole e curioso tenere a mente questi e altri parametri che concorrono a creare il legame di un cibo col territorio. Un’infarinatura di storia e di cultura del luogo che si va a visitare e non sentiremo più la nostra identità culturale minacciata di fronte a un cibo sconosciuto. Ci ricorderemo anzi che la nostra identità si definisce in relazione alle altre ed è frutto di mutamento e scambio. E se dovessimo fare colazione in Mongolia, potremmo sfidare i nostri amici a ginocchio di pecora lesso. Silvia Cicioni
E ducazione allo S port La Domenica e il tifo un libro per capire gli ultras della Ternana
Noi ultras siamo disposti magari a batterci contro uno che neanche conosciamo perché tifa per un’altra squadra, e forse è uno che la pensa precisamente come noi su tante cose, mentre evitiamo di assumere certi comportamenti o di prendere posizione su cose quotidiane che ci toccano più da vicino. È una dichiarazione raccolta nel libro La Domenica e il tifo di Gian Paolo Di Loreto stampato e distribuito dal CONI - uno studio molto dettagliato di due gruppi della tifoseria rossoverde, i Freak Brothers e la Working Class. Ragazzi come tanti, con diversi gradi di istruzione, senza particolari situazioni difficili alle spalle, che dimostrano come il tifo odierno a Terni non nasca tanto da una frustrazione sociale, quanto dal bisogno di riconoscersi in un gruppo, di rimarcare la comunità di appartenenza e di condividere un’esperienza collettiva. Nota Di Loreto come intorno al tifo ruoti tutto un sistema di valori alternativo, una vera e propria controcultura. Gli ultras vedono nel tifo un’occasione per esprimere e condividere una visione del mondo. C’è ovviamente l’aspetto della sfida, del coraggio, della virilità, che appartiene ad una sfera simbolica (che a volte sfocia nella realtà fisica!).
C’è poi quel sentirsi alternativi al sistema, contestatori, liberi dalle convenzioni, diciamo quella portata rivoluzionaria che, se fosse riversata nella vita di tutti i giorni, come dice il tifoso nell’intervento riportato in apertura, si tramuterebbe in una forte coscienza civile.
Il mondo del tifo per fortuna non è solo quel cliché di violenza, vandalismo e rabbia che propinano le tv nazionali la domenica sera. La deriva delle frange estreme può convertirsi - è la speranza del libro - in un movimento di aggregazione sociale, ma questo mutamento può avvenire solo dall’interno. Come dichiara un ultra: solo vedendo lo stadio come parte del territorio, il mondo ultras potrà riuscire a valorizzare le sue capacità aggregative, solidaristiche e conflittuali in una battaglia per una società in cui i diritti e i bisogni negati della moltitudine siano l’unico motore dello sviluppo. Francesco Borzini
Lo Sport è sacrificio, lealtà, risultato... Il ciclista americano Lance Armstrong ha assunto “EPO” durante il suo primo giro di Francia vinto nel 1999, denuncia l’Equipe. Non è dato sapere se i successivi sei tours vinti siano anch’essi macchiati dalla stessa infamia. E’ tuttavia singolare che la notizia abbia atteso sette anni per venire alla luce, lanciando sospetti su chi aveva l’obbligo di diffonderla nei tempi dovuti. La più istintiva supposizione è che Armstrong sia stato il personaggio giusto al momento giusto per rivalutare il tour e il ciclismo in affanno per il calo di interesse internazionale. Se que-
st’ipotesi maligna trovasse riscontri, l’onta del disonore avrebbe un effetto boomerang ed avverrebbe una pericolosa spirale di riserve sul comportamento degli organizzatori della corsa francese. L’immagine del campione affetto da cancro ai testicoli, capace di sconfiggere, insieme al male, un’intera generazione dei migliori pedalatori del globo, ha certamente giovato a creare un’aurea di onnipotenza dell’intero popolo d’America tant’è che, seppure a riposo, il campione ciclista è oggi testimonial della campagna statunitense contro il male del secolo.
La mistificazione e la manipolazione della verità, fatte con il supporto dei media, sono strumenti non secondari alla politica dei governi ad ogni latitudine della Terra. Sarebbe auspicabile, invece, che almeno le manifestazioni sportive siano ricondotte nei loro alvei di valenza, e riacquistino il rapporto sacrificio-lealtà-risultato. C’è da augurarsi che non occorrano altri sette anni per sapere se Armstrong si è drogato anche in occasione del suo secondo tour ed ancora sette per il terzo e così via, altrimenti non avrebbe senso neppure la condanna a morte di Pantani. Giocondo Talamonti
CINEFILO SPORTIVO Spirito, ideale e cultura dello sport nel cinema La schedina del totocalcio C’è una lunga tradizione di film sull’1X2, con la vincita al centro della narrazione, a stravolgere la vita di normali cittadini, gli stessi che il commendatore Carloni (Aldo Fabrizi) definiva “pessimi” in Prima Comunione (1950, Alessandro Blasetti), perché nel 1950 era socialmente disdicevole affidarsi più alle speranze del gioco che alla concretezza del sano lavoro. Già nel 1954, comunque, il sogno di una vincita al totocalcio coinvolge e fa sognare tutti gli italiani, ce lo dimostrano i cinque episodi del film Se vincessi 100 milioni (1954, Carlo Moscovini) dove c’è tutto lo spirito sano che ha stabilmente animato le menti di milioni di italiani fino all’introduzione del Superenalotto, avvenuta nella seconda metà degli anni ‘90. Le vicissitudini di questo filone cinematografico (chiamato dai critici “tredicista-movie”) lega la sua fortuna ai canoni classici della commedia all’italiana con personaggi unificati da un destino sfortunato, per il quale la schedina giusta si rivela un’a-
troce illusione, spazzata via a contatto con la realtà. Nella pellicola Ha fatto 13! (1951, Carlo Manzoni) un industriale ottiene una favolosa vincita, proprio il giorno dopo aver annunciato il fallimento della sua impresa, scatenando ovviamente i legittimi appetiti dei creditori. Il titolo che vede giganteggiare Enrico Montesano è altamente illustrativo: Tutti possono arricchire tranne i poveri (1976, Mauro Severino). Una legge che coinvolge anche il Diego Abatantuono beffato dagli amici in uno dei tre episodi di Eccezzziunale... veramente (1982, Carlo Vanzina) e Massimo Boldi in uno dei quattro episodi di Tifosi (1999, Neri Parenti). Una condanna che non risparmia il Lino Banfi di Al bar dello Sport (1983, Francesco Massaro), coinvolto suo malgrado in numerose disavventure. Del filone tredicista fanno parte anche film come Ho vinto la lotteria di Capodanno (1989, Neri Parenti) e Gratta e vinci (1996, Ferruccio Castronuovo) che ripropongo-
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no la stessa formula, dell’atroce illusione di cambiamento, sostituendo alla schedina i nuovi giochi in auge. La schedina ha sempre identificato, nella cinematografia italiana, l’italiano medio e il suo rituale domenicale irrinunciabile, la volontà di riscatto e la speranza di migliori giorni. Complice la sua discesa di popolarità (a favore dell’ascesa del Superenalotto), il filone tredicista si è ormai esaurito. Adesso solo gli irriducibili giocano al totocalcio e nella cinematografia attuale la schedina non viene neanche accennata nei dialoghi come accadeva prima. Alle fredde statistiche, ai numeri e alle cifre dei nuovi giochi io ho sempre preferito l’ironia delle chiacchiere da bar d’altri tempi così come il cinema ce li racconta con pronostici e punzecchiamenti vari: impossibile d’altronde dimenticare i clamorosi exploit del Catania del centravanti Cantarutti in Al bar dello sport (1983, Francesco Massaro. Claudio Talamonti
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P siche Disfacimento della scuola
Passioni
L’apertura delle scuole riapre il solito tormentone: caro libri, programmi, (in)adeguatezza degli insegnanti, in(adeguatezza) degli alunni… Che la nostra scuola, un tempo non lontano una delle migliori al mondo, sia non solo in declino, ma in un vero e proprio disfacimento, è ormai chiaro a chiunque sappia anche solo leggere e scrivere. Declino, si badi, non dovuto ai tempi né fatale, ma voluto e programmato, in casa nostra, da governanti incolti e incapaci che quando sentono la parola cultura “portano la mano alla ri voltella”; e che sono servi compiacenti, per quanto riguarda il fuori di casa nostra, di altri governanti, meno incapaci o forse meno venduti, i quali hanno tutto l’inte resse – e non da oggi – a sradicare e distruggere la nostra antica e solida cultura, unica garante della nostra ormai quasi perduta libertà. Che si sappia o no, che si studi o no, l’attuale sistema scolastico, debiti e crediti formativi in primis, passa una benevola, indulgente spugna sopra ogni inefficienza, abi tuando fin da ragazzi i nostri figli ad essere imbroglioni, disonesti e furbastri come la nostra classe dirigente vuole, insegna e pratica. Da parte loro le famiglie fanno a gara a difendere i loro amati somari da quei pochi
Ciò che manca alla scuola è soprattutto la capacità di far sbocciare passioni. Non esiste vero successo nella vita per chi dovrà dedicare la maggior parte del tempo nei suoi anni migliori ad un’attività che non appassiona. Per chi si barcamena durante la settimana avendo come unica lieta aspettativa quella di un week-end lontano dalla città. Manager? Una marea di responsabilità. Terribile se non si ama il proprio lavoro! Ultima ruota del carro? Un vagone di bocconi amari. Insopportabile se non si nutre una grande passione almeno al di fuori del lavoro! Sapienti e non saccenti, vivi e non solo vegeti, persone e non elementi… Fa questo dei nostri figli la scuola? Ma scuola, come tanti altri, è un termine generico... La differenza la fanno gli insegnanti: sapienti o saccenti, vivi o semplicemente vegeti, persone o elementi…
insegnanti che ancora hanno voglia di lottare contro i mulini a vento e pretendere (ohibò!) dai loro alunni un minimo di serietà, impegno, in definitiva di studio, visto che a scuola, oltre che per socializzare, fumare e cazzeggiare, ci si andrebbe anche per studiare. E con comportamento pedagogicamente disastroso tendono a screditare proprio gl’insegnanti migliori, vale a dire quelli più seri, severi ed esigenti, che “chissà cosa pretendono da questi poveri figli nostri”. Figli nostri che quindi non solo imparano proprio a scuola che lavorare ed essere seri è inutile, ma si sentono spesso spalleggiati in questa loro posizione dalla compiaciuta connivenza delle famiglie le quali, eliminando ogni serio esercizio mentale, allevano e autorizzano un’intera generazione di incapaci se non di cretini. Quando Collodi immaginò il Paese dei balocchi dove si diveniva ciuchini, in contrasto con la scuola dove si diveniva “ragazzi per bene” era lontanissimo dall’immaginare, poveraccio lui ma soprattutto noi, che un giorno i due concetti si sarebbero ravvicinati talmente da far sì che dalla scuola si uscisse ciuchini e dal Paese dei balocchi, amministratori, politici, governanti. Vincenzo Policreti
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La ricerca siamo noi
Dopo il nostro turno in sede Andositalia, passeggiamo io e Loredana e ci confidiamo le nostre ansie: siamo tutte e due in un turbine di controlli medici e in attesa di risposte che temiamo e che forse rimanderanno ad altre analisi, in una via crucis che ci sembra interminabile. Come noi tante altre, lo sappiamo bene. E allora, per staccarci un po’ da noi stesse e proiettarci nella vita degli altri, secondo lo spirito di solidarietà che è un po’ il nostro distintivo, ci consoliamo pensando che la ricerca va avanti anche grazie a noi, anzi ha bisogno di noi, dei nostri controlli, delle nostre analisi, dei nostri dati prima e dopo la malattia, delle nostre ansie e della nostra voglia di ricominciare. Solo così troverà soluzioni nell’immediato e per il futuro. La ricerca siamo noi, ma soprattutto voi medici, alle
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cui mani ci siamo affidate, voi che forse trepidate quanto noi nel momento in cui ci sottoponete ad una cura e provate sulla nostra pelle, naturalmente con il nostro consenso, un nuovo farmaco di cui non potete garantire in assoluto l’efficacia, voi che desiderate quanto noi la nostra guarigione, facendovene un giusto vanto se le cose volgono in positivo, e addolorandovi ma anche intensificando la ricerca se qualcosa non funziona. Perché le nostre sconfitte sono le vostre, sono studi non approdati ai risultati previsti, sono energie sprecate, passi indietro… E allora dobbiamo camminare insieme, noi nella fiducia e nella serietà della cura, voi nell’impegno e nei controlli accurati, sia intermedi che finali, senza perderci di vista. Ognuno di noi, pazienti, medici e studiosi, paramedici e volontari, promuove la ricerca. Elettra Bertini
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lo La Provincia di Terni per la cultura
Z oo di S imona
Gli animali fantastici di Simona Angeletti in mostra al caffè letterario Placebo
Arriva a Terni lo Zoo di Simona, un progetto di Simona Angeletti che, sotto forme e titoli diversi, sta girando l’Italia. La mostra prende il nome di Pinne a penna e sarà allestita dal 7 ottobre al 7 dicembre presso i locali del caffè letterario Placebo in via Cavour. Terni non è nuova ai disegni della creativa ternana, che già da diversi anni sono comparsi sottoforma di murales al CLT, sulle serrande delle edicole cittadine, all’interno della Biblioteca e in mille altri angoli. Tra gatti, patate antropomorfe e coccinelle, lo Zoo di Simona, lungi dall’essere un naif per la stanza dei bambini, è un discorso aperto sull’infanzia. Un’infanzia intesa come valore, come ritrovata coscienza e come contrapposizione alle disillusioni del mondo adulto. Il colore dei quadri è festoso e omogeneo, perché le sfumature e le indecisioni appartengono agli adulti; il tratto è netto e rimarcato, perché il contorno labile e l’instabilità sono prospettive dell’occhio adulto; così come la scelta della bidimensionalità è tipica dei bambini, ancora incapaci di immaginare dietro le figure un lato nascosto.
Simona Angeletti
nasce sotto il segno del topo nel 1972: animali in vista... Alle Elementari non riesce a disegnare bene. Tutti i fiori (?) che la obbligano a dipingere, diventano grasse nuvole con occhi e antenne: s’intravede l’utopia. Un Liceo Classico alle spalle, al quale deve veramente molto: molte amicizie collaudate e vere, molti complessi, molte estati sui libri e tante pagine di diari fitti di diseegni, giornate a far murales, striscioni, magliette, serrande e a riempire di bigliettini lo scatolone dei sogni di cartone nella stanza di Pulce (uno degli animali dello ZOO)... Le accademie in Italia e in Inghilterra le serviranno per la sua formazione nell’arte contemporanea: diventa corrispondente estero di un’azienda di laminati a Milano, venditrice di connessioni satellitari a Roma, responsabile di palinsesti televisivi e piattaforme integrate internet a Forlì, eppoi il ritorno allo ZOO, a Terni. Ha donato tele per i bambini meno felici a Terni, Roma, Cagliari, Assisi e Milano. Fa laboratori del colore gratuiti.
La Provincia di Terni per la cultura
In questo bestiario infantile ritornano crostacei inoffensivi, tuberi brutti ma sorridenti, elefanti sgraziati ma teneri, un catalogo di elementi inadeguati che, sotto una scorza dura, lanciano una richiesta di affetto ed un invito ad andare oltre la superficie. Questi animali sono solo all’apparenza in libertà, perché il progetto, sin dal titolo, li relega in uno Zoo, dentro gabbie invisibili e per questo più insidiose e ovattate, che sembrano alludere alla nostra condizione di inconsapevolezza del mondo. E proprio contro la nostra incoscienza si levano dallo Zoo dei messaggi di controinformazione. Potremmo dire che nello Zoo di Simona palpita una coscienza civile tutt’altro che infantile. Perché allora questo forte richiamo all’infanzia? Perché nello Zoo di Simona vive un’infanzia intesa come valore: questi animali sono piccole utopie, sono animali cresciuti e consapevoli, ma tornati bambini per ripulirsi dalle incrostazioni dell’età adulta, che scorazzano in una sorta di eden dove non esistono remore nell’espressione dei sentimenti. Proprio quello che ci manca oggi. Francesco Patrizi
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Fenomelogia degli
Altoforno
Il ritorno degli
Chissà cosa penserebbe il prof. Portelli, che alla storia orale della città di Terni ha dedicato un bel saggio (Biografia di una città), degli storytellers della conca, gli aedi della Ternitudine, i cantori di una generazione di ternani rispecchiatasi spesso e volentieri nei versi (più o meno alati…) degli Altoforno? Dieci anni di carriera onoratissima, festeggiata con un happening da tutto esaurito all’Anfiteatro Fausto, numerose hits entrate ormai nella memoria collettiva di un’intera generazione di ternani, imperdibili bootleg (a cominciare dal Live in Cardeto) finiti nella valigia di tanti emigranti universitari, come un pezzo di pampepato in note da far assaggiare agli amici (sgomenti) del resto d’Italia (perugini esclusi, si intende…). Qual è il segreto degli Altoforno? Non solo il loro rifarsi ad un genere piuttosto fortunato di cover satirica (in stile Tony Tammaro, per intenderci, quello di Mio fratello fuma a scrock, sulle note di Fossati) o l’abbinamento
una sventurata omonima nostrana. Il segreto del loro successo, se mi è consentito azzardare, è quello di essere capaci di narrare (in forma giustamente scanzonata e autoironica) le radici identitarie di una generazione di ternani, attraverso un linguaggio peculiare (con qualche eco del
un po’ alla Elio e le storie tese di musiche e testi, spesso irresistibilmente dissonante (si pensi alle note struggenti de La mia storia tra le dita prese in prestito per raccontare il difficile rapporto con una girlfriend assai poco delicata, dall’appetito insaziabile e dall’alito mefitico, o l’immortale Balla Linda rivisitata per narrare le gesta gastro-esofagee di
dialetto dei nostri nonni), una storia condivisa (fatta di tanti piccoli eroi locali, da Ausilia al fornaio Elio, da Maurizietto al mitico Liberati…), luoghi e simboli comuni (il grande Majo e la Cascata, li prati de Stroncone, Carsulae e, ovviamente, la Ternana) e un immancabile nemico (Anche lu perugino c’ha da ringrazia’, senno’ le zolle stava
Altoforno Le foto sono di Mirimao
ancora a svordicare: sintesi mirabile anche se un po’ partigiana del ruolo storico-economico delle acciaerie ternane per l’intera economia regionale). Gli Altoforno riescono dunque, con l’inconsapevolezza propria dei grandi, a tratteggiare quel che si potrebbe definire l’esprit (certo non de finesse…) di una collettività cittadina, l’essenzialità noumenica dell’essere ternano, in un percorso anagogico che conduce dalla materialità più greve alla fissazione del concetto generale ed astratto di Ternitudine. Una Ternitudine, portata con orgoglio radicale: dai tic linguistici (da quando hanno demolito il bar Hawaii, ci saranno solo le canzoni degli Altoforno a ricordarci l’imperterrita pronuncia del ternano medio: Lubbaravài), alle leccornie più stravaganti della nostra tradizione (ma che cosa è mai lu battipallacciu con cui la volenterosa massaia cerca di surrogare le pappardelle a lu cinghiale dell’omonima canzone?), dalle glorie del passato, descritte con pennellate impressionistiche (La stazione, capocollo, fave e pecorino, giocano le Fere su a Torino), all’analisi lucida delle opportunità per la Terni del futuro (quale spot migliore per la nostra nascente università della canzone che spiega come l’Ateneo per Terni rappresenta la vita/ porta soldi, cultura e tanta… possibilità di conoscere studentesse avvenenti?). E ci pare allora più che giusto festeggiare la decennale fatica di Jumpot e Boccia, Marassimo e Medeo, Mocho, Poldo, Nonno e tutti gli altri, alla ricerca imperterrita di una città da raccontare e da tramandare, novelli bardi di una Ternitudine di cui qualcuno ancora si vergogna, ma che, nel bene e nel male, rappresenta le radici di ciascuno di noi. Francesco Borzini
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Costa poco e sazia tutti: che sia lei la vera anima della sinistra? Oggi è con noi la Pizzola della Festa dell’Unità. Pizzola, lei è l’unica tradizione della sinistra digerita dagli alleati. … mò c’ho dda fa, lellè, non te posso sta appresso… Lei propende per il centro o è per l’asse-Bertinotti? Io so’ salata oppure dorce se me metti lo zucchero, ma tocca sta attenti alla diabbete. E come si rapporta con le varie anime della coalizione? Me poli farcì co’ la mortadella, come da tradizione, o co’ sta nutella che piace a li giovani. Basta non ammischià. Insomma, propone una base condivisa, ma identità separate… Levete un po’ che devo frigge... A proposito di questione morale, la sinistra dice di avere le mani pulite, ma lei continua ad ungere. …se voli magnà, bene o male, te devi sporca le mani!
Lo storico gruppo ternano festeggia i 10 anni con concerti, cd e dvd. Tutto cominciò quando Stelvio comprò la tastiera e intonò con gli amici le prime irriverenti parodie nel cortile delle parrocchie di Campitello e Gabelletta. Poi ci fu lo stand alla festa della CGIL, il passaparola, ed arrivò puntuale il successo: le feste di partito, le feste di paese, le piazze piene. Dieci anni dopo, tra gli Altoforno, c’è chi ha messo la testa a posto, chi ha tirato su famiglia, chi lavora a Genova, chi fa il medico. Solo lu Nonno ha seguito la tradizione del ternano doc ed è entrato all’AST, mentre Giampaolo è rimasto nel mondo della musica, sia pure dietro al mixer e non sul palco. Per il concerto dei dieci anni abbiamo riempito l’Anfiteatro e abbiamo fatto il bis la sera dopo per chi era rimasto fuori, un mese dopo sulla terrazza di Cospea sono venuti in 2.500, ci racconta entusiasta Giampaolo Vantaggi. Il pubblico è sempre più affezionato e numeroso, diviso tra le nuove generazioni che li hanno scoperti da poco e le vecchie che non li dimenticano. Stiamo pensando ad un DVD con il concerto del decennale da vendere a Natale, ci hanno richiesto dei gadgets, aggiunge Giampaolo mentre attacca il mixer per un concerto di Cavour Art (musica classica questa sera, niente permanenti da rigurgito né pappardelle a lu cinghiale). Proposte serie ne avete mai avute? Nessuna, ma neanche noi ci siamo proposti più di tanto ai discografici, siamo andati a RadioDJ, il 13 febbraio di 2 anni fa, e fu la consacrazione nazionale di Perdere i capelli. L’estate abbiamo sempre lavorato, ci chiamano di continuo nelle feste dei paesi qui intorno. Ed a cantare la Ternitudine più schietta, quest’anno, si sono riuniti gli storici compagni di sempre, animati da quella goliardia degli esordi che nessuna laurea o prestigioso posto di lavoro ha minimamente intaccato.
Jena Plinsky
Massimo Colonna Francesco Patrizi
Mensile di attualità e cultura Direttore responsabile Direttore Vicedirettori Cinema Teatro Cous Cous La ricreazione Sesso und droga Sottotesto Grafica Disegni Marketing e Pubblicità Società Editrice
a cura della Associazione culturale “Oblò” Registrazione n. 17 del 26 novembre 2004 presso il Tribunale di Terni Direzione e Redazione: Terni Via Carbonario 5, tel e fax 0744.59838 Tipografia: Umbriagraf - Terni
Michele Rito Liposi Francesco Patrizi Francesco Bassanelli, Massimo Colonna Elena Marrone, Claudio Talamonti Silvia Cicioni, Albano Scalise Cecilia Candelori Silvia Spiropulos Antonino Dastoli, Beatrice Ratini, Adelaide Roscini Ilaria Di Martino Chiara Leonelli
Comunicazione e Progresso s.a.s. - Tel. 0744.59838 Comunicazione e Progresso s.a.s.
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S tranieri
DOC
Un angolo di Turchia in città
A pranzo con Said e Yeysi per scoprire i sapori della Mezzaluna zionali: il kisir, composto da grano tritato con pomodoro, cipolle, prezzemolo e limone; il felafel, a base di polpettine di ceci; il dolce nazionale baklava; e ovviamente il kebab, che si può preparare con ogni tipo di carne, maiale, vitello, agnello, pollo e tacchino; in questo caso è stata scelta una versione mista di
Terni sta cambiando volto. Secondo un censimento recente, sono presenti sul nostro territorio circa 12 mila stranieri: 10.836 extracomunitari e 923 residenti nella CE. La comunità di immigrati più numerosa è quella albanese con 2.801 unità, seguita da quella rumena con 2.343, quella ucraina con 1.070, macedone con 639, indiana 509, moldava 463, polacca 438, bulgara 123 e serba 29. Più i 430 marocchini e i 206 tunisini a rappresentare l’Africa, e i 379 filippini, 110 dominicani e 190 cinesi per l’Asia. Capire tradizioni, usi e costumi di queste persone non è facile. Ci vorrà del tempo per conoscersi bene. Nel novero degli stranieri non sono stati contati i tre turchi arrivati da pochissimo in città. Sono venuti per portare un elemento fondamentale della loro cultura millenaria: il cibo. Non è azzardato affermare che la cucina turca, da non confondere assolutamente con quella araba, sia una delle migliori nel mondo. Qualcuno la colloca, addirittura, dietro quella francese soprattutto per la varietà dei piatti. Fuori dal locale in via Cairoli, alla fine di via Angeloni, campeggia un cartellone raffigurante un kebab, un enorme pezzo di carne che gira su uno spiedo verticale. Anche qui il kebab comincia a piacere, la gente che lo assaggia
Grandi speranze sono riposte nella Cinecittà della Valnerina, nella Mecca dei sogni ternani: Papigno. Allora Papigno, come va?
dalla Turchia, ne ha assimilato diverse tradizioni culinarie. Anche il sutlaç (il risògalo greco), una sorta di budino di riso, è un dolce che vale sicuramente la pena assaggiare. Said viene da Diyarbakir, una cittadina turca simile a Terni. Sono un maestro - ci racconta durante una manifestazione
torna a trovarci, ci dice sorridente Said, un giovane turco venuto da Milano ad aiutare Yeysì e Abdullah ad avviare l’attività qui a Terni. Per farsi conoscere hanno allestito uno stand alla festa dell’Unità questa estate e diversa gente, alla Passeggiata, girava con questo panino ripieno di
carne, verdure e spezie. Non facciamo solo iskender kebab, ci sono anche il felafel, il sutlaç, il kisir…nomi difficili per voi, ma stiamo preparando il menu dettagliato per far conoscere questi piatti alla gente. Il menu, in effetti, è indispensabile per apprezzare i sapori tradi-
Il lavoro è tanto, c’è bisogno di manodopera. Quindi ci sono prospettive serie per i nostri giovani. Certo, ma devono essere motivati, perché non è un mestiere come gli altri, è un’arte! Che consiglio dà a questi speranzosi apprendisti? La prima cosa è imparare a riconoscere la qualità delle ghiande. Le ghiande? Il maiale deve crescere
vitello e tacchino, più magra. Viene servito dentro particolari pagnottelle fatte a mano e sfornate sul momento (yufka). Molti italiani, reduci dalle vacanze in Grecia, lo conoscono come ghiros, ma è a tutti gli effetti il kebab poiché la Grecia, essendo stata dominata per 400 anni
politica in favore del popolo curdo sono stato arrestato e sono finito in carcere, poi ho trovato asilo politico in Italia. Oggi vive a Milano dove gestisce un locale, da qualche giorno è arrivato a Terni per aiutare l’amico. Perché Terni? È stato un caso, cercavo un posto vicino Roma ed ho trovato un locale qui, ci dice Yeysì, mentre con le mani infarinate impasta la yufka. La scommessa è quella di stimolare la curiosità del palato dei ternani, di avvicinarli ai sapori mediorientali, una novità assoluta per la nostra città. La cucina turca non dovrebbe essere vista solo come uno sfizio, perché la conoscenza di un popolo passa soprattutto attraverso il cibo, oramai divenuto sinonimo di cultura popolare, come ben sanno i turisti stranieri che vengono in Italia. Massimo Colonna Francesco Patrizi
Un ternano alla Giornata Mondiale della Gioventù Mai più guerre di religione. Questa la frase che il Papa ha lasciato a noi giovani. Una frase che potrebbe sembrare retorica, se consideriamo che il mondo è ancora tormentato da dissidi religiosi. Ma posso affermare che non è così. La GMG di Colonia non è stata solo un bagno di folla, ma il dialogo tra culture diverse. Diverse, ma simili nella gioia del canto, del ballo e nella preghiera. Simili, non uguali. Ognuno, anche nei momenti comunitari, manteneva la propria identità e dialogava con l’altro imparandone la lingua. Non dimenticherò mai i tedeschi che rispondevano al mio grüscott con un buonciorno! O le polacche che cantavano con noi Ti Amo (di Umberto Tozzi). I tedeschi non sono freddi, ho sfatato questo pregiudizio. La famiglia che mi ha ospitato è stata cordiale ed ho percepito che avevamo un sincero piacere di avermi con loro. Ci sono stati momenti di grande familiarità, come quando ho preparato il caffè con la moka e loro temevano che potesse saltare tutto (cosa non improbabile!); mentre io sono stato attratto da un aggeggio spacca uova che poi mi hanno regalato. Il fatto che questa famiglia fosse cattolica è stato un caso, perché molti giovani sono stati ospitati da famiglie musulmane. L’incontro di Colonia è stato veramente all’insegna dell’accoglienza. Sono emersi i valori umani, il meglio di noi, basti pensare che anche quando eravamo pressati nei tram o alla stadio come sardine la solidarietà non è mai venuta meno. E questo non perché volevamo dimostrare di essere cristiani, ma per l’umanità che ognuno di noi, in quel contesto di pace, ha potuto tirare fuori. Antonino Dastoli
sano e robusto… Ma… non stavamo parlando di cinema? No, de porchetta! … ma…il futuro di Papigno? Appunto… Jena Plinsky
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L ’ O N U
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Intervista a Khulood Badawi
L’ONU dei Giovani a Terni L’Assemblea dell’Onu dei Popoli è stata affiancata anche quest’anno dall’Assemblea dell’Onu dei Giovani, intitolata Dire, fare e comunicare la pace, che si è svolta a Terni dall’8 al 10 settembre. I programmi delle due assemblee si sono intrecciati fino a fondersi nella Marcia Perugia-Assisi dell’11 settembre. I gruppi di lavoro, che hanno coinvolto circa 300 giovani provenienti da tutto il mondo, dalla Bosnia al Guatemala, dal Kenya al Brasile, hanno affrontato diverse tematiche quali: Avrò un lavoro per la vita? - C’è qualcuno che sta decidendo la mia vita e il mio futuro al posto mio? - In che modo posso costruire un mondo più giusto di quello che ho ereditato? Ha aperto il congresso Tatiana Giraldo, 21 anni, colombiana, intonando un canto che diventa poesia: La voz es gigante / queremos saber la verdad, la voce è
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grande / vogliamo sapere la verità. Tatiana è nella rete giovanile di Medellin e si confronta quotidianamente con la guerriglia, i paramilitari e l’esercito colombiano. A rappresentare il Ghana c’era James Parker: nel mio paese oltre il 50% della popolazione ha tra i 15 e i 35 anni, per questo vogliamo istituire una commissione della gioventù, dal momento che siamo in tanti, vogliamo e dobbiamo contare di più nelle decisioni del governo. Una lezione per un’Italia sempre meno giovane, nota l’inviata di Legambiente Elisabetta Galgani. La discussione ha spaziato dalla guerra in Iraq alla Bosnia, ma non ha distolto lo sguardo da problemi concreti del mondo giovanile, come il lavoro. Al termine dei lavori, è stato stilato un documento con le richieste dei ragazzi rivolte ai rappresentanti del governo e dell’opposizione.
Khulood, palestinese con cittadinanza israeliana, fa parte dell’Associazione Arabo-Israeliana Ta’ayaush e di Donne per la Pace subito; lavora per i diritti civili di Israele e si sta concentrando sulla questione del Muro. Ha partecipato al Fronte Democratico di Pace. È stato un Onu veramente dei giovani - ci dice - tutto è stato organizzato e gestito da noi, abbiamo avuto l’occasione di entrare nel direttivo, abbiamo avuto responsabilità nei programmi e nell’organizzazione. Tutto questo al di sopra delle diverse nazionalità. Temevamo - confessa Khulood - che si risolvesse in un insieme di proclami politici e basta, ma non è stato così. Il primo giorno c’erano da fare le presentazioni, ci sono state molte parole e pochi fatti, ma dal secondo giorno, sono partiti i Laboratori di Pace e abbiamo stilato un documento con i nostri progetti che arriverà direttamente all’Assemblea dell’Onu dei Popoli. Questo è il risultato più tangibile. In Palestina - aggiunge ci sono dei meeting su temi sociali, ma sono organizzati dal Governo, quindi servono a poco. Un evento come questo non si potrebbe realizzare, perché le voci alternative a quelle governative vengono soppresse. Se all’Università cerchi di organizzare un meeting di informazione contro il Governo, ti mettono il bastone tra le ruote. Nel mio Paese, i giovani sono una fascia debole, come gli anziani o i malati.
Come sarebbe bello se nessuno aspettasse nemme
G I O V A N I Intervista a Yana Ziferbblat
eno un istante per iniziare a migliorare il mondo. Anna Frank
Yana, una ragazza israeliana, fa parte della Coalizione di Donne per la Pace subito. Sono molto contenta di questa esperienza - ci dice entusiasta - perché mi ha consentito di avere, per una volta, un piccolo peso a livello decisionale; questo è molto importante per i ragazzi che vengono da paesi dove i diritti civili vengono prevaricati. In Israele ci sono molti italiani che operano a diversi livelli aggiunge Yana - e so che siete molto attenti alla problematica della guerra e del diritto internazionale. Nel mio Paese i giovani sono molto disorientati. Nel corso dell’ONU dei Giovani, noi israeliani abbiamo chiesto quale comportamento dovremmo tenere verso la politica Usa nei nostri Territori. Leggiamo che gli americani stanno portando avanti un processo di pace, ma poi ci affacciamo dalla finestra e la gente si spara. A chi dobbiamo credere? Forse l’America non vuole dire come dobbiamo comportarci, in modo che la situazione non cambi. Se gli altri organi internazionali ci potessero dare una mano in questo senso, anche noi avremmo le idee più chiare. In questi tre giorni - racconta Yana - abbiamo conosciuto le associazioni del posto, ci siamo scambiati le esperienze con ragazzi da tutto il mondo. Questi incontri servono a promuovere la coscienza della situazione internazionale, a sensibilizzare i giovani su tematiche magari lontane dalla propria realtà. È così che si arriva ai risultati. I giovani lo devono capire. Serve dialogo, non fucili.
Giuliana Sgrena e Giovanna Botteri: l’informazione è la prima vittima della guerra Venerdì 9 settembre sono intervenute Giuliana Sgrena e Giovanna Botteri, due giornaliste da sempre impegnate sul fronte della guerra, ed hanno risposto alle domande dei giovani sul ruolo dell’informazione nei conflitti. C’è una censura sottile e insidiosa, ha dichiarato Giuliana Sgrena, l’informazione è la nuova vittima della guerra. Questa guerra non vuole testimoni. Le agenzie e i libri di storia sono una cosa, la realtà la conosci andando per strada, ha detto Giovanna Botteri, purtroppo dopo il rapimento di Giuliana, non c’è stato più un inviato italiano sul territorio e dunque una testimonianza diretta. L’informazione deve portarti vicino al fatto e combattere la notizia che diventa numero. Non si può fare giornalismo seguendo solo le truppe, ha proseguito la Sgrena, la tua ottica viene militarizzata. Non puoi girare con una scorta, bisogna entrare nelle case e guardare i volti, perché la società civile vuole far conoscere al mondo la propria situazione.
Perché non si parla più dell’Afghanistan? ha chiesto poi un ragazzo. Perché il Governo ha detto che là è tutto risolto, ha risposto la Botteri, il ministro ha dichiarato che l’Afghanistan è un esempio di come un intervento militare ha portato un paese ad un passo dalla democrazia. Facendo informazione si mostrerebbe, invece, una verità totalmente diversa, perciò nessun giornalista è presente sul territorio e ci si affida solo alle agenzie di stampa. Giuliana ha poi ricordato il periodo della sua prigionia: uno dei miei rapitori mi aveva confessato di essere un tifoso della Roma e lo aveva colpito vedere Francesco Totti scendere in campo con la maglia liberate Giuliana. Quando sono rientrata in Italia, mi hanno recapitato montagne di disegni di bambini, non pensavo che anche loro fossero così sensibili alla guerra. In molti mi hanno detto che hanno pregato per me, nonostante sapessero che non sono credente. Questo mi ha molto colpita.
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T IL PIACIONE La tipologia del piacione si può riconoscere a chilometri di distanza: il suo look è caratterizzato innanzitutto da una vistosa abbronzatura (vera o fittizia?opterei per la seconda ipotesi) che d’estate o d’inverno, non importa, lo rende un vero e proprio macho. Il paravento, poi, ci abbina sempre t-shirt bianche, così da far risaltare al meglio il suo incarnato, tutt’altro che pallido e malaticcio! Altro accessorio cult è costituito certamente dagli occhiali da sole che, rigorosamente a specchio e piuttosto grandi (adatti a nascondere uno sguardo arrapato e libidinoso) non possono mancare! Appena si libera dagli impegni giornalieri (struscio per il corso, pubbliche relazioni davanti al Randez-Vous, aperitivo alla Terrazza), va in agenzia, pronto a prenotare una megavacanza a Cuba, famosa per la facilità dell’armedio e la disponibilità delle isolane. Decide allora di partire in compagnia di due o tre amici, in verità piuttosto bruttini, che non lo facciano sfigurare di fronte al gentil sesso! Giunto a destinazione, si informa immediatamente su quali siano i locali più alla moda e soprattutto (manco a dirlo) i più frequentati. Lo puoi trovare ogni volta in una discoteca diversa, mentre tenta di rimorchiare la bella di turno (che tanto non sarà mai la stessa della sera dopo!). Va a dormire rigorosamente alle 6 del mattino e si alza alle 15, quando
Tira Avete presente quelle coppie che si prendono e si lasciano, poi si riprendono e poi si rilasciano, e questo per tante di quelle volte che alla fine si trasformano in una barzelletta? Io ce l’ho presenti molto bene…. Dall’esterno potrebbero sembrare storie superficiali, senza sostanza, ma in diversi casi io credo si tratti di rapporti affettivi reali, nei quali però si fa ancora fatica a convincersi che non c’è sentimento, per quanto profondo possa essere, dove tolleranza e spirito di sopportazione non giochino un ruolo determinante per una tranquilla convivenza. Il principe azzurro non esiste, e que-
ormai è troppo tardi per mettersi al sole (ma che gli frega?? Le lampade del solarium sono così potenti!...e poi quest’anno può usufruire dello sconto fedeltà). Verso sera, si dedica allo jogging, mostrando finalmente il fisico modellato da ore e ore di palestra (dove va non certo senza interessi!); proprio a quell’ora (guarda caso!!) il campo sportivo è talmente affollato, che gli toccherà divincolarsi e destreggiarsi fra le tante fanciulle che lo frequentano (sai che dispiacere!). Al momento della partenza, lo puoi sentire mentre giura su una pila di Bibbie: tanto ci sentiamo o a Natale vengo a trovarti, ma appena l’aereo parte, è già pronto a cercare di rimorchiare la hostess o, male che vada, la passeggera seduta vicino a lui!
IL MANDRILLO È’ il classico tipo che, non appena ritorna dalle vacanze, RINCOGLIONISCE letteralmente gli amici raccontandogli quanto è stato figo quest’estate. I suoi ascoltatori, che con la bava alla bocca, sentono il racconto (immaginario!!) delle strabilianti conquiste, non credono ai loro occhi o per meglio dire alle loro orecchie, visto che da sempre lo conoscono come: quello CHE NON BATTE UN CHIODO. In ufficio, quando prova a tutti i costi a fare il ganzo con le colleghe, riceve sonori ceffoni; frequenta anche una palestra scalcinata, con la speranza (alquanto recondita) di poter poi sfoggiare un fisico atletico ed essere invidiato da tutti gli amici: ottiene però, come unica reazione, l’indiffesto è appurato; ma se anche esistesse, beh… sarebbe difficilissimo incontrarlo! Quindi, inutile sperare di conoscere la persona di cui ci piace tutto e della quale non ci pesa alcun difetto. Il vero problema sta nel riuscire ad accettare l’altro per quello che è: non si può certo intraprendere un rapporto con l’idea prestabilita di modificare il carattere del partner a nostro piacimento. E se ci si riuscisse, sarebbe da chiedersi che razza di individuo è l’altro…! Risposta: una nullità…!!! D’altronde penso che nessuno di noi per primo sia disposto, né capace, a cambiare il proprio modo di essere perché a qualcuno fa comodo così. E, sia chiaro, non parlo di abitudini o di atteggia-
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renza più totale! Spesso passa inosservato (non è esattamente il sosia di GABRIEL GARKO) ed il suo forte non è certo quello di suscitare l’interesse altrui (specialmente quello del sesso femminile); la sera lo puoi vedere che tenta lo sgamo in via Fratini, mentre di giorno cazzeggia a Corso Tacito; nonostante gli sforzi però il risultato è sempre lo stesso: ci fosse un’anima che se lo fila! In vacanza invece, che sembra essere la sua isola felice, dice di aver fatto strage di cuori, andando a caccia e facendo lo sciupafemmine! Perché allora non si trasferisce lì? Tra le sue tante conquiste (a sentire lui), poteva persino permettersi il lusso di scegliere: certe volte se la tirava pure, tanto qualcuna disposta al sacrificio si trovava sempre! Ma gli avete detto che una volta o l’altra, rischia di svegliarsi tutto sudato?
scarsi con una birra, glissa elegantemente le attenzioni della barista, che nonostante mostri di avere un marcato debole per lui, rimane delusa e insoddisfatta! La sera, trascinato in discoteca dagli amici (molto più svegli di lui) si lascia travolgere in un ballo scatenato dalla stessa ragazza della mattina (coincidenza!), che tra sé e sé si ripete: stavolta è quella buona! Ma percarità! Non c’è trippa per gatti! Quando si tratta di stringere e concludere qualcosa, il tipo si dilegua e sparisce, lasciando la giovane alquanto perplessa e scocciata. Chissà poi perché quando torna in città si domanda come mai è stato l’unico a non riuscire a rimediare nemmeno una femmina!!
L’ IMBRANATO Dopo lunghi e penosi ripensamenti, ha optato finalmente per una vacanza alternativa: passerà l’estate a Tarquinia! Se non bastasse, ci andrà in compagnia di una coppia di amici (tanto per fare il terzo incomodo) e dei loro figli! La sua giornata tipo inizia alle 7 del mattino (ma gliel’avete detto che sta in vacanza?), quando si offre gentilmente di portare a spasso il cagnolino: tanto soffre d’insonnia e non può dormire! Fra le molte ragazze che fanno jogging per tenersi in forma, una gli si avvicina tentando di attaccare bottone, ma lui (pur apprezzando in verità le qualità non proprio spirituali della giovane avventrice) rimane sulle sue e non le rivolge la parola, continuando imperterrito per la sua strada. Decide più tardi di andare in spiaggia, dove si dedica alla lettura, senza lasciarsi fuorviare da inutili distrazioni: quando pensa di andare a rinfre-
e menti, parlo di carattere. Sembra banale, ma effettivamente l’unica strada da percorrere è scendere a quei maledettissimi accordi chiamati compromessi e cercare di ignorare il più possibile quelle piccolezze che, per quanto piccolezze, ci danno spropositatamente ai nervi. A questo punto, dopo la teoria, come in ogni cosa, viene la pratica. Ebbene sì, io per prima sono sempre partita con tutte le migliori intenzioni di questo mondo ma, strada facendo, finito il periodo di quiete dopo la tempesta, si torna alla routine, si dimenticano tutti i buoni propositi, e ci si ricomincia a scannare regolarmente, magari
L’INTELLETTUALE Una settimana prima della partenza, e dico UNA SETTIMANA, non 6 giorni o 8, ma SETTE precisamente, esce di casa di buon mattino (in modo da trovare poco affollamento nei negozi e tutte le commesse pronte ad esaudire ogni suo desiderio... ma che credete??... di natura puramente intellettuale!!) per comprare libri, guide, cartine e quant’altro possa documentarlo sulla città da visitare. Durante il tragitto, non spreca certo il tempo sfogliando futili riviste, ma stende un programma (che poi rispetterà rigorosamente, senza il minimo sgarro) su come utilizzare al meglio il periodo del soggiorno, cosicchè nemper questioni che da fuori possono sembrare tremendamente stupide. Dopodiché, nella maggior parte dei casi, subentra lui: l’orgoglio. Questo fastidioso elemento, come minimo, implica il trascorrere di un altro arco di tempo prima che uno dei due prenda l’iniziativa e cerchi di chiarire. Ma se i tempi di smaltimento della rabbia non coincidono, la litigata ricomincia daccapo. E diventa un circolo vizioso, non si finisce mai…. L’unico modo per sbloccare una situazione del genere consiste nel maturare l’idea che la tolleranza sta alla base di ogni rapporto, e non necessariamente d’amore, ma anche di amicizia, familiare, di qualunque
meno un attimo vada perduto. Una volta giunto a destinazione, non si lascia fuorviare dalle giovani del luogo che, alla ricerca di un’avventura estiva, tentano in ogni modo di abbordarlo e distrarlo, ma, ohimè… senza successo! ILLUSE!! Primo giorno: visita al museo della città (che deve però occuparlo soltanto durante la mattinata, per permettergli poi nel pomeriggio di recarsi in pinacoteca). Mentre è intento nello studio filologico dei quadri, una fanciulla (top risicato e minigonna inguinale) prova ad avvicinarsi e tenta un approccio, ma lui IMPERTERRITO continua nella lettura e non si accorge minimamente dei tentativi della fan, che disperata si domanda cosa avrà sbagliato. I giorni successivi li trascorre tra visite a chiese e monumenti, seguendo rigorosamente il programmino stabilito; non solo: ogni sera, prima di coricarsi, si dedica allo studio di quello che dovrà visitare il giorno successivo, in modo da non sfigurare di fronte ad eventuali turiste in cerca di spiegazioni. SII, BEATO TE!! QUELLE SONO GIUSTO ALLA RICERCA DI SPIEGAZIONI!! Ma tanto lui non se ne accorge…!! Al ritorno, si vanterà certamente di non aver buttato via nemmeno un secondo e di aver visto bellezze esotiche… peccato però, non corrispondano esattamente ai gusti degli amici! Chiara Leonelli
molla natura. Basti pensare a quante grandi amicizie si rovinano nel momento in cui andando in vacanza, o all’università, si fa l’esperienza di vivere insieme. In amore è ancora più evidente: i primi tempi, quelli da brivido, quelli da favola, quelli magici, sono destinati a finire e quello che resta è la persona autentica, con le sue piccolezze quotidiane, con i suoi pregi che dopo un po’ diventano normali e i suoi difetti che appaiono invece sempre più incredibili, quei difetti che poi magari, sotto sotto, sono stati gli stessi che ci hanno fatto innamorare…! Silvia Spiropulos
Terni, Str. della Val di Serra 28 - Tel. 0744.470515 - Fax 0744.470525 - Ab. 0744.470548 - E-mail: fagioletti@tiscalinet.it
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