Ceppaloni party
Politici
F ra nces co Patr izi
Giampiero Raspetti
L’estate dei politici si divide storicamente tra due stili di vacanza che potremmo riassumere in: l’ombrellone e l’alto mare. Il primo si colloca tra Capalbio e Ansedonia, nella lussureggiante maremma toscana, dove si arriva in spiaggia con fasci di giornali sotto il braccio e la sera si balla in antiche ville (centrosinistra, off course). Il secondo tocca le sponde della Gallura, dove sfrecciano offshore con veline catarifrangenti (centrodestra docet). O come sintetizza l’onorevole Santanché: loro vanno a rompersi le balle a Capalbio, io mi diverto in barca. L’alternativa al radical chic in salsa di cinghiale o di caviale ci è offerto dai politici più
Il significato della parola è chiaro: rappresentanti dei cittadini, eletti per realizzare il miglior governo possibile. Per estensione, il politico è uomo accorto, sagace, pater familias dell’intera sua comunità. Legiferare adeguatamente implica quindi saper prevedere l’effetto delle misure adottate, altrimenti è meglio giocarsi il tutto a scaracoccia. Bush and B&, quando hanno esportato la democrazia in Iraq, rompendo il fronte comune di tutta la comunità internazionale, poiché, è bene ricordarlo, hanno contrastato e violato le indicazioni dell’ONU, hanno ragionato o sono partiti e via? Avevano previsto tutto? Allora sarebbero dei mostri! segue a pag. 2
N° 7 - Settembre 2006 (37)
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Viva il re!
Il lavoro difficile
Vi n cenz o Policreti
Lore lla Giuliv i
Niente di meglio che una boccata d’aria all’estero per rendersi conto di quanto nel nostro Paese la libertà vada scemando di anno in anno. Noi siamo da sempre abituati a pensare di essere fin troppo liberi; l’aforisma In Italia è permesso tutto, anche ciò che è proibito ci ha reso persuasi per anni - e da principio giustamente - di essere un popolo, che faceva il comodo suo nel contesto politico di un sistema sì ladro e truffaldino, ma che in cambio consentiva a tutti la propria anarchia. Insomma, fondata o no sul lavoro, eravamo e siamo ancora convinti che la nostra sia comunque una repubblica. In realtà la lotta alla libertà è cominciata, in modo subdolo e sotterraneo, una quarantina d’anni fa con leggi da poco, per carità anche giuste, una ogni tanto, che avevano tutte in comune una cosa: limitavano comportamenti o prescrivevano obblighi. Ciascuna in sé, queste leggi avevano una
Se il pensiero dominante è il vostro Kapo e bello non è, se ammorbate la famiglia con le vostre questioni lavorative, se l’idea di andare al lavoro vi dà il voltastomaco, se vi svegliate nel cuore della notte affetti da palpitazioni, se ingrassate o dimagrite a seconda di quel che vi è più scomodo, se il sesso non vi attira e vi viene l’orticaria, l’herpes, la gastrite, l’ipertensione, il mal di fegato
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Hina, Kaur e le altre
Un paese fermo al bivio
Giuliana Orsini Cervelli
Alessia Melasecche
E’ bella, giovane, allegra, tanti capelli neri le cadono morbidi e mossi su un viso d’ambra, i suoi occhi scuri risplendono di gioia, una maglietta color fucsia esalta le sue forme perfette, un jeans basso scopre un ventre intatto. Italiana, spagnola, libanese? Le sue mani lunghe e affusolate, dono di una femminilità antica, non lasciano dubbi sul-
La pratica dello spoil system è tipica dei sistemi politici anglosassoni e nasce nell’800 negli appena costituiti Stati Uniti d’America. Prende il nome da una dichiarazione del senatore William L. Marcy che, durante un discorso del 1832, affermò che to the victors go the spoils (ai vincitori va il bottino) e indica la pratica di assegnare importanti incari-
Chiunque abbia a cuore le sorti di questa Italia, non solo quella calcistica, non può non preoccuparsi quando vede in modo ricorrente nel comportamento di chi governa la demonizzazione dell’odiato nemico, che si chiami Prodi o Berlusconi, con l’imposizione da parte della metà della classe politica all’intera comunità nazionale di provvedimenti, spesso manichei o ad personam, persino nel campo della definizione delle regole fondamentali del funzionamento dello Stato. Il presupposto sbandierato sarebbe quello per cui in democrazia, chiunque vinca, con lo 0,3% o con il 35%, possa fare ciò che vuole, in primis smantellare quanto legiferato in precedenza. Il Paese procede allora a suon di automobilistici stop and go. Si pensi alla modifica del Titolo V della Costituzione sul tema del federalismo, deciso nel 2000 dal centrosinistra,
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Cos’è l’indulto
Lo spoil system
Se re n a B attist i
Claudia Mantilacci
Il 29 luglio scorso è stato definitivamente approvato dal Parlamento il provvedimento di indulto. L’indulto è una causa di estinzione della pena prevista dall’art. 174 del codice penale, che cancella in tutto o in parte la pena principale, che viene condonata o commutata in altra specie. L’indulto si differenzia dall’amnistia perché non estingue
TICCIH 2006
pagine 8-9
P o l i t i c i
Non avevano previsto alcunché? Allora sarebbero dei dementi! In medio stat “veritas”, parodiamo pure la sentenza della scolastica medioevale, ma... occorre pur sempre riflettere, prima di pensare! Giocare a fare i generali è il gioco preferito dei bambini, ma perché i generali giocano a fare i bambini? Sanno, questi Cesari, tenere il conto delle morti provocate? E prevedere di quante saranno ancora co-responsabili? Hanno coscienza di aver contribuito a rendere alcune ferite ormai insanabili e che saremo noi, in molti, a soffrirne la cancrena? Che tu sia filoisraeliano o filopalestinese o filolibanese o filoquelchetipare, prova a pensare alla tua famiglia straziata, sbranata, spappolata, poi fammi sapere da che parte stai e che ne sarà dei tuoi sentimenti! Il Papa lo ascoltano quando fa comodo. Giovanni Paolo II implorava continuamente di non fare la guerra, ma è come se avesse parlato un illustre sconosciuto! Ugual sorte per Benedetto XVI. Politici che sanno valutare solo interessi di bottega. Conseguenze enormi e funeste che paghiamo noi! In Italia c’è ora un governo di centro sinistra: l’Unione! Strano, pensavo che l’unione fosse un’altra cosa. Forse mi confondono gli studi matematici, la teoria degli insiemi, oppure, ed è molto probabile, sono proprio un asino della politica. Per certo però ogni volta che inizia un telegiornale, ho il batticuore: chi sarà la prima donna di oggi? Cosa vorrà imporre agli altri? Quali alti ideali s’è inventata? Chi sarà, anche oggi, pronto ad andarsene se non... ruspanti, quelli legati alla terra d’origine, come Clemente Mastella, il quale ha deliziato le cronache mondane con un party degno di nota. Nel feudo di Ceppaloni, in un’afosa serata di luglio, l’illustre concittadino del paese beneventano, nonché Ministro della Giustizia, ha voluto festeggiare i trent’anni trascorsi a Montecitorio. Una nobile dedizione per un nobile servizio. Contornato di bigné alla crema, assessori in tiro e pastiere napoletane, il veterano deputato ha sparlato di tutto e tutti, ha rievocato gli esordi (e chi non credeva in lui), ha passato in rassegna i successi elettorali (e chi lo ha ostacolato), infine ha brindato con la
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Ma che è ‘sta zuzzumaglia!? Certo, a focalizzare alcuni amministratori locali, particolarmente quelli cosiddetti puri, da sempre cioè incontaminati da qualsiasi forma di attività lavorativa, non c’è da aspettarsi miracoli dal livello nazionale! Mi torna in mente il cosiddetto centralismo democratico, del PCI, considerato, gradualmente, antidemocratico, particolarmente in uno dei suoi princìpi base, quello cioè della severa disciplina di partito e della sottomissione della minoranza alla maggioranza (attualmente è il cavallo di battaglia di Berlusconi!). Però, ditemi, vi sembra democratico che ogni giorno il cittadino debba vergognarsi davanti alle pittoresche scenate di alcuni (alla fine del mese, ammontano a un bel po’ perché ogni giorno ne scappa fuori uno diverso) politici al governo o al paragoverno? Ricordo anche: estremismo, malattia infantile del comunismo. La cieca fedeltà alla propria ideologia non è politica. La politica è moderazione e discussione. Ricordo ancora: a sinistra lottiamo per gli ideali; per i quali daremmo la vita, ma è così difficile trovare l’accordo sugli ideali, proprio perché noi siamo puri! Non siamo come quelli della destra che lottano solo per i soldi e, sui soldi, si sa, un accordo si trova sempre! A sinistra siamo incorruttibili, adamantini: onestà, pulizia, moralità... Non ci credo più! Credo che alcune persone siano eccellenti e in buona fede, così come accade al centro e a destra, ma mi accorgo che molti, al governo del paese o all’amministrazione dei paesi, sono semplicemente dei cazzisuisti! Parlano in nome di chi? Del popolo sovrano? E che ne sanno, quando lo vedono mai? Al più, quando vanno a questuare il voto promettendo interessamenti e favori. Avete mai provato ad andare nelle sezioni territoriali dei partiti? Ad andar bene, si gioca a carte, e neanche a tressette, è troppo impegnativo e provoca mal di testa. Si gioca a omo nero, a volte, di rado a chi alza di più, normalmente a rubamazzetta. In compenso, però, vengono accuratamente letti i titoli della prima pagina di tutti i quotidiani,
giacché il militante deve essere ben informato di quello che gli altri fanno a nome suo! Esporre idee in proprio, promuovere dibattiti culturali, progetti per il territorio, manifestazioni socio-politiche, non se ne parla proprio. Aspettano Godot o sono sempre al rimorchio di quello che altri fanno. Criticano, sbertucciano, fanno le chiose, davanti alla classica fojetta, ciarlando festosamente come comari di paese. Affermo dunque che alcuni politici (mi riferisco a quelli del centrosinistra, lo schieramento al quale ho affidato la mia delega, poiché ognuno dovrebbe criticare i propri, non gli altri) rappresentano solo se stessi, ed anche male, come borbottava il soldato Sturmtruppen! Questa unione è un patchwork. Lascino i divismi, se ne sono capaci, lavorino umilmente tra di loro, senza partorire isteria. Pensino al popolo, non a se stessi o al potere del proprio partito! La politica si discute e si cementa insieme, nel consiglio dei ministri o nei luoghi deputati, non da soli, civettando con le telecamere! O tornino ai loro belletti e alle loro combriccole di quartiere. Qualcuno, tra un bicchiere e un altro, potrebbe anche esaltarsi ed applaudirli, forte forte. Nell’indulto invece i nostri politici hanno saputo ben prevedere: i delinquenti ricchi se ne staranno nelle loro ricche case, i poveri delinquenti torneranno in galera perché non sanno né dove andare né cosa fare. Anche in questo caso: occorre riflettere prima di pensare e preparare un indulto adulto e morale, non alla lallalallero. Sembra certo che il prossimo non sarà promulgato in base alle categorie delittuose ma direttamente rispetto al censo: chi ha i soldi esce, chi non li ha... G. Raspetti pazienta.
C e p p a l o n i consorte - Presidente della Regione (alla faccia de chi ce vole male!). E mentre Bobby Solo intratteneva gli ospiti, il Ministro, con la spavalderia che solo il potere o certi cocktails possono dare, rivolgendosi a venti microfoni e a trenta cannoli siciliani, si è tolto un sassolino dalla scarpa: quando mi hanno messo in RAI - ha rimembrato con un bicchiere in mano - i giornalisti minacciarono uno sciopero contro di me, allora io gli dissi: volete farmi credere che voi siete entrati con un concorso! Risate degli astanti, altro
brindisi alla facciaccia degli invidiosi e fuochi d’artificio. Così, tra fritti misti e giri di valzer, Ceppaloni ha consumato l’italianissima arte del restare a galla. Trent’anni da deputato non sono certo pochi, la politica è un nobile mestiere, un onere, un impegno preso con i cittadini ed è una bella occasione festeggiare il traguardo con i propri elettori; ma vantarsi di aver fatto carriera a calci, spinte e gomitate non è proprio il massimo, specie se a parlare è una figura istituzionale. Due giorni dopo la crassa intervista, Mastella ha rievoca-
Un paese fermo al bivio condivisibile in parte ma che, nel testo approvato, sta causando centinaia di ricorsi delle Regioni contro lo Stato davanti alla Corte Costituzionale e raccogliendo a posteriori giudizi negativi anche in ampi settori di quello stesso schieramento. Altrettanto si può dire del centrodestra e del tentativo di riforma costituzionale targato semplicisticamente devolution che, pur avendo elementi positivi (come la riduzione dell’attuale pletora di parlamentari), è stato disintegrato in toto dal successivo referendum popolare. Per non parlare dell’attuale legge elettorale che ha avuto autorevoli sponsor di destra e di sinistra nell’eliminare una delle poche potestà del cittadino: quella di poter indicare sulla scheda il nome del candidato. Decidono ormai le alte nomenclature dei partiti, che hanno anche il coraggio di lamentare la conseguente scarsa partecipazione al voto. L’emendamento per reintrodurre la preferenza, presentato da un piccolo partito di centrodestra, raccolse solo 76 voti a favore, preferendo, tutte le segreterie nazionali, riservare, con il meccanismo delle liste bloccate, il potere assoluto di candidare da parte del presidente Tizio i propri avvocati, dal segretario nazionale Caio la propria consorte, oltre, in generale, attori, soubrette e gradevoli presentatrici che spesso, come i cantanti/parlamentari, fanno belle rime fra cuore ed amore, ma per il resto, apriti cielo! Il maggioritario su cui in molti avevano riposto speranze si è dimostrato nei fatti inadeguato pur risolvendo il problema dei governi balneari per i quali eravamo famosi nel mondo. In questo momento di grande turbolenza internazionale, di enormi difficoltà per il Paese nel tener testa ad economie più competitive, cresce il numero di coloro, giornalisti, costituzionalisti o semplici cittadini, che si chiedono cui prodest questa impossibilità di effettuare riforme strutturali? La Germania, con la Grande
p a r t y to il proprio ingresso preferenziale in RAI ribadendo: lo fanno tutti, almeno io sono stato sincero! Una sincerità che, a dire il vero, ci allarma perché suona come la legittimazione di un andazzo becero, il craxiano: se rubano tutti, non è più reato, ma sistema. Avremmo preferito, da colui che ha raggiunto una meta così alta, una sincera autocritica, più che uno schietto gesto dell’ombrello. La preghiamo, signor Ministro della Giustizia, ci rincuori con una frase - anche se poco sincera! - rassicuri i giovani
Coalizione, una scelta l’ha fatta ed ha trovato un’intesa per governare. Da noi, con la prossima Finanziaria, quando il Ministro Padoa Schioppa dovrà affrontare, come ha scritto nel DPEF, riforme impopolari sulle pensioni, sulla riduzione dei trasferimenti agli Enti Locali, sull’aumento delle imposte, sulla razionalizzazione della Sanità, i sindacati taceranno quando fino a ieri organizzavano per molto meno scioperi generali? Quindi o si trovano le giuste convergenze sulla necessità di modificare la legge elettorale e quella parte della Costituzione ormai obsoleta, oppure l’Italia è destinata inesorabilmente a scivolare sempre più verso la china della marginalizzazione. E sia chiaro ciò significa poter crescere in sicurezza sociale, benessere, per dare un futuro ai giovani, risposte condivise sulla scena internazionale nei processi di pace che costano moltissimo in termini non solo di vite umane ma anche di risorse. Significa poter difendere anche quella dignità nazionale per cui Ciampi si è efficacemente prodigato e a cui la maggioranza del Paese ancora tiene. L’alternativa? L’attuale spettacolo in cui non si ha alcuna certezza se una legge riuscirà a passare al Senato con il ricorso sistematico al voto di fiducia che impedisce ai parlamentari persino di entrare nel merito dei singoli provvedimenti. Quanto può durare questa situazione? A chi conviene? E’ possibile aprire serenamente anche in Umbria un confronto su questo tema? alessia.melasecche@libero.it che domani le cose andranno diversamente e che lei stesso si impegnerà affinché i concorsi siano limpidi e i meritevoli siano premiati. Lo dica e l’estate prossima verremo tutti a Ceppaloni. F. Patrizi P.S. comunque sempre meglio chi sceglie la politica come mestiere e gli dedica la vita, piuttosto di chi la vede come una pensione, come il signor Lele Mora, procacciatore di dive che, stanco delle liti con l’ingrata Simona Ventura e con l’irriconoscente Elena Santarelli, ha minacciato di abbandonare il mondo dello spettacolo: farò il deputato o il senatore, ha tuonato ai microfoni di Studio Aperto…
La Calce S. Pellegrino amica delle risorse naturali I trattamenti delle acque superficiali, potabili e reflue con calce zazione o forte acidificazione. Questa pratica, definita liming, è largamente utilizzata nei paesi del nord Europa. La calce trova storicamente larga applicazione nel trattamento delle acque potabili per correggere il pH (che normalmente deve essere compreso tra 6,5 e 8) e per correggere la durezza determinata dal contenuto di bicarbonati di calcio e di magnesio. L’utilizzo della calce permette di tamponare l’eccesso o il difetto di bicarbonati, che danno origine rispettivamente ad acque troppo dure (con conseguenti problemi di incrostazioni nelle tubazioni) o troppo dolci (che sono “aggressive” e causano problemi di corrosioni delle tubazioni). La calce elimina con estrema efficacia anche l’arsenico, un altro inquinante spesso contenuto nelle acque ed estremamente pericoloso per la salute umana, ed anche diversi metalli.
In un contesto sociale sempre più orientato allo sfruttamento delle risorse naturali, cresce ogni giorno l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti dell’acqua, ritenuta all’unanimità un bene essenziale ed indispensabile. L’acqua destinata al consumo umano deve possedere caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche definite. Lo sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo e le sue attività civili e industriali possono comportare profonde alterazioni di queste caratteristiche, determinando la presenza di sostanze inquinanti organiche ed inorganiche nell’acqua che ne peggiorano la qualità fino a renderla pericolosa, per l’uomo e per l’ambiente. Di conseguenza si deve ricorrere sempre più spesso a trattamenti che permettano di restituirle quelle caratteristiche fondamentali che la contraddistinguono e di renderla nuovamente utilizzabile senza rischi per la salute di tutti gli esseri viventi. In questo contesto la calce rappresenta un reattivo forte e in sintonia con la natura nel trattamento delle acque superficiali, delle acque potabili e delle acque
reflue, come indicato anche da autorevoli enti a livello europeo ed extraeuropeo (quali l’Enviromental Protection Agency e l’American Water Works Association). La calce può essere utilizzata con successo in tutte le tipologie di acque. Le acque superficiali possono essere contaminate da nutrienti dilavati dai suoli e altri inquinanti, a causa delle piogge acide: per contrastare questo fenomeno, si può spargere carbonato di calcio o calce in polvere sulle foreste o direttamente sui corsi d’acqua per ripristinare le condizioni naturali e per risolvere problemi di eutrofiz-
La calce svolge numerose funzioni anche nei trattamenti delle acque reflue, sia civili che industriali. I depuratori delle acque reflue civili sono prevalentemente basati sul ciclo biologico a fanghi attivi, sfruttano cioè l’azione di microrganismi per purificare le acque prima di scaricarle nei fiumi o nei laghi. In questi impianti la calce può contribuire a ridurre il carico inquinante influente all’impianto, agevolando il lavoro dello stadio biologico; permette inoltre di rimuovere, in un fango facilmente separabile dal liquido, alcuni inquinanti particolarmente pericolosi, quali tensioattivi, metalli e specifici nutrienti, come i fosfati.
Anche nelle acque industriali la calce svolge molteplici funzioni: per acque di processo contenenti inquinanti acidi (ad esempio acido cloridrico, solforico, nitrico) è un eccellente ed economico agente di neutralizzazione e, più in dettaglio, un correttivo alcalinizzante del pH, in grado di assicurare elevati rendimenti e bassi consumi. Attraverso un’opportuna correzione del pH, il trattamento con calce permette di eliminare efficacemente i metalli contenuti negli scarichi liquidi: rame, zinco, nichel, cadmio, piombo, arsenico, cromo, solo per citarne alcuni tra i più pericolosi, sono precipitati insieme al fango e quindi facilmente rimovibili dall’acqua in cui sono disciolti. Analogamente ai metalli, anche certi inquinanti quali solfati, fosfati o fluoruri sono rimossi dall’acqua e asportati sotto forma di fango. Calce S. Pellegrino (Gruppo UNICALCE), leader nazionale nella produzione di calce, ha maturato una significativa esperienza nel trattamento delle acque attraverso innumerevoli prove, sperimentazioni e utilizzi continuativi presso impianti di potabilizzazione e di depurazione consortili e industriali. Oggi i tecnici di Calce S. Pellegrino mettono a frutto quest’esperienza per indirizzare i propri clienti sul tipo di calce più corretto da utilizzare, sulle soluzioni tecniche e sulle modalità di utilizzo per la messa a punto e l’ottimizzazione del trattamento finalizzate al raggiungimento dei migliori risultati. Direzione Marketing Ricerca & Sviluppo Gruppo UNICALCE
Tr a t t a m e n t o d e l l e a c q u e c o n c a l c e Acque potabili
Acque reflue civili
Controllo del pH Correzione della durezza Eliminazione di arsenico e altri metalli
Calce S. Pellegrino è parte importante del Gruppo Unicalce, azienda leader in Italia nella produzione della calce.
Premier è il prestigioso marchio commerciale della Calce S. Pellegrino S.p.A. Negli stabilimenti di Terni-Prisciano e Narni-Madonna Scoperta sono prodotti premiscelati di elevata qualità che soddisfano pienamente le diverse esigenze del mercato.
La certificazione EMAS, massimo riconoscimento ambientale per una realtà industriale, è un fiore all’occhiello della Calce S. Pellegrino. Produrre nel rispetto dell’ambiente, salvaguardare la salute degli operatori interni e dei clienti, lavorare per il futuro preservando le riserve naturali, ha portato Calce S. Pellegrino ad acquisire una mentalità trasparente e moderna.
Contributo nella riduzione del carico inquinante influente Rimozione di tensioattivi, metalli e nutrienti
Neutralizzazione di acque acide Acque reflue industriali Elevato abbattimento dei metalli Rimozione di solfati, fosfati e fluoruri
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Calce S. Pellegrino S.p.A.
Strada Amerina - 05036 Narni (TR) - Tel. 0744.75601 - 0744.756029 - www.unicalce.it - premier@unicalce.it Stab. Loc. Prisciano - 05100 Terni (TR) Stab. Loc. Madonna Scoperta - 05036 Narni (TR) Stab. Loc. Marmore - 05100 Terni (TR) Stab. Itri - 04020 Itri (LT) Stab. Loc. Contrada Lupini Palagiano - 74019 Taranto (TA)
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Lo spoil system
chi amministrativi a persone di fiducia da parte della fazione politica uscita vincitrice dal confronto elettorale. Ben presto, però, questa consuetudine portò ad una amministrazione completamente in balìa della politica e ad un sistema di assegnazione di prestigiose cariche basata su meccanismi puramente clientelari; tanto che il presidente R. B. Hayes (1877 - 1881) fu costretto ad operare una seria riforma del sistema basando l’attribuzione di dette nomine su considerazioni di carattere meritocratico e professionale. Nonostante ciò, considerevoli residui dello spoil system sono sopravvissuti fino ai nostri giorni valicando i confini degli Stati Uniti e compenetrando anche il sistema politico italiano. In linea di principio il sistema dello spoil system potrebbe anche essere considerato funzionale all’attuazione di una concreta democrazia dal basso in quanto, essendo, i politici eletti, praticamente esclusi da poteri gestionali concreti, l’unico mezzo che hanno per garantire l’attuazione del programma eletto-
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rale è quello della designazione politica dei vertici delle amministrazioni. I problemi nascono quando questo sistema porta ad assegnazioni di prestigiose cariche a personale non idoneo e a prescindere dalla effettiva professionalità del soggetto. È di pochi giorni fa la decisione choc del ministro Livia Turco di sostituire il direttore scientifico (e non amministrativo!) dell’Istituto dei tumori Regina Elena di Roma applicando, a mio avviso selvaggiamente, il principio dello spoil system. L’oncologo di fama internazionale Francesco Cognetti (ex presidente degli oncologi italiani con un numero infinito di pubblicazioni e riconoscimenti) è stato sollevato dall’incarico e sostituito da una illustre epidemiologa. Ora, senza inoltrarci in valutazioni meramente scientifiche, balza agli occhi come sia logico che alla direzione di un istituto per la cura dei tumori dovrebbe essere posto un oncologo e non uno specialista di diversa specializzazione medica.
Non bastasse questa semplice e pleonastica considerazione, la eco di rimostranze scatenata dalla proposta del ministro dovrebbe far riflettere sulla conformità dell’applicazione dello spoil system in un ambito così delicato come la lotta contro il cancro. I maggiori esponenti scientifici dell’Istituto dei tumori hanno già inviato una lettera di protesta al ministro Turco sottolineando come, sotto la direzione di Cognetti, l’Istituto sia assurto a fama internazionale, aumentando le ricerche scientifiche dell’800%, per non parlare dei finanziamenti privati ottenuti grazie alla fama e alla perizia del professore stesso. Valanghe di critiche sono piovute sul ministro anche da parte della sua stessa maggioranza di governo; molto aspre sono apparse le critiche del ministro Di Pietro e di Marco Rizzo dei Comunisti Italiani il quale ricorda al ministro Turco come non ci si possa privare di uno scienziato di siffatta levatura perché reo di essere stato nominato dal Governo Berlusconi. Chi scrive crede che la decisione del ministro Turco debba essere revocata poiché appare profondamente erroneo applicare un principio politico ad una materia delicata come la lotta contro il cancro. Un malato di cancro è assalito da indescrivibili paure e da profonda sfiducia ed ha bisogno di affidarsi completamente a chi lo cura, di poter credere di essere assistito da personale perfettamente preparato ed in grado di fornirgli le migliori terapie e le migliori competenze sul mercato. Non credo si possa speculare sulla salute di un malato di tumore per rispettare mere logiche partitiche di lottizzazione di incarichi. I politici in genere lottizzano: RAI, Pubblica Amministrazione, Autority, Commissioni parlamentari… ma - per favore - non lottizzino anche la nostra salute, il futuro delle prossime generazioni, la ricerca oncologica, la lotta contro il cancro! Il professor Cognetti è - a detta dei suoi illustri collaboratori - la figura giusta nel posto giusto: non permettiamo che paghi perché la sua nomina è stata attuata dal precedente Governo, perché, se così fosse, saremmo tutti noi a pagare insieme a lui. C. Mantilacci
Viva il re!
giustificazione; alcune dovevano giovare all’igiene pubblica, altre alla circolazione, altre alla sicurezza degl’impianti, alle modalità di esecuzione degli obblighi, all’edilizia, alla confezione dei cibi, alla forma delle bottiglie della birra (sic); altre ancora - le più recenti in ordine di tempo - mirano a che il cittadino non si faccia male. Così guai a chi si fa da solo l’impianto elettrico di casa sua: si potrebbe fulminare; guai a chi non indossa un casco in moto o cinture in auto: si potrebbe sgrugnare; guai a chi fuma: si potrebbe ammalare. Recentemente un ministro voleva prescrivere perfino il giro vita dei pantaloni. Il risultato è che il nostro libero cittadino si trova, senza esserne accorto proprio come Gulliver, impastoiato da mille piccoli legacci; ognuno dei quali sarebbe nulla, ma tutti insieme finiscono con l’immobilizzare completamente, con lui, la sua creatività, il suo benessere, il suo piacere di vivere. Ma purtroppo non è tutto. Le norme che mirano a proteggere il cittadino da se stesso hanno purtroppo un risvolto pericolosissimo: espropriandolo della sua facoltà di decidere qualcosa che riguarda lui solo (andare in moto senza casco, p. es., non è in alcun modo pericoloso agli altri) gli inviano sottili messaggi subliminali che si insinuano, tanto più efficaci in quanto inavvertiti, nella sua mente e che hanno tutti un unico contenuto: Tu non puoi badare a te stesso, non sei, né è previsto diventi mai, autonomo. A parte la distruttività di un
simile messaggio sul piano dell’evoluzione psichica personale, giacché il divenire autonomi è specifica funzione dell’evoluzione, dal punto di vista politico, una repubblica non può fondarsi, che su cittadini capaci di regolarsi da soli, muniti quindi di un raziocinio che è la base della possibilità stessa di scegliersi, con lo strumento della democrazia, il Governo che ritengono il migliore. Gli adulti decidono da soli, per i bambini decidono gli adulti. Relegare gli adulti nel novero dei bambini significa togliere alla radice la possibilità di qualsiasi tipo di democrazia. Quindi, di repubblica. Chi sostituirà il potere decisionale del cittadino? Lo Stato! Ma a questo punto, qualunque sia il nome che gli si dia, la repubblica diviene un regno e chi la regge diviene, di fatto, Re. La cosa più inquietante è la perniciosa connivenza dei cittadini che, se sudditi, non devono più preoccuparsi di prendere decisioni politiche (quelle le prende il re, comunque si chiami) e possono occuparsi del calcio, felici se si vince un campionato, più che se si fosse vinta una guerra. Connivenza che emerge ben chiara dal recente successo di personaggi che, proprio per l’evidente desiderio non di dirigere ma di regnare, hanno incontrato ampio favore. Ed ecco il paradosso: quanto è lecito a una minoranza di cittadini difendere la repubblica contro una maggioranza di sudditi che vogliano trasformarla in regno? V. Policreti
Il lavoro difficile
e vi peggiora l’artrite, è probabile che abbiate bisogno di una vacanza. Se avete lamentato alienazione per cattiva organizzazione del lavoro, alzando vivaddio la voce quando la misura era colma, è probabile che cominci a girar voce della vostra ingestibilità e che in breve vi ritroviate isolati con qualche stigma a corredo. In tal caso, bevetevi un bicchiere d’acqua. Se però anche il sindacalista di fiducia vi dovesse battere una pacca sulla spalla dicendo: oh, baby-baby, it’s a wild world, prima di andare dallo psicanalista, passate dall’avvocato. Forse siete affetti da mobbing. Diffamazione e connivenza sono le regole del gioco. Il termine mobbing fu coniato agli inizi degli anni ’70 dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere il comportamento di alcune specie animali che circondano un proprio simile e lo assalgono in gruppo allo scopo di allontanarlo dal branco. L’etimologia risale al latino mobile vulgus che significa movimento della gentaglia. In ornitologia, si ricollega al comportamento di gruppi di uccelli di piccola taglia che assieme assillano un rapace che per loro rappresenta una minaccia.
Nella storiografia inglese, mob indica un conflitto sociale senza capi. Dall’emarginazione alla persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale del lavoratore, eliminare una persona che è - o è divenuta - in qualche modo scomoda senza che si crei un caso sindacale, significa per il mobber dover colpire essenzialmente di fioretto. Per questo il fenomeno delle vessazioni sul posto di lavoro è ritenuto spesso un’invenzione giornalistica o l’esagerazione di qualche studioso e i sindacati ci vanno cauti. La prova del mobbing è infatti difficoltosa e nessuno si augurerebbe un danno biologico per poterlo dimostrare inconfutabilmente. Si calcola che in Italia il mobbing investa un milione e mezzo di lavoratori, più che altro nel settore pubblico e in quello dei servizi. Sintomo di un sistema malato, il mobbing è stato classificato tra le umane malattie dall’OMS, organizzazione mondiale della sanità. Per l’OIL, organizzazione internazionale del lavoro, però, non fa male solo a chi lo subisce. Il danno prodotto dal mobbing, infatti, costa alla colletti-
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vità circa il 190% della retribuzione annua lorda di ciascun mobbizzato. Nel conteggio, rientra anche il costo del tempo impiegato dal mobber per studiare nuove forme di vessazione senza farsi beccare. Difendersi dal mobbing è dunque difficile ma non impossibile. Saprofiti, mimetici, viscidi e servili, i mobbers si riproducono per clonazione, camminano sull’acqua, si muovono in stormo, hanno spesso fattezze eleganti e parole suadenti, rimbalzano se colpiti e nelle mute si rafforzano. Il loro essere forti con i deboli e deboli con i forti li rende rispettabili in molti posti di lavoro e simpatici in molti luoghi di potere almeno quanto odiosi tra i subordinati poco disponibili a regger loro lo strascico. Poco consola che il mobber possa essere un mobbizzato di ritorno. Mostro che si alimenta delle stesse energie di chi dovrebbe invece combatterlo, il mobbing è la strategia più diffusa tra gli yes-men per la copertura di situazioni immorali o di abusivi interessi personali, economici o di esercizio del potere. Perciò, donne e uomini mobbizzati, meditate. Ma non abbandonatevi all’ignavia pensando che non ci sia scampo. Organizzatevi per resistere, trasformate il vostro posto di lavoro in un osservatorio, prendete appunti di quel che vi capita e scambiateveli. Nel frattempo, contro l’amarezza, curate con la fantasia il vostro mobbing quotidiano. Anche se non potrà distruggerlo, una risata lo sommergerà. L. Giulivi
Hina, Kaur e le altre
le sue origini: è pakistana. Il suo nome è Hina. Morta ammazzata da suo padre soltanto perché reclamava il diritto di vivere la sua vita e di amare l’uomo scelto da lei. E sepolta nel giardino fiorito di casa non lontano da Brescia. E’ anche lei bella e giovane, in un giorno di marzo in Punjab in cui l’umidità sembra evaporare sotto i raggi di un sole intenso, rientra felice dal suo primo giorno di scuola superiore. Ha tanta voglia di raccontare tutto alle donne di casa sedute in cerchio a cucire, prende anche lei il suo ricamo, ma qualcosa è diverso. Lo avverte. Ebbene sì, sta per accadere quello che ha saputo da sempre, ma proprio quel giorno, no! Troppo presto. L’uomo giusto per lei è pronto, la data è stabilita, i preparativi sono iniziati. Si deve sposare e la settimana successiva dovrà conoscere il futuro marito. Piange notti interminabili guardando l’albero del mango, ma non può non accettare quello che la storia inesorabile ha stabilito per lei. Sposa, il marito si rivela una persona gradevole, si innamora ricambiata da lui e ha due deliziosi figli e poi il radicale trasferimento in Italia in cerca di fortuna. Quando indossa il suo vestito da sposa, a Soriana vicino
Modena, sembra uscita da una miniatura, i suoi gioielli sono degni di una regina, il rossetto amaranto esalta i contorni perfetti delle sue labbra, il kajal dà profondità al suo sguardo intenso. Ma un brutto giorno di due anni fa il marito la lascia, muore, ma lei si sente forte e determinata ad andare avanti. Lo scorso giugno arriva improvvisa una telefonata dall’India, deve rientrare immediatamente. Parte preoccupata e torna sposata di nuovo con suo cognato, un uomo di 39 anni più grande. Non è riuscita a dire no, sente di non farcela a lottare da sola contro un destino millenario di donna, percepisce l’ingiustizia di quel mondo lontano e lentamente si avvia verso la ferrovia, si distende sui binari e aspetta la sua fine. Lascia una lettera testamento. I suoi figli devono essere italiani. Il suo nome è Kaur. Quante donne ancora come Hina e Kaur dovranno essere vittime dei pregiudizi sociali, del decoro infranto, dello scandalo procurato, del disonore arrecato, dei matrimoni combinati per consuetudini antiche che nulla hanno di religioso e di civile? E le Anne, le Maddalene, le Lucie, le Giuseppine del nostro passato hanno lottato invano? G. Orsini Cervelli
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U n i v e r s o
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I giorni dopo la finale dei campionati mondiali di calcio, sulle pagine dei giornali di mezzo mondo intellettuali di ogni sorta si sono interrogati sulla natura del gesto di Zinedine Zidane, su quell’inspiegabile testata data a Materazzi verso la fine della partita. Perché un eroe moderno quale Zidane ha macchiato in modo folle l’ultimo suo giorno di regno?, si sono chiesti tutti. Perché il dio si è voluto fare uomo?, si domandava ad esempio Bernard Henry Lévi. Quei giorni ho letto molti articoli sull’argomento e la maggior parte non mi sono piaciuti molto. Erano troppo agiografici, troppo retorici e ripetitivi. O forse era il modo di affrontare quell’episodio che non mi convinceva. Spesso si tralasciava di ricordare che il genio galleggia sempre su di un fondo di follia, o che le nostre azioni esistono solo nella nostra interpretazione e svaniscono invece negli sguardi altrui. Ho provato a scrivere di quell’episodio senza parlarne, che troppo era già stato detto, ed il risultato è questo breve monologo. Non c’è Zidane, in esso. Tanto meno si parla di calcio o di dèi che si fanno uomini. Si parla solamente di uomini che smettono ogni tanto di cercare il divino altrove e credono di vederlo solo in loro stessi, perché è solamente a loro che rispondono. Si parla dell’assurdo che cessa di essere tale quando ogni uomo diventa il suo proprio universo, senza essere compreso. O forse si parla di come l’uomo diventa il suo proprio universo, stanco di non essere compreso. Non c’è assoluzione per il gesto assurdo, ma solo tentativo di spiegazione. E.B.
Dicono quelli che frequentano le case di tolleranza, che ci sia una giustificazione morale nel farlo. Dove si arresta l’ingordigia del bassoventre, lì confina l’etica e l’auto-assolvimento dei peccati. Lì puoi trovare la funzione morale e sociale dell’andare a puttane. Vai a puttane perché così non tradisci tua moglie; perché così non pecchi davanti a Dio - ‘ché ti stai appropriando della donna di nessun altro -; perché così non rinneghi l’amore che hai intravisto una mattina allo specchio, raccogliendo stupito un rossetto che rotolava per terra. Vai a puttane, e nel profondo del cuore, ne sei fiero: pulisci la tua anima nel corpo sporco di una peccatrice che non conosce cosa sia il bene e il male e, quindi, che non sta veramente peccando. E tu con lei: non stai veramente peccando, ma ti stai redimendo. E ppure, non c’è giustificazione per chi si tiene in mano il suo orecchio. Qualcuno la chiamava lucida follia, ma per noi tutti era solo follia, ed anche opaca. Te lo immagini, quella mattina? seduto sulle scale a fissare l’estate nascondersi nei campi, senza poterla separare dal colore dei fiori e dal profumo del vento e dal volo degli uccelli. Già, deve essere terribile non riuscire ad impossessarsi dell’essenza, doversi accontentare del profilo, per di più sbiadito ed ovattato dalla luce scheggiata del sole. Te lo immagini?, appoggiare gli occhi sul grano, non riuscire a scorgere altro che pannocchie e polvere, e corvi che gracchiano e silenzio. Ma dell’estate, nessuna
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traccia. Eppure, un tempo ne trovavi il volto ed il sapore sul corpo sudato di quella donna, mentre l’amavi. L’amavi, ne baciavi la pelle, e sentivi il sapore agre della sua fatica inebriarti e darti esatta la percezione dei contadini che mietevano il grano, nel luglio meraviglioso e luminoso dell’infanzia. Ed ora, di fronte all’estate adagiata sul grano giallo, nessuna traccia dell’estate. Il vestito di una donna abbandonato su una sedia, al tuo ritorno. Puoi toccarlo, percepire la presenza di lei sulle sue fibre, assaporarne il profumo, ricordarne il sapore. Ma non c’è niente di lei, non c’è niente dell’estate che ricordavi di questo pomeriggio assolato, non c’è essenza. Ed allora, pensate ancora che non ci sia giustificazione alcuna in un uomo che si taglia un orecchio? E’ un gesto, sommerso dal sangue. Ma quel sangue porta con sé l’essenza dell’estate; della vita; del grano che cessa di essere il ricordo di un dipinto; di lei che cessa di essere un vestito floscio che fa l’amore con una sedia. A llora, avete capito? Il beneplacito di Dio, quello assoluto o quello di scorta che tiriamo fuori quando nessuno ci vede, magari in una di quelle notti importanti, quando sentiamo il mondo ruotare fisicamente dentro la nostra stanza, sopra il nostro letto, neanche fosse una farfalla. L’assoluzione è la nostra possibilità di guarire, senza che nessuno voglia darci alcuno sciroppo. Ma l’assoluzione si nutre e si giustifica della parte più nascosta della nostra esistenza, quella dove qualche volta neanche Dio ha voglia di addentrarsi. Vi siete mai trovati per un corridoio
sconosciuto, una volta che l’ascensore era guasto e cercavate le scale di servizio? Ecco, avete presente quel silenzio ottuso, fatto di piastrelle per terra e dei vostri tacchi che sbattono? Dicono che Dio sia nelle piccole cose, ma io non riesco a credere che possa essere anche in una di quelle mattonelle a quadretti che state percorrendo. Ecco i recessi dell’anima, dove Dio non arriva. Insomma, qualcuno ci dovrà capire prima o poi, ed assolverci. Faremo una radiografia all’anima, e qualcuno troverà forse delle pepite d’oro, dimenticate lì da quando facevamo gli esploratori in Alaska o, al massimo, dalla nostra infanzia ad esplorare la vita. E se anche non dovessero capirci? Qualcuno potrà forse impedirci di andare per chiese di notte e sottrarre i volti delle madonne, degli angeli e, forse sì, anche di qualche santo? Pensateci bene, quando vi introdurrete di nascosto in quella chiesa vuota, ed inizierete a staccare via le statue dai loro basamenti, pensate al sacrilegio che state compiendo. Sì, sacrileghi: proprio verso quella chiesa che sa di muffa, quella della vostra infanzia, quella dove la notte di Natale si andava con cravatte e pellicce alla naftalina, e voi prendevate posto in mezzo al coro. Ve lo ricordate? Per quanti anni di seguito? Cinque, sei, sette? Ed ogni notte di Natale il Natale arrivava e si posava su quelle cravatte e su quelle pellicce finte: la puzza di naftalina le abbandonava ed
andava a conservare l’infanzia, che si nascondeva ogni volta di più dentro quella chiesa, si posava sugli occhi vuoti e sulle vesti squadrate delle madonne e degli angeli che vi ascoltavano stonare con visi ispirati. Finchè una notte siete usciti da quella messa senza più un brandello d’infanzia addosso, depositata interamente su quei marmi porosi e ruvidi al tatto che divenivano allora lisci di velluto e di ricordi. E proprio stanotte, proprio in quella chiesa volete ricercare quel mantello, volete riappropriarvi dell’infanzia? Pensate di poterla riconoscere sui volti di quelle statue opache, pensate di potervela portare a casa insieme a loro? Illusi, nessuno vi capirà, e non potrete neanche lasciare all’interno della chiesa spogliata il vostro orecchio sanguinante, a futura memoria: per chi non riesce più ad impossessarsi dell’essenza. Della vita, del ricordo, del mondo, addirittura del vostro amore, o di quel sentimento che qualcuno ha condannato a morte volendolo un giorno forzatamente battezzare. Un sentimento deve essere lasciato senza nomi né fattezze. Insomma, se non ci capiranno, non potremo neanche tenere quelle statue per ricordo, ma dovremo restituirle, e chiedere anche scusa. I n fondo in fondo, poi, cosa c’è da capire? Ci provava già Pitagora migliaia di anni fa a fare il pianista con l’universo, ma ci riusciva male anche lui. Cosa dovremmo capire, allora? Che tra due attimi di vita ci sono in mezzo infiniti universi, e che l’uomo è con-
dannato a vederne solo il profilo di uno, sbirciando tra due nuvole? Ancora questi profili, queste sagome… niente che ci riporti a questa benedetta essenza. Ma a chi frega qualcosa, infine, dell’essenza? È roba buona per i cuochi, oppure per gli innamorati che amano anche la di lei assenza. Che tristezza. A llora, visto che non possiamo farci capire, o che non vogliamo, o che non abbiamo niente di cui farci capire, sputiamo in faccia anche a Sisifo, ‘ché noi non vogliamo essere felici, ma siamo incazzati. Lo so, è sempre la solita storia dei due abissi: sono dieci anni che ripeto sempre le stesse frasi imparate a memoria… ma lasciatemi fare, faccio sprezzo di me sul palcoscenico della vita - direbbe il vostro amato carmelo - fatemi ripetere e recitarmi addosso sempre lo stesso canovaccio, finchè le pagine su cui è stampato saranno diventate ormai illeggibili e cadranno a pezzi. Insomma, siamo incazzati e ci azzuffiamo con Sisifo ed i suoi ammiratori, e continuiamo a sfogliare le nostre pagine e a ricordare gli anni trascorsi a scriverle - non avevamo scritto un capolavoro, che parlava di anime e di morte? O forse di anime morte? E allora, il seguito deve essere all’altezza del primo tempo, oppure no? - e continuiamo a guardare il sole e a non trovare più l’estate, e a guardare il volto di una prostituta e a non trovare più quello della donna che ci sembrava di aver amato, ed insomma, alla fine prendiamo tutte queste essenze di inutilità, e le buttiamo nel camino che brucia, e continuerà a bruciare per tutta la notte. feyeem@gmail.com
C o s ’ è
il reato e dal provvedimento di grazia perché è un provvedimento di indulgenza a carattere generale e non rivolto al singolo individuo. Affinché l’indulto sia approvato serve la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera e deve essere votato in ogni suo articolo. Ad applicare l’indulto sarà il giudice dell’esecuzione, a norma dell’art. 672 del codice di procedura penale. Il parlamento, nel predisporre l’indulto, ha previsto dei casi di esclusione quali: i reati di terrorismo; strage; banda armata; schiavitù; prostituzione minorile; pedo-pornografia; tratta di persone; violenza sessuale; sequestro; riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti; usura; reati di mafia. Le prime scarcerazioni sono state eseguite nel mese di agosto e continueranno fino a liberare circa 20 mila detenuti. I telegiornali e la carta stampata ci hanno subito informato che neanche 24 ore dopo la scarcerazione alcuni detenuti erano già tornati a delinquere. Lo sconcerto è stato unanime, ma mai superiore all’ipocrisia che aleggia sopra ciascuno di noi quando parliamo di pena. Pacificamente è ritenuto che la società necessiti di regole per sopravvivere; queste regole si occupano di vari aspetti,
dall’ambito civile, amministrativo, religioso, militare e penale. Lo Stato quindi crea un complesso di norme con cui proibisce alcuni comportamenti che ritiene lesivi della sua stabilità e sopravvivenza, sanzionando i contravventori con una pena. La sanzione è, quindi, una minaccia all’inosservanza dei precetti, la conseguenza per l’inosservanza dei precetti, la garanzia per l’esistenza dei precetti. Mentre la pena, quale l’ergastolo, la reclusione o la multa etc, ha una duplice funzione. La funzione retributiva, cioè mira ad infliggere al soggetto reo un vero e proprio castigo; la funzione di emenda del condannato mirando ad agevolare il ravvedimento dello stesso ed il suo reinserimento nella società. Con l’indulto il senso proprio della pena viene meno, l’unica spiegazione che può quindi darsi a tale provvedimento è di pacificazione sociale. Intendendo per pacificazione sociale un segno di clemenza della società nei confronti di chi ha sbagliato. Un segno di grande maturità e superiorità di tutti quei cittadini che ogni giorno rispettano le regole. Potrei anche condividere tale posizione, se non fosse che
l ’i ndulto
l’indulto così come oggi è applicato è solo un modo per liberare le carceri e lo Stato da spese di mantenimento che non può permettersi. Usare in questo modo l’indulto fa sentire stupidi tutti quelli che le regole le rispettano e le insegnano ai propri figli. Nessuno nega che nelle carceri italiane si viva in condizioni precarie, che a volte vengono condannati ragazzi disadattati e disagiati che avrebbero bisogno solo di aiuto, ma è anche vero che assassini, ladri e truffatori non possono essere lasciati liberi. Tutti noi possiamo perdonare, ma non possiamo permetterci di mettere in pericolo la stabilità dello Stato. Rispettiamo lo Stato e le sue regole perché vogliamo vivere insieme e pacificamente, chi non è disposto ad assoggettarsi al volere degli altri o va a fare l’eremita o finisce in carcere e ci resta. Non ho una risposta per chi giustamente obietta che lo Stato non ha i fondi per mantenere le carceri e che preferisce impiegarli per produrre strade e ponti, ma penso che una soluzione alternativa poteva trovarsi. Anche perché, come ha fatto notare il presidente dell’associazione dei comuni italiani, Leonardo Dominaci, le difficoltà finanziarie in cui versano
i servizi sociali comunali, che nello scorso anno subirono un taglio di 500 milioni di euro e che il decreto Bersani ha parzialmente rifinanziato con una somma di 300 milioni, non permettono di occuparsi del reinserimento del reo. È un circolo vizioso in cui si è andata a cacciare la nostra società, abbandonando l’insegnamento dei princìpi fonda-
mentali dell’essere umano. Senza questi tutto perde valore, dal rispetto della vita, all’infanzia, alla proprietà altrui. Può sembrare un discorso accademico, ma rifletteteci e poi ditemi se tutto non dipenda sempre da noi, da quanto siamo disposti a tollerare e a nascondere. S. Battisti Consulente legale-amministrativo
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S a l u t o a l T I C C I H 2 0 0 6 L’Icsim, Istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa “Franco Momigliano”, è lieto di porgere ai Partecipanti al XIII Congresso del TICCIH il più cordiale benvenuto a Terni, con l’augurio di un felice e proficuo soggiorno nella nostra città. In questi mesi nei quali abbiamo intensamente collaborato con il The International Committee for the Industrial heritage e con l’AIPAI, Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale, alla realizzazione di questo appuntamento, abbiamo cercato di fare il possibile perché l’Italia, l’Umbria e Terni, designate per la prima volta ad ospitarlo, potessero dare il meglio di sé per accoglienza e qualificazione della loro proposta scientifica. Nella speranza di esserci riusciti, almeno in parte, vogliamo comunque sottolineare la peculiarità di una realtà, qual è quella italiana, in cui la memoria dell’industria deve misurarsi con un enorme patrimonio fatto di storia e di cultura millenarie. Per Terni e Narni, città che hanno conosciuto negli ultimi decenni del Novecento profondi processi di deindustrializzazione, questo Congresso ha molteplici significati, nell’ottica di un loro rilancio o, se vogliamo, di un collegamento virtuoso tra memoria del passato e prospettive del futuro prossimo. Sbaglia, a mio avviso, chi pensa a una sorta di commemorazione del bel tempo che fu, perché l’industria è ancora una realtà fondamentale di questo territorio, anche se non più la sola. Con il XIII Congresso del Ticcih, Terni, Narni e Marsciano saranno, insieme ad altre importanti città industriali italiane, sotto i riflettori dei più impegnati studiosi ed esperti dell’archeologia industriale mondiale. Sarà un’occasione importante per conoscere e farsi conoscere e, comunque, un’esperienza utile per costruire un migliore intervento nel settore, nella certezza di un suo ruolo positivo nel contesto delle politiche di sviluppo portate avanti dalle Istituzioni e dall’insieme delle forze economiche e sociali. E’ con tale spirito che salutiamo tanti illustri ospiti per la loro presenza al Congresso, augurando loro il miglior soggiorno in Umbria e in Italia. Franco Giustinelli Presidente dell’ICSIM
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Re g i s t r a z i o n e n . 9 d e l 12 n ovem b re 2002 p resso il Trib u n ale di Terni Di re z i o n e e R e d a z i o n e : Tern i Via Carb on ario 5, t el e f ax 0744.59838 Ti p ograf ia: Um b riagraf - Tern i A c u r a d e l l ’ Associazion e Cu ltu rale Free Words
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Pe rc or si ne l pa t r im o nio indus t r ia le it a lia no Curatori: Roberto Parisi e Manuel Ramello Realizzazione: Sezioni regionali dell’Associazione Italiana per La c it t à di M a r io R ido lf i: a rc hit e t t ur a , ur ba nis t Curatore: Aldo Tarquini Realizzazione: Comune di Terni, Assessorati all’Urbanistica, alla Cultura Wor king He r it a g e . I l f ut uro de l pa t r im o nio indu Curatori: Catalogna: Mariona Abelló, Josep Comellas, Xavier Belhoste, Michel David, Véronique Dez, Isabelle Longuet, Phi John Cattell, Ursula Dugard-Craig, Keith Falconer, Chris Harg Giovanni Luigi Fontana, Fabio Mabilia, Franco Mancuso, Aldo INTERA D R I A : I l pa t r im o nio indus t r ia le m a r it t i Curatori: Giovanni Luigi Fontana, Marco Montagnin, Cristina Tr a t e r ra e c ie lo : il dis t re t t o m ine r a r io di R e a l Autore e curatore: Marco Antonio Hernández Badillo M inie re. Luc i e o m bre , ide nt it à e t e r r it o r io Curatore: Società Umanitaria, CSC Carbonia Iglesias I m arosi de l t e m po : l’ A r s e na le di Ve ne z ia e il P o Autore: Olga Micol De Caro; Curatore: Cristina Morandi Proge t t o Euro pe o M e dia uv is . I v o lt i de ll’ a c qua Curatore: Centro Multimediale di Terni Spa con la supervision Il sile nzio de l f e r ro Autore: Elia Cosimi Ac qua mine r a le Sa ng e m ini: l’ im m a g ine pubblic i Curatore: Simonetta Sperandio; Realizzazione: Sangemini SPA La se t t im a na de ll’ a r t is t a 2 0 0 6 , V I e diz io ne “ I l p A cura di: Associazione Minerva di Narni, sezione minervAAr Conc e r t o in f a bbr ic a “ C e nni di m e m o r ie s o no re ”
r il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI). tic a, stori a , a r t e , c u l tura,fotografia
e ai Lavori Pubblici; Comitato promotore del centenario di Mario Ridolfi ust ri a l e r Garcia, Antoni Navarro, Jordi Rogent; Francia: Jean-François ilippe Louguet, Marianne Pattou, Paul Smith; Inghilterra: greaves, Bob Hawkins, Michael Taylor; Italia: Renato Covino, o Tarquini, Dario Tomasi, Andrea Tropeoli im o d el l ’A d r i a t i c o a Morandi, Francesca Mura del M o n te e P a c h u c a , Messico
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ne scientifica dell’ ICSIM
it ar i a n el l a c o m u n i c a zione aziend ale A pro dot to i n d u st r i a l e diven ta oggetto d ’art e ” rte ”
L’attuale prospettiva culturale ha oggi come riferimento il mondo intero, con le sue tradizioni culturali diverse, ma non meno significative della nostra. Gli intellettuali europei del Rinascimento credevano che la cultura si identificasse tout court con la cultura classica. Non si può certo negare che la cultura greca sia una delle basi illustri della civiltà occidentale: ci ha consegnato opere sublimi di letteratura, gli inizi della filosofia, della storia, le prime analisi della fisica, la generalizzazione nella matematica… Il nostro italiano è una lingua neolatina, ma la civiltà latina si è formata, anche se con caratteristiche proprie, nell’ambito dell’ellenismo. Oggi la cultura, anche da noi, non si identifica più esclusivamente con quella classica, anzi... però... proprio in un mondo governato soprattutto dalle scienze e dalle tecnologie, abbiamo ugualmente bisogno, per capire più e meglio, di quella cultura che rappresenta il segno della nostra identità culturale, delle nostre stesse radici. Perdersi nella cultura massificante moderna, è un rischio possibile. La produzione industriale impone gli stessi oggetti su tutti i mercati, i mass media diffondono informazioni standardizzate, la pubblicità regola i nostri desideri in funzione dei bisogni dei poteri forti. Sono tutti rischi per la nostra capacità di pensare autonomamente, per la nostra stessa libertà di pensiero. Gli studia humanitatis, proprio nel bel mezzo dell’era tecnologica, sono, a mio avviso, ancora del tutto essenziali. La realtà sta ritraendosi dalla nostra realtà di vita, nella stessa misura in cui la simulazione prende il sopravvento.
Tanto più siamo presenti dal vivo, in diretta, tanto meno siamo presenti realmente. Noi viviamo dal vivo di seconda mano. I personaggi pubblici della nostra quotidianità, non li abbiamo mai incontrati realmente, anche se non ce li siamo mai persi dal vivo. Sono a noi del tutto sconosciuti, pur se hanno il potere di orientare, anche violentemente, tutte le coordinate essenziali, che una volta chiamavamo morali o a misura d’uomo. Perfino rispetto a quelli che definiamo fatti concreti che scombinano la nostra vita, la influenzano e la determinano, solo in casi molto rari li conosciamo bene e da vicino. Il mass media ci presenta spesso una realtà artificiale, permette una presa di contatto senza rischio con la realtà (varie guerre in diretta) ed impedisce il reale e fecondo contatto col rischio degli imprevisti della vita (film giapponesi per bambini o per adulti-bambini). Questa realtà di plastica sembra proprio adatta a preservare... Il mondo autenticamente esperito subisce un incredibile restringimento, analogo a quello della miniaturizzazione tecnologica. Qui, in ridottissime dimensioni fisiche è riposta enorme potenza; nel caso dell’uomo, nel suo restringimento delle conoscenze effettive, può dirsi la stessa cosa? Potenza non significa forse conoscenza concreta e capacità effettiva di interagire? E chi distingue la miniaturizzazione elettronica, chi sa qualcosa di tutto il corredo tecnologico da cui siamo sommersi? Qualcuno riconosce forse i prodotti della moderna tecnologia così come riconosceva una bicicletta, un treno, le automobili
stesse? Ormai moltissimo ci sfugge! Navighiamo in una procella in cui non abbiamo più capacità di intervento. I pezzi non si accomodano, si cambiano… fin quando tutto si salderà in un unico pezzo! Poco o niente sarà distinguibile e noi saremo sempre più espropriati dalla realtà. Dal 14 al 18 settembre Terni è capitale italiana dell’Archeologia Industriale, per il suo il l3° Congresso Internazionale, che mostrerà al mondo intero il passato della nostra città, svelandone le radici. Benvenuto Congresso ma, soprattutto, grazie agli organizzatori ed ai partecipanti! Infatti proprio l’Archeologia industriale ci riconnette a nostre nobili radici umane, al conoscibile a misura d’uomo. Ci avvia a ritrovare le origini del lavoro industriale ed artigiano, del sacrificio, dell’humus presente nelle opere e arreca un contributo rilevante di civiltà e di cultura al villaggio globale in cui siamo ormai costretti a vivere. Profonda la mia devozione nei confronti della spiritualità di chi ostinatamente, con cultura, intelligenza, sensibilità si impegna per cercare di avvicinare l’Uomo a se stesso, riconducendolo alla prima sentenza di Chilone spartano, uno dei sette sapienti: gnwqi seauton ! Sentiti ringraziamenti. Giampiero Raspetti
Le foto degli acquarelli e degli acrilici dell’artista Elia Cosimi, sono tratte da “Elia Cosimi - il silenzio del ferro, edito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni
l’a m b i to del Co ng re sso T IC C I H
Conosci te stesso
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U na
m o r al e
spe r icolata
L ’ e t i c a l a i c a e l i b e r t a r i a d i Va s c o R o s s i
L’amore e il sesso fanno parte anch’essi dell’attimo fuggente? E’ vero che ogni occasione è persa se non si afferra al volo... e se la prende con Alfredo che gliene ha fatta perdere una favolosa. Ma la cosa è più complessa, per poterlo capire occorre analizzare le tante sfaccettature che l’amore e il sesso hanno nelle sue canzoni. In Tu che dormivi piano, un’avventura, a quanto pare sessuale, classica di chi vuol cogliere l’attimo, con una donna di cui ignora il nome, diviene talmente coinvolgente che le anime calde si fusero insieme sospese in mezzo alla stanza… mentre il soffitto sembrava cadere stringevo in pugno la vita, ma ad un tratto lei uscì dal letto e volò via. In Dimentichiamoci questa città è ancora più esplicito e meno poetico: Bambina amiamoci... ti voglio amare da morire voglio farti impazzire… dai che prendiamo il volo dai che viviamo un attimo solo. Dove invece il sesso offerto dalla donna trova il suo rifiuto è in Non so più cosa fare: stanchezza, scarsa attrazione? Niente di tutto questo, ma paura di rimanere incastrato: Dio se vorrei lasciarmi andare…vorrei toccarla baciarla come mi viene in modo naturale! ma forse è meglio lasciare stare, non posso rischiare. Qui il libertario ha paura di mettere in discussione la propria libertà; cogliere l’attimo fuggente a volte non è potenziarla ma metterla in gioco o forse perché l’amore, quello vero, è comunque fonte di sofferenze come fa capire in Anima fragile, quando, rivolto ad una donna, svela le sue di fragilità: come me cerchi solo avventure perché non vuoi più piangere. Una preoccupazione che in Vasco appare qua e là, è quella della sincerità ma dimmi quando fai l’amore fingi? o in uno squarcio poetico Se c’è qualcosa che non ti va dillo alla luna... guardami in faccia quando mi parli se sei sincera… la voglio in
faccia la verità! se sarà dura la chiamerò sfortuna. Lo mette in crisi anche la donna che non si fa capire, quella che non comunica: dimmi che cosa che cosa ti dà quell’inaccessibiltà? O tra i vari interessi che hai dimmi che posto mi dai! Invece il dato di fatto che anche in amore tutto cambia, come in De André, niente è eterno per l’uomo, non lo spaventa più di tanto perché cosi vanno le cose, anche se c’è un modo per farlo durare: un figlio. In Benvenuto lo dice senza reticenze a noi due che eravamo qui annoiati ormai quasi spenti… non sarebbe durata a lungo questa storia d’amore eterno se non arrivavi tu, ma subito dopo, rivolto al figlio, si rende conto della responsabilità: certo che non credevo sai di tirarti in mezzo a un casino… chissà cosa è successo!? Vasco è così, pieno di insicurezze e di contraddizioni, di entusiasmi e di emozioni, specialmente in amore, interpreta le fragilità di tutti noi, gli egoismi di tutti noi, ma ciò che lo contraddistingue rimane una sincerità di fondo che costituisce l’humus di tutta la sua produzione, l’amore quando c’è non sente ragioni: ho guardato dentro un’emozione e ci ho visto dentro tanto amore che ho capito perché non si comanda al cuore… e va bene così senza parole… Anche la galleria di ritratti femminili è varia, a volte sono bambine di fronte alle quali il libertario, abituato a cogliere l’attimo, fa un passo indietro, in Quanti anni hai tira il freno: meglio che non esci stasera, non posso approfittare di te quello che ti do stasera! è questa canzone onesta e sincera, e basta. E’ colpito, come è naturale per lui, dalle ragazze anticonformiste e libere e quando afferma C’è chi dice è una strega tanto lei se ne frega. Ai giudizi degli altri non fa neanche una piega, sembra voler fare una proiezione al femminile di Vasco. La ragazzina di Alba
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chiara che è chiara come un’alba e fresca come l’aria, che porta con sé tutta l’innocenza di chi deve ancora scoprire la vita, è colta nel momento in cui scopre il sesso da sola, un momento che per la morale conformista, sessuofobica e cattolica è quello del peccato, per Vasco diventa l’esaltazione della libertà della scoperta di sé, della naturalità e della fondamentale innocenza del sesso: E qualche volta fai pensieri strani con una mano ti sfiori e tu sola dentro la stanza… e tutto il mondo fuori!!! Tra questi ritratti spicca Jenny, che la gente ha etichettato come la pazza, che non vuol più parlare, non vuol più giocare, vorrebbe soltanto dormire… Jenny non sente più niente, non sente le voci che il vento le porta, Jenny è stanca, Jenny vuole dormire. E’ un prodotto della emarginazione sociale contro la quale Vasco leva il suo grido: Lasciatela stare voi non potete!!!, si sente un vago sapore del De André di dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior, è la simpatia per i diversi che incarnano il diverso che è lui stesso: mi ricordo che si escludeva per primi quelli che facevano paura…si escludeva sempre il più debole. Nelle sue canzoni Vasco incontra spesso la politica ma lo fa sempre dal suo punto di vista anarchico, laico, libertario e antimilitarista, le sue simpatie vanno ai radicali, Pannella è il mio alter ego politico ha confermato recentemente. Una canzone ferocemente antimilitarista tutta giocata sul filo dell’ironia è Faccio il militare: domani c’è esercitazione di tiro col cannone. Spariamo colpi che possono arrivare… fino in Giappone!?, ma non ci si può rilassare, i russi possono arrivare… Accanto all’ironia spesso si fa strada la protesta: E il tempo crea eroi mentre il sole brucia ancora per i cazzi suoi… e avanti ancora tra la nebbia e la follia ed in tasca la DEMOCRAZIA! e alla gente povera rimanga l’onestà, a vantaggio di chi NON CE L’HA! che comunque può COMPRARSELA. Lo infastidiscono quelli comodi che state bene voi…se gli altri vivono per niente perché i furbi siete voi, quelli che per sopravvivere…qualunque porcheria lasciate che succeda e dite: NON E’ COLPA MIA! A volte fa capolino il movimento degli anni settanta sotto forma di metafora, i bambini dell’asilo sono il movimento studentesco, che però finisce presto e i versi i bambini dell’asilo non fanno più casino sono rimasti troppo pochi dopo i fuochi, ricordano molto l’ultimo mohicano di Gianfranco Manfredi, quando l’ultimo studente si ritrova con un sampietrino in mano e non sa più a chi tirarlo perché davanti non c’è più la polizia e dietro non c’è più il movimento. Ma la realtà è che Vasco non è fatto per l’impegno politico diretto perché appartiene a quella generazione di sconvolti che non ha più santi né eroi. Tantomeno ha Dio, di cui Vasco parla poco, solo in Portatemi Dio affronta il problema a suo modo Metteteci Dio sul banco degli imputati. Metteteci Dio … portatemi Dio gli devo parlare, par di capire che vuole chiedere conto ironicamente a un Dio, a cui non
crede, di una vita che ho vissuto e che non ho capito. In Ambarabaciccicoccò è chiaro che non gli piace il Concordato e l’educazione dei bambini dalle Orsoline e pensa che nel terzo Millennio tutte le chiese saranno sempre più d’accordo, sempre più lontane. Fin qui abbiamo fatto un panorama a trecentosessanta gradi del vascopensiero, ma abbiamo volutamente lasciato fuori l’elemento che più lo contraddistingue tra il pubblico giovanile e che gli si è stampato addosso come un’etichetta: la trasgressione, che in lui vuol dire salvare la propria libertà dal conformismo morale, dalle regole imposte, dall’uniformità che è la morte in nome della diversità che è la vita. La prima delle trasgressioni è data dal lasciarsi andare alle sensazioni, alle emozioni; per lui non vale il cogito ergo sum ma il sento ergo sum; sente il mondo sulla pelle senza mediazioni razionali sensazioni sensazioni... sensazioni forti non importa se la vita sarà breve…vogliamo godere! e una splendida giornata è quella straviziata. Stravissuta… senza tregua!... sempre con il cuore in gola fino a sera. L’ideologia del vado al massimo è il suo vangelo laico, ma si sa, i vangeli non hanno fortuna, anche quello di Gesù non è stato molto ascoltato. Quando, nel 1982 si presentò al festival di San Remo (il tempio di quel conformismo nazionale, che Tenco nel 1967 pagò con la sua pelle), magro, vestito scuro, occhi azzurri e faccia da bravo ragazzo di buona famiglia, esordì un po’ spaurito un po’ spavaldo con Vado al massimo!... voglio vedere come… va a finire andando al massimo… senza frenare voglio vedere se davvero poi si va a finir male!... vado in Messico voglio veder se là davvero si può volare... Arrivò ultimo. Chissà che sarebbe successo se avesse presentato Siamo solo noi, scritta l’anno prima, che sembrava aver fatto assurgere ad ideale la trasgressione fine a se stessa e che recitava siamo solo noi che andiamo a letto la mattina presto…che non abbiamo vita regolare…che non abbiamo niente da dire… siamo solo noi quelli che non credono più a niente... quelli che tra demonio e santità è lo stesso basta che ci sia posto… generazione di sconvolti che non ha più santi né eroi. Ma per chi non avesse capito scrisse quello che divenne l’inno di una generazione: Vita spericolata. Ho affrontato, afferma Vasco, il tema che in quel periodo affliggeva tutti: la paura di una vita piatta, tranquilla, priva di emozioni. Erano i primi anni ’80, era finito il movimento del ’77, ed era cominciato il deserto di ideali, lo yuppi-
seconda e ultima parte
smo dei nuovi giovani rampanti in giacca e cravatta, che non frequentavano più le piazze con i sampietrini, ma Piazza Affari. In questa situazione Vasco reagisce scegliendo non la battaglia collettiva, ormai impossibile, ma la protesta individuale: Voglio una vita spericolata…voglio una vita maleducata…voglio una vita che se ne frega che se ne frega di tutto sì!... ognuno a rincorrere i suoi guai…ognuno in fondo perso per i cazzi suoi…voglio una vita esagerata voglio una vita come Steve McQueen!!…voglio una vita la voglio piena di guai!!! E tra i guai è arrivato anche l’arresto per possesso di stupefacenti, in nome dell’ordine e della disciplina occorreva rimettere in riga il drogato, lo sballato, che dava ai giovani il cattivo esempio. Lo Stato, tra gli applausi dei benpensanti, accontenta così il prete che ammoniva i giovani, pena il peccato mortale, a non partecipare ai concerti di Vasco. Ma per un libertario vero non è che un incidente, la lotta continua, anche se la voglia di evadere spesso fa capolino. Ma non è solo una fuga come in Vuoi star ferma quando dice stasera bevo perché è più facile o in Valium quando cerca 100 gocce di valium…per dormire del tutto… non sentire più niente… cancellare la mente e domani mattina non svegliarsi neanche. L’evasione è anche la ricerca di un mondo dove essere più liberi e sinceri: cosa non darei per stare su una nuvola… per vivere una favola o anche io voglio vivere come se tutto il mondo fosse… FUORI! E’ così che Vasco trova nella trasgressione o nell’evasione quel senso che la vita non ha? O forse il trasgredire o l’evadere gli serve a coprire quella mancanza di senso? Probabilmente tutte e due: chissà se le centinaia di migliaia di giovani che vanno ai suoi concerti lo hanno capito? Comunque il messaggio più laico che Vasco ci lascia è che nella scelta del senso della propria vita non deve mettere bocca nessuno, né Stato, né prete, né partito: Canto per non impazzire, per il piacere di dire tutte le cose che vedo intorno a me!... E non mi resta che dire questa è una nuova canzone… che aiuterà me a capire… e in qualche modo a sfogare… tanto la musica è dolce… ti gira intorno e non muore… senti che brividi nel cuore… E a noi non resta che ascoltarla passivamente? No, per un libertario la libertà o è di tutti o non è di nessuno perché ci dice Vasco che in fondo la vita è una canzone da cantare tutti con la faccia verso il sole, una canzone dove le parole tutti se le possono inventare. Marcello Ricci
Amore e sesso: chi più ne dice più ne sbaglia di
S U L L’ A M O R E . . . Non credo sia mai esistito nella storia un termine inflazionato, vilipeso e travisato come la parola amore, intesa in tutte le sue manifestazioni, dal rapporto genitori-figli, al famigerato rapporto di coppia. Prima di riempirsi la bocca con altisonanti dichiarazioni di affetto, bisognerebbe verificare all’interno di se stessi un elemento fondamentale, che consiste nel vero oggetto del presunto amore. Quando, ad esempio, ricorrendo all’ipocrita affermazione di agire per il bene dell’altro, tentiamo di trasformarlo in ciò che noi siamo o avremmo voluto essere, atteggiamento comune nei confronti della propria discendenza, stiamo semplicemente aspirando o al narcisistico prolungamento di un modello di vita che consideriamo il migliore, il nostro, oppure al superamento dei nostri limiti e delle nostre mancanze, attraverso l’esibizione di un prodotto da noi creato, per l’appunto, il figlio. Lungi dal pensare che non siamo assolutamente nessuno per stabilire ciò che è giusto o sbagliato in senso assoluto, raramente ci domandiamo se per caso quello che ha reso felici noi, o che noi presumiamo ci avrebbe reso felici, risponda allo stesso requisito anche per una personalità completamente diversa
dalla nostra, e questo avviene in quanto la constatazione contraria ci impedirebbe di salire in cattedra ed impartire lezioni di vita, togliendoci la mera illusione di aver capito qualcosa della stessa. Così una deleteria miscellanea di superbia e frustrazione, di egocentrismo e bisogno di autostima, di attaccamento a certezze la cui origine deriva esclusivamente dalla necessità che ne abbiamo, viene confusa con un ipotetico amore che ben poco ha a che fare col desiderio dell’altrui felicità, e molto a che fare, invece, con la ricerca della nostra. Ma il trionfo assoluto delle interpretazioni degeneri, in merito al termine amore, si riscontra nel rapporto di coppia. Il nostro compagno deve farci star bene, deve farci sentire importanti, ci deve illudere che noi siamo speciali, ci deve consolare per i nostri fallimenti…, ci deve…, ci deve…, ci deve. E se non lo fa ci arrabbiamo, mettiamo il muso, attiviamo ricatti morali (soffro, sto male, mi stai massacrando…), senza renderci conto che il proprio benessere interiore, nella vita, ognuno se lo deve trovare da sé e nessun’altra cosa o persona all’infuori di noi stessi può offrirci su un piatto d’argento una valida motivazione per non considerare inutile la nostra
esistenza. Cosa possiamo dare se non abbiamo niente dentro? Al massimo beni materiali, dei quali poi pretendiamo il pagamento, in un modo o in un altro. Ciò che fa parte di noi, e non che ci appartiene, lo diamo spontaneamente, senza sofferenze, senza piagnistei, senza autodichiarazioni di santità. In presenza di tali elementi, la verità è che stiamo soltanto applicando la nota legge del do ut des, prassi idonea alle transazioni commerciali, ma negazione dell’amore per antonomasia. Finché ci illudiamo che entusiasmi e passioni nella vita possano scaturire da potenziali interventi altrui a nostro favore, non faremo che collezionare delusioni ed annaspare per non cadere in un vuoto che prima o poi ci inghiottirà comunque. Inoltre… Com’è possibile non sentirsi perdenti nel momento in cui di dice: tu per me non fai mai questo…? Chi non fa qualcosa è perché evidentemente non ravvede alcuna ragione per farla, quindi, se anche dovesse cedere in seguito alle nostre richieste ossessive, sarebbe controvoglia, soltanto per non sentire più la lagna. Bella soddisfazione! Molto gratificante! E molto egoista, naturalmente… Invece di impegnarci per fornire all’altro delle buone ragioni che lo spingano a comportarsi bene con noi, buone ragione secondo i suoi parametri e non secondo i nostri, non facciamo che urlargli in faccia le nostre esigenze, legittimando automaticamente il fatto che l’interlocutore ragioni analogamente, ovvero pensi alle proprie. Povero amore, confuso col suo bisogno...! Poveri sentimenti, sinonimi di debolezze…! E poveri noi quando non ci rendiamo conto che collegare la nostra realizzazione personale ai comportamenti altrui nei nostri riguardi, vuol dire sconfitta; che credere di poter essere felici chiedendo al partner di rinunciare alla propria felicità, è pura utopia. E non è amore. Perché chi ama vuole che l’altro stia bene, e se lo vede soffrire, sta male pure lui, fosse anche solo per quel narcisismo che a volte è sano. Basta pensare agli eroi…
S U L
Raffaela Trequattrini
S E S S O . . .
Mamma… perché gli stessi individui che tanto ci tengono a sottolineare l’importanza dello spirito e l’irrilevanza della carne sono proprio coloro che più si soffermano su un argomento come il sesso, condannandolo con tanto accanimento quando la semplice carne esso riguarda? Ma perché il sesso senza amore è un atto bestiale, è puro istinto, è piacere fine a se stesso. Come grattarsi la schiena o mangiare pasticcini? In un certo senso… E perché allora tutte queste altre cose non le condannano mai, mentre del sesso non fanno che parlare? Ma perché il sesso dà origine alla vita… Ma mica sempre, solo se uno vuole… Che mi vuoi dire che tu e papà l’avete fatto una sola volta? Io non ho fratelli… Certo che no! Ma se la gente si abitua a fare sesso solo per piacere, poi quando lo fa con amore… Quando lo fa con amore? Beh…, ne perde il gusto. Tu dici? Ma sei proprio convinta che chi abitualmente è costretto a bere il Tavernello per ragioni economiche diventi per ciò incapace di gustare un Brunello di Montalcino?
Tiziana Mondini Corinna Notaro
MOSAICO PARIETALE Copia romana. Tecnica diretta, smalti e oro. San Vitale, Ravenna
Laboratorio d’arte
Via XX Settembre, 24 - 05035 Narni (TR) - Italia Tel. +39 0744 733178 - Cell. 347 1225550 • E-mail: frammenti-art@libero.it www.frammentiart.it - www.frammentiart.com From the USA. contact: Life in Italy - 5909 Bethlehem CT - Rockville MD 20855 Tel. 301 7386827
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Anna Placidi La Provincia di Terni per la cultura
La Provincia di Terni per la cultura
Il giullare Feste
Anna Placidi è nata a Terni, dove vive ed opera. Sue opere si trovano in collezioni private in Italia e all’estero. Considerata Caposcuola della miniatura su pergamena, le viene richiesta la scheda artistica dal Museo della Miniatura di Jerevan (Armenia) e dal Kunsthistorisches Istitut in Florenz - Archivio per l’Arte Italiana del ‘900. E’ presente nel Dizionario della Pittura Italiana Contemporanea Il Quadrato e nel periodico d’arte e cultura Praxis Artistica. Figura fra i circa cento artisti italiani particolarmente attivi segnalati dal Candelaio.
Le plaquetts di Anna Placidi mi hanno ricondotto alle remote letture dei Romances de la Rose e di Chaucher, alla visione delle vetrate di Chartres, e degli arazzi di Cluny per quel tanto di magico che tutto ciò ci lascia dentro. Conosciuta la Signora Placidi, le cose hanno preso un’altra dimensione: da dove può venire a questa artista, a questa donna di famiglia semplice e dal cuore sereno la sua predilezione per la favolistica medioevale che è il senso palese che rende tanto suggestiva la sua opera. C’è nell’opera di Anna Placidi tutto l’appassionato impegno di donna dal quieto cuore. Ilario Ciaurro
Afrodite
Scudo di Achille Anna Placidi, una giovane pittrice sbocciata precocemente nel tempo della scuola, si inserisce nel quadro dell’arte presente per un connotato prezioso: il richiamo spontaneo al Gotico, un mondo che risorge in lei in virtù di un linguaggio reviviscente con evidenza e straordinaria facilità. L’artista concentra in piccole misure le sue immagini; una linea quasi continua dà forma alle figure con intrecci, volute, arabeschi; una calligrafia raffinata, ricca di modulazioni, piena di aerea leggerezza. Colui che osserva le sue operette, gemmate come lavori di oreficeria, vi scorge l’eleganza preziosa del Gotico Internazionale. Ciò suggerisce l’idea di una felice reviviscenza di quel mondo e di quel tempo: il sostrato ideale di esso si ritrova infatti nell’ambiente evoluto e colto delle Corti principesche dell’epoca. Guido Mirimao
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Deposizione
Realizzate quasi totalmente su carta pergamena con una patina ottenuta attraverso delicate colorazioni, le composizioni di Anna Placidi si fanno apprezzare per il gusto sottile di una ricerca estetica condotta su testi medioevali; per l’analitica strutturazione di forme ora tumultuose ora colte in una quiete serena; per il graficismo fantasioso che caratterizza ogni immagine rappresentata e che coinvolge, in una consequenzialità estetica, l’intera composizione. La minuzia descrittiva che è tipica della Placidi si risolve attraverso opere di delicato e fresco contenuto ove il colore, sempre lieve e ben dosato, ha la proprietà di rimarcare, con la sua forza espressiva, il significato emozionale di opere che, risolte sull’esile filo della memoria, ci ripropongono un mondo ed una concezione estetica ricchi di accadimenti e di stimoli culturali. Mino Valeri
Danze alla corte di Cleopatra
MATEMATICA = SEMPLICITA’ PURA
S i a m o t u t t i matem atici, sem pre! La Provincia di Terni per la cultura
Il Senso del numero, primo di una collana che percorrerà, gradualmente, molte tematiche fondamentali della matematica, è un libro composto a più mani, zampe, pinne, ali, biberon ed è impreziosito dai bellissimi disegni di Chiara Leonelli. Le pagine a sinistra sono scritte in modo comprensibile per giovani della scuola dell’obbligo, così potranno capire tutti, anche diplomati e laureati. Le pagine a destra presentano riferimenti di ogni tipo, dal sanscrito al greco, dall’etimologia a brani famosi. Quest’ultima lettura è dedicata agli amanti del sapere, un genere in via di estinzione. Non si consiglia la lettura ai superstiziosi, ai mistificatori, ai sedicenti poeti, a certi politici, ai tifosi in genere. Si consiglia agli uomini razionali, liberi, agli ispirati dalle Muse, agli uomini generosi ed altruisti, agli sportivi, a chi sa riflettere, pensare, leggere, capire. GR
POMPEO DE ANGELIS
ISTESS Il mio primo volumetto di storia ternana è la trascrizione delle lezioni da me tenute, per conto dell’ISTESS (Istituto Studi Teologici E Storico Sociali), al Circolo Lavoratori Terni, nel 2005. Lo stile espositivo dell’opera è di conseguenza prevalentemente didattico. Aver affrontato la storia cittadina nel suo insieme, mi ha anche obbligato ad esaminare i libri di storie generali precedenti, che sono appena quattro. Il primo e più glorioso di questi è la Historia di Terni di Francesco Angeloni edita nel 1646. Quello che mi colpì leggendo la prefazione alla II edizione, stampata nel 1878, fu la dichiarazione dei curatori di non avere alcuna conoscenza della biografia dell’autore. Non mancammo - dicono - di adoprarci per dare a questa ristampa una biografia del nostro Angeloni; ma per molte ragioni poco o nulla ottenemmo da queste ricerche. Anche nel 1966, data della terza edizione, non furono date notizie biografiche. Per questa carenza, mi accinsi a scrivere Francesco Angeloni ternano ed europeo edito nel
1997, saggio di notizie biografiche, contenente il catalogo e l’analisi di tutte le opere del nostro, l’indicazione della giacenza dei suoi moltissimi manoscritti alla Biblioteca Marciana di Venezia, la spiegazione della importanza che Angeloni conquistò nella cultura europea del Seicento. Qualcosa ottenni dalle mie ricerche. Abbiamo oggi il profilo dell’autore, ma manca un giudizio critico sulla Historia di Terni descritta da Francesco Angeloni et dedicata all’Eminentissimo cardinale Giulio Mazzarini. Qualche intellettuale ternano ha messo in dubbio questa dedica, sostenendo che Angeloni non aveva motivo di dimestichezza con il segretario di stato francese. Costui, semplicemente, come tanti altri, non sapeva niente del suo concittadino. Il motivo per cui i Priori seicenteschi della città chiamarono da Roma il famoso Angeloni dipese dal fatto che Perugia aveva già fatto scrivere la sua storia da Pompeo Pellini. Bisognava non farsi oltrepassare dai perugini. Qual è il valore dell’opera ternana?
Per rispondere bisogna dividere la Historia in tre periodi. La prima parte, concernente la storia romana, è di grande valore. Angeloni era preparato per questo argomento, sia nel merito che nel metodo. Aveva già scritto La Historia Augusta in cui percorre il tempo da Giulio Cesare a Costantino il Magno e aveva dedicato la prima edizione al re di Francia Luigi XIII e alla regina Cristina di Svezia, offrendo un trattato di risonanza internazionale, reso nuovo dal metodo storiografico. Infatti non si basò solo sulla documentazione letteraria, ma si avvalse anche delle fonti numismatiche. Per la storia romana di Terni adoperò le iscrizioni su pietra al posto delle monete imperiali, quelle che nella stessa città tuttavia si trovano e da gravi autori sono citate. Usando queste citazioni, ci ha lasciato la trascrizione di documenti andati dispersi. Per l’epoca medioevale l’opera non è altrettanto buona. Non gli è riuscito l’inquadramento del fatto locale nel quadro degli eventi generali; si è limitato a stare dentro la cerchia muraria disegnata dal Gubernari e non ha fatto raffronti con il circondario umbro. Interessante è comunque lo sfruttamento di una fonte medioevale manoscritta, intitolata Historia rerum mirabilium italianae ab 1223 usque ad an.1368 di Merlino di Filippo della seconda metà del XIV secolo, perché, essendo anch’essa andata perduta, se ce ne rimane traccia, è attraverso le lunghe citazioni angeloniane. La terza parte è decisamente fiacca ed agiografica per via dalla pressione dei Priori che pretesero una storia di comodo e la esposizione del pantheon dei santi ternani. L’ambizione di ripetere la operazione di Angeloni, per celebrare l’antichità e i fasti di Terni, spinse Elia Rossi Passavanti a scrivere una trilogia: Interamna Nahars (1932), Interamna dei Naarti (1933), Terni nell’età moderna (1939).
L’opera raccoglie importanti documenti in trascrizione completa, è un servizio notevole alla città, ma talvolta è una favola dannunziana, oppure è troppo conformista nella retorica dell’amor di patria. Arriviamo al 1939 per trovare la terza Storia di Terni dalle origini al 1870, scritta da Augusto Pozzi. Si tratta di un’opera organizzata in piccoli capitoli, nei quali si volgarizza e si modernizza la Historia angeloniana, con l’aiuto, per la parte successiva, di saggi monografici pubblicati sul Bollettino della deputazione di storia patria per l’Umbria, società che si costituì nel 1894. Pozzi approfittò anche delle prose di Luigi Lanzi, di Gradassi - Luzi Riccardo e di altri scrittori ottocenteschi. Pagò un grosso tributo a Elia Rossi Passavanti relativo ai primi due tomi. Non approfittò invece della raccolta delle Riformanze di Ludovico Silvestri edite nel 1856, avendo preferito usare i brani discorsivi degli altri, con
propensione alla cronaca. Nell’insieme si tratta di uno scritto di grande praticità. Sulla strada cronachistica cammina il quarto autore di questa rassegna: Dario Ottaviani, che raccoglie in nove volumi quanto ha trovato sparso in giro fino al 1936, sommergendo il lettore con tutto il materiale disponibile nella pubblicistica locale. In questo senso la sua opera è una acritica tabula di presenze, che può essere sempre usata. Dico infine la cosa più importante, quella che mi ha spinto a scrivere per quinto: Terni non è nata con l’Acciaieria e non era, prima, solo un borgo rurale. Dall’enfasi di Rossi Passavanti, si era passati alla cultura del cinquantennio di egemonia comunista che vedeva solo la grande fabbrica nella conca ternana. Questa visione rossa è stata però abbandonata da tutti, ormai. Le quattro storie citate hanno svolto la funzione di non far dimenticare Terni antica. Pompeo De Angelis
Opere di Pompeo De Angelis di storia locale Gubbio e San Pier Damiani (Gubbio 1989) Città e castella (Roma 1991) Macchine e allegorie (Roma 1992) Terni città di frontiera (Terni 1992) G. Gioachino Belli a Terni (Terni 1996) Cassian Bon fonda l’Acciaieria (Terni 1997) Francesco Angeloni ternano ed europeo (Terni 1997) La Flaminia passa per Terni (Terni 1997) Storia bianca del fiume Nera (Terni 1997) Cultura e teatro nel Seicento ternano (Terni 1997) Pittori e scene ternane (Terni 1997) Il maglio (Terni 1997) Otricoli nella storia (Terni 1997) Nasce la città rossa (Terni 1998) Il genio di Metelli (Terni 1998) Il culto di San Valentino (Terni 1999) Terni di Miselli (Terni 2000) La festa di San Giovanni (Roma 2000) L’ulivo d’oro (Roma 2000) La festa di Otricoli (Terni 2003) Terni di Luigi Nobili (Terni 2003) Tizzani e Belli a Terni (Terni 2003) Alessandro Geraldini e la subalternità americana (Terni 2004) Storia di Terni, dalla preistoria alla formazione del comune medioevale (Terni 2006) Dal 2003 dirige la rivista del Cestres “Indagini”.
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EDUCAZIONE ALLO SPORT Cambiano i musicanti, ma la musica...
Il verdetto della CAF ha rimesso le cose a posto. Ha ristabilito il diritto agli inciuci, ha riconfermato solo la mazzata alla Juve con un pò meno di forza e per il resto baci e abbracci a tutti. Chi si aspettava che si potesse girar pagina, dovrà rassegnarsi a leggere e rileggere sempre la stessa. Esperti, giudici e giornalisti si sono equamente spartiti gli onori della cronaca, scambiandosi i ruoli: gli esperti sono diventati giudici, i giornalisti esperti e i giudici giornalisti. Una babele di figure in confusione per lasciare tutto, o quasi, com’era. La sentenza è un’aspirinetta assunta da un malato terminale dopo un consulto di presunti luminari durato due mesi. Non ci siamo. Gli sportivi, non i tifosi, speravano che da quello che è stato pomposamente definito il più grande scandalo della storia del calcio, si ristabilissero regole nuove, ferme, rigide e che restituissero credibilità al settore.
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Ma, ahinoi, l’elefante ha partorito il topolino. Una cosa però è emersa: i poteri forti esistono, ora come prima del casino, e il burattinaio non era Moggi, o almeno non solo lui. Che cosa ci aspetta per il futuro? Non facciamoci illusioni. Cambieranno i personaggi, aumenterà la prudenza dei maneggioni, continuerà ad esistere l’ingenua innocenza degli scommettitori domenicali, ma il calcio conserverà il suo sistema melmoso, inquinato dalla pioggia radioattiva di nuvole di soldi, origine e scopo della sua ragione di esistere. Gli onesti, i puri si mettano l’anima in pace. Se poi anch’essi, sull’esempio dei burattini e burattinai, decidessero di trasgredire abbracciando un compromesso con la loro coscienza, beh allora che parlino di calcio in termini di valori etici ai loro figli, ne decantino la lealtà, il sacrificio, la passione. Finchè militeranno nei pulcini, forse ci crederanno. Giocondo Talamonti
Impiegato postale: suo nuovo volto Nell’immaginario collettivo al dipendente postale viene attribuita una connotazione decisamente non positiva. Per averne un’idea propongo due significativi esempi desunti da altrettante opere realizzate da insigni studiosi delle scienze psicologiche. La prima testimonianza ci viene offerta da Erich Fromm, il quale, nel volume Anatomia della distruttività umana (pubblicato la prima volta in lingua italiana nel 1975), così scrive a proposito del carattere burocratico: “Si potrebbe ricordare la faccia del burocrate dietro lo sportello dell’ufficio postale, osservare quel sorrisetto invisibile quando egli chiude la bottega alle ore 17,30 in punto, mentre gli ultimi due, che stanno lì a far la fila già da mezz’ora, devono andarsene per tornare il giorno dopo. Quel che conta non che egli smetta di vendere francobolli alle ore 17,30 in punto: l’aspetto importante del suo comportamento è che egli gode a frustrare la gente, a dimostrarle che è lui a controllarla, una soddisfazione che si riflette nell’espressione della sua faccia”. In realtà negli uffici postali italiani non prevale la forte componente sadica, come vorrebbe l’insigne psicanalista tedesco, bensì un deciso senso del dovere e una chiara visione delle esigenze della clientela, che spinge tutto il personale a soddifarne le richieste, anche se ciò non raramente impone di lavorare oltre l’orario d’obblico ed anche se le prestazioni straordinarie il più delle volte non possono essere retribuite. Tali considerazioni basterebbero di per sé a rievocare nel popolo postale una forte indignazione (rectius incazzatura), ma inaspettatamente Vittorino Andreoli affonda ferocemente (forse inconsapevolmente) la lama sulla piaga. Questi, infatti, nella sua recentissima opera Dietro lo specchio, si esprime nel modo seguente: “Il problema del
carisma semmai è condizionato da una società che non sa mettere persone giuste al posto giusto e quindi insedia su una cattedra chi avrebbe meritato di stare dietro uno sportello delle poste”. A completare queste peculiari rappresentazioni vi sono poi le immagini cinemafografiche di un postino, magistralmente interpretato da MassimoTroisi nel film intitolato, appunto, Il postino, vestito con approssimazione, semianalfabeta, non molto intelligente ed assai impacciato, ma che fortunatamente è animato da sani sentimenti ed ha modi gentili. L’attuale realtà è fortunatamente ben lontana da quella testé descritta. Così, non è raro il caso di un postino laureato a pieni voti che, non avendo acquisito le conoscenze giuste, non è riuscito ad appagare appieno le sue aspettative, ma ha pur sempre trovato una sistemazione dignitosa. Di esempi se ne potrebbero proporre molti altri. Sta di fatto che il livello culturale e psichico del popolo postale in questi ultimi anni è aumentato in maniera significativa. Non vanno poi dimenticati la professionalità, il senso di responsabilità, lo spirito di sacrificio e l’alta produttività espressi dai postali. Caratteristiche queste che hanno in parte consentito la trasformazione di un baraccone statale con grosse difficoltà economiche in una sana azienda con bilancio in attivo. Questo evento, per la sua straordinarietà, si è imposto all’attenzione degli studiosi e, da quanto si dice, è oggetto di analisi presso alcune università d’oltre oceano. Dunque, un entusiasmante successo imprenditoriale a cui hanno contribuito migliaia e migliaia di anonimi personaggi, ingiustamente etichettati come pseudo monsieurs Travet, che ancora fiduciosi e con composta dignità aspettano un adeguato riconoscimento economico... con buona pace delle organizzazioni sindacali del settore. Dott. I. Mortaruolo Ornitologo, Etologo... ed anche Direttore di una Agenzia postale
Le stagioni della mia infanzia Sovente, amici miei, la mia memoria tende al tempo in cui rovente il sole ci mutava il colore della pelle quando, in vetta al cavallone per poi planar sull’altro che seguiva, felici volavamo sulle onde o sulla sabbia incandescente veloci nelle gare con il vento. Che quadro, amici miei, fu quello appeso ormai da anni sulla parete che illumina i ricordi! Poi, in autunno, quel sole che tendeva ad accorciare i giorni senza però ridur lo spazio ai giochi ed alla fantasia. Grigio il novembre di tristezza, coi fiori e le candele per ricordar nel pianto chi non c’era. Non ha sapor l’ingenuità d’inganno se l’animo cantor fu di dicembre. La frusta della tramontana nei nostri inverni dei pantaloni corti. Le gelide sferzate, sui visi e sulle gambe, affrontavamo come fossimo eroi senza saperlo. Puntuale primavera risvegliava fiori d’arancio e la natura tutta. In quel respiro di profumi, in quel tepore ognuno diventava un sognatore. E gioia rinasceva nei giorni di campane nei nostri cuori in festa. Oggi ogni stagione mi appesantisce gli anni e non s’incolla più nella mia mente. Oggi mi chiedo, amici miei, se quel bambino fu frutto della nostra fantasia. Giuseppe Rito
FERDINANDO
MARIA
BILOTTI
ESCLUSIVO!
FOLGORAZIONI Fantasia (o vaticinio?) d’una notte di fine estate, complici un frullato televisivo di dichiarazioni politiche e comunicati commerciali, e, forse, anche una peperonata mal digerita..... Sala d’aspetto d’uno studio medico. Dopo che la legge sul conflitto d’interessi gli ha precluso qualunque incarico di governo, l’ha reso ineleggibile, l’ha costretto a vendere due televisioni e cinque ville in Sardegna e ad indossare mutande chiodate ogni qualvolta appare in un programma di Bruno Vespa, Silvio Berlusconi, mestamente ritiratosi a vita privata, attende pazientemente di farsi visitare dal proprio medico. Assistente del medico: “Signor Berlusconi, vuole una coca-cola?” “Non l’ho mai provata.” Beve. E pensa: “Cos’altro non ho mai provato…” Dopodiché… Negozio di barbiere: Titolare: “E’ sicuro? Con quel che gli sono costati…” “Ripeto: mi rada a zero.”
Sagra della “Porchetta rossa” a Grassa padana (Bologna): “Dopo avere conseguito tanti successi nella mia attività di imprenditore e di politico (applausi), ho deciso di scendere in campo per dare vita a ciò che già in tanti hanno tentato di realizzare, ma sempre invano: il SOCIALISMO!” (ovazione della folla in tripudio) Ingresso principale della Farnesina: “Sono il tuo vero padre!” Ministro per gli Affari esteri: “Adesso capisco perché mi trattavi così bene…” Studio televisivo di Cologno Monzese: Annunciatrice: “Per il ciclo ‘i filmissimi’, va ora in onda ‘I sette samurai’ di Akira Kurosawa, nella versione integrale di tre ore e venti
minuti. A seguire, uno speciale a cura di Enzo Biagi sul tema ‘Dove va il Giappone?’. Buona serata in compagnia di Canale 5, la TV della cultura.” Materasso ad acqua della suite d’un grande albergo: “Veline…” Sala d’attesa d’uno studio medico. Assistente (guardandosi intorno): “Signor Berlusconi?” Epilogo. Sala riunioni di Palazzo Chigi: Presidente del Consiglio dei Ministri: “Ridategli tutto e cancellate la legge! Lo rivoglio com’era prima!! Lo capite che così è simpatico?!” Ministro per le comunicazioni: “Ma… non gli serve a niente, esserlo. Non è eleggibile.” “Non m’importa! È una questione di principio! Non può essere più simpatico di me.” “E va bene, se proprio ci tieni, vedremo di metterci una pezza: in fondo, un modo di aggirare una Legge dello Stato lo si trova sempre… però ricordati che senza quella legge tu oggi non ti troveresti qui, caro il mio Pierferdi.”
Le 5 balle che Romano Prodi ha raccontato per convincere la sinistra radicale a dichiararsi favorevole all’intervento in Libano
1. A Bertinotti: Credo che le spese per la missione imporranno il ripristino dell’imposta di successione. 2. A Diliberto: Nell’ultima telefonata che gli ha fatto, Condi ha confessato a Max che in privato il presidente Bush non si mostra affatto contento della posizione assunta dall’Italia. 3. A Pecoraro Scanio: In realtà non stiamo andando in Libano: stiamo tornando dall’Iraq. E per tornare in Italia partendo dall’Iraq, si deve necessariamente passare per il Libano. 4. A Francesco Caruso: In Libano ci rimarremo solo pochi giorni, giusto il tempo per organizzarci. In Medio Oriente stiamo
andando Israele.
per
invadere
5. A Lidia Menapace: L’obiettivo di lungo periodo è quello di far tornare a casa tutti i nostri soldati, ma se lo facessimo sapere in giro non ci faremmo una bella figura. Allora abbiamo bilanciato l’uscita dall’Iraq assicurando un maggiore impegno in Afghanistan, e adesso ci stabiliamo in Libano per giustificare un futuro disimpegno dall’Afghanistan. Poi lasceremo il Libano per rafforzare la nostra presenza in Kosovo e infine, per andar via anche da lì, ci inventeremo una missione di pace a San Marino. A questo punto i nostri soldati saranno abbastanza vicini a casa da potervici tornare senza che la comunità internazionale ci faccia caso.
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