La pagina settembre 2007

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Voyage autour de mon Europe Giampiero Raspetti

N° 7 - Settembre 2007 (47)

Musica ovunque nelle terre percorse: conio indelebile del sentirmi europeo. Prima ternano, italiano poi europeo, oggi soltanto europeo. Questo sentito status esige così che leggi e potere siano concentrati, come nella norma delle nazioni da me visitate, solo nel Parlamento (formato esclusivamente da politici col requisito minimo della fedina penale immacolata) e che l’indipendenza assoluta da uzzoli e concezioni di paesi stranieri sia ovunque normalità. Nessuna traccia di sudditanza da conventicole, sacre corone unite, mafie, camorre. Spirito da parrocchietta inesistente; di compagnucci di merenda neanche pallidi ricordi: ho respirato dignità e signorilità... en plein air. Prezzi appena superiori a quelli di prima, senza raddoppio, come è stato vilmente consentito, con l’euro, in paesi da quarto mondo. Nelle Tv discutono, a volte, anche i politici. Mai dileggiati i loro avversari, intento ognuno ad esprimere serenamente la propria opinione solo nel merito della questione, senza battutine, senza far finta di essere intelligente. Ho assistito ad alcune puntate del grande fratello svedese. Mezz’ora al giorno di azioni civilissime tipo mungere il latte; linguaggio colto; comportamento brillante e sereno. Ho provato vergogna ai ricordi della versione italiana così pervicacemente intenta alla deriva dei costumi, mirante colpevolmente a degrado e villania. Km e km in bici, sulle piste ciclabili: mai un percorso ostruito da alcunché. Non fai in tempo a violare il codice stradale che ti trovi contravvenzionato, anzi, non trovi più l’auto perché il carro attrezzi l’ha fulmineamente sequestrata. Se sbagli non ti vengono cortesemente a cercare perché tu possa sloggiare alla chetichella... il fatto che hai violato la legge, anche per un solo istante, ti inchioda: i vigili tengono separati lavoro ed amicizia. I cittadini probi non si sentono dei poveri scemetti, non si vergognano di essere ben educati e giustamente timorati della legge. Se insozzi la strada, con lasciti di cane, cartacce, volantini, cicche, ti va alla grande se non ti arrestano. Ovunque fiori, pulizia, gentilezza, non solo formale. Ipocrisia: nemmeno l’ombra. Là non difendono a spada tratta gli inquisiti del proprio gruppo, ma immediatamente li ripudiano, consegnandoli ad una giustizia che funziona davvero, nei tempi giusti. Nessun potente conia, per privata meschinità, la penosa frase: ce l’hanno con me! Nessun pedofilo sul pulpito dell’antipedofilia (Larry Craig docet). Nessuna violazione della privacy, né per telefono, sms, fax. I portatori di disagi sono ben visibili, all’interno delle auto con apposita autorizzazione: giovanottoni che sprizzano salute da tutti i pori non imperversano nelle zone a traffico limitato a bordo di auto autorizzate solo per disabili. Quelle zone sono monolitiche: non c’è scappatoia per i furbetti del permessino. I vigili urbani tengono tutto sotto controllo: li vedi, perfino! La stampa non inventa di sana pianta scandali o complotti, né delinea a priori o cerca di forzare le sentenze dei tribunali. Quando ricevi, in questa mia Europa, l’ordine di comparizione, non odi l’immediato gracchiare su supposte congiure, non hai, all’istante se potente, 10 padrini, 100 esegeti, 1000 attestati di benemerenza. Tutti aspettano con serenità, e pretendono, il verdetto dei giudici. Ho dialogato a lungo con poliziotti, sceriffi, assessori, governanti: gente distinta, colta, pulita, creativa, intelligente. Appartenere a questa non più giovane, ma matura Europa, è musica: non serve l’ammassarsi servile in qualche partito, a est o a ovest di Paperino. L’emergenza italiana non è più solo morale: è, soprattutto, culturale. Dobbiamo, semplicemente, liberarci da inciviltà ben orchestrate!

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L’ultima copia dei giornali , F. P a t r izi Sbarco in Sicilia come approdo nell’io , F. Pu llia Le donne nell’impresa e in politica , A . Melas ecch e Fuoco e fiamme , P. F a b b ri Una fetta di melone per l’uomo armadio , F. Borzin i Siamo tutti un po’ matti (?) , A . A n t on in i Dottore, non avrò l’Alzheimer? , S . Moron i Sesso e piacere , C . C a rd i n a l i Una serie di interrogativi , G. Ta l a mon t i Una giornata particolare , B . R a t i n i Bisogno di espressione, impulso, ambiente , A . R os cin i Voglia di normalità , C . Ma n t i l a cci 7 8-9

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Tra di noi

Scuola elementare, a LICEI

cura di S. Raspetti

IL SALUTO A BRUNO TRENTIN DALL’IPSIA DI TERNI Un calcio e... vai , G. Ta l a m o n t i PROFILICENTROCUCINE - PROFILIARREDAMENTI Cassa di Risparmio di Terni e Fondazione OSPEDALE DI TERNI Diluvio universale 2 (4 a ) , a cu r a d i G. R as p et t i PARTITO DEMOCRATICO , F. M. B ilot t i

FIAMME Lestofanti e piromani saranno sbattuti al fresco? Un anno? Lo scontino però solo in luglio e in agosto, 6 volte! BEATI I P U R I D I SP I R I TO Non pagano tasse, ma hanno o prendono altra nazionalità! Tifosi fedeli? No: ripudio! P OLI TI C A A LLA BU O N A Cultori di privilegi o uomini liberi? Il tema, nella politica, è disinvoltamente glissato!


L’ultima copia dei giornali

Se state leggendo questo articolo, siete una specie in via d’estinzione. Già, perché i giornali stanno scomparendo. L’ultima copia del New York Times, a detta del suo direttore, potrebbe essere stampata nel 2012. Dopo di che avremo solo edizioni online e brevi trafiletti che si affacciano tra banner pubblicitari ad informare distrattamente il navigatore che la Corea del Nord corre al riarmo nucleare mentre Britney Spears dimentica di nuovo lo slip… Ne L’ultima copia del New York Times: il futuro dei giornali di carta (Donzelli, 2007), Vittorio Sabadin ha messo a confronto una foto degli anni ’50 che mostra l’uscita della metro newyorkese e la stessa foto scattata oggi. Nella prima, si vede una folla di pendolari, tutti con il cappello e un quotidiano in tasca. Nella seconda, una folla senza più cappello (chissà perché) e soprattutto senza giornali. A leggere il cartaceo sono rimasti davvero in pochi. Tra i 15 e i 25 anni, praticamente nessuno. Tra i lettori dai 25 ai 35 anni, il tempo di lettura di un quotidiano è diminuito in pochi anni da 15 a 7 minuti. Eppure, quando un tabloid inglese ha festeggiato il trentennale, gli auguri più calorosi sono arrivati da un diciottenne che ha scritto: vi leggo sempre… ma non ho speso mai un penny per voi! L’informazione è vista sempre più come un servizio gratuito, accessibile da internet. Il che non vuol dire che siamo tutti più informati. Anzi.

Dove trovare

ACQUASPARTA

Aumenta sempre più il divario tra una nicchia che si informa di come va il mondo e una maggioranza indolente a cui giunge l’eco dei fatti. Con quel che ne consegue. Anche il giornalismo vero sta scomparendo. Il giornalista del futuro non alzerà le chiappe dalla sedia, passerà il tempo incollato al monitor in cerca di notizie e scriverà nella forma più semplice e breve possibile. L’unico giornale cartaceo a sopravvivere sarà forse quello locale, ma l’accoppiata chiappe/monitor non cambierà. In una città della West Coast, il futuro è già arrivato: la politica locale è seguita da due indiani che non hanno mai messo piede negli USA: ogni giorno si collegano con il sito del Municipio e fanno interviste via e-mail ai politici. Nella versione web dei giornali, scomparirà invece l’informazione generalista. Niente più notizie dal mondo o politica interna. Saremo informati solo sugli argomenti che avremo scelto impostando la nostra home page personalizzata. Niente più vediamo cos’è successo oggi, ma avvertitemi quando ci sono le prove della Formula 1. C’è forse una dose in eccesso di pessimismo nelle lucide riflessioni di Sabadin (ma la lucidità si accompagna sempre al pessimismo, no?); e comunque la pensiate, se siete arrivati fin qui senza saltare una riga e senza appallottolare il giornale… resistete fino al 2012! (e se potete riproducetevi…). Francesco Patrizi

La Pagina

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Sbarco in Sicilia come approdo nell’io

Le donne nell’impresa e in politica

Dopo avere esordito nel mondo della narrativa con Uno stradivari in Sicilia, libro molto apprezzato da critica e pubblico, Alfonso Marchese torna in libreria con Sbarco in Sicilia, edito da Il Filo, con prefazione di Sergio Zavoli. Ancora una volta, lo scrittore trova in Sicilia, e in particolare nella natia Mistretta, l’ambientazione ideale per dipanare una trama dominata da una prosa scintillante rivelatrice di maestria stilistica e finezza descrittiva. Tra sogno, memoria, realtà, i personaggi, che emergono con rara naturalezza, manifestano tutti peculiarità caratteriali tratteggiate abilmente e con costante venatura ironica. Chi conosce il mondo insulare sa perfettamente che, come scrive Marchese, in Sicilia tutto è surreale tanto da riuscire difficile distinguere il reale dall’immaginario. E, ancora più che nel precedente lavoro, qui ci si imbatte in una girandola felliniana, barocca, di incontri a tratti parodistici, quando non parossistici, a tratti intrisi di quella malinconia, tutt’altro che melensa, propria di chi della vita riesce a catturare, e ad esasperare con straordinaria intensità, gli aspetti più reconditi e, nello stesso tempo, più significativi. La figura di Mario assume un ruolo simile a quello del Virgilio dantesco. Solo che stavolta non si va incontro a gironi infernali ma tra le pieghe dei ricordi, con il passato che fa continuamente capolino ad ogni angolo di strada, ad ogni frase dialettale, ad ogni solleticamento sensoriale. Come in Sciascia, anche in Marchese la Sicilia funziona come una potentissima e affascinante metafora. E come sempre accade nell’universo metaforico, fatti e persone finiscono per essere pretesti per andare al di là del dato contingente e spingerci, in profondità, verso i nostri orizzonti interiori. Questo sbarco, a ben vedere, non ha altro approdo o, se si vuole, altro atterraggio che nella coscienza dell’autore e nella volontà di non eludere un fecondo confronto con se stesso. Francesco Pullia

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Se non è facile per una donna entrare e realizzarsi nel mondo del lavoro, figurarsi fare l’imprenditrice. Per noi spesso, ancora oggi, è un’impresa fare impresa. Sono sempre di più quelle che credono nelle proprie capacità e competenze e ritengono di avere le carte in regola per essere competitive ed affrontare il mondo blindato dell’azienda. Fortissimo anche il desiderio di auto-realizzazione; coniugare la propria creatività e le proprie aspirazioni negli interstizi di un’economia sempre più dinamica, con il ruolo di madre, di compagna, di moglie, richiede un equilibrismo tutt’altro che facile. Di questo si è parlato nella Conferenza Internazionale, tenutasi a Berlino, cui ho preso parte portando l’esperienza italiana, organizzata da EUWIIN (European Union Women Inventors and Innovators Network), fondata in Europa sfruttando una formula di successo già sperimentata in Africa, Asia e America Latina da un’intraprendente signora nigeriana. In aumento i lavori indipendenti, anche se le forme e le caratteristiche dell’imprenditorialità femminile, presentano ancora limiti e debolezze; infatti nonostante un tasso di procreazione crescente, è accertato un tasso parimenti alto di mortalità precoce. Ma ci sono anche moltissime esperienze di successo a dispetto di una burocrazia giudicata troppo pesante, di un rapporto problematico con il credito, di scetticismo ancora diffusi, di secolari pregiudizi

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002 presso il Tribunale di Terni Redazione: Terni V. Carbonario 5, tel. 074459838 - fax 0744424827 Tipografia: Umbriagraf - Terni In collaborazione con l’Associazione Culturale Free Words

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Direttore

Michele Rito Liposi Giampiero Raspetti

R E D A Z I O N E Elettra Bertini, Chiara Damiani, Pia Giani, Alessia Melasecche, Francesco Patrizi, Alberto Ratini, Albano Scalise.

Editrice

Projecta s.a.s. di Martino Raspetti e C. info@lapagina.info www.lapagina.info

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che alcune religioni e società ancora mantengono. In Italia, il profilo medio che emerge è quello di una donna preparata, organizzata e consapevole dell’importanza della conoscenza nel fare impresa, ma questo non è sempre sufficiente a superare alcuni ostacoli che le imprenditrici incontrano. Il reperimento del capitale, l’acquisizione dei clienti e la mancanza di servizi, infatti, rappresentano le difficoltà più rilevanti, ma senza particolari differenze di genere. Le donne non solo si delineano come abili strateghe, ma anche portatrici di un nuovo modello di cultura aziendale, che esula dagli schemi consolidati dell’imprenditoria più tradizionale. La tecnica delle nuove imprenditrici è il gioco di squadra, ed il re-investimento continuo, sia finanziario che organizzativo. Emerge altresì, a comprova di una maggiore sensibilità, una particolare attenzione a strategie di sviluppo compatibili con la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente specie nella scelta delle materie prime e nel favorire il risparmio energetico. Minore attrazione riserva invece la politica, che necessita spesso, rispetto alla vita dinamica dell’impresa, di maggior conformismo, specie nei ruoli marginali riservati al nostro genere e soprattutto tempo, molto tempo per ritualità spesso inutili. Sia a destra che a sinistra si avverte la necessità di un forte ricambio della classe dirigente cui i giovani, donne e uomini, debbono puntare con maggior coraggio. Si guardi soltanto alle città dell’Umbria in cui prevale in modo preponderante la cinghia di trasmissione del sindacato nell’esprimere ruoli di primo piano. E’ chiaro che, considerato il ruolo marginale delle donne nelle grandi aziende manifatturiere, specie in quelle siderurgiche e chimiche, risulta difficile competere e reperire il consenso necessario a conseguire risultati di un certo rilievo in politica. Platone, nella sua Repubblica, sorprende gli interlocutori con l’affermazione che, seppure per sola grazia di natura, le donne siano predisposte così come gli uomini a tutti i mestieri. Se potesse rivivere i nostri giorni chissà quale giudizio darebbe della società odierna! alessia.melasecche@libero.it


F u o c o e f i a m m e Una fetta di melone per l’uomo armadio

E’ stata un’estate calda. Non tanto per il clima, poco diverso dalle solite medie stagionali, quanto per le solite cattiverie d’origine umana. Le fiamme degli incendi di questi tempi non sono imputabili al clima torrido: un sano pudore evita che si parli ancora di autocombustione, come si è ripetuto per anni, nella descrizione delle cause del fuoco estivo. No, sono gli uomini, come sempre, a dar fuoco alla Terra. E la causa ultima, in un modo o nell’altro, è sempre la stessa: i soldi. Specificità diverse, ma sempre, dietro un incendio, c’è un lugubre e noioso giro di soldi. Ne segue che il senso di scandalo sorge non tanto dall’usuale massacro del verde italico, quanto piuttosto dallo scoprire imprevisti dettagli di gratuita crudeltà: dettagli che restano certo marginali, trascurabili rispetto alla dimensione di crimini che causano persino feriti e morti: eppure, scoprire che per incendiare i boschi si è pensato di dar fuoco con la benzina a dei gatti per poi liberarli come viventi torce disperate nei boschi, è cosa che colpisce con la stessa cattiveria d’un calcio nello stomaco. Perché è dai dettagli che si legge la naturalezza della crudeltà. Così, se la nostra città sale agli onori delle cronache nazionali perché dai colli di Amelia si mette in dubbio la moralità di uno dei preti più famosi d’Italia, è doveroso sospendere il giudizio.

Sospensione necessaria proprio perché è impossibile non produrre, in casi come questo, niente altro che un pre-giudizio. Analogamente, ci si aspetterebbe da parte del protagonista solo un esemplare silenzio; un’attesa calma e dignitosa che la propria innocenza sia dimostrata dai fatti, dall’evidenza delle prove. Se invece dall’augusto personaggio escono strali verbali diretti contro un’ipotetica persecuzione della magistratura nei suoi confronti, allora è nuovamente il dettaglio a rivelare lo squallore inaspettato. Un po’ per la banalità dell’uscita, già sentita e risentita; ma soprattutto perché da un prete ci si aspetterebbe un senso dello scandalo ben maggiore, di fronte ad accusa così infamante. Invece, le ipotesi di abusi sessuali su minori da parte di uomini di chiesa sembrano ormai quasi scontate, normali. Chiunque si ritroverebbe ad arrossire, a vergognarsi, ad infuriarsi all’idea d’essere sospettato d’una tale azione: altro che ipotizzare complotti di pretori! Se questo non succede - e il crudele dettaglio rivelatore ci mostra che non succede significa che esistono solo le fiamme degli incendi estivi, e che neanche i preti credono più al fuoco dell’inferno. Ma noi lo sapevamo già, che l’inferno non esiste; non c’era bisogno di ricordarcelo così. Piero Fabbri

La fetta di melone, assaporata a cucchiaiate meticolose, non sembrava poi così male. Il Milan stava per giocare la sua ennesima finale di Coppa dei Campioni, o di comediavolosichiamaora, mentre Roma tramontava in un primo assaggio d’afa artificiale. Il giovane avvocato stringeva tra le dita il rossore delle dieci euro nervosamente accartocciate, con la sensazione che gli avessero asciugato via le parole dalla bocca. Guardò altrove, cercando di riprendere da dove si era interrotto: E ora quale strada devo prendere per arrivare a via Imperia? Pochi minuti prima, appena sceso dal 61, si era trovato di fronte all’angoscioso dilemma che lo coglieva sempre nel mezzo di un crocevia di strade tutte uguali. O che almeno a lui sembravano terribilmente uguali, non riuscendo a notare (per distrazione? per noncuranza? per una speciale forma di ottusità congenita?) alcuna differenza. Aveva deciso allora di proseguire lungo il viale per poi piegare a destra subito dopo i cassonetti dell’immondizia a cui, come a molto altro in vita sua, non aveva mai fatto caso. Questa volta, però, fu diverso: non aveva mai visto un contenitore di rifiuti solidi urbani, un malmesso ma onestissimo secchione di immondizia, fargli la linguaccia. Ciò che sembrava penzolare dalla bocca del cassonetto, però, non era una lingua irridente, ma due gambe basculanti avvolte in un paio di jeans rossi piuttosto malconci, il cui proprietario (o, a voler essere più precisi, la sua metà superiore) era immerso nella pancia del cassonetto. Uscitone con un balzo, l’esploratore di cassonetti si rigirava tra le dita il magro bottino: tre ciliege dal colore insalubre e una fetta di melone solo parzialmente smangiucchiata. Il giovane disorientato decise di proseguire lentamente il tragitto che lo avrebbe portato a casa dei

suoi amici e solo quando gli passò accanto notò che il tipo sembrava portare addosso tutto il proprio guardaroba: almeno un paio di magliette dalla misura improponibile, un maglione di lana di topo e dei calzerotti lilla sopra i pantaloni alla zompafosso. Stava ormai per girare l’angolo (e la strada - miracolo! sembrava proprio essere quella giusta) quando si fermò. I mille questuanti che ronzano intorno all’accigliarsi incravattato del centro cittadino aveva imparato ad evitarli persino con lo sguardo. La loro insistenza così poco rispettosa della privacy altrui costituiva un alibi perfetto per evitare di metter mano al portafogli. Considerava molto più nobile fare donazioni alle tante associazioni che aiutano gli sventurati del mondo, ma a casa loro. Non che l’avesse mai fatto fino a quel momento, ma in futuro avrebbe cominciato senza dubbio. La sua vita incellofanata, intanto, gli sembrava sgocciolare via senza costrutto: aveva bisogno di una svolta, di una maggiore profondità. Tornò indietro roso dall’indecisione e da un po’ di timidezza. Trasse di tasca il portafoglio. Estrasse una banconota da 10 euro cercando le parole giuste per non essere offensivo. Richiamò tutto il coraggio che aveva nelle gambe e si

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diresse verso il suo prossimo, sentendosi un uomo migliore ad ogni passo e pregustando la soffice e grata incredulità dell’altro. Quando gli fu a due passi l’«uomo armadio» lo guardò con aria insieme bonaria e interrogativa. Il giovane partì tutto d’un fiato: Ti posso offrire un pezzo di pizza? Formula vaga e amichevole, senza alcun riferimento al denaro che intanto veniva porto di sottecchi in un rapido gesto della mano. Efficace e discreto. Semplice ed efficace. L’«uomo armadio» sorrise, mostrando gli incisivi giallognoli sotto sbuffi di barba pungente: No grazie. E si rituffò a raschiare la scorza del melone. Reazione inaspettata. Disarmante. Balbettante tentativo di replica: Non la devi considerare un’offesa... Sorriso. Bonomia. Un poco di compassione. No. Grazie. La fetta di melone davvero non doveva essere così male. Il Milan era appena entrato in campo per vincere la sua ennesima Coppa dei Campioni, o comediavolosichiamaora, mentre la sera romana concedeva il lusso di una brezzolina salvifica. Il giovane sempre più disorientato si incamminò nuovamente, con la sensazione che le parole, asciugate via dalla bocca, almeno per quella sera non sarebbero tornate tanto facilFrancesco Borzini mente.

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Siamo tutti un po’ matti (?) D o t t o re , n o n a v r ò l ’ A l z h e i m e r ?

FIORI

diversi Quante volte ci siamo fatti questa domanda (o l’abbiamo sentita fare) e sempre in maniera pleonastica, con l’implicita risposta affermativa. Tanto più negli ultimi tempi in cui è diventato sempre più frequente il confrontarsi con fatti di cronaca, anche orribili, in cui i protagonisti negativi erano persone normali; i vicini della porta a c c a n t o improvvisamente scopertisi folli e violenti. A volte l’affermazione ci serve per giustificare, in fondo, qualche nostro improvviso cambio d’umore o qualche stranezza di troppo. Ma quando la follia esplode in tutta la sua normalità corriamo ad esorcizzarla, ad allontanarla da noi; come un virus infettante che, nel momento in cui colpisce l’altro, automaticamente definisce sani noi. Quella di essere tutti un po’ matti è una storia dura da morire. Ce l’hanno ripetuta i massimi pensatori della psiche umana (Freud) e continuano a proporcela oggi come un effetto collaterale, ma inevitabile, della società moderna. Perché è così difficile accettare l’idea che si possa nascere sani e che, solo successivamente, ci si

ammali (per tanti motivi) di quella cosa strana che chiamiamo malattia mentale? E se la follia è malattia allora dobbiamo necessariamente includere l’idea della cura; d’una possibilità di cura. E’ strano, ad esempio, che un male tremendo come il tumore possa, oggi, legarsi sempre più a concrete speranze di cura e la malattia mentale continui invece ad essere, nell’immaginario collettivo, qualcosa non solo di misterioso e terribile ma sostanzialmente incurabile, prima ancora che inguaribile. Io, da psichiatra, non ci sto; non siamo tutti un po’ matti. Siamo sani, ma qualcuno si ammala, psichicamente, e va curato; perché una guarigione è possibile. Sono tante le forme di malattia mentale, dalle più leggere a quelle più gravi. Spesso le sue forme sono esplicite (la pazzia), ma ancor più spesso sono mascherate, contenute, negate. In ogni caso non c’è una diversità, misteriosa solo perché non ne vediamo la causa evidente, ma uno star male che richiede la giusta attenzione ed il necessario rispetto. Incominciassimo a vederla anche così, avremmo fatto un grande passo in avanti. Dott. Alberto Antonini Direttore del Dipartimento di salute mentale di Terni

Alois Alzheimer descrisse nel 1906 il caso di Auguste D., una donna poco più che cinquantenne che soffriva di allucinazioni, perdita della capacità di esprimersi e di ricordare, al punto di far fatica a riconoscere il marito che l’aveva accompagnata. Fu una descrizione così efficace che il tipo di demenza di cui soffriva quella donna porta ancora il suo nome. È di tutti i giorni l’esperienza del cinquantenne stressato, della signora con le vampe della menopausa che ti chiedono, preoccupatissimi delle loro innocenti dimenticanze, Dottore, non avrò l’Alzheimer?... … La donna arrivò in ambulanza una mattina di giugno. Non sarebbe stato il momento più adatto per avere una broncopolmonite, ma lei l’aveva in quella forma che si definisce da inalazione di alimenti. La portarono provvista di sondino naso-gastrico e legata mani e piedi alle sponde del letto, perché non se lo sfilasse. Aveva poco più di cinquant’anni. I due figli giovani che l’accompagnavano mi raccontarono che era stata bene fino a due anni e mezzo prima. Una gran lavoratrice, instancabile. Tutto ad un tratto aveva cominciato ad uscire a far la spesa, a tornare e ad uscire di nuovo per andare a far la spesa, perché si era dimenticata di averla appena fatta. In due anni e mezzo era così decaduta da non riuscire più a deglutire il cibo che le veniva dato, senza fargli prendere la strada della trachea invece che quella dell’esofago. Era rigida come una tavola di legno, priva di qualsiasi capacità di comunicare con l’esterno: era immobile, piena di piaghe e allettata, come dicevano i nostri vecchi, intendendo che non era più in grado di riguadagnare la posizione eretta. La figlia, una biondina fragile e dolce, con gli occhi chiari e spauriti, come se non riuscissero ancora a credere a quello che vedevano, mi raccontò “Dottore, mia madre era una donna instancabile ed autoritaria: non le nascondo che, fino a poco tempo fa, mi ci arrivava ancora con qualche sganassone!”.

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Ma ci fu sempre qualcosa che mi colpì più degli occhi spaventati della figlia: il padre della donna che la veniva a trovare tutti i giorni. Era davvero un’inconsueta anomalia vedere una persona, ricoverata nell’ala dell’ospizio in cui lavoravo a quei tempi, ricevere visite da un genitore! La tenemmo sempre sotto antibiotici perché, come smettevamo, le tornava la febbre: una broncopolmonite ab ingestis lascia nell’albero bronchiale materiali che non si riescono mai a sterilizzare. Cercammo di mobilizzarla, di nutrirla adeguatamente, di curarla con tutte le risorse che conoscevamo in quei lontani anni ’80. Insomma facemmo del nostro meglio, ma lo fece anche il suo Alzheimer. In capo a pochi mesi morì, come la Paziente del 1906: in poco più di 3 anni dall’inizio della malattia. Ogni tanto scopro che a qualcuno interessa che io racconti cosa sono e come si gestiscono le malattie del sistema nervoso. È una cosa che un po’ mi stupisce e un po’ m’imbarazza, perché non è semplicissimo raccontarlo a chi non è del mestiere. Ed allora utilizzo un espediente, che è poi quello di partire dal ricordo di situazioni e di persone che ho conosciuto e curato e che mi sono rimaste particolarmente impresse. È anche un po’ un sistema per dare un aspetto di

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quotidianità a situazioni che quotidiane proprio non sono (e grazie a Dio!, potremmo aggiungere). Così la storia della cinquantenne legata mani e piedi e che si dimenticava di aver già fatto la spesa, divenne uno dei cavalli di battaglia delle mie lezioni agli allievi infermieri, agli ausiliari socio-sanitari ed agli operatori del tempo libero. Un giorno, durante una delle lezioni sentii levarsi un gridolino da una parte dell’uditorio: una delle aspiranti ausiliarie socio-sanitarie era la biondina di vent’anni prima che aveva riconosciuto, nel mio racconto, la storia di sua madre. In questi casi il mio amico Gerardo suole dire, con rassegnato sarcasmo: So riconoscere una buona gaffe, quando ne incontro una! Tirai avanti la lezione e, alla fine, mi avvicinai piuttosto costernato, per chiedere scusa all’ex ragazza che ormai avevo riconosciuto. Ma, con mio grande stupore, constatai che non se ne era minimamente avuta a male per quel mio racconto. Dottore, mi disse, io l’avevo riconosciuto subito: lei non si poteva ricordare di me Ma mi ha commosso e mi ha fatto tanto piacere che, dopo tutti questi anni, lei si ricordasse ancora di mia madre… Dott. Stefano Moroni Specialista in Neurologia


S e s s o

Cos’è il Piacere? Freud sosteneva il principio secondo il quale lo scopo di tutta l’attività psichica è cercare il piacere ed evitare il dispiacere. Al fondo, l’idea che vi fossero quantità di energia che operano nella mente e che un aumento dei livelli di energia o tensione pulsionale sia spiacevole, mentre gradevole risulti la sua eliminazione. Per pulsione si intende la forza interna incontrollata e incontrollabile che spinge all’azione e può essere sia positiva (di vita, Eros) che negativa (di morte, Thanatos). Il principio di piacere presiede il bisogno di ricreare con l’azione o con la fantasia qualsiasi situazione abbia prodotto soddisfazione per mezzo dell’eliminazione della tensione pulsionale. Ma via via Freud notò che certe situazioni, come i preliminari sessuali, comportavano una gradevole ascesa della tensione pulsionale. Ipotizzò quindi che il ritmo e il tasso di accumulo e scarica in certi casi contribuissero a determinare l’esperienza soggettiva del piacere oppure quella del dispiacere. Visto in un contesto evolutivo, inoltre, il principio entra in relazione con quello di realtà: il bambino impara che i desideri a volte cozzano con la realtà (non si può toccare una pentola bollente senza avvertire dolore). Il piacere parte dai cinque sensi: olfatto, tatto, udito, vista, gusto. Ognuno di essi ha (anche) a che fare con il sesso. Esiste infatti una stretta correlazione tra i due. In genere, quando si pronuncia la parola sesso l’immaginario comune va al sesso genitale.

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p i a c e r e Una serie di interrogativi

Indubbiamente lo comprende ma non indica solo quello. Se (fare) sesso coinvolge i cinque sensi, allora significa che i due partner usano questi ultimi per scambiarsi piacere. Il sesso prevede un fare a turno nel dare e nel ricevere, contemporaneamente a livello fisico e psichico. Darsi, con piacere, implica un lasciarsi andare, un abbandonarsi l’uno all’altra e fare un’esperienza (che dovrebbe essere) ricca e affascinante. Potremmo pensarla un po’ come quella di attraversare un bosco: un fiore nuovo, un animale diverso, un odore particolare... Attraversare la sessualità è un’esperienza che si rinnova di continuo, che ripropone nuove sensazioni, che a volte spaventa, ma che offre tante possibilità di nuove esplorazioni. Occorre avere uno spirito curioso ma attento, adottare le dovute cautele, ma senza restare vittime della paura. Essa è il segnale che si sta contattando qualcosa di importante, che richiede consapevolezza, responsabilità e rispetto, affinché la sessualità mantenga i suoi connotati di piacere e di benessere per la persona. E’ scoprire cosa e come il proprio corpo è in grado di procurarci piacere e rendere l’altro/a partecipe e anche artefice di questo viaggio. Occorre sperimentare, cominciando dal toccare: e quanti modi conosciamo per toccare/si? Palpare... sfiorare... carezzare... impastare... pizzicare... massaggiare... morsicare... baciare.... E li si può coniugare con altri verbi del linguaggio corporeo: lo sguardo, ad esempio (si guarda il corpo dell’altro/a).

E così si crea un’alternanza, una interazione tra lo sguardo e il toccare in cui l’uno stimola di più anche l’altro. Si associeranno movimenti e posizioni corporee adatte: che comunicheranno sensazioni via via più intense, emozioni, ricevendo e donando voluttà. C’è ancora un’altra variabile da comprendere: il dove. Possiamo pensare al corpo umano come composto da due emisferi: il nord e il sud, sede ognuno di talune funzioni elettive del corpo e della vita. Nell’esplorazione amorosa del nord, i due partner hanno la possibilità di penetrarsi: aprire la bocca è aprire il proprio corpo e chiedere all’altro di fare altrettanto. Penetrare un orecchio è riempire un’apertura del corpo dell’altro e suggerire altre penetrazioni. Simbolicamente baciare mima il rapporto sessuale e molto spesso lo suggerisce. Variando il ritmo e l’intensità si hanno altri due elementi del linguaggio con cui poter creare nuove combinazioni: anche con le parole si può dare voce a frasi ricche di espressioni erotiche. Nel passare al sud del corpo, il viaggiatore sa che il ritmo del viaggio ne determina spesso la durata. Si può procedere come in autostrada, verso l’orgasmo, specie se il ritmo è rapido e si concentra sulle zone più sensibili. Chi vuole allungare il viaggio può prendere altre strade: gesti, toccamenti, baci lenti accompagnati da respiri. Imparare a giocare, usando le variabili di cui sopra, significa imparare a modulare l’espressione dell’emozione, quindi parlarsi con più passione. Si possono modulare le frasi amorose, ampliare e spostare la zona dell’eccitazione e ancora stimolare al momento opportuno i muscoli profondi che vibreranno durante l’orgasmo. Vivere il sesso con passione, con amore significa farsi strumento, l’uno per l’altra, del piacere esplorandone insieme nuovi percorsi sempre possibili. Trovare piacere nel dare è già anche come riceverne. E così i due amanti traggono doppiamente piacere: tanto quando sono loro a prenderne dall’altro e altrettanto quando sono loro a darne. Dunque: il sesso è un modo di parlarsi che i due costruiscono insieme. Come tale perciò evolve con la persona e attraverso la relazione dei due partner (amorosi). In questa accezione il piacere che può derivarne e il grado di soddisfazione per i due amanti è intimamente legato a come i due hanno condotto il loro tragitto per giungere alla tappa finale. Perchè - come dicevano i saggi cinesi - il piacere non sta nell’arrivo ma nel viaggio che conduce ad esso. Dr.ssa Claudia Cardinali

No, Oscar Pistorius non è un alieno. Anche se, quando corre in pista non lascia orme umane. Di umano, invece, ha l’ostinazione a negare che la vita gli abbia tolto qualcosa, e a dimostrarlo a lei, prima che agli uomini. Una tesi, la sua, quasi indifendibile agli occhi dei più, perché lo obbliga all’evidenza di due protesi applicate su due monconi e che fanno leva su una volontà di ferro. La sua personale battaglia l’ha già vinta e poco importa se riuscirà o meno a partecipare alle Olimpiadi di Pechino. Non è contro i normodotati che vuole misurarsi. Semmai contro un destino infame, nei cui confronti non vuole cedere di un passo. In questa sua lotta, Pistorius ha dato vita ad una serie di interrogativi d’ordine sociale, sportivo, etico, tecnologico e perfino etimologico. Che significa, infatti, essere normodotati? C’è da chiedersi se il termine definisca individui che dispongono di strumenti naturali per compiere una data azione, oppure se fa riferimento alla capacità di svolgere un’attività normale indipendentemente dai mezzi utilizzati. Per assurdo, perché considerare normodotata una persona che si sposta in macchina per percorrere spazi che potrebbe coprire a piedi? Non sono protesi la racchetta da tennis o la mazza da baseball, il fioretto o l’asta nell’atletica, la moto o il cavallo, la bici o gli sci? Il fatto è che a partorire il termine siano stati proprio i normodotati. I quali sono prodighi di definizioni

pseudo-etiche, come diversamente abile, portatore di handicap, disabile, per marcare una differenza esteriore, piuttosto che sostanziale, dell’uomo e a creare categorie, gruppi, settori. Questi maestri della discriminazione annacquata non possono accettare che venga contaminato lo Sport da chi non ha diritto ad accedervi in virtù della diversità. Era successo anche ad Hitler, in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1938, di assistere alle quattro medaglie d’oro dell’americano James Owens, uno spudorato negro intenzionato a mettere in crisi la superiorità della razza ariana. Quando avremo il coraggio di dire che lo sforzo dei tanti Pistorius che popolano il mondo non è solo un esempio di coraggio, ma un concreto diritto a partecipare alla vita? Se tutti saremo in grado di misurare il valore di un’impresa sportiva nelle sue valenze emotive e dare maggior peso all’impegno dell’uomo piuttosto che al risultato ottenuto, allora saremo anche capaci di capire che il faticoso processo di normalizzazione avrà offerto nuove opportunità tecnologiche delle quali la società in genere potrà giovarsi. Soprattutto, potremo sentirci parte di una comunità più umana, più giusta, meno egoista, più solidale, restituendo all’uomo la centralità universale che gli compete, liberandola dai legacci di ogni tipo di diversità, senza più distinzioni di etnia, sesso, religione, ceto e, meno che mai, limitazione fisica. Ing. Giocondo Talamonti

Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in sessuologia clinica

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Una giornata particolare Bisogno di espressione, impulso, ambiente

La principale fonte di energia che abbiamo a disposizione è la mente umana. Tra l’altro è una fonte inesauribile, non inquina e non costa niente; meglio sarebbe dire che non ha prezzo. Il direttore della casa circondariale di Terni, Dott. Francesco Dell’Aira è profondamente convinto di questo e ne è certo anche Giampiero Raspetti, professore di matematica, di filosofia, ma soprattutto di umanità. Cos’hanno in comune il direttore di un carcere e un professore? Un bell’impegno per entrambi! Sarebbe scontato che solo persone con una sensibilità particolare possano svolgere queste professioni che sanno tanto di missione. Purtroppo non lo è affatto. Per caso nella stessa giornata, il 7 giugno scorso, ho avuto la fortuna di partecipare a due esperienze apparentemente lontane ma in realtà vicinissime tra loro: la conferenza sul senso del numero al liceo Gandhi di Narni e la visita del carcere di Terni. Inserirsi - per scardinarli - negli ingranaggi arrugginiti di una scuola in cui si premia solo la memoria, scavare dall’interno un cunicolo che dal carcere vecchio stampo sbuchi improvvisamente all’aria aperta, sono sogni che si possono realizzare. Ma si deve sognare coi piedi per terra, partendo dal contesto. Come dice la scritta all’ingresso del carcere di Sabbione, Chi salva un uomo salva l’umanità e se stesso: la nuova concezione del carcere si basa sull’idea di recupero e reinserimento. Laboratori di ceramica, decorazione delle pareti, quella su vetro, lavorazione del legno, e poi produzione di biscotti (buonissimi!), di olio e miele e le tante altre iniziative in cantiere

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sono tutte finalizzate a fornire esperienza professionale, visibilità all’esterno, migliorare l’ambiente dove vivono non solo i detenuti ma anche il personale. Il periodo della scuola, come quello della permanenza in carcere per chi deve scontare una pena, non dovrebbe essere caratterizzato dalla chiusura, in una sorta di auto-referenzialità senza sbocchi, in un ripetersi arido che non arricchisce nessuno, perché prima o poi si pone il problema: che si fa usciti da scuola? E usciti dal carcere? Si è trasmesso l’amore per lo studio perché utile alla vita, si sono forniti gli strumenti per affrontare il mondo là fuori? Oppure si sono solo dovuti scontare anni di prigionia intellettuale e/o fisica? Alla fine non dovrebbero contare solo la media dei voti sul registro da una parte e il conto alla rovescia dei giorni ancora da scontare dall’altra! E’ triste, ma è la società che ha prodotto, e in fondo vuole, questo. Aspetta al varco ed è pronta a ingoiare col suo sorriso bianco e perfetto ogni bocconcino, reso incapace di difendersi proprio da quelle istituzioni che dovrebbero formarlo o riformarlo. Ci vuole tutti allo stessobasso-livello… basta che compriamo e non portiamo idee nuove che minaccino l’ordine costituito. Purtroppo anche la società tende a ripetersi. Per fortuna ci sono persone come Dell’Aira e Raspetti che dimostrano con quello che fanno ogni giorno e con i risultati che, seppure faticosamente, ottengono, che è possibile costruire una libertà che vada fuori le mura. Grazie a Beatrice Ratini entrambi!

Hans Pinzhorn, di formazione estetica e artistica, dopo i 40 anni si dedica a studi psichiatrici acquisendo la sua seconda laurea: medicina. Così prende servizio presso la clinica psichiatrica di Heidelberg, dove inizia a occuparsi dei disegni dei pazienti e dove matura l’idea del libro Bildnerei der Geisteskranken (L’arte dei folli, del 1922). In questo fa uno schema che evidenzia le sei tendenze di Gestaltung ovvero gli impulsi a mettere in forma, ad avere una attività plastica. Il significato metafisico della parola Gestaltung non va ricercato in una imitazione della natura, non in un’illusione o in un abbellimento della vita, spiega Prinzhorn, e neppure in aspetti legati all’educazione, ma è piuttosto in essa stessa che va cercato il suo senso e fine. Vale a dire che nell’attività plastica, legata alle pulsioni e al bisogno di espressione, come è appunto il caso della Gestaltung, non c’è altra finalità se non la messa in forma plastica stessa. Questo viene seguito e approfondito nel corso della prima parte del suo libro. Nella seconda parte invece, l’autore analizza da vicino opere plastiche più o meno elementari e offre dei paragoni tra vari ambiti che delineano grosse analogie. Similitudini sostanziali si scorgono tra i disegni dei bambini, le opere dei malati mentali, quelle degli adulti inesperti e l’arte primitiva e popolare.

Vo g l i a Un caldo, caldissimo lunedì sera pre-ferragostano. Città vuota, locali chiusi… l’unica soluzione è chiudersi in casa con amici e condizionatore acceso per rinfrescarsi le idee e cercare di superare indenni l’inizio-settimana svagandosi con un po’ di TV. Da non crederci: alle 21 una rete nazionale trasmette ben tre quarti d’ora consecutivi di cosce-sederi-tette! La cultura moderna di chi scrive non deve essere molto vasta poiché ha avuto bisogno della spiegazione di un amico per sapere che le ninfette e gli adoni che ammiccavano dallo schermo erano, in massima parte, concorrenti di reality della scorsa stagione che facevano finta di divertirsi in barca a beneficio delle telecamere. Basterebbe solo questo a far riflettere sulla caduta di stile della nostra televisione e sulla qualità, a dir poco miserrima, di certi programmi, ma - purtroppo - non c’è fine al peggio… Se è pleonastico sottolineare la fatuità di questi attimi di celebrità e i compromessi morali cui, sospetto, questi ragazzi abbiano dovuto sottostare, non si può però sottacere che sicuramente questo è ciò che

Interessante quanto dice a proposito di come influisce l’ambiente sulle nostre pulsioni e di come da latenti esse possono essere manifestate a causa di influenze esterne. Qui Prinzhorn include anche le esperienze delle prigioni. Non ne fa lunghe analisi ma spiega: Il fatto che l’impulso di Gestaltung irrompe spontaneamente nei malati mentali, spesso da lungo tempo internati, può essere esplicato in questo modo: una capacità che è presente in ogni uomo, ma che resta solitamente latente o si atrofizza, viene improvvisamente attivata. Le cause da prendere in considerazione sono, da una parte l’evoluzione interna o il cambiamento del malato, la sua rinuncia al mondo, il ripiegamento artistico su se stesso; dall’altra, il mutamento delle sue condizioni di vita, dell’ambiente (…). Se l’ambiente è il fattore più importante, altri ambienti analoghi, come i conventi o le pri-

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gioni, dovrebbero favorire una tale libera produzione. Il direttore del carcere di Terni, Francesco Dell’Aira, ha elaborato un progetto che prevede di lasciar lavorare con vari materiali i detenuti, dal pennello e i colori agli ingredienti per fare dei biscotti. Il suo obiettivo è quello di rendere l’ambiente meno austero e più bello. Poi di lasciar esprimere i detenuti come farebbero se fossero fuori dalla casa circondariale. Il suo tentativo è intenzionale. Ha uno scopo chiaro. Ama vedere un luogo più bello, ricco di molte opere in ceramica, ferro, legno, oltre che di quadri o murales d’arte. Ma questo è un esempio calzante di esperienza del bisogno di espressione? Dobbiamo precisare: qualche caso ha dimostrato l’impulso spontaneo a dipingere o a mettere in forma qualcosa. Altri, hanno iniziato a fare i corsi che per loro ha predisposto il carcere, comunque stimolati e interessati alla nuova attività. E’ un’ottima iniziativa, che ha prodotto anche dei bellissimi risultati esposti in una mostra da cui è uscito un libretto eloquente: Forme e colori del silenzio. Arte in carcere. Ma si esce dall’ambito delle pulsioni là dove si impartisce un’educazione artistica. E quindi, l’esempio soddisfa solo in parte la teoria di Prinzhorn. Il progetto di Dell’Aira resta di certo importante e interessante da un punto di vista etico oltre che estetico. Adelaide Roscini

n o r m a l i t à

l’italiano medio vuole vedere in TV, ciò che fa vendere spazi pubblicitari e, in ogni modo, questi tronisti-veline-grandifratelli-pupe-secchioni non hanno fatto nulla di male (se non, forse, a loro stessi). Quello che veramente sconvolge e fa riflettere sulla moralità che esponiamo ai nostri figli, è il fatto che i principi del gossip estivo quest’anno siano stati 2 ospiti delle patrie galere: Corona e Fiorani! Ma cosa sta succedendo al nostro Paese che ricopre d’oro, idolatra ed invidia due individui che, a sentir le accuse che sono state mosse loro, si sono macchiati di reati che dovrebbero generare biasimo e disapprovazione? Stiamo crescendo una generazione di ragazzi convinti che nella vita l’importante sia essere più belli, più ricchi e soprattutto più furbi del prossimo. Ciò che questa società sta trasmettendo alle nuove generazioni è la convinzione che qualsiasi azione, per quanto riprovevole, possa essere perdonata se solo arreca fama, soldi e successo. Leggendo gli articoli che molti adolescenti hanno scritto su questo stesso giornale, ciò che

traspare sono sentimenti veri: paure, aspirazioni, speranze di ragazzi normali. Allora - mi chiedo - dove sono i fans di questi personaggi? Dove coloro che comprano i giornali con Corona in copertina? E, soprattutto, che fine ha fatto la deontologia dei giornalisti? Ma, insomma, non basterebbe semplicemente non parlarne per toglier loro quest’aura patinata da miti? Bah… Claudia Mantilacci


Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

Scuola Elementare L ’ a r t e

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Piacere di conoscerti Molti anni fa accadde un episodio apparentemente banale, ma destinato ad aprire uno spiraglio nel mondo della comunicazione, ad accendere una fiammella di riflessione sulle modalità di intendersi tra umani. Un signore italiano ed una donna greca, ospite in Italia della famiglia di lui, non riuscendo a comunicare verbalmente, arrivarono ad inasprire un atteggiamento scaturito involontariamente tra di loro da una serie di malintesi atti gestuali. Lei era agitata per notizie ricevute dalla Grecia e lui tentava di calmarla con quel gesto rassicurante ed innocuo che noi usiamo ponendo la mano aperta davanti all’altro per dire calmati... stai tranquillo... Lei si infuriava sempre di più finché, tornata a casa, la figlia, ridendo, chiarì l’equivoco. Quel gesto, in Grecia, esprime un significato oltraggioso: moutza, vai all’inferno. In Siria lo stesso significato si comunica stringendo le narici tra il pollice e l’indice della mano destra. La mimica delle mani, degli occhi, di ogni parte del corpo, rappresenta il linguaggio più usuale, un modo di intendersi atavico, ma non universale perchè può cambiare il significato, cambiare la reazione, cambiare la comprensione. A seconda del luogo, lo stesso gesto può avere una genesi diversa per cui il piccolo cerchio che si forma con il polli-

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La scuola si attiva Scuola prim aria “S.PERTIN I” N arni Scalo

ce e l’indice della mano sollevata, assume per un americano e un italiano il significato di ok mentre in Giappone indica denaro, in Francia zero... mancanza di valore, a Malta omosessualitภin Grecia è un insulto nei confronti dell’uomo e della donna. La lista potrebbe continuare sciorandosi in mille rivoli, per cui viene da pensare che, per un’auspicabile osmosi tra popoli diversi, dovrà entrare nella cultura dominante lo studio approfondito del linguaggio non verbale, cui attribuire la stessa dignità della lingua parlata. Detto questo, non dovrebbe essere difficile incontrarsi tra umani perchè, a ben vedere, basta riflettere su alcuni punti: la Terra si lascia usare, ma non ci appartiene; è culla e nido di forme di vita diversificate in millenni di evoluzione.

Essa va per la sua strada ignorando il pullulare di micro e macrorganismi che si scontrano sulle sue zolle per la conquista di una mollica di terra. Non dovrebbe essere difficile accettarsi se si pensa che ci unisce il sorriso e il pianto, la vita e la morte, il bisogno di amare, la capacità di odiare: nessuno, dunque, può essere migliore o peggiore di noi. Rendiamoci uguali, allora, non uniformandoci perchè diverse e sacre sono le storie dei popoli, perchè diverso è il territorio nel quale l’uomo si trova a transitare per periodi più o meno lunghi, perchè diverso è stato il cammino della specie umana attraverso i millenni; rendiamoci uguali perchè conoscere l’altro vuol dire impregnarsi di altro, dare cioè alla propria identità un posto insostituibile nella storia dell’umanità.

La presenza nella scuola di bambini di etnie diverse sta progressivamente modificando la morfologia delle classi e ciò obbliga ad affrontare con competenza e professionalità le molteplici problematiche di tipo linguistico, culturale, religioso che inevitabilmente ne conseguono. Il progetto interculturale, realizzato nel passato anno scolastico, ha coinvolto enti, associazioni del territorio ed EMERGENCY, nell’intento di far scaturire atteggiamenti di disponibilità e rispetto verso le culture altre e poter sperare in una società del futuro in cui la diversità sia considerata una ricchezza. Patrizia Sensini

Sandra Raspetti

Il Borgo Servizi Società Cooperativa Sociale Iscritta all’ Albo Società Cooperative a Mutualità Prevalente n. A146384

A G E N ZIA T E R N I e RIETI Simone Grilli Via della Vittoria 30/a 05100 TERNI

TEL 337274808 FAX 0744421947 simonegrilli@virgilio.it

Sede Legale Via F.lli Cairoli, 24 - 06125 Perugia Tel. 075 51.45.100 Fax 075 500.45.84 mailbox@consorzioabn.it La Cooperativa Sociale ha per obiettivo generale quello di sviluppare l’occupazione sul territorio e, in particolare, l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, altrimenti escluse o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Principali servizi: Pulizie - Manutenzione Verde - Ristorazione - Facchinaggio - Installazione pannelli fotovoltaici.

La cooperativa impegna circa trecento lavoratori, un centinaio dei quali sono persone svantaggiate.

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Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

L I C E O

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S C I E N T I F I C NARNI O O Z I O - tempo libero, periodo di riposo dalle attività quotidiane (130408, Dante) - io se mai per mio piacere mi do a dipigniere, qual cosa fo non raro quando dall’altre mie maggiori faccende io truovo otio, ivi con tanta voluptà sto fermo al lavoro che spesso mi maraviglio così avere passate tre o quattro ore (143536, L. B. Alberti) S T U D I A R E - applicare la propria intelligenza all’apprendimento d’una disciplina, un’arte, un particolare argomento, seguendo un certo metodo e valendosi dell’aiuto di libri e strumenti, spesso sotto la guida d’un maestro (av. 1306, Iacopone da Todi, Laudi) - ponderare, misurare, controllare il proprio modo d’agire: La signora che alla presenza d’un provetto cappuccino aveva studiati gli atti e le parole: 1825-1827, A. Manzoni, I promessi sposi) L I C E O

D O N AT E L L I

S C I E N T I F I C O

Studio e tempo libero sono conflittuali? Il tema di tale rapporto è oggetto di analisi sempre più approfondite perché sembra foriero anche di ingiustizie. Uno sguardo nelle civiltà antiche, intorno a tali categorie, esemplificativo, non certo esaustivo, potrà stimolare la riflessione. Si sa che i Latini utilizzavano i termini studium ed otium con accezioni diverse, riconducibili in primis all’evoluzione storica della società e dei valori. Il primo dei due termini aveva differenti significati, tra i quali zelo, applicazione, passione, devozione o occupazione prediletta e poteva significare anche il nostro studio; il secondo tempo libero, riposo, inattività. La prima parola, che noi utilizziamo nel senso esclusivo di studio, meno frequentemente valeva allora come studio vero e proprio; allo studium gli antichi vedevano connesse anche altre qualità non automaticamente deducibili dal termine attuale. La seconda si presta a riflessioni ancora più articolate: a fronte di un’accezione oggi negativa, presso la civiltà romana, ancor prima che nella valenza semanti-

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La mia curiosità é una donnalupo in cerca di avventura. Lei è primitiva, cede agli impulsi, cede al mio passo diventato folle corsa alla ricerca della verità sparsa in ogni pietra e sasso, continuamente carpita, oggi come in passato, da anime inquiete che tentano di scavare con la loro mente avidissima la matassa che tiene insieme l’universo. Ecco sì, il mio amico diventa un libro scritto da questi fervidi pensatori. Studio per amore, con voglia, con passione, perchè in ogni verso di autori barbosi tanto odiati da noi studenti, si cela un

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viaggio alla ricerca di nuove evidenze non sempre tali, non sempre vere, smentite nei secoli... pur sempre un tentativo di dare ordine all’irrazionale che sembra dominare il nostro mondo. Leggendoli mi sento meno sola: ho la certezza che qualcuno prima di me, certamente con risultati migliori, si sia applicato in questo tentativo. Amo lo studio, che ha già connaturato in sé il

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significato di passione e desiderio, di scoperta... Amo dunque il conoscere attraverso pensieri su carta e l’esperienza (una continua avventura). Esso è ciò che arricchisce un individuo, dato che tutta la vita è un continuo apprendere ed arricchirsi; essa stessa è studio! Perciò non abbiate paura di sperimentare perché anche il cadere di una foglia diventa conoscenza e

nutre il nostro spirito. In questo giubilo, come dimenticare la realtà quotidiana... il sapersi portare lontano dai nostri amici, dalle persone con le quali sono cresciuta che per svariati motivi prendono una strada differente dalla mia... la separazione è dura. E’ la vita, nulla si ottiene se non si cede in parte, come uno scambio equivalente; quello che sto ottenendo da questa esperienza lo pago con una piccola solitudine... Persevero nei miei propositi, mi serve però coraggio per non sentirmi troppo diversa. Eleonora Menicacci IVA

L’approccio dei giovani allo studio rappresenta oggi una delle maggiori criticità del nostro sistema scolastico. Gran parte dei ragazzi non riesce a trovare quella giusta motivazione che diviene il motore del processo di insegnamento - apprendimento. La crescente insoddisfazione e le relative frustrazioni dei docenti, nello svolgere il proprio ruolo, nascono spesso dalla quotidiana constatazione che i nostri studenti non mostrano, in ciò che viene loro insegnato, quell’interesse e quella curiosità che dovrebbero invece avere. Quali le cause di tutto ciò? Se è facile per chi svolge il ruolo dell’educatore rilevare tale stato di fatto e condividerlo con i colleghi, non è altrettanto semplice individuare il perché queste nuove generazioni non riescono più a mostrare amore per la conoscenza, non riescono più a provare alcuno stupore per la maggior parte di ciò che apprendono. Conoscere Dante, il latino, la matematica è sempre più un dovere da assolvere di cui i ragazzi non riescono a cogliere il fine, l’utilità. La ricerca delle cause porterebbe forse ad analizzare in modo critico i contenuti e le metodologie cui questi vengono ormai da decenni proposti a generazioni che evolvono invece assai rapidamente. Purtroppo la passività con cui i ragazzi vivono l’apprendimento non

stimola certo la loro curiosità, l’interesse, la passione che invece potrebbero nascere da un processo di ricerca attiva delle conoscenze. Tale approccio si può ritrovare in diversi movimenti educativi, ancora poco conosciuti ed applicati nella scuola italiana, come ad esempio il Cooperative learning, caratterizzato da una forte interdipedenza tra i membri del gruppo classe che apprendono attraverso un percorso di ricerca coordinato dal docente. L’amore per la conoscenza può nascere, oltre che dalla scoperta, anche dalla consapevolezza del valore di ciò che si apprende. E’ proprio questo che spesso gli studenti rimproverano alla scuola… a che mi serve studiare tutto ciò? La conoscenza ha sempre un valore spendibile nella vita e nella quotidianità che raramente riusciamo a trasmettere ai nostri ragazzi. Lo sforzo innovativo che in tal senso si è avviato per l’insegnamento delle materie scientifiche, dovrebbe essere esteso a tutte le discipline nel tentativo di valorizzare la funzione che esse hanno nel vissuto di ciascuno di noi. Costruire una scuola nuova, più creativa e vicina alla realtà, porterebbe i giovani a recuperare quel rapporto di amore con la conoscenza che per molti sembra oggi non esistere più. Prof.ssa Elisabetta Campili

ca, era etimologicamente un termine positivo da cui derivava, all’opposto di oggi, il negotium, cioè il lavoro, l’occupazione, la carica pubblica, che, letteralmente, altro non era che il non otium. Seneca percepì come centrale questo rapporto tra otium e negotium e ad esso dedicò tre dei suoi dialoghi filosofici, il De tranquillitate animi, il De constantia sapientis e il De otio, ove sostiene che il saggio deve impegnarsi in giusta misura nella vita pubblica in modo che gli honores, cioè le cariche politiche, non lo distolgano dall’otium, cioè dall’occuparsi della filosofia, e che il sapiens, anche nella vita contemplativa cui dovesse essere costretto dalla volontà tirannica dell’imperatore, può comunque dare molto ai suoi concittadini, trasmettere quei valori essenziali su cui deve basarsi la civiltà, quali equità, senso dell’humanitas e del progresso. Parallelamente, nel mondo greco un momento di tempo libero come lo sport olimpico rappresentava un’attività tutt’altro che marginale se, durante le gare ad Olimpia, veniva sancita una tregua di effetto immediato per tutte le guerre in corso, onde permettere a tutti gli atleti di partecipare e se, per eternarne le imprese sportive, venivano chiamati i poeti più grandi del momento come Simonide, Bacchilide e Pindaro (è come se noi affidassimo la celebrazione delle vittorie di Gattuso e Cannavaro a un Saba o a un Montale) e se gli

dall’altro è più difficile riconoscerne il valore genuino; ma non bisogna cadere nel pregiudizio opposto e quindi negarlo assolutamente, altrimenti saremmo smentiti da figure come il fuoriclasse austriaco, Matthias Sindelar, degli anni ’30 - ’40, quelli dell’ascesa del Nazismo per intenderci, che fino in fondo mostrò, con estremo coraggio, a tutto il mondo la sua figura di campione in campo, ma soprattutto fuori. Partita Austria Germania al Prater di Vienna, al cospetto delle autorità naziste. Matthias segnò al 17° del secondo tempo. Dicevano i tecnici che i gol erano tutti uguali. Non era vero. Quel gol contò per mille e mille ancora… L’Austria vinse due a zero e il momento culminante venne nella cerimonia finale, quella del saluto nazista obbligatorio: la Germania era stata battuta, Sindelar aveva aveva guastato la festa, ma ... ciò che valeva doveva ancora venire… Le squadre si schierarono sull’attenti. Così, al comando scandito, ci fu lo scatto nel saluto nazista. Sindelar e Sesta stettero immobili, le braccia allungate lungo i fianchi… La popolarità di un personaggio affermato amplifica enormemente la forza del messaggio veicolato e, se esso è positivo, risulta ancor più positivo per gli effetti alone che assume. E lo studio? Lo studio è stato da sempre associato all’impegno, al sacrificio, alla forza di volontà: basti ricordare Quintiliano, il celebre maestro di retorica, che

atleti vincitori, al loro ritorno, venivano celebrati come dei veri eroi. E’ evidente il confronto con le vicende contemporanee: sono ancora sotto gli occhi di tutti le vittorie degli azzurri ai mondiali di Germania, la partecipazione collettiva del popolo italiano e la fama eccezionale ottenuta dai ventitre eroi (allenatore compreso), come testimoniano le autobiografie degli stessi andate a ruba o i contratti pubblicitari lievatati in quantità e qualità.

Gli eroi olimpici erano però atleti part-time ed una volta tornata la vita normale riprendevano l’occupazione consueta, mentre i vincitori odierni sono atleti professionisti, che vivono lo sport come lavoro, con gli innegabili vantaggi di prestazioni migliori e soprattutto, fatto esclusivo di questo tempo, di emolumenti faraonici. E’ quindi ovvio che da un lato l’importanza di questi personaggi presso la società attuale è aumentata a dismisura, mentre

consigliava a genitori ed educatori a non illanguidire le loro infanzie fra le delizie; a non crescerli sulle lettighe; (perché) se scendono a terra pendono comunque dalle mani di chi li sostiene da entrambi le parti… e senza arrivare agli eccessi leopardiani di sette anni di studio matto e disperatissimo, lo studio è stata da sempre un’attività, per la sua stessa natura legata all’impegno, alla costanza, al sacrificio e alla passione. Il riconoscimento sociale dello studio ha subìto un processo completamente inverso rispetto a quello del tempo libero o comunque di certo tempo libero: prima il maestro, il pedagogo, l’intellettuale avevano un ruolo centrale, se diamo credito a Cicerone che sosteneva che l’oratore ha il potere, con la sua eloquenza, di dominare le menti degli uomini, di allettare le loro volontà e quindi di spingerli dove lui vuole o di allontanarli da dove lui vuole. Oggi non solo il riconoscimento in chiave economico delle abilità intellettuali è sensibilmente diminuito, ma lo stesso prestigio dello studioso conosce i limiti più bassi della sua storia. Viceversa anche un’attività tipica del tempo libero, come quella sportiva, conosce il suo apprezzamento più alto quando è collegata non casualmente al sacrificio, alla dedizione, alla creatività, al coraggio e alla passione, cioè proprio alle qualità che costituivano la base etimologica dello studium. Prof. Duccio Penna

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Quest’anno, come al solito nel mese di settembre, orde di neuroni iniziano il rientro nei cervelli di appartenenza. Ci si aspetta, come negli anni passati, un consistente numero di ritardatari che lasceranno momentaneamente al buio i loro proprietari. Ci si augura che stavolta il numero dei ‘ribelli’ sia inferiore a quello degli anni precedenti e che i postumi dell’ozio estivo siano meno gravi... Questa potrebbe essere una notizia trasmessa dai telegiornali alla fine dell’estate ad una popolazione che ancora deve riprendersi dallo stress postvacanziero. Ma cosa è mai questo fantomatico ozio? E perché viene considerato come un vizio? Forse che per ozio si intende il dolce far niente all’ombra di una palma, sdraiati su un’amaca, intenti a mangiare cocomero e bere tè freddo? Certo, questa può essere un’opzione, ma non necessariamente! I cari latini ci insegnano che il cosiddetto otium altro non è che il tempo libero da spendere come a noi sembra più costruttivo. Non è detto che si tratti, quindi, di tempo perso: al contrario può essere essenziale per formare la nostra personalità e aumentare il nostro bagaglio culturale. I nostri predecessori lo avevano ben capito e noi dovremmo far tesoro della loro

esperienza per riuscire a vivere meglio e a pieno la vita, soprattutto considerando buono ogni momento per pensare, riflettere e interrogarci, evitando così che il tempo scivoloso ci sfugga tra le dita troppo in fretta. Chi ha detto che il tempo speso bene debba essere per forza quello del lavoro, tra i banchi di scuola o sulla scrivania dell’ufficio o in fabbrica? Questa convenzione ha attribuito alla parola ozio una connotazione prettamente negativa, associandola automaticamente al concetto di pigrizia, e l’abitudine di considerare un fannullone chi lo pratica è ormai radicata nella nostra società. L’ozio è il peggiore tra tutti i vizi, si dice. C’è però una gran bella differenza tra l’ozio del vero e proprio scansafatiche matricolato e l’ozio di chi riesce a rilassarsi intrattenendosi con le attività che più lo interessano. Ozio è perciò anche fare con calma qualcosa di piacevole, senza scadenze, obblighi e ansie da controllo. Un conforto e una gratificazione non indifferenti per noi giovani: dopo un anno speso sui libri, il poter disporre di due mesi e mezzo di tempo libero per occuparci dei nostri personali interessi è una vera e propria manna dal cielo.

Parlare di studio e relax oggi non è affatto facile. I ritmi frenetici della vita provocano una forte diminuzione del tempo libero, tempo che quasi tutti spendono in attività piacevoli o comunque rilassanti. L’otium per i Latini, invece, non era altro che il tempo da dedicare allo studio e all’arricchimento culturale, quel tempo in cui non si era affannati da incombenze o da affari (negotium) che poteva e doveva essere speso per migliorarsi come persona. Per l’uomo del ventunesimo secolo inevitabilmente non può essere così, perché lo studio è sempre più avvertito come attività faticosa per la quale non vale la pena impiegare il tempo libero o i momenti di riposo, quindi antitetico rispetto al divertimento. Risultato: forte abbassamento del livello culturale, crisi delle istituzioni che curano l’istruzione e generale crisi. Perché? Perché la cultura, per quanto a qualcuno possa sembrare strano, è la base della nostra civiltà, è quel substrato che garantisce il

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Chiara Colasanti Silvia Pierini

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rispetto reciproco e permette all’uomo di distinguersi dalla bestia. Quando comincia la crisi di una società è perché a monte, molto prima, era cominciata la crisi dell’istruzione. Il significato della parola studio, dal latino studium, è passione, amore, devozione, quel desiderio di conoscere che porta l’uomo a mettersi costantemente in discussione per potersi evolvere, per poter lasciar correre il pensiero che come un cavallo imbizzarrito reclama libertà. Ognuno di noi può rendersi conto come ormai, purtroppo, questa parola sia stata svuotata di significato e stravolta tanto da essere avvertita, da molti, come sgradevole. Lo studio non è passione, lo studio non è amore, lo studio è qualcosa per coloro che non hanno una vita e che preferiscono un libro ad una persona. Non è forse questo quello che pensano molti? Eppure la confutazione di una tale idea ognuno l’avverte dentro

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Il tempo perduto è l’unico tempo guadagnato. Noi non ricordiamo il tempo impiegato negli affari e nel lavoro, ma ricordiamo quello perduto (...), ricordiamo le inutili attese, i vagabondaggi notturni, qualche sosta sotto le grondaie ad aspettare che spiovesse, qualche pomeriggio di domenica a casa, qualche sera d’estate alla finestra.

Così scrive Achille Campanile, un umorista del Novecento ormai in gran parte dimenticato eppure sempre efficace, in Cantilena all’angolo della strada. Non è certo un’idea nuova. Forse che l’invito di Aristotele a dedicarsi alla vita contemplativa che non mira ad alcun altro fine al di là di se

S T U D I U M se stesso. Quando in una persona manca la cultura, non la nozionistica che lascia il tempo che trova, ma quella più profonda, quella capacità di ascoltare l’altro, di non attaccare incondizionatamente, di non ancorarsi ostinatamente alle proprie idee non inizia una vera e propria crisi individuale? Si avverte che qualcosa non va, ma non si riesce a trovare la causa del male. Alcuni allora potrebbero chiedersi se la cultura non sia il mezzo per sconfiggere le paure e le insicurezze e sanare la crisi dei valori da tutti avvertita.

D I G N I T A T E stessa, filosofando come se fossimo immortali, non è anche un invito a perder tempo? Forse che l’apprezzamento dell’otium in autori quali Cicerone, Catullo e Seneca non nasce dall’avvertimento che esiste un ambito esistenzialmente decisivo e tuttavia estraneo a quell’impegno pubblico che, nelle civiltà classiche, costituiva il contrassegno dell’uomo libero? Forse che la specificità stessa degli studi umanistici, su cui è imperniato l’asse formativo del liceo classico, non si risolve proprio nel riconoscimento del loro carattere disinteressato, gratuito, eccedente rispetto all’efficacia strumentale della scienza e della tecnica? Il cristianesimo, d’altronde, almeno nella sintesi feconda con la classicità attuata dai Padri della Chiesa e da Agostino, in particolare, che teorizza l’otium sanctum, e poi ripresa da illustri continuatori, come il Petrarca del De otio religioso, continua a dare centralità alla vita contemplativa, tutta raccolta intorno alla riflessione e all’autoanalisi, ritenendola superiore a quella attiva. Sarà piuttosto la classe borghese, con la sua mentalità produttiva, a innescare la logica economica, secondo il principio Sicuramente, pur non essendo una panacea, non potrebbe che giovare e aiutare il nostro mondo ad imboccare di nuovo quei binari da cui ci si è discostati. La cultura non ostacola il divertimento, anzi, lo amplifica e fa sì che si possa trarre piacere non solo dalla serata in discoteca o dal sabato sera al pub ma anche da una serata a teatro, da un concerto di musica, o magari da un buon libro. Sembra così impossibile che queste cose possano far divertire? La verità è che la metà della gente che pensa questo non ha mai provato niente di tutto ciò o, se lo ha fatto, si è fermata al primo ostacolo senza avere la forza di riprovare. Nel passato non si era più colti o più pazzi ma semplicemente più umili e meno sofisticati, capaci di trovare gioia in una semplice canzone o in una piccola recita. Non lasciamo che la pochezza dei messaggi che ogni giorno ci arrivano e che ci invitano solo a curare il fisico, avere denaro e successo e mai ad aumentare il nostro livello di cul-

Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A. Gruppo Intesa Sanpaolo

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G. C . TA C I T O il tempo è denaro, di cui ancora noi facciamo le spese. Neppure oggi, infatti, nella nostra cultura largamente secolarizzata, postindustriale e digitale, l’otium riesce a riguadagnare il terreno perduto: esso esige un’attitudine alla sospensione, all’attesa, al distacco ormai estremamente rara. Eppure, scrive ancora Campanile, “se ci voltiamo a guardare il passato, troviamo nella nostra memoria un seguito di tempi perduti (...). Non perché si sia realmente perduto tanto tempo ma perché dell’altro tempo, quello utilmente impiegato, non resta traccia, se non nei suoi effetti”. Prof.sse Marisa D’Ulizia Annarita Bregliozzi

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tura abbiano il sopravvento. Provate a riflettere sul perché non si vuole trasmettere un messaggio che inviti a conoscere e che non presenti lo studio come un demonio. L’uomo che sa è forte mentre l’ignorante è un debole che chiunque può plasmare e soggiogare a proprio piacimento. La conoscenza innalza l’uomo e come diceva il grande Cartesio... che uomo è colui che non utilizza il suo pensiero, l’unico attributo che lo rende simile a Dio? E’ un uomo che non si differenzia dagli animali e che come essi si comporta. Il nostro futuro non è nei libri, è nelle nostre mani, ma, essi ci aiutano ad intravederlo e raggiungerlo nel migliore dei modi. Matteo Crasti

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Il dilemma del mondo latino ed il felice connubio spesso trovato tra otium e negotium, nel terzo millennio sembra agevolmente superato: quanto non si traduce in profitto o visibilità è inutile se non dannoso. L’otium, cioè l’appartarsi per cercare le soluzioni nella cultura, nel pensiero di chi si è posto le stesse domande, cercare nei libri non solo il messaggio dell’autore, ma quel qualcosa di non detto, che si intuisce e ci aiuta a maturare nuove riflessioni è l’unico antidoto all’aridità dell’animo. Lo studium non è solo amore per la conoscenza, ma anche stabilire un rapporto affettivo con un autore, divorare le pagine per esplorare la sua anima alla ricerca della tua. Da Seneca, Dante, Foscolo impariamo che arricchire mente ed animo non è fine a se stesso, è il presupposto per spendersi nella vita sociale e politica. Ma ideologie e fedi non connotano più la nostra epoca. Forse perché, a partire dal secolo scorso, la consapevolezza dell’indecifrabilità del mondo esteriore ed interiore ci portano al nichilismo. Forse perché è più facile vivere di corsa in frenetiche occupazioni che sondare l’abisso umano. Se queste poi si trasformano in denaro e carriera, a cosa serve porsi in contraddizione, problematizzare, perché complicarsi la vita se tutto è relativo e le certezze sono venute meno? Gran bell’alibi fuggire da se stessi per non perdersi. Non cercare più nella cultura passata le motivazioni di scelte oneste e dignitose, quell’humanitas che ci ha insegnato il mondo classico, rende tutto indifferente: la mistificazione, l’ipocrisia, la conflittualità, il carrierismo, l’individualismo esasperato, la volgarità imperante, tutto si giustifica, anche l’equivoco che la felicità sia nel possesso di cose e non di se stessi. Chi non si pone domande non cerca risposte. Ideologie, valori personali e sociali non servono a chi non li cerca. Avremo la curiositas di scoprire se capiremo che la cultura ci migliora la vita, sfrondandola dal superfluo, consente rapporti sociali basati sul rispetto, non è sfoggio, ma consapevolezza di noi e di quanto ci circonda. Prof.ssa Gabriella Silvestri

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ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER L’INDUSTRIA E L’ARTIGIANATO

“S. Pertini” Viale Benedetto Brin, 32 - 05100 Terni - tel. 0744403282 - fax 0744403758 DISTRETTO SCOLASTICO N.10

comunicazione privata

IL SALUTO A BRUNO TRENTIN DALL’IPSIA DI TERNI La scomparsa di Bruno Trentin lascia un vuoto incolmabile nel panorama del sindacalismo italiano. E’ forse stato l’ultimo interprete di un ruolo svolto in funzione degli interessi dei lavoratori, se il compito di un loro rappresentante viene inteso come esclusiva tutela della dignità del lavoro non mediabile con altre realtà sociali. Io lo ricordo partecipe alle iniziative scolastiche dell’IPSIA sui temi dell’occupazione, osservatore attento dei mutamenti della società, umile analista dei segnali che avrebbero delineato, da lì a

Suvvia, non facciamone un dramma. Il calcio nel didietro di Baldini a Di Carlo è solo l’emblema dell’Italia che va, che è andata e continuerà ad andare. Sistemare una pedata lì ha il fascino ammiccante dell’ambivalenza, nella cultura popolare nostrana. Serve per accedere, ma è usata anche per escludere. Alzi la mano chi non l’ha cercata per ottenere un posto, per migliorare quello che aveva, per entrare dove una porta si ostinava a sbarrare l’ingresso. E altrettanto faccia chi dal padrone, dalla moglie, dall’amica, dal partito o dal circolo non l’abbia ricevuta per essere cacciato via in malo modo. Non facciamo gli ipocriti. In fondo, contesto migliore di un campo di calcio l’episodio non poteva trovarlo.

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poco, il quadro politicoeconomico di un’Italia in affanno. Lo stile colto e i modi raffinati con cui sempre esprimeva le sue teorie, coinvolgendo ogni platea, si univa ad una lettura lucida degli eventi storici per proiettare gli scenari futuri. Chi ha avuto modo di conoscerlo ne ha apprezzato la semplicità dell’espressione e la profondità delle idee. Con lui si è forse chiusa una fase del sindacalismo italiano in cui il binomio lavoratore - sindacato è stato vissuto nell’identificazione dei progetti,

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senza rinunciare al senso di responsabilità sociale che le parti giocavano nel tracciare il panorama pubblico del nostro Paese. Considero un privilegio aver scambiato con lui opinioni che hanno spaziato dall’occupazione alla scuola, dalla formazione all’orientamento dei giovani. A distanza di tempo, i miei studenti ricordano ancora il suo intervento nella Sala Secci dell’IPSIA in occasione della presentazione del libro Il successo Formativo, dove, attraverso una analisi acuta dei problemi

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della Scuola, emerse la visione limpida di una società che fosse libera da preconcetti politici e orientata ad utilizzare le risorse del territorio come elemento di crescita economica e culturale. I video del suo intervento fanno parte del patrimonio didattico inserito nell’archivio storico dell’IPSIA e testimoniano la sensibilità dell’Uomo verso i problemi dei giovani e del mondo del lavoro. Bruno Trentin ha rappresentato la coscienza critica della sinistra e in particolare del comunismo italiano, perché ha saputo

E …

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scindere l’ideologia dal pragmatismo del suo tempo, marcando un netto divario fra la realtà storica che investiva il mondo operaio e la derivazione politica che ne animava le scelte. Suo grande merito è di aver tracciato percorsi netti e ben visibili sui quali i suoi migliori allievi, da Cofferati a Epifani, si sono impegnati con alterne fortune; ma che, comunque, restano un esempio di come intraprendere una via resa più complessa dall’evoluzione della società di oggi. Il Dirigente Scolastico

Ing. Giocondo Talamonti

Baldini ha voluto esprimere nel pedestre sollecito al collega sia l’Italica aspirazione all’aiutino, sia l’esplicito invito ad abbandonare un luogo. Se prima c’era Moggi a distribuire calci a questo o a quello con il beneplacito di tutti, perché stupirsi oggi del gesto tanto umano dell’allenatore del Catania? Una partita di calcio, dice il poeta, è la sintesi della vita, dove vittorie e sconfitte, recuperi e tracolli, gioie e sofferenze s’alternano fra calci di rigore, calci alla fortuna, calci negli stinchi. Ora, se uno finisce nel sedere dell’avversario non sarà la fine del mondo. Piuttosto, alla distribuzione quotidiana di calci reali e virtuali, il mio lo riserverei al Giudice sportivo che ha punito Baldini con solo 5 giornate di squalifica. E, tanto per restare in tema glielo assesterei sulle palle. G.T.


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Cassa di Risparmio di Terni e F o n d a z i o n e La Provincia di Terni per la cultura

L’origine della Cassa di Risparmio di Terni è simile a quella della maggior parte delle C. di R. italiane che sorsero all’epoca della Rivoluzione Industriale con lo scopo di sostenere i ceti meno abbienti ed educare alla previdenza ed alla cura dei risparmi della famiglia. Anche a Terni, nel 1846, si formò quindi un gruppo di assertori della costituzione di una C. di R. locale, mediante la sottoscrizione di 112 azioni di 10 scudi ciascuna. Venne eretta in Ente Morale, in data 5 settembre 1846. Fu inaugurata il 30 novembre ed aperta al pubblico il 1° dicembre. Nel 1946 la Cassa celebrò il primo centenario della sua esistenza e, per solennizzare la ricorrenza, malgrado le difficoltà dei tempi, vennero erogate 500.000 lire a favore dell’Ospedale Civile e di altri enti di assistenza e beneficenza. Nel 1954 la C. di R. incorpora il Monte di Credito su Pegno di Terni, fondato nel 1467 da Padre Barnaba Manassei e ne acquisisce l’archivio storico. Gli anni che seguirono furono caratterizzati da un sempre maggiore sviluppo dell’attività aziendale, da un incremento assai sensibile della massa fiduciaria, da

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La Provincia di Terni per la cultura

un ampliamento della zona di lavoro, dall’assunzione di nuovi servizi, e da interventi sempre più diffusi in tutti i settori economici con la cooperazione di istituti specializzati cui la Cassa era partecipante. Nel 1992, la C. di R. di Terni e Narni, scorporò la propria azienda bancaria conferendola ad una società per azioni portante la sua stessa denominazione. La Fondazione è l’erede e la continuatrice delle attività istituzionali senza scopo di lucro. Da questo momento la Fondazione e l’azienda bancaria acquistarono identità autonome e finalità differenziate, seppur coordinate ad incidere nello stesso ambito territoriale. Alla Fondazione vennero assegnati prioritariamente fini di interesse pubblico e di utilità sociale nei settori della ricerca scientifica, dell’arte e della cultura, della tutela della salute, dell’istruzione e dell’assistenza e della beneficenza. La Fondazione ha sede a Palazzo Montani Leoni, nobile edificio tardo cinquecentesco situato lungo il Corso Cornelio Tacito di cui è proprietaria del primo e secondo piano. Il palazzo appartenne inizialmente alla famiglia

Fazioli, come è ricordato nell’iscrizione conservata sull’architrave del bel portale della facciata originaria, prospiciente via Silvestri. Si ignorano i successivi passaggi di proprietà dell’edificio sino agli inizi del XIX secolo, quando è registrato nel catasto gregoriano sotto il nome di Montani Leoni. Nel 1869, con la realizzazione della nuova strada intitolata a Cornelio Tacito, il palazzo subì notevoli modificazioni che ne cambiarono sostanzialmente l’aspetto architettonico: vennero, infatti, sacrificati molti ambienti quali il cortile, l’ala posteriore e il giardino che si estendeva verso l’attuale Largo Villa Glori. Nel 1876 il palazzo venne acquistato dalla C. di R. di Terni, che vi stabilì la sua sede, realizzando nel 1966 una nuova costruzione adiacente e comunicante con il vecchio edificio. Dell’antico apparato decorativo si è conservato soltanto un affresco raffigurante il Padre Eterno benedicente, presente in una sala che originariamente doveva ospitare la cappella del palazzo; risalgono, invece, alla fine del XIX secolo e alla prima metà del XX secolo gli altri dipinti che decorano i soffitti a volta del piano nobile. Al piano nobile si trovano oggi la Presidenza e gli uffici della Fondazione, due sale di rappresentanza per le riunioni degli organi collegiali e l’archivio storico delle confraternite, del Monte di Pietà e della Congregazione di carità di Terni; al secondo piano vi è, invece, un’altra sala per le riunioni dell’Assemblea dei Soci e per la realizzazione di mostre e convegni, oltre a locali destinati a deposito ed archivio. La Fondazione della C. di R. di Terni e Narni custodisce un complesso documentario di notevole interesse storico: gli archivi delle Opere Pie e della Congregazione di carità di Terni. Una parte di questo prezioso patrimonio archivistico fu acquisito dalla C. di R. di Terni nel 1954, a seguito della fusione del Monte di Pietà con la banca: in tale occasione la C. di R. ricevette dall’Ente Comunale di Assistenza (ECA) non solo le carte del Monte di Pietà, ma anche quelle prodotte da altre Opere pie. L’antico archivio delle Opere Pie, che abbrac-

cia un arco temporale compreso tra il XIII e il XIX secolo, conserva la documentazione relativa ai seguenti sodalizi: Monte di Pietà, confraternite di San Nicandro, dei Disciplinati di Gesù Cristo e della Croce Santa, Pio Conservatorio delle Orfane, Legato Teofoli e Orfanotrofio Guglielmi. Di questo archivio fa parte anche un ricco fondo diplomatico con 337 pezzi pergamenacei databili tra il 1275 e il 1730. L’Archivio della Congregazione di carità di Terni, di cui una parte consistente è depositata presso l’Archivio di Stato di Terni, è raccolto in 50 buste contenenti documenti databili tra il 1860 e il 1937. Gli archivi sono stati tutti riordinati ed inventariati in

un primo tempo ad opera di Riccardo Gradassi Luzi, tra il 1898 e il 1906, e successivamente, dopo l’acquisizione del patrimonio documentario da parte della C. di R., da monsignor Mario Pericoli, che pubblicò nel 1985 un inventario completo di tutta la documentazione preunitaria. L’archivio della Congregazione di carità è stato, invece, di recente riordinato a cura di Anna Ciccarelli, che ha redatto l’inventario a disposizione in sala studio degli studiosi. La Fondazione ha provveduto alla microfilmatura dell’intera documentazione archivistica e alla sua trasposizione su CD-Rom per la consultazione, nonché al restauro di tutto il corpus pergamenaceo.

A s s t e r A s s i s t e n z a

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T erni

Riccardo Gradassi-Luzi, LE XX CONFRATERNITE LAICHE DEL COMUNE DI TERNI E d i t o d a l C o m u n e d i Te r n i - M C M X X V I I

VENERABILE E NOBIL CONFRATERNITA OSPITALIERA DI SAN NICANDRO (Anno 1291)

Quaranta Confratri, tutti del ceto patrizio, componevano la Ven. e Nob. Confraternita di S. Nicandro. Il Capitolo XVII de’ suoi Statuti, riformati nel 1822 sopra le antichissime costituzioni ospitaliere della città di Terni, stabilisce che nel numero dei Confratri non possa “essere ammesso chi non avrà l’onore del Patriziato di Terni... Si avverte di andare alle due processioni della Domenica delle Palme e del Corpus Domini in abito nero colla Spada, come si pratica in altre città ragguardevoli”. Tali Statuti, riformati pel migliore andamento del Nob. Sodalizio, furono editi in Terni nella Stamperia Saluzzi, sotto il priorato del Conte Paolo Manassei, dei Nobili Alderano Spada, Pietrantonio Magalotti e G. Maria Pacelli. Ordinati nella Sacra Visita dal Card. BraschiOnesti, vennero approvati dal Card. Litta suo successore. In una Memoria da me pubblicata nell’occasione del solenne Congresso storico tenuto in Terni nel 1902, così del memorando Istituto ospitaliero brevemente scrivevo: “La Nob. Confraternita di S. Nicandro possiede una messe larghissima di ricordi singolari e gloriosi. Essa, ricchissima di danaro, di nobiltà gentilizia, di attinenze cospicue nel clero, nelle armi, nella magistratura, avvolgeva nelle sue spire amministrative tutte le manifestazioni dell’attività cittadina e della vita pubblica del suo tempo. Appartata e distinta dalla turba dei Sodalizi che vestivano sacco, attendeva a viso aperto alle molteplici opere di pietà con signorile decoro e con schietta e larga munificenza. Privilegiata in tutte le cerimonie cittadine, mandava i suoi ascritti in abito di Cappa e Spada ai cortei religiosi, ai ricevimenti illustri, alle pompe ecclesiastiche, alle solennità letterarie, ai festeggiamenti civili e politici, e dappertutto era esempio di decoro, di filantropia, di splendore. Come assiste gl’infermi e dota fanciulle e conferisce limosine ad indigenti, così soccorse il Comune nelle calamità de’ contagi, nelle strettezze della carestia e della fame, nell’infausto passaggio di tanti eserciti stranieri e nel tragico infierire d’improvvise rivoluzioni: e da tutte le sventure pubbliche, da tutte le procelle che affliggono la privata fortuna e scompigliano quella destinata al sollievo dei poveri, risorge ognora prospera, coraggiosa, serena. Contribuisce alla istituzione del S. Monte di Pietà, ideato fino dal 1460 e poi

Per gentile concessione della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni-Narni proposto e attuato nel 1467 da Frate Barnaba Manassei, e, coi Magistrati della Città, sospinge il Pontefice Pio VI alla fondazione del nuovo Conservatorio. Sussidia il nascente Seminario e vi nomina Alunni quando, nel 1653, il Card. Rapaccioli imprende 1’ampliamento della Cattedrale sull’elegante disegno del Bernini. Ha voto nella Cappella Musicale, nei Consorzi dei Canali d’irrigazione, partecipa alla direzione del patrio Liceo, noto per insegnanti illustri, poi sorto alla eccellenza di un primo corso universitario nelle discipline giuridiche, accorre pronta e volonterosa ovunque sia una buona iniziativa da prendere, una intellettualità o una gloria da tutelare, una lacrima da tergere. Soltanto l’analisi delle sue 318 pergamene basterebbe a nudrire uno studio storico della più grande

attrattiva. I Vescovi, i Podestà, i Capitani del popolo, i monasteri, i conventi, gli spedali ed i cimiteri, gli eremi e le Chiese coi lor penitenti, il fiero aspetto della piccola città medievale, cinta delle sue mura e de’ suoi propugnacoli, la latinità decadente e i primi periodi della lingua volgare in una prosa rozza, impacciata, infantile: tutto in quelle carte rivive con una vivacità di colore, con una limpidezza di verità, con un profumo di poesia, da farci dimenticare la così magnificata epoca nostra, piena de’ suoi propositi aridi e utilitari, delle sue leggi sfibrate, de’ suoi progressi demolitori, dei suoi torbidi vaneggiamenti”. Inutile aduggiarsi in troppe e dolorose constatazioni; la nostra odierna vita spirituale è siffatta da metterci sovente al di sotto di que’che vissero nella tenebra più desolata del medio-evo! In quale anno sorgeva la Confraternita di S. Nicandro? La Confraternita ospitaliera di Terni amò assumere il titolo da quel Nicandro che, sotto 1’imperator Diocleziano (an. 284313), si dié alla carriera delle armi, e, convertito poscia al cristianesimo, fu denunziato e poté stupire gli stessi carnefici per la intrepidezza con cui confessava il suo credo ed affrontava serenamente il martirio... E’ opinione non contraddetta che in Italia i Sodalizi degli Spadiferi si andassero plasmando su di un unico prototipo ultramontano da taluni identificato nella Congrega dei Fratelli della Spada, organizzata nel secolo XI dall’arcivescovo Adalberto di Riga. Tal Sodalizio ebbe forse alle origini una missione guerriera; ma, riflettendo al carattere sacerdotale del pio fondatore, è da ritenere che i Laici della Spada attendessero, in seguito, ad opere umanitarie, e, in prevalenza, ad istituti ospitalieri. ... resta assodato che nel 1291 il Sodalizio degli Spadiferi si trovasse di già nella pienezza delle sue funzioni e in un grado così onorevole di maturità economica da consentirgli di accedere a contrattazioni di natura onerosa, qual’era appunto, tra esse, l’accettazione, a titolo di perpetua enfiteusi, del fabbricato con orto ed annessa Chiesa di San Nicandro. La pergamena del 7 Settembre 1366 è l’atto di fondazione del nostro civico Spedale. Spedale. Da codesta memorabile data le sorti della Fraternita si fusero interamente con quelle del predetto Spedale. La Congregazione di Carità che, fin dal 1860, entrò, per legge, al possesso dei beni di quel filantropico Istituto, e, supplantandosi alla Confraternita, ne segnava quindi il tramonto, volle ricordato in una iscrizione sul marmo il nome del pio fondatore dello Spedale; e poiché la iscrizione restò sempre inedita, crediamo doveroso riprodurla in questi rapidi cenni. MENTRE IN ITALIA - LE IRE DI PARTE FERVEANO - E LA PIETADE ALL’ARTE ASSOCIANDOSI - LA TERRA IRRADIAVA DI NOVELLI SPLENDORI - E DI PACE E D’AMORE TESORI IGNOTI SVELAVA - TRISTANO DI IOANNUCCIO DA TERNI - ADDI’ VII SETTEMBRE MCCCLXVI - UN OSPEDALE ERIGEVA - “CON IV LETTI ONDE ACCOGLIERVI I POVERELLI DI GESÙ CRISTO”. - LA CONGREGAZIONE DI CARITÀ - DEI CONCITTADINI BENEFATTORI - IL GENTILE E GLORIOSO RICORDO EVOCANDO - QUESTA PIETRA PONEVA L’ANNO MDCCCLXXXVIII DELLA ITALICA REDENZIONE XXIX. pagg. 17-22

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L’epopea di Gilgamesh Una storia antica del III millennio aC

Gilgamesh tra due semidei

V Il racconto del diluvio Ea sussurrò le parole degli dèi alla mia casa di canne: Casa di canne, casa di canne! Muro, o muro, ascolta casa di canne, rifletti, o muro! Uomo di Suruppak, figlio di Ubara-Tutu, abbatti la tua casa e costruisci una nave, abbandona i tuoi averi e cerca la vita, disprezza i beni mondani e mantieni viva l’anima tua. Abbatti la tua casa, ti dico, e costruisci una nave. Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso; conduci quindi nella nave il seme di tutte le creature viventi. Quando compresi, dissi al mio Signore: Quello che hai comandato io lo onorerò e lo compirò. Alla prima luce dell’alba la mia famiglia si riunì attorno a me, i bambini portarono pece e gli uomini tutto il necessario. Il quinto giorno misi in posa la chiglia e le coste, poi fissai il fasciame. Di un acro era la sua area di terreno, ogni lato del ponte misurava cento e venti cubiti e costituiva un quadrato. Sottocoperta costruii 6 ponti, 7 in tutto; li divisi in 9 sezioni con paratie fra di loro. Dove era necessario infissi dei cunei, provvidi alle pertiche di spinta e caricai provviste.

I portatori recarono olio in canestri, versai pece nella fornace e asfalto e olio; altro olio venne consumato per calafatare, altro ancora lo mise tra le sue provviste il nocchiero. Per la mia gente macellai buoi, ogni giorno uccisi delle pecore. Ai carpentieri diedi da bere vino come se fosse acqua di fiume, mosto e vino rosso, olio e vino bianco. Vi fu una festa allora come si fa per l’anno nuovo; io mi unsi il capo. Al settimo giorno la nave era pronta. Vi caricai tutto ciò che avevo, oro e creature viventi: la mia famiglia, i parenti, gli animali del campo sia selvatici sia domestici, e tutti gli artefici. Li mandai a bordo, perché era già compiuto il tempo che Samas aveva disposto allorché disse: Questa sera, quando il cavaliere della tempesta manderà giù la pioggia distruggitrice, entra nella nave e serra i boccaporti. Il tempo era compiuto, venne la sera, il cavaliere della tempesta mandò la pioggia. Guardai fuori e il tempo era terribile, così anch’io salii a bordo della nave e chiusi i boccaporti. Era tutto finito, la chiusura e la calafatura, diedi dunque il timone al timoniere Puzur-Amurri, assieme alla navigazione e alla cura di tutta la nave. Alle prime luci dell’alba venne dall’orizzonte una nube nera; tuonava da dentro, là dove viaggiava Adad, Signore della tempesta. Davanti, sopra collina e pianura, venivano Sullat e Hanis, nunzi della tempesta. Poi sorsero gli dèi dell’abisso: Nergal divelse le dighe delle acque sotterranee, Ninurta dio della guerra abbatté gli argini e i sette giudici degli Inferi, gli Anunnakku, innalzarono le loro torce, illuminando la terra di livida fiamma.

Tavola X I de l poe ma

Sgomento e disperazione si levarono fino al cielo quando il dio della tempesta trasformò la luce del giorno in tenebra, quando infranse la terra come un coccio. Per un giorno intero imperversò la bufera; infuriando sempre di più si riversava sulla gente come l’impeto di una battaglia; nessuno poteva vedere il proprio fratello, né dal cielo si potevano vedere gli uomini. I venti soffiarono per 6 giorni e 6 notti; fiumana, bufera e piena sopraffecero il mondo, bufera e piena infuriarono assieme come schiere in battaglia. Quando venne 1’alba del settimo giorno, la tempesta dal Sud diminuì, divenne calmo il mare, la piena s’acquietò; guardai la faccia del mondo e c’era silenzio, tutta l’umanità era stata trasformata in argilla. La superficie del mare si estendeva piatta come un tetto, aprii un boccaporto e la luce cadde sul mio viso. Poi mi inchinai, mi sedetti e piansi, le lacrime scorrevano sul mio volto, poiché da ogni parte c’era il deserto d’acqua. Invano cercai la terra, ma a quattordici leghe di distanza apparve una montagna, e lì si arenò la nave; sul monte Nisir rimase incagliata la nave, rimase incagliata e non si mosse. Per un giorno rimase incagliata, per un secondo giorno rimase incagliata sul monte Nisir e non si mosse. Per un terzo, per un quarto giorno rimase incagliata sul monte e non si mosse; per un quinto, per un sesto giorno rimase incagliata sulla montagna. All’albeggiare del settimo giorno liberai una colomba e la lasciai andare. Volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai una rondine ed essa volò via, ma non trovando dove riposarsi fece ritorno. Poi liberai un corvo e questo vide che le acque si erano ritirate, mangiò, volò all’intorno, gracchiò e non fece ritorno. Allora aprii tutto ai quattro venti, feci offerte sacrificali e versai una libagione sulla cima del monte. Da

L’epopea di Gilgamesh Adelphi Edizioni

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Le più antiche narrazioni del diluvio Racconto del diluvio, scritto in sumerico, rinvenuto a Nippur nel 1895. In quel tempo il re Ziusudra, l’unto [. . .] costruí un riparo rotondo [. . .] e ogni giorno stava costantemente [. . .] in umiltà, fervida preghiera e timor di dio [. . .]. Ogni giorno gli appariva un sogno, ed egli chiedeva al cielo e alla terra che gli venisse interpretato [ . . . ]. Ziusudra, stando sul fianco del muro, ascoltò: Sta’ a sinistra, presso il muro! (gli disse il dio). [. . .] Devo parlarti attraverso il muro. Porgi l’orecchio alla mia istruzione! Arriverà un diluvio sui luoghi santi, causato da noi (dèi) [. . .] e cosí il seme dell’umanità sarà distrutto! [. . .]. La sentenza è definitiva, ed è una decisione dell’assemblea [degli dèi . . .]: una decisione presa dalle divinità An, Enlil, [. . . Ci sarà la fine] del periodo in cui (gli uomini hanno avuto) la regalità sulla terra [. . .]. C’erano insieme i venti maligni e la tempesta. Il diluvio per 7 giorni e 7 notti imperversò sui luoghi santi, pareggiando il paese. Il vento maligno sballottò l’arca nella grande distesa di acqua, poi uscí il dio Sole

portando la luce nel cielo e sulla terra. Allora Ziusudra aprí una apertura nell’arca, e il dio Sole vi entrò con la sua luce. Il re Ziusudra stette davanti al dio Sole, baciò la terra, sacrificò buoi e molte pecore. Invocate la vita del cielo e della terra . . . Invocate gli dèi An ed Enlil . . . La rovina si alzò dalla terra, e scomparve. Il re Ziusudra stette davanti ad An ed Enlil, baciò la terra. An ed Enlil diedero a Ziusudra e a sua moglie la vita come (quella di) un dio. Lo innalzarono a vita perpetua come un dio. In quel tempo fecero vivere il re Ziusudra, che nell’anno della distruzione aveva conservato il seme dell’umanità, in un paese straniero, nel paese di Dilmun dove sorge il Sole. Il diluvio nel poema di Gilgamesh Il diluvio nel poema Atra-khasis Il racconto del diluvio a Ugarit Il racconto nel diluvio della Bibbia (si raccomanda lo splendido minicompact edito in occasione del Giubileo Giovani 2000) Il diluvio secondo Berosso

BIBBIA... Tra il XIX e il XVIII sec. aC, secondo un’ipotesi abbastanza condivisa, cominciano a distinguersi le gesta d’Israele. Gli avvenimenti riguardanti Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe e i suoi fratelli, cominciano a prendere corpo in forma di tradizioni orali. Alla sera, fuori della tenda, i figli ascoltano dalla bocca del padre le vicende degli antenati. Lo stile è popolare, diretto e vivo. L’ispirazione è religiosa e si fonda su alcuni semplici concetti: Dio è presente nella storia umana e ha un rapporto personale con i patriarchi; Abramo è l’amico di Dio; Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. In circostanze tragiche e provvidenziali insieme, Mosè guida il gruppo israelita attraverso il deserto fino al Sinai, dove esso vive una esperienza decisiva: il Dio

alc une date

che si rivela a Mosè come JHWH, stabilisce un’alleanza con Israele, che diventa così il popolo di Dio. A Mosè venivano attribuiti dalla tradizione i primi cinque libri della Bibbia. Lo studio critico di questi testi ha dimostrato che la loro redazione è molto posteriore. Davide (1010-970 aC circa) riesce a condurre Israele alla piena indipendenza e alla sovranità su un vasto territorio. Israele ha anche una capitale, Gerusalemme. Il successivo regno di Salomone (970-931 aC) dona a Israele il tempio, centro della vita religiosa, e ne favorisce la crescita culturale. Il tempo in cui si forma la maggior parte dei libri della Bibbia è, probabilmente, il V sec. aC. Da Bibbia Cei 1974 Ufficio Catechistico Nazionale DALLA TERRA AL CIELO

Il diluvio, incisione colorata dalla Bibbia di Lutero Società Biblica, Londra

1° Il Cielo La Pagina - settembre 2005 2° La Terra La Pagina - ottobre 2005 3° Diluvio universale 1 La Pagina - ottobre 2006 4° Diluvio universale 2 La Pagina - settembre 2007 Giampiero Raspetti


P A R T I T O

Le cronache estive rigurgitano di analisi, retroscena e misfatti inerenti la gestazione del Partito Democratico. Cosa sta succedendo a sinistra? Per capirne di più, abbiamo pensato di rivolgerci a una figura ch’è sempre stata considerata fuori dagli schemi e dalle convenzioni (e che per il momento è anche fuori di galera, il che ne ha agevolato il reperimento da parte nostra), un personaggio da tutti giudicato scomodo (anche dagli amici che lo invitavano alle feste e poi si vergognavano per le figure che faceva fare loro), un uomo sul quale i giudizi da sempre sono divisi (c’è chi lo giudica male e chi invece peggio), ma del quale una cosa si può affermare con sicurezza: è una persona che non ha esitato a rivendicare orgogliosamente la sua appartenenza alla sinistra. Ci riferiamo, come i lettori avranno già intuito, al finanziere Stefano Ricucci. Per indurlo a confidarsi con noi abbiamo fatto ricorso a un piccolo inganno. Pronto, sig. Ricucci? Dipende… E no, eh! A’ Nonimo, allora che ama li albumi delli calciatote consente d’ave’ la maggioEh? Ma no, so’ io, solo che dopo dimmelo che me voi frega’! io ri e er cinema americano - no ranza delle azioni der Pidddì co tutti ’sti casini nun me va mo’ vojo la tessera del Pidddì, quei mattoni che piaciono solo li sordi con cui riusciresti a cond’espormi troppo, specie per de ’sta cosa nova che state agli intellettuali che dopo er trollanne direttamente appena telefono. Tu chi sei? facenno; la numero uno me filme vogliono mettese a discute er 12-13%. E a quer punto li Un alto dirigente DS, che ambidovete da da’, altro che fra loro invece che chiede alla margheriti se attaccano ar tram, sce a consultarsi con lei in meriDebbenedetti, er vero padre fidanzata se li fa salire a casa perché manco facenno un patto to alla situazione politica. Mi nobile della nuova sinistra so’ e quando fa politica sa mette de sindacato co’ socialisti radiscuserà se mantengo l’anonimaio, pe’ costruirla nun c’ho messo d’accordo tutti. cali verdi comunisti trasversali to: come lei stesso ha appena l’editoriali de Scalfari - che poi Quindi come fa D’Alema ad riescono a mette in crisi la magrammentato, al telefono c’è nessuno c’arriva mai in fondo anna’ contro Veltroni? gioranza diessina ner partito. sempre il rischio di esporsi tanto so’ lunghi, e allora a che E Fassino? Perché nemmeno lui Capito? Nun ce riescono manco troppo. Questa conversazione ve servono, dico io - ma li quatpuò andare contro Veltroni? rompenno ancora le ova ner potrebbe essere intercettata… trini, tanti e a fondo sperduto, Certo che sì de coccio! Fassino paniere ai diesse e a me co’ la No, no, sotto questo profilo nun dimme se questa non è nobbiltà è er mostro orendo, er coso storia che lo stato nun se deve c’è rischio, è intercettata sicuro, vera, nobbiltà d’anima! brutto che diventa D’Alema ’ntromette nell’economia e grilo so perché ogni mese ancora Ma tanto lo so che me rispondi, prima de trasformasse in dando c’è la questione morale vengono i tecnici a fare la che io nun so nobbile perché Veltroni! È lo stato di transizzioder dirigismo statalista interfatto pure un cartone giapponemanutenzione delle cimici. nun vengo dar salotto bbono ne, capisci? L’hanno fatto ventista comunista dei miei se però colle montagne, in cui L’ultima volta m’hanno pure dell’economia italiana! segretario dei Diesse proprio cosiddetti. Mortacci, chi glielo c’è un tizio che come Adamo rimproverato: dicono che l’uso E’ vero, io nun so’ mai stato ai per questo: perché uno come lui ha detto a loro e ai magistrati diceva er critico ner risvolto de troppo, ’sto telefono, e così le festini di Lupo Elican, però nun annava bene pe’ gestì la transizd’intromettersi nell’economia copertina - vole magna’ la mela microspie se fonnono e devono è colpa mia se me lasciavano zione verso er Pidddì. Poi la mia, che stava andando così dell’albero della conoscenza ma sostituirle de continuo co’ quelfori e comunque c’ho pur’io le transizzione finisce e a capo der bene? Se si chiama economia avrebbe dovuto prima magna’ le nove, che costano pure care. ville, er panfilo, ’a Rolls, me so’ Pidddì rimane er prodotto della sarà per il fatto che so’ affari la foglia e capire che, se Dio Ma dico io perché nun fate pure sposato Anna Falchi, e trasformazzione…cioè Veltroni. miei, no? Se no se chiamava c’ha voluti ignoranti, c’aveva come nei film de spionaggio, almeno sotto ’sto profilo dimme A Dio piacendo, perché poi ce econotua o econosua, miseriac’na bbona raggione, e la sua nun m’insinuate una serpe in se nun so’ meglio io de ’sto se mettono de mezzo li marghecia zozza! superbia viene punita perché, seno, che so, una segretaria Lupo in veste de Agnelli! riti, che scrivono Pidddì e legParlando di questione morale, che quando sperimenta er siero bionda coll’occhi azzurri che Stop! Parliamo del nascituro gono Dicccì, nun so se me mi dice della querelle circa i prich’ha fabbricato in labboratome sta ’ncollata tutto er giorno PD. Veltroni potrà contare anche ’ntendi. vilegi di politici e sindacalisti? Ha rio, prima diventa un mostro e magari pure de notte - che io per il futuro sul sostegno di Ecco un altro punto importante: letto il libro La casta? Ha una orendo che non ha quasi niente tratto molti affari de notte, lo D’Alema e Fassino? O presto o come possono evitare i diessini posizione sull’argomento? de umano e poi, dopo ’sta fase metto in chiaro da subito - e poi tardi i suoi compagni si porrano di farsi sopraffare dai margheAltroché se ce l’ho! Il mio motto de transizzione, un tizio di riferisce ar capoccia? Sarebin competizione con lui, tentanrit… dagli uomini della è sempre stato: abbasso le nuovo umano, però mostruoso bero più contenti loro, che do di strappargli la leadership? Margherita e ritrovarsi in caste! A noi le donne piacciono dentro, nun so se me spiego, lui risparmierebbero sordi, e più Cioè voi sape’ se ner Pidddì minoranza nel nuovo partito? mignotte! Ah, ah, ah, visto che ch’era bbono come er pane pe’ contento io, che se permettete finirà a fratelli-cortelli? Questo Bravo, hai fatto la domanda fine umorista che so’ quanno me soddisfa’ ’sta sete de conoscenza nun è che perché nun sto più co’ è sicuro, ma per via delli margiusta all’omo giusto. Quello sforzo? Ce rimettono loro a diventa un omo cattivo e va in Anna Falchi me so messo er gheriti; D’Alema e Fassino che li Diesse dovrebbero fa’ tenemme fori dar salotto bbono, giro a fare casini finché nun sajo, nun so se rendo… ma chi staranno bboni, sennò sarebbe sarebbe de ricorre ar vecchio che una serata co le barzellette more. Ora, per Veltroni è lo hai detto che sei te? come se se pugnalassero alle trucco de le scatole giapponesi: mie a ’sti vecchi arnesi de stesso discorso, solo a rovescio Un alto - ma anonimo - dirigenspalle da soli, che tra l’altro è una dentro l’altra finché nun te Agnelli e Pelikan e Pirelli glie (che quindi nun è lo stesso, ma te dei DS. pure roba da contorsionisti. riesce de controlla’ ’na società farebbe solo bene. A proposito, lasciamo perdere se no devo Ah, alla fine ve sete ricordati de Perché le liti interne indeboligrande come la Fiat co li sordi la sai quella der fotografo che trovare ’n’altro esempio e nun è me! Mortacci vostri! Dopo tutto rebbero la Sinistra? che ce vorrebbero per avvia’ na se venne al direttore der che ho letto tutti ’sti libri, a parte quello ch’ho fatto pe’ voi e tutto A’ morto de sonno! Perché friggitoria a Trastevere. Li DS Corriere ’na foto dicenno che se er fatto che de mister Heidi quello che m’hanno fatto pe’ D’Alema e Veltroni so’ la stessa dovrebbero innanzitutto farsi la vedono ’nsieme Ricucci e avevo visto solo er cartone). ricompensa! A’ anonimo, lo sai persona! Ma te devo spiega’ classica finanziaria ar LussemConsorte e dopo che gliel’hanD’Alema è inteliggente ma catche te dovrei fa’? Ah, ah, ah, ma tutto io? A’ Omonimo, me sa che burgo, che è ’no stato piccolo no pagata a peso d’oro sarta tivo e per questo nun riesce a no, sto a scherza’! So’ sempre er ho capito più io per quer poco così… lo so, scusa, al telefono fori che è ’na foto der matrimopiace’ a tutti, nun è che poi di’ a compagno Ricucci, fedele nei che ho frequentati li diesse che nun se vede… ma co’ tanti sordi nio mio? Ah, ah, ah, però nun ’na signora “ma chi t’ha fatto secoli! Ormai so’ komunista con te in cent’anni de militanza che dentro che pare ’na Svizzera me fa’ pensa’ a mi moglie che quer cappotto, lo scuoiacani der la kappa, ma no quella de ce potrai ave’! E’ come la storia ristretta dopo er lavaggio in me passa er sorriso, quella cogli Testaccio?” e poi chiederle venMartino, proprio co’ quella del der dottor Cecchi e de mister lavatrice. Co’ la finanziaria alimenti me sbrana! timila euri per la campagna fattore di Pompei! [qui forse il Gori, no, scusa, stavo a di’ ’na controllano al 51% ’na società Bene, credo di avere accumulaelettorale come m’ha raccontaRicucci allude alla nota definifregnaccia, de mister Heidi, è un più grande, che possiamo chiato abbastanza materiale per il to fece una volta ai Parioli, però zione coniata dal giornalista libro de paura scritto da Steven mare DSSpa (e meno male che momento. La ringrazio per la è inteliggente dicevo, e allora Ronchey, ndr.] Aho’, a proposiSon, che sarà er figlio de Steven sei ar telefono, se no te sputo in collaborazione, signor Ricucci. s’è ’nventato un siero che se lo to, io sto sempre a aspetta’ che King, mortacci ’sti americani, faccia ogni volta che dico ’sto Grazie a te, è sempre un piaceprende diventa prima un mostro me date la tessera, eh? pure da loro se fa tutto in faminome). La DSSpa a sua vorta re. Però nun te scorda’ la tesseorendo che nun ha quasi niente Ah, ah, ah, mortacci vostri! glia e nun ce sta spazio pe’ gli controlla er 51% de ’na società ra, e der partito novo, me raccode umano (che pure serve, speQuesto ormai si può anche fare, omini novi come me, vedi i ancora più grande, che è ’sto mando! Ai vecchi compagni nun cie se te tocca un faccia a faccia senza che nessuno se ne abbia a Busce alla casablanca… che benedetto Partito Democratico. se devono tira’ le sole! co’ Gasparri), poi un signore male; tanto il partito si sta stavo a di’? Ah, ecco, che c’è sto A questo punto se te fai un po’ li Ah, ah, ah, mortacci vostri! bello de dentro e de fuori, che Ferdinando Maria Bilotti sciogliendo… romanzo de paura che ne hanno conti te accorgi che ’sto sistema sarebbe appunto Valter Veltroni,

D E M O C R A T I C O

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