La pagina settembre 2011

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Mensile gratuito

N째 07 - Settembre 2011 (87째)


Te r n i è b e l l a La citta di Terni è bella e stupenda è la sua Provincia. Faccio mie le parole degli amici della Repubblica Ceca in visita nella nostra città (nelle pagine 10-16 foto, giudizi e ringraziamenti inviati alla redazione de La Pagina). E dire che erano stati sconsigliati a recarsi qui perché: che andate a fare?... niente c’è da vedere... E’ disdicevole che all’estero si possa ingenerare tale opinione che però, a ben vedere, non contrasta con quella di alcuni disattenti conterranei. L’ignoranza fa infatti dire a molti: e che c’è da vedere? Aria paesana da birrocchiu (equivalente del romanesco burino, il primo riferendosi alle due ruote -bis rotolum- del carro alquanto rozzo del contadino, il secondo all’aratro -bur, buris-)

pretende poi che alcune bellezze territoriali debbano rimanere in permanenza così come sono, anche con il rischio di ridursi in totale rovina, e godibili solo dall’indigeno, cioè dal nostalgico del birroccio. Umbriano docet. Guai a toccarlo: deve, per taluni, cadere completamente a pezzi, così sparisce del tutto. O deve, nel frattempo, servire come meta prediletta per gli animali officianti le messe nere. Quando, nell’ambito di una commissione culturale della Provincia di Terni, progettai, per la Valnerina, un laboratorio scientifico naturalistico a cielo aperto (una sintesi del progetto è nel mio libro Germogli - gratuito per i lettori de La Pagina che ne facciano richiesta), alti si levarono i 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12-13 14 15 16 17 18-19 20 21 22-23 24

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Il viaggio dell’acciuga corta nel deserto marino - F Patrizi Poveri contro miseri - P Fabbri Risparmio e nuove tendenze in tempo di crisi - A Melasecche Cre@tivamente il 21 settembre alla Rocca di Narni - B Ratini ALFIO AMY WINEHOUSE La struggente malinconia della musica soul - L Bellucci L’invidia: il sentimento dell’autodistruzione - LB Disoccupazione giovanile - G Talamonti Paradossi sociali sensibili - C Colasanti Il problema della tolleranza - M Ricci Quando il rimedio è peggiore del male - V Policreti INTERPAN TERNI PRAGA - G Pe c k o v á , P Do s t á l , S Pa s ca rel l i In estate 2010 ho trovato i nuovi amici - D K o u t n á Lettera aperta dall’Umbria magica per la mia amica Milá Olinko - L Kasparova Settimana meravigliosa in Umbria - L M Wal l i s La mia Terni - M Re j h o n o v a FOTO - Terni splendida vista con gli occhi dei Cechi Charta volat, aurum manet - A Pieralli DUILIO CAROTTI - M Gh i o n e Orrori e Splendori - a c u r a d i P Le o n e l l i LICEO CLASSICO - A Bre g l i o z z i , S M Fa n t i n i La vigliara fatata - V Gre c h i L’Ancien Régime - F Ne r i Astronomia - T S c a c c i a f r a t t e , E Co s t a n t i n i , P C a sa l i , F Va l en t i n i SUPERCONTI

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti

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lamenti di quasi tutti i colleghi del gruppo di lavoro che orripilavano nel sentire già asfissiare le colline, i paesini, i monti, il Nera stesso dalla presenza (preziosa e pagante) di qualche classe di studenti, italiani e non, intenti allo studio della terra, dell’acqua e dell’aria. Si stenta a credere, ma è proprio così! Non posso poi non ricordare l’eccezionalità della mia (e di Sergio Bacci e di Albano Scalise) Mostra-Laboratorio di astronomia Il cielo e la Terra, “visitabile” oggi solo su Germogli perché gli addetti alla cultura della nostra amministrazione comunale hanno saputo solo stivare in scantinati quella che era una grandissima occasione culturale e turistica per l’intero territorio provinciale. Ebbe uno straordinario successo. Poi alcuni barbari, servitori della politica del fare, riuscirono a cacciare noi e gli studenti, che da ogni dove intervenivano a frotte, per ristabilire il detto: Cesi dei cesani (e di chi intendeva servirsi della Chiesa di Sant’Angelo -sede della Mostra- per usi privati). E che dire degli abitanti di Piediluco con il loro lago e degli abitanti di Stroncone con i loro Prati e con il “nostro” sentiero francescano (infinitamente più sacrale e, se attrezzato adeguatamente, più valido del Cammino di Santiago di Compostela, mano santa per un territorio molto, molto più ampio del cammino stesso!) che vive in perenne abbandono?

Altro che sindrome da villaggio globale! Ci sono dunque dei sempliciotti che non vanno oltre l’idea del villaggio, del pagos, di un deprimente isolamento. Occorre allora che gli amministratori, tutt’altro che sempliciotti, eletti anzi perché possessori di una raffinata cultura del territorio e pagati proprio per provvedere al suo benessere, facciano conoscere le loro strategie turistiche al fine di rendere giustizia al nostro prezioso patrimonio naturale, storico, ambientale, religioso, artistico, enogastronomico e a permettere al resto del mondo di goderne, proprio come è avvenuto agli amici Cechi. Siamo gemellati con moltissime città straniere, almeno a giudicare dalla cartellonistica di benvenuto posta a presidio degli ingressi della città. I risultati ottenuti ed ottenibili da questa significativa rete di gemellaggi, organizzati con l’esborso, giustamente, di denaro pubblico, occorre siano esposti compiutamente alla cittadinanza, affinché private organizzazioni come la nostra (lontanissime da fini di lucro e attente solo al fiorire della integrazione culturale ed al turismo in ingresso), o come quelle di tantissimi benemeriti gruppi del volontariato, possano trarre giovamento da tale lavoro e da tali conoscenze, per poi meglio ri-porsi al servizio del bene comune. Anche io ho ri-visto parte di Terni con gli occhi di Dáša, la carissima amica presidente dell’Associazione Amici dell’Italia. Mi diceva: questo scorcio è splendido, ed io riflettevo: è vero, non mi ero mai soffermato abbastanza ad osservare e ad amare! Terni è bella e la sua Provincia stupenda. I vedenti sono però nella Repubblica ceca. I veri cechi sono da noi. Fino a quando? Giampiero Raspetti


Il viaggio dell’acciuga corta nel deserto marino

Sotto sale, marinata o impanata, l’acciuga dell’Adriatico è un ospite frequente dei nostri piatti estivi, eppure il breve viaggio che deve compiere dal porto alla tavola sembra uscito da un romanzo di Jules Verne. Negli ultimi anni, la pesca italiana è trapassata senza clamore a peggior vita. Le cause sono molteplici: l’aumento sconsiderato delle licenze, le battute selvagge sottocosta, l’uso di imbarcazioni fuori misura, la competizione del mercato nordico. Anche se dai banchi dei porti l’occhio fisso di sarde e alici ci rimanda ancora l’immagine di un sano rapporto tra il mare e la tavola, gli esemplari ittici sono dei sopravvissuti del deserto marino. Come racconta un pescatore di San Benedetto, fino a cinque anni fa, ad ogni chilo di pescato corrispondevano 40 acciughe, mentre oggi ne corrispondono 80. Questo perché si è ridotta la pezzatura: se prima le acciughe erano lunghe 18 centimetri, oggi ne misurano solo 12, cioè non sono ancora cresciute quando vengono pescate; e per presentarle comunque sul banco con un aspetto più adulto, si è arrivati a pomparle introducendo al loro interno acqua attraverso micro aghi. Con l’arrivo delle nuove licenze per la pesca, sono arrivate barche più grandi e potenti, adatte ai mari profondi, non certo all’Adriatico, che hanno innescato una maggiore competizione. Se si calcola che il solo costo del carburante di questi pescherecci incide fino al 60% sul ricavato della pesca, si intuisce la spirale viziosa che porta la barca a pescare sempre di più fino a spingersi illegalmente sottocosta, dove le specie si riproducono, distruggendo l’habitat naturale e arando il fondale più delicato. Il risultato è che oggi l’Adriatico si presenta come una distesa piatta e uniforme, un enorme deserto acquatico dove il pesce non trova posto per deporre le uova. Ma torniamo alla nostra piccola acciuga che non trova più casa e si aggira raminga tra reti, eliche e timoni: una volta issata a bordo dalle reti insieme a crostacei, barili e scarpe vecchie, finisce sottozero in attesa di vedere il mercato 20 giorni dopo. O anche di più, dato che la barca fa ritorno a terra quando il pescato può compensare almeno la spesa del carburante. Dopo un mese di anticamera ondulante, la baby acciuga si presenta all’asta con un’aria stanca e un colore rosso sangue intorno all’occhio; la collega scandinava invece arriva lunga e splendida e, nonostante la trasvolata continentale, con l’occhio ancora vivo e lucente, grazie agli illegali e pericolosi bagni nell’acido che le imbarcazioni nordeuropee le concedono come un lusso da crociera. La piccola acciuga della riviera adriatica, scalzata dalla stangona svedese, finisce per essere deprezzata e le casse invendute vengono rigettare in mare. Lo scenario che appare oggi sott’acqua lascerebbe sconcertato anche il navigato Nautilus di Jules Verne: l’Adriatico ridotto a un deserto fluttuante di armate morte di pesci fantasma. Il nostro mare avrebbe bisogno di riposare per ripopolarsi, dice il pescatore di San Benedetto e sicuramente anche lui avrebbe bisogno di riposo, ma di andare in pensione, purtroppo, non se ne parla. Neanche per i pesci. Francesco Patrizi

Poveri contro miseri Si racconta che Bill Clinton, durante le sue campagne elettorali per la presidenza degli Stati Uniti, avesse appeso nel suo ufficio un grosso cartello che ammoniva It’s the economics, stupid!, tanto per ricordarsi continuamente che, alla fin fine, l’unica cosa che contava davvero nella corsa alla Casa Bianca era la maniera di affrontare le questioni economiche. I giornali e i sondaggi si interessavano molto delle prese di posizione sui diritti umani, sulla politica estera, sui vari tipi di scandali, ma l’unico fattore realmente decisivo era il programma economico. Tutto il resto era un di più, qualcosa che serviva a dare un biglietto di presentazione all’elettorato, a sfamare i bisognosi di ideologie, ma di fatto non contava granché. Aveva davvero ragione? Non è facile dirlo: di certo, Clinton ha vinto due tornate elettorali e ha portato a termine entrambi i suoi mandati presidenziali, e questo nonostante la bufera dello scandalo Lewinsky, cosa che, in un paese puritano come gli USA, la dice lunga. E in ogni caso per dimostrare come l’economia sia il fattore portante e determinante di tutta la società civile, non serve neppure ricorrere al gossip presidenziale. È riconosciuto da tutti gli storici che la Seconda Guerra Mondiale ha avuto come propellente principale il disastro economico della crisi del 1929: certo, quando si parla di storia c’è sempre una causa o concausa precedente (la crisi del ’29 ebbe effetti devastanti in Germania, favorendo l’ascesa d’un governo totalitario: i tedeschi non avevano la possibilità di pagare i debiti di guerra del primo conflitto mondiale, e quando vennero meno -appunto a causa della crisi- gli investimenti USA, il sistema della repubblica di Weimar crollò), ma in generale è riconosciuto che, sotto gravi emergenze economiche, gli uomini tendono a mettersi in difesa, ad incattivirsi: in questo senso, un minimo di serenità economica è, più che necessaria, davvero indispensabile per garantire la crescita anche di quei “normali buoni sentimenti” che, illudendoci, crediamo innati nell’uomo. In un suo libro recente Marco Revelli, figlio del noto partigiano e scrittore Nuto Revelli e soprattutto presidente della Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale (CIES), ha analizzato dapprima le cause dell’impoverimento dell’Italia, e in parallelo la modifica di alcuni comportamenti sociali riscontrati nello stesso periodo. Il suo punto di osservazione è privilegiato, perché il CIES è l’organismo governativo che monitora le condizioni di esclusione sociale, ovvero lo stato di quelle persone che sono così povere da non avere più un reale inserimento, un ruolo, nel tessuto sociale nel quale vivono. Le conclusioni a cui giunge sono ad un tempo illuminanti e preoccupanti: illuminanti perché il libro (Poveri, noi, Einaudi, 2010), dimostra con abbondanza di dati che l’impoverimento cui l’Italia sta facendo fronte è cosa ben radicata, tutt’altro che recente, in atto da almeno un decennio: e preoccupanti non solo per il messaggio crudele ed immediato (...stiamo diventando sempre più poveri, e non facciamo nulla per invertire la tendenza...), ma anche e soprattutto per uno strano effetto collaterale, che secondo Revelli è abbastanza nuovo, almeno nella società italiana: l’intolleranza persecutoria dei poveri verso coloro che sono ancora più poveri e negletti. Come spesso accade, leggerle nero su bianco rende le cose più evidenti, per quanto già chiare ad un semplice sguardo d’intorno: dagli Anni Cinquanta in avanti, per molto tempo, “lavoro” e “miseria” sono rimaste parole inconciliabili, per il semplice fatto che chi lavorava non era povero e chi era povero era tale perché non lavorava: è solo di recente che si è formato il concetto di “working poor”, ovvero di persone che, pur lavorando, non riescono a guadagnare quanto è necessario alla sussistenza. Quel che è peggio, un lungo elenco di fatti di cronaca (che spazia dai fatti di Ponticelli, dove una comunità Rom è stata cacciata a furor di popolo per un’accusa poi dimostratasi del tutto falsa, per arrivare ai piccoli comuni del Nord-Est che legiferano in modo accanito contro gli extracomunitari, e molti altri casi ancora), mostra come si stia elevando la soglia dell’intolleranza verso coloro che sono ancora più deboli. Per molto tempo, i poveri hanno guardato ai ricchi, magari anche con invidia, per cercare di salire nella scala sociale, cercare di raggiungere un livello di vita migliore, paragonabile a quello di chi aveva di più: adesso, secondo Revelli, il rischio è che i poveri, anziché guardare verso l’alto della scala sociale per provare a salirne i gradini, guardino in basso, cercando di ricacciare ancora più in basso coloro che sono più in basso di loro. Speriamo che Revelli si sbagli. Sarebbe davvero triste, se avesse ragione. P i ero F ab b ri

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Risparmio e nuove tendenze in tempi di crisi

laboratori

Un vecchio detto recita “di necessità, virtù”, quindi, cosa c’è di meglio di una crisi economica globale, per di più particolarmente persistente, per aguzzare l’ingegno e sperimentare nuove e più parche modalità di consumo, di acquisto e/o di viaggio? Si va dalle ormai ben collaudate banche del tempo ai più recenti swap shop fino alle esperienze di couch surfing. Le banche del tempo, attive ormai da diversi anni, si basano sullo scambio gratuito di ore, che, indipendentemente dal valore monetario intrinseco della prestazione svolta, vengono accreditate o addebitate, appunto nella banca, a ciascun prestatore. Le attività posso essere le più disparate, si scambiano lezioni di cucina, manutenzioni, baby-sitting e dogsitting, ripetizioni scolastiche, etc. Tutti gli scambi sono gratuiti; è semmai previsto un rimborso delle spese vive (ad es. per i mezzi di trasporto o per i materiali utilizzati nel lavoro svolto) e una quota associativa, per lo più annuale, variabile da Banca a Banca. L’esperienza più recente è

rappresentata dallo swap shop, che non è altro che il “negozio dello scambio” dove è il baratto a farla da padrone (ne esistono anche versioni on line). L’autorevole settimanale TIME ha definito il baratto come una delle 10 cose che cambieranno il mondo, quindi frequentare uno swap shop è sicuramente molto trendy, ma anche e soprattutto conveniente. Inutile dirlo, l’idea viene dagli Stati Uniti, ma ha trovato ampia diffusione anche in Australia e Regno Unito con qualche sperimentazione in altri Paesi, Italia inclusa. In vendita ci sono abiti rigorosamente poco usati. Uno swap shop funziona così: una cliente arriva in negozio con tutto quello che vorrebbe scambiare: vestiti e accessori. Lo staff assegna a ogni capo portato un livello qualitativo da 1 a 5. In base a quello che si porta sarà poi possibile scegliere tra capi della medesima categoria. In questo caso c’è solo un minimo costo di servizio, dato che tutto prima di essere messo in vendita

viene portato in tintoria e sterilizzato: dai 13 ai 20 €. In ogni modo si tratta di una vera e propria boutique, per tutti coloro che hanno voglia e bisogno di dare una ventata di novità al proprio guardaroba senza spendere una fortuna! Nasce invece nel 2003, ad opera di un giovane programmatore e appassionato viaggiatore del New Hampshire, il couch surfing, letteralmente “saltare da un divano all’altro”. E’ stato definito da alcuni come l’ultima frontiera del viaggiare low cost, ma in realtà ha ben altre ambizioni, come quella di catalizzare le diverse culture a cui i couch surfer appartengono. Si tratta infatti di un programma che permette di mettere in contatto persone con diverse esigenze da ogni parte del mondo; da una parte c’è chi mette a disposizione una camera o il divano in salotto o anche un paio di metri quadri in giardino in cui poter piantare la tenda, mentre dall’altra c’è chi parte per nuove avventure e cerca un posto in cui poter sostare. Lo slogan dei couch surfer recita “Il mondo è più piccolo di quello che pensi!”. La comunità ha recentemente festeggiato il raggiungimento dei 2 milioni di utenti ed è sufficiente registrarsi nel sito per entrare a far parte del “gioco”. Non è previsto alcun monetario, ma non è raro che l’ospite si presenti con un dono per il generoso padrone di casa, come ad esempio un prodotto tipico del suo Paese. Insomma, nonostante la crisi, c’è di che sperimentare e divertirsi anche spendendo poco o nulla, e perché no, anche di concludere qualche buon affare! alessia.melasecche@libero.it

C re@t i va men t e 21 settembre - Rocca di Narni

Quest’anno la Provincia di Terni ha promosso dei laboratori di creatività giovanile tramite il progetto Cre@tivamente, finanziato dall’iniziativa ProvincEgiovani 2010 dell’UPI, Unione Province Italiane, e Ministero della Gioventù. Sette le associazioni senza scopo di lucro che hanno ottenuto il contributo; il 21 settembre presso la Rocca di Narni la data in cui si terrà l’evento conclusivo: ogni associazione avrà l’occasione di presentare i propri lavori. L’Associazione Istess - Istituto Studi Teologici e Storico Sociali, in collaborazione con il CpA- Centro per l’Autonomia Umbro, grazie al contributo, ha organizzato il laboratorio intitolato: La comunicazione positiva per una cultura dell’inclusione. Strumenti e metodi per recepire e diffondere correttamente una cultura della disabilità. Tramite una serie di incontri con esperti nelle tematiche della disabilità, i partecipanti hanno avuto modo di approfondire un tema troppo spesso trattato con superficialità, annacquato da luoghi comuni e pregiudizi, e poi di produrre essi stessi un breve racconto o un video sull’argomento. Infatti, oltre a un assistente sociale, a un tecnico della progettazione accessibile, sono intervenuti in qualità di docenti anche una giornalista e scrittrice e un esperto in ripresa video. Un cortometraggio sarà il prodotto finale dell’Associazione Cielo e Terra, così come dell’ENS - Ente Nazionale Sordi, che in maniera leggera ha affrontato le situazioni paradossali in cui le persone sorde quotidianamente si imbattono. Soccorso Opere Sociali, invece, il 21 esporrà gli oggetti d’artigianato realizzati dai ragazzi, mentre ASTERIA e UNASP Acli, rispettivamente, metteranno in scena uno spettacolo teatrale. Un’altra associazione, Il Progetto, si è concentrata sul discorso della pena di morte, realizzando un video e uno scritto. In quasi tutti i laboratori i temi sociali sono entrati in relazione con varie attività artistiche. Beatrice Ratini

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AMY WINEHOUSE La struggente malinconia della musica soul

Scomparsa lo scorso 23 luglio all’età di 27 anni per un cocktail mortale di alcool e droga, l’icona Amy Winehouse è stata un vero fenomeno musicale del nostro tempo e una delle più grandi stelle della musica soul. Avvolta in un’aura quasi sacrale per i milioni di fan che amavano ascoltarla, nei suoi testi, nella sua musica, nella sua originale voce dalle sfumature black, ma ancora prima nei suoi occhi c’era la sofferenza dell’artista maledetto, circondata da alcool e droga per sfuggire alla depressione di una vita senza amore, perché è l’amore, quello con la “A” maiuscola, che Amy voleva. Lo si capisce bene ascoltando i suoi testi quando cantava: Non voglio più bere, ho solo bisogno di un amico, lei angelo maledetto che con soli due dischi Frank e Back to Black aveva conquistato il cuore di milioni di persone, lo stesso cuore che avrebbe voluto riempire di gioia e che invece soffriva da tempo per mancanza di affetto.

Avrebbe potuto salvarsi se al suo fianco avesse avuto un amico o un uomo in grado di amarla realmente. L’indifferenza di chi le stava intorno, dalla famiglia agli amici, al manager, ai suoi colleghi di lavoro, è stata forse la causa primaria della sua morte, quel non dare importanza al suo bisogno di aiuto. Eppure Amy di amici ne aveva molti, ma nessuno forse è stato in grado di ascoltarla veramente, di supportare il suo disagio, così se ne è andata, pur essendo amata da tanti, ma cosa sono i tanti se poi non si ha vicino almeno una persona che ti vuole bene per il solo fatto che esisti? Amy era forte e fragile allo stesso tempo, come una rosa che ha tante spine per difendere la sua bellezza ma al primo soffio di vento impetuoso rischia di sfiorire. Dopo il matrimonio fallito con Blake FielderCivil e tutti gli altri amori che l’avevano abbandonata, la giovane aveva incominciato a fare uso di stupefacenti per cercare di mettere fine al dolore interiore in continua evoluzione tanto da renderla inerme davanti alla realtà del suo successo. La fine è arrivata, peccato nel senso sbagliato, colpendo direttamente lei e tutti coloro che le volevano bene. Come cantava in Love is a losing game l’amore era per lei una partita persa ed è stata questa assurda ma vissuta condizione a portarla al triste epilogo.

Un grande rammarico vivrà per sempre nello spirito di tutti quei fan che non hanno potuto conoscerla direttamente, ascoltandola almeno una volta dal vivo, di non aver fatto in tempo ad ammirare personalmente la sua genialità artistica. Mancherà a milioni di persone la sua inconfondibile voce, le sue performance, il suo look delle volte eccessivo ma pur sempre di classe ed elegante, la sua emozione quando ritirava un premio e piangeva come un’adolescente affianco alla sua mamma, la sigaretta portata quasi per dispetto davanti ai giornalisti, quel suo guardarsi intorno meravigliato e allo stesso tempo indifferente, come a voler sottolineare che nella vita la gloria e il successo non sono nulla se non si ha l’affetto delle persone care. Ricorderemo inoltre il suo glamour anni Sessanta accompagnato dallo stile aggressivo e passionale, la sua forza espressiva e quel suo particolare anticonformismo che per molti è stato e sarà un modello da seguire. Con Amy Winehouse si è spenta non solamente la vita di una grande artista che da subito ha saputo affermarsi sul mercato discografico, ma quella di una giovane ragazza di ventisette anni. In lei c’era un tocco di originale follia, lo sguardo magnetico, i capelli raccolti in un ciuffo alto come la sua fama e tutta la bellezza di una voce che resterà eternamente viva nella storia della musica. Lorenzo Bellucci lorenzobellucci.lb@gmail.com

L’invidia: il sentimento dell’autodistruzione Michele lo sapeva da tempo ma per rispetto e affetto aveva sempre taciuto, sperando in un cambiamento che tardava ad arrivare. Sapeva che Paolo lo invidiava, sapeva che il suo migliore amico da tempo non era più lo stesso e ogni cosa che Michele faceva gli veniva criticata con rancore. Paolo aveva tutto dalla vita ma non sopportava che altri avessero lo stesso o più di lui. Con gli anni sul suo viso si era posato un grigiore che si accentuava ogni volta che ai suoi occhi si presentava qualcuno con delle cose che anche lui voleva. Paolo si era ammalato d’invidia, di quel sentimento negativo consistente nello svalutare le persone percepite come migliori di lui. Spesso non si limitava al pensiero o alle fantasticherie di tipo aggressivo e distruttivo, ma cercava di

Terni - Via dello Stadio 63 Tel. 0744 401995 6

danneggiare Michele, ostacolandolo in ogni suo progetto o iniziativa. Auspicava null’altro che il male, la sfortuna e la definitiva sconfitta all’odiato rivale. Il rancore e l’ostilità arrivarono a dei livelli talmente alti che i due amici decisero di separarsi rovinando il loro rapporto per sempre, nonostante la bontà di Michele nel voler far ragionare Paolo. Una storia, questa, che dovrebbe farci riflettere sul potere distruttivo dell’invidia, sentimento negativo che troppo spesso alberga nell’animo di molta gente e per vergogna nessuno vuole ammettere la sua esistenza. Come una vipera pronta in agguato ogni volta che qualcuno viene percepito come migliore per le cose che possiede, per delle qualità, per dei modi di fare o fortune avute dalla vita, l’invidia scatta all’attacco. Riconosciuta come uno dei sette vizi capitali, la sua negatività è tra i problemi più grandi della società fin dai tempi più antichi e non solo non serve a nulla ma provoca sentimenti di vera ira. Un sentimento autodistruttivo consistente secondo il grande filosofo Spinoza nella “disposizione che induce l’uomo a godere del male altrui e a rattristarsi, al contrario, dell’altrui bene”, parole vere che purtroppo trovano fondamento nella quotidianità: amicizie rovinate, storie d’amore finite male e ogni altro tipo d’affetto mandato in polvere. L’invidia nasce, inoltre, solo quando si conosce personalmente l’invidiato; non proveremo mai invidia per una cantante famosa o un attore celebre e bello o ancora un ricco finanziere americano, perché lontani dal nostro orizzonte sociale.

Questa forma d’invidia è detta buona, corrispondente all‘emulazione: un desiderio profondo di arrivare allo stesso livello dell’altro, anziché abbandonarsi allo scoramento e alla maldicenza dell’altro più fortunato. L’invidia positiva è dunque uno stimolo, una motivazione verso l’auto-miglioramento, colmando le proprie lacune e valorizzando i propri punti di forza, per cercare di somigliare sempre di più al modello vincente rappresentato dall’altro. È l’invidia cattiva a doverci spaventare, invece, perché è in lei che si origina quel malessere collettivo di insoddisfazione che rischia di rovinare i rapporti e di non far stare bene gli individui. Nessuna persona al mondo, in quanto essere umano, col suo cumulo di debolezze e fragilità, può dirsi totalmente immune da simili sentimenti, ma se veramente vuole bene a un amico o tiene al bene di una persona, l’invidia non dovrebbe esistere. Inoltre, chi soffre d’invidia è costretto a nascondere sempre il suo sentimento vivendo male, non potendolo mai lasciare trasparire, perché altrimenti darebbe a vedere la sua impotenza. L’invidia è un sentimento inutile che non porta alla valorizzazione del sé, impoverisce il mondo e tenendolo nascosto non può neppure trovare conforto nel piacere della comunicazione. Possiamo solamente augurarci di non essere mai invidiati ma soprattutto di non invidiare mai altre persone, per non finire nel baratro dell’autodistruzione rischiando di rimanere soli. LB


Disoccupazione giovanile

Paradossi sociali sensibili

Orientamento, come chiave di soluzione di problemi sociali Che la crisi sia globale, non può costituire una scusa. Tutti abbiamo a che fare con gli effetti prodotti da uno dei periodi più tragici per l’economia internazionale e nazionale. Non serve neanche negarla, come si è fatto fino ad oggi, perché una crisi di tali proporzioni non si lascia sotterrare per scomparire nel nulla. Anzi, quando riaffiora lo fa con la forza di leggi fisiche che la vogliono pari alla spinta ricevuta per nasconderla. Le statistiche non hanno logica, ma nella spietatezza dei numeri hanno il merito della sintesi. E sanno parlare chiaro: l’Italia ha la percentuale di disoccupazione giovanile più alta d’Europa. Il 29.6% dei ragazzi in cerca di prima occupazione è sistematicamente respinto dal mercato del lavoro. Quasi un terzo della popolazione attiva, quella in grado di dare un contributo concreto alla produzione nazionale è umiliata sistematicamente dal rifiuto di prestare la propria opera. Le conseguenze sono disastrose, non solo per gli equilibri psichici individuali, ma per l’intero contesto sociale, a cominciare dalla famiglia e dai rapporti interpersonali. Ma il danno maggiore grava sullo stesso sistema economico, che diviene così causa ed effetto del fenomeno. I dati di Confartigianato sono allarmanti: un milione e centotrentottomila persone sotto i 35 anni non ha sbocco lavorativo in Italia. Nove punti percentuali ci dividono, in negativo, dalla media europea. Il problema non è scoppiato all’improvviso, ma si è alimentato nel tempo nell’indifferenza di tutti. Non si è sentita l’urgenza di programmare la formazione, di analizzare gli indirizzi, di consolidare le competenze, di aggiornare le conoscenze, di interpretare gli sviluppi dei mercati esteri e nazionali. Anche nella nostra città aumenta la disoccupazione giovanile e nello stesso tempo le industrie locali cercano, per essere competitive sui mercati, diplomati degli Istituti Tecnici e Professionali cioè risorse qualificate e specializzate rispondenti alle esigenze dell’industria e dell’artigianato. Nonostante questo il numero di iscritti ai Licei aumenta del 3%. Confindustria preoccupata è scesa in campo a livello locale e nazionale illustrando alle famiglie le necessità e le opportunità offerte dall’industria locale e nazionale. In una parola, è stato ignorato un elemento decisivo delle tendenze che, a breve e medio termine, avrebbe avuto il mercato, fingendo di non sapere che esso è soggetto ad un’evoluzione naturale, progressiva e che, quindi, necessita di continui adattamenti. La defaillance italiana sta a testimoniare che abbiamo perso la sfida con i nostri soci-concorrenti. Siamo rimasti indietro, incapaci di competere perché impreparati a farlo. Nessun operatore in proprio può permettersi di fare a meno di studiare gli effetti di una crisi e meno che mai dovrebbe farlo uno Stato che non sia rassegnato a navigare a vista, ma che consolidi le proprie forze sulla scorta della programmazione. Il processo, che si potrebbe sintetizzare nel termine di orientamento non è semplice, ma i Paesi che hanno adottato una qualche forma di prevenzione godono, in questi periodi di difficoltà, di enormi vantaggi. Lo ha fatto la Finlandia, la Germania, lo fanno da sempre i paesi scandinavi, lo ha fatto la Spagna con il vantaggio di uscire dall’isolamento europeo del dopo-Franco. Cosa significa orientare? Vuol dire programmare lo sviluppo di un Paese interpretando i settori economici di crescita e preparare le strutture istituzionali a formare le giovani generazioni dotandole delle competenze necessarie a vincere le sfide globali. Ciò comporta che le strutture ministeriali interessate al tema organizzino sistemi di supporto allo sviluppo coordinando a livello periferico le attività formative (Scuola, educazione permanente, FTS) impegnate nel processo. L’impegno è, in ogni caso totale, nel senso che non sono solo le associazioni di categoria ad essere chiamate a realizzare il progetto, ma anche le organizzazioni sindacali, troppo miopi al riguardo, insieme all’intero sistema statale e locale. Fatta salva la libertà di ciascun giovane di intraprendere gli indirizzi formativi che più lo interessano, il coordinamento individua gli sbocchi lavorativi futuri, concentrando sugli aspetti dello sviluppo le attenzioni dei singoli, con risparmi consistenti per l’economia dello Stato e, di conseguenza, della società. Orientamento, quindi, come chiave di soluzione di tanti problemi sociali. Ing. Giocondo Talamonti

L’estate è una delle stagioni in cui la televisione viene quasi snobbata, per ovvi motivi. Ci sono però dei momenti, delle giornate, in cui, per un motivo o per un altro, ci si ritrova fermi davanti lo schermo e allora, nonostante il caldo, alcune cose colpiscono particolarmente. Mentre guardavo l’ennesima replica dell’ennesima serie televisiva che ci ripropongono durante i mesi più caldi dell’anno mi sono imbattuta in una di quelle campagne di sensibilizzazione sociale che tanto piacciono ai nostri Ministeri e che mi lasciano sconvolta la maggior parte delle volte. In questo periodo si sta cercando di combattere il fenomeno dell’evasione fiscale con spot dalla dubbia potenza e con cartelloni enormi in stazioni, aeroporti, porti e punti strategici dove sarà impossibile non notarli. Uno spot fa vedere una carrellata di parassiti presenti in natura ingranditi al microscopio (che fanno anche abbastanza senso) per poi presentare, in ultima battuta, la foto di un uomo con la didascalia Evasore fiscale, seguita poi da una voce piuttosto dura che parla di come i parassiti rovinino le vite dei vari esseri viventi, di quanto sia grave il fenomeno dell’evasione e di come sia importante lottare per evitare che continui a essere così presente nel nostro Paese. Altro spot, stesso argomento: stavolta ci sono dei coloratissimi disegni animati e una voce spiega di come, con i soldi del fisco, si possano offrire servizi migliori e di quanto sia importante pagare le tasse e far sì che tutti le paghino, senza imbrogliare il resto del Paese. Ora, dire che sono rimasta scioccata è dir poco. Ma secondo voi questi spot convinceranno gli evasori a non evadere le tasse? Quanti di noi non sapevano che pagare le tasse è un dovere di ognuno e che, pagandole, si collabora per un presente e un futuro migliore? La cosa che più mi ferisce e più mi dà veramente fastidio è che i primi ad evadere le tasse e a cercare le scappatoie per fregare il prossimo sono proprio coloro che sono dietro al nome Ministero. Questi spot li trovo offensivi, altro che formativi. Offensivi perché offendono l’intelligenza di chi, nonostante i propri problemi, rimane onesto nonostante la disonestà dilagante. Offensivi perché chi paga le tasse non le paga perché ha visto uno spot in tv. Offensivi perché chi evade le tasse non smette di evaderle perché ha visto un cartellone all’aeroporto mentre stava aspettando il volo per chissà quale meta esotica. Offensivi perché i nostri problemi non si risolvono certo con degli spot televisivi e non possono pensare certo che con questi mezzucci si smuoverà qualcosa. L’educazione civica, la coscienza di ognuno e la predisposizione al rispetto sono gli elementi da coltivare, accudire e cercare di stimolare, altro che spot tv. Purtroppo però per questi aspetti dell’animo umano la televisione continua a essere solo deleteria e l’unica sensibilizzazione che può arrivare a fare è quella alle prese in giro, per cui c’è un solo rimedio: il tasto di spegnimento del telecomando. Chiara Colasanti

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Chiusura Domenica Sera

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Anche oggi, come in altre epoche storiche, si pone il problema della tolleranza a causa della presenza di intolleranze di vari tipi: religiose, politiche, ideologiche, razziali, etniche, culturali. Anche oggi la tolleranza è sottoposta a molteplici attacchi da parte degli intolleranti e dei fanatici di ogni tipo. Perciò è il caso di fare un po’ il punto della situazione. Ci sono coloro che ritengono la tolleranza pericolosa quando assoluta, quando cioè ammette la tolleranza anche verso gli intolleranti e questo con la motivazione che il tollerare gli intolleranti potrebbe permettere a questi ultimi di prevalere e creare così una società nella quale scomparirebbe ogni tipo di libertà di coscienza e di democrazia. Ci sono poi coloro che rifiutano il termine stesso di tolleranza in quanto sinonimo di sopportazione, non perché siano intolleranti ma, al contrario, perché la ritengono basata sul pregiudizio tipico di chi, pur essendo convinto di possedere la verità, sostiene che bisogna sopportare benevolmente chi sbaglia. Ci sono infine coloro che interpretano la tolleranza alla luce della convinzione che esistono una pluralità di verità e che tutti hanno diritto a esprimerle liberamente secondo coscienza. Quindi nessuno deve sopportare alcuno, ma tutti devono vivere la tolleranza come riconoscimento del diritto di ognuno alla libertà di coscienza e di espressione, che è l’acquisizione fondamentale a cui si arrivati oggi, almeno dal punto di vista teorico, dopo secoli di lotte per la libertà. Molteplici sono i motivi che spingono a favore di questa concezione della tolleranza: dal punto di vista etico essa è doverosa, perché se si rivendica il rispetto per le proprie opinioni questo stesso rispetto va riconosciuto alle convinzioni degli altri; dal punto di vista teoretico è logicamente derivante dalla ammissione dell’esistenza di una pluralità di verità (relativismo) che come tali devono accettarsi a vicenda; dal punto di vista pratico si presenta come un metodo di convivenza sociale utile e politicamente efficace, perché, rifiutando ogni forma di violenza, permette l’affermarsi e il consolidarsi della democrazia. A questo punto va affrontato un nodo teoretico che il problema della tolleranza si porta appresso e dal quale non è facile uscire: la tolleranza deve essere assoluta o relativa? Più precisamente: si devono tollerare gli intolleranti? La logica vuole che per coerenza occorrerebbe tollerare anche i fanatici e gli intolleranti, altrimenti si cadrebbe in una contraddizione: se non si tollerano gli intolleranti si diventa a propria volta intolleranti. Ma, facendo prevalere il valore della coerenza, si rischia di far vincere gli intolleranti e quindi mettere a repentaglio libertà, tolleranza e democrazia. È per questo motivo che molti pensano non si debba tollerare gli intolleranti, meglio una contraddizione logica che una società fondata sull’intolleranza. È questa ad esempio la posizione del filosofo John Locke che, nella società inglese della seconda metà del Seicento, affermava non doversi tollerare i cattolici papisti, perché una volta al potere non avrebbero tollerato le altre religioni. Lo stesso problema, cioè se tollerare gli intolleranti, si presenta continuamente anche oggi, ad esempio lo storico Irving, negazionista dei campi di concentramento, viene messo in carcere per impedirgli di divulgare le sue idee, pericolose perché potrebbero fare proseliti: giusto o va contro la libertà di espressione come diritto di ogni individuo? Come si vede la scelta tra queste due posizioni non è facile e sicuramente va lasciata alla coscienza di ciascuno. Comunque la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, consapevole del problema, si rese conto che i diritti in essa affermati potevano essere usati dagli intolleranti contro questi stessi diritti, come dimostra ad esempio la posizione oggi di alcuni integralisti islamici, i quali affermano Vi conquisteremo con le vostre leggi e vi domineremo con le nostre, per questo motivo ci dà una precisa indicazione nell’articolo 30: Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati. In altre parole non si possono usare libertà e diritti per poi negarli. Per impedire questo non si devono tollerare gli intolleranti. Marcello Ricci

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PSICHE

I l p rob l e m a d e l l a tolleranza

Quando il rimedio è peggiore del male Quando c’è qualche problema serio tendiamo a fare istintivamente quello che a naso ci pare giusto ed efficace; è molto raro che il mezzo che scegliamo come rimedio sia invece ponderato e valutato. Ma ahimé ciò che facciamo in questi casi (e ne vedremo subito alcuni esempi) nove volte su dieci non funziona; noi però, convinti che la nostra scelta sia comunque quella buona, intensifichiamo allora il comportamento che riteniamo possa risolvere il problema. Purtroppo con risultati quasi sempre negativi, giacché il reiterare e prolungare nel tempo un rimedio inefficace non è affatto un sistema per trasformarlo in efficace. E’ incredibile quante volte vengano a consultarmi persone che, dopo aver reiterato per anni un tentativo infruttuoso di soluzione si rivolgono a me, meravigliandosi che proprio la loro lunga insistenza nel tentativo (sbagliato) non abbia ancora portato a una soluzione. Qualche esempio? Quanti ne volete! Chi è geloso del proprio partner gli rende di regola la vita impossibile con scenate, controlli ossessivi, esasperazioni di tutti i generi. Beh, come si può pensare che questo giovi a recuperare un amore vacillante? Che ne direste di uno che per corteggiare una persona, anziché essere gentile e gradevole la perseguitasse, insultasse, tormentasse? Eppure tant’è: chi è geloso è proprio questo che fa; e spesso così si procura da sé le corna che non aveva. Con il depresso tutti si sbracciano a consigliargli di svagarsi, divertirsi, andare a spasso. Ma la malattia del depresso consiste proprio nel non potere - dolorosamente - fare queste cose, sicché tutti i buoni consigli hanno lo stesso effetto che avrebbe il consigliare a uno storpio di partecipare a una gara podistica. E l’effetto del rimedio adottato è per l’appunto che proprio per questo il depresso si deprime sempre più: il rimedio è dunque, qui come altrove, peggiore del male. Con l’anoressica l’ambiente familiare fa qualcosa di simile: la invita, esorta, prega, supplica di mangiare almeno un po’. Ma tutto ciò non fa che portarla ad arroccarsi dentro la sua anoressia, proprio come farebbe un sacerdote (se degno) davanti alle profferte erotiche di una donna seduttiva: cioè chiudendosi con tutte le proprie forze nel proprio stato di astinenza. Vedremo in una delle prossime rubriche che se mai c’è un rimedio all’anoressia, è proprio nel comportamento inverso. Ancora: dire “calmati, calmati” ad un ansioso ottiene il sicuro effetto di esasperarne l’ansia, proprio come dire “presto, presto” ad una persona lenta. Infine: dire “ma stai benissimo, non hai niente” all’ipocondriaco che si sente addosso tutti i mali del mondo non fa che portarlo, perdendo fiducia in chi glielo dice (medici in testa), a fare altri esami, altre ricerche, altre analisi, disperandosi ed esasperando chi gli sta vicino. L’elenco potrebbe continuare e ne riparleremo. Ma intanto la conclusione è: quando un problema è facile, pensateci da soli. Ma se invece è davvero serio, chiedete un aiuto a chi la soluzione dei problemi ha per professione. Dr. Vincenzo Policreti Psicologo, psicoterapeuta policreti@libero.it


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Terni Praga

Quando guardate dalle finestre della Camera dei Deputati in direzione dei palazzi di Malá Strana siete in connessione permanente con un pezzo della storia italiana. Non c’è da stupirsi, allora, se un giorno vi alzate e andate a conoscere quegli amici che già conoscete così bene grazie alle opere che hanno creato a Praga. A Terni ho trascorso una settimana insieme all’Associazione Amici dell’Italia. Può sembrare poco, ed infatti è poco, ma le esperienze, che i rappresentanti della Provincia di Terni hanno preparato per noi, basterebbero per uno stage di varie settimane. Non sono mancati gli insegnamenti, il divertimento e i momenti per i ricordi, le riflessioni e naturalmente i programmi per il futuro. L’onnipresente cordialità, la dedizione e l’evidente felicità di stare insieme. Dopo ogni nuova idea dei nostri amici mi dicevo: Basta, basta! Non saremo mai in grado di contraccambiare! Al tempo stesso mi sono resa conto che qui non si tratta di pareggiare i conti, ma che la cosa realmente importante è l’amicizia. Ed ecco, quindi, il mio messaggio: Saluti, Terni! A presto! Gabriela Pecková Deputato della Camera dei Deputati della Repubblica Ceca Membro della Commissione Esteri

Desidero ringraziare in nome dell´Associazione Amici dell´Italia in Repubblica Ceca il Dott. Sandro Pascarelli e tutti i suoi collaboratori per l´organizzazione del corso estivo di lingua italiana nella Provincia di Terni. I partecipanti del corso, compresa l´Onorevole del Parlamento della Repubblica Ceca Gabriela Pecková, sono rimasti entusiasti e chiedono di proseguire con questa attivitá. Sono consapevole di quanto lavoro e quanto impegno abbia richiesto la preparazione e quanti problemi hanno dovuto affrontare gli organizzatori. Per questo stimo il lavoro del Dott. Pascarelli, il quale é riuscito a superare le difficoltá e con entusiasmo ha preparato un programma perfetto. Ha assicurato e organizzato instancabilmente tutta l´organizzazione dell´operazione. So anche che in quel periodo ha dovuto affrontare dei problemi familiari molto gravi. Ringrazio perció anche la sua famiglia per la pazienza e la comprensione. Spero che anche in futuro continueremo nell’ottima collaborazione, anche se penso che il successo del corso di quest´anno a Terni sará difficile da superare. Con stima Petr Dostál Presidente dell´Associazione Amici dell´Italia in Repubblica Ceca

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La Provincia di Terni per la cultura

In un mio articolo dell’ottobre 2010 in merito ai gemellaggi, sottolineavo l’importanza di dedicare tempo e competenze nei settori della valorizzazione delle vocazioni territoriali, dello sviluppo rurale e dei piccoli centri, del patrimonio culturale e naturale, della produzione artistica e delle tradizioni enogastronomiche. Indicavo anche come il CRAL della Provincia di Terni, le due associazioni (ANCAPI e INTERCRAL Terni) di cui il CRAL fa parte, con un gruppo di lavoro integrato da Giampiero Raspetti, intendeva raccogliere questo suggerimento e portare avanti questa iniziativa. La strada è stata subito quella di trovare partners europei con i quali condividere l’idea e iniziare una collaborazione. Abbiamo iniziato con Praga e l’incontro con l’Associazione Amici dell’Italia è stato veramente entusiasmante. Loro, che condividono i nostri stessi propositi (nello specifico “sostenere lo sviluppo dei rapporti Italo-Cechi a livello di associazionismo e di avvicinare l’Italia dal punto di vista culturale e civico”), hanno subito colto l’occasione per intensificare i rapporti con il nostro paese e per ampliare le conoscenze della nostra bella Italia. Le due iniziative, quella del 2010 a Praga e quella di quest’anno a Terni sono state l’evidenza che se si crede veramente in questo tipo di attività i risultati arrivano e con loro la grande soddisfazione di aver contribuito alla valorizzazione dei territori e all’integrazione culturale. La settimana organizzata a Terni ha lasciato grande entusiasmo nei partecipanti Cechi. Le due iniziative, a Praga nel Luglio 2010 e Perfezioniamo l’italiano attraverso le bellezze del territorio dal 24 al 31 di luglio 2011, sono frutto di un grande gioco di squadra che ha visto collaborare le Istituzioni, le Associazione e i singoli cittadini. Fin dalla prima idea, il gruppo di lavoro ha lavorato per questo proposito e quello che abbiamo ottenuto è il risultato e il coronamento di due anni d’intenso lavoro. L’obiettivo era quello di risvegliare e riproporre nelle istituzioni e in tutti i cittadini, di ogni età e di diversi ambiti, percorsi ed esperienze che contribuiscano a cementare in tutti lo spirito europeo attraverso iniziative concrete. L’esperienza che è stata fatta si commenta da sola negli articoli dei partecipanti. Voglio quindi ringraziare quanti hanno creduto in questo progetto e quanti spero continueranno con noi a crederci, per riuscire a realizzare il Circuito dei gemellaggi. Desidero per prima cosa ringraziare chi, con me, ha lanciato il progetto e quanti poi si sono aggiunti strada facendo in questi due anni di lavoro. Quindi un doveroso e grande ringraziamento va all’apposito gruppo di lavoro che si è costituito a partire da Giampiero Raspetti e Rosella Mastodonti con i quali abbiamo ragionato, approfondito, elaborato, creato gli eventi culturali e sportivi e individuato il soggetto partners; ai responsabili dei Circoli Intercralterni ed in particolare Filippo De Nardis (Presidente Intercralterni), Stefano Borghetti (Circolo Ospedalieri), Alberto Placidi (Cral Comune di Terni) per la concreta collaborazione nell’organizzazione dei gruppi e nel coordinamento delle attività degli stessi a Praga; a tutta la squadra dell’A.S.D. Rugby Terni che si è messa a disposizione per curare la parte sportiva del programma. Con tutti loro abbiamo realizzato la prima parte, molto importante, del progetto (viaggio a Praga nel luglio 2010) che ha prodotto l’intensificarsi dei rapporti tra le due realtà Associative e che è poi proseguita con la seconda parte del progetto: Perfezioniamo l’italiano attraverso le bellezze del territorio. Qui grande merito va all’Istituzione Provincia di Terni, al Presidente Feliciano Polli e all’Assessore alle Politiche Formative e del Lavoro Fabio Paparelli che concretamente hanno lavorato sul progetto collaborando con il sottoscritto nella realizzazione dell’iniziativa. Il loro contributo, insieme a quello di Massimo Mansueti (C.F.P. Terni), Pompei Giancarlo (C.F.P. Orvieto), Schiavoni Luciano (C.F.P. Narni), è stato determinante per la riuscita delle giornate dedicate ai corsi di Beauty e di Cucina, con il coinvolgimento dei docenti di laboratorio di estetica Annamaria Polimeno, Santicchia Piera e Spadini Patrizia e gli insegnanti di laboratorio dell’Università dei Sapori, Oriano Broccatelli e Stefano Serveri che, mettendosi a disposizione con grande spirito di collaborazione e professionalità, hanno fatto lievitare il livello di organizzazione e di gradimento delle attività didattiche. Un grazie di cuore anche a Stefano Notari e Barbara Moriconi, per la collaborazione nei percorsi didattici effettuati alla Cascata delle Marmore, a Lamberto Cola per la giornata a Piediluco, al Frantoio Bartolini di Arrone che è stato apprezzato moltissimo non solo per la bruschetta offerta ma anche per la parte didattica dedicata all’illustrazione di come si fa l’olio, ad Angelo Ceccoli “lo stradino, apprendista storico ternano”, per la capacità di raccontare una città attraverso la passeggiata effettuata fino alla basilica di San Valentino. Un doveroso ringraziamento va ai Municipi di San Gemini e Narni ed ai loro Sindaci che hanno messo a disposizione le bellezze dei lori Borghi con le visite ai musei, ai Palazzi, alle chiese. Ringrazio Alberto Falcini e Vittorio Grechi per aver contribuito alla organizzazione della bellissima visita di Stroncone guidata dal Dott. Giorgio Angeletti, che ovviamente ringrazio, e Giampiero per la sua conferenza, da tutti molto apprezzata. Infine devo ringraziare l’Hotel De Paris e il suo staff, per la collaborazione prestata nell’accogliere e gestire gli ospiti che hanno gradito molto la scelta effettuata. Ed ora come si conclude ogni ringraziamento, nella speranza di non aver dimenticato nessuno, invito le istituzioni e le associazioni a non mollare e a continuare su questa strada. Sandro Pascarelli Presidente ANCAPI e CRAL Provincia di Terni


In estate 2010 ho trovato i nuovi amici A Praga è arrivato grande gruppo dei cittadini della Provincia Terni per fare il gemellaggio. Li aiutavo con il programma della visita. Purtroppo dovevo risolvere anche i problemi con la partecipazione loro città partner ceca. Cercavo di salvare un po’ la situazione che mi è dispiaciuta molto. Durante questa visita praghese ho conosciuto le persone bravissime. A s s o c i azi one A mi ci del l ’ I t al i a Poi loro mi hanno detto che vogliono ricambiare. Ma come? Mia risposta e stata questa: Vorrei realizzare il Brixiho 21, 162 00 Praha 6 corso estivo della lingua italiana in Italia per gli nostri studenti di Praga, mio sogno da anni. Tel/fax 00420 235 362 939 606 648 317 “Nessun problema! Facciamo un corso della lingua italiana attraverso le bellezze del territorio umbro”, e-mail prateleitalie@seznam.cz ha detto Sandro Pascarelli. Ma i problemi poi erano venuti. Grandi problemi! www.prateleitalie.eu Nonostante Sandro con gli suoi amici ha superato tutto sempre con grande entusiasmo e mi ha sostenuto quando non avevo piu la forza andare avanti. Dopo un anno il corso è nato. E’ nata una cosa eccezionale. Un incontro pieno dell’amicizia che ha dato a tutti noi un sacco delle cose pozitive. Per noi tutti l’esperienza indimenticabile per sempre, una grande pillola della medicina che si chiama ITALIA! Mi permetete adesso ringraziare. Grazie Terni, città bellissima, elegante, tranquilla, amichevole, un posto dove si vive bene, ben gestita, pulita, molto affabile, quando ho fatto paio dei passi subito ho incontrato qualche amico, Giampiero, Angelo, grazie Angelo della tua visita guidata, grazie Hotel De Paris molto comodo, dove erano tutti gentilissimi, grazie della dieta per la nostra Michaela, grazie anche di shopping, tutte le nostre studentesse contentissime... Grazie Provincia, che bellezze naturali, architettonici, storici quali ci ha offerto, grazie delle accoglienze ufficiali alla sede di Provincia dal presidente Feliciano Polli e al municipio di San Gemini, ci siamo stati molto onorati. Grazie a tutti che avete aiutato a presentarci vostro paese, grazie Lamberto della giornata Piediluco e del tuo aiuto in aeroporto, quando Tiburtina è stata in fiamme, grazie direttore e tutti suoi collaboratori di Orvieto, grazie Massimo, alle tue specialiste di beauty style, grazie di tuo olio e davvero delicate, cinghiale buonissimo, grazie Roberto della tua ospitalita, grazie Provincia dei tutti i prodotti tipici, cibi, vini squisiti, tartufi, grazie a tutti di Stroncone, a Giorgio per visita guidata, grazie signora proprietaria di frantoio, grazie tutti specialisti di musei e centri delle scienze... Grazie Giampiero, della tua conferenza di etimologia delle parole italiane fatta benissimo, grazie della sorpresa carina alla fine, grazie della giornata interessante a Stroncone, della bellissima passeggiata a Terni, della tua Pagina sempre aperta per le nostre parole, grazie di grande lavoro che fai per i nostri gemellaggi... Grazie maestro Oriano, grazie delle due giornate nella tua scuola della cucina italana davvero spettacolari, sei grande professionista, grande maestro insegnante della cucina e della lingua italiana. Tutti studenti partecipati erano affascinati, ci sono a Praga adesso venti cucine dove si preparano i veri cibi tipici italiani... grazie te... Grazie gruppo, il ringraziamento particolare... non ci conoscevamo prima. Ho avvertito Sandro di nostra mentalità molto diversa rispeta quella italiana. Nostre persone sono troppo chiuse, tristi, pessimistiche, antipatiche, colpa di nostro clima, manca sole. Ma che sorpesa! Subito durante prima giornata li ha assorbita l’atmosfera amichevole, dal questo momento erano tutti cambiati, tutti allegri pieni di entusiasmo infinito. Un miracolo! I medici ed avvocati famosi (uomini!) con sorriso felice si hanno lasciato fare la depilazione delle sopracciglie! Adesso sono tutti contentissimi, dicono che la settimana è stata stupenda, chiedono seguito. Per noi, che siamo volontari, chi piace dare, questo è nostro stipendio, la soddisfazione della gente... Grazie gruppo, siete stati perfetti... Grazie Gabriela, con nostro gruppo ha visitato Umbria anche la parlamentare della Repubblica Ceca Gabriela Peckova. Prima mi sono stata preoccupata, grande responsabilità per l’organizzatore, ma è venuta nuova sorpresa! Nessun problema! Gabriela è diventata subito una di noi, cara amica, molto gentile, studentessa diligente, sopratutto nella cucina. Ha sempre buona volontà stare nel contatto con i nostri amici di Terni, con noi tutti e procedere nelle attività di gemellaggio. Sono molto lieta di conoscerti... grazie Gabriela... Grazie Fabio, grazie a te ogni porta in provincia è stata sempre aperta per noi, grazie della tua grande ospitalità, grazie per la tua disponibilità, grazie per la tua musica, grazie per tuo sorriso permanente... Grazie Sandro, non so che cosa dire più. Tutti i superlativi già erano scritti. Tutto è stato lavoro tuo, che hai fatto con la passione ma anche con la grande responsabilità. Hai superato tanti problemi, hai salvato la idea malgrado dei traditori. Hai creato ininterrotamente l’atmosfera meravogliosa, sensa riposo, durante le tue ferie. Niente strano, si vede che dentro di te l’amicizia è un’anima. Grazie Maria, tu sei la persona più importante di tutti. Senza te non sarebbe niente, tu sorreggi suo marito, nostro Sandro. Grazie della tua pazienza e la comprensione, tu sei la persona che stimo molto, so qualche problemi aveva tua famiglia durante nostro corso. Tuo marito è cavaliere dell’amicizia e tu sei sua regina... Grazie non solo dalla parte mia, grande ringraziamento da tutti studenti partecipati e anche dalla nostra Associazione. Grazie le stelle, la notte San Lorenzo è stata già vicino, l’ultima serata magica sulla Rocca di Albornoz di Narni ho visto la stella che cade... momento meraviglioso. E mio desiderio? Certo che nuovo corso, prossimo anno... Dagmar Koutn á Associazione amici dell’Italia - Presidente della sezione di Praga

p.s. scusate per mio italiano, si capisce perché organizzo i corsi della lingua, bisogna sempre studiare....

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Lettera aperta dall’Umbria magic

Cara Dasa, tanti saluti cordiali da noi due, sempre appassionati Scrivo io (Libuse Kasparova) perché mio marito ha tanto da fare: sta

Cara Olga, due settimane fa io e mio marito siamo ritornati dalla bellissi dell’Italia di Praga un corso estivo d’italiano in Umbria. E’ sta olive e la produzione di olio d’oliva, Terni, le città antiche e i tes abbiamo trascorso una settimana in Toscana e poi siamo arrivati a ci ha detto che noi siamo arrivati come primi del gruppo ceco; poi con aerei. Poi la prima cena, la presentazione di gruppo e dei nost di Praga e dott. Sandro Pascarelli di Terni. Entrambi sono non s del buon umore italiano permanente. Imaginati Olga, che per la p ho tutte le esperienze annotate. Però non è facile scrivere second ottimi superlativi per la descrizione delle nostre esperienze. lunedì 25/7 dopo la prima colazione partenza per studio beauty. Sotto le man la manicure, tuto con allegria e bilingue, siamo stati molto conte molto interessante, visitiamo anche la chiesa di San Valentino p martedì 26/7 partenza per Orvieto, siamo affascinati dalla ospitalità italiana maestro di cucina italiano, ci insegna come si prepara la pizza, foc ogni suo movimento, tranguagiamo ogni sua parola, tutti dett lievitando e noi fra tempo visitiamo la famosa enoteca sottoterra con la foccacia fresca. Poi la salutiamo e ritorniamo alla cucina, noi con grande ammirazione ed applauso ringraziamo e lui ric dedica il mio libro di ricette. Chiamo subito a casa ai miei figli c colleghi aggiunge ancora meraviglioso duomo gotico di Orviet giornata è stata meravigliosa, può venire la programma ancora pi amici italiani che ci ospitano così perfetamente. mercoledì 27/7 dopo le bellezze di cuccina, architettura, pittura oggi arrivano unico al mondo, le acque che cadono in tre gradi dal lago Piediluc la pioggia nonostante noi siamo sempre felici, contenti, allegri.. giovedì 28/7 per la pioggia non si può vedere la raccolta dei tartufi, peccato. Il famosa abbazia di S. Pietro in Valle con affreschi preciosi. Poi la vi olio di oliva e come profuma. Possiamo comprarlo e lo assaggia venerdì 29/7 alla mattina ci accoglie il Presidente della Provincia di Terni, do Gabriela Peckova consegna i saluti dalla Praga, dal parlamento amichevole, bisogna coltivare questa nostra amicizia. In questa g c’è quadro straordinario fatto dei fiori secchi; qui si trova anche storica bellissima, la visita guidata dal archivario, possiamo veder per noi prof. Giampiero Raspetti la conferenza di etimologia de cosmetica sono vicine? Che nelle parole Manchester e Leiceste diario, ma non è stato possibile scrivere e guardare ed ascoltare La conferenza aveva grande successo anche grazie nostro Michael sabato 30/7 oggi ci aspetta seconda giornata in cucina con maestro Oriano cannelloni, gnocchi, cinghiale, tutto che prepariamo si mangia d balla, si canta, diciamo addio Umbria magica: nostri amici nond Si dice che non è possibile entrare nel stesso fiume due volte... p in futuro. Saluti, Liba

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ca per la mia amica Milá Olinko

i raccontiamo ai nostri amici della settimana stupenda in Italia. preparando le sue 4 conferenze per un convegno dei medici a Praga.

ima vacanza. Abbiamo trovato sul sito di Associazione Amici ato deciso subito. Perché? Per il corso di cucina italiana, pizza, sori nascosti dentro... Abbiamo viaggiato con la macchina, prima all’Hotel de Paris a Terni, dove signore molto gentile in reception i sono raggiunti anche tutti i nostri colleghi quali hanno viaggiato tri capi, signora Dagmar Koutna di Associazione Amici dell’Italia solo gli organizzatori bravissimi ma anche i creatori instancabili prima volta nella mia vita ho scrito diario, adesso contenta perché do questi appunti questo mio l’articolo, devo sempre trovare gli

ni delle specialiste italiane ringiovaniamo, ci trucciamo, ci fanno enti. Pomeriggio la visita di Terni guidata da Sandro ed Angelo; atrono degli innamorati.

a enorme. Non vediamo l’ora, oggi la cucina vera italiana con ccacia e torta pasqualina. Noi, donne ceche, senza fiato guardiamo tagli, scriviamo le ricette, facciamo foto e video. La pasta sta anea ci aspetta la somelier erudita, assaggiamo i vini buonissimi , ognuno prepara la sua pizza. Nostro maestro è molto paziente, eve la medaglia. Immaginati che maestro mi ha firmato con la come siamo felici e affascinati. In questo giorno Sandro con suoi to, con la facciata splendida... famoso gioello d’Italia. Tutta la iù bella? Incredibile! Siamo tutti stupiti dall’attenzione dei nostri

le bellezze naturali. Le cascate delle Marmore, uno spettacolo co. Sul lago ci aspetta battello, pranzo... i cibi italiani tipici, arriva .

programma procede, visita al Museo delle mummie di Ferentillo, isita al frantoio oleario, adesso già capiamo come si fa buonissimo amo con la bruschetta fresca!

ott. Feliciano Polli, siamo la delegazione ufficiale, parlamentare o della Repubblica Ceca, ringraziamo dalla accoglienza molto giornata ci accoglie ancora il sindaco di San Gemini, al municipio e la famosa l’acqua minerale. Poi andiamo a Stroncone, la città re ed anche toccare i vecchi pergamene. A Stroncone ha preparato elle parole molto interessanti. Sai, Olga, che le parole cosmo e er sentiamo il castrum latino? Cercavo di scrivere tutto nel mio tutto insieme, tante informazioni etimologici molto interessanti. l di Pilsen, che faceva l’interprete con la maniera davvero brillante.

, molto carismatico. Adesso già sappiamo come si preparano i dopo alla cena festiva, tutto squisito! Si mangia, si beve vino, si dimenticabili, siamo vostri per sempre! pero il mio desiderio è entrare nel questo fiume ancora una volta

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Carissimi lettori, vi vorrei raccontare un po’ della settimana meravigliosa che abbiamo trascorso in Umbria con L’Associazione degli Amici dell’Italia. Prima di tutto - chi siamo? Siamo un gruppetto di studenti di italiano ed amatori dell’Italia, della sua gente e della sua cultura. Subito dopo l’incontro all’aeroporto di Praga abbiamo ricevuto la notizia che la stazione Roma Tiburtina era stata colpita dall’incendio e il trasporto ferroviario stava per collassare. “Come raggiungeremo Terni? L’avventura proprio comincia non bene...” ci è venuto in mente... Insomma, dopo un’oretta e mezza di volo tranquilo atterriamo nella città eterna. I nostri amici italiani ci aspettano e hanno nel frattempo organizzato un pullmino sostitutivo. Che bravi sono! Partiamo per Terni, all’Hotel de Paris, il quale diventerà per la settimana successiva la nostra casa. Nei giorni prossimi faremo tante passeggiate per le strade di Terni ammirando le sue bellezze sia antiche sia moderne, ad es. l’anfiteatro, la porta ed i resti della cinta muraria, il duomo e le chiese di S. Francesco e di S. Valentino. Abbiamo anche avuto tante esperienze tra le quali: la visita del centro della formazione della gioventù, il ricevimento ufficiale con il Presidente della Provincia di Terni, la crociera sul lago Piediluco, l’accoglienza alle porte di San Gemini dal Sindaco, la visita panoramica guidata da lui stesso legata alla visita del Museo di Scienze della Terra e l’aperitivio al municipio, il corso della preparazione casalinga di pizza presso L’Università dei Sapori ad Orvieto e la degustazione dei famosi vini locali, la visita del frantoio e, non da ultimo, la visita guidata delle meraviglie di Stroncone curata dal Dott. Giorgio Angeletti seguita dalla lezione di etimologia tenuta dal Prof. Raspetti. Abbiamo visto la Cascata delle Marmore, i borgi medioevali, per es. Narni con i suoi sotterranei e la rocca Albornoz sopra città (che si assomiglia alla rocca Klenová nelle vicinanze di Klatovy al sud ovest di Boemia), poi il pozzo di S. Patrizio di struttura interessante, il duomo con la facciata mozzafiato e le stradine da sgaiattolare ad Orvieto, e una vera particolarità - le mummie sotto la chiesetta a Ferentillo. Durante questa settimana indimenticabile abbiamo trovato amicizie nuove, abbiamo incontrato gente interessante, abbiamo ampliato il nostro vocabolario e abbiamo perfezionato alcune sottigliezze linguistiche. Siamo lieti di conoscere i nuovi amici a Terni e gli dedichiamo il nostro grande grazie per l’organizzazione della nostra permanenza in Umbria. I pochi giorni sono serviti per vedere soltanto una parte delle sue bellezze innumerevoli eppure l’Umbria rimarrà per sempre nei nostri cuori. Ladislav Michael Wallis Ringrazio agli amici italiani organizzatori del corso della lingua italiana a Terni. Ci hanno fatto vedere le bellezze naturali, storici, architettonici e soprattutto la vita quotidiana umbriese. Tutta la settimana è stata meravigliosa, grande esperienza! Il programma è stato fatto benissimo. Abbiamo tanti ricordi bellissimi e speriamo di ritornare in Italia prima possibile. Jitka

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La mia Te r ni

Settimana meravigliosa in Umbria

Quando ho deciso alla fine del marzo, concludendo la 7a lezione dell’italiano per i principianti, con l’audacità per me allora strana, di partecipare al corso dell’italiano a Terni, con l’entusiasmo del sempliciotto soltanto aspettavo con gioia Italia. Amo Italia, per me è una terra promessa, qundi non potevo fare l’altro che aderire. Devo confessare che non sapevo prima dov’è Terni collocata e visto che in Italia è forse dappertutto bellamente, lo abbastanza non importava. Come il termine della partenza pian piano si avvicinava ed io ottenevo più informazioni, anche se parziali, mi diventavo un po’ incerta. Lì ti lesserai. Lì sono i 36 gradi centigradi nell’ombra, lì il vento non soffia, è una città industriale nella conca. Questi sono stati gli appunti dei miei conoscenti. Questo mi ha spaventato, visto che insomma conosco quei posti “risaputi” pieni dell’antichità classica e del romanticismo e né mi è venuto in mente che lo può essere un po’ di Ostrava italiana (ndr. Ostrava è la città industriale al nord est della Cechia con varie miniere, fonderie e acciaierie, quindi per il suo inquinamento atmosferico è soprannominata Ostrava buia). Caspita! Ma va! È in Italia, lì non lo può essere cattivo! VADO! Per l’arrivo a Roma e il trasloco a Terni non abbiamo trovato proprio il termine idoneo. Domenica è avvenuto l’incendio dell’importante centro del trasporto ferroviario e dunque ha causato l’inferno dei trasporti. E anche per i nostri ospitanti, i quali sono riusciti a trovare, forse per un miracolo, per tutti noi, che avremmo avuto continuare in treno, il pullman e trasportarci felicemente al fine. E questo miracolo piccolo è stato solamente il principio dell’intera settimana miracolosa, che era davanti noi. Nell’atmosfera amichevole siamo passati, con i nostri ospitanti e gli organizzatori sempre sorridenti, di buon umore, diffondendo bel tempo e la gioia dell’incontrare, i momenti indimenticabili sui posti più romantici i quali uno può immaginarsi. Chi di noi sapeva che avrebbe visitato la chiesa di S. Valentino, chi aspettava la bellezza delle città Orvieto, Narni, San Gemini, la degustazione dei vini nell’enoteca vecchia con la spiegazione della sommelier rinomata, la visita di Stroncone con la lezione interessante fuori di misura di Prof. Raspetti, la crociera sul lago Piediluco e la bellezza mozzafiato della Cascata delle Marmore? E chi ha mai l’esperienza che gli l’autista, durante il percorso a queste bellezze, canta le arie gloriose fino al canto del pullman pieno e sorridente sotto la condotta del Dott. Sandro Pascarelli? E le ciliegina sulla torta per tutti gli amatori della cucina italiana - la lezione della cucinatura dello Chef Oriano Broccatelli. E Terni? Non è nessuna Ostrava italiana! È bella Terni storica con tante caffetterie e botteghe. Il mio intuito e la fede all’Italia non mi hanno deluso. Ma a prima volta ho passato qualcosa di più - il contatto dritto interpersonale con i compagni italiani. Finora avevo viaggiato a proprio rischio per conoscere delle bellezze dell’Ausonia ma un’opportunità conoscere la gente insomma non avevo mai. Questa era la prima la quale ha carezzato la mia anima e contemporaneamente mi ha emozionato. L’impegno, la gentilezza e l’approccio dei tutti senza riguardo al proprio tempo libero e le preoccupazioni sono l’energia spaziale dalla quale sono tessuti i vincoli solidi dell’amicizia così rari e pregiati nei nostri tempi frettolosi e alienati. E questo è il valore aggiunto principale! Lo rimarrà dentro di tutti noi, che abbiamo passato il soggiorno dell’anno andante a Terni, indimenticabilmente incastrato. Amici a Terni - GRAZIE! Michaela Rejhonova


Terni sple ndida, vista con gli occhi de i Ce c hi

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Charta volat, aurum manet Viviamo tempi molto difficili. Nubi oscure si addensano minacciose sul nostro futuro economico-finanziario e leggendo gli interventi e le dichiarazioni dei politici, soprattutto italiani ma anche europei in generale, non si ha l’impressione che qualcuno di loro sia in grado di mostrarci la strada verso giorni più soleggiati e tranquilli. Un inequivocabile e tangibilissimo segno della incertezza e della paura è la crescita esponenziale del prezzo dell’oro, che ha raggiunto ormai il valore record di 1.900 $ per un’oncia (un’oncia corrisponde a 31,1 gr). I cinesi, stanchi di accumulare i debiti americani, che in agosto hanno seriamente rischiato di diventare carta straccia, si rivolgono in massa all’oro per mettere al sicuro i loro profitti mentre, più vicino a noi, in Repubblica Ceca è stata annunciata l’apertura di distributori automatici del prezioso metallo in aeroporti ed alberghi scelti. Contemporaneamente assistiamo al panico pre e post estivo che sta accompagnando l’esecutivo in carica pressato dai mercati finanziari innervositi, a loro volta, da orde di anonimi e spietati speculatori che hanno fiutato, dopo i non troppo sostanziosi bocconcini della Grecia e dell’Irlanda, la debolezza di una nuova potenziale, golosissima, preda: l’Italia. Non c’è da stupirsi, allora, se in molti tornino a scoprire il fascino luminoso del nobile metallo. L’oro, infatti, è stato utilizzato come valore di scambio da migliaia di anni. Secondo alcune ricerche la quantità di beni che è possibile acquistare con una data quantità di oro non è cambiata troppo nella storia, mentre sappiamo bene come 1 $ di oggi ci renda molto meno ricchi di 1 $ di 100 e più anni fa. Se allora, come dicevano i latini, verba volant, scripta manent, in ambito finanziario dovremmo dire che charta volat, aurum manet. Infatti, i soldi che ci sudiamo giorno dopo giorno, spesso costretti a fare lavori che non amiamo per mancanza di prospettive alternative, stressati da piccoli capò che sul posto di lavoro trovano modo di sfogare le proprie manie e paranoie personali, sono, in fin dei conti, solo dei pezzi di carta il cui valore è basato esclusivamente su una convenzione sociale. Il giorno che questa convenzione si romperà (e alcuni segnali sono già nell’aria) crollerà come un castello di carta (appunto) tutto il construtto dell’economia occidentale. Aveva una sua logica, allora, il cosiddetto Gold Standard, ovvero il sistema aureo che fissava la quantità della base monetaria in circolazione all’oro di cui disponevano le banche centrali. C’è qualcosa di insitamente perverso nel meccanismo che ha preso il suo posto, ovvero il più indiscriminato signoraggio a favore delle banche centrali. Queste oggi in Europa sono prevalentemente soggetti privati non più responsabili nei confronti dei cittadini, ovvero hanno la facoltà e il diritto di creare ricchezza dal nulla (stampare un biglietto da 500 € ha costi irrisori), di introdurla nel sistema economico che deve lavorare con sudore vero (e non cartaceo) per ripagare questo debito, e, come se non bastasse, con l’aggiunta addirittura degli interessi. La verità è che la moneta slegata da qualsiasi bene materiale tangibile diventa soltanto e puramente debito: il debito di chi accetta il valore di quella moneta (ovvero i 500 € stampati sulla carta) a fronte del credito di chi quella carta l’ha stampata a costi quasi nulli e con ritorni immensi. Si moltiplicano oggi gli economisti che sostengono che l’abbandono del sistema aureo, 1971, sarebbe all’origine delle crisi economiche che ciclicamente investono i paesi occidentali. Naturalmente si tratta di un tema interessante il cui approfondimento supera di gran lunga lo spazio disponibile in questa sede. Eppure vale forse la pena riflettere su alcune cifre finali. Sappiamo tutti che il debito pubblico italiano, pari al 119% del PIL, ovvero 1.843 miliardi di € (2010), un terzo dell’intero debito pubblico europeo, è una spada di Damocle che pende da decenni sui comuni cittadini. Ogni italiano, neonati compresi, è indebitato per 35.000 €, una cifra impressionante. Viene voglia di chiedersi a chi, in realtà, dobbiamo tutti questi soldi, ovvero tutta questa carta che negli anni si è mostruosamente moltiplicata a causa del meccanismo degli interessi sugli interessi sugli interessi e così via? Eppure, tutto sommato, forse non siamo messi così male. Nei caveau della Banca d’Italia sono depositate ben 2.452 tonnellate d’oro per un valore di 73 mld. €, secondo i dati diffusi da Reuters. Parliamo addirittura della quarta riserva d’oro più grande del mondo. Probabilmente non basteranno comunque a pagare tutto il debito pubblico italiano, ma in tempi ancora peggiori di questi tutto questo metallo giallo, vista la febbre dell’oro degli ultimi mesi, potrebbe sicuramente fare comodo. Se solo la Banca d’Italia non fosse al 94,33% di proprietà privata. Peccato. Andreas Pieralli Redattore capo CamiC Magazine Camera di Commercio e dell’Industria Italo-Ceca

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Duilio Carotti 1911-1957

Sin dalla nascita, ne sono convinto, l’uomo, celati nelle profondità del proprio essere, possiede quei semi che poi, aprendosi al sole della vita, riescono a rendere evidenti le caratteristiche e le tendenze personali. In Duilio questo dischiudersi avvenne molto presto. Non appena gli fu possibile si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Perugia, dove seguì i corsi per apprendere la tecnica della pittura che poi personalizzerà moltissimo, man mano che la sua sensibilità al colore maturava in lui. Coinvolto nel momento politico che stava vivendo, Carotti fu inviato in Africa Orientale e quando il tempo glielo consentiva dava sfogo alla sua vena pittorica, sollecitato anche dall’ambiente africano così pieno di vivacità coloristiche che non potevano non suscitare in lui reazioni profonde. L’Africa affascina, ammalia chi possiede un animo da artista. Infatti produsse molte opere in quel periodo tanto che nel 1935 ad Asmara prima e ad Addis Abeba poi, furono esposte in mostre personali. Tornato in Italia frequentò l’ambiente artistico del momento ed ebbe la possibilità di conoscere molti pittori importanti dai quali, nel tempo, ricevette vari apprezzamenti. Inoltre è da tenere presente che la sua attività artistica non si limitò alla sola pittura; Carotti ebbe la possibilità di manifestarsi anche nella letteratura scrivendo novelle, poesie che vengono pubblicate e premiate specialmente nell’ambiente dopolavoristico della Società Temi, allora molto attivo. Con l’amico Clementoni scrive il copione di una rivista che viene rappresentata con successo nel 1945. Non manca di effettuare mostre di pittura personali in varie città e di partecipare a collettive, raccogliendo particolari, lusinghieri successi. Nel 1948, unitamente ad amici e colleghi, molto interessati al riguardo, quali Adalberto Diamanti, Inno Gatti, Aldo Quaglia, Giuseppe Russo, è parte operante nel formare il gruppo artistico La soffitta che in seguito darà vita al premio Terni che otterrà riconoscimenti nazionali ed internazionali. La sua attività artistica viene altresì apprezzata da importanti Maestri di allora quali Manlio Bacosi, Luigi Bartolini, Giorgio De Chirico... che si esprimono molto benevolmente nei riguardi sua personalità artistica. Per quanto attiene, inoltre, la critica locale, va tenuto nella giusta considerazione quanto è stato illustrato da Franca Calzavacca e Mino Valeri in merito alla sua arte. Infatti fu in occasione della Mostra che si tenne a Terni -ottobre 1983- nella sala XX Settembre, patrocinata dalla Regione dell’Umbria, dalla Provincia e dal Comune di Terni e dalla Cassa di Risparmio di Terni, che i nostri due ben noti critici ternani parlarono dettagliatamente di lui e della sua Arte. A mio modesto giudizio Duilio Carotti dimostra nelle sue opere di possedere una personalità particolarmente sensibile alle emozioni che gli procurano il comportamento degli uomini e la bellezza della natura. A darmi questa convinzione sono l’espressione dei personaggi dei suoi ritratti e la dolcezza favolistica dei suoi paesaggi. Purtroppo il cuore gli procura fastidi e questo influisce sulla sua produzione e sulla sua attività partecipativa. E’ infatti costretto a rifiutare inviti per Mostre collettive e suo malgrado deve condurre una vita meno faticosa. Questo è il ricordo della mia frequentazione con lui che purtroppo, per ragioni di tempo, non poté dilungarsi oltre come avrebbe meritato ed io avrei desiderato. Quello che invece voglio mettere in evidenza per sottolineare la poesia del suo animo è questo: Duilio aveva da tempo manifestato il desiderio che la sua esistenza terrena fosse terminata di fronte al mare per il fascino che esso suscitava in lui con le luci caratteristiche delle sue albe e dei suoi tramonti. Mi commuove la circostanza e mi fa pensare che certi avvenimenti non siano solo concomitanze perché Duilio morì a Senigallia mentre era in vacanza Marcello Ghione con la famiglia.

O rr o r i

&

Splendori

Sergio Coppi ha sempre prodotto foto di alta qualità con la scelta di originali temi e con personale sensibilità e poetica. Trattando il tema degli orologi ha indubbiamente sfiorato lo splendore. Non è così per l’orologio della stazione di Terni, mancante da lustri, assenza che costituisce un’eccezione mondiale e che desta, nei più, atarassia e in noi, pochi cittadini critici, orrore. Orrori e splendori, a cura di Paolo Leonelli

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ASSOCIAZIONE ITALIANA DI CULTURA CLASSICA - TERNI Concorso letterario per le scuole Vite Parallele: personaggi a confronto - II edizione Chi sono i classici? Hanno ancora qualcosa da suggerirci, una via da indicarci? A leggere i tanti elaborati giunti all’attenzione della commissione giudicatrice dell’A.I.C.C. di Terni per il concorso letterario Vite Parallele: personaggi a confronto, certamente sì. Decine di giovani e giovanissimi partecipanti - dalla terza media al liceo - si sono messi in ascolto dei maestri del passato, hanno saputo porre domande mai banali, mai scontate e hanno riconosciuto in Omero, Saffo, Sofocle, Virgilio, Orazio, Shakespeare, nella poetessa Corinna o in Virginia Woolf, una luce, una stella polare, capace, forse, di orientare nella complessità del nostro mondo contemporaneo, che rischia di perdere i suoi punti di riferimento. Ben 66 i candidati, di 6 scuole secondarie di primo e secondo grado: la commissione ha scelto i migliori i cui elaborati vi presenteremo a partire da questo numero e nelle prossime uscite. Il primo lavoro è di un’alunna del liceo ginnasio “G.C. Tacito di Terni”, Sara Maria Fantini, che si è aggiudicata il primo premio della sezione “Triennio” con la seguente motivazione: All’insegna di un tono suadente e fortemente evocativo e di un sapiente gioco di atmosfere, l’elaborato propone un approccio molteplice e complesso alla figura di Virginia Woolf, mediante riferimenti alle relazioni affettive ed alle opere della scrittrice e attraverso un competente impiego delle tecniche narrative da lei predilette. Efficace, inoltre, il ricorrere nel testo di elementi naturali, quali acqua ombra luce, e di colori diversi che si caricano di valenze simboliche plurime e profonde. Chiaroscurale risulta, del resto, il pregevole accostamento a Saffo, rispetto alla quale il profilo della Woolf si definisce in virtù di analogie e soprattutto di sensibili differenze. Prof.ssa Annarita Bregliozzi (Presidente A.I.C.C. - Delegazione di Terni)

Come muoiono le falene? La vita nasce nell’acqua e vive di luce. Virginia Woolf lo sapeva meglio di chiunque altro: basta leggere The waves, oppure To the lighthouse, perché sia evidente. Per questo, forse, chiese a Janet Case di insegnarle il greco antico: voleva sentir cantare i poeti della luce, coloro che avevano saputo dipingere mirabilmente l’aurora e l’immortale vigore del sole. Il destino, però, la volle falena, condannandola a cercare incessantemente un chiarore nelle tenebre del lutto, della malattia, della guerra. Virginia lesse Omero, conobbe gli eroi dell’età dell’oro, sentì che il loro dolore si tingeva di gloria, che la loro lotta era un inno alla vita. Più tardi scoprì i lirici e, com’era prevedibile, si invaghì di Saffo. In quella straordinaria poetessa riconosceva qualcosa di simile al proprio tormento, quel patologico dissidio interiore che la isolava, irrimediabilmente, dal resto del mondo. Ma Saffo era una sacerdotessa, Saffo sapeva far volare il proprio canto fino al cielo, fiduciosa del fatto che Afrodite l’avrebbe ascoltata: aveva delle certezze, era consapevole del proprio ruolo nella società e nella Storia. Virginia, invece, scrittrice dell’età del piombo e della follia, visse il crepuscolo degli dei e il silenzio delle Muse. Tentò di resistere al naufragio, dimenò le ali grigie verso il sole; ma la corrente la travolse, e la falena morì nell’acqua. Rodmell, 27 marzo 1941 Carissima Janet, ti scrivo perché so che non puoi rispondermi. Ti scrivo perché non ho più risposte, nessuno ne ha. Non per me. Non riesco più a scrivere, ti scrivo soltanto perché so che non leggerai. Sto impazzendo di nuovo. La luce mi ferisce, il sibilo del vento mi dilania; immagina il rumore lacerante delle bombe che divorano Londra. Te ne sei andata, Janet, per questo sei salva; e forse sei seduta tra i fiori di loto, sulle rive dell’Acheronte... Ricordo quel profumo, me l’hai letto mille volte; i fiori di loto hanno la tua voce, nella mia testa. Traduco a fatica, da quando ho visto il tuo nome sul Times, Janet Case. “E’ morta giovedì; è così bella.” Sono passati quasi quattro anni, il mio greco è volato via con te. Rimangono frammenti, come sempre. Leggo i lirici, pochi versi al giorno: non riesco a sopportare la lunghezza di un periodo, ho aperto la tua Odissea e l’ho richiusa. Poi è arrivata Vita.“ Non riesco a parlare con te”, ha detto: “ Mi frantumi”. Sono sopravvissuta; ma le onde non mi riportano più a riva. Rifuggo l’oceano, l’Ouse mi chiama. Il mio Acheronte è poco più che un torrente. Le scale scricchiolano; dev’essere Leonard, povero Leonard. Sento i suoi passi sul pianerottolo, colgo il suo respiro, percepisco i suoi dubbi e il suo dolore. Caro Leonard. Sfiora la porta con le nocche, sente la penna che graffia la carta; sa che io so che è lì, dietro la porta. Immobile, aspetta; se ne va. Le scale scricchiolano. Quando mi stanco di arrancare, nauseata persino dalla mia calligrafia, sempre più sfibrata, lascio cadere la penna. Rimango seduta, con gli occhi aperti nel buio della mia stanza - ho pregato Leonard di oscurare le finestre. Eppure, sono ancora vulnerabile: atomi di luce si insinuano da chissà quale fessura. Si fanno beffe di me, mi torturano. A volte prendono la forma di un ricordo, di mostri senza nome, falene che si rincorrono di fronte ai miei occhi vuoti, sempre più veloci, il battito delle ali grigie sempre più frenetico, il moto diventa suono acuto, stridente... ...poi vago, limpido suono di corde pizzicate, perso nel crepuscolo indaco che accarezzava il mare, e le onde sospiravano piano. Virginia si alzò lentamente dal cespuglio di mirto che le aveva attutito la

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caduta. Quale caduta, in effetti? Osservò le dita pallide del suo piede destro, fieramente assediate da ciuffi d’erba bruciata dal sole. L’impatto - presunto o reale che fosse - le aveva rubato la scarpa. Poco male, pensò, e si tolse la scarpa sinistra. La terra era così calda, pulsante, e i suoi piedi così bianchi, percorsi da fragili vene bluastre... Si guardò intorno, tentando -inutilmente- di orientarsi. Mirto, mirto ovunque; fiori addormentati, e, più in basso, un boschetto di olivi. Sono morta, pensò. Oppure era un sogno. Sperò nella prima ipotesi; le sarebbe piaciuto trascorrere l’eternità in un posto del genere. L’aveva detto a Janet, una volta, mentre traduceva Longo Sofista, e lei le aveva risposto che c’era tempo, per pensare agli Elisi. Quanto si sbagliava, Janet. Istintivamente seguì il suono, trasportato dalla brezza che soffiava, fresca, da Nord. Ad ogni passo, il frinire di chissà quante cicale la ipnotizzava, il canto della terra si univa al canto del mare. E quelle note nette, umane, avviluppate in un incantevole abbraccio armonico con i suoni del mondo in cima alla scogliera. Vide il faro, e i ricordi l’assalirono, vertiginosi. Signora Ramsay! Signora Ramsay! Luce intermittente, onde, acqua che culla la barca, acqua dietro le palpebre, acqua nelle orecchie, nei polmoni, e il crepuscolo divenne notte profonda. Le spruzzarono gocce d’acqua salata sul viso. Bisbigliavano concitate, in una lingua che sembrava fatta d’acqua anch’essa, e di roccia calcarea e di corteccia d’olivo. Doveva essere greco, ma non riusciva a capire una parola. Aprì gli occhi, li richiuse con un gemito. Una mano fresca, delicata, le sfiorò la fronte, accompagnata da una voce che sapeva di miele ambrato. La voce mormorò qualcosa, e Virginia dischiuse le palpebre, attratta irresistibilmente da quel suono, così dolce e perentorio. Mise lentamente a fuoco un minuto viso di donna, brunito, incorniciato da riccioli corvini. Percorse con lo sguardo la linea affilata del naso, sporgente come gli zigomi, che tendevano la pelle e conferivano alla sconosciuta l’aspetto di una regina sconfitta, alimentando quella tensione tragica che percorreva le rughe sottili ai lati della bocca e culminava negli occhi, neri come una notte di novilunio, troppo grandi per sostenerne la profondità siderale. Quegli occhi conoscevano la veglia tormentosa e il dolore del pianto, come gli occhi che l’avevano fissata quella mattina, nello specchio della camera da letto, a Rodmell. La straniera era pallida come il Tuo viso in cielo, Afrodite gloriosa. Indossava una strana veste, e pensai, all’inizio, che avesse perso il senno, o che non sapesse parlare. Gemeva, balbettava suoni incomprensibili. Ancora non capisco come fosse arrivata qui: il soffio potente di Eolo non aveva guidato nessuna nave straniera nel porto della bella Mitilene. Mi guardava con i suoi occhi tristi, grigi, simili al cielo che corre in inverno sulle steppe della Scizia. Dissi ad Anattoria e Gongula dalle caviglie sottili di tornare in città, poiché già da tempo Apollo aveva condotto il suo carro splendente sul fondo del mare. Condussi la straniera presso gli alberi a Te sacri, Cipride profumata di mirto, affinché il suo cuore ritrovasse la pace perduta. Virginia seguì la donna tra l’erba bagnata dalla luce delle stelle, che sbocciavano a migliaia sopra le loro teste. La sua guida era straordinariamente piccola, fragile libellula avvolta in una tunica leggera; lei la seguiva, soggiogata dal fragoroso silenzio della sera tiepida, incantata dal flebile mormorio della cetra, sfiorata dal vento, che la donna lasciava dondolare, assicurata ad una fascia che le cingeva la vita. Giunsero di fronte ad un altare di pietra levigata, al limitare di un boschetto di meli; Virginia vide la donna estrarre da un sacchetto alcuni bastoncini d’incenso ed una piccola pietra focaia. Quando fili sottili di fumo aromatico cominciarono a salire verso il cielo, la


donna prese la cetra, si inginocchiò e, muovendo le dita agili tra le corde, iniziò a cantare. Immortale Afrodite dal trono variopinto, Tu che vegli sulla terra nera conducendo l’aureo carro, mosso da passeri leggiadri, io t’invoco. Non per me -benché io tema il notturno tormento del cuore- ma per questa straniera dagli occhi di rugiada. Lenisci le ferite provocate dai dardi di Eros dolceamaro, se questa è la causa del suo tormento. Dona ali alle mie parole, affinché esse possano raggiungere il suo animo, placando il suo tremore con stille d’ambrosia profumata. Lasciai vibrare l’ultima nota dell’armoniosa cetra che ama i canti. La straniera piangeva, gli occhi persi nel mare nero. Mi avvicinai, nobile Cipride, le scostai i capelli dalla fronte d’alabastro. Lei parlò nella sua lingua cantilenante, io la ascoltai: non potevo comprendere quello che diceva, ma sentivo nella sua voce il mare agitato da Eolo irrequieto, e il pianto di Persefone, esule nell’Ade di tenebra. L’onda travolse gli argini, con molle irruenza, senza rancore: Virginia parlò, ascoltando, meravigliata, la sua voce, dopo giorni di taciturno ritiro a Monk’s house. Le parole si perdevano nell’aria, annullate dal brontolio del mare, annichilite dal nulla d’argento e ossidiana che la circondava: era liberatorio e irreale, senza sensi di colpa, così diverso dal nero irrevocabile dell’inchiostro sulla pagina bianca. C’era la neve, in cima alla collina di Asheham. C’era il nulla, e io sentivo quel bianco in testa, sentivo che i pensieri mi abbandonavano, ed ero felice: volevo stare sola. E allora ho deciso di fare una passeggiata; ho lasciato un biglietto a Leonard -mio marito- perché non volevo che si preoccupasse per me. Ho camminato a lungo, in mezzo alla neve; poi, sul fianco della collina, ho visto gli olmi rossi. Gli olmi che piacciono tanto a Vita, a Vita che mi ha lasciata sola con la mia mente. Accecante, il rosso degli olmi, contro il bianco della neve. Ero riuscita a creare un equilibrio: gli olmi rossi l’hanno distrutto in un attimo. Sono stanca di ricordare; la memoria mi uccide. Si asciugò le lacrime, passando le dita sulla pelle violacea. L’altra ascoltava, assorta, e scrutava Virginia, come se avesse voluto coglierne l’essenza profonda, il messaggio nascosto in quelle parole sconosciute. All’improvviso, tese l’indice verso la sua guancia, fermando la corsa di un’ultima lacrima; Virginia, esterrefatta, la vide portarsi il dito alle labbra. Le sue lacrime sapevano di sale; la straniera piangeva acqua di mare, come me e le mie sorelle. Dunque era una di noi, Afrodite dall’aurea corona. Presi di nuovo la cetra: molte volte, infatti, curasti le mie ferite con i sonanti unguenti delle Muse. E lasciai che Mnemosyne parlasse per conto del mio cuore, tessendo la trama variopinta. Vedi, sorella, quelle sono le sette Pleiadi, luminose figlie di Atlante. Mi sussurrano della bella Atthis, che spesso veniva qui per abbracciare la terra umida, filando canti d’amore tra gli alberi cari alle Ninfe, come io le avevo insegnato; e Selene faceva risplendere il suo sorriso. Ma ora è lontana, al di là del mare, e un uomo la guarda dormire. A me rimangono solo il profumo del pallido mirto e il dolce suono della cetra. Questo è il destino che mi affidò il Fato ineluttabile: amare Amore senza essere riamata. E Crono incalza, la giovinezza appassisce: ecco, vedo i petali cadere. Lo stelo si piega, le fanciulle cercheranno altrove fiori più belli per le loro ghirlande. Virginia colse qualcosa di familiare, nelle parole della donna. C’era dolore, c’era quel tremito di fondo che le impediva di scrivere diritto, che le faceva macchiare la pagina d’inchiostro. Forse era sola come lei, e forse guardava con desiderio l’abisso ai piedi della scogliera. Oppure, più probabilmente, era soltanto l’ennesima fantasia della sua mente, dilaniata dalla malattia, e presto Leonard l’avrebbe riportata alla realtà, dicendole che doveva riposare, mangiare, e aver cura di sé. Nel dubbio, decise di sfruttare l’occasione. Poteva aprirsi, comunicare, senza lasciare tracce se non in questa onirica dimensione parallela, lei che aveva riempito pagine e pagine di segni, per tutta la vita. Vide un sasso, accanto a lei, levigato dal vento e dal sale.

Si guardò intorno, cercando qualcosa per scrivervi sopra: avrebbe affidato il suo testamento spirituale a quella donna misteriosa, che cantava al cielo notturno seduta sulle radici di un melo. La donna capì le sue intenzioni e le indicò i bastoncini d’incenso, ormai spenti, sull’altare. Virginia ne prese uno, e iniziò a disegnare sul sasso. Tracciò una figura stilizzata di donna, che avrebbe dovuto essere lei da giovane, circondata da altre persone; c’era sua sorella Nessa, suo padre, gli amici di Bloomsbury, Leonard, Vita, Janet Case e Violet Dickinson. Mentalmente, aggiunse Clarissa Dalloway, Jacob Flanders, Orlando, Lily Briscoe, tutta la popolosa schiera dei suoi personaggi, dei suoi fantasmi. In realtà, il risultato effettivo era alquanto misero, ma Virginia non se ne curò; alzò gli occhi verso la donna, che osservava, la testa leggermente inclinata. Girò il sasso. Disegnò di nuovo se stessa, curva, sola; a destra, un fiore di loto; a sinistra, una casa semidistrutta, Londra in fiamme. Stava tracciando i contorni degli aerei sopra la città, con una veemenza sconcertante, i tratti sempre più marcati, quando il bastoncino si spezzò. Rimase immobile, atterrita dalla sua rabbia improvvisa. Imbarazzata, sperò che la luce della luna non fosse così potente da rivelare il rossore che le tingeva le guance. Sembrava una bambina, o Citerea. La presi tra le braccia, come fosse la mia Kleis dai capelli d’oro, triste per aver perso una conchiglia perlacea nel mare. Guardammo le Sette Sorelle attraversare il cielo, verso l’orizzonte. Sussurrai parole alate, finché non smise di tremare. Anch’io ho visto il fuoco che tutto divora; ho conosciuto l’ingiustizia della guerra cara ad Ares, e ho invocato Ecate affinché mi proteggesse nel notturno errare lontano dalla verde Lesbo; ho desiderato vedere le rugiadose rive dell’Acheronte ornate di loto. Ma non posso cadere vittima del mio animo folle: infatti amo il sole, e gli dei mi hanno affidato il compito di cantare la luce. Le Parche filano il nostro corso terreno, ma non hanno potere sui doni di Calliope dalla voce melodiosa. Anche tu sei cara alle figlie di Mnemosyne, straniera... La donna si alzò, prese un altro bastoncino d’incenso e scrisse qualcosa sul sasso. Virginia lesse lentamente, in silenzio, tentando di tradurre. Non è lecito... che si levi... funebre... canto... in casa... delle ministre... delle Muse. Levò lo sguardo. L’altra era sul ciglio della scogliera, fiera, a suo modo maestosa; le indicava l’orizzonte, a Est, dove la notte stava cedendo il passo al giorno. Ti saluto, ridente aurora dalle rosee braccia. Spargi i petali della tua corona in cielo, preparando la via ad Apollo, glorioso tra i numi. Già i fragili mirti dischiudono i petali odorosi, e le vergini innalzano canti. E tu, Afrodite voce di miele, accogli le preghiere della tua cara Saffo... Virginia la fissò, incredula. Saffo cantava, inondata di luce dorata, mentre il sole, trionfante, si librava al di sopra dei flutti. Poi, il buio. Aprì gli occhi; le girava la testa. Era seduta allo scrittoio, nella sua camera da letto, a Rodmell. La penna le era caduta sulla vestaglia, macchiandola. Inchiostro nero sulle dita, sulle guance, ovunque. Prese un foglio bianco, scrisse un biglietto per Leonard. Si lavò le mani e il viso, indossò la pelliccia -era freddo, quella mattina- e uscì. La foschia si stava dileguando, poco a poco; Virginia camminava lungo il sentiero, ascoltando il rumore dei suoi passi. Raggiunse l’Ouse, che scorreva pigramente, adagiato tra i canneti. Un brivido la scosse, quando entrò nell’acqua gelida. Proseguì verso il centro del fiume, tremando. L’acqua le arrivava alla gola. Il sole fece capolino tra le nubi; Virginia lo guardò, assorta. Com’era lontano, visto da lì. Che fine avevano fatto gli dei? Osservò l’acqua, che la chiamava, affettuosa, suadente. A lei parlò Virginia, o forse al vento, oppure a se stessa: Hai ragione, il lutto non si addice alle Muse. Ma io... io sono solo una donna. E si addormentò nel grembo del fiume. Sara Maria Fantini - III IT

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La vigliara fatata 20

I bambini di oggi, per diversi motivi, sono molto fortunati. Hanno nonni e in qualche caso anche bisnonni. Se prendiamo in considerazione anche le famiglie allargate tra i nonni biologici e quelli acquisiti (per esempio il compagno della nonna separata) il numero lievita notevolmente. La mia generazione, quando andava bene, doveva accontentarsi dei classici quattro, due materni e due paterni. In mancanza di radio e Tv i lunghi pomeriggi invernali, freddi e piovosi, si passavano accanto al fuoco ad ascoltarne i racconti. Un bisavolo soprannominato Trampittu (da trampa, cioè zampa di animale e per estensione gamba umana al diminutivo: in pratica voleva dire “gambe corte”) era noto per essere un gran bevitore, un allegrone e perché faceva un mestiere molto richiesto all’epoca: possedeva una vigliara (o vagliara, da vaglio, vagliare, separare) e la sapeva usare molto bene. Intorno alla metà del 1800 tutti sapevano usare bene zappa, pala e vanga ma pochissimi erano in grado di manovrare la vigliara. Quando arrivava sull’aia, il vigliaratore era accolto con invidia ed ammirazione, sia perché era titolare di un lavoro specializzato, pagato meglio degli altri, sia perché dava proprio gusto starlo a guardare. A volte qualcuno voleva provare a usare quello strumento ma, dopo qualche mossa scomposta, la vigliara malefica si rovesciava di lato, versando a terra tutto il suo contenuto, tra le risate e gli sberleffi dei presenti. Questo attrezzo agricolo serviva per separare i chicchi del grano dai semi delle erbe infestanti. La separazione era importantissima per avere sementi pure da usare in autunno, ma era importante anche per purificare il grano prima della macinatura, altrimenti la farina poteva assumere un cattivo sapore. La vigliara era quindi un grande setaccio simile a quello che si usa per passare la farina prima di preparare un dolce, però con diametro di circa due metri. Il fondo era costituito da una lamina metallica traforata con i buchi disposti in modo regolare e artistico, che permettevano il passaggio dei semi più piccoli che così cadevano a terra e si raccoglievano per darli alle galline. Questa lamiera era fissata su una fascia circolare di legno che poteva essere finemente istoriata, alta una ventina di centimetri, dalla quale sporgevano due impugnature sempre in legno, simili a pioli intagliati, a 90° una dall’altra, che servivano per manovrare lo strumento. Su tale fascia di legno, a 120° uno dall’altro c’erano tre fori sui quali erano inserite tre corde, che confluivano verso l’alto ed erano chiuse da un unico anello sul quale era fissato un gancio. Il gancio si trovava a perpendicolo sopra il centro della vigliara. Bastava a questo punto mettersi sotto il porticato davanti al magazzino dei cereali, dove c’era una buona circolazione d’aria che portava via la polvere, fissare una corda al soffitto e agganciare ad essa la vigliara. Così si era pronti per iniziare: si regolava l’altezza della fune al soffitto in modo che l’attrezzo si trovasse un po’ sotto l’ombelico del manovratore, poi si prendevano le due impugnature, una con la mano destra, l’altra con la sinistra. A questo punto iniziava lo spettacolo! Un aiutante rovesciava nella vigliara una quantità misurata di grano sporco e allora il manovratore con movimenti eleganti delle braccia, delle gambe e del bacino imprimeva ai semi un movimento rotatorio oscillante in su e giù che permetteva la loro separazione: quelli più piccoli passavano, come già detto, attraverso i fori e cadevano a terra mentre quelli più grandi e leggeri, come l’avena, venivano a galla e si radunavano al centro del disco. Allora con un movimento particolare della vigliara, impresso dal basso verso l’alto, si compattava il mucchietto di semi di avena e, fermato l’attrezzo, si toglieva l’avena con le mani a coppa e si versava in un apposito recipiente. Non si sprecava nulla e si riciclava tutto: era la vera agricoltura biologica ma allora nessuno lo sapeva! La sosta poteva servire sia per asciugarsi il sudore della fronte, sia per bere un bicchiere di vino. Trampittu era allegro, fantasioso e verseggiatore. Una volta, mentre tagliava una pianta sull’argine del Nera, era scivolato nel fiume. Tentando di opporsi alla corrente che lo trascinava via si aggrappava ai rami che pendevano sull’acqua, gridando: aiutooo!!! …

aiutateme!!! … San Felice de Cantalice aiutame tu… e quelli che erano con lui, di rimando: tiente forte a la vetriga1… nun te fidà de San Felice... mentre cercavano di afferrarlo per le braccia per tirarlo all’asciutto. Con le gambe ancora in balìa della vorticosa corrente del fiume, non riusciva ad alzare le ginocchia per inerpicarsi sulla riva ma, appena si sentì sicuro di farcela, aggrappato agli amici, non rinunciò a buttarla in versi e disse ansimando: Aiutateme rammelle mie2 che adesso è l’ora, che non l’ho avuta mai tanta paura … E quelli che lo stavano tirando fuori dall’acqua scoppiarono a ridere, mollando la presa e per poco non lo facevano ricadere nel fiume. Il bisavolo era occupato per alcuni mesi all’anno a mondare il grano nei poderi dei vari conti e marchesi dell’agro romano. A chi si complimentava con lui per la sua capacità di manovrare con eleganza la vigliara, tanto da sembrare una specie di ballerino con una dama appesa al soffitto, rispondeva tra il serio e il faceto che quella andava da sola, in quanto gli era stata donata dalla fata Alcina, sulla montagna della Sibilla e quindi era una vigliara fatata. Si era alla fine del 1800 e quasi tutti quelli che lo avevano visto all’opera ritenevano plausibile questa affermazione. Da dove era uscita la fata Alcina? Era un parto della fantasia o era accaduto davvero? L’epoca storica era molto ben disposta a dare una credibilità di massa a questi eventi. D’altra parte anche oggi, se ci fate caso,grandi moltitudini di persone sono disposte a credere a qualsiasi panzana, se ben raccontata. L’antenato era un burlone che si inventava le storie o si era appropriato di quelle raccontate da qualcun altro? Per rispondere basta leggere la Storia bianca del fiume Nera di Pompeo De Angelis, dove si narra la leggenda di una caverna sul monte Vettore, sopra Castelluccio di Norcia, diventata il rifugio della Sibilla Cumana dopo la fuga da Cuma a causa della nascita di Cristo. Un’altra storia fantastica raccontava che Pilato morente, a Roma, fu messo su un carro trainato da bufali i quali, senza fermarsi mai, giunti in riva a un lago dei monti Sibillini, con uno scossone lo buttarono nelle acque che si arrossarono del suo sangue e il lago prese il nome di lago di Pilato. Poi un ricercatore scoprì che le acque diventavano rosse per la presenza di un piccolissimo crostaceo, ivi sopravvissuto alla fine dell’era glaciale. Ma il racconto fantastico su questi luoghi che ebbe più fortuna fu quello di Andrea da Barberino intitolato “Guerrin Meschino” e scritto all’inizio del Trecento. Il cavaliere errante dell’epopea carolingia, il 15 giugno di un imprecisato anno, varcò l’antro della Sibilla e scoprì un paradiso pagano dove la maga Alcina gli offrì le sue voluttà. Il Meschino riuscì a resistere e fuggendo verso la luce del sole vide che quello che sembrava un paradiso si stava trasformando in un inferno, mentre la bellissima Alcina svelava la sua bruttezza di megera. Il racconto portato dai cantastorie casa per casa, ebbe grande risonanza anche in Germania. In Francia addirittura la storia venne ritenuta vera (!) tanto che nel 1420, su incarico della Corte, un cavaliere si mise sulle tracce del Guerrin Meschino e scrisse un rapporto alla regina intitolato “Il Paradiso della Sibilla”. Fu però tanto onesto da confessare che aveva trovato solo una grotta ostruita da una frana e di aver sentito rumoreggiare un fiume cavernoso. Ecco perché il bisavolo aveva la vigliara fatata: forse si era talmente immedesimato nel cavaliere errante -tanto da trasformarne la storiache dopo aver ceduto, senza pensarci un attimo, alle lusinghe della maga e averne soddisfatte le voglie, si era guadagnato il regalo della bella Alcina. Oppure la sua modestia nel manovrare la difficile vigliara e i racconti dei cantastorie lo avevano portato a dichiarare, sempre tra il serio e il faceto, che il merito andava tutto alla bellissima maga. Non sappiamo quale sia la spiegazione più aderente al vero. Di vero ci sembra solo la maestria dell’uomo nel domare uno strumento oscillante difficile da manovrare. Comunque sia, i sogni e le costruzioni fantastiche, a volte, possono aiutare a vivere meglio. Vit t o rio G rech i 1 2

arbusto che cresce sulle sponde dei corsi d’acqua, una specie di salice. Gambe mie


L’Ancien Régime

L’Europa: un continente pieno di contraddizioni, alfiere della libertà ma, allo stesso tempo, repressore di quest’ultima, sostenitore dell’autodeterminazione dei popoli ma contemporaneamente colonizzatore, primo a sperimentare la democrazia ma lento ad abbandonare uno dei regimi più antiquati ed anti-progressisti del mondo, ovvero la reazione e l’assolutismo dispotico. Per molti secoli, infatti, innumerevoli nazioni furono usurpate da sovrani che si proclamavano legittimi invocando la grazia divina, facendo appello alla quale si ostinavano a rendere la propria corona e quindi il proprio potere intoccabili, dunque sottraendosi al giudizio della gente, o meglio, dei sudditi. Volendo svolgere un’analisi sulle fondamenta di questa organizzazione si constata il fatto che la politica adottata da molti re era quella di separare il popolo dal governo, che veniva messo nelle mani della casta della nobiltà e del clero, fedeli alla causa della monarchia poiché quest’ultima era la sola in grado di

garantire loro privilegi e ricchezze che certamente sarebbero state negate da un regime democratico. Il punto è proprio questo: sbandierando il mito del dover mantenere per il bene di tutti l’ordine costituito, le potenze dell’ Ancien Régime si coalizzavano in blocchi come quello della Santa Alleanza, creata solo per poter frenare il percorso di progresso delle nazioni, in realtà facendo beneficiare di ciò esclusivamente i sostenitori della reazione, capaci di immaginare come unica alternativa a se stessi l’anarchia generale. Preoccupante è quindi il fatto che, ancora oggi, c’è chi rimpiange l’Europa dei secoli passati, affermando che allora deteneva il primato politico ed economico su tutte le altre zone del mondo. Ma, in verità, come riuscì a mantenere questa egemonia per così tanto tempo? La risposta è molto semplice: compiendo genocidi, minando la libertà di altri popoli colonizzandoli, sfruttando le loro risorse e distruggendo la loro cultura, attraverso guerre ed altri atti di violenza di ogni genere, tutti episodi storici da molti purtroppo dimenticati. Oggigiorno, ad esempio, condanniamo all’unanimità lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti, non ricordandoci però l’uccisione di intere etnie in America del

Centro e del Sud ed in Africa voluta da coloro che puntavano alla conquista del mondo, gli stessi che, nelle nostre terre, componevano l’èlite del conservatorismo più estremo. A partire dal termine della Grande Guerra, l’epicentro del mondo si è spostato dall’Europa e, negli ultimi due decenni, nuove super potenze come l’India e la Cina sono emerse ma, il nostro continente, possiede ancora una notevole influenza. Proprio per questo motivo, oltre che ad ambizioni meramente economiche, è arrivato il momento di individuare un obiettivo decisamente diverso, il quale, se raggiunto, non ci farà ottenere almeno direttamente benefici materiali, bensì un nuovo primato mai ottenuto precedentemente, ovvero quello di essere il primo continente che, veramente unito, diventerà un esempio di multietnicità pacifica, di altruismo verso i Paesi poveri e di rispetto totale verso le altre culture, riscoprendo anche la propria. E’ vero, attualmente esiste già l’UE, ma quest’ultima solo in pochi casi ha ricoperto il ruolo di garante del processo di unificazione delle nazioni che ne fanno parte, dimostrandosi più volte un’entità giuridica nelle mani di due o tre stati che se ne sono serviti solamente per difendere i

propri interessi. Noi tutti, invece, dovremmo far prevalere non il nostro egoismo, bensì la nostra volontà di costruire insieme la vera Europa, quella in grado di ricoprire il ruolo di guida del movimento che in futuro, se solo noi lo vorremmo, porterà alla coesistenza pacifica di tutte le etnie del mondo. Proprio per fornire un esempio di ideali che tutti noi dovremmo rispettare, concludo riportando una parte del testo riadattato dell’Atto di fratellanza firmato da Giuseppe Mazzini, profeta del vero Europeismo: Noi sottoscritti, uomini di progresso, e di libertà, credendo nell’Uguaglianza e nella Fratellanza degli uominie dei popoli,…… convinti che l’associazione (di quest’ultimi) non può veramente e liberamente

costituirsi che fra eguali, dacché ogni ineguaglianza trascina violazioni d’indipendenza; convinti che ad ogni uomo e ad ogni popolo spetta una missione particolare …… riuniti colla mano sul cuore, firmiamo quanto segue: “…la Giovine Germania, la Giovine Polonia e la Giovine Italia, associazioni repubblicane tendenti ad un fine identico che abbraccia l’umanità sotto l’Impero d’una stessa fede di Libertà, d’Eguaglianza e di Progresso, stringono fratellanza ora e per sempre, e che la congrega della Giovine Europa determinerà un simbolo comune a tutti i membri delle tre associazioni; e i tutti si riconosceranno a quel simbolo. Francesco Neri Classe IIA ScM L. Da Vinci

Analisi della postura Ipertermia Onde d’urto focalizzate Rieducazione ortopedica Rieducazione posturale globale Tecarterapia Test di valutazione e rieducazione isocinetica

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An d iam o in orb it a - L’ esplorazione di U RA N O Due-miliardi-seicento-milioni di Km è la distanza che separa la Terra dal settimo pianeta del sistema solare. Osservandolo con un telescopio si intravede appena un dischetto privo di dettagli, di un colore verdastro dovuto al metano gassoso presente nella sua densissima atmosfera. Con il telescopio più potente allora in circolazione, William Herschel nel 1781 scoprì Urano e, alcuni anni più tardi, anche 4 dei suoi satelliti maggiori: Titania, Oberon, Umbriel e Ariel. Miranda si scoprì nel 1948 e successivamente, tra osservatori terrestri, la sonda Voyager e soprattutto il telescopio spaziale Hubble, se ne aggiunsero altri per un totale di 27 satelliti attuali; non sto ad elencarli tutti, cito solo che i loro nomi, per doveroso omaggio verso Herschel, sono tratti dai personaggi delle opere dei poeti inglesi Shakespeare e Pope (Fig. 1). Urano possiede anche 13 deboli anelli, 11 dei quali sono stati scoperti casualmente nel 1977 mentre alcuni astronomi, per mezzo di un telescopio e di un fotometro (fatti salire a 12000 metri di altezza con un aereo speciale), stavano sfruttando l’occultazione di una stella, per studiarne l’atmosfera. Gli ultimi due anelli, molto distanti dal pianeta, sono stati fotografati, 6 anni fa, dal telescopio spaziale Hubble. Solo la sonda Voyager 2 gli è passata vicina nel 1986 dopo 9 anni di viaggio; non ci sono altre sonde in avvicinamento e nemmeno altri programmi in un immediato futuro. Dobbiamo solo analizzare minuziosamente i dati che ha trasmesso la sonda a Terra in solo 6 ore, mentre transitava alla minima distanza dal pianeta, ovvero 81.500 Km. di distanza. Alla sonda Voyager 2 dobbiamo le uniche foto ravvicinate, le scoperte di un campo gravitazionale, di due anelli, di dieci piccoli satelliti e l’inclinazione dell’asse di rotazione rispetto al piano orbitale di ben 88 gradi. Quest’ultima caratteristica lo differenzia da tutti gli altri pianeti del Sistema Solare e sta a significare che Urano invece di ruotare intorno al sole letteralmente “rotola” (Fig. 2) e poiché impiega 84 anni per compiere un giro completo di rivoluzione, i poli sono illuminati a giorno per 42 anni (terrestri) e per altri 42 buio pesto… belle lunghe le giornate su Urano, vero? Tonino Scacciafratte Presidente A.T.A.M.B. - tonisca@gmail.com Anassagora dice che la materia è infinita, ma che da essa derivano particelle simili tra loro, piccolissime: queste dapprima erano confuse e poi furono ridotte all’ordine da un intelletto divino. Cicerone, academica priora, II 37, 118 [Doxographi graeci 119]

Parliamo delLA LUNA Inizia da oggi una nuova rubrica dedicata alla Luna, uno dei corpi minori del sistema solare e, data la sua vicinanza alla Terra e la facile osservabilità, il più immediato ed affascinante. La Luna ha esercitato ed esercita ancora su molte persone un notevole condizionamento sul pensiero, sulle abitudini e sulle attività quotidiane. Pensiamo a quanti sentimenti sarebbero rimasti inespressi se il cielo notturno ne fosse stato privo; quanto non ci avrebbero potuto lasciare i vari Chopin, Leopardi, Fellini, tanto per citarne alcuni. Pensiamo a quante leggende, quante storie d’amore o di orrore, quanti sospiri, promesse e giuramenti sono legati alla Luna. Nel corso degli appuntamenti che si susseguiranno mese per mese illustrerò i fenomeni astronomici salienti riguardanti il nostro satellite, cercando di non trascurare anche le curiosità legate ad esso e gli influssi che da sempre ha esercitato sull’uomo. Iniziamo il nostro percorso con brevi notizie storico-mitologiche: il nome Luna deriva dal termine indoeuropeo Leuksna, la luminosa (leuk = luce). Con il medesimo significato deriva dal greco antico il nome Selene che rappresenta invece la personificazione divina della Luna piena (con Artemide che simboleggia la Luna crescente ed Ecate la Luna nuova). La dea aveva l’aspetto di una donna bellissima, dal volto pallido che inseguiva il Sole su una biga trainata da cavalli (Fig.1). A lei vennero attribuite una relazione con Zeus, dalla quale nacquero Pandia e Erse (la rugiada), e una con il dio Pan che la sedusse con uno stratagemma. Il fascino che la Luna ha da sempre esercitato sull’uomo, la sua variabilità sia della luminosità che dell’aspetto con cui si presenta ciclicamente agli occhi di un osservatore, ha segnato e condizionato fin dalle origini le popolazioni. Di conseguenza si sono sviluppati verso di essa sensi di timore, di magia o viceversa di benevola riconoscenza di cui ancora oggi rimane traccia in noi uomini moderni. E’ ad essa che la superstizione attribuisce numerosi fenomeni terrestri: terremoti, maree, nascite, raccolti abbondanti o carestie, vittorie o defezioni, variazioni atmosferiche e chi più ne ha più ne metta. Avrò modo di far riferimento, negli appuntamenti che verranno, anche a questi argomenti, considerando che le influenze reali e certe che la Luna può esercitare rispetto alla Terra sono essenzialmente di due tipi: la quantità e qualità di irraggiamento luminoso riflesso e l’interazione reciproca gravitazionale. Per il resto sono la fantasia o la superstizione, sorrette dalla non conoscenza, a condizionare gli atteggiamenti culturali verso il nostro satellite inconsapevole. Dal punto di vista astronomico la Luna è il satellite naturale della Terra e il più vicino al Sole. Come grandezza risulta il quinto satellite del sistema solare dopo Ganimede, Titano, Callisto ed Io. I quattro satelliti più grandi sono sottoposti da Giove (il primo, il terzo e quarto) e Saturno (Titano) a una intensa attrazione gravitazionale dovuta alle preponderanti masse che i due pianeti presentano rispetto ad essi. Tra Terra e Luna le interazioni attrattive reciproche sono più equilibrate poiché tra di esse la differenza delle masse non è così estrema come nel caso precedente, tanto che il nostro, per molti, è assimilabile ad un sistema planetario binario (Fig. 2). Il risultato pratico di queste differenze ci fa ipotizzare che mentre per i satelliti di pianeti di massa rilevante può essere stata possibile la cattura per attrazione gravitazionale durante la formazione del sistema solare, per altri la nascita sia avvenuta in modi e circostanze diverse. Questo ha prodotto una grande discussione sulla effettiva origine della Luna, ma di ciò se ne parlerà in seguito. Enrico Costantini

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Lu parallasse L ’ a n d r u ggiornu… su lu luscu e bbruscu… co’ Zzchicchiu e... co’ la macchina mia… stevo a ‘nna’ verso Narni. Placidu e ttranquillu ero ‘rrivatu llà la pezza de lu pannu quanno a ‘n certu puntu t’ho sintitu sbotta’ Zzichicchiu… che mme sedeva a ffiancu… A Lunardi’… e ddaje ggiù ‘na sgassata… pare che annamo a ‘ccompagna’ lu mortu!?... J’ho datu ‘na furminata e… Ma che tte pijasse ‘n bene… pe’ non ditte che andru… m’hai fattu fa’ ‘n soprassardu!?... Me stevo a ‘ggusta’… co’ la coda dell’occhiu… quella farge de Luna che ppare ce sta a vvini’ appressu e… no’ la voléo lascia’ addietro!… Ma ‘n c’éssi paura… so’ le piante che stanno su lu bbordu de la strada che armangono addietro… no la Luna!... Quella finché non curvi te sta sempre affiancu… anzi ce sta affiancu a ttutti e ddue… è ‘n effettu de prospettiva… de parallasse… guarda che cce sta a ccirca trecentottantaquattromila chilometri. M’hai ruvinatu tuttu l’incantesimu… e mmo’ che è ‘stu parallasse… quarcosa che sse magna?... A Lunardi’… non te sì mmessu mai lu ditu davanti a ll’occhi chiudennoli unu pe’ vvòrda? Quillu ditu pare che tte se sposta su lu sfonnu de lu panorama perché lu vidi ‘gni vorda sotto ‘n angulu diversu… quill’angulu è lu parallasse che cce sta anche quanno guardamo la Luna ma non ce ‘n accorgemo perché è troppu picculu. Guarda che nnoi propiu co’ lu parallasse riuscimo a ccapi’ la distanza de le cose e… più ggrossu è... e ppiù ce stanno vicino. A ‘n certu puntu t’ho vistu lungu lu ciju de la strada ‘na bardascia che sculettava a ttuttu più... ho datu ggiù ‘n’inchiodata e… A Zzichi’… ciài raggione... è ‘nnata per unu... quella co’ ‘llu straccia de parallasse se po’ di’ che cce l’avevamo quasi sotto le ròte! paolo.casali48@alice.it

Il coniglio sulla luna È capitato a tutti di ritrovarsi a guardare le nuvole nel cielo ed a cercare di dare alla loro casuale disposizione forme a noi familiari; è una tendenza istintiva, che ha un nome un po’ impegnativo, pareidolia (che in greco significa immagine simile), ma che in fondo corrisponde solo ad un momento di svago o al volo libero della nostra fantasia. Nel luglio 1976, tanto per fare un esempio, un caso di pareidolia fece il giro del mondo ed incuriosì tutti: dal pianeta Marte la sonda Viking 1 inviò a Terra l’immagine di un altipiano nella regione di Cydonia e, a causa della bassa risoluzione della foto e delle ombre dovute al Sole che si trovava molto basso sull’orizzonte di Marte, sembrò apparire un volto umano, che diede vita alle più fantastiche supposizioni su forme di vita extraterrestri. Invece nella mitologia e nel folklore dell’Estremo Oriente, particolarmente in Cina e Giappone, una pareidolia molto diffusa vedrebbe un Coniglio sulla Luna, seduto sulle zampe posteriori, con un pestello da cucina tra le zampe anteriori. In Cina viene inteso come il compagno di una divinità lunare, per la quale prepara nel mortaio l’elisir di lunga vita, mentre i Giapponesi intravedono il coniglio che trita nel pestello il mochi (farina di riso con cui si prepara il classico dolce di capodanno). Ma la storia deriva da un antichissima favola della tradizione buddista con fini moralistici. La leggenda narra di un coniglio, una scimmia, una lontra ed uno sciacallo che incontrarono un anziano signore affamato, per il quale si dettero un gran da fare per trovargli il cibo. La scimmia, grazie alla sua grande agilità, si arrampicò sugli alberi e raccolse molti frutti; la lontra pescò dell’ottimo pesce e lo sciacallo, con modi forse poco ortodossi, prese del cibo da una casa e lo offrì al vecchio. Il coniglio, non essendo provvisto di particolari attitudini, riuscì a procurare solo un po’ di erbetta, e questo lo intristì molto: rendendosi conto di non poter donare altro al viandante, decise di offrire se stesso e si buttò nel fuoco. A quel punto il povero anziano, riprese la sua vera identità: era una Divinità Lunare, che, commossa dal grande atto di generosità del coniglio, prima lo tolse dalle fiamme e poi volle premiarlo portandolo con sé nella sua dimora, la Luna, da dove, nelle notti di luna piena, sarebbe stato visibile per l’eternità. La più antica testimonianza della leggenda del coniglio sulla Luna si trova nel Chu Ci, una antologia di poesie cinesi risalente circa al 300 avanti Cristo, mentre nel più recente manga nipponico Sailor Moon, la protagonista si chiama Usagi Tsukino, la cui pronuncia giapponese è identica al termine “coniglio sulla Luna”; il cantautore Angelo Branduardi, invece, ha composto “La lepre nella luna”, dove canta “non ricordo chi mi raccontò la storia, molti anni fa, di come la lepre un giorno li lasciò e nella luna a vivere se ne andò”. Nel 1969, durante la missione Apollo 11 che portò l’uomo sulla Luna, in uno scambio di battute tra l’equipaggio e Houston, un addetto della Nasa, ricordò ai tre astronauti la leggenda della dea che portò il coniglio sulla Luna raccomandando loro di “tenere gli occhi aperti”, ed un divertente Michael Collins gli rispose: Ok, we’ll keep a close eye out for the bunny girl! (Ok, terremo un occhio chiuso (faremo l’occhiolino) per la coniglietta!). Fiorella Isoardi Valentini

Osservatorio Astronomico di S. Erasmo Osse r vaz ioni pe r il gior no ve ne r dì 3 0 s e t t e m bre 2 0 11

A ST RO r i m e … A n t a re s E’ una stella assai irradiante (9000 Soli) ch’è nel cuor dello Scorpione e diciam supergigante (Ø=980 milioni di km) rossa di colorazione. Il suo nome è stravagante e diciam ch’è dato ad arte... per il tono suo brillante rivaleggia lei con Marte. (Anti-Ares) PC

Saturno e la Luna tramontati da poco, Giove che sorge verso la mezzanotte, con il cielo completamente buio, potremmo apprezzare meglio la Galassia di Andromeda, l’ammasso globulare M15 nella costellazione di Pegaso e una bellissima nebulosa nel Cigno, M27, la famosa Dumbell (manubrio). Osservazione ad occhio nudo di tutte le costellazioni visibili e simulazioni al computer a completamento della serata. TS

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