Numero 1 0 7 settembre 2013
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
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B AT T I S T E L L I
Foto Angelo Papa
Doppio cieco Tra i temi dell’estate 2013 c’è stato anche il caso del cosiddetto “Metodo Stamina”: in estrema sintesi, si tratta di una metodologia terapeutica che, pur non essendo riconosciuta valida dalla comunità scientifica, ha avuto abbastanza sostenitori da salire agli onori delle cronache, e in qualche maniera anche a costringere il governo a prendere delle decisioni in merito. Eventi del genere non sono nuovi: non bisogna essere troppo anziani per ricordare quanto rumore fece a suo tempo il cosiddetto “metodo Di Bella”, e gli specialisti del settore potrebbero senza dubbio presentare una pletora di ulteriori esempi che, pur non avendo sollevato altrettanto scalpore, hanno certamente storia e caratteristiche analoghe. Oltre a metodi più o meno “mirati” come quelli appena accennati, esistono anche delle vere e proprie discipline generali, le cosiddette “medicine alternative”, che spaziano dall’omeopatia all’agopuntura, dalla medicina ayurvedica a quella tradizionale cinese, dalla chiropratica alla fitoterapia. Quel che hanno in comune tra loro tutti questi sistemi di pratica medica (e che condividono anche con i “metodi” sopracitati) è appunto il poter contare su un elevato numero di entusiasti seguaci che ne assicurano per esperienza diretta la bontà, ma senza che gli esami e i test eseguiti dalla scienza ufficiale abbiano trovato delle reali evidenze della loro efficacia. Tutto ciò porta ad uno strano impasse nell’opinione pubblica: molti si chiedono perché, una volta appurata la buona fede di coloro che affermano di essere guariti per via omeopatica o tramite la Stamina di Vannoni, non si prenda seriamente in considerazione di ufficializzare queste pratiche mediche dando loro la patente di “scientifiche”: anche perché tutte le medicine alternative hanno in genere il grande pregio di essere poco invasive, e quindi, apparentemente, tali da non poter causare danni, ma solo benefici. È allora forse il caso di chiarire, in minima parte, cosa si intenda per “validità scientifica” di un farmaco. Il punto è che la medicina è tutt’altro che una scienza esatta: in matematica e fisica basta un solo controesempio a
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invalidare una teoria, ma la medicina è estremamente più complessa. Tanto per cominciare, è noto che il solo fatto di sentirsi curati ha un effetto positivo sui pazienti; se si prende un campione di malati e se ne lascia metà senza cure, mentre all’altra metà si somministra un farmaco finto (il “placebo”: è latino, e si potrebbe grosso modo tradurre con “sarò gradito”), tra la metà che viene curata si registrano molte più guarigioni che nell’altra. Questo metodo è detto “cieco”, sul calco dell’inglese “blind”, che sarebbe forse stato meglio tradurre con “all’insaputa”, perché ovviamente il paziente non sa di essere stato curato con dell’acqua fresca. Di solito, per verificare l’efficacia di un nuovo farmaco, si procede proprio in un modo simile: si prende un campione di pazienti e li si divide in due gruppi: in ogni gruppo si fa poi una ulteriore suddivisione, lasciandone metà senza alcun tipo di farmaco. Le altre metà vengono invece curate una con il “placebo”, l’altra con il nuovo farmaco. Per quanto detto prima, inevitabilmente le due metà “curate” registreranno più guarigioni delle due metà “non curate”, ma mettendole a confronto una con l’altra si può capire se il nuovo farmaco ha una reale efficacia: basta che abbia registrato un numero di guarigioni sensibilmente superiore a quelle avute nel gruppo “placebo”. Siccome non solo i pazienti, ma anche i medici sono uomini soggetti a pregiudizi, il “cieco” sopra descritto è di solito raddoppiato nel metodo “doppio cieco”: in questo caso non solo i pazienti non sanno se stanno per essere curati con delle pilloline di zucchero anziché col farmaco in sperimentazione, ma persino i medici non sanno se stanno somministrando ai loro pazienti un farmaco vero o un placebo. Devono solo registrare gli effetti: i dati saranno poi analizzati da terze parti. Naturalmente, se l’effetto del nuovo farmaco non dà risultati superiori a quelli che dà un normale placebo, non sarà certo riconosciuto come “farmaco ufficiale”; se invece supera l’esame, dovrà essere sottoposto ad altre decine di controlli di varia natura prima che se ne autorizzi la messa in vendita. Resta il fatto, davvero quasi magico, che alcune persone risulteranno effettivamente “guarite” da quel farmaco, per quanto scientificamente inefficace. Quindi non è strano, anzi è del tutto normale, che alcuni si trovino bene con delle pratiche mediche non “scientifiche”. Dovrebbe però essere chiaro che, se queste pratiche non superano neppure la prova del doppio cieco (e nessuna delle medicine “alternative” l’ha mai pienamente superata), hanno la stessa efficacia terapeutica, dal punto di vista statistico, di un farmaco a base di acqua distillata (che è, per ammissione degli stessi cultori dell’omeopatia, l’ingrediente quasi esclusivo dei loro farmaci), o a base di fichi secchi, o di frullato di margherite. Qualcuno guarirebbe anche con queste medicine. Resta solo da decidere se sia opportuno investire tempo, denaro e laboratori nella ricerca scientifica su questi ipotetici “principi attivi”. P i e ro F a b b r i
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Doppio cieco - P F a b b r i MEDIOAREA U n A t e n e o a Te r n i - G Raspetti IMMOBILIARE BATTISTELLI Quando il crimine diventa mobile - A M e l a s e c c h e C h e b r u t t a v a c a n z a ! - M Petrocchi Radicali liberi e mangostano - L Paoluzzi Le fughe estive delle aziende romagnole - F Patrizi ALBERGO DUOMO - ANTICA CARSULAE Fondo di solidarietà - M B a t t i s t e l l i L a s p i e t a t a l e g g e d e l m e r c a t o - M E Va l l o s c u r o C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I La foresta fossile di Dunarobba - D Fagioli V I TA L D E N T L a t r e b b i a t u r a - V Grechi GRUPPO ANTONELLI L’ e s t a t e s t a f i n e n d o - C C o l a s a n t i L’ a l i m e n t a z i o n e d e l l ’ a n z i a n o - L F a l c i B i a n c o n i TERNI: ASSESSORATO CULTURA SCUOLA E POLITICHE GIOVANILI TERNI: ASSESSORATO ALL’URBANISTICA TERNI: ASSESSORATOAI LAVORI PUBBLICI F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O SERGIO BACCI A S S O C I A Z I O N E C U LT U R A L E L A PA G I N A CONSORZIO TEVERE NERA Il ricatto - G R i t o L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I G I C A H O S P I TA L N U O VA G A L E N O LICEO CLASSICO - F Ve t t o r i , L M a r i n e l l i Bartolomeo Bimbi - I Mortaruolo Breve storia dell’alimentazione e dei sapori - L Paoluzzi SPOLETO - A C e s a r e t t i , C A D a l M i g l i o , F C a l z a v a c c a BIENNALE DI VENEZIA - F C a l z a v a c c a A S C O LTA , I L N E M I C O N O N TA C E GLI AMANTI DI ROMA PEDALARE SUL TEVERE - P Leonelli, M Struzzi ALLEANZA TORO DOMESTICA: confessioni delle donne in cucina - L B el l u cci P e n s i e r i s p e t t i n a t i - F M Bi l o t t i MECARELLI RELAX CIDAT ll tallone d’Achille - V Buompadre Alla scoperta di... una passeggiata al di là del centro storico - L Santini NELSON MANDELA - R Bellucci Induratio penis plastica - V Cassutti Thyssen Kruppen - W Patalocco CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA La spedizione dei mille: la campagna di Sicilia (IV parte) - F N eri ALFIO Le macchie solari - P C a s a l i Una soffitta sull’universo - M P a s q u a l e t t i Parliamo delLA LUNA - E Co s t a n t i n i BELLE MADAME AMARCORD TERNANA - M Ba rc a ro t t i G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI
PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
U n A t e n e o a Te r n i Un ragguardevole numero di Senatori della Città, valenti decatleti della cultura, darà vita tra breve, di pomeriggio e presso i locali dell’Associazione Culturale La Pagina, ad una nuova paideia, che chiameremo Ateneo perché si ispira ad Atena, dea greca protettrice della scienza, e per devozione alla nostra amatissima Grecia, fonte massima di virtù e di conoscenza. La scuola sarà aperta a tutti, per tutte le età e completamente gratuita. Nessun registro né compito in classe, ovviamente. Tantomeno interrogazioni perché la metodologia non sarà quella delle lezioni frontali cui deve corrispondere il controllo di quanto appreso, ma quella euristica, dello scoprire e dell’argomentare insieme. Il tutto in un clima cordialissimo, non inibitore ma rispettoso di ogni sensibilità. Non si dovranno acquistare libri (moltissimi, per buone letture, li regaleremo noi e altrettanti ne consiglieremo). Non ci saranno tasse o balzelli da pagare. Non servirà la penna e nemmeno il calamaio. Si partecipa con un unico corredo: il desiderio di apprendere. Serve solo prenotarsi, possibilmente entro il 20 ottobre. Scopriremo insieme, a partire dalla loro nascita, la storia dell’Universo, del Sistema Solare, della Terra, dell’Uomo. Eminenti studiosi, consultando le Sacre Scritture, intuiscono varie date per la creazione da parte della divinità. Eusebio, presidente del Concilio di Nicea, stabilì che fra Adamo e Abramo fossero trascorsi 3184 anni. Agostino spiega che la creazione è avvenuta nel 5500 aC; Keplero la fa risalire al 3993 aC; Newton al 3998 aC. James Ussher, arcivescovo anglicano di Armagh in Irlanda, alla notte tra il 22 e il 23 ottobre del 4004 aC! Ancora oggi la mentalità corrente dedica alla storia e allo studio dell’uomo solo qualche migliaio di anni, 6000 per l’esattezza (4000 aC e 2000 dC), corrispondenti ai 6 giorni della Creazione, motivando dalla frase “davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo” (2° lettera di Pietro cap 3, 8). Noi ci rifaremo ai dati inconfutabili derivanti da studi ed analisi (anche al radiocarbonio), forniti da scienziati che hanno consultato le pietre e partiremo, di conseguenza, da diversi miliardi di anni fa. Ci porremo molti interrogativi e analizzeremo varie nascite: della terra, del mare, dei minerali, della vita vegetale e animale, del vivere insieme, dell’astrologia, dell’astronomia, del simbolo, del numero, dell’arte, dell’urbanizzazione, della democrazia, delle religioni, della filosofia. Ed anche di tutto quello che proverrà dalla cultura dei discenti, che porranno tranquillamente i loro quesiti ai quali noi risponderemo, se ne saremo capaci, altrimenti torneremo a studiare, per poi riferire. Non sappiamo quanto saranno numerose le nostre classi. Non siamo a conoscenza di quanti vorranno partecipare anche agli incontri culturali da noi programmati per i giovani delle elementari e delle superiori. Sappiamo soltanto di credere fermamente nella necessità del dialogo e della cultura, in particolare in un momento così poco felice per il nostro Paese. Se è vero che nessun fiocco di neve si sente responsabile della valanga, è pur necessario che fiocchi di neve e granelli di sabbia diano contributi positivi. Giampiero Raspetti Vi aspettiamo, grazie.
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Quando il crimine diventa mobile Evolvono le tecnologie e la criminalità si adatta: smartphone e tablet sono diventati gli obiettivi preferiti degli hacker e gli attacchi crescono più velocemente di quanto accaduto in passato con i pc. La rete è ormai ricchissima di siti e funzionalità che a vario titolo rappresentano una incredibile fonte di informazioni personali di particolare interesse per i cyber-truffatori. Ma cosa rende i dispositivi mobili tanto vulnerabili? In generale gli utenti stanno rimpiazzando i pc, fissi e portatili che siano, con questi nuovi strumenti, più agevoli nel trasporto e nell’uso, senza però preoccuparsi di dotarli di una adeguata protezione contro possibili attacchi informatici. Infatti, i fruitori dei nuovi dispositivi non sono del tutto consapevoli di come il cyber-crime si sia evoluto e soprattutto delle misure da adottare. Più statistiche concordano, la vittima tipo è: di sesso maschile, ha tra i 20 e i 30 anni e accede a Internet e ai vari social network tramite dispositivi mobili. Più in generale, dall’Internet Security Threat Report 2013, sulla base delle informazioni raccolte da oltre 69 milioni di casi in 157 differenti Paesi si evince che nel corso del 2012 i malware (ovvero software creati con l’obiettivo di causare danni) indirizzati a dispositivi mobili sono cresciuti addirittura del 58% e il 32 % di questi ha tentato di rubare informazioni quali indirizzi di posta elettronica e numeri di telefono. D’altra parte, i cosiddetti “messaggi spazzatura”, per quanto diminuiti, rappresentano pur sempre una cifra enorme, nel numero di 30 miliardi quelli inviati ogni giorno nelle caselle di posta degli utenti su scala globale. Si deve anche tenere conto del fatto che la natura della minaccia
Che C he brutta vacanza! Sarà capitato a molti, è successo anche a me, che le vacanze tanto desiderate e tanto faticosamente raggiunte (secondo la ricerca di Confesercenti-Swg quasi la metà degli italiani ha rinunciato alle ferie con un calo di 5,4 milioni di turisti rispetto al 2012), si siano rivelate una vera e propria delusione. È facile, in questi casi, essere vittima del cosiddetto danno da vacanza rovinata che si verifica quando non si è potuto godere pienamente del viaggio come occasione di piacere, di svago o di riposo, ma anzi si è patito quel disagio psicofisico che si accompagna sempre alla mancata realizzazione in tutto o in parte del programma previsto. E ciò soprattutto oggi per la particolare importanza che si attribuisce alla ferie per i livelli di stress solitamente raggiunti nella nostra vita quotidiana. Si deve precisare che, per danno da vacanza rovinata, si deve intendere esclusivamente quel pregiudizio non patrimoniale, non fisico e temporaneo che è assimilabile al danno morale e nulla ha a che vedere con l’aspetto prettamente economico della vicenda. Richieste di risarcimento danni, promosse dai consumatori in danno di organizzatori tour operator o agenzie viaggio, sono sempre più numerose e ciò grazie soprattutto alla promulgazione del Codice del Consumo che ha dato una precisa collocazione ed una disciplina unitaria alla materia. Uno degli aspetti di maggior rilievo è il modo di formazione del contratto che deve essere redatto in forma scritta in termini chiari e precisi. Il contratto deve indicare le generalità, la sede, le aggiunte rispetto al programma base, nonché i termini per proporre
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può essere varia, e gli attacchi si possono presentare sotto diverse forme. Partendo dal presupposto che tutti i dispositivi mobili possono essere oggetto di un attacco cibernetico, gli utenti possono diminuirne il rischio avendo qualche attenzione in più: dotarsi di un antivirus affidabile e aggiornarlo costantemente; installare sul proprio dispositivo un software che impedisca a fonti esterne di installare malware; assicurarsi che il proprio sistema operativo sia aggiornato, per beneficiare delle più recenti impostazioni di sicurezza; utilizzare password articolate e complesse e cambiarle di frequente; limitare la quantità di informazioni personali affidate alla rete; non fornire mai a nessuno le proprie informazioni. Parallelamente a quanto già detto si sta sviluppando un fenomeno ancora più odioso: il cyber-bullismo. Secondo la definizione di uno dei più importanti studiosi del fenomeno, Peter Smith, per cyber-bullismo si intende “una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi” (2008). Gli episodi più gravi possono sfociare in reati. Il fenomeno è in crescita, anche perché il bullo si può nascondere dietro l’anonimato del web o del cellulare e agire indisturbato. In aggiunta, purtroppo, si tratta di un fenomeno non sempre facile da intercettare da genitori e insegnanti, poiché i ragazzi hanno generalmente una competenza informatica più elevata. Il Ministero della Pubblica Istruzione ha attivato, già da cinque anni, all’interno della più ampia campagna per la lotta al bullismo “Smonta il bullo”, il numero verde nazionale 800 669 696, operativo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19. Gli operatori rispondono alle domande e fugano i dubbi, raccolgono le segnalazioni e consigliano i comportamenti da tenere in situazioni critiche. Poi, le domande più frequenti poste agli operatori del numero verde, vengono rese pubbliche sul sito web www.smontailbullo.it . Attenzione, il web non è il nemico, bisogna però indubbiamente farne un uso informato e consapevole, sia da parte dei più grandi che, soprattutto, dei più piccoli. Prevenire tutti i fenomeni riportati non solo è auspicabile, ma è anche decisamente possibile. alessia.melasecche@libero.it
reclamo in caso di disservizio o inadempimento. Il depliant è vincolante nel rappresentare il servizio offerto ed è fonte di obbligazione risarcitoria nel caso in cui non si sia goduto del pacchetto venduto esattamente come rappresentato nell’opuscolo informativo. Così costituisce inadempimento qualitativo al contratto di viaggio concluso con agenzia turistica, la sistemazione dell’utente contraente in albergo di categoria inferiore, sprovvisto dei comfort promessi, rispetto a quello inizialmente pattuito. Il danno conseguente è risarcibile nella misura corrispondente alla differenza di prezzo per il periodo di pernottamento nonché in quella, equitativamente determinata, corrispondente al pregiudizio sofferto per la mancata fruizione dei comfort promessi (vacanza rovinata). Detta conclusione è stata motivata sulla base del fatto che si deve avere riguardo “alla particolare importanza che normalmente si attribuisce al godimento di un periodo di vacanza adeguato alle proprie aspettative”, concludendosi nel senso che “il minor godimento della vacanza ed il disagio sopportati dal turista [...] danno luogo ad un danno assimilabile al morale ai sensi dell’art. 2059 c.c.”. È bene però tenere presente che esistono dei termini entro i quali il consumatore può richiedere di essere risarcito dei danni patiti. Per quanto riguarda il danno alla persona il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dalla data di rientro del viaggiatore nel luogo di partenza; in caso di danni non alla persona il diritto si prescrive nel termine di un anno. Il turista è inoltre tenuto, ai sensi dell’art. 98 del Codice del Consumo, a sporgere reclamo senza ritardo per contestare ogni mancanza nell’esecuzione del contratto in modo che l’organizzatore o un suo rappresentante possano rimediare, senza ritardo. Il consumatore può altresì sporgere reclamo mediante l’invio di una raccomandata, con avviso di ricevimento, all’organizzatore o al venditore, entro e non oltre dieci giorni lavorativi dalla data di rientro. Buona lettura del Codice del Consumo a tutti! Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
Radicali liberi e mangostano Studi recenti hanno messo in evidenza che la maggior parte delle malattie ad andamento cronico e degenerativo traggono origine dalla produzione e dall’accumulo di radicali liberi (RL). Queste molecole chimiche sono prodotte normalmente e giornalmente nel nostro organismo a partire dai normali processi metabolici, ovvero dalle combustioni necessarie per mandare avanti la macchina Uomo. La loro produzione, in quantità e qualità, può variare in funzione di molte condizioni diverse ma che hanno tutte un denominatore comune e cioè lo stress ossidativometabolico, ovvero una produzione eccessiva di RL che trova difficoltà ad essere smaltita. In condizioni normali ogni cellula produce radicali liberi in piccola quantità che sono ben tollerati e che vengono inattivati da sistemi enzimatici preposti come il glutatione ed altri antiossidanti detti scavenger proprio per la loro capacità di neutralizzare i radicali liberi. Quando tali sistemi scavenger non riescono più a fare fronte alla sovrapproduzione di radicali liberi, si creano danni cellulari che possono essere anche irreversibili determinando la morte cellulare per apoptosi o per necrosi. Per tale motivo molte sono le patologie causate direttamente o indirettamente dallo stress ossidativo: il vivere quotidiano, gli stress emozionali, la dieta eccessiva, l’attività fisica, l’ assunzione di farmaci, ecc., in particolare l’invecchiamento cellulare globale e le malattie degenerative. Tre sono le componenti cellulari ad essere danneggiate: i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici ovvero il DNA. La mutazione di questa fondamentale struttura biologica è alla base dell’invecchiamento cellulare e cutaneo oltre a promuovere il cancro. Particolare attenzione merita l’esercizio fisico che, praticato correttamente, per massimo di 30-45 minuti a sessione e con una frequenza media di 3 volte alla settimana, è fortemente consigliato per agevolare la buona salute dell’organismo. Quando invece viene fatto con un’intensità, durata e frequenza particolarmente elevate, costituisce un motivo di aumentata formazione di radicali liberi endogeni. Perciò, soprattutto in questi casi, è consigliabile seguire
una supplementazione aggiuntiva a base di buoni princìpi antiossidanti. In tutti i casi di iperproduzione radicalica, consigliamo l’assunzione di antiossidanti vegetali e in particolare quelli ad elevate attività quali il MANGOSTANO, un derivato della Garcinia mangostana L., pianta sempreverde tropicale originaria delle Isole della Sonda e dell’Arcipelago delle Molucche che non deve essere confusa con la Garcinia cambogia L. della stessa famiglia ma con proprietà totalmente differenti. Studi recenti condotti in varie università hanno messo in evidenza diverse ed interessanti attività: contro l’Helicobacter pilori presso l’Università di Bangkok; nei confronti della riproduzione cellulare delle cellule tumorali della vescica, presso l’Università della California; l’università di Taipei ha evidenziato in uno studio condotto con gamma-mangostino isolato dal pericarpo della Garcinia, un’attività antitumorale nei confronti dell’epatocarcinoma; nel cancro prostatico presso l’università dell’Illinois-Chicago... Tutti questi lavori mettono in evidenza la grande importanza dei radicali liberi nel determinismo di malattie gravi e come al tempo stesso la natura abbia messo a disposizione elementi terapeutici efficaci per combatterle. Naturalmente non stiamo parlando di un farmaco ma di un frutto che se viene consumato come tale con regolarità e nel tempo, apporta grandi miglioramenti nella vita quotidiana di chi ne fa uso. Le sue proprietà sono indubbie e documentate come abbiamo visto e, senza arrivare a patologie importanti, nel quotidiano agisce su colesterolo, è energizzante, Dott Leonardo Paoluzzi migliora il Parkinson...
Mercoled ì 23 0t t obre - dalle ore 18 AC La Pagina - Terni, Via De Filis 7a - Conferenza S t r e s s e m a n g o s t a n o tenuta dal Dott. Leonardo Paoluzzi. - Aperitivo e degustazione di mangostano.
Il mangostano è una pianta sempreverde tropicale originaria delle Isole della Sonda e dell'Arcipelago delle Molucche. L'albero cresce fino a un'altezza massima compresa fra 7 e 25 metri e ha una corteccia marrone scuro tendente al nero.
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Le fughe estive delle aziende romagnole Mani dietro la testa e faccia a terra! I carabinieri, avvisati alle tre di notte del 23 agosto da alcuni abitanti insonni di Forlì, hanno colto in flagrante i ladri che si sono introdotti nel capannone della Dometic Italy, un’azienda che produce condizionatori per camper. Il capobanda, un signore a dire il vero fin troppo distinto e ben vestito, non ha i documenti e gli altri del gruppo non parlano italiano. Alle prime luce dell’alba, accorrono alcuni operai dell’azienda che si trovano in ferie forzate per tutto il mese; la voce del tentato furto è volata nella cittadina di bocca in bocca e quando arrivano sul posto e vedono la banda che stava caricando nottetempo merce e macchinari su un camion, rimangono interdetti: non si tratta infatti di una cosca di malviventi, ma del consiglio di amministrazione italo-svedese della Dometic e l’uomo a terra è niente meno che l’amministratore delegato. Il blitz notturno mirava a trasferire fisicamente, in gran segreto, l’azienda in Polonia. Al loro rientro, gli operai avrebbero trovato un capannone vuoto e una lettera di ben servito. I carabinieri hanno bloccato tutto poiché gli uffici preposti al trasporto merci sono chiusi per ferie e senza le bolle di accompagnamento e le altre procedure di regola il trasloco non è possibile. Quello che sta accadendo in queste zone romagnole colpite dal sisma è presto detto: tante aziende, approfittando della chiusura temporanea per inagibilità dovuta ai danni sismici o semplicemente approfittando del periodo di chiusura per ferie, hanno organizzato vere e proprie fughe in stile Banda Bassotti: camion che partono all’alba a fari spenti per non farsi notare, amministratori camuffati in tuta da facchino che trafugano i macchinari, tutti in partenza verso un paese straniero dove i costi di produzione sono minori.
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L’operazione si chiama delocalizzazione: la sede legale dell’azienda resta in Italia, ma lo stabilimento si sposta in Serbia, in Polonia, in Turchia, in Cina, in Romania, in posti dove gli operai prendono uno stipendio che è meno della metà di quello di un operaio italiano. Il prodotto messo in vendita, però, resta con il marchio made in Italy così chi compra pensa di aver dato un contributo alla crisi economica italiana e non sa che ha contribuito invece a risanare quella serba o turca. Questa nuova tendenza si denota per l’assoluta mancanza di diplomazia e di rispetto verso i lavoratori. Esemplare è la vicenda capitata agli operai della Sirem di Formigone, nel modenese, che una mattina si sono visti recapitare una lettera che gli dava appuntamento, alla riapertura dei cancelli, nella nuova sede polacca! Dopo una tempestiva trattativa, la Sirem ha deciso di mantenere aperta anche la sede italiana e di delocalizzare a metà. Così alla fine i quaranta operai non hanno dovuto trasferirsi negli giro di pochi giorni in Polonia dove avrebbero preso uno stipendio adeguato ai colleghi del posto, corrispondente cioè a un terzo di quello concordato in Italia. Sindacati e operai stanno cercando di arrestare questa fuga di produzione, spesso hanno sventato traslochi furtivi presidiando le fabbriche anche di notte. C’è da dire però che in un paese da cui le aziende fuggono, per quelle che arrivano dall’estero e vogliono avviare un’attività le procedure non sono agevoli e invitanti: ne sa qualcosa l’Ikea che per aprire una sede a Pisa, tra permessi e procedure, ha dovuto attendere ben sei anni. Questa breve estate calda sarà ricordata come quella delle notti insonni degli operai, costretti a dormire con un occhio aperto e le orecchie ben tese ad ascoltare con ansia ogni rombo di motore in lontananza. Francesco Patrizi
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F o n d o d i s o l i d a r i e t à La spietata legge del mercato
Lo scorso 11 Agosto è stato il settantesimo anniversario del primo bombardamento della nostra città da parte dell’aviazione americana. Oggi posso parlarne perché mia madre e mio padre, all’epoca fidanzati e impiegati alla Fabbrica d’armi, risultarono gli unici scampati, dell’intero reparto dove lavoravano, perché, per la claustrofobia di mia madre, non entrarono nel rifugio che, purtroppo, fu centrato da una delle migliaia di bombe che caddero su Terni. Per giorni furono dati per morti ed io, insieme ai miei fratelli, all’epoca non ancora nati, per anni ed anni successivamente abbiamo rivissuto quella tragedia attraverso il racconto, sempre dettagliatissimo, dei miei genitori. Oggi che mio padre non c’è più, resta mia madre a tenere vivo il ricordo tragico di quei giorni, ma quest’anno (ed è questo il motivo di questa mia riflessione), mia madre è andata “fuori tema”. Leggendo la cronaca di un quotidiano locale che ricordava la tragedia, si è lasciata andare ad una osservazione che, contrariamente al passato e soprattutto in forte contrasto con il momento attuale, voleva essere di grande speranza: “nonostante tutti quei morti e tutte quelle rovine, ci siamo risollevati e siamo tornati ad essere un grande paese”. È proprio vero: l’Italia di soli settanta anni fa era una Nazione completamente distrutta nelle cose e nelle anime. Morti, feriti e dispersi si contavano a milioni e non esisteva famiglia esente dal dramma. Case, fabbriche e infrastrutture distrutte o fortemente danneggiate, disegnavano uno scenario, a fine conflitto, che lasciava pochi margini alla speranza e all’ottimismo. Terni risultava particolarmente colpita per l’altissimo numero di morti e feriti e per la quasi totale distruzione di immobili, strade, ponti e fabbriche. Chi aveva la fortuna di avere un piccolo pezzo di terra riusciva a mettere insieme il pranzo e la cena e spesso, nonostante la povertà (o forse proprio per questo) riusciva a sfamare anche qualche parente o semplice vicino di casa. L’egoismo non appariva caratteristica fondante della nuova nazione che i nostri antenati si apprestavano a ricostruire. Chi ha vissuto gli anni del dopoguerra e li può raccontare, descrive un paese che si organizzò in fretta e fatte rimarginare le ferite fisiche si gettò, anima e corpo, nella ricostruzione con uno spirito ed una forza che se, solo in minima parte, si potesse ritrovare oggi, potremmo superare la crisi attuale in tempi rapidissimi. Purtroppo però in questi anni, oltre alla ricostruzione, abbiamo permesso che la Nazione venisse permeata da egoismi che hanno originato lobbies, privilegi, centri di potere, caste intoccabili. Tutto ciò che di peggiore siamo riusciti a creare, ha trovato la definizione di “diritto acquisito” e come tale non modificabile. Così giornalmente ci dobbiamo confrontare con situazione di povertà assoluta, pensioni da fame ed in contrasto con sfacciate, oltre che ingiustificate, rendite esagerate e pensioni d’oro. Non c’è politico, pensionato, uomo di cultura o della strada che non gridi allo scandalo e spinga per soluzioni legislative che portino a perequazioni economiche e giustizia sociale. Altre leggi per aggiungere confusione alle tanta che già c’è, quando invece basterebbe qualche esempio, qualche buon esempio da parte di chi ha utilizzato a proprio favore, arricchendosi, leggi ad hoc che hanno consentito il formarsi di queste gravissime sacche di disparità. Basterebbe qualche esempio da parte dei più fortunati, politici o fruitori di pensioni d’oro, o possessori di grandi rendite che, dedicando parte delle loro ricchezze, diano vita ad un fondo di solidarietà, originando una valanga di bontà che messa in moto potrebbe spingere ad emulazioni positive di cui il nostro paese avrebbe gran bisogno (e di cui, spesso, ha anche dato esempio in passato) e che potrebbe diventare la svolta per un nuovo miracolo Italiano. In alternativa a questa ipotesi “buonista” ce ne potrebbe essere una molto peggiore, che spero non si verificherà, ma che, con la crisi che già produce drammi (e peggio sarà nei prossimi mesi), potrebbe diventare non una soluzione ma certo una svolta non auspicabile. Ma u ri zi o B a tti s tel l i
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Sto osservando il mio pacco appena consegnato dal corriere contenente tutti i testi scolastici di mia figlia. Lo guardo con una punta di soddisfazione: quest’anno ho evitato code nelle librerie, corse dell’ultimo giorno, attese, rinvii e tutto ciò di negativo che ruota intorno all’acquisto dei testi per il nuovo anno scolastico del proprio figlio che ogni genitore conosce, purtroppo, benissimo. È stato semplice: tre giorni fa, Giulia ed io, ci siamo messe davanti al computer ed abbiamo ordinato tutto online da un famoso sito che ha messo a disposizione il servizio di vendita dei libri per ogni scuola di ordine e grado d’Italia e, tre giorni dopo, ecco il pacco recapitato a domicilio. Sorvolo (ma neanche tanto, dato che in questo periodo i problemi economici delle famiglie sono all’ordine del giorno) sul fatto che abbia (pure) usufruito di uno sconto del 15% su ciascun testo. Eh sì, proprio una bella soddisfazione! Rifletto però sul cambiamento in atto pensando alle librerie/cartolerie che dovranno contrastare questa nuova forma di commercio. Non sarà semplice. Certo non è una novità che vengano venduti libri online sia in formato cartaceo che elettronico: mi vengono in mente almeno una decina di siti famosi che offrono questo servizio, ma ho sempre pensato che entrare in una libreria, sfogliare e leggere piccoli passi casuali di un libro che ti interessa, lasciarti tentare da una copertina diversa, farti consigliare una buona lettura sia un piacere che nessun freddo sito possa offrirti. Sicuramente gli e-book, i libri elettronici da sfogliare sui tablet o sui dispositivi e-Reader, sono una trovata geniale per portarsi ovunque tutta la propria libreria in pochissimo spazio! Questo diverso sistema di lettura è odiato ed amato allo stesso tempo: odiato da coloro che partecipano alla lettura anche attraverso il contatto fisico col libro, il suo profumo, la rilegatura e la grammatura della carta; amato, per la praticità, la velocità d’acquisto (spesso immediata in qualsiasi ora della giornata), la possibilità di avere sempre disponibili molti testi in poco spazio. Certamente un merito indiscutibile dell’avvento degli e-book è quello di aver avvicinato molte più persone alla lettura, cosa che considero estremamente positiva! Osservo nuovamente il mio pacco: vedo la grande rivoluzione ormai inarrestabile che imporrà ad alcuni di ristrutturare la propria attività e che forse, purtroppo, decreterà la morte di altri. Ma come in tutte le rivoluzioni, riusciremo forse ad ottenere anche alcune cose positive: penso alla possibilità di rendere disponibili in formato elettronico testi rari ed inaccessibili preservandoli dall’usura del tempo, alla maggiore diffusione delle biblioteche online, alla creazione di “punti di lettura” elettronici sparsi nelle città dove condividere il sapere, alla partecipazione culturale. Chi vivrà, vedrà! Per ora porto a casa il mio pacco fonte di tanti pensieri ed auguro buona lettura a tutti! Maria Elisabetta Valloscuro
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La foresta fossile di Dunarobba
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Alla fine degli anni ’70 nelle vicinanze del piccolo borgo di Dunarobba gli operai della locale fornace, durante i lavori per l’estrazione dell’argilla, cominciarono a notare resti di grandi alberi. Di sicuro non avrebbero mai immaginato di aver scoperto, o meglio riportato alla luce, uno dei giacimenti fossiliferi vegetali più importanti d’Italia e tra i primi posti nel mondo. A seguito di una segnalazione, intorno alla metà degli anni ’80, intervenne la Soprintendenza Archeologica per l’Umbria e iniziò un difficile lavoro di recupero, tutela e valorizzazione. Nel 1988 un’area di circa tre ettari venne vincolata. Ci troviamo di fronte ai resti di un’antica foresta di conifere che grazie a un decennale lavoro di analisi, studio e ricerca oggi riusciamo a datare tra la fine dell’epoca del Pliocene e l’inizio del Periodo Quaternario. Questi enormi alberi ascrivibili alla famiglia delle taxodiacee vivevano a ridosso delle sponde meridionali di un ampio specchio d’acqua, il ramo sud-occidentale del cosiddetto Bacino Tiberino, una depressione di origine tettonica formatasi circa 3 milioni di anni fa. Oggi riusciamo ancora ad ammirarli nel loro primitivo splendore perché rimasti imprigionati sotto uno strato di argilla e limo che ha protetto il legno impedendo un vero e proprio processo di mineralizzazione; questo ha permesso di conservare quasi intatta la struttura lignea originaria. Depositi argilloso-limosi, insieme a successioni di sabbie e ghiaia trasportati da alluvioni ed esondazioni dell’antico specchio d’acqua e dei fiumi che scendevano a valle, hanno riempito l’area paludosa della foresta fermando l’orologio biologico a circa 2 milioni di anni fa. Ciò che oggi noi possiamo osservare sono tronchi dai diametri notevoli, fino a 4 metri. In origine l’altezza doveva variare tra i 40 e i 60 metri con punte anche maggiori (altezze molto vicine a quelle di un odierno palazzo di 15-20 piani). L’apparato radicale delle piante è conservato in situ e può trovarsi anche a diversi metri di profondità rispetto all’attuale piano di
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calpestio che corrisponde al livello di cava raggiunto dagli operai della fornace. I resti delle chiome (foglie, rami, pigne e semi) consentono di classificare con buona probabilità gli alberi come Gliptostrobus europeus cioè un cipresso delle paludi, specie ormai estinta e molto simile all’attuale Gliptostrobus pensilis che oggi vive principalmente nel sud-est dell’Asia, in Cina e Vietnam. Nelle zone circostanti la Foresta Fossile (Narni, Todi, Montecastrilli, etc.) sono stati trovati numerosi fossili di animali: grandi vertebrati tra cui rinoceronti, elefanti, bovidi e cervidi. Questo paleoambiente di tipo sub-tropicale, con un clima molto più caldo e umido dell’attuale, era popolato anche da numerosi felini dai denti a sciabola. Il genere homo arriverà invece molto dopo. Dall’area della foresta provengono anche fossili di malacofaune (molluschi) esposti, insieme ad altri resti di animali e vegetali, nel piccolo museo che si trova al piano superiore del Centro di Paleontologia Vegetale. Il Centro è il punto di accoglienza dei numerosi turisti che ogni anno vengono a visitare la foresta. La particolare posizione di questi giganti dolcemente chinati verso il terreno generano nel visitatore quella suggestiva sensazione di perenne riflessione sullo scorrere inesorabile del tempo. Il problema principale della Foresta Fossile è la conservazione: i tronchi milionari rischiano di scomparire a causa degli agenti esterni. Negli ultimi anni un’apide, del genere Xilocopa violacea, ha iniziato a nidificare nei legni provocando ulteriori problemi. Le coperture messe a protezione hanno rallentato il processo di disgregazione; oggi però servono soluzioni più efficaci come la camera climatizzata realizzata intorno a uno dei tronchi principali. All’interno di questa struttura è riprodotto un microclima con temperatura costante di circa 20° C e un’umidità del 70%. Per rendere davvero concreti gli impegni finalizzati alla salvaguardia di quello che può considerarsi a tutti gli effetti un patrimonio unico al mondo è necessario che le istituzioni e la comunità tutta lavorino in sinergia per accelerare il raggiungimento di tale obiettivo, magari provando a riavviare le procedure per l’inserimento del sito nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Denis Fagioli
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La trebbiatura La trebbiatura era una grande festa, come tutti gli avvenimenti che capitavano e capitano una volta l’anno. Era però anche una grande faticata per tutti, uomini e donne, anche se la sera si cantava e ballava fino a tardi. Finito di mietere bisognava trasportare il mietuto sull’aia. Il grano veniva caricato su carri a quattro o due ruote (con le spighe rivolte sempre verso il centro, per proteggerle), legato con corde tese tramite un aspo (in dialetto: il birello), affinché non cadessero. Per lo spostamento dei covoni (in dialetto: gregne) si usavano forche di ferro a due rebbi. Giunti con i carri sull’aia, bisognava costruire la méta di forma cilindrica, oppure la bica, o barcone, a forma di parallelepipedo. Le spighe andavano messe sempre verso il centro in modo che, da fuori, si vedesse solo la paglia. Quando si arrivava in cima, il “tetto” era fatto con i covoni sistemati a cono nel caso della méta, mentre se si trattava del barcone, erano messi a doppio spiovente, come il tetto di una casa con il colmo in mezzo. Alla fine, le uniche spighe che si vedevano, esposte alla pioggia, alla grandine e agli uccelli, erano quelle poche in alto. Il giorno della trebbiatura si radunavano tutti i vicini per aiutarsi a vicenda, mentre le donne preparavano le frittelle con i fiori di zucca, avendo già ammazzato, il giorno prima, i conigli e le oche, preparato le sfoglie della pasta e le ciambelle con l’anice. Il rumore della carovana dei trebbiatori in avvicinamento si sentiva da lontano: esso consisteva in un rotolante sferragliamento sulla strada bianca. Tale carovana era costituita dal trattore, dalla trebbiatrice e da un rimorchio con i fusti del combustibile e gli accessori; in seguito si aggiunse la “scala”, cioè il nastro trasportatore che elevava la paglia fino in cima al pagliaio. Il personale al seguito, oltre al padrone dei mezzi, era formato dal trattorista e dall’imboccatore. Nel primo dopoguerra i trattori erano ancora a testa calda e di mattino, per metterli in moto, bisognava scaldarne la testa con un apposito congegno, tipo piccola forgia, alimentato con stracci accesi, imbevuti di nafta. Appena il trattorista riteneva arrivato il momento, apriva gli iniettori e dava un mezzo giro al grande volano: il diesel incominciava a dare colpi, all’inizio distanziati, poi a intervalli sempre più brevi finché gli anelli di fumo, che fuoriuscivano dalla marmitta verticale, non assumevano un andamento continuo. Arrivata la carovana sull’aia, anche con l’aiuto di qualche paio di vacche, bisognava piazzare la trebbiatrice in piano, tramite congegni a livella e allineare sul medesimo
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asse la sua puleggia alla puleggia motrice del diesel, collegandole tra loro con una larga e lunga cinghia di trasmissione. A questo punto tutto era in funzione. Allora un contadino saliva con una scala sopra alla méta e con la forca iniziava a buttare i covoni sopra la trebbia. Una ragazza ne prendeva uno per volta e con un falcetto tagliava il barzo (il legame), porgendo il tutto all’imboccatore. L’imboccatore era un operaio specializzato in grado di distribuire equamente il covone nel battitore della macchina, in modo che il grano fuoriuscisse completamente dalle spighe. Se l’operatore era in gamba, il rumore del macchinario era costante; se invece si distraeva (causa presenza femminile), rilasciava il covone senza distribuirlo, provocando come un fiotto di sofferenza agli ingranaggi, mentre il diesel perdeva colpi. Il padrone del grano andava quindi a protestare, sostenendo che in quel modo il suo grano sarebbe andato a finire nella paglia davanti, invece di finire dietro nell’apposito recipiente di misura per aridi (cioè per le granaglie). Intanto il pagliaio cresceva in altezza e l’addetto alla pula, in genere il più vecchio della compagnia, causa il copioso sudore risultava infarinato di pagliuzze e polvere come se fosse da friggere. Il sole, il caldo e la fatica si facevano sentire, ma ogni tanto un paio di belle ragazze portavano, oltre alla loro benefica presenza, il refrigerio di un bicchiere di vino fresco insieme a qualcosa di appetitoso da mettere sotto i denti. E a sera, finiti i festeggiamenti, tutti a nanna. Solo quelli della carovana meccanizzata dovevano trovarsi un giaciglio: o in un fienile, o distesi sulla paglia dell’aia o addirittura sotto la trebbia, se il cielo minacciava temporale. Di quei disagi e di quella fatica ora non c’è più traccia, ma si è persa anche l’atmosfera che avvolgeva l’evento. Sono rimasti gli stornelli dell’epoca cantati oggi dai Cantori della Valnerina e le rievocazioni della trebbiatura in miniatura nelle varie sagre paesane. vittorio.grechi@gmail.com
Lenti a contatto... una grande opportunità Nell’ultimo decennio, fra i vari metodi per correggere i vizi di refrazione, l’utilizzo delle lenti a contatto ha visto una notevole espansione sia per quanto riguarda il numero di persone che sono ricorse a questo sistema per migliorare il loro difetto visivo sia nei progressi tecnologici che realizzano continui miglioramenti delle tecniche costruttive e dei materiali. In base a ciò le lenti a contatto possiedono oggi tutti i requisiti ideali per la correzione completa di qualsiasi ametropia (miopia, ipermetropia, astigmatismo e presbiopia). Il loro notevole sviluppo si deve soprattutto al fatto che consentono di potersi liberare temporaneamente dell’utilizzo dell’occhiale da vista in tutti quei momenti della giornata in cui l’uso dello stesso potrebbe risultare scomodo. Pensiamo all’attivita sportiva, al tempo libero in generale e alla possibilità di poter indossare qualsiasi occhiale da sole senza nessuna limitazione dovuta al fatto che non tutte le montature possono essere graduate. Correzione della presbiopia con lenti a contatto Con il passare degli anni l’ampiezza accomodativa dell’occhio umano subisce una lenta e progressiva riduzione. Si tratta di un fenomeno fisiologico, attribuito ad una graduale riduzione della plasticità del cristallino, che prende il nome di presbiopia. La presbiopia colpisce qualsiasi individuo generalmente dopo i 40 anni di età e si manifesta attraverso una incapacità di mettere a fuoco gli oggetti ravvicinati. Per molte persone la comparsa di questo disturbo rappresenta la prima e forse unica esperienza diretta con un difetto visivo oltre che fonte di notevole disagio.
L’utilizzo dell’occhiale per correggere la presbiopia, per quanto sia necessario, causa molte volte qualche mal di pancia essenzialmente per 2 motivi. Il primo problema che si incontra, di natura prettamente estetica, riguarda il non sapersi vedere e riconoscere con una montatura nel viso che modifica in qualche modo l’immagine che abbiamo di noi stessi. La secondo complicazione che si osserva consiste nel doversi ricordare di portare sempre con sé l’occhiale che quando viene dimenticato limita molto il normale svolgimento della giornata sia essa lavorativa che non. Non tutti sanno che, da qualche tempo a questa parte, anche in questo caso, le lenti a contatto possono venirci incontro permettendoci di vedere bene da vicino e al tempo stesso anche da lontano rendendole così idonee soprattutto per chi vuole correggere più difetti visivi nello stesso momento. Stiamo parlando delle lenti a contatto multifocali, un concentrato di ricerca e tecnologia che consente a molti soggetti di poter godere dei loro strepitosi vantaggi. Per avere maggiori informazioni il Gruppo Antonelli vi aspetta in uno dei suoi centri ottici specializzati (Terni, Narni, Amelia e Orte) dove si potranno ottenere tutte le informazioni per una corretta applicazione. Bastano poche e semplici regole per godere in pieno dei benefici di una correzione effettuata attraverso le lenti a contatto. L’occhiale da vista rimane un ottimo e valido strumento per migliorare i nostri difetti visivi, con le lenti a contatto troviamo tutta la libertà di cui abbiamo bisogno. GRUPPO ANTONELLI
C O N T R O L L O G R A T U I T O D E L L A V I S C O N S E G N A I M M E D I A T A D E G L I O C E N T R O L E N T I A C O C O N C E S S I O N A R I O L E N T I Z E I S D E A L E R D E L L E M I G L I O
T C N S R
A C O M P U T E R I Z Z A T O C H I A L I D A V I S T A T A T T O E R O D E N S T O C K I G R I F F E
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L’ e s t a t e s t a finendo... L’estate sta finendo... … ma la musica rimane sempre la stessa, purtroppo! Anche se quest’estate il tempo non è stato dei migliori c’è da dire che, come nostro solito, abbiamo avuto il nostro bel daffare a stare dietro alle grandi notizie dei nostri adorati telegiornali. Tra stragi, omicidi, crisi, angoscia e incendi i giornalisti non sapevano davvero più dove sguazzare meglio. L’idea di un giornalismo realista e distaccato è quanto di più tristemente lontano dalla nostra realtà: domande del tipo “Cosa prova?” a qualcuno che ha appena perso un familiare in circostanze violente o misteriose meriterebbe solo una risposta e sono abbastanza riservata e ben educata da non riportarla per iscritto. Lasciando da parte giornalisti, giornalettai e giornalai veri e propri, la notizia che più mi ha fatto indignare e vergognare di vivere in un Paese governato da gente del genere, è stata ovviamente quella del processo al beneamato Silvio Berlusconi. Solamente l’idea che il palco da cui si è tenuto il comizio a Roma fosse abusivo mi ha fatto accapponare la pelle. Sarà che sto lavorando come assistente di produzione in un festival jazz e mi sto facendo in quattro per riuscire a capire bene a chi chiedere permessi e come presentare le domande e quindi sono più sensibile al tema, ma una cosa del genere mi ha fatto davvero riflettere. Non sono in grado di fare discorsi seri e impegnati dal punto di vista di argomentazioni storiche, politiche o socioeconomiche, ma una riflessione personale, quella ancora, ringraziando il Cielo, posso arrivare a farla. Un partito che organizza un comizio su di un palco montat abusivamente, personalmente parlando, mi fa venire in mente l’immagine di un gigante con i piedi di argilla. Ora, non voglio assolutamente paragonare il PDL ad un gigante,
lungi da me, ma l’immagine è quella di qualcosa costruito su basi effimere, vane e pronte a sgretolarsi in quattro e quattr’otto. Com’è possibile che molti, troppi, italiani si sentano rappresentati da qualcuno che non riesce a fare, legalmente parlando, nemmeno un comizio il cui scopo era quello di difendersi da quello che è un processo che chiunque (ribadisco, chiunque!) avrebbe dovuto affrontare, avendo fatto quello che è stato fatto? La legge, al principio, non era uguale per tutti? Mi sa che io mi sono persa qualche passaggio, non so voi. Così come io ero rimasta alla notizia secondo cui l’essere umano si era evoluto ed era stato dotato di un cervello tale per cui, ad una certa età, alcuni paragoni la si smetteva non solo di dirli, ma anche di pensarli. Sì, sto parlando del caso di quegli esseri (definirli uomini mi pare davvero eccessivo, scusatemi, ma su cose di questo genere proprio non ce la faccio a chiudere un occhio, nemmeno se la giustificazione è “Vabbè, ma è della Lega!”) che hanno offeso, con ogni canale a loro disposizione, il ministro dell’integrazione Cécile Kyenge. Evidentemente per qualcuno di questi esemplari del genere umano l’evoluzione è rimasta decisamente uno o due stadi indietro, non trovo altra spiegazione accettabile. Di problemi ce ne sono decisamente di peggiori, per carità, ma questi due esempi lampanti di inciviltà devono essere due spie (mi sto limitando, altro che spie: sirene spiegate!!!) della triste situazione che sta imperversando nel nostro Paese da decisamente troppo tempo. Siamo un Paese che ha fatto, della sua inciviltà, una bandiera, un trend, un marchio di fabbrica, a dispetto di tutte le buone caratteristiche di noi italiani, che potrebbero renderci fieri di appartenere a questa meraviglia di Nazione e che invece ci fanno un po’ chinare il capo e guardare in basso (o, peggio ancora, arrabbiarci fortemente con il nostro interlocutore) quando si tratta di dover ammettere alcune vere e proprie oscenità che caratterizzano la nostra scena politica e/o il nostro “essere italiani” in generale. Insomma, “l’estate sta finendo”, come diceva una vecchia canzone, ma purtroppo, a quanto pare, la musica non cambia, anche quando si tratta di melodie di sogni, speranze e passioni. Buon rientro alla routine e al tran tran quotidiano … e alle prossime ferie! Tanto possono passare le stagioni ... ma la musica rimane Chiara Colasanti sempre la stessa!
L’alimentazione dell’anziano: i nutrienti non e ne rge tic i Come abbiamo visto nella prima parte di questa breve trattazione, diventa importante, anche nell’anziano, perseguire quotidianamente una corretta razione alimentare giornaliera. Ogni giorno bisogna fare il programma dei pasti e prendere nota degli alimenti che serviranno. La razione giornaliera è bene che sia frazionata in almeno tre, meglio cinque pasti, opportunamente distribuiti nell’arco della giornata: 10-15% per la prima colazione, 40% per il pranzo, 35-40% per la cena e 10-15% delle calorie assunte per i due spuntini. Importante è sottolineare la raccomandazione di consumare alimenti di origine vegetale durante tutto l’arco della giornata: le verdure (bieta, spinaci, cicoria ecc...), gli ortaggi (carote, patate, pomodori ecc...), la frutta fresca e di stagione. Questi alimenti sono importanti per il contenuto di sali minerali, vitamine e fibra alimentare. Sono invece da evitare cibi troppo grassi e/o salati (es. i salumi e gli insaccati in genere, specie nella stagione estiva), i condimenti abbondanti e l’aggiunta di zucchero alle bevande. Particolare attenzione dovrà essere prestata all’apporto di acqua; infatti molte persone anziane non hanno sete anche quando il loro organismo richiede acqua e questo si verifica soprattutto se i pasti sono irregolari o poco bilanciati. Come regola generale è consigliabile ingerire bevande per almeno un litro di acqua al giorno. L’acqua, infatti, è un nutriente di cui non possiamo fare a meno e che, a sua volta veicola altri nutrienti quali
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sali minerali in essa disciolti e le vitamine idrosolubili. L’acqua, i sali minerali e le vitamine sono nutrienti non energetici meno conosciuti di quelli energetici come i carboidrati, i grassi e le proteine ma non per questo meno importanti. L’acqua è essenziale al nostro organismo perché è nel mezzo acquoso che avvengono la digestione, l’assorbimento ed il metabolismo; sempre per mezzo dell’acqua, con l’urina ed il sudore, vengono eliminate le scorie azotate (urea ed acido urico) che altrimenti si accumulerebbero all’interno dell’organismo e costituirebbero la causa di malattie come la calcolosi o fenomeni di intossificazione. In tema di bevande non si può ignorare il vino e la birra che usati con moderazione e a pasto aumentano la gioia della buona tavola e aiutano ad estinguere la sete. L’importante è consumare le bevande alcoliche durante i pasti in modo tale che l’alcool sia metabolizzato rapidamente senza raggiungere nel sangue una concentrazione tale da provocare uno stato di euforia disdicevole per tutti e pericoloso per l’anziano. È noto a tutti che la capacità di metabolizzare l’alcool varia da persona a persona e nelle donne è minore che nei maschi, comunque un bicchiere di buon vino a pasto è salutare per chiunque, soprattutto se rosso. Lorena Falci Bianconi
Assessorato Cultura Scuola e Politiche Giovanili La cultura, da sempre, non accetta confini. Appena vede profilarsi una barriera, fisica o espressiva che sia, prima o poi la supera, a volte aggirandola a volte abbattendola. Ogni tanto indugia lungo le linee di separazione, esplorando ciò che unisce e ciò che divide. Non vuole interpretare i tempi e descrivere gli spazi. Vuole plasmarli. Nelle attività culturali che caratterizzeranno la città a partire dal mese di settembre si cercherà di mettere al centro il tema della partecipazione, indagando sul legame tra singolo e spazi pubblici. Centrale diventa il difficile rapporto tra individualismo e impegno civico, con i suoi riflessi, nella nostra società liquida, tra isolamento e nuove comunità, tra reale e virtuale. Per far questo, sperando che il meteo ce lo permetta, si proverà ad invadere con la cultura luoghi diversi della città, nella convinzione che è sempre più necessario uscire dai luoghi deputati e tradizionali per andare incontro al pubblico. Molta dell’inquietudine della condizione attuale della società emerge da un senso apparentemente inevitabile di negazione di possibilità, dalla convinzione di vivere in un mondo ricco di opportunità ma che a noi, singolarmente, sono negate. E allora perché non provare ad offrire esperienze ricche di stimoli attraverso le quali le persone potranno avere la possibilità di partecipare attivamente alla vita della città? Tanti dunque i luoghi della città che si trasformeranno in palcoscenico. Collescipoli dal 5 all’8 settembre sarà invaso dalle note e dagli appuntamenti del JAZZIT FESTIVAL: quattrocentocinquanta musicisti jazz si danno appuntamento per quattro giorni di musica. E poi conferenze, seminari e guide all’ascolto, tutto accompagano dai prodotti tipici del territorio. Tutto ciò grazie all’organizzazione della Rivista JAZZIT della Luciano Vanni editore che con la collaborazione della comunità di Collescipoli trasformerà il borgo per un evento davvero eccezionale. Dal 12 al 19 Settembre 2013 le piazze centrali della città accoglieranno, invece, il FESTARCH lab 2013, ideato dai GATR (Giovani Architetti TRerni) in collaborazione con il Comune di Terni: attraverso workshop, incontri, laboratori, passeggiate urbane, installazioni e architetture temporanee si cercherà di mettere a fuoco le trasformazioni che le città e le comunità che le abitano stanno attraversando. Il mondo del digitale è ormai entrato in tutti gli aspetti delle nostre vite. Quale può essere il rapporto tra la città reale e quella immateriale? Nel costruire i nuovi spazi della città sapremo tenere nella giusta considerazione le nuove concezioni di comunità oltre che d’identità individuale? Il festival vuole indagare su questi nuovi scenari invitando alcuni dei protagonisti e interpreti di questo “nuovo mondo”, e si propone di andare oltre, rendere attiva la partecipazione del cittadino, che, da inconsapevole dato interpretato da qualcuno, diviene soggetto che interviene nelle decisioni del suo territorio tramite l’interattività della rete, generando scenari sempre nuovi. Saremo poi anche a Carsulae, il 14 e 15, per il Progetto Antica Via Flaminia. Il progetto di valorizzazione nasce per incentivare la crescita del territorio umbro compreso tra i comuni di Otricoli, Narni e Terni. Un progetto che ha lo scopo di rilanciare il turismo nell’area e di proporre in modo efficace ad accattivante i tesori archeologici, storici, culturali, paesaggistici e naturali di un’area ricca di spunti. L’aspetto più suggestivo ed affascinante della via Flaminia e di quasi tutte le vie consolari romane è nella stratificazione visibile della successione degli eventi, dove tracce e simboli di mondi distanti tra loro nel tempo e nelle credenze religiose vivono, oggi, in perfetta simbiosi. Tante sono in quei due giorni le attività dedicate anche ai bambini. Dal 19 al 29 settembre torna Terni Festival della creazione contemporanea che anch’esso mette al centro il tema della partecipazione, continuando ad indagare sul legame tra singolo e comunità, tra reale e virtuale. Per far questo Terni Festival, oltre che negli spazi del Caos si riverserà in città, colonizzando luoghi diversi, dalle piazze al Centro Multimediale, a spazi insoliti, quasi a voler ridisegnare mappe cognitive del mondo basate su una nuova partecipazione visiva ed emotiva. Particolarmente interessanti quest’anno sono le compagnie internazionali ospitate, grazie anche alla nascita della rete italiana dei festival, che si occupano di creazione contemporanea, le residenze di artisti emergenti e il rinnovato riconoscimento e appoggio del MIBAC che fa sì che questo Festival sia sempre più snodo tra sistema nazionale e panorama internazionale. Il Festival Internazionale della creatività contemporanea continua nella sua ricerca di costruzione di una visuale nuova sulle cose e sulle persone e sulle infinite possibilità di trasformazioni e connessioni tra loro, e per questo voglio qui ringraziare tutti coloro che, tra tante difficoltà, continuano, insieme al Comune, ad organizzarlo. Finiamo questa parziale descrizione delle attività di settembre ricordando che il 20-21 e 22 la città si accende con Terni On, ovvero la nuova edizione della notte bianca, che per l’occasione in realtà durerà 3 giorni. L’evento, ideato dall’amministrazione comunale in collaborazione con tanti soggetti della città, si è ormai consolidato grazie allo straordinario successo delle passate edizioni. Anche quest’anno, grazie alla società eventi e ai suoi collaboratori, abbiamo puntato a fare emergere la città dinamica, attenta alla contemporaneità e capace di avere uno sguardo europeo che Terni è in grado di essere. Assessore Simone Guerra
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Assessorato a
IL PIT D L o
s g u a r d o
La Regione ha attribuito a Terni un ruolo strategico nell’ambito della gestione dei fondi europei POR-FESR 2007-13 ed in particolare con l’Asse IV “Accessibilità e aree urbane”, individuando nell’ambito della stazione ferroviaria uno dei fattori chiave per l’implementazione della competitività regionale. A tal fine la stessa attivava il bando per l’assegnazione dei fondi comunitari puntando ai nodi di Terni e Perugia attraverso la richiesta di specifiche proposte di Progetti Integrati Territoriali (PIT). L’ambito urbano in cui è stato localizzato il PIT, spiega l’Assessore all’Urbanistica Marco Malatesta, ha una grande valenza strategica quale motore del futuro sviluppo di questa parte di città comprendendo, oltre all’immobile della stazione ed all’infrastruttura ferroviaria, aree ferroviarie non più interessate dal traffico merci e di futura probabile dismissione, aree degradate e/o impropriamente utilizzate da riqualificare, con particolare riferimento al comparto di Via Proietti Divi in adiacenza alla zona Fiori e all’ambito ex Bosco. Lo scalo ferroviario, prosegue l’Assessore, ha un traffico annuo di circa 2,3 milioni di persone con passaggi giornalieri di circa 7.000 utenti, prevalentemente legato al pendolarismo con Roma. La proposta di PIT approvata dalla Regione con DGR n. 900 del 29/07/11, intende realizzare un nuovo sistema intermodale per la città, in grado di spostare il principale attestamento veicolare proveniente dalla viabilità esterna a monte della stazione, collegandolo con Piazza Dante e la stessa stazione attraverso un “passaggio urbano” ed intervenendo nel contempo per il miglioramento dell’area circostante lo scalo ferroviario ed il suo più efficace collegamento al centro città. Il Programma, che ha un importo complessivo di € 6.094.649,32, di cui € 1.218.929,86 (20%) a valere del cofinanziamento del Comune di Terni ed € 4.875.719,46 (80%), a valere dei fondi POR-FESR 2007-13, si compone dei seguenti 4 interventi: - Il nuovo sistema di attestamento lungo Via Proietti Divi (€ 980.000,00) per complessivi 380 posti auto, primo step di uno sviluppo che verrà successivamente implementato con ulteriori posti auto e servizi; - Il percorso pedonale sopraelevato (€ 4.310.649,32), connessione urbana destinata a pedoni e biciclette, di collegamento tra il sistema di attestamento di Via Proietti Divi oltre la ferrovia e la stazione/area urbana centrale; - Il parcheggio nell’ambito dell’ex scalo merci in adiacenza alla stazione (€ 320.000,00) per complessivi 340 posti auto, destinato ad accogliere il traffico veicolare proveniente dal settore urbano meridionale; - Una serie di interventi sull’intelaiatura urbana (€ 484.000,00), quali due rotatorie lungo Via Curio Dentato e sistemazioni per un miglior collegamento pedonale con il centro lungo l’asse Via Mascio-Via Plinio.
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d e l l a
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Con il PIT l’Amministrazione si è impegnata nel raggiungimen tempi di interscambio gomma/rotaia del 45% rispetto ai tempi an di 53,09 tCO2/anno. Ma le scelte dell’Amministrazione, tiene a preci risposta al target comunitario. L’idea di attribuire al PIT il ruolo di “ il significato del Programma su una dimensione più ampia, facendon verso il proprio futuro ed oltre le difficoltà e la crisi di questi anni. romana e con i territori limitrofi, c’è la scommessa sull’attrattivit
ll’Urbanistica
I TERNI
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f u t u r o
nto di alcuni specifici obiettivi legati all’Asse IV: la riduzione dei nte operam; la riduzione dell’impatto del CO2 sulla zona centrale isare l’Assessore Malatesta, sono andate molto al di là della semplice “porta urbana”, o meglio di “porta dell’Umbria meridionale” sposta ne il simbolo dello sguardo della città oltre i propri limiti territoriali, . Nel PIT, pertanto, c’è la tematica cruciale del rapporto con l’area tà della città, del suo centro e dei suoi servizi. Si è voluto dare al
Marco Mal at est a Assessore all’Urbanistica
PIT, nel contempo, il ruolo di strumento e occasione di marketing territoriale. Il valore aggiunto dato al Programma ha richiesto alcune scelte fondamentali, condivise fin dall’inizio con il Dirigente della Direzione Urbanistica titolare del procedimento, l’Arch. Carla Comello e con il Responsabile del PIT, l’Arch. Roberto Meloni: la particolare organizzazione, gestione e controllo delle singole fasi ed in genere di tutta la filiera del PIT in accordo con la Regione ed in relazione alle scadenze e vincoli posti dalla normativa comunitaria; la massima attenzione al coinvolgimento dei soggetti a vario titolo interessati fin dalle fasi iniziali; la centralità dell’istanza qualitativa. La fase attuativa del PIT ha avuto inizio a fine 2011, quando è stato bandito il concorso di progettazione per la sua opera principale, il Percorso Pedonale Sopraelevato. Con il Concorso, tiene a sottolineare l’Assessore, il Comune di Terni è stato il primo comune umbro ad attuare la Legge Regionale 2/02/10 n.6 sulla qualità progettuale. Il progetto vincitore, presentato da un’associazione di professionisti capitanata dall’Arch. londinese Renato Benedetti, è una passerella ciclo pedonale in acciaio dal design accattivante. L’elemento caratterizzante e che ne costituisce l’icona con forte valenza di landmark, è il grande Tripode, il sistema di supporto della parte centrale del ponte, costituito da tre grandi pilastri in acciaio che raggiungono l’altezza di 55,30 metri, al cui interno sono inseriti, con orientamento contrapposto, due grandi anelli che sorreggono le funi di collegamento all’impalcato sottostante. A seguito dell’approvazione finale del progetto definitivo, avvenuta nel mese di maggio 2013, è stata attivata la gara per l’appalto integrato, ovvero per la progettazione esecutiva e realizzazione dell’opera. Nel mese di maggio 2012 venivano approvati i progetti per la realizzazione delle due rotatorie lungo Via Curio Dentato, a cui è immediatamente seguita la fase realizzativa. Per quanto concerne il Parcheggio di Via Proietti Divi e quello in adiacenza a Piazza Dante, è previsto l’inizio dei lavori tra l’autunno 2013 e la primavera 2014. Tutti gli interventi del PIT dovranno essere conclusi e rendicontati, pena la revoca del contributo comunitario, entro giugno 2013. Il PIT è stato ed è, conclude l’Assessore all’Urbanistica, anche una importante prova e sfida dal punto di vista organizzativo. Il complesso lavoro di preparazione della proposta, di interazione con i vari Soggetti interessati, dalla Regione alle Società del Gruppo FS, la gestione delle fasi progettuali e di cantiere, i vincoli ed obblighi connessi alla normativa comunitaria, la gestione dei flussi finanziari e relativa rendicontazione, hanno reso necessaria la costituzione di una squadra dove sono state attivate ed efficacemente integrate varie competenze e professionalità provenienti dalla Direzione Urbanistica e Lavori Pubblici, fino alla collaborazione con la Provincia per quanto concerne la verifica strutturale della Passerella.
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Assessorato ai L
La città del futuro Si l van o Ricci
Un parco aperto a tutti
Assessore ai Lavori pubblici
Ha preso il via la riqualificazione del parco di Cardeto, l’area che è interessata a un profondo progetto di valorizzazione e rilancio. Un intervento di un milione 800 mila euro che il Comune di Terni è riuscito ad assicurare tramite una convenzione venticinquennale con un privato, individuato al termine di una gara di appalto. L’intervento richiede lavori per quasi un anno, per l’esattezza 270 giorni, che vedranno, in gran parte, la chiusura del Parco per consentire i lavori nella massima sicurezza. Si tratta di un sacrificio per la città e per il quartiere che sarà ampiamente compensato dalla restituzione di un’area verde che diverrà fondamentale per il tempo libero di tanti bambini, ragazzi e quanti vorranno entrare in contatto con un polmone verde di primaria importanza. Il bando ha dato luogo a una gestione privata, con il controllo del Comune di Terni. Una formula che consente di fare investimenti e di dar luogo a iniziative per l’intrattenimento e il tempo libero. Il cantiere si è aperto con la potatura delle specie arboree già presenti e la rimozione delle situazioni di pericolosità. A R EE V E RDI Realizzazione di un’area “giardino fiorito” a ridosso del campo di calcetto, realizzazione di irrigazione in zone a verde pregiato per oltre il 20% della superficie, riqualificazione del laghetto con l’eliminazione dell’isola centrale e della recinzione, riqualificazione delle sponde ed inserimento di nuova vegetazione e realizzazione di un ponticello in legno e acciaio per l’attraversamento del laghetto. È inoltre previsto il collegamento delle acque del laghetto con il canale nelle vicinanze per evitare la stagnazione delle stesse. Realizzazione di una fontana con zampilli in prossimità dell’ingresso, al centro di un “gioco del labirinto”; è prevista inoltre la realizzazione lungo i confini del parco di barriere antirumore di tipo vegetale con essenze a rapido accrescimento. A R EE GI OCHI I giochi saranno i seguenti: un’area per bambini tra i 3 e 12 anni presso la palazzina spogliatoi con i tipici giochi (scivoli, castelli, percorso tibetano, giochi a molla, altalene), un’area con delle “dune verdi” in prossimità dei palazzi che danno su piazza Cuoco, un’area “skate bmx park” nei pressi dell’ingresso secondario riservata ai ragazzi più grandi suddivisa in tre sottoaree (una zona con pavimentazione in cls ecologico con rampe in legno
per le evoluzioni, una seconda come pista bmx per bambini con gobbe e salti, una terza detta “parkour” per realizzare salti e la corsa di agilità con manufatti specifici in cls e acciaio). Una ulteriore area giochi sarà costituita da una pista attrezzata (nei pressi della ex pista macchinine) per la didattica, modellini elettrici, mini bike e triciclo. PER C O R SI È previsto il ripristino dei percorsi esistenti ed il rifacimento con pavimentazione tipo levocel, la realizzazione di un percorso footing di 650m perimetrale al Parco; saranno realizzati percorsi su terreno stabilizzato nei pressi del “giardino fiorito”. Verrà inserita una rampa per disabili presso l’accesso secondario.Sarà realizzato uno spazio per l’ascolto della musica nei pressi dell’ingresso, vicino ai campi in terra rossa, con particolari accorgimenti per il controllo e l’abbattimento delle emissioni sonore. PA LA ZZI N A S P O GLI ATOI Il fabbricato verrà profondamente ristrutturato, adeguato ed ampliato; in particolare si realizzeranno cinque spogliatoi contro i tre attuali, grazie anche ad un nuovo corpo di fabbrica addossato all’attuale struttura che conterrà anche un ascensore e renderà accessibile ogni spazio dell’edificio; il nuovo edificio ospiterà anche i bagni pubblici. È prevista la realizzazione di una rampa esterna per migliorare l’accesso e la fruibilità del piano seminterrato. Sulle coperture saranno realizzati pannelli di tipo solare-termico e fotovoltaico. C A M P I S P O R TI V I Si prevede l’adeguamento e ripristino del campo di calcetto esistente con la possibilità di sistemare gradinate mobili temporanee per il pubblico, la manutenzione dei campi da tennis in terra rossa e la realizzazione di una copertura con struttura fissa in acciaio e tamponature laterali con pannelli sandwich; le tamponature saranno di tipo avvolgibile per il sollevamento delle stesse nel periodo estivo. I campi da tennis scoperti saranno resi polivalenti per il tennis ed anche per il calcio come secondo campo a cinque e verranno pavimentati rispettivamente uno in erba sintetica e due in materiale sintetico. I M P I A N TI D I I LLU M I N A ZI O N E Viene adeguato ed incrementato l’impianto di illuminazione per la valorizzazione della “piazza” di ingresso, dei percorsi e delle aree verdi, del laghetto, di alcune alberature e della ex casa colonica; saranno usate anche lampade a Led e sarà prevista un’illuminazione di emergenza; è previsto anche l’adeguamento dell’impianto di illuminazione degli impianti sportivi. R I S PA R M I O E M I G L I O R A M E N TO E N E R GE T IC O È prevista la realizzazione di una cisterna per la raccolta ed il riutilizzo delle acque bianche provenienti dalla copertura dei campi da tennis, inoltre sulla stessa copertura sarà realizzato un impianto fotovoltaico di circa 1400mq.
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Lavori Pubblici
Te r n i , 11 a g o s t o 2 0 1 3 La città ritrova la sua anima Il primo dei 108 bombardamenti distrusSi ringrazia: se la città, settanta ASM, AST, Fondazione Carit, anni fa, mettendola in Tubificio di Terni ginocchio. La fontana di Piazza Tacito, opera degli Arch.tti Mario Ridolfi e Mario Fagiolo, aveva subìto le stesse sorti, cadendo vittima insieme ai suoi cittadini. Il 27 luglio 2012 l’ago della fontana è stato rimosso per motivi di sicurezza ed è diventato l’immagine di una città in difficoltà. Oggi la rinascita di questo monumento vuole significare una città che prova a rialzarsi. L’11 agosto 2013 l’ago della fontana è tornato a svettare sul cielo di Terni. Il nuovo ago che svetta in piazza Tacito e che è stato messo a disposizione da AST e Tubificio di Terni, è alto 24 metri e ha una doppia struttura: un sostegno interno in acciaio S355 dello spessore di 12 millimetri e un rivestimento esterno (camicia, in gergo tecnico) in acciaio Inox AISI 321 dello spessore di 3 millimetri. Per l’installazione e la messa a piombo del pennone sono state utilizzate due gru: una da 80 tonnellate con ancoraggio alla punta dell’ago e un sollevatore telescopico di 4 tonnellate che ha accompagnato la struttura durante la fase di scarico dal tir. Le gru hanno consentito anche l’inserimento della base del pennone e l’innesto tra le due parti che lo compongono. Successivamente, i tecnici hanno proceduto alla rimozione del rivestimento protettivo. Tutte le fasi della progettazione sono state portate avanti con tecnologie e materiali innovativi, che hanno permesso di eseguire un intervento il meno invasivo possibile rispetto alla struttura di base. Nell’ambito del complesso programma di recupero della Fontana di Piazza Tacito, il Comune di Terni grazie ad un efficiente partenariato pubblico-privato ha avviato un efficiente modello di coordinamento attraverso il quale esaminerà le problematiche,
prenderà le decisioni di carattere tecnicospecialistico ed effettuerà le scelte necessarie per far fronte agli interventi. Tutto ciò in un quadro di coerenza scientifica e culturale attraverso il quale verrà testato un approccio multidisciplinare orientato a preservare il valore e l’autenticità del bene. L’intervento è stato suddiviso in sub-fasi omogenee al fine di programmare un rigido piano di recupero, che punta alla ricerca delle soluzioni tecniche compatibili con la specificità delle lavorazioni. La qualità delle scelte e la rigidità dei programmi ha permesso di misurare la peculiarità delle scelte che sono tangibili già dal rispetto puntuale delle prime azioni. Superate le prime fasi di lavorazione (la diagnostica e la ricostruzione dell’ago in acciaio), si procederà alle ulteriori fasi: risanamento strutturale; opere idrauliche ed elettriche; opere illuminotecniche; restauro delle superfici musive. La pianificazione successiva degli interventi verrà attuata grazie ad un tavolo di coordinamento denominato “cabina di regia”. Il Comune di Terni si occuperà di tutta la gestione del complesso procedimento di esecuzione dei lavori, dall’approvazione delle fasi progettuali, alla pubblicazione delle manifestazioni d’interesse e alla gestione dei contratti di appalto. In particolare nella scelta dei contraenti il Comune di Terni si atterrà alle vigenti disposizioni normative e per tale ragione garantirà procedure trasparenti e non discriminatorie che assicureranno agli operatori economici il pieno godimento delle libertà fondamentali nella concorrenza. I lavori proseguiranno senza interruzione per un periodo stimato in fase progettuale in 10 mesi.
O FF ERTA E CONOMICA C1) durata della concessione (base d’asta 30 anni): 25 anni; C2) tempo di progettazione definitiva ed esecutiva e di esecuzione dei lavori (base d’asta 420 gg.): 270 giorni; C3) valore dell’investimento (base d’asta € 621.352,37 per lavori, € 900.000,00 totale comprese somme a disposizione): € 1.493.322,70 per lavori, € 1.805.324,00 totale comprese somme a disposizione. C4) giorni ulteriori rispetto ai 10 previsti nello schema di convenzione per l’utilizzo a favore del Comune: 5 giorni.
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Associazione Culturale La Pagina Terni, Via De Filis 7a - 0744.1963037 / 3936504183
Quattro serate indimenticabili
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S a b a t o 8 giugno -
Festa di Er i c a
AC La Terni, Via
C o r so d i f i l o sofia -
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Marcello R i c c i
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Ve n e r d ì 2 1 g i u g n o -
Les Almèes
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Sabato 22 giugno
AC La Pagina Terni, Via De Filis 7a
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- Cultural Cabaret Sei
FGG - Foto di Giorgia Gubinelli
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Consorzio di Bon Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it
Un Ente all’opera per il Territorio
Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera è un Ente di diritto pubblico operante sotto il controllo della Regione dell’Umbria. Nell’adempimento dei compiti istituzionali e delle attività assegnate, conformi alle normative ed alle linee guida dell’autorità di bacino, si occupa principalmente di: - piani di manutenzione per torrenti, fossi e canali; - progetti e lavori per la difesa idrogeologica del territorio; - studi di miglioramento ambientale; - opere per la disponibilità di acqua irrigua ad uso agricolo. Si tratta di una attività intensa e strategica, volta alla conservazione ambientale ed alla tutela e prevenzione da rischi idraulici. Anche per l’anno 2013 è prevista una importante programmazione: - esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria su corsi d’acqua ricadenti prevalentemente nei comuni di Terni e Narni; - esecuzione del 3° stralcio dei lavori per la messa in sicurezza idraulica del fiume Nera nel comune di Terni, nel tratto compreso tra ponte Allende ed il ponte della ferrovia Terni - L’Aquila; - appalto dei lavori di messa in sicurezza idraulica del fosso di Stroncone, nel tratto compreso tra il ponte di via Di Vittorio e la confluenza con il fiume Nera; - elaborazione di studi volti all’individuazione delle aree a rischio di inondazione per alcuni corsi d’acqua della Conca Ternana; - partecipazione al bando del “Programma Comunitario Life +” in collaborazione con il Comune di Amelia per il recupero e la conservazione del bacino del torrente Rio Grande; - potenziamento degli impianti di irrigazione per uso agricolo; - installazione di una mini-idro per l’autoproduzione di energia elettrica. Il Consorzio finanzia la propria attività utilizzando fondi pubblici, unitamente alle risorse derivanti dalla contribuzione consortile. I criteri di riparto dei contributi si fondano sul diverso grado di benefici conseguiti o conseguibili, da parte dei proprietari degli immobili. Questi sono individuati in base a indici tecnici e coefficienti economici, precisati nel Piano di Classifica, approvato dalla Regione Umbria e sottoposto alla partecipazione delle Province e dei Comuni interessati. Tale strumento garantisce il corretto esercizio del potere impositivo del Consorzio.
Il Consorzio, informando la propria attività su avviato una politica di rigore volta al contenime struttura organizzativa. Ricordiamo: - Progetto in-house per le riscossioni. Risparm - Attività di recupero crediti in-house. Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera collabora all’intesa nazionale ANCI / Enti di Bonifica. Ha stipulato un Protocollo di Intesa con la Pro riguardante la manutenzione ed il monitoragg Con tale atto si impegna a garantire la reper l’intervento nelle aree di massima criticità e pot od alluvioni. Significativa la stipula di Accordi di Progra Consortile, riguardanti interventi manutentiv interesse pubblico. Il Consorzio Tevere Nera fa parte dell’A.N Irrigazioni), insieme ad altri 125 Consorzi pre Questa associazione svolge un’intensa a consolidamento ed allo sviluppo della cultura d nell’ottica dell’auspicato federalismo cooper diversi soggetti istituzionali.
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nifica Tevere Nera
o e per lo sviluppo dell’Agricoltura Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 9,00 alle 13,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
La comunità Ternana dispone di un Ente: - virtuoso nell’utilizzo dei fondi; - dinamico e concreto nell’esecuzione dei lavori; - moderno ed innovativo nell’espletamento dei servizi al cittadino. Interessante la collaborazione con il mondo della scuola. Insieme al Provveditorato si è predisposto il progetto di formazione dal titolo “Sorella Acqua”. Il Consorzio ha bonificato e reso agibile per escursioni didattiche, un tratto della sponda del fiume Nera da Cervara alla Pineta Centurini, al fine di creare aule ambientali a disposizione di tutti gli studenti. È intenzione del Consorzio stipulare un accordo con l’associazione Myricae per collaborare nella manutenzione del Parco di Viale Trento. Di rilievo l’elaborazione del Progetto Sport & Ambiente per il risparmio dell’acqua ad uso irriguo per gli impianti sportivi. Si è raggiunto un accordo con la Polisportiva Junior Campomaggio, affinché si possa annaffiare il terreno di gioco di Collescipoli, utilizzando l’acqua di un fosso adiacente il campo di calcio. Sino ad oggi si utilizzava acqua potabile! La disponibilità del Consorzio a proseguire in questa esperienza è totale. Tutto questo intenso lavoro troverà una sua espressione nella prossima Settimana della Bonifica, che in questi ultimi anni è diventato un importante appuntamento per la città di Terni. Attualmente è in discussione, presso la Regione dell’Umbria, la riforma dei Consorzi di Bonifica. In questo riordino istituzionale, riaffermiamo la competenza dei Consorzi, affinché ne venga valorizzato il ruolo e la funzione, in relazione alle Unioni Speciali dei Comuni e all’Agenzia Regionale della Forestazione.
criteri di efficienza e razionalità, ha da tempo ento dei costi ed alla rivisitazione della propria
mio per l’Ente di circa 120.000 euro all’ anno; con gli altri Enti Locali Umbri, coerentemente
ovincia di Terni in tema di Protezione Civile, gio dei corsi d’acqua ad alta criticità idraulica. ribilità del personale tecnico, assicurandone tenziale pericolo, causato da piene, inondazioni
amma con molti Comuni del Comprensorio vi su strade rurali, vicinali o interpoderali di
.B.I. (Associazione Nazionale Bonifiche ed esenti sul territorio nazionale. attività di coordinamento, finalizzata al della bonifica e della salvaguardia del territorio, rativo, inteso come forte collaborazione tra i
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Alle nove della sera Quando io nacqui mio padre era soldato. Eravamo in guerra, gli dissero, e bisognava difendere la patria per poi assicurare un futuro migliore ai propri figli. Fummo sconfitti e le macerie della disfatta per anni pesarono sulla nostra pelle. La mia infanzia non vide luce oltre la miseria. Quando divenni adulto e padre, la guerra era finita da molti anni, toccò anche a me la solita richiesta di fare sacrifici per assicurare un futuro migliore ai miei figli. Oggi le stesse cose si dicono ai miei figli, ripetendo la bugia del sacrificio, chiesto per garantire un futuro migliore ai... miei nipoti. È dall’infanzia che subiamo la solita cantilena e si ripete per chi non vide e mai vedrà spuntare il sol dell’avvenire. A cosa serve chiedersi il perché se poi la gente muore e, dalla tomba, nessuno si lamenta? È notte fonda, ancora più profonda per i poveri ai quali hanno tolto perfino le candele.
Ha poche scelte un povero barbone per trovare un posto dove dormire: o sotto un ponte o in uno seatolone o, se più fortunato, in un pubblico dormitorio. È da sciocchi confondere le mense della Caritas coi ristoranti, come non è un eroe chi aiuta a spegnere l’incendio, da lui stesso appiccato. Una politica opaca e scoraggiante, l’asservimento sindacale favoriranno governi senz’anima, emanazione di un capitalismo acerbo. Ad arte si creano presunti fallimenti nell’economia per ricattare i poveri, per annientare le misere conquiste di una pavida e isolata classe operaia. In un inverno, alle nove di una sera senza stelle, un proletario in lacrime guardava sconsolato verso il cielo dove stava bruciando una bandiera. Svaniva il sogno, finiva una speranza mentre l’ultima fiammata di una bandiera concludeva una parte importante della nostra storia. Giuseppe Rito
Faccette dentali in ceramica Le faccette dentali in ceramica offrono una nuova soluzione per soddisfare e ripristinare le esigenze funzionali ed estetiche dei denti anteriori e rappresentano una opzione importante nella moderna odontoiatria estetica. Le faccette sono lamine in ceramica dello spessore medio di 0,5 – 0,7 mm che vengono applicate sulla superficie esterna dei denti anteriori la quale deve essere leggermente preparata, ossia limata, per accogliere il manufatto. Tale preparazione è estremamente conservativa e deve essere limitata allo strato superficiale del dente ossia lo smalto, anche perché ciò consente un’adesione ottimale delle faccette al dente mediante il ricorso alle tecniche adesive smalto-dentinali, che assicurano un forte legame tra le faccette stesse e la superficie del dente. Una corretta valutazione dell’estetica orale deve comprendere vari criteri tra cui: la salute delle gengive e i rapporti tra denti e gengive, la posizione e estensione dei contatti interdentali, gli aspetti riguardanti strettafig.1 mente i denti quali dimensioni, forma, colore e sue variazioni, caratteristiche di superficie, linea del labbro inferiore, simmetria del sorriso.
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Questi sono tutti aspetti che possono essere trattati con le faccette in ceramica le quali presentano quindi varie indicazioni, tra cui: - denti malformati o con anomalie di forma - denti fratturati - eccessivi spazi tra i denti (diastemi) - denti usurati a causa della funzione - denti con evidenti anomalie di colore. Come per tutti i trattamenti anche le faccette hanno le loro controindicazioni, ad esempio pazienti con bruxismo (sfregamento e serramento dei denti) non sono candidati ideali per un simile trattamento, inoltre anche nei casi di grave compromissione della struttura dentale può essere più indicato eseguire delle corone, cioè capsule in ceramica integrale. Le faccette in porcellana rappresentano tuttavia un ottimo trattamento nelle situazioni in cui si voglia migliorare forma, colore ed estetica dei denti e più in generale del sorriso, come si può vedere dai trattamenti riprodotti nelle figure 1 e 2.
A lb ert o N ovelli
fig. 2
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A Z I EN DA O S P EDA LI ERA
Str uttur a Com p l e s s a d i O
Dr. Giampaolo Passalacqua Direttore Dipartimento Materno - Infantile A z ien d a O s p e d a lie r a “ S. Mar ia” di Te r ni
Il Dipartimento Materno Infantile dedica le diverse attività specialistiche alla salute della donna nelle varie fasce di età e al neonato/bambino articolandosi nelle seguenti unità operative: Ostetricia, Ginecologia, Roomingin, Neonatologia, Terapia Intensiva Neonatale, Pediatria. Rivolge particolare attenzione ad una revisione delle modalità organizzative, operative ed assistenziali rispetto all’evento nascita, cercando di armonizzare quanto più possibile le linee guida dettate dal Ministero della Salute, dalla Regione e integrando l’utilizzo delle moderne tecnologie. Mai come in questi ultimi anni ogni singolo operatore è chiamato a rivedere e modulare il proprio agire alla luce di nuovi modelli culturali dettati dalle aspettative, dalle esigenze espresse dalla madre, dal padre e dalle famiglie rispetto all’evento nascita. Tutto ciò nel pieno rispetto della multiculturalità nei confronti dell’accoglienza alla persona e alla vita, con la convinzione che tale atteggiamento promuova la maternità e la nascita come esperienza femminile di forza e di potenza. Ciò premesso evidenziamo alcuni punti di forza ed elementi di supporto del nostro agire. Dai dati della nostra Azienda si desume che afferiscono ai nostri reparti di ostetricia e ginecologia circa il 30% delle donne straniere ricoverate a vario titolo nel nostro Ospedale. Questo trend testimonia come la nostra Struttura Complessa risulti un punto di riferimento per le donne che devono partorire, essere operate o semplicemente curate, provenienti da altri Paesi europei e non (in termini di prevalenza numerica rispettivamente da Romania, Albania, Marocco, Macedonia, Nigeria, India/Pakistan, Ucraina, Cina; Paesi del Nord Africa, America Latina), evidenziando ancora una volta la particolare attenzione dedicata a tutte le problematiche e necessità tipiche di una Medicina di Genere. Lo sforzo di questi anni è stato rivolto al miglioramento della qualità dell’assistenza, all’organizzazione e alla ristrutturazione degli ambienti per migliorare la qualità del servizio e l’indice di soddisfazione di tutte le utenti. Gli Ambienti Il reparto Ostetricia, ristrutturato da pochi anni, è dotato di rooming-in H 24, con stanze a due posti letto, bagno in camera, fasciatoio, bagnetto per il neonato. Recente climatizzazione. Sale Parto e Sala Operatoria Tre sale travaglio-parto personalizzate con colori diversi, munite ciascuna di servizi igienici, nelle quali la donna può avere accanto a sé il partner o persona di fiducia, travaglia e partorisce nella stesso ambiente, può assumere posizioni libere/alternative e partecipare attivamente a tutte le prime cure del neonato (bagnetti ecc...) con particolare attenzione al contatto “skin to skin” e all’attaccamento precoce al seno materno nelle condizioni di fisiologia del neonato. Sala Operatoria Ostetrica ubicata in prossimità dell’area Parto, dedicata ad uso esclusivo per il Taglio Cesareo agibile H24, giorni 7/7. Entriamo dunque nello specifico: il nostro punto nascita di terzo livello si attesta attualmente su una media di 1200 parti l’anno, con una riduzione della percentuale dei cesarei dal 2010 ad oggi di oltre il 4% (cioè dal 34 al 29,5%), a fronte di un costante incremento di patologia ostetrica (placenta previa, gravidanze multiple, prematurità grave ecc...), trasferimenti in utero provenienti da altri Centri regionali ed extra regionali. Questa appropriatezza nell’utilizzo del taglio cesareo è stata riconosciuta negli indicatori di qualità che hanno collocato la nostra Azienda tra i primi 8 ospedali italiani. Tra gli altri punti di merito: riduzione del ricorso all’episiotomia, implementazione del parto naturale dopo taglio cesareo, garantito il rapporto “one to one” ostetrica-gestante, la costante presenza del ginecologo di guardia che provvede alla normale attività di routine e di
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urgenza/emergenza, la presenza del neonatologo/pediatra ad ogni parto spontaneo e/o operativo. Questa serie di attività viene supportata e si integra con un servizio diagnostico prenatale invasivo e non di eccellenza (amniocentesi, ecografia ostetrica di III livello, flussimetria doppler, cardiotocografia). È possibile il prelievo per la donazione e la conservazione del sangue cordonale h24, giorni 7/7. Obiettivo a breve termine è garantire la Partoanalgesia h24, giorni 7/7, come previsto dalle normative vigenti, a tutte le donne che ne faranno richiesta, adeguatamente informate, per facilitare una scelta consapevole e responsabile. A tal fine tutto il personale coinvolto (medico e non) si sta preparando con corsi specifici per garantire appropriatezza nell’assistenza e nel controllo del dolore sia durante il travaglio-parto, sia nella fase post operatoria. Altro punto di forza rispetto alla Salute di Genere è la nostra Ginecologia che si attesta quale riferimento regionale per la patologia ginecologica benigna e oncologica e si avvale di un efficiente servizio di diagnostica e prevenzione: ecografia pelvica, isteroscopia, citologia cervicovaginale, colposcopia eccetera. Si specifica altresì che la Sala Operatoria dedicata all’attività ginecologica si trova al terzo piano all’interno del blocco operatorio parto, attiva h24, giorni 7/7. L’approccio chirurgico alla patologia ginecologica è versatile, viene personalizzato e reso funzionale in base
S A N TA M A R I A D I T E R N I
Ost e t ri c ia e G i necologia
Équipe Direttore Dr Giampaolo Passalacqua Medici Dr L. Borrello, Dr M. Casavecchia, Dr.ssa N. Di Giulio, Dr.ssa L. Donati, Dr.ssa M. Ferretti, Dr.ssa M. Graziano, Dr N. Lerro, Dr D. Morbidoni, Dr.ssa A. R. Muti, Dr.ssa C. Nenz, Dir A. Perillo, Dir A. Provaroni, Dr F. Taticchi Capo Ostetrica Dr.ssa M.A. Bianco Degenza Ginecologia Coord. Inf. Sig.ra T. Bellucci Degenza Ostetricia Coord. Ost. Ost N. Bruschini Sala Parto - SO Coord. Ost D. De Vincenzi
alle caratteristiche della paziente e alle sue esigenze personali, sempre più frequentemente anche estetiche, compatibilmente ovviamente con la tipologia della patologia. In un’epoca di grande progresso scientifico e tecnologico, di introduzione di moderne tecniche operatorie definite minimamente invasive, la via laparoscopica viene sempre più richiesta e messa in atto da anni anche nel nostro Dipartimento, ormai routinariamente per tutta la patologia d’urgenza ginecologica (per esempio emoperitoneo), annessiale, per le miomectomie ed in casi selezionati anche per interventi di isterectomia. Al di là poi di numerosa casistica interventistica di chirurgia “classica” laparotomica (frequentemente anche radicale oncologica) e minilaparotomica, va assolutamente evidenziato un grande punto di forza chirurgico del reparto di Ginecologia del Santa Maria: l’approccio vaginale alla isterectomia. Quest’ultima vanta una tradizione ed una esperienza professionale di almeno quaranta anni e, sebbene spesso etichettata come vecchia chirurgia, non tutti sanno che a tutt’oggi il consenso scientifico internazionale la riconosce come metodica Gold Standard cioè ottimale, consigliata, da favorire, tutte le volte che risulti possibile, per asportare l’utero affetto da patologia benigna. Tale tecnica, infatti, ormai collaudata e raffinatasi negli anni, in mano ad operatori esperti risulta superiore a quella addominale. Tra i vantaggi annoveriamo minor numero di
complicanze a medio e lungo termine e la totale assenza di cicatrici o tagli addominali. Ne consegue una riduzione della morbilità della paziente, del dolore postoperatorio, oltre che una grande accettabilità “estetica” da parte della stessa. I tempi medi di esecuzione sono generalmente più rapidi rispetto agli altri approcci, con minor probabilità di danneggiare organi vicini all’utero (per esempio vescica, ureteri, intestino); la degenza ospedaliera dura in media tre giorni, con previsione di recupero e convalescenza veramente rapidi. Altri vantaggi ancora: tale chirurgia permette di correggere i difetti del pavimento pelvico (prolasso) e può essere applicata con minor rischio rispetto alle altre tecniche anche su pazienti problematiche, per esempio obese, diabetiche e nei casi in cui sia controindicata l’anestesia generale, dal momento che si può eseguire anche in analgesia spinale. Il servizio di Pronto Soccorso ostetrico ginecologico viene garantito con accesso diretto sia nel reparto di Ostetricia e Ginecologia direttamente al terzo piano. Particolare attenzione e sensibilità verso tutti casi di violenza di genere che purtroppo hanno necessità di usufruire delle nostra assistenza. Il Direttore del Dipartimento, Dr Giampaolo Passalacqua, coglie l’occasione per ringraziare i suoi collaboratori, il personale tutto del Dipartimento e rivolge un particolare ringraziamento a tutti i genitori che hanno scelto in modo consapevole e responsabile il Punto nascita della nostra città e tutte le donne che afferendo al reparto e ai servizi hanno aiutato a crescere e a migliorare la professionalità di ogni singolo operatore, nel rispetto della dignità della persona che è costretta a ricorrere all’ospedale. Dr Giampaolo Passalacqua Direttore del Dipartimento Materno - Infantile
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La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
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Scrittura In una celebre epistola del 10 dicembre 1513, Niccolò Machiavelli scrive all’amico Francesco Vettori, ambasciatore a Roma, parlandogli della sua triste condizione di esule ed annunciandogli di aver completato un “opuscolo De principatibus” (“il Principe”)… Giulia Tani (II D) immagina che il Vettori risponda commentando l’opera dell’amico.
Roma, 20 Dicembre 1513 Carissimo amico, ricevuta la tua missiva, ho tosto letto il tuo libretto e ho molte cose da scriverti. Mi chiedi un giudizio su questo “opuscolo”, ebbene, te lo darò. È una grande opera, breve, concisa, senza fronzoli; tuttavia, ho riscontrato contraddizioni e discrepanze che gradirei tu mi spiegassi. Noi tutti abbiamo chiara la triste e incerta realtà che l’Italia si trova a vivere; sappiamo che è necessario trovare una guida capace che riporti unione, ordine e saldezza, ma credi realmente che esista un uomo con tutte le virtù che tu elenchi? Se l’indole umana è malvagia per innata inclinazione, tra chi cerchi, allora, il tuo Principe? Quello che sollevi, poi, è un problema etico, che non si circoscrive alla nostra realtà storica, ma abbraccia l’uomo in qualità di ‘animale politico’. Rivendichi anche l’autonomia della tua scienza rispetto a tutte le altre e, soprattutto, rispetto alle norme morali, da cui è svincolata. Ma esorti ed educhi chi vuole impegnarsi nell’azione politica a perseguire chiari ideali di valore etico: la fondazione di buoni ordinamenti politici che possano assicurare il bene comune e il governo della legge, la libertà e la dignità della patria; esorti a imparare dal
passato, a seguire la “virtù”, a disprezzare qualsiasi forma di tirannide. Il tuo uomo politico deve tenere a mente questi valori, ma allo stesso tempo “essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi”. Oggi non possiamo certo vantarci della statura morale di tutti i nostri principi, che sono sempre golpi e lioni, simulatori e dissimulatori, e adoperano il vizio per rispondere a esigenze personali, non collettive. Vorrei davvero che esistesse un uomo simile al tuo Principe! Un altro tema su cui ti soffermi è il rapporto che esiste tra virtù e fortuna. Quale prevale sull’altra? Quanto ampiamente il nostro agire è condizionato dalla casualità e dalle circostanze? Nel capitolo VI citi grandi uomini: Mosè, Ciro, Romolo, Teseo. Essi hanno sfruttato la fortuna e hanno messo in gioco le loro capacità. Il politico virtuoso è, dunque, colui che sa prevedere in tempo le congiunture a lui sfavorevoli e porvi rimedio in anticipo? Costruire la diga prima che arrivi la piena del fiume: è questo che intendi? Conoscendo la tua avversione verso gli atteggiamenti fatalistici, dubito che tu releghi alla libertà di agire umana una posizione di rassegnazione e passività. Eppure rimango interdetto da ciò che mi scrivi nella tua ultima lettera. Perdi le tue giornate a ingaglioffarti in faccende così basse? Tu che sei di indole così combattiva, vuoi rimanere quieto e “non dare briga alla fortuna”, ma aspettare che ella decida per te? Non ti riconosco, e non riconosco neanche l’autore de ‘il Principe’. Ritrova la tua grande forza d’animo e non ti abbattere amico mio! Tornando a discorrere circa la tua operetta, penso che gli argomenti e i problemi che sollevi siano realmente complessi e spesso contraddittori. Ho apprezzato molto la scelta del procedimento dilemmatico, che scinde la realtà in due possibilità contrapposte, creando ordine e logica. Ottima elaborazione, veramente un buon lavoro nel complesso. Sebbene io non concordi in tutto con la tua argomentazione, per i dubbi che ti ho appena espresso, penso che le tue idee siano coraggiose e nobili. Presenta, dunque, la tua opera a tutti i governanti d’Italia, responsabili del disorientamento in termini di valori civili ed etici nella nobile arte della politica. Gradirei che tu mi rispondessi presto. Sis felix.
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Creativa Dell’Anima Il signor Rossi non era di certo l’ultimo arrivato fra le schiere delle guardie notturne dei Musei Vaticani, ma in quell’insolitamente piovosa notte del quattro luglio doveva ammettere che in trenta anni di onorato servizio non gli era mai capitato di ascoltare un così bizzarro rumore provenire da una delle grosse stanze del noto edificio. All’inizio credeva che quella specie di ovattatto bisbiglio che, passata la mezzanotte, si era insinuato fra i corridoi deserti fosse causato da un qualche spiraglio di vento entrato da una finestra lasciata imprudentemente aperta, ma dopo un accorto controllo di ogni fessura dovette arrendersi all’inquietante evidenza dei fatti: qualcuno si doveva essere nascosto nella stanza della Segnatura. La guardia appoggiò l’orecchio alla pesante porta di legno ed alla seconda analisi si rese conto che, a giudicare dalle voci che riusciva ad udire, gli incauti o probabili ladri dovevano essere due. L’uomo prese coraggio, tastò il borsello che aveva legato in vita per accertarsi di avere con sè la radiolina per chiedere eventuali rinforzi e, stando attento a non farsi sentire, nascosto dall’oscurità, fece il suo ingresso nell’aula. Dopo che i suoi occhi si furono abituati al buio, si accorse con terrore che nonostante le voci -ora più nitide e distinteproseguissero nei loro discorsi, la stanza era completamente vuota. Per un attimo fu paralizzato dal terrore mentre la sensazione sempre più nitida che fossero gli stessi muri a parlare si faceva spazio nell’animo raggelandogli il sangue. Dovette appellarsi ad ogni briciolo di razionalità che aveva in corpo per resistere all’impulso di fuggire a gambe levate per denunciare la presenza di fantasmi nelle aule vaticane, ma fu proprio il ripensare alla capacità di raziocinio che gli presentò l’unica soluzione possibile a quell’inquietante fenomeno: a parlare non erano né i ladri né i fantasmi, bensì i due filosofi soggetti principali dell’affresco del Raffaello che troneggiava nella sala. Spostò lo sguardo verso l’alto e si accorse di aver ragione: stufi di secoli di silenzio, dopo aver fatto della parola la loro unica ragione d’esistenza, i due grandi maestri della Scuola di Atene si erano rianimati. L’uomo più vecchio, Platone, scrutava severo il suo allievo che, avvolto in un mantello azzurro, teneva in un braccio il suo libro, “L’Etica”, mentre teneva l’altro sospeso a mezz’aria come a ricordare al suo vecchio maestro che la realtà delle cose si trovava nell’immanenza del mondo reale e non nella trascendenza idealistica tanto professata dall’altro. A sottolineare questo contrasto Aristotele aveva domandato con fare orgoglioso: “Che fai, caro Platone, con quella mano alzata, scacci le mosche?”. Questo, piccato, rispose: Mi auguro Aristotele, che tu non abbia frainteso così gravemente il significato del mio gesto! Il mio indice è alzato per indicare agli uomini che l’unico Bene è al di là dell’essere e del pensiero e solo perseguendo questo l’uomo può essere felice! “Assolutamente no, vecchio Platone! - si era affrettato a rispondere
il vicino. Ma permettimi di controbattere a quanto tu predichi con tanto sentimento. Poiché il bene si esprime nelle stesse categorie dell’essere, appare evidente come il bene non possa esssere unico ed universale! Se lo fosse è ovvio che non sarebbe né realizzabile né acquisibile in quanto sarebbe eterno e nessuno potrebbe ricercarlo e acquisirlo!”. Platone sorrise serafico. Se anche tu avessi ragione dimentichi che l’anima degli uomini è dotata di una coscienza che può valutare ciò che è il Bene in quanto ha potuto contemplarlo nell’Iperuranio e quindi confrontando il mondo delle idee con quello sensibile è in grado di giudicare la realtà e perseguire ciò che ritiene sia giusto. “Lasciami dire che di tutte le cose che hai detto questa teoria delle idee è senza dubbio una delle cose più inesatte che io abbia mai ascoltato!”. E perché mai? Non è forse l’idea l’essenza necessaria di un corpo? “Certo, maestro, di sicuro è la causa formale, ma come fanno le idee a partecipare ad un ente sensibile se, come hai detto, si trovano al di fuori della realtà immanente?”. Le cose sono imitazioni delle idee, e definire questa teoria un “poetico giro di parole” come hai fatto tu in molti tuoi scritti è peccare di superbia. “Credo sia estremamente più plausibile ritenere che il principio delle cose si celi nella loro forma interiore e che il centro della nostra indagine debba essere il mondo empirico. Tutto il tuo focalizzarti su un mondo astratto e trascendente è inutile.” Come fai a non renderti conto che il mondo sensibile è invece una derivazione di quello ideale? Ci sono cose che la tua logica non può spiegare, permettimi di dire che ne è un esempio la tua concezione del mondo! “Il mondo è perfetto, unico e finito. Gode delle tre dimensioni, è delimitato dalla sfera celeste e non ha né una origine né una fine! Cosa c’è che non ti convince?”. Trovo assurdo immaginare che il mondo non abbia un’origine, se come hai detto tu, il mondo è perfetto lo deve essere poiché qualcuno lo ha ordinato, e quest’entità ordinatrice è ovvio che sia la stessa che lo ha plasmato. Lasciami dire che la tua visione delle cose è talmente concreta da poter risultare piatta e limitata. Professi addirittura che l’anima sia mortale! “L’anima è il principio della vita presente in ogni essere vivente, è un principio immanente e legato al corpo. È immateriale ma per quanto sia incorporea non può vivere senza il corpo. Quindi sì, secondo me, l’anima si estingue col corpo quando questo cessa di vivere”. Mi fa quasi male sentirti dire queste cose, l’anima, mio vecchio allievo, è incorruttibile e offre all’uomo una coscienza divina e permette che per gli esseri umani ci sia qualcosa dopo la morte. E lasciami dire che se il mio dito alzato indicava la luna tu, Aristotele, hai visto solo il dito. Lucia Marinelli - I I D
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Bartolomeo Bimbi Nel panorama dei pittori naturalistici attivi nei secoli XVII e XVIII, senz’altro un posto di rilievo spetta a Bartolomeo Bimbi. Questi, infatti, s’impose per l’accuratezza e l’originalità dei suoi dipinti che, in prevalenza, ritraevano animali, conchiglie, fiori, frutta e piante. Inoltre raffigurò anche varie espressioni teratologiche del mondo sia vegetale sia animale (famosi sono i quadri che effigiano una vitella e un agnello con due teste, un gallo con enormi barbigli, una gigantesca zucca del giardino granducale di S. Francesco a Pisa, un girasole doppio). Il nostro pittore nasce a Settignano nel 1648 e sin dai primi anni di vita dimostra spiccate inclinazioni artistiche. Cosicché il padre lo affidò alla bottega di Lorenzo Lippi, famoso per la sua arte ma soprattutto per le sue velleità letterarie (era l’autore del poema Il malmantile racquistato). Il giovane artista ha modo di esprimere una non comune capacità di apprendere varie tecniche pittoriche e, inoltre, realizza copie di altre opere con rapidità (caratteristiche queste che nel corso degli anni svilupperà significativamente). Tale apprendistato dura però solo quattro anni, per sopraggiunta morte del Lippi. A seguito di ciò Bimbi venne affidato alla scuola di Onorio Mariani. Dopo varie vicende ed esperienze pittoriche, approda alla corte del granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, personaggio colto, instancabile collezionista, di spiccata sensibilità artistica e scientifica, amante delle espressioni della Natura e convinto zoofilo (quando andava a caccia puntava l’arma sulla selvaggina ma non sparava, essendo già appagato dalla vista della selvaggina; inoltre, nel Giardino di Boboli fece costruire un serraglio che conteneva numerosi animali esotici, compresi quelli cosiddetti feroci). Cosimo diventerà il suo mecenate. Nasce così un sodalizio che darà impulso alla creazione di numerose pitture. Questa realtà è stata così espressa da Francesco Saverio Baldinucci nella sua biografia sull’artista: ...invaghitasi la Casa Serenissima del suo pennello, prendesse di lui tal protezione e stima che quanto di bello e di raro in genere di fiori, frutte e animali selvatici e stravaganti trovar si possa, sempremai li provvedesse, facendogli il tutto dipingere al naturale o per studio di lui o per adornare con essi le Regie sue ville, come presentemente con maraviglia si vede. Rivolgendo ora lo sguardo all’opera su cui si concentra l’attenzione di questa nota, va preliminarmente indicato che è un olio su tela del 1716, dalle dimensioni di cm. 87x72.5, attualmente custodito presso Palazzo Pitti di Firenze (depositi, inv. 1890, n. 4896). Di questa pittura l’artista ne fece un’altra copia per Ferdinando Ridolfi, un collezionista e gentiluomo di camera del Gran Principe Ferdinando (figlio primogenito di Cosimo III). Il soggetto effigiato è un Cacatua delle Molucche a cui attualmente è attribuito il nome scientifico di Cacatua moluccensis. Il pennuto è colto in una postura apparentemente statica, ma che evidenzia un certo coinvolgimento emotivo, forse indotto dalla presenza di un immaginario osservatore. Ciò emerge chiaramente dalla posizione della testa rivolta verso un lato (per consentire di vedere meglio davanti a sé) e dalle penne del capo (le quali notoriamente vengono erette in tutte le situazioni emozionali che interessano questa specie ed altre con caratteristiche morfologiche apicali simili). Appena accennata, ma parimenti ben rappresentata è la lieve torsione del corpo imposta dal movimento del capo, peraltro evidenziata dall’ala destra più sollevata della sinistra e dal conseguente spostamento della coda, che non ha uno sviluppo verticale bensì è spinta verso la destra dell’immagine. Magistrale è altresì l’attenzione con cui sono stati realizzati i vari elementi del piumaggio i quali infondono nell’osservatore una sensazione quasi tattile.
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Se si osserva l’opera con gli occhi di un ornicoltore, si ha l’impressione che il volatile non esprima un perfetto stato di salute, in quanto le piume del petto e addome appaiono scomposte e forse anche opache. Inoltre l’occhio non è ben tondo ma leggermente socchiuso. Con ciò non s’intende evidenziare una particolare condizione patologica, ma semplicemente ipotizzare un comprensibile stato di stress. Gli sfondi del quadro sono studiati con cura e sanno ben evidenziare i cromatismi del volatile. In alto sulla destra vi è una finestra dalla quale s’intravedono fronde di alberi con un cielo nuvoloso rosa e celeste, colori questi che, con le loro sfumature, sono presenti negli sfondi di altre opere del Bimbi e che sembrano dialogare (segnatamente il rosa) con la lipocromica livrea del pappagallo. Nella parte inferiore dell’opera vi è un contenitore di legno che raccoglie noci, mandorle, nocciole, pere e, sul lato destro, una ciotola rotta con (verosimilmente) del pane. Questi ultimi particolari ci offrono delle informazioni sull’alimentazione del volatile che, alla luce delle attuali esperienze d’allevamento, può apparire adeguata per brevi periodi ma incompleta se protratta per lungo tempo. Tuttavia non può non sorprendere favorevolmente il constatare che allora, pur non conoscendo con esattezza (o non conoscendo affatto) le abitudini alimentari del pennuto, si era riusciti ad individuare ed adottare una dieta abbastanza compatibile. L’opera, dunque, per il vivido realismo, potenziato dalla ricercatezza di tutti i particolari, assume una spiccata valenza artistica, tanto da essere considerata fra le più riuscite del Bimbi. Non sorprende, quindi, se tale l’effige è stata copiata (sostituendo soltanto l’artistico posatoio metallico con un ramo) ed inserita in una fortunata e ponderosa opera in cinque tomi in folio di Saverio Manetti, Lorenzo Lorenzi e Violante Vanni dal titolo “Storia naturale degli uccelli” (1767-1776). Non si conosce come il Granduca sia venuto in possesso del volatile: forse l’avrà ricevuto in dono da qualche eminente personalità o forse l’avrà acquistato attraverso il fiorente mercato olandese (è noto che Nicolò Giuducci, suo segretario e corrispondente da Amsterdam, era incaricato di acquistare piante e animali esotici, strumenti e macchine agricole). Molto verosimilmente il quadro costituisce la prima raffigurazione (di sicuro in Europa) del Cacatua delle Molucche. Mentre la prima descrizione del volatile ce la fornisce il già citato Francesco Saverio Baldinucci (1725-1730), che così scrive: In questo tempo poi venne dall’India al Serenissimo Gran Duca Cosimo un bellissimo pappagallo di grossezza poco minore d’una gallina e maraviglioso per la sua stravaganza... Il pappagallo per la maggior parte è bianco lattato ed ha una cresta di lunghe penne rivolte all’indietro di colore scarnatino e bianco; la coda è rossa e bianca e mentre sta sopra il ferro tiene sotto di sé una cassetta dentrovi noci, mandorle e nociuole e molte perine moscadelle per denotare il cibo di cui ordinariamente si pasceva. Per converso la zoolologia e la sistematica hanno riscoperto tardivamente tale uccello. È ben vero che eminenti studiosi come Mathurin Jacques Brisson, Gerges-Louis Leclerc di Buffon, George Edwards e John Latham hanno descritto in vario modo il volatile, ma solo nel 1788 il pappagallo iniziava ad esistere anche per il mondo della tassonomia moderna. In tale anno, infatti, Johann Friedrich Gmelin, nel proporre una nuova edizione del Systema Naturae di Carlo Linnèo, attribuiva il nome scientifico di Psitacus moluccensis (successivamente cambiato nell’attuale Cacatua molucccensis). Ancora una volta l’arte ha preceduto la scienza! Ivano Mortaruolo
Breve storia dell’alimentazione e dei sapori La storia dell’alimentazione umana si può dire proceda di pari passo con quella della sua evoluzione. Dalla ricerca del cibo e del come alimentarsi, alla scoperta del fuoco per mezzo del quale l’uomo comincia a trasformare la materia apportando innumerevoli semplificazioni e un grande aiuto alla sopravvivenza della specie. L’Occidente e l’Oriente sviluppano due grandi culture molto diverse tra loro. Le grandi civiltà che danno vita a quella occidentale sviluppano un rapporto particolare con il cibo; da semplice utilizzo finalizzato alla sopravvivenza si arriva all’alimentazione come pratica edonistica ed esaltazione del sé nella ricercatezza, nella varietà, nei sapori. In oriente l’alimento non serve solo per nutrire e sostentare il corpo, ma porta con sé segnali e finalità, è contemporaneamente forma, colore, odore, sapore, psichismo e quindi energia. L’alimento è il modo con cui la stessa energia vivifica della natura entra nell’uomo attraverso tutti i sensi e lo condiziona nel suo agire e nei suoi pensieri. La scienza medica medioevale occidentale attribuiva alle spezie un ruolo importante nel processo di digestione: si riteneva che il calore generato dalla spezie aiutasse la cottura dei cibi nello stomaco favorendone una più rapida ed efficace assimilazione. Nei secoli successivi avvengono grandi cambiamenti che vedono lo specializzarsi delle tecniche agricole (1000 d.C.); l’introduzione di nuovi prodotti venuti dalle Americhe (il fagiolo, la patata, il cacao, il mais, il peperone, il pomodoro); lo specializzarsi dell’arte culinaria (13001500); la comparsa di dolci, gelati, cioccolato, caffè (1600).
Dalla seconda metà del novecento viviamo nell’epoca della globalizzazione e dell’aumento smisurato dei consumi, ci stiamo tutti uniformando considerando buono quello che ci dicono che è buono. La società moderna con le migliorate condizioni economiche e l’entrata della donna a pieno titolo nel mondo del lavoro, hanno portato un incremento del consumo di alcuni prodotti come quelli animali e di cibi nuovi come i cibi raffinati (zucchero, sale, farine...), gli alimenti ad elevata densità calorica, i cibi industriali e i cibi pronti al consumo, oltre agli ogm. La dietologia moderna, votata al conto delle calorie, nega quasi del tutto le proprietà curative di ciascun alimento ma spesso cade in contraddizione quando si scontra con la necessità di far fronte a determinate patologie in cui la causa non è completamente svincolata da abitudini alimentari. I sapori hanno poi solo qualità edonistiche che esaltano un cibo a prescindere dall’informazione energetica che portano con loro. Secondo la medicina tradizionale cinese ogni sapore nutre un organo vitale il quale a sua volta sostiene delle funzioni specifiche ad esso collegate. L’amaro ad esempio, in piccole quantità, nutre il cuore e quindi tutti i cibi o bevande amare sostengono l’attività cardiaca. Lo stesso dicasi per l’acido che nutre il fegato, per il dolce che nutre il pancreas, per il piccante che nutre il polmone, per il salato che nutre il rene. Dr. Leonardo Paoluzzi Medico chirurgo SIFIT Coordinatore della Commissione sulle medicine non convenzionali -Ordine dei Medici di TerniReferente regionale SIROE
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S p o Ni h i l j u c undius vidi v a l l e m e a spoletana Non ho mai visto nulla di più piacevole della mia valle Spoletina. Con queste parole S. Francesco quasi otto secoli fa descriveva la vallata dove sorge la città di Spoleto. Ancora oggi per i suoi abitanti il sentimento d’amore per questa terra rimane immutato. Anche chi vi scrive è figlio di questa terra, ma non spetta a me raccontarvi di storia o di arte, ma solo del sentimento per la mia città, che spero possa suscitare, in voi che leggete, la curiosità di venire a vedere con i vostri occhi questo piccolo angolo di storia, arte e cultura incastonato tra i verdi monti dell’Umbria. Posso orgogliosamente affermare che Spoleto è una perla nel mio cuore! Lo storico ottocentesco Ferdinand Gregorovius durante un suo viaggio in Italia, soffermatosi a Spoleto così scriveva: La vista di questa città, dopo ore di solitudine in mezzo alla montagna, è bellissima. Mi pare di non aver mai contemplato una cosa tanto pittoresca quanto quel vecchio castello nero che si innalza con le sue torri smussate ed i muri merlati molto sopra la città turrita e ben fatta. Riceveva proprio allora la luce d’oro cupo del tramonto, e così il quadro era di stile perfettamente storico. Ciò dipende però molto dallo stato d’animo con cui si guarda una città antica, perché è l’immaginazione che trasfigura il carattere particolare delle cose… Ed è proprio dove non arrivano i nostri occhi che ci soccorre l’immaginazione. Quante volte vedendo un vecchio edificio, una stradina solitaria o una piazzetta immaginiamo quali mani li hanno costruiti, quanti piedi l’hanno attraversata. Ecco allora che questi luoghi prendono vita e si nutrono di ricordi e sensazioni uscendo dal grigiore quotidiano e sopravvivono nel tempo finché nuove generazioni non ripercorrono le stesse orme, ponendosi gli stessi interrogativi. Il più piccolo dettaglio viene catalogato ed archiviato nella mente e così facendo portiamo un pezzetto della nostra città in giro per il mondo. Flash, attimi vissuti di un momento trascorso riempiono il nostro animo di piacevolezza. Forse non siamo più abituati, ma se riuscissimo a correggere l’asse dello sguardo più in alto di qualche grado ci accorgeremmo di piccoli e grandi meraviglie disseminate per vie e vicoli. Bassorilievi che come pietre preziose, si trovano incastonati nelle pareti degli edifici, finestre gotiche e rinascimentali che appaiono nel loro antico splendore, romantici balconi costruiti da abili mani di artigiani, portoni sovrastati da stemmi araldici che testimoniano la presenza di importanti famiglie della storia secolare, affreschi, graffiti e logge fanno capolino da angoli inaspettati. Questa è la mia Spoleto, una città dall’apparente rilassamento provinciale ma che seduce con il fascino della sua storia, a tratti pacifica a tratti tumultuosa, dalla fedeltà a Roma al Ducato Longobardo, dalle lotte intestine tra guelfi e ghibellini alla rinascita culturale dei secoli successivi. Tutto questo orgoglioso passato trasuda dalle sue pietre. Molto spesso capita che apprezziamo i luoghi a noi cari quando siamo lontani da essi. A quanti è capitato di recarsi per lavoro, studio, scelte di vita, vacanze, in altre città, nazioni, continenti e di come puntualmente, come fosse un orologio, venire assaliti dal desiderio di tornare e poter rivedere, riannusare, riscoprire i colori, i profumi e gli angoli più segreti che in tante belle occasioni ci hanno fatto sussultare il cuore. Così attiviamo quel processo che mentalmente ci riporta a casa, tra mura amiche e sicure. Non aspettiamo che siano gli altri a dirci quanto sono belle le nostre città per capire che grandi tesori abbiamo tra le mani, ma diamoci da fare affinché esse possano essere scoperte e vissute in modo tale che ognuno di noi possa dire: nihil jucundius vidi valle mea … Andrea Cesaretti
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Unitre È sempre emozionante fare un tuffo nella storia dei propri progenitori ed attingere informazioni sulle origini della propria civiltà. Nell’Anno Accademico 2012/2013 l’Università della terza età di Spoleto UNITRE, ha scelto come tema conduttore delle proprie visite didattico/culturali la civiltà Etrusca. L’idea di legare ad un tema prevalente le varie uscite è nata per non disperdere in tanti rivoli nozionistici ciò che era occasione di visita e di concentrare su di un tema precipuo l’attenzione degli Associati, facendone godere il più possibile le varie sfaccettature che si presentavano nella visita dei siti archeologici. La ricchezza dei reperti, raccolti in vari musei e i tanti luoghi sparsi in Umbria, Toscana e Lazio, permettevano un’ampia e completa informazione, lasciando solo l’imbarazzo della scelta e della organizzazione dei viaggi. Accompagnati sempre da una guida che ne anticipava gli aspetti più salienti ed importanti e poi condotti nelle varie visite locali da esperte guide, c’era sempre la possibilità nelle pause di approfittare della gustosa cucina UmbroToscana e di uno scambio di opinioni fra i partecipanti in questi brevi intervalli delle visite. Certo visitando le meraviglie della nostra regione non si potevano tralasciare le visite ad alcune magnificenze artistiche delle quali il territorio italico è cosparso. Si sono così spesso abbinati due aspetti, quello principale del tema prescelto, Etrusco, con quello artistico che di volta in volta incontravamo, chiese, abbazie, castelli, palazzi patrizi. Ci si è accorti così come tante cose non si conoscevano o se ne aveva una conoscenza marginale e spesso parziale. L’Umbria tutta già paesaggisticamente è una meraviglia ma, per di più, è punteggiata da perle d’arte di rara bellezza sparse sul proprio territorio. Ricordo quanto letto tempo fa su di un campano verace appassionato di mare e vela originario di Ischia che si esprimeva nei confronti dell’Umbria dicendo “ ero innamorato del mare e del suo colore azzurro, ma non potevo immaginare che vi fosse un altro mare di verde altrettanto bello come quello Umbro”. Mi sembra un giudizio espresso in modo così spontaneo e soprattutto dichiarato da chi ormai per origine e per scelta aveva già dato la sua adesione ad un tipo di vita che sembra agli antipodi con il giudizio espresso. Nel nostro sito www.unitrespoleto.it abbiamo di volta in volta fatto un breve racconto di come si sono svolte le varie gite culturali, usando un tono che più si confaceva per i partecipanti Associati, spesso cogliendone aspetti scherzosi e personali, ma rimane il fatto che nel corso delle otto gite culturali si sono potute ammirare città come: Arezzo, Perugia, Chiusi, Orvieto Tuscania, Tarquinia, Sovana, Pitigliano, Maremma Toscana. Una “ full immersion” nella storia, nell’arte, nel paesaggio, nella gastronomia della Regione Umbra e di quelle limitrofe, dando ragione e forza alla osservazione che mio nipote (scuola media) faceva nei riguardi dello svolgimento del nostro Anno Accademico con la dichiarazione fattami di scegliere per il prossimo anno l’iscrizione presso la UNITRE di Spoleto al posto della classica iscrizione alle scuole medie Statali! Si accavallano nella nostra mente, trovando però il giusto spazio per ogni visita, quanto ammirato a Perugia con il ricordo per la visita all’Ipogeo dei Volumni in cui si può ammirare una sepoltura intatta con le pareti affrescate che narrano del rituale della sepoltura del Capo Famiglia, con
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Spoleto la partecipazione dei suoi parenti e della servitù, che lo accompagnano alla estrema dimora. La successiva visita alla Cattedrale scendendo 15 metri nei suoi sotterranei permetteva d’ammirare il sovrapporsi nelle varie epoche, dalla piattaforma Etrusca con il suo massimo edificio spirituale a quello romano fino a quello Cristiano attuale. Orvieto con la necropoli che dà una visione straordinaria documentando l’organizzazione urbanistica della civiltà Etrusca; naturalmente fra le tante cose viste ed apprezzate non si può non far cenno allo spettacolo mozzafiato del Duomo. Arezzo con il suo museo di reperti Etruschi che danno una visione completa del livello raggiunto dalla civiltà con i suoi manufatti in terracotta, vetro, gioielleria, mosaici, ed anche qui non ci si poteva sottrarre alla visita della Chiesa di S. Francesco per ammirare i dipinti di Piero della Francesca realizzati per dare testimonianza della Leggenda Aurea di Iacopo da Varazze. Le immagini di Chiusi subito incalzano con la Tomba della Pellegrina e con il labirinto dei Porsenna, lucumone etrusco di una delle dodecapoli Etrusche che secondo Plinio il Vecchio (I sec a.c.), venne sepolto in un mausoleo sotto la città Clusium, oggi Chiusi. Cosa dire di Sovana e Pitigliano, due splendide cittadine che conservano anche nella loro struttura medievale un fascino che si aggiunge all’interesse archeologico della civiltà Etrusca. Di Tuscania,Tarquinia, Volterra credo che non si possa dire altro che vale la pena anche se già visitate di tornarci ed abbeverarsi alla storia che sgorga dai loro scavi e reperti recuperati e portati all’ammirazione di tutti. Non è che un accenno a quanto si può vedere e ammirare ma pensiamo che se anche si è riusciti a far nascere la curiosità o la voglia di visitare i luoghi indicati e descritti così brevemente avremmo raggiunto lo scopo principale che è quello di valorizzare il “tanto bello” che è a disposizione degli Umbri con brevi spostamenti e con gran beneficio allo spirito e alla consapevolezza della grandiosità di chi ci ha preceduti. Dott. Carlo Augusto Dal Miglio Presidente Unitre di Spoleto
Festival di Spoleto 2013 Una città di provincia ha con il suo hinterland, costituito da illusoria campagna e da irrequiete pressioni di trasformazione fisiologica, un rapporto che in passato dev’essere stato tranquillo ed armonioso. Nel tempo temendo la desolazione presunta di una condizione d’abbandono e di solitudine, tende a trasformarsi in un patetico assembramento di costruzioni periferiche allontanandosi da una sua verità costituzionale. Non sempre è così. Spoleto può esserne un esempio anche se qualche incombente traccia di auto-lesionismo si può intravvedere nel suo prezioso tessuto storico ed artistico. Questa capacità di rispettare in buona parte la sua verità localistica aveva spinto il Maestro Giancarlo Menotti a sceglierla per attuare il suo grande progetto culturale. Ha avuto così inizio la grande avventura passata da un secolo all’altro con le sue felici suggestioni. Oggi, mentre si spengono le ultime note di un concerto suonato sul pianoforte del Maestro disperdendo i suoni dalle finestre di Casa Menotti verso l’assolata Piazza del Duomo di Spoleto, altre note si accendono al Teatro Nuovo ed al Caio Melisso nel programma della stagione operistica del Teatro Lirico Sperimentale Adriano Belli per far conoscere le nuove promesse del canto provenienti da tutto il mondo. Proprio in settembre è il momento culminante dell’iniziativa che completa con il suo prestigio l’immagine spettacolare della città dei Due Mondi. Dopo il successo della 55ª edizione del Festival menottiano che ha rinnovato il suo splendore con la direzione e la regia di Giorgio Ferrara, capace di coinvolgere i vari interessi dello spettacolo e delle altre forme d’arte e di cultura, dalle arti visive alla letteratura, dall’indagine sociologica ai temi etici e religiosi senza trascurarne alcuno, è opportuno entrare nel merito degli eventi a corollario per chiarire come la complessa struttura della manifestazione, nata e sviluppatasi in Umbria, sia capace di richiamare l’attenzione e l’interesse di una platea internazionale. Le varie strutture pubbliche e private della città, caratterizzata dalle antiche impronte longobarde, sono coinvolte nella loro funzione di ospitare avvenimenti di varia temporaneità. A partire dalle arti visive con le mostre estive di Palazzo Collicola e della Rocca Albornoziana affidate a prestigiosi curatori come Gianluca Marziani ed Achille Bonito Oliva, il primo costantemente impegnato nella promozione di Palazzo Collicola ed il secondo maestro di ostentate provocazioni di vario gradimento. Nel contempo l’attività di “Viaggiatori sulla Flaminia” giunta all’ottava edizione ideata e progettata da Studio 87 a cura di Franco Troiani, Giuliano Macchia ed Emanuele De Donno di cui ricordiamo le dure prove e l’entusiasmo dei primi momenti, ha offerto nel periodo del festival il 2° itinerario “Arcadia: mente-corpo & paesaggio”. Le sollecitazioni dell’iniziativa sono state molte spostandosi da Campello sul Clitunno alla stessa Spoleto ed a Monteluco offrendo performances, mostre temporanee con presenze di grande eccellenza, proposte o riproposte nella loro immediatezza ma anche nella loro memoria. Una “forma di educazione”, come è stata chiamata dai promotori, che conduce attraverso le bellezze note e meno note della regione reinterpretate dall’opportuno accostamento alla creatività globale. Citiamo inoltre “Arte in terapia. 33 diagnosi d’artista” curata dallo storico dell’arte Alberto D’Atanasio e dal primario del reparto di medicina intensiva dell’ospedale San Matteo degli Infermi di Spoleto, Nazzareno Miele, grande appassionato d’arte contemporanea. Un collettivo di artisti di fama non solo territoriale è stato proposto all’interno del nosocomio nei reparti di medicina ed oncologia per spostarsi nella chiesa antichissima di Sant’Agata, quindi all’Albornoz Palace Hotel, luogo privilegiato per l’ospitalità data nel tempo ad autori di grande notorietà. Altre collocazioni di prestigio hanno completato l’itinerario dell’inconsueto progetto. Prima di concludere questo rapido excursus su un tracciato ben più complesso vogliamo tornare a Casa Menotti, il Centro di documentazione sulle attività festivaliere voluto dalla Fondazione Monini in collaborazione con il Comune di Spoleto e con la Fondazione del Festival stesso, per ricordare come il centro sia fruibile tutto l’anno, adatto a diversi livelli di visita e di apprendimento, per mantenere intatto il legame della città con il contesto culturale internazionale che ha dato vita ad una delle maggiori manifestazioni d’arte e di cultura nota in tutto il mondo. Franca Calzavacca
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55ª Esposizione Internazionale Il Palazzo Enciclopedico è una mostra che indaga sull’esercizio artistico dal ‘900 ad oggi cercando di conciliare ogni aspetto della cultura, alle prese con il diluvio dell’informazione. Perché questa denominazione? Nel 1955 l’artista autodidatta italo-americano Marino Auriti depositava in Pennsylvania presso l’ufficio brevetti i progetti del suo palazzo enciclopedico, un museo immaginario capace di contenere tutto il sapere dell’umanità. Lo stesso Auriti costruì il modello di un edificio che avrebbe dovuto raggiungere i settecento metri di altezza al fine di dare spazio al frutto della ricerca universale. Ovviamente l’impresa di Auriti rimase incompiuta, un sogno impossibile. Oggi la sua utopia è servita ad offrire una definizione alla esposizione veneziana, un ensemble che cerca di dare una struttura al ruolo delle immagini con le riflessioni che ne conseguono. Il segno biblico della Torre di Babele non muore mai. A metà percorso temporale della 55ª Biennale Internazionale d’arte di Venezia un bilancio definitivo si può già fare, dopo aver saggiato i luoghi classici dell’esposizione -i Giardini e l’Arsenale- e vari spazi museali, chiese e palazzi che hanno accolto le prove artistiche giunte in laguna da tutto il mondo. Dieci i nuovi paesi presenti per la prima volta, dalla Santa Sede all’Angola, alle Bahamas, al Regno del Bahrain, alla Repubblica della Costa d’Avorio, al Kosovo, al Kuwait, alle Maldive, al Paraguay ed alle isole Tuvalu ad arricchimento dei settantotto precedenti che nel corso degli anni hanno dato forma e sostanza alla più vasta proposta culturale nata oltre un secolo fa ai tavolini del caffè Florian, di cui diremo. È importante introdurre il nostro esame mettendo in risalto come il curatore, Massimiliano Gioni, abbia rimesso a fuoco le questioni fondamentali dell’arte per rispondere alle molte domande di intellettuali e soprattutto del popolo eterogeneo di visitatori. La sua edizione ha messo all’angolo gli equilibri di mercato ed il caos estetico e tecnologico con i suoi risvolti anarchici. Ha invece voluto chiarire, come possibile, l’aspetto antropologico dell’arte, rimescolando i media e ripartendo dall’immagine. La Biennale di Gioni è enciclopedica, quasi un teatro della memoria, un “ritorno all’ordine” che si impone ciclicamente nell’evoluzione del pensiero creativo per riassestarne le situazioni in divenire, per un migliore esercizio di stile, per superare il movimento sussultorio della precedente Biennale veneziana che aveva cercato di diffondersi in tutta Italia, anche come memoria storica, offrendo assaggi localistici al
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visitatore. L’Umbria aveva avuto la sua parte negli spazi di Palazzo Collicola a Spoleto, con presenze autorevoli ternane e perugine, confortando le nostre aspettative con l’aiuto di nomi già noti e nomi sui quali contare per gli anni a venire. Indubbiamente un’astuzia progettuale ben programmata da Vittorio Sgarbi che si era assunto il compito di effettuare un selezionato, ma non troppo, censimento dell’espressione visiva nazionale, una catalogazione di vaste proporzioni per lasciarne traccia futura. Riabilitato il quadro, riscoperta la scultura, pur non tralasciando di documentare l’impronta multimediale e tecnologica privilegiata dalle precedenti rassegne veneziane, le proposte si fanno chiare e concrete. Anche l’allestimento favorisce l’osservazione, non più un continuum difficile, spesso affannoso, da affrontare nella visita, ma una successione di spazi ordinati, quasi una voglia di normalità, se questo termine si può applicare all’invenzione creativa dell’arte. Il nuovo (o restaurato) modo di proporsi al pubblico è facilmente intuibile negli spazi dell’Arsenale, dove il respiro degli antichi cantieri navali e degli “arsenalotti” al lavoro ancora si sente fra le ombre e le luci delle strutture architettoniche giunte sino a noi da un passato straordinario per i legami tra l’Oriente e Venezia. Più semplice ancora ai Giardini dove da sempre la suddivisione per padiglioni, ognuno dedicato ad una nazione, permette un’analisi senza fraintendimenti. All’ombra dei viali, dove varie sono le attrattive che richiamano la nostra sosta, dall’Olanda con le pagine di pseudo-quotidiani a tappezzare le pareti alla Spagna dove materiali naturali come cumuli di terra o di sassi esprimono l’essenza dell’idea artistica. Ed ancora al padiglione centrale dove sono iniziati quest’anno i restauri della Sala Chini: come anteprima è stato riportato in luce il ciclo pittorico La Civiltà nuova di Galileo Chini (1873 -1956), artista liberty, mentre il prossimo anno sarà svelato il restauro dell’apparato murario ottagonale, otto spicchi decorati nei toni del blu cobalto, oro e rosso acceso da lui eseguiti nel 1909 in occasione dell’8ª Esposizione biennale. Mutato il gusto, il ciclo scomparve nel 1928 sotto una nuova struttura realizzata da Gio’ Ponti; ritrovato nel 1986 in pessime condizioni di conservazione, rimase praticamente invisibile ed è stato nel 2005 che il Comune di Venezia ha dato avvio al restauro filologico del solo ciclo pittorico, arrestatosi poi per mancanza di fondi. Compirà l’opera il prossimo anno la Biennale con risorse proprie per farla diventare il vero punto di partenza della mostra. È a questo punto che vogliamo tornare alla nascita della manifestazione ideata ai tavolini del Florian da un gruppo di intellettuali veneziani a fine ‘800, lo stesso Florian che da vari anni persegue un suo progetto artistico ospitando nei suoi spazi, tali da farne uno dei maggiori caffè storici europei, una serie di mostre dal titolo “Temporanea”, con l’intervento di grandi nomi della nostra epoca. Quest’anno Omar Galliani ha inserito nella sala cinese fra specchi e arredi, coinvolgendo ogni spazio, le sue fantasie sul sogno della Principessa Lyu-Ji che voleva essere una farfalla trascinando nel suo volo tazze da tè, piattini, cucchiaini d’argento ed ogni elemento necessario alla sua bellezza. Un omaggio dell’autore a questa città, magica porta d’Oriente. Dai salotti del Florian -l’origine è del 1720 sotto le Procuratie Nuove- il profumo del caffè ci ha inseguito al rientro nei Giardini con l’happy cafè di Illy, un segno di amicizia con la manifestazione. Essendo in zona, non tralasciamo di citare il padiglione Venezia da sempre dedicato all’alto artigianato od arti applicate che nasce e si esprime sulle terre lagunari.
d’Arte – La Biennale di Venezia La vocazione di questo luogo espositivo riprende con forza ed ospita cinque artisti che si dedicano all’arte soffice, la tessitura. Già dal XII secolo Venezia divenne centro produttivo di preziosi tessuti con le suggestioni dell’Oriente attraverso scambi e rapporti, a flussi interattivi. Reinventando materiali tradizionali attraverso libere invenzioni gli autori, italiani e stranieri, hanno ora ricreato il viaggio antico della “via della seta”. Ed ecco un richiamo che giunge dall’isola di San Giorgio Maggiore dove nella splendida basilica palladiana ci attende la presenza di un’opera, evento collaterale della Biennale, realizzata dalla Fondazione Swarovski ed esposta per la prima volta nel 2011 a Londra nella cattedrale di Saint Paul. Una grande lente poggia su una struttura in acciaio che richiama la forma di un fonte battesimale e cattura dalla sovrastante cupola centrale dettagli dei dipinti di Sebastiano Ricci e Jacopo Tintoretto ed anche le suggestioni architettoniche della chiesa interpretando straordinariamente il luogo sacro. Un ulteriore spazio esterno ai siti canonici è la Ca’ d’oro sul Canal Grande che ospita i capolavori di due grandi collezionisti, nonno e nipote, i baroni Franchetti, “da Giorgio Franchetti a Giorgio Franchetti” è infatti il titolo della rassegna. Proposta dal Polo Museale veneziano la mostra ha per la prima volta riunito le raccolte di arte antica del nonno che amava i maestri minori, le opere rare ed ancora non famose, stabilmente collocate nel palazzo ed ora raffrontate con la collezione del nipote. La stessa passione aveva infatti coinvolto il discendente, attento agli accadimenti del ‘900 nella Roma degli anni ’50 e ’60, momento di nuovi fermenti e stimolanti sollecitazioni. Per la Biennale le opere del XX secolo sono state accostate alla collezione dei maestri rinascimentali, da Giambono a Mantegna, da Tiziano, Tintoretto, Paris Bordon sino a Guardi e Van Dick in un ensemble imperdibile. Anche perché non dobbiamo dimenticare come la famiglia Franchetti nel suo periodo fiorentino abbia realizzato sul colle che guarda il lago di Piediluco una villa su progetto dell’architetto Giuseppe Boccini, quella che ora chiamiamo Villalago e che dopo un felice periodo da noi stessi vissuto è stata pressoché abbandonata e sarà molto difficile salvarla dal definitivo degrado Due situazioni artistiche che è doveroso citare per la loro importanza nel contesto del progetto realizzato dalla 55ª Biennale, dopo l’excursus extra moenia, concludono il nostro viaggio ideale fra Giardini e Arsenale, l’Arsenale infinito come ci è stato riproposto. Uno dei contributi più innovativi è dato dalla Cina nel ventennale della sua presenza alla manifestazione veneziana. Una presenza dirompente che unisce memoria, presente e fa intuire il futuro, collegando tradizione e tecnologia alla ricerca di un suo percorso, un suo modo di essere sulla spinta di un cambiamento irreversibile a partire dalle prime avvisaglie negli anni ’80 con l’occupazione della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Pechino. Molte le occasioni offerte in Biennale sino al Supermao “and china girl” di Xu De Qi visibile alla galleria Ravagnan, in piazza San Marco, con una lettura ironica e surreale del personaggio nell’immagine in cui si avverte l’eco della storia. La nostra avventura veneziana, ovviamente assai parziale data la vastità delle proposte, si conclude con la visita al padiglione della Santa Sede ospitato per la prima volta in Biennale nella Sala d’armi nord dell’Arsenale, in linea con gli intenti del Pontificio Consiglio della Cultura per incentivare il dialogo con la cultura contemporanea. Il cardinale Ravasi ha scelto il tema ispirandosi liberamente al racconto biblico della Genesi, sotto il titolo di “In principio” che
raccoglie i primi undici capitoli del testo affidandolo all’attenta cura del prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, dove già un’ampia sezione di opere moderne voluta da Paolo VI, affascinato dall’arte contemporanea, interagisce con il ricco patrimonio artistico costituitosi nei secoli presso la Santa Sede. A Venezia, quattro gli autori che affrontano i temi della Creazione nella suggestione testamentaria. Lo Studio Azzurro con immagini tratte dalla luce, da stimoli sonori e sensoriali attraverso un utilizzo meditato dai nuovi media. Le fotografie di Iosef Koudelka sono a loro volta di grande potenza evocatrice: emergono temi come la distruzione della guerra, il consumarsi della storia nel suo processo materiale e concettuale, i due poli di natura e industria denunciando un mondo ferito, lasciato all’abbandono. La presenza di Lawrence Carrol illustra il suo lavoro sui materiali di recupero e sul loro processo di trasfigurazione, simbolico e concreto ad un tempo, basandosi anche sulle esperienze dell’Arte Povera. Infine, “fuori concorso”, Tano Festa, con una trilogia di sue opere, dipinti in tecniche differenti che illustrano tre momenti delle origini dell’uomo secondo i testi biblici. L’artista, appartenente alla Scuola Romana di Piazza del Popolo, aveva compiuto una ricerca sugli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina eseguendo una prima opera del futuro ciclo sullo specifico tema, in memoria del fratello prematuramente scomparso, anche lui pittore di grande rilievo, Francesco Lo Savio. In questa nostra illustrazione della Biennale veneziana tuttora in corso abbiamo cercato di suggerire un tracciato di massima fra gli innumerevoli indicatori dell’arte contemporanea, ma per i visitatori resta ancora moltissimo da scoprire ed apprezzare secondo i personali intendimenti. Non si perdano d’animo: sarà prezioso l’apprendimento ed effervescente il contatto. Non manca il tempo per recarsi a Venezia, un tempo utile alla nostra mente e al nostro cuore. Franca Calzavacca
55ª Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia Sino al 24 novembre 2013 Sedi di Venezia. Giardini – Arsenale Orario 10 – 18 – Chiuso il lunedì Eventi collaterali su tutto il territorio di Venezia e della laguna nello stesso periodo.
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Ascolta, il nemico non tace
Stupendo
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Il Tevere per tutta quella notte, abbonacciò la tumida corrente e a ritroso fluì con tacite acque, così che al pari di tranquillo stagno e di queta palude adeguò l’onde per non opporre alcun contrasto ai remi... Virgilio, Eneide, lib VIII, vv. 127 - 132
Allo scopo di iniziare una riappropriazione del fiume Tevere, si è ideato un percorso lungo i suoi muraglioni utile allo svolgimento di tutte quelle attività motorie, diffuse ed amate dai romani, ma che non trovano idonei spazi per uno svolgimento all’aperto e che in alternativa trovano una misera surrogazione con il grande successo delle palestre. Nell’attesa e con la speranza che i grandi progetti relativi alla navigabilità, sia di tipo commerciale che turistico, possano trovare soluzioni, appare costruttiva anche una proposta minimale che consenta a molti o a tutti i romani di rammentarsi della esistenza del loro grande fiume. L’idea chiave è quella di creare un percorso interno ai muraglioni discendendo al di sotto della sommità di questi con piccole rampe. Ciò consentirà un isolamento se non ideale indubbiamente efficace e relazioni positive. In alto, con le fronde dei secolari alberi, in basso, con lo scorrere delle acque e, in lontananza, con la veduta di panorami unici al mondo, unendo il piacere di una sana attività fisica ed un arricchimento estetico. Per iniziare un cammino di recupero del rapporto cittadini-fiume si propone un percorso lungo le sue sponde che ha il pregio, essendo interno alle banchine, di non soffrire per l’aggressione del traffico e dei rumori e che pur a pochi metri di distanza da questi fattori negativi potrebbe esserne esente e ricevere l’apprezzamento di romani e turisti, destando interesse non unicamente per l’attività sportiva, ma invero attraendo una frequentazione legata alle superbe visuali sul fiume stesso e agli incompatibili panorami della opposta sponda. Un’azienda internazionale, la ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni S.p.A., nell’intento di diffondere l’utilizzo nell’arredo urbano e nelle città europee dell’acciaio inox, si è dichiarata disponibile, assieme agli ideatori del presente progetto, gli Architetti Paolo Leonelli e Mario Struzzi, a procedere oltre il presente studio, con verifiche di fattibilità e con la eventuale successiva realizzazione di un prototipo campione.
Made in Terni Nei limiti della presente idea si prevede che l’opera abbia le seguenti caratteristiche: struttura portante in tubi di acciaio inox, impalcato in rete inox con sovrastante tavolato a falda di nave, parapetti tubolari con tiranti in acciaio inox e vetri di sicurezza. Lungo il percorso si dovrà realizzare una pubblica illuminazione ed un sistema di video sorveglianza. L’acciaio inossidabile è un materiale che per le sue caratteristiche consente un utilizzo esterno di eccezionale garanzia sia statica che estetica senza, nel tempo, costose manutenzioni. La scelta dell’inox consentirà pertanto la proposta di una struttura reticolare estremamente esile e trasparente che ben si relaziona alla cortina in pietra dei muraglioni. Gli altri materiali che costituiranno la passerella sono il vetro e l’impalcato ligneo: il primo ovviamente con la sua modernità e trasparenza risulta il più idoneo per non creare effetti intrusivi, il secondo appare consono ad un ambiente d’acqua e costituirà in sostanza quasi un ponte navale. La soc. ThyssenKrupp nell’intento di diffondere l’uso dell’acciaio inossidabile negli arredi delle nostre città che ne sono pressoché privi, contrariamente alle capitali europee, fornirà un contributo tecnico di rilievo ed assumerà l’onere della costruzione di un tratto campione del manufatto quale verifica del progetto e per presentarlo alla cittadinanza e a tutti gli enti tutori. Siamo certi che la proposta possa venire favorevolmente accolta e che se ne possa poi far seguito con una concreta realizzazione, utile per un nuovo e più civile uso del centro storico e del suo Studio LS patrimonio da parte dei cittadini. Paolo Leonelli Mario Struzzi
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Domestica C o n f e ssi o n i e d r a m m i d e l l e d o n n e i n c u cin a Una cucina con un grande tavolo, ogni genere di ortaggi, latte, uova, bacinelle, piatti, utensili e due sedie. Un luogo familiare e accogliente, perfetto per rivelare gioie e dolori della vita, per raccontare storie esistenziali del quotidiano. Una grande famiglia, quella di Domestica, il nuovo spettacolo sul cartellone dell’Estate Romana, composta da ventidue giovani attori, tutti promettenti, guidati dal regista-padre, Juan Diego Puerta Lopez, visionario ed eclettico, che in otto mesi di laboratorio, sperimentazione e ricerca, ha saputo crescere i suoi figli-attori, creando uno spettacolo a tratti realistico e cinico, in altri surreale e grottesco. La drammaturgia, composta da personaggi dell’immaginario teatrale internazionale, è strutturata unendo varie scene, ognuna con il proprio dramma, sotto il segno dell’incomunicabilità, che poi trova sfogo in soliloqui fulminanti e ironici, consumati nell’ambito domestico, lavorativo e sociale. Una cucina della vita, dove gridare, piangere e ridere con pungente sarcasmo. Uno spazio perfetto per cucinare e raccontare la vita, servendola al pubblico, secondo una ricetta che potrebbe subire centomila variazioni, in base al personale gusto. Ogni personaggio, che si trova a passare in cucina, racconta il suo dramma interiore, come se fosse da uno psicoanalista, spesso realmente presente in scena, ad ascoltare le confessioni dei vari personaggi. Storie d’amore, esperienze deludenti, grandi attese e rabbia, sono
l’humus nel quale si muovono i protagonisti, soprattutto quelli femminili. Le donne sono le vere protagoniste di questo spettacolo, le donne che amano e non sono contraccambiate dai rispettivi uomini, le donne che vorrebbero un dialogo con il proprio partner e trovano il muro del silenzio. Le donne che sognano di fare le cantanti o le attrici, ma non avendo la bocca e il seno rifatti, non sono accettate dallo “star system”, sempre più omologato secondo canoni estetici irreali. Le donne che vogliono sentirsi libere di parlare per essere se stesse, in un mondo che tende sempre a metterle da parte. Le donne e la loro grande forza di madri, donne in carriera, mogli in grado di sopportare il fardello del tradimento e ancor più l’ipocrisia dei mariti, che troppo spesso le trascurano. Non manca poi lo sfogo del genere maschile, con uomini, qualche volta miseri, anche loro con problemi di varia natura: chi non sopporta il proprio capo di lavoro, chi giudica in modo feticista una donna guardandole i piedi, chi da piccolo ha subìto un trauma e chi odia la moglie che fa la raccolta punti al supermercato, sentendosi trascurato. Coinvolgente la musica live, che intermezza i vari momenti della rappresentazione, rompendo il tempo della narrazione, con celebri canzoni del passato e momenti coreografici d’insieme molto vivaci. Lo spettacolo sorprende, soprattutto, per la bravura degli attori, che spesso fanno ridere per la loro follia interpretativa e il ritmo incalzante delle loro battute. Un’osservazione costruttiva va comunque fatta. In alcuni momenti dello spettacolo si perde la visione d’insieme dell’opera, a causa di un’aggiunta di situazioni, scollegate tra loro. Restando nell’ambito culinario, si potrebbe dire che Domestica è un ricco minestrone con tanti ingredienti, forse troppi, per gustarne l’originale sapore. Questo spettacolo è un inno al rispetto e alla comunicazione tra uomo e donna, un sapiente invito al dialogo e alla rivalutazione della figura femminile, componente fondamentale della vita. Nel complesso è buono e vivamente consigliato. lorenzobellucci.lb@gmail.com
DOMESTICA: 20 e 21 settembre presso il Teatro Secci di Terni - dal 5 al 17 novembre Teatro Lo Spazio di Roma
Pensieri spettinati di Ferdinando Maria Bilotti
Politica Comunista
Un uomo che si pone tutte le domande giuste e poi sbaglia sistematicamente nel darsi le risposte.
Demagogo
Un politico che preferisce seguire gli umori dei cittadini piuttosto che guidarne gli intelletti. . Vendita auto nuove e usate
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Non ha sempre ragione, ma a sua discolpa va detto che spesso viene chiamato a scegliere fra due torti.
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Elettorato
Un uomo che ha ragione da comprare.
Moderatismo
Malattia senile del comunismo.
Reazionario
Un uomo sopravvissuto alle proprie idee.
Statista
Politico capace d’anteporre una convinzione ad un sondaggio.
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La rottura del tendine d’Achille Il tendine d’Achille è il più grande e robusto del nostro corpo, la sua funzione è fondamentale nella fase di propulsione della marcia ed ancor di più nella corsa. La sua rottura (Fig.1) è un evento particolarmente invalidante che colpisce con maggior frequenza il sesso maschile tra i 25 e 50 anni ed in tre casi su quattro colpisce un soggetto che pratica sport. Gli sport più a rischio sono quelli che prevedono la corsa, i balzi e gli scatti, come il jogging, il tennis, il calcio ed il calcetto. La diagnosi si basa sulla valutazione anamnestica, il dolore è improvviso con rumore di “schiocco” alla regione posteriore della gamba con dolore e debolezza all’arto colpito, in particolare della flessione plantare del piede ed impossibilità a mantenere la posizione monopodalica. La valutazione clinica evidenzia un’ecchimosi alla regione achillea e calcaneare ed un’interruzione della continuità del tendine. La pressione dei muscoli posteriori della gamba non provoca come avviene normalmente la flessione plantare della caviglia (test di Thompson - Fig.2). La lesione viene documentata con l’esame ecografico (Fig.3) e/o RMN che permettono di evidenziare l’estensione dell’area di lesione e della degenerazione tendinea circostante. Trattamento: dipende dall’età del paziente, dalle richieste funzionali e dalle condizioni di salute. Nel soggetto anziano e/o con problemi di salute è consigliato il trattamento conservativo, che consiste nella immobilizzazione della gamba e del piede con caviglia flessa plantarmente di circa 20° in un gesso o di un tutore per circa sessanta giorni. Nel soggetto giovane-adulto attivo è indicato il trattamento chirurgico di sutura dei monconi tendinei, che può essere effettuato con tecnica chirurgica aperta tradizionale (Fig.4) o con tecnica mini-invasiva tramite delle mini-incisioni (Fig.5), poi la gamba ed il piede vengono immobilizzati con un tutore per due mesi, dopo il primo mese è concesso il carico e la mobilizzazione attiva della caviglia. Il trattamento chirurgico offre, rispetto al trattamento conservativo, un minore rischio di rirottura tendinea ed una maggior forza della flessione plantare del piede. Il trattamento chirurgico con mini-incisioni riduce il rischio di sofferenza cutanea. Dr. Vin ce n z o B u ompa dre Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport
Fig. 3 Fig. 2 Fig. 1
Fig. 5
Fig. 4
D r. V i n c e n z o B u o m p a d r e
Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport
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A Te rn i una nuova terapia per una patologia p art i co l are
Induratio Penis Plastica Denominata anche malattia di La Peyronie, dal nome del medico francese che per primo ne fece una descrizione dettagliata, è in realtà un tipo di patologia noto sin dal 1550, anno in cui Andrea Vesalio la segnalò per la prima volta. È caratterizzata da una fibrosi della tunica albuginea, fascia costituita da tessuto elastico che avvolge i corpi cavernosi del pene, e dalla successiva formazione della cosiddetta placca che ne limita l’estensione durante l’erezione e ne determina un incurvamento più o meno grave. Tale patologia si sviluppa, in genere, in maniera subdola senza alcuna sintomatologia preventiva, per cui il Paziente nota all’improvviso solo un incurvamento del pene in fase di erezione. Nell’80% circa dei casi i sintomi ed i segni della malattia sono molto vaghi per cui spesso vengono sottovalutati; a volte viene riferita una pregressa sintomatologia caratterizzata da lieve dolore e/o parestesie lungo la superficie del pene, in concomitanza con l’erezione, molto raramente in fase di riposo. È difficile poter fornire dati sicuri per quel che concerne la prevalenza della malattia in quanto molto spesso il Paziente o non è in grado di riconoscerla o non richiede l’ausilio del medico soprattutto a causa dello stato di disagio, vergogna, conseguente. In linea di massima possiamo comunque affermare che l’incidenza varia dal 3% al 9% anche se i dati derivanti dalle osservazioni occasionali dei reperti autoptici depongono per un 20% circa. Nonostante tale patologia sia a noi nota da quasi cinquecento anni e sia continuamente oggetto di numerosi studi, dobbiamo purtroppo affermare che, a tutt’oggi, abbiamo scarse conoscenza anche a proposito della sua origine. È molto probabile che l’insorgenza della malattia sia da imputarsi ad un evento traumatico del pene, in fase di erezione. In definitiva si tratterebbe di un anomalo processo ripartivo dell’ematoma, come conseguenza del traumatismo, che porterebbe alla formazione di un tessuto fibroso caratteristico appunto della placca. Dal punto di vista della terapia dobbiamo ammettere che, attualmente, non esiste una cura specifica per tale tipo di patologia.
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Sono veramente molte le strategie terapeutiche mediche, fisiche e chirurgiche proposte, ma tutte hanno dimostrato soltanto scarsi effetti positivi. Le prime prevedono terapie farmacologiche generali (Vitamina E, Carnitina, Pentofillina, Colchicina ecc.), e terapie farmacologiche locali (infiltrazioni periplacca con Cortisone, Verapamil, Desametazone + Verapamil, Collagenasi, Thiomucasi ecc.) mentre quelle fisiche sono esclusivamente concentrate a livello della placca fibrosa (Litotrissia extracorporea, Radioterapia, Ultrasuoni, Laserterapia, Ionoforesi, Ipertermia ecc. ). Un discorso del tutto particolare merita la terapia chirurgica in quanto presuppone sia un’attenta selezione dei Pazienti che una completa stabilizzazione della placca (assenza di processo infiammatorio da 6 mesi ad 1 anno) e comunque è riservata soltanto a quei casi in cui l’incurvamento è tale da non permettere più la penetrazione durante il rapporto sessuale. Costituisce invece una novità assoluta la particolare metodica di trattamento messa a punto presso il Centro Demetra di Terni. Denominata Androtermia, essa è il frutto della collaborazione del Centro ternano con la St. Istvan University di Budapest nella persona del prof Andras Szasz, uno dei massimi esperti europei degli effetti sull’uomo dei campi elettromagnetici. Già oggetto di pubblicazioni scientifiche a livello internazionale, questa nuova terapia si basa sull’applicazione di un campo elettromagnetico (Frequenza 13,56 MHz) a livello della sede della placca. Il protocollo prevede tre cicli di trattamenti, ognuno composto di 10 sessioni, della durata di 30 minuti ciascuno, da ripetersi 2\3 volte alla settimana. Al termine dei 3 cicli è stata documentata una riduzione media della misura delle placche di circa il 50%, un miglioramento di circa il 30% dell’incurvamento, la completa scomparsa della sintomatologia dolorosa nel 100% dei Pazienti nonché un significativo miglioramento della performance sessuale nei casi di presenza di deficit erettile. Dr Valter Cassutti Urologo - Centro Medico Demetra
Quello che ci rimane nella memoria è spesso legato agli stati d’animo di quel momento particolare che abbiamo vissuto. Ad anni di distanza a volte diventa anzi preponderante proprio quello stato d’animo rispetto a come gli accadimenti si sono succeduti. È positivo perciò che qualcuno ci aiuti a ricordare superando la memoria personale. Sono parole di Lucia Rossi, della segreteria regionale Cgil, pronunciate alla presentazione del libro “ThyssenKruppen, i tedeschi alle acciaierie di Terni”. In poco più di duecento pagine, Walter Patalocco, che ne è l’autore, ripercorre il ventennio che va dai primi annunci del governo italiano e dell’Iri circa l’intenzione di privatizzare le acciaierie ternane, alle schermaglie per il loro acquisto da parte di due cordate -una italo francese, l’altra italo tedesca- all’acquisizione da parte della Krupp. E da lì, via via, fino al giorno in cui la ThyssenKrupp decide di tirarsi fuori dal comparto dell’acciaio cedendo l’Ast ai finlandesi della Outokumpu. Si arriva, in sostanza, fino ai giorni nostri; alla scottante attualità, all’incertezza del presente e del futuro della principale fabbrica ternana ed umbra. Le vicissitudini passate dell’Ast-ThyssenKrupp nel periodo 1995-2011 vengono ripercorse una ad una ed inquadrate nel “resto del mondo” con riferimenti alle crisi cicliche dell’acciaio, agli alti e bassi del mercato internazionale, alle questioni poste dall’Unione Europea. Con un occhio attento al mutare profondo della concezione teorica sulla base della quale si è sviluppata l’economia dei vari paesi, in conseguenza della globalizzazione e dell’affermarsi di un capitalismo aggressivo e spregiudicato. Mutamenti epocali, dai quali non si può prescindere nella valutazione di quel che è successo ad una fabbrica, una città ed una regione che per forza di cose si sono trovate e si trovano a fare i conti e a confrontarsi col resto del mondo. La risposta è stata adeguata? Le componenti sociali e le istituzioni sono state all’altezza del compito che è loro caduto addosso? Ripercorrere in una sorta di cronaca in differita i vari momenti -difficili e non- può forse contribuire a far sì che meglio si comprendano situazioni che si stanno presentando in questo periodo. Nel leggere il libro di Walter Patalocco, il quale per una vita ha seguito da cronista passo passo le vicissitudini delle acciaierie, si scoprono similitudini in qualche caso sorprendenti tra quel che accadde nel recente passato dell'economia ternana e quel che si verifica oggi.
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La spedizione dei Mille: la campagna di Sicilia (quarta parte)
Bisogna confessare, ad onore del bravo popolo siciliano, che solamente in Sicilia era ciò eseguibile: così il Generale si riferiva al fatto d’essere creduto dai borbonici a Corleone ed in procinto di fuggire dall’isola grazie al già descritto diversivo. Malcelato smaniare di vili che già fornivano i dettagli della presunta ritirata di Garibaldi, si succedevano in quei giorni i messaggi delle autorità pontificie e napoletane che, accolti con sollievo da Cavour, con sicurezza annunciavano spenta la rivoluzione, tanto da ordinare ai reparti posti a difesa della capitale di rientrare nelle mura della città. Quei soldati vi avrebbero fatto ritorno, sì, ma solo per capitolare disfatti. Raggiunto da navi inglesi e da corrispondenti americani, l’eroe dei due mondi mostrò loro il proprio accampamento, per poi ricevere dal giornalista del Times Eber, futuro ufficiale dei Mille, e da un insorto palermitano membro del comitato centrale, una mappa di Palermo e delle informazioni relative alla disposizione dell’esercito nemico. Consigliato da nativi del luogo, il Generale decise di muovere per il sentiero che da Gibilrossa giungeva a Palermo, ove sarebbe entrato attraversando la porta Termini. Le Camicie Rosse, divise in due compagnie e nell’avanguardia di Tuckory, nonostante avessero ricevuto l’ordine di procedere nel più rigoroso silenzio, non potettero frenare il proprio entusiasmo e con esso patriottiche grida, incontrando dunque la resistenza dell’avanguardia borbonica. Lo scontro fu più che sanguinoso, in pochi minuti vennero feriti Benedetto ed Enrico Cairoli e Bixio, mentre caddero il dottor Rocco La Russa e Tuckory. Nonostante le gravi perdite, con successo venne lanciato l’assalto dei numerosi picciotti che, con rinnovato ardore grazie all’esempio di coraggio di Francesco Carbone, riuscirono a penetrare nel centro della città fino a Piazza della Rivoluzione, già allora famosa con questo nome poiché in quel luogo lo stesso generale La Masa, nell’altrettanto fatidico 1848, aveva proclamato la Primavera di quell’infelice popolo. Basandosi sulla testimonianza di Stefano Canzio, è possibile ricostruire il deserto largo ove giunsero i volontari appena usciti dalla mischia, ovvero quello di Fiera Vecchia. In esso i regi avevano in precedenza fatto circolare la voce della liberazione della città per arrestare tutti coloro che fossero usciti festosi dalle proprie abitazioni, quindi i residenti temevano un nuovo inganno, tuttavia quando si fu certi dell’arrivo di Garibaldi una folla giubilante si radunò nei pressi del palazzo del principe di Villafranca, ov’egli si era momentaneamente stabilito. Era quello il giorno della Pentecoste, coincidenza che, evidentemente casuale, venne interpretata dal superstizioso volgo siciliano come un segno del cielo, un messaggio della Divina Provvidenza che, assieme ai Doni dello Spirito Santo stava inviando loro un liberatore grazie all’intercessione della loro protettrice, Santa Rosalia. Nel giro di poche ore un pugno di briganti era riuscito ad occupare gran parte della città, infangando l’onore, l’orgoglio di dinastie di tiranni. Tutto ciò era qualcosa d’inammissibile, almeno per un comandante che, alter ego di Francesco II, alla propria inettitudine militare rispose con un bombardamento che durò incessante per due notti e tre giorni, non risparmiando innocenti civili e bambini, già afflitti dal dramma delle violenze e dei soprusi inflitti dalla soldataglia napoletana. Presto si seppe che l’impunito capo della masnada vestita di rosso era in Palazzo Pretorio: le palle di cannone s’intensificarono in quella direzione, radendo al suolo tutti gli edifici di quella zona ad eccezione dell’agognato obiettivo. Gesto di cui è assurdo chiedersi la ragione, Garibaldi volle dormire sulla gradinata della fontana di Piazza Pretoria, guardato a vista da Basso, Stagnetti e Froscianti,
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cui tolse il sonno il pensiero del coraggio di quello che non era altro che un uomo. Il 30 maggio Lanza scrisse al Generale una lettera in cui lo invitò a trattare una tregua a bordo d’una nave inglese il cui comandante avrebbe avuto il ruolo di mediatore, accordo che per ventiquattro ore garantì la sospensione degli scontri. L’indomani giunse a Palermo Giuseppe Bandi che, non ancora completamente guarito delle proprie ferite, riabbracciò i propri compagni d’arme, indossò nuovamente la propria uniforme e ricevette venti scudi da Froscianti. Poco dopo due parlamentari napoletani, Letizia e Buonopane, chiesero udienza al Generale per ottenere tre nuovi giorni di tregua, durante i quali si recarono a Palemo per conferire con il Re. Dopo altre settantadue ore di cessate il fuoco, il 6 giugno si concluse un accordo per il definitivo imbarco dei regolari borbonici: Palazzo Regio era finalmene Palazzo delle Libertà. Prontamente iniziata l’opera di ricostruzione, il Generale scoprì con enorme contentezza che il prode Benedetto Cairoli era ancora in vita sotto le cure del dottor Albanese: commuove l’idea che il destino aveva risparmiato la morte ad almeno uno dei cinque fratelli di quell’eroica famiglia, che avrebbe in seguito speso così bene la propria esistenza da divenire per tre volte primo ministro italiano. Rassicurato dall’arrivo di numerose divisioni come quella di Medici, spesso dirottate sulla Sicilia dal governo sabaudo che temeva mire più centrali, il Duce dei Mille incontrò i coniugi Mario, ai quali chiese di istituire una scuola militare che in breve avrebbe addestrato ben due battaglioni. Ancora metà dell’antica Trinacria era in mano all’erede del giogo spagnolo: si decise quindi di scagliare tre lance per infrangerlo definitivamente, tre spedizioni i cui comandanti ebbero nome Turr, Bixio e Medici. Quest’ultimo ebbe il compito più arduo, quello di prendere Milazzo, occupata tuttavia dalle più numerose forze del generale Del Bosco. Constatata l’insostenibile superiorità numerica di quest’ultime, il generale garibaldino richiese l’aiuto dell’eroe dei due mondi che, lasciato Sirtori Prodittatore a Palermo, immantinente partì per il campo di battaglia. Rinominate le Camicie Rosse Esercito Meridionale anche grazie all’arrivo dei volontari di Cosenz, di Fabrizi, di Spech e del britannico Dunne, il 20 luglio ebbe inizio una battaglia che dopo circa dieci ore avrebbe lasciato padroni i Mille dell’intera città ad eccezione del castello, dove ancora per poco resistettero i militi nemici. Sgomberata Milazzo, Medici potè quindi entrare al galoppo in Messina rispondendo alla profezia del generale borbonico che aveva in precedenza affermato che sarebbe tornato a Palermo sul suo cavallo, mentre il primo giorno del mese di Agosto vennero liberate Siracusa ed Augusta. La Sicilia è oramai redenta, ed è un illuso chi crede o spera come Cavour che il plebeo donator di regni tema d’attraversar Scilla e Cariddi. La parola ad Abba: Silenziose, gravi, fumose come avessero pensieri tristi, le navi napoletane vanno e vengono per lo Stretto. Passare all’altra riva, ecco il problema. Ma il Dittatore vive. Frances co Neri
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Le m a c c h i e so l a r i
Una soffitta sull’Universo
L’andru ggiornu c’era ‘n sole che spaccava le pietre e… co’ Zzichicchiu e mmi’ moje… stavamo sotto casa mia a mmagnacce ‘n cocommeru pe’ rrinfrescacce ‘n bo’. Era ccucì ssugosu che… pe’ qquantu so’ statu ‘ttentu ‘n bo’ de sbrodolamentu l’evo fattu… e mmi moje… A Lunardi’… te sì mmacchiatu tuttu quantu… e mmagna più ccarmu!... Subbitu Zzichicchiu è ‘ntervinutu e… A ppropositu… lo sapete che ssu lo Sole… ‘stu periodu… ce sta ‘n saccu de muvimentu?... Se vvidissi se qquante macchie solari che cce stanno?... J’ho fattu… Se vede che sse sbrodola pure issu!… Ma che stai a ddi’ Lunardi’... mesà che lo Sole t’ha datu su la capoccia!... Devi sape’ che ppe’ le perturbazzioni magnetiche… se formono su lo Sole tante chiazze… cinque seicento gradi più ffredde de lu spiazzu ‘ntornu… ch’è de cinque seimila gradi… co’ ‘llu contrastu quelle parono nere!… Aho capimoce… ‘nternamente a lo Sole so’ ssempre mijoni de gradi!... A Zzichi’… mo’ m’hai ‘ncuriusitu… vòjo vedelle!… So’ annatu a ppija’ lu bbinoculu miu ‘stronommicu... l’ho piazzatu e stevo pe’ gguardacce quanno me tt’arriva ‘na bbotta tra capu e ccollu che ppe’ ppocu no’ mm’ha fattu ‘ncastra’ le palle de l’occhi su l’oculari de lu bbinoculu… Ma che tte sì ‘mpacitu Lunardi’… te voli ceca’?... Non t’aricordi quanno co’ ‘na lente e lo Sole ce bbrucevamo la carta?... Co’ lu bbinoculu tòcca mettece llà ddavanti ‘n filtru adattu pe’ pprotegge l’occhi!... Che tte pozzi guastatte Zzichi’... se cche bbòtta! Me s’è ‘rrosciata tutta la faccia… mo’ filtru o non filtru… vedo tuttu niru… vedrai se cche mmòre che mme vengono! Mi’ moje me tt’ha datu ‘n’occhiata e… A Lunardi’… ‘n t’éo vistu mai ccucì turbolentu… mo’ co’ ‘lla faccia roscia e ‘lle chiazze scure… me pari lo Sole… vero Zzichi’?... ??? p a o lo . ca s a li4 8 @ a lice. it
La sera precedente per Giovanni e Margherita era stata decisamente fuori dal comune; anche al lavoro non riuscirono a fare a meno di pensare a ciò che era accaduto e che soprattutto avrebbero avuto l’opportunità di condividere insieme a Leonardo delle esperienze uniche ed interessanti. Accidenti! Proprio quel giorno avevano avuto da fare più del solito in ufficio tanto che Margherita dovette fermarsi un’ora oltre il normale orario! Ma subito pensò a una soluzione: per non perdere ulteriore tempo con la cena sarebbe passata in rosticceria. Così fece e infatti quella sera, con la collaborazione di Giovanni e Leonardo, in men che non si dica, avevano già mangiato, lavato i piatti e riordinato la cucina: adesso erano pronti! Prima di salire in soffitta da Overlook, Leonardo rispolverò nella mente dei genitori quelle piccole accortezze che il maestro aveva consigliato a lui riguardo al fatto di porsi nelle migliori condizioni per l’osservazione del cielo. Così, armati di torcia, golfini e termos, cominciarono a salire le scale. Buonasera a tutti! Leonardo, vedo che stai diventando più bravo di me e hai già dato il buon esempio su cosa portarsi quando ci si prepara ad una serata di osservazione! Proprio così Overlook, inoltre ho raccontato a mamma e papà quello che ho imparato fin qui! Bravissimo, così possiamo riprendere il nostro argomento sui pianeti rocciosi. Avevamo visto tutti i pianeti del sistema solare tranne uno: la Terra! Già, il pianeta su cui viviamo! La Terra è il terzo pianeta in ordine di distanza dal Sole ed anche il più grande tra quelli rocciosi. L’unico adatto a permettere la vita come la conosciamo noi, anche se non sono escluse, come dicevamo per Marte, forme di vita primordiali tipo i batteri. Questo perché si sono create delle condizioni favorevoli dovute anche alla sua massa che riesce a trattenere stabilmente l’atmosfera: essa, infatti, esercita un effetto-serra che riesce a mantenere una temperatura quasi costante tra il giorno e la notte, senza eccessivi sbalzi termici. Ma è sempre stato così? - chiese Giovanni. No, si pensa che originariamente l’atmosfera fosse ricca di anidride carbonica e solo successivamente, grazie alla produzione dell’ossigeno da parte delle piante, sia diventata respirabile per tutti noi. La Terra è anche l’unico pianeta conosciuto a possedere acqua in forma liquida. Anche la Terra è come una grande trottola? Sì, Leonardo. Devi sapere poi che l’asse di rotazione della Terra non punta sempre nella stessa direzione. E dove punta? Vediamo se riesco a semplificarti il concetto: fai finta di prolungare questo asse all’infinito; questo prolungamento raggiungerà un punto della volta celeste vicino alla Stella Polare che, approssimativamente, indica la posizione del polo Nord. Ci sei? Fin qui sì! Bene. Per effetto di perturbazioni dovute al Sole e alla Luna, in un periodo di 26.000 anni l’asse della nostra “trottola” descrive un cerchio intorno all’asse dell’eclittica, (si chiama così il piano su cui la Terra compie la sua rivoluzione intono al Sole). Ne seguirà quindi che il Nord, indicato ora dalla Stella Polare, tra circa 13.000 anni, poiché in questo momento ci troviamo circa a metà percorso, sarà indicato dalla stella Vega. Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it
Parliamo delLA LUNA La visione del disco lunare mette in evidenza aree riflettenti molto luminose alternate a macchie opache meno brillanti, i cosiddetti mari. Nell’insieme, questa disomogeneità ha da sempre indotto l’uomo a ricavarne delle immagini fantasiose di varia natura che hanno contribuito a rafforzare il profondo legame sentimentale instaurato con il nostro satellite. Osservando la Luna da diversi punti della Terra, essa si presenta con una angolazione del proprio asse spostata per cui le macchie opache lunari si dispongono in modo tale da assumere forme diverse pur essendo esse disposte sempre allo stesso modo. Alle nostre longitudini, chi non ha visto disegnato sul disco della Luna piena un volto sorridente!? Su tutti i libri dedicati ai bambini la Luna è rappresentata comunemente come un sorridente faccione paffuto; è quello che, con la fantasia, noi vediamo guardandola. Già da tempi molto remoti venne attribuita alle macchie lunari la sembianza di un volto. Aquilino, poeta latino, vedeva dipinto sul disco lunare il volto di una matrona con lo sguardo rivolto in alto, mentre una immagine molto più fantasiosa la descrisse il poeta triestino Filippo Zamboni (1826-1910) che vi volle intravedere due teste all’atto di baciarsi. In effetti questa immagine risulta di più difficile interpretazione essendo ben risolvibile il volto dell’uomo, posto sul lato destro, mentre è molto meno riconoscibile il volto della donna, delineato dalle macchie poste a sinistra del disco. Si rimanda il lettore curioso ad osservare la Luna in una serata limpida, quando essa è piena, per mettere in gioco la propria fantasia e godere, meditare e, perché no, dare una propria interpretazione all’immagine offerta dalla Luna. Altre immagini proposte dalla fantasia di altri popoli, sono siluette di animali; in molti riconoscono disegnate sul disco lunare le sembianze di un coniglio o di una lepre, altri vedono uno scoiattolo con la nocciola tenuta con le zampe anteriori. La letteratura riporta altre immagini dettate dalla posizione dei mari della Luna: Adamo ed Eva, Caino con un fardello di spine, Giuda e perfino un uomo decapitato. Osservando il nostro satellite è immancabile che la nostra mente divaghi oltre i limiti della fantasia, ma mentre ciò accade ricordiamoci che i nostri piedi sono per terra, ancorati alla realtà. Enrico Costantini
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La scelta più adatta alle proprie esigenze Con l’inizio della caduta dei capelli, spesso una malattia diventa visibile per la prima volta. Una sostituzione professionale dei capelli fa sì che nessuno si accorga del cambiamento e che la malattia, perlomeno visivamente, passi in secondo piano. Un aiuto concreto per le necessità fisiche e psichiche è offerto dalle Parrucche da noi proposte. Per le loro caratteristiche e per la lavorazione particolarmente accurata, esse aumentano, parallelamente alla terapia, la sensazione di benessere e garantiscono il massimo del confort di vestibilità. Calotte morbide con rivestimento in velluto si prendono cura del cuoio capelluto, spesso fortemente irritato e sciupato, dei pazienti in cura chemioterapica. Le nostre Parrucche, (protesi è il giusto attributo che dobbiamo dare loro) hanno inoltre un aspetto naturale e spesso particolarmente leggero. Anche a costi a partire da 100 Euro. Siete voi a decidere la parrucca più adatta alla Vostra esigenza: sintetiche di terza generazione e con capelli Naturali. Noi siamo specializzati per fornirvi sostegno, prove e assistenza.
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