Numero 1 maggio 2014
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Fot o Al bert o M i ri mao
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COSP Il vestito lungo della nonna: una storia ungherese - F P a t r i z i Il pudore questo (sconosciuto) - D C e c c o b e l l i S A N FA U S T I N O A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E L A PA G I N A LANDI COSTRUZIONI Puoi girare il mondo in cerca di qualcosa... - C Colasanti Scuola di filosofia popolare - M Ricci ASSESSORATO ALLA CULTURA A S S E S S O R AT O A I L AV O R I P U B B L I C I Il Ponte pedonale sul Nera CONSORZIO DI BONIFICA TEVERE NERA The grand Budapest hotel - P L B e l l u c c i L’oroscopata - P C a s a l i IMMOBILIARE BATTISTELLI ORESTE - MV Petrioli Una soffitta sull’Universo - M P a s c q u a l e t t i ALFIO Ve n t ’ a n n i f a i l g e n o c i d i o i n R w a n d a - M D ’ U l i z i a , A C e s a r o Il Genocidio in Cambogia, Ruanda, Bosnia - PL Seri COOPERATIVA MOBILITÀ TRASPORTI ALLEANZA
TAVOLE EUGUBINE I segreti percorsi di una storia nei caratteri incisi sulle pietre sulle tavole nella memoria che raccoglie ogni cosa ogni alito ogni azione ogni tesi afferente alle nostre intenzioni ogni spazio che si aggiusti dentro e fuori le forme che consentono all’uomo una sua identità. In qualunque momento ci si può sistemare per trovare un appiglio a cui chiedere aiuto. Il passato solo in parte svelato da mentali effrazioni sulle tracce tribali nei richiami nei dubbi in alcune certezze entra in noi. Ci confida leggende di sconfitte e rinunce ci entusiasma al pensiero di altrettante vittorie con quei lumi di una tarda primavera mentre ulivi in tremante abbandono ci concedono tralci per saggiare d’intorno il futuro dell’uomo in cammino verso croci e sagitte su quel colle lontano. In silenzio attendiamo che il sepolcro si sgravi. Una culla dai lini non più intrisi di sangue. Franca Calzavacca
LA PAGINA UMBRIA
Mensile di attualità e cultura
Numero 1 in attesa di registrazione presso il Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Alberto Mirimao Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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La Pagina
ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Superconti Vocabolo Isola; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CIVITA CASTELLANA SUPERCONTI V. Terni; MASSA MARTANA SUPERCONTI V. Roma; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; PERUGIA SUPERCONTI Centro Bellocchio; RIETI SUPERCONTI La Galleria; ROMA SUPERCONTI V. Sisenna; SUPERCONTI V. Casilina 1674 (Grotte Celoni); SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; TERNI AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; Libreria ALTEROCCA - C.so Tacito; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C. Comm. Le fontane; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; TODI SUPERCONTI V. del Broglino; VITERBO SUPERCONTI V. Belluno; VITORCHIANO SUPERCONTI Località Pallone.
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La mia Umbria I quattro elementi, magicamente fusi: la terra, generata da fuoco eruttivo e da emersione dalle acque, respira profumi primaverili, in ogni stagione. I sali minerali, che marina e lapilli sigillarono con tanta dovizia, immergono l’Umbria in sapori, di ara in ara, diversi. Quattro itinerari fondamentali si intrecciano: storici, artistici, naturalistici, spirituali. Necropoli, templi, città sotterranee, monasteri, abbazie, conventi, castelli, borghi, torri e muraglie costituiscono l’irripetibile patrimonio archelogico, artistico, architettonico sedimentato da Umbri, Etruschi e Romani, dal Medioevo e dal Rinascimento. Il caleidoscopio, dominato dal verdeumbria, si arricchisce di altri tenui colori: il rosa pallido, il giallo tufaceo, il miele ambrato, l’azzurro cenerino, il rosso mattone delle sue pietre e dei suoi tufi. Le alture e le gobbe, dolcemente ondulate, assumono forme lievi e pendenze deboli, spargendo ai loro piedi uliveti e vigneti. Querce, pioppi, aceri, olmi costeggiano fiumi e rivi luccicanti e sinuosi. I paesini, dalle case che si arrampicano l’una sull’altra, s’inerpicano fino a cattedrali e a fortezze feudali.
Umbria,
misura umana, oasi di pace. Giampiero Raspetti
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Il vestito lungo della nonna: una storia ungherese
La nonna gli aveva raccontato che i genitori che l’avevano adottata erano morti ad Auschwitz, lei invece non era ebrea e per questo l’aveva scampata. Poi un giorno un compagno di partito gli mostra un certificato di nascita, riguarda proprio sua nonna, Csanàd pensa che sia falso, ma il dubbio non lo fa dormire. Un pomeriggio, dopo il pranzo di Pasqua, davanti a una tazza di caffè, decide di affrontare l’argomento e la nonna questa volta gli rivela che i genitori adottivi in realtà erano i suoi zii e che tutta la famiglia è ebrea. Dopo la guerra, in Ungheria gli ebrei sembravano scomparsi, ma non erano fuggiti via dal paese, avevano solo cambiato religione sui certificati e nascosto ai figli e ai nipoti la storia. Dopo questa scoperta, Csanàd Szegedi non compare più in pubblico e non rilascia interviste, fino a due settimane prima era uno dei leader carismatici di Jobbik, il partito di estrema destra antisemita che in Ungheria raccoglie il 17% dei voti. È ancora impresso davanti agli occhi di tutti mentre inneggia contro gli ebrei, contro gli zingari e, da deputato europarlamentare, mentre incendia la bandiera dell’Europa, rispolverando il mito della grande Ungheria, quella che il trattato del Trianon del 1920 ridusse di 2/3 del suo territorio. Oggi passeggia con la kippah in testa insieme ad un rabbino, vuole riscoprire le sue radici, quelle vere.
Durante l’occupazione nazista in Ungheria furono sterminati 550 mila ebrei; ancora oggi l’antisemitismo serpeggia tra gli umori del 63% della popolazione, anche se di ebrei in giro non se ne vedono più da tempo. Quando da bambino aveva detto ad un compagno di giochi “sporco giudeo” sua madre lo aveva rimproverato duramente “quelle cose non si dicono!”. Csanàd aveva capito che giudeo era un insulto talmente volgare che non era educato gridarlo per la strada. Adesso i vecchi amici gli hanno voltato le spalle, qualcuno lo minaccia, lui non si è dimesso dal seggio all’Europarlamento, ma è chiaro che non sarà il candidato di Jobbik alla prossima tornata elettorale. Non vuole vivere nascondendo la sua religione come hanno fatto i suoi genitori e i suoi nonni. Il primo giorno che è entrato in moschea nessuno lo ha salutato, poi il rabbino lo ha preso sottobraccio e gli ha insegnato le preghiere. Il giorno dopo Csanàd ha girato per le librerie di Budapest, ha comperato tutte le copie della sua autobiografia, un manifesto nazionalista xenofobo, e le ha gettate in un cassonetto; mentre si allontanava ha visto un ragazzo prenderne una copia di soppiatto. L’autore di quel libro non gli darà vita facile. Quando da piccolo faceva le gite fuoriporta con tutta la famiglia, la nonna indossava sempre abiti a manica lunga, anche quando faceva molto caldo. Quel pomeriggio di Pasqua la nonna ha sollevato la manica e ha mostrato al nipote il numero tatuato sul braccio: Csanàd, prima o poi torneranno, verranno a prenderci e questa volta sarà per ucciderci tutti! Francesco Patrizi
I l PUDOR E q u e s t o ( s c o n o s ciuto) Le scienze umane indicano che il campo interessato dal pudore non si limita solo all’ambito sessuale; è importante riportarlo nella sua dimensione antropologica. Il pudore traduce, con atteggiamenti che coinvolgono il corpo, la psiche ed il pensiero, una delle specifiche problematiche dell’uomo nell’incontro con l’altro, che lo obbliga a confrontarsi con un altro ed a pensare l’esistenza dell’altro in rapporto a sé in modo reciproco. Tale incontro non esiste fra gli animali. In questo senso è una manifestazione di umanizzazione e differenzia l’uomo dall’animale. Si tratta di un comportamento consapevole. È rivelatore della modalità relazionale di ognuno ed esiste solo all’interno della relazione. Significa attenzione verso se stessi e verso l’altro, assicurando così il rispetto di ciascuno. Parla sia della capacità di amare se stessi abbastanza da poter incontrare l’altro, sia degli strumenti d’autonomia di ciascuno. Questa azione di separazione-individuazione consente il fondarsi della differenza fra gli individui, riservando in tal modo uno spazio di discontinuità fra gli esseri, sempre precario, ma indispensabile, senza il quale i soggetti sono esposti al rischio della confusione ed ai pericoli che ne conseguono. La precarietà di tale spazio fa sì che possa essere mantenuto solo se ognuno si occupa sempre di sé e dell’altro. Di conseguenza, prima di essere un dovere morale, il pudore è una necessità vitale. Oggi la nostra società è fondamentalmente “senza pudore” ed il massimo dell’impudicizia è forse quello di essere convinti che tutto sia ottenibile e condivisibile da tutti perfino quello che riguarda la sfera più intima. Il pudore va quindi considerato come un parafuoco, nel senso più forte, contro questo desiderio megalomane, a cui manifesta e impone un limite. E se la collettività ha smarrito i mezzi per garantirlo, allora è al singolo che tocca il compito di diventarne il guardiano individuale. Il pudore, preservando “l’essere e non l’avere”, consente l’organizzarsi del campo sociale e vi partecipa. In tal modo è davvero un requisito basilare per l’esercizio della libertà nella collettività, fondamento di un regime democratico.
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Dopo eccessi che hanno portato al “puritanesimo” da un lato e poi dall’altro alla società dell’esibizione senza limiti, è venuto oggi il momento di constatare che una comunità umana non può sopravvivere a lungo alla perdita del pudore. Pretendere di poterne fare a meno significa perdere quella qualità che rende l’uomo un animale pensante, significa aprire le porte al ritorno della bestialità. L’attualità attesta gli effetti catastrofici che ne derivano. Come si fa a restituire il suo ruolo al pudore? Bisogna trovare una mediazione per negoziare la libertà di ciascuno nell’ambito di una vita collettiva più armoniosamente vissuta. Per far ciò bisogna inventare luoghi, momenti e gesti nuovi, che consentano ad ognuno di costruirsi le proprie frontiere senza sconfinare in quelle altrui (cultura, assunzione di ruoli chiari, sensibilità, educazione). Questo rende necessario combattere sia l’alienazione nella quale le leggi di mercato tengono l’uomo, sia non perdere di vista che lo scopo del progresso non deve essere quello di schiavizzare l’uomo ma di aiutarlo a liberarsi, nei limiti del possibile, dai vincoli imposti dalla realtà. La corsa sfrenata verso un sapere ed un potere sempre maggiori, deve fermarsi per far posto alla riflessione ed al pensiero, altrimenti proseguirà all’infinito la gara tra il diritto ed il progresso, con il primo che rincorre il secondo per cercare di limitarne i misfatti. In conclusione il pudore è una garanzia di libertà e di maturità soprattutto oggi dove tutto viene messo in mostra per stimolare il desiderio di possesso, dove gli individui sono ridotti all’unica funzione di consumatori e lo spazio intimo del singolo è un inutile anacronistico lusso. Il “PUDORE” è bello perché ci rende consapevoli che la vita che ci è stata donata, bisogna viverla intensamente e con pudore, cioè con la coscienza di rispettarla. Rispettando la nostra vita, avremo più rispetto per quella degli altri e di tutti gli esseri, preservando Domenico Ceccobelli l’armonia del mondo.
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Gi ov a n i s s im i
A C La Pagina - Terni, Via De Filis 7
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Puoi girare il mondo alla ricerca di qualcosa per poi tornare a casa e trovarlo!
Noi giovani, per antonomasia, siamo sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso dalla solita monotonia, di unico e di nostro, strettamente personale. Come ogni giovane di belle speranze con l’immensa fortuna di una famiglia sempre presente e pronta a supportarmi (oltre che sopportarmi!) economicamente, oltre che spiritualmente, mi sono allontanata da Terni -da Collescipoli nello specifico- ma ci faccio ritorno con immensa gioia e con la certezza di tornare in un paese pieno di attività e persone piene di voglia di fare. Grazie all’esperienza del Jazzit Fest (vi attendiamo tutti per la seconda edizione dal 27 al 29 giugno!), Collescipoli ha assunto per me un senso nuovo, diverso, più mio e, soprattutto, condiviso, grazie al lavoro svolto con passione e dedizione dalla Pro Loco, coinvolgendo tutti i paesani. Ci tengo così a parlarvi del Maggio Collescipolano 2014, appuntamento annuale che mette in scena una rievocazione storica
con un suggestivo quanto scenografico corteo medievale che sfilerà per le vie del paese e assisterà alla gara del Palio dell’arco. La Pro Loco ha costituito la compagnia degli Arcieri di Collescipoli, regolarmente iscritta alla Federazione FITAST e il 25 maggio si terrà il primo torneo delle Compagnie Umbre di tiro con l’arco storico. Quest’anno i riflettori sono puntati sui giovani, che si esibiranno in attività scolastiche ed extrascolastiche; sulle mostre di artigianato; sulle numerose iniziative culturali, sportive, ricreative; oltre che sulla estemporanea di pittura programmata per l’11 maggio. L’obiettivo è quello di promuovere un territorio che ha tanto da raccontare, nonostante la poca attenzione che si può porgere nel via vai frenetico di tutti i giorni: le difficoltà ovviamente non mancano, ma la Pro Loco di Collescipoli, insieme ai paesani, continuano a credere nell’importanza e nel valore dei loro progetti, che riescono a far vedere il paese in una prospettiva diversa, sicuramente più coinvolgente e trascinante. Lasciatevi coinvolgere dall’entusiasmo e dalla voglia di fare di un paese così vicino alla città, ma che riesce a offrire scorci incredibili su una realtà che non vi sareste mai sognati a pochi minuti da casa! Chiara Colasanti
SCUOLA POPOLARE DI FILOSOFIA - anno IV Processo nel quale si attua per la prima volta nella storia dell’Occidente Per il quarto anno consecutivo prende l’avvio la l’eterna lotta della libertà contro i suoi detrattori, processo che lo scuola popolare di filosofia di Civiltà laica. consacrerà con la sua morte a padre della laicità occidentale. Come gli altri anni, gli incontri si svolgeranno Proseguiremo poi con l’altrettanto famoso processo a Giordano Bruno, nei mesi di maggio e giugno in orario serale per nel quale l’autoritarismo e il fanatismo inquisitorio della Chiesa cattolica permettere a chi lavora di poter essere presente. della Controriforma si scarica contro il libero pensiero del frate di Nola, Quale lo scopo di questa scuola popolare? finendo per bruciarlo sul rogo. Seguirà un altro processo famoso, quello La risposta è nell’aggettivo popolare, che sta ad di Rivonia contro Nelson Mandela e compagni, nel quale lo scontro è indicare la convinzione profonda secondo la tra lo Stato razzista del Sud Africa e la quale la filosofia è come la Bocca di Rosa rivendicazione di libertà e di uguaglianza di De André, si dà a tutti, non per interesse nei diritti per il popolo dei neri: questa ma per passione e dunque chi ha dentro di volta però non finisce in tragedia e la sé l’amore per la filosofia non può non volerla trionfa clamorosamente sul razzismo. portare alla conoscenza e alla portata di tutti. - 13 maggio ore 21 libertà Un altro processo in cui il razzismo e il A questo si aggiunga la particolare concezione Processo a Socrate che noi di Civiltà laica diamo a questa Processo a Giordano Bruno - 20 maggio ore 21 militarismo dello Stato francese arriva ad accusare l’ufficiale dell’esercito francese forma di sapere, inteso come esercizio critico della nostra ragione che porta con sé la Processo a Nelson Mandela - 27 maggio ore 21 Dreyfus di spionaggio a favore della Germania, segna verso la fine del XX libertà, la tolleranza, la nonviolenza quali Processo ad Alfred Dreyfus - 03 giugno ore 21 secolo, il risorgere dell’antisemitismo. strumenti di convivenza civile e democratica. Dreyfus infatti era ebreo. Arrestato e degradato Una buona regola è quella di educare i Processo a Sacco e Vanzetti - 10 giugno ore 21 è condannato alla deportazione a vita. nostri giovani, e non solo loro, al valore Anche qui la libertà e la giustizia alla fine fondamentale della libertà, senza la quale ogni società diviene priva dello strumento Gli incontri si svolgono presso la sede vincono: Dreyfus viene giudicato innocente e decisivo per la formazione del buon cittadino. dell’AC La Pagina in Via De Filis n. 7 Terni riabilitato nell’esercito. Dove invece libertà e giustizia vengono Non a caso la filosofia è figlia della civile calpestate dallo Stato degli Usa è nel processo, famosissimo a suo e libera Atene e non della militarista e autoritaria Sparta. tempo, ai due emigranti italiani anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo È per tale motivo che abbiamo scelto di far conoscere in dettaglio alcuni Vanzetti. Siamo negli anni Venti quando negli USA il razzismo contro dei processi che hanno segnato il grande scontro tra la libertà e l’autorità gli immigrati era all’apice. Accusati di omicidio, mentre in tutto il nella storia occidentale. Cominceremo dal processo che la pur democratica mondo manifestazioni di massa ne invocano l’innocenza, vengono Atene intenta contro Socrate, accusato di non credere negli dèi e di condannati a morte. Sono riabilitati come innocenti cinquant’anni dopo. corrompere i giovani, insegnando loro la libera e critica discussione razionale.
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Assessorato alla Cultura Concorso Pianistico Internazionale
Alessandro Casagrande
Saranno 120 i pianisti che quest’anno parteciperanno alla trentesima edizione del concorso Alessandro Casagrande, una delle competizioni più prestigiose sulla scena musicale internazionale, che ha visto vincitori pianisti come Alexander Lonquic, Boris Petrunsanskij, Ivo Pogorelic, Giuseppe Andaloro, Yuka Imamine, Alexei Nabioulin, tutti vere stelle del concertismo mondiale. Al concorso Casagrande, che si terrà dal 15 al 25 maggio presso il Caos, sono rappresentate 25 nazioni e tre continenti: Europa, Asia, America. Il gruppo più consistente è formato dai 23 concorrenti italiani, sedici i giapponesi, quattordici i russi, dodici i cinesi così come i coreani, quattro i pianisti che arrivano dall’Ucraina, tre dalla Bielorussia e due gli israeliani. Ci sono inoltre concorrenti greci, francesi, tedeschi, inglesi, svizzeri, austriaci, estoni, lituani, armeni, polacchi, croati, sloveni, siriani, americani. L’edizione 2014 coincide con i cinquanta anni dalla morte di Alessandro Casagrande il compositore-pianista ternano cui è dedicato il concorso. La competizione è stata organizzata per la prima volta nel 1966 per volontà di un gruppo di amici e musicisti ternani con l’intento di celebrare un figlio della città dell’acciaio che aveva trovato nell’arte la sua ragione di vita. Il concorso ha pian piano assunto sempre maggiore importanza tanto che oggi il solo partecipare al Casagrande è, per i giovani pianisti, un biglietto da visita. La qualità ed il livello dei concorrenti è elevatissima. Il Casagrande è tra i pochi concorsi pianistici ammessi a far parte della prestigiosa Federation Mondiale des Concours internationaux de Musique di Ginevra. Caratteristica, peculiarità, del concorso, riconosciuta negli anni dai concorrenti,
è l’atmosfera familiare che si respira, anche se la gara è di altissimo livello. Terni e la sua gente sono affezionati al concorso e non hanno mai rinunciato ad ospitare i giovani offrendo i pianoforti di famiglia per farli esercitare durante le giornate di soggiorno. Questo crea una solidarietà ed un affetto che rimangono anche dopo le prove e la competizione finale. Una caratteristica distintiva che fa la differenza. La nuova direzione artistica del concorso, affidata, dopo la morte del maestro Carlo de Rosa, a Carla di Lena, Carlo Guaitoli e Marco Zuccarini, ha deciso di apportare alcune modifiche al regolamento lasciando comunque come punto fermo l’attenzione per i repertori presentati per le singole prove della gara. Da quest’anno è stato istituito il Premio Iuc Sapienza, assegnato da una giuria di studenti dell’Ateneo romano in occasione della finale con orchestra del concorso che si terrà presso l’aula magna dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Questa trentesima edizione avrà inoltre un ventaglio di premi ancora più ampio del solito: ci saranno più recital da tenersi presso importanti istituzioni e più premi in danaro. Di altissimo livello la giuria del concorso presieduta da Joaquin Achucarro e composta da Fumiko Euchi, Homero Francesch, Carlo Guaitoli, Anna Kravtchenso, Alexander Madzar Li Ming Qiang protagonisti della didattica pianistica e del concertismo mondiali. A questa giuria si affiancherà poi la giuria della critica nella quale figurano personalità del panorama giornalistico e musicologico come Guido Barbieri, Michele Dall’Ongaro e Franco Piperno.
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La nuova vita di Palazzo Carrara da bibliotec
Il recupero di Palazzo Carrara a seguito della sua definitiva chiusura nel 2002 con il trasferimento dell’emeroteca che seguiva quello già avvenuto della biblioteca comunale, ha avuto inizio con il PUC2 a partire dal 2008. Il progetto per la rifunzionalizzazione della prima delle due ali dell’immobile, quella lato Via S. Agape, veniva proposto tra le opere pubbliche del Programma per un importo complessivo di 1,1 milioni di euro a totale carico dei fondi comunitari Por-Fesr 2007-13, a cui si è aggiunto recentemente un ulteriore lotto per complessivi € 322.633,49 sempre all’interno del PUC2. Con questo intervento si è voluto perseguire l’obiettivo, in accordo con le finalità del PUC2, di implementare l’offerta di spazi e funzioni pregiate del centro città, in particolare ad integrazione e completamento del “sistema della cultura” imperniato sull’asse Caos-Bibliomediateca. A seguito di una prima ipotesi di destinazione dell’immobile a sede di rappresentanza dell’Università, si è andata affermando quella relativa ad un suo uso quale sede degli uffici comunali della Direzione Cultura e spazio per attività culturali aperte alla città e legate all’identità urbana ed alle relative politiche, caratterizzando Palazzo Carrara come laboratorio aperto al contributo e protagonismo dei cittadini. L’ala interessata all’intervento inserito nel PUC2 ha una superficie di circa 600 mq, comprendendo parte del piano terra in corrispondenza del vano d’ingresso e parte del giardino, il primo ed il secondo piano, nonché le porzioni connesse del piano mezzanino sede della fondazione TOE, posto tra il piano terra ed il primo. La progettazione, preceduta dal rilievo dell’immobile, ha riguardato le componenti strutturali, quelle impiantistiche, nonché i caratteri architettonici in relazione all’ipotesi di nuova funzionalità prevista ed anche tenendo in debito conto i futuri interventi per l’ala non interessata al momento dai lavori. Per la nuova funzionalità sono state effettuate le seguenti scelte: recupero e integrazione del sistema distributivo attraverso l’inserimento di un corpo ascensore in grado di garantire la piena accessibilità ed il ripristino di alcuni caratteri originari, come la continuità dell’androne d’ingresso ed il suo collegamento al giardino ed all’ala contigua; inserimento di blocchi servizi in connessione con il sistema distributivo; organizzazione spaziale dei nuovi uffici nei vani prospicienti il giardino interno e mantenimento dell’integrità spaziale della grande sala Tacito. Il progetto esecutivo veniva approvato in prima istanza con Delibera di Giunta Comunale n. 22 del 29/01/10, a cui seguiva l’approvazione finale con Determina Dirigenziale n. 1522 del 26/05/11. La gara per l’appalto principale veniva aggiudicata con Determina Dirigenziale n. 3088 del 2/11/11, applicando il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, all’ATI presieduta dalla Ditta Salvati S.p.A. di Terni, con un ribasso del 18,01% sull’importo posto a base d’asta, derivandone un importo contrattuale di € 831.658,38. I lavori venivano consegnati il 26/04/12 e
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conclusi il 6/08/13. Nel corso dell’appalto si è reso necessario ricorrere a due successive perizie di variante approvate con Determine Dirigenziali n. 2481 del 10/10/12 e n. 1586 del 21/06/13, originate dal maggiore onere richiesto perle opere strutturali, nonché dall’opportunità di effettuare scelte migliorative dal punto di vista architettonico ed impiantistico, il tutto in accordo con la competente Soprintendenza. I lavori strutturali sull’immobile, come anche illustrato dal Direttore Lavori Arch. Mauro Cinti, hanno riguardato il rifacimento della copertura e di una parte significativa dei solai di piano, contrariamente all’ipotesi iniziale che prevedeva un maggior ricorso al consolidamento dell’esistente, non più possibile in relazione alle condizioni effettive degli apparati portanti appurate a seguito delle demolizioni. Altri interventi strutturali significativi sono stati l’inserimento del vano ascensore, posto sul lato prospiciente il cortile interno, il rifacimento della scala interna, nonché la realizzazione di un solaio calpestabile con abbassamento del piano di imposta in corrispondenza del secondo livello lato cortile interno, con il conseguente recupero di spazi destinati agli uffici e questo anche grazie alla possibilità di creare alcune aperture sulla facciata interna, a completamento della partitura delle bucature esistenti. Di particolare rilevanza è stato il lavoro di miglioramento sismico della grande sala Tacito, attraverso la realizzazione di una struttura collaborante in acciaio integrata alle pareti perimetrali. I lavori impiantistici sono stati realizzati pensando alle necessità di funzionamento dell’intero immobile, compresa l’ala non al momento interessata dai lavori. In tal senso sono state dimensionate le macchine per la climatizzazione del fabbricato e tutta la parte elettrica prevedendo, conseguentemente, dorsali e
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a a “casa della città” pensando Smart
distribuzioni in grado di servire in prospettiva tutto Palazzo Carrara. Nel corso dei lavori è stato possibile razionalizzare la posizione delle macchine impiantistiche, portando le stesse in corrispondenza di vani posti nell’ambito della copertura e di spazi adiacenti il vano ascensore, eliminando in tal senso l’originaria previsione di realizzazione di un vano interrato nel giardino interno, lasciando libera così l’intera superficie. Con l’appalto si è anche provveduto alla sostituzione ed in alcuni casi alla nuova realizzazione degli infissi esterni, dotati di vetrocamera per assicurare una migliore tenuta dal punto di vista termico. Parallelamente ai lavori per l’appalto principale si è provveduto all’espletamento della procedura di gara per la fornitura dell’ascensore, il cui importo era ricompreso tra le somme a disposizione dell’appalto. La gara veniva attivata con Determina Dirigenziale n. 1904 del 27/07/12 e la fornitura aggiudicata con Determina Dirigenziale n. 135 del 17/01/13 alla Ditta Samerlift per un importo contrattuale di € 29.693,01. Una volta realizzato il vano ascensore si è quindi provveduto all’alloggiamento al suo interno dell’ascensore. I maggiori oneri necessari a far fronte alle esigenze strutturali del primo appalto, hanno comportato l’impossibilità di portare a compimento con stesso lo stralcio funzionale, prevedendo un successivo appalto per lavori complementari, anch’essi finanziati all’interno del PUC2. Il progetto di completamento veniva approvato con Determina Dirigenziale n. 3221 del 13/12/13 ed aggiudicato con Determina Dirigenziale n. 223 del 3/2/14, integrata dalla Determina Dirigenziale n. 338 del 18/02/14, alla stessa ATI ricorrendone le condizioni di legge, per un importo contrattuale di € 234.624,12. I lavori sono stati consegnati in data 7/04/14 e saranno ultimati entro l’estate.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
Con il nuovo appalto saranno completati tutti i lavori dell’ala interessata. Le opere previste riguardano, in particolare: le pavimentazioni e tinteggiature; la realizzazione del rivestimento della sala Tacito per le pareti perimetrali interessate dall’intervento strutturale; i terminali impiantistici quali ventilconvettori, punti luce e pulsantiere; il completamento dei servizi igienici; la realizzazione della rampa di collegamento al giardino; il montaggio di tutte le porte. Con il secondo appalto verranno anche portarti a termine i restauri artistici di alcuni reperti pittorici presenti sulle pareti dei vani del secondo piano, raffiguranti stemmi, decorazioni e paesaggi, un tempo costituenti presumibilmente la decorazione delle fasce terminali di una delle sale del palazzo. In questa fase verrà anche portato a compimento il lavoro di riqualificazione del paramento della facciata interna, attraverso la demolizione della porzione maggiormente impattante del balcone prospiciente la proprietà della Fondazione TOE, che ne ha autorizzato l’abbattimento, anche a seguito della trattativa curata in tal senso dal Rup, l’Arch. Roberto Meloni, di concerto con la competente Soprintendenza. Il trasferimento degli uffici della Direzione Cultura a Palazzo Carrara è previsto entro l’anno. Con la restituzione alla città dell’ala lato Via S.Agape, avrà inizio la “nuova vita” di Palazzo Carrara, che dovrà trovare esito nel completamento del recupero, da estendersi alla porzione lato Via Carrara, al giardino ed al piano terra originariamente sede dell’emeroteca. L’obiettivo dell’Amministrazione, che sarà pienamente raggiunto con la messa a disposizione, oltre alla sala Tacito, della sala Apollo e Dafnae e relativi spazi contermini, è quello di sviluppare accanto e ad integrazione degli uffici, il tema della “casa della città”. La “casa della città” sarà il luogo dedicato alla raccolta e condivisione dei patrimoni dell’identità urbana, ma anche il luogo della governance delle politiche urbane, uno spazio di incontro tra passato e futuro, in grado di mettere al cento il cittadino ed il suo protagonismo. In tal senso Palazzo Carrara costituirà lo spazio ideale della materializzazione del modello smart city, a cui guarda il Comune di Terni e che costituirà il motore del nuovo sviluppo della città. Per il completamento del recupero di Palazzo Carrara il Comune di Terni guarda in varie direzioni, considerando sia la Programmazione comunitaria 2014-20 ed in particolare i finanziamenti legati all’Agenda Urbana, sia le risorse private. In tal senso è stata avanzata l’ipotesi di favorire l’insediamento negli spazi dell’ex emeroteca, piano terra lato via S.Agape, di un bookshop/caffetteria aperto verso il giardino, previa riapertura degli arconi attualmente chiusi, ed integrato alle funzioni culturali del Palazzo. L’intervento privato riguarderà, inoltre, anche la sistemazione del giardino e degli spazi interni all’isolato che comprende anche l’ex carcere, in virtù degli oneri derivanti dal suo essere compreso all’interno del perimetro di un piano di recupero attualmente in via di attuazione.
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Il Ponte
Quello di corso del Popolo è il più grande intervento urbanistico portato a termine in città dal dopo guerra ad oggi; è stato realizzato in concessione con il metodo del Project Financing. Gli interventi pubblici sono stati realizzati dalla “Società di Progetto” mediante risorse interamente private la cui controprestazione consiste nella gestione delle opere realizzate accompagnate da un prezzo consistente, nella fattispecie, nella cessione di un terreno con diritti edificatori ad una nuova società costituita dagli stessi azionisti. La particolarità tecnico economica di questa operazione consiste proprio nella fusione tra la concessione per lo sfruttamento trentennale di un parcheggio pubblico e lo sviluppo immobiliare di un’area edificabile per la realizzazione di edifici privati all’interno del Piano Particolareggiato di Corso del Popolo, al centro della città di Terni. La Società di Progetto è costituita per il 55 % da Todini costruzioni generali S.p.A., per il 30 % da costruzioni Tombesi s.r.l e per il 15% da Ediltevere S.p.A.
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Il termine dei lavori di corso del Popolo è stato festeggiato con una inaugurazione ufficiale, taglio del nastro, a cui hanno preso parte il sindaco di Terni Leopoldo Di Girolamo, la presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, Luisa Todini e Simon Pietro Salini del gruppo Todini-SaliniImpregilo che ha realizzato i lavori, l’assessore i lavori pubblici Silvano Ricci, il presidente della Provincia Feliciano Polli. Tanti anche i ternani curiosi soprattutto di poter attraversare la passerella, un ponte pedonale sul Nera che collega corso del Popolo con il quartiere Giardino. L’intervento ha avuto come principio ispiratore quello di dare grande qualità all’espansione ed al recupero della città storica e di raccordare gli aspetti della progettazione a scala urbana, con quella del singolo intervento. La progettazione dell’intervento è stata realizzata all’insegna di una attenta integrazione tra le varie parti che lo compongono: gli edifici, i percorsi, gli spazi verdi. Si è tenuto in massima considerazione il risparmio energetico
pedonale sul Nera con l’uso di pareti ventilate led e così via. A lavori ultimanti si hanno 15mila metri quadrati di verde, un parcheggio che ha una capienza di 1.036 posti e la passerella, lunga più di 55 metri e larga più di tre.. Il parcheggio si sviluppa su tre piani interrati, i collegamenti tra i vari livelli sono assicurati da tre rampe unidirezionali, funzionali con le corsie di smistamento, anche queste percorribili a senso unico. I collegamenti pedonali verticali sono possibili grazie a due scale e ad ascensori capaci di trasportare fino ad undici persone per volta. Nelle vicinanze di ogni scala c’è la cassa automatica per il pagamento del ticket del parcheggio. Il parco urbano è stato ideato proprio per svolgere la funzione di luogo di ritrovo e aggregazione. Per questo si è cercato di affiancare alle zone di attraversamento, vie di scorrimento necessarie, altre in cui si possono organizzare mostre, piccoli eventi, mercatini. In questo contesto si è anche deciso di spostare le prese d’aria per il parcheggio sottostante in zone che non interferissero con il giardino. Pure le rampe di accesso al parcheggio e le uscite pedonali sono diventate parte integrante del disegno superficiale. Si configurano, infatti, come elementi di cerniera del disegno del giardino stesso. Inoltre il progetto definitivo, avendo accolto l’ampliamento del parcheggio interrato, verso via Cristoforo Colombo, ha risolto la sistemazione superficiale viaria e l’arredo urbano, prevedendo la realizzazione di gradinate verdi in corrispondenza di tale ampliamento. L’asse principale di percorrenza, che collega viale Lungonera
Savoia con Corso del Popolo, prevede sostanzialmente un elemento morfologico che deve assolvere soprattutto ad un ruolo funzionale, permettendo le connessioni con tutta l’area, principalmente con spazi pubblici di relazione, in cui le persone possano passeggiare ed incontrarsi o sostare. Tale asse, infatti, è caratterizzato da una geometria rigorosa, contrapposta ad una irregolarità delle sistemazioni a verde e degli spazi attrezzati e da cui si dipartono i percorsi di riconnessione: alla pista ciclabile, al percorso alternativo praticabile dai disabili consentendo così di fruire dell’area a verde pubblico e di collegarsi con la città. La passerella che collega l’area con città Giardino, è stata realizzata con una struttura metallica. Lo schema statico è quello di arco ribassato nel quale i tiranti di sostegno diventano elementi strutturali. Tale scelta ha lo scopo di ridurre al minimo l’altezza dell’impalcato con evidenti vantaggi riguardo l’impatto visivo. Il nuovo intervento, nella sua totalità, si compone di due piani interrati per circa 9000 metri quadrati adibiti ad autorimessa, cantine e magazzini annessi ai locali commerciali, quattro edifici a torre ed uno in linea tipo crescent, cioè a mezza luna, suddiviso in tre parti. Ogni costruzione è diversa proprio perché ha una posizione diversa all’interno del piano particolareggiato e per questo si è cercato di dare un segno differente ad ognuno interpretando con caratteri differenti: la posizione, l’inserimento, la vista, il ruolo. Il lavoro ha reinterpretato e adeguato ai tempi moderni la filosofia che era alla base dell’idea ridolfiana di corso del Popolo.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
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Cons or zio di B on
Settimana Nazionale della Bonif Boni Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it
Numerose le iniziativ
Anche quest’anno si celebra la Settimana della Bonifica e della Irrigazione organizzata da A.N.B.I. (Associazione Nazionale delle Bonifiche Italiane), con protagonisti tutti gli Enti Consorziati di Bonifica italiani. Il tema della Settimana, che si terrà dal 17 al 25 maggio 2014, avrà come tematica d’approfondimento: La Terra chiede aria, l’acqua cerca spazio. Il Consorzio Tevere Nera ha sviluppato un intenso programma di appuntamenti volti a sensibilizzare i cittadini verso le tematiche ambientali e la difesa idraulica del territorio. Quest’appuntamento nazionale consente di tracciare un bilancio, senz’altro positivo per quanto riguarda l’attività del Consorzio: impegnato con tutte le sue strutture in una incredibile mole di lavori e di progettualità. La collaborazione con gli altri Enti Locali della Regione Umbria lo rendono un reale punto di riferimento per la tutela e salvaguardia del territorio. Ricordiamo, in linea con l’intesa nazionale ANCI/Enti di Bonifica, la stipula di un Protocollo di Intesa con la Provincia di Terni in tema di Protezione Civile, riguardante la manutenzione ed il monitoraggio dei corsi d’acqua ad alta criticità idraulica. Il Consorzio è impegnato a garantire la reperibilità del personale tecnico, assicurandone l’intervento nelle aree di massima criticità e potenziale pericolo, causato da piene, inondazioni o alluvioni. Significativa la stipula di Accordi di Programma con molti Comuni del Comprensorio Consortile per interventi manutentivi su fossi, strade rurali, vicinali o interpoderali di interesse pubblico. Come ricorda il Commissario Straordinario dell’Ente Vittorio Contessa: Siamo fortemente interessati a consolidare la collaborazione con gli altri Enti Locali, affinché si sviluppi una reale cultura della bonifica, nell’ottica dell’auspicato federalismo cooperativo, inteso come forte collaborazione istituzionale tra i diversi soggetti istituzionali. La comunità ternana -sottolinea il Direttore dott.ssa Carla Pagliari- dispone di un Ente virtuoso nell’utilizzo dei fondi, dinamico e concreto nell’esecuzione dei lavori, moderno ed innovativo nell’espletamento dei servizi al cittadino. Questi concetti sono stati recentemente ripresi dal dott. Massimo Gargano, Presidente di A.N.B.I., che ha affermato: L’alleanza Comuni/Consorzi di Bonifica è una quotidiana opportunità al servizio della nostra terra. Non può esserci green city senza sicurezza idrogeologica. L’indispensabile sforzo per città ecocompatibili può avere un significativo contributo dal nostro Piano per la Riduzione del Rischio Idrogeologico (3.383 interventi immediatamente cantierabili per un investimento complessivo di oltre 7.795 milioni di euro, capaci di attivare almeno 50.000 posti di lavoro). Questo prevede, tra l’altro, la creazione di bacini idrici di espansione ai limiti delle aree urbane 14
if i c a Te v e re N er a 2014
fica e della Irrigazione
ve e gli appuntamenti
Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
Ricco il calendario delle iniziative organizzate dal Consorzio di Bonifica Tevere Nera Sabato 17 Maggio 2014 h. 8,30 Passeggiata Ecologica aperta a tutti i cittadini Due i Percorsi: 5 km; 9 km Ritrovo presso bar Chicco in Loc. Maratta a Terni Targhe ai gruppi partecipanti ed un ristoro al termine della camminata Domenica 18 Maggio 2014 h. 9,00 Gommonata. Discesa di un tratto del Fiume Nera in gommone Ritrovo: Pineta Centurini In collaborazione con l’asd Pangea Iscrizioni presso gli uffici del Consorzio Tevere Nera Lunedì 19 Maggio 2014 h. 17,00 Inaugurazione Mostra dei lavori degli studenti Sede: Sala Conferenze della Camera di Commercio di Terni Mercoledì 21 Maggio 2014 h. 9,00 Convegno “Energia & Ambiente. Il Futuro è Oggi” Sede: Palazzo Primavera a Terni Sabato 24 Maggio 2014 h. 15,30 Premiazioni dei lavori svolti dagli studenti per il Progetto “Sorella Acqua” Sede: Centro Sociale e Culturale di Valenza a Terni Durante tutta la Settimana sono previste visite guidate delle scolaresche presso: il Parco Le Grazie, il Parco Fluviale del Nera, Mulino Silla di Amelia. idraulicamente critiche. Si darebbe vita, in tal modo, a zone umide di pregio ambientale, capaci di trattenere le acque di piena, per smaltirle progressivamente o utilizzarle come riserva per i periodi di siccità. Nel nostro impegno quotidiano per garantire sicurezza idraulica alle comunità -prosegue il Presidente A.N.B.I.- abbiamo un grande alleato: le Amministrazioni Comunali. 15
Primo Piano THE GRAND BUDAPEST HOTEL d i We s A n d e r s o n Il gioco del cinema: una scatola magica che cambia forma, dimensioni, colori. Ti ci puoi perdere, in questo gioco. E puoi perderti nel mondo che il gioco ha creato per te. Accade questo quasi ogni volta che quel giovane (oddio, ora come ora neanche tanto) regista di nome Wes Anderson torna dietro la macchina da presa. Apre la sua sempre più grande scatola dei balocchi, assembla le parti, posiziona tutte le sue pedine. E ci regala, ogni volta da più di dieci anni, un pezzo di se stesso, e di quell’universo “un po’ così”, strampalato, romantico, malinconico. Ha iniziato facendoci conoscere una famiglia di sole pecore nere e una improbabile squadra di oceanografi; e ancora tre fratelli su un treno colorato che attraversa l’India, e due ragazzini innamorati in fuga dal mondo dei grandi. Questa volta ci ha portati in un grande albergo, sperduto fra i monti di un paese immaginario. Fra le sue pareti rosa, e le moquette viola, e i costumi più variopinti mai visti, si snoda una vicenda che attraversa tre generazioni, e che ha al centro la figura magnetica e vibrante di Mounsier Gustave H, il consierge dell’albergo che dà il titolo al film, e il suo fido e innocente garzoncello, alla soglia dell’adolescenza, impaziente e desideroso di diventare grande al punto da dipingersi ogni mattina una striscia di baffi con un pastello nero. Attorno a loro, il caleidoscopio più vario di tutta la carriera di Wes Anderson: dall’ufficiale Norton al sicario Dafoe, dalla anziana vedova Swinton (un capolavoro di trucco e parrucco) alla dolce pasticcera Ronan. Passando con disinvoltura fra tutti i possibili formati cinematografici
(ognuno per ciascuno dei tre piani temporali in cui si snoda la vicenda) Wes Anderson realizza il suo vero capolavoro di regia. È sicuramente il più ambizioso, denso, funambolico dei suoi lavori. L’opera ultima di un regista che ha raggiunto, un lungo passo alla volta, una fama e un successo tali da avere una enorme macchina produttiva pronta a trasportare sullo schermo le fantasie più grandi e apparentemente impossibili, quelle che persino la mente fatica a comporre. Sacrificando forse un po’ di quella malinconia e di quel romanticismo d’altri tempi che ha caratterizzato le sue opere migliori, Anderson si concentra molto sulla confezione, e compone il suo affresco più grandioso e ricco. Regalandoci, come mai prima d’ora, attimi di puro intrattenimento, in grado di renderci tutti, noi spettatori nel buio, suoi fidi compagni di giochi. Perché forse il più grande pregio di Wes Anderson, che lo rende ogni volta più vicino a quel grande maestro che fu Fellini, è quel suo sguardo incantato, sognante e irrazionale, che ha il potere di muovere le lancette di tutti gli orologi, e di portarci, per un po’, indietro negli anni. A quel periodo delle nostre vite in cui bastava qualche colore acceso e qualche fondale di cartone per farci illuminare gli occhi di una luce che il tempo, inevitabilmente e forse irrimediabilmente, ha spento. Ma che questo giovane (ma si, diciamolo pure) regista americano riesce ogni volta a ritirare fuori. Proprio come in un ben riuscito gioco di magia, il cui trucco è Lorenzo Tardella impossibile da scoprire. Per altre recensioni visitate il blog www.ilkubrickiano.wordpress.com
L’oroscopata La mamma ‘strologgica e lu fiju honno frequentatu ‘n corsu de ‘strologgia... Zzudiacu, Sole ‘n Saggittariu, Luna ‘n Ariete, ‘scendende... Mamma… mica ciò capitu tantu!…Ma ch’è lu Zzudiacu?... È ‘na striscia de celu, simbolica, dove lo Sole e li pianeti se mòono come se stassero su ‘na pista e ‘ncontrono ‘na dozzina de raggruppamenti de stelle che, giocanno co’ la fantasia, ce ‘parono ‘n toru, ‘n ariete, ‘nu scorpione... E ccome se fa’ a ddi’che ‘n cristianu è vvergine…è ‘n cancru… è…?
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Beh... quanno unu vène a lu munnu... lo Sole pare che sta su una de quelle costellazzioni che ddivène lu segnu zzudiacale suu pe’ ttutta la vita… E lu ‘scendende… che vvordì?... ‘N quillu pricisu momentu che ‘na perzona nasce sta sorgenno ‘na costellazzione... quella è lu ‘scendende suu!… Lu fiju bbirbu… Allora ma’… se unu nasce quanno lo Sole sta a spunta’... lu ‘scendende suu è lu stessu de lu segnu zzudiacale... vero ma’?... A ma’… sindi ‘n bo’… a ppropositu tu sì vvergine?...Ma’?... Mamma!?... Come?... Scusame che mm’hai dittu?... Ah no fiju miu bbellu… sinnò come facevi a stacce! paolo.casali48@alice.it
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M itico e mitologico: pe rsonagg i e s t o r i e
O R E STE S TE Immaginate di essere seguiti giorno e notte da tre donne urlanti con serpenti al posto dei capelli: di queste, come dice Dante, con l’unghie si fendea ciascuna il petto;/ battiensi a palme e gridavan sì alto,/ ch’i’mi srinsi al poeta per sospetto. Insomma, queste serve di Persefone, creature infernali, vi tormenterebbero in eterno per un crimine da voi commesso. E non un crimine qualsiasi, bensì l’uccisione di un vostro parente. Questo è ciò che era accaduto ad Oreste. Oreste era figlio di Agamennone e Clitemnestra. Il padre aveva ucciso una delle sue figlie, Ifigenia, sacrificandola ad una dea, e sua moglie, un po’per vendetta, un po’per sete di potere, pensò bene di ucciderlo a sua volta, aiutata dall’amante Egisto (che fra l’altro era cugino del marito). Tralasciamo tutti i crimini commessi dalle generazioni precedenti in questa allegra famiglia. Oreste, nel frattempo, era stato mandato, ancora bambino, da un loro ospite, Strofio di Focide, perché lo allevasse. Tornato a casa, la situazione non era certo delle più felici: gli rimanevano la madre uxoricida, il suo amante, ormai insediatosi nel palazzo e considerato da tutti, anche se controvoglia, il padrone, e la sua amatissima sorella, Elettra, più grande, carismatica e decisa, oltre che affezionatissima al padre: non dimentichiamoci infatti che, nella
psicologia junghiana, l’equivalente femminile del complesso di Edipo è detto complesso di Elettra, ovvero l’innamoramento da parte della bambina nei confronti del padre. Ella, dunque, propose al fratello di vendicare il padre. Ai loro occhi questo era estremamente giusto: che vergogna lasciare che una donna così vile ed il suo amante si prendessero gioco del loro caro padre, un grande eroe di Troia. Avevano anche un oracolo di Apollo che avrebbe giustificato l’assassinio che dovevano compiere. Ma questo naturalmente non impedì a Clitemnestra, morente sul cadavere dell’amante, di maledire suo figlio. E così il giovane Oreste si ritrovò perseguitato dalle Erinni. Fu necessario, per cacciarle, l’intervento di Apollo, l’aiuto di Hermes e soprattutto il giudizio di Atena: la dea, infatti, presiedette ad un tribunale istituito appositamente per lui, e votando per l’assoluzione di Oreste, lo liberò dalla persecuzione di questi demoni che gridavano come le lamentatrici dei funerali greci e gli rinfacciavano continuamente la sua colpa. Dunque, il verdetto finale è che si può uccidere la propria madre se questa ha a sua volta commesso un crimine. Assolvere Oreste significa anche mettere fine ad una serie di assassinii compiuti per vendetta da generazioni. E che dire della motivazione di Atena a proposito del suo voto: Esclusi i legami di nozze, prediligo con tutto l’animo tutto ciò che è maschile, e sono interamente di mio padre. Così non farò prevalere la morte di una donna che ha ucciso lo sposo custode della sua casa. Bene. Il parere della dea è chiaro, ma non quello dei Greci: alla votazione, del resto, c’erano stati sei voti a favore e sei contrari. E la persecuzione, simbolo di sensi di colpa, c’era stata, ed era durata a lungo. Questioni etiche, insomma, di secoli fa! Maria Vittoria Petrioli
Una soffitta sull’Universo La sera precedente era stato nominato Charles Messier, “cacciatore di comete” come la maggior parte dei suoi colleghi astronomi della fine del XVIII secolo. Sì, ma… di cosa sono composte le comete, da dove vengono, dove vanno? Tutte domande che Leonardo non mancò di porre al suo amico Overlook, il quale, con la sua innata pazienza e voglia di trasmettere le cose che sapeva, rispose: Questi spettacolari corpi di tanto in tanto attraversano il nostro cielo: hanno grandi teste ardenti e lunghe code disposte a ventaglio, tanto che gli astronomi cinesi le chiamarono “scope stellari”. Esse appartengono al Sistema Solare e viaggiano in orbita intorno al Sole. È vero che sono definite come “palle di neve sporche”? Sì, Margherita, in linea di massima le potremmo definire così: simili ad asteroidi, ma composti prevalentemente di ghiaccio e sostanze volatili il cui passaggio dallo stato solido a quello gassoso, ovvero la sublimazione, in prossimità del Sole, origina quella lunga scia luminosa che possiamo ammirare. Ma attenzione, non le confondiamo con asteroidi ricoperti di ghiaccio! Ma come si sono formate le comete? Si pensa siano residui rimasti dalla condensazione della nebulosa dalla quale si formò il Sistema Solare: le zone periferiche di questa nebulosa, infatti, si pensa fossero abbastanza fredde da permettere all’acqua di trovarsi in forma solida invece che gassosa. La maggior parte del tempo le comete non possono essere viste, cioè quando sono lontane dal Sole; quando si avvicinano iniziano a splendere e sembrano apparire improvvisamente quasi nel cielo al punto che nell’antichità spaventavano la gente. Fino al 1600 infatti la gente non realizzò che anche le comete appartenevano alla grande famiglia del Sistema Solare. E chi lo dimostrò? Fu l’astronomo inglese Edmond Halley che mostrò che la cometa era un “visitatore abituale” ed era la stessa del 1066: quella che si rivelò un cattivo presagio per gli inglesi poiché fu ucciso in guerra il Re Harold e loro furono sconfitti. Prese il nome da lui e tutt’oggi la cometa di Halley è la più famosa: l’ultimo passaggio risale al 1986 e per compiere un giro intorno al Sole impiega circa 76 anni. La maggior parte delle comete più brillanti può essere o per la prima volta in viaggio intorno al Sole o di ritorno dopo migliaia di anni, come la Hale-Boop che solcò il nostro cielo per settimane alla fine degli anni ’90. Probabilmente il suo ultimo passaggio risale a quando gli egiziani stavano ancora costruendo le Piramidi, quindi circa 4000 anni fa! Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it
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Vent’anni fa il gen Una ricognizione, anche breve, della storia del Novecento non può che suscitare riflessioni molto amare. Eccidi, genocidi, pulizie etniche, deportazioni di massa costellano il secolo che, non a caso, alcuni studiosi hanno proposto di definire barbaro. Ebrei, armeni, cambogiani, tutsi ruandesi, bosniaci mussulmani... si stagliano, in dolorosa processione, reclamando attenzione e memoria. E senza negare ad Auschwitz la sua unicità, è necessario confrontarsi di continuo anche con gli altri, per elaborare il lutto e porsi con rinnovata coscienza morale e civile di fronte alla complessità turbolenta del mondo attuale, nella speranza -flebile e forse utopica, eppure tenace- che quello che è accaduto non torni ancora ad accadere. Quest’anno ricorre il ventennale del genocidio dei tutsi in Rwanda: oltre 800.000 nel breve arco di tempo compreso tra aprile e luglio 1994. Il genocidio -e questo è sorprendente- non solo fu accuratamente programmato ma anche compiuto alla luce del sole, alla presenza del contingente di pace dell’ONU, che restò a guardare, mentre il resto del mondo seguiva in televisione l’esplosione della violenza. La scarsa determinazione -o l’impegno puramente formale- sia dell’ONU che dei singoli Stati nell’opera di prevenzione e di repressione di questo e di altri genocidi denuncia un livello etico spesso assai basso in coloro che agiscono nella sfera della politica. Di fronte all’inerzia degli organismi internazionali e al subentrare, al loro posto, di singoli Stati mossi sostanzialmente da intenti economici e militari rimane in effetti solo la speranza che -se l’orrore si ripetesse- l’opinione pubblica, resa consapevole, sappia aumentare la pressione sui governi, perché lascino da parte considerazioni angustamente nazionalistiche o di Realpolitik per abbracciare finalmente la causa della dignità umana. Il tema, complesso anche perché inserito in un contesto culturale, sociale, economico e politico -quello dell’Africa contemporanea- assai poco frequentato dai programmi scolastici di storia, è stato proposto a una seconda classe del nostro liceo, che ha elaborato un numero speciale del giornalino di istituto: articoli di opinione, interviste e lettere immaginarie, racconti, poesie, foto... Il testo che proponiamo mette in luce, con intelligenza e sensibilità, fuori di ogni contrapposizione schematica e semplicistica, come nella tragedia dei tutsi siano stati travolti molti hutu moderati, vittime anch’essi, pur appartenendo al gruppo dei carnefici. Di grande efficacia, poi, l’elaborazione grafica della foto documentaria, nella quale il pudore della pietas copre con una lunga foglia autunnale la sequela dei cadaveri -soprattutto bambini- che ingombrano la strada.
Immagine da un incu
Prof. Marisa D’Ulizia
Caro essere umano Caro essere umano, in queste pagine leggerai la mia storia, la storia di migliaia di persone. C’era una volta qualcosa chiamata “pace”, non saprei dirti esattamente cosa significa, ma posso provare a farti capire. C’è Pace laddove le persone si amano, c’è Pace laddove non c’è guerra. La pace del mio Paese, il Rwanda, è stata polverizzata venti anni fa. Accade che c’è un momento nella vita di ognuno di noi in cui il colore della pelle o le usanze sono molto più importanti di ciò che sei realmente. Ma non voglio dilungarmi. Sono una donna di cinquantadue anni, una madre e una moglie. Venti anni fa ha avuto inizio il mio incubo. I miei cari genitori erano onesti contadini, lavoravano tutto il giorno in qualsiasi condizione, pur di dar da mangiare a me e ai miei fratelli. Cinque bambini da far crescere in un Paese difficile. Tuttavia non si sono mai arresi e sono andati avanti, pur subendo l’ormai regolare stato di sudditanza che i tutsi avevano imposto agli hutu. La discriminazione razziale si attuò nel momento in cui gli europei notarono che noi, gli hutu, siamo di media altezza, mentre i tutsi sono più alti e snelli. Sebbene i tutsi siano in minoranza, hanno sempre governato e il loro potere si è rafforzato grazie ai belgi, che volevano disporre di collaboratori per gestire il territorio. Non c’era più mobilità sociale, migliorare le proprie condizioni era ormai impossibile. Sono nata in un periodo di transizione tra il vecchio e il nuovo regime. Da piccola non notavo molto le differenze: giocavo con bambine tutsi, avevo vicini tutsi e i miei fratelli si innamoravano di ragazze tutsi. A dir la verità, alla povera gente non interessano le origini, l’essenziale è essere una buona persona. Ma ai gradi alti della società, tuttavia, c’erano i tutsi. Dopo l’arrivo dei belgi, la differenza sociale si tradusse in discriminazione razziale e, crescendo, la mia vita fu influenzata da ciò a tal punto da non poter più fingere di non vedere. Fu così che scoppiò il disastro. Percepivo nell’aria che qualcosa sarebbe cambiato. E infatti proprio quell’aria per mesi è stata la prova della violenza inaudita dell’essere umano. Accadde tutto una notte: misi a letto i miei bambini e, qualche minuto dopo, udii degli spari seguiti da urla di disperazione. Riconobbi subito quella voce: era la nostra vicina di casa, che piangeva sul corpo senza vita di suo marito. Erano tutsi ma erano esattamente come noi, avevano la nostra stessa vita. Allora capii che nessuno era più al sicuro. È stato come la pioggia: il cielo si riempie di nuvole, le prime gocce iniziano a bagnare i campi per poi allagarli dopo una notte di tempesta. Fu cosi che gli hutu si ribellarono. Presero le armi e crearono gruppi paramilitari per mettere in atto un vero e proprio eccidio dettato dalla sete di vendetta dopo anni di abusi.
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Marina M
nocidio in Rwanda
ubo di fine millennio
artini
IID
Vedevo morire la gente del mio Paese per mano di miei conoscenti, che arrivarono a minacciare la mia famiglia, a cui la rivoluzione armata non interessava. Eppure costrinsero mio marito, che in pochi giorni diventò un mostro. Certo, collaborando con i ribelli ci assicurava la vita, ma accettare un assassino in casa era impossibile. Non volevo che i miei figli lo emulassero, non volevo che vedessero tutto quel sangue. Uscii di casa poche volte durante quei giorni, ma ogni volta riuscivo a percepire l’aria di terrore, lo vedevo dal passo delle persone, dagli occhi dei bambini. Volevo aiutarli ma sapevo che avrei rischiato l’incolumità mia e dei miei figli. Io, giovane madre, per la prima volta nella mia vita, non sapevo come fare per salvare i miei piccoli. Ma arrivò il momento: poiché mio marito non era più rientrato a casa da giorni, decisi di mettermi in viaggio verso il confine, verso la libertà. Qui avrei trovato altri superstiti, bisognosi di aiuto e ristoro, come tutti noi. Il viaggio più difficile, che forse mi sarebbe costato la vita. Mi misi in cammino con tanta altra gente che ormai non aveva più nulla da perdere, facemmo chilometri a piedi in condizioni pietose e tante volte pensai di essere stata stupida ed egoista nei confronti di quei due ragazzi che stavano crescendo troppo in fretta e avevano ormai capito cosa stava succedendo. Davanti ai loro occhi si presentavano ostacoli umani, i loro nasi erano contaminati da odori disgustosi e le loro orecchie trovavano pace solo nei momenti di sonno. Promettevo loro ogni giorno una vita migliore, ma ogni giorno le mie speranze diminuivano perché avevamo sempre più fame, sempre più sete, sempre più bisogno di riposare. Fu cosi che persi uno dei miei figli, che non aveva ancora sei anni. Era ormai diventato un’ombra, che in un giorno caldo di giugno si trasformò in anima. Volevo portarlo con me ma non potevo. Sentii le forze svanire del tutto, sentii la fine vicina. Ma non potevo arrendermi, sarebbe stato come assecondare il massacro. Dovevo andare avanti perché dovevo dare al mio ormai unico figlio il futuro migliore che potessi. Non saprei dire dopo quanti giorni arrivammo al campo dei profughi, ma una volta lì sentivo di avercela fatta, di aver vinto la mia battaglia contro l’umanità. Ma dimenticavo di essere hutu, di essere una nemica, io che nemica non ero, io che volevo solo un letto su cui far riposare mio figlio. Pensavo che i giorni peggiori fossero passati ma non fu così, i peggiori dovevano ancora arrivare. Se le ferite sulla carne prima o poi svaniscono, le parole della gente rimangono per sempre. Li capivo, sapevo che quelle povere donne stavano soffrendo perché, per colpa di uomini come mio marito, avevano perso tutto e sapevo che per loro ricevere aiuto era arduo in quanto donne. Invidio le donne occidentali, che sono riuscite ad ottenere pari diritti degli uomini, ma in Ruanda la storia è un’altra. Abbiamo persino avuto una donna a rappresentarci nel governo, Paulina Nyiramasuhuko, che diceva di difenderci, ma in questa tragedia ha aiutato gli estremisti a toglierci la dignità. Quella dignità che, a distanza di decenni, non abbiamo ancora riacquistato. Spesso mi sono sentita in colpa per essere hutu, ho pensato tante volte che potevo approfittarne e aiutare tante persone, magari facendole rifugiare in casa mia o magari facendole scappare. Non ci sono riuscita, d’altronde non ho potuto nemmeno salvare mio figlio, che ora è solo una delle tante vittime innocenti e senza nome di una terra che non riesce a trovare pace. Ma le promesse sono fatte per esser mantenute e ora mio figlio non vive più in una terra di odio. Viviamo in Europa e siamo consapevoli più che mai di quello che ci è successo. In Rwanda l’informazione è lusso di pochi e proprio per questo la guerra fu per noi un fulmine a ciel sereno, ma ora sappiamo nomi e cognomi, conosciamo colpevoli e complici che non ci saremmo mai aspettati. Combattiamo con gli incubi e con i ricordi di persone che non ci sono più o che ci hanno voltato le spalle. Ci sentiamo le vittime nel gruppo dei carnefici e probabilmente porteremo in eterno nel cuore questo peso. Quindi tu, essere umano, se sai davvero essere umano, prova a fermare solo un attimo la tua vita fatta di impegni, tempi, successi e dispiaceri e pensa che il mondo in cui vivi è composto da persone come te e che, se vuoi, puoi cambiarlo, migliorarlo e addirittura perfezionarlo. Ricorda che la vita è una sola e tutto ciò che hai è instabile e precario, quindi proteggilo. E combatti le ingiustizie, combatti per lasciare ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli il futuro migliore che puoi. Non è mai troppo tardi per cambiare. Il genocidio dei tutsi in Rwanda ha avuto luogo dall’aprile al luglio del 1994. Il numero delle vittime oscilla tra 800.000 e 1.000.000. L’8 novembre 1994 è stato creato il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (International Criminal Tribunal for Rwanda). Negli anni successivi al genocidio, migliaia di rwandesi sono stati sottoposti a processo per aver preso parte al massacro. Oggi il Rwanda è ancora contaminato da tensioni interne, tuttavia cresce sempre di più il Alessia Cesaro II D desiderio di pace.
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Genocidio in Cambogia, Ruanda, Bosnia Il Secolo dei Genocidi I nostri lettori crederanno che dopo l’olocausto degli Armeni, quello degli Ucraini e la notissima Shoà, il fiume di sangue si fosse finalmente arrestato e che gli uomini super tecnologici del secolo XX, quello della scienza e della tecnica, avessero imparato la lezione e l’avessero una buona volta piantata? MANCO PER IDEA!!! Superato il trauma della seconda guerra mondiale, la politica degli stermini è continuata imperterrita, anzi si è propagata come un virus mortale anche in altri continenti, abbandonando la vecchia Europa. Niccolò Machiavelli, genio acuto e corrosivo del Rinascimento italiano, nei suoi scritti aveva fatto la sconvolgente scoperta che politica e morale ubbidivano a leggi diverse e tutti, pur criticandolo, gli diedero ragione, ma su un punto si è fortemente ingannato quando asserì che la storia è maestra di vita, di qui il celebre motto Historia magistra vitae! Il segretario fiorentino era convinto che la storia passata offrisse modelli di comportamento per quella futura; essa ci dava delle lezioni in modo da non ripeter gli sbagli del passato, ma purtroppo il nostro piccolo genio si ingannava e gli errori si sono ripetuti, anzi amplificati e i sei olocausti del secolo scorso sono qui a ricordarcelo drammaticamente. Infatti, trascorsi appena trenta anni dalla Shoà, il dramma si ripresenta nel 1975 in Cambogia, paese del Sud est asiatico, nato insieme al Laos, al Nord Vietnam e al Sud Vietnam, dallo smembramento della Indocina ex francese, uno stato piccolo e povero retto dalla monarchia feudale del re Shianouk che subiva i contraccolpi di due potenti vicini in guerra tra loro: il Nord Vietnam retto da un regime comunista e appoggiato da URSS e Cina, il Sud Vietnam sostenuto militarmente dagli USA. Sul territorio cambogiano passava il famoso sentiero di Ho cih min col quale il regime comunista del Nord riforniva la guerriglia Vietcong nel Sud Vietnam. Nel 1973 gli USA abbandonarono definitivamente il Sud Vietnam che venne inglobato nel Nord comunista, di conseguenza anche in Cambogia il potere fu assunto il 17 aprile 1975 dal Partito comunista di Kampuchea o meglio dai Khmer rossi, il cui leader Pol Pot diede inizio alla rivoluzione che chiamò Grande balzo avanti. Influenzato dal maoismo e dall’anticolonialismo, il leader dei Khmer istituì un regime totalitario e radicale che prevedeva l’isolamento dalle influenze straniere, l’abolizione delle banche, della finanza e del denaro, la messa in fuorilegge di tutte le religioni, la deportazione forzata della popolazione dalle città nelle campagne in fattorie agricole collettive. Era proibito possedere oggetti stranieri, pena la morte. Chiunque non si sottoponeva all’ideologia Khmer era eliminato oppure avviato in appositi campi di rieducazione che procedeva con metodi spicci e torture fisiche e morali. In questa operazione si distinse Ta Mok, stretto collaboratore di Pol Pot, con mezzi che nulla hanno da invidiare a quelli adoperati dagli aguzzini nazisti nei lager durante la Shoà. Il liceo di Phnon Penh, oggi trasformato in museo degli orrori, divenne il centro di smistamento dei deportati e, a pochi chilometri, il campo di Choeueng Ek un luogo di tortura e di sterminio degno di Auschwitz, di Dachau e di Mauthausen. Le organizzazioni internazionali parlano di 1.500.000-2.000.000 di morti, ma risulta impossibile stabilire un cifra esatta. Quando nel 1979 il Vietnam filosovietico occupò la Cambogia, ponendo fine al regime dei Khmer, la popolazione era calata del 20% in tre soli anni, vittima di deportazioni, massacri e carestie. Anche questa volta oltre al tragico balletto delle cifre, si è assistito all’indifferenza della comunità internazionale. Tutti sapevano, ma poco o nulla in concreto fu fatto. L’intreccio di interessi politico strategici nel Sud-est asiatico tra le super potenze USA, URSS, Cina hanno fatto sì che la guerra civile continuasse anche dopo la caduta dei Khmer e che Pol Pot si ostinasse nella sua lotta fino al 1998 quando morì in circostanze poco chiare. Anche da parte dei partiti comunisti europei ci furono condanne ufficiali, ma nulla di concreto, anzi va detto che il Partito Marxistaleninista italiano, quando giunse la notizia della morte del leader dei Khmer gli tributò un omaggio tramite il suo segretario G. Scuderi.
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III e ultima parte
È finita qui? Non ancora! Siamo a metà! Abbandoniamo il Sud-est asiatico e trasferiamoci nel cuore dell’Africa, venti anni dopo, nel 1994 e precisamente in Ruanda un piccolo stato insieme al suo gemello il Burundi, prima ex colonia tedesca poi belga. Stavolta a far scattare il massacro non furono motivi ideologici, rivalità politico-economiche, ma prevalentemente un feroce e irrazionale odio tribale. La popolazione era divisa in due gruppi etnici: i Tutsi e gli Hutu che fino all’arrivo dei coloni europei convivevano senza alcuna discriminazione. L’antropologia razzista teorizzò che i Tutsi fossero una razza diversa dagli Hutu intrinsecamente superiore in quanto più vicina a quella caucasica. I belgi sostituitisi ai tedeschi nel dominio coloniale per motivi di controllo del territorio esasperarono questa differenza favorendo i Tutsi che rappresentavano l’aristocrazia della società, possedevano terra e bestiame, mentre gli Hutu svolgevano il lavoro agricolo. Con la fine del dominio coloniale del Belgio, la rivalità etnico-economica dei due gruppi aumentò drammaticamente. Dal 1962 (anno dell’indipendenza) al genocidio del 1994 le due etnie si combatterono con una serie di colpi di stato con cui cercavano di sopraffarsi reciprocamente con uno strascico di feroci vendette private, eccidi, devastazioni. Il 6 aprile 1994 dopo un attentato che costò la vita al presidente di etnia Hutu Juvenal Hahyarimana che aveva preso il potere dopo l’ennesimo colpo di stato, l’esercito supportato da bande irregolari e paramilitari diede il via al massacro indiscriminato dei Tutsi, e degli Hutu moderati, mentre la radio esortava a seviziare e uccidere gli scarafaggi tutsi. Per 100 giorni si susseguirono barbarie e massacri di ogni tipo, in particolare a Kingali e a Gikongoro e non con gas e mitragliatrici (le pallottole, come in Cambogia, costavano troppo!), ma con il rudimentale ed efficace machete. I massacri terminarono nel luglio dello stesso anno quando i ribelli tutsi riorganizzatisi sconfissero l’esercito ruandese provocando una fuga in massa nello Zaire di profughi hutu per la giustificata paura di rappresaglie. Le vittime del genocidio tutsi sono stimate tra le 800.000 e 1.000.000, in maggioranza donne e bambini. Ancora una volta si è assistito, oltre che al tragico balletto di cifre e al rimpallo di responsabilità, all’indifferenza della comunità internazionale e soprattutto dell’ONU che non presero iniziative decise per lo meno per arginare il massacro. Per chiudere in bellezza, si fa per dire, spostiamoci di nuovo nella vecchia Europa e precisamente in Bosnia nella ex Jugoslvia il cui disgregamento dopo la morte del maresciallo Tito provocò un conflitto interetnico tra Serbi, Croati e mussulmani bosniaci divisi da ataviche rivalità. Ognuna di queste componenti si rese responsabile di crimini e di operazioni di pulizia etnica, ma il massacro di Srebrenica avvenuto l’11 luglio 1995 fu il più feroce in assoluto (8372 morti accertati, 6414 identificati). Vittime furono i mussulmani bosniaci, responsabili i miliziani serbo-bosniaci comandati da Ratko Mladic e Arkan, capo delle famigerate tigri, spietato esecutore, il tutto sotto gli occhi dei caschi blu olandesi che non mossero un dito per evitare la carneficina, mentre la Serbia guidata da Slobodan Milosevic avrebbe fornito appoggio logistico. Tale crimine diede uno scossone alla comunità internazionale che, fino a quel momento molto attendista, si decise ad intervenire istituendo un tribunale speciale per crimini di guerra e spiccando un mandato di cattura internazionale per Mladic, arrestato solo 16 anni dopo, mentre gli altri responsabili sono ancora latitanti o impuniti, escluso Arkan assassinato nel 2000. Siamo così arrivati alla fine del secolo XX, iniziato con l’Olocausto degli Armeni e terminato col massacro di Srebrenica, una delle pagine più nere della storia recente. Anche il sec. XXI. alias III millennio non promette nulla di buono (vedi Siria) in merito. Caro Machiavelli spiacente contraddirti, ma la storia non è magistra di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve a farla più vera e più giusta come dice E. Montale in una celebre poesia. Pierluigi Seri
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