La Pagina giugno 2015

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Numero 1 2 6 giugno 2015

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura


L’igiene del mondo Giusto un secolo fa, il Piave mormorava. I fiumi mormorano spesso, e in condizioni normali pochi suoni sono più rasserenanti dello sciabordio delle acque di un corso d’acqua. Il mormorio del Piave, però, non era un canto pacifico, anzi. L’Italia entra nella Grande Guerra lunedì 24 maggio 1915, e in verità il fiume che recita in quell’alba il ruolo da protagonista non è il Piave: il confine italoaustriaco che le truppe italiane superano nella primavera del 1915 corre lungo le Alpi Giulie, mentre il Piave è placido fiume interno, nella pianura veneta. Il crinale di quelle Alpi separa piccole valli percorse da torrenti italiani dalla più ampia valle slovena (e perciò austro-ungarica), segnata dal fiume Sontig, come lo chiamano gli austriaci, o Soča, come lo chiamano gli sloveni. Noi, italiani, lo chiamiamo Isonzo. Prima del sorgere del sole, piccoli gruppi di soldati si avventurano oltre il confine, che in quel giorno di cent’anni fa è tutt’altro che ben difeso. Poche guardie di frontiera, nessuna divisione di Vienna pronta a respingere gli attaccanti italiani. E i primi alpini raggiungono presto la bella valle e le cittadine lungo il fiume: anche la piccola Kobarid, come la chiamano gli sloveni, o Karfreit, per dirla come i tedeschi: gli italiani che ne conoscono il nome sono davvero pochi, nel maggio del 1915, ma nel giro di un migliaio di giorni non ci sarà italiano che non riconoscerà il suo nome: Caporetto. La geografia politica muta facilmente, ed è solo per pigrizia mentale che si tende ad immaginare i confini disegnati dagli uomini come perenni e stabili. L’Italia del 1915 è diversa da quella del 1918, e cambierà ancora nel 1945: l’Isonzo ancora oggi entra in Italia solo a Gorizia, ma tra le due guerre è fiume interamente italiano: e la quasi totalità degli sforzi bellici nazionali si concentrano qui, con undici sanguinose e inutili battaglie. La dodicesima spezza il fronte, ma è appunto quella che lo sposta brutalmente dal fiume mezzo italiano e mezzo sloveno all’italianissimo Piave: i tedeschi, scesi a dare una mano agli alleati austriaci, sfondano a Caporetto, e percorrono un gran pezzo d’Italia prima di assestarsi sul Piave. Il Piave diventa quindi fiume cruciale solo nell’autunno del 1917; non lo è certo

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w w w. l a p i a z z e t t a r i s t o r a n t e . i t lapiazzetta.terni@libero.it

ancora nel maggio del 1915. Ma ben prima del maggio 1915 molti italiani sono già in guerra. Trentini, altoatesini, triestini sono già stati chiamati al massacro universale dall’imperatore d’Austria, loro re: già vestono la divisa e sono mobilitati da qualche parte in Europa, perché l’impero austroungarico è grande, indubbiamente multinazionale e ha molti confini. Quando, nel 1916, la Strafexpedition porterà l’offensiva austroungarica sugli altipiani veneti, non saranno chiamati i trentini e gli altoatesini a combattere contro gli italiani, ma i bosniaci: un grande impero deve anche saper ben posizionare i soldati, per evitare problematici rigurgiti di abominevole fratellanza. Le guerre sono complicate, ma non è certo la complessità il loro difetto peggiore. È la loro spettacolare facilità di accensione, nonostante sia acclarato oltre ogni minimo dubbio che siano la peggiore catastrofe immaginabile. Eppure, nonostante tutto, le guerre scoppiano, e marcano con metodica precisione le tappe della storia, che non a caso spesso viene confusa con un banale elenco cronologico di bellici massacri. La guerra d’un secolo fa costò 650.000 soldati, e quasi altrettanti civili. Più di un milione di morti, per una guerra vinta. La Seconda Guerra Mondiale, pur perduta, conterà solo la metà delle vittime, come raccontano nelle piazze di tutte le città i monumenti ai caduti, con le loro liste ben più lunghe sotto le date 1915-1918 che sotto quelle 1940-1945. Perché c’è questo, di semplice e incontrovertibile, che in guerra gli uomini muoiono. Eppure ci saranno anche quelli che sempre elencheranno ragioni per ricorrere alla violenza: la legittima difesa, la salvaguardia di valori vitali, le radici culturali, e così via, fino al disconoscere la fratellanza umana, all’avocarsi una maggiore dignità, una migliore etica, una civiltà superiore, e perfino il diritto divino di scannare chiunque sia diverso da sé. Lo mostra bene il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, quando recita: Noi vogliamo glorificare la guerra -sola igiene del mondo- il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Non è corretto giudicare in tempi diversi e con diversi princìpi culturali qualcosa che deve essere invece contestualizzato e compreso nella sua intenzione provocatrice e forse artistica. Non si possono fustigare troppo Marinetti e il Futurismo: sono figli dei loro tempi, del 1909, di una Italia e di una Europa che, chissà perché, non vedevano l’ora di fare la guerra. Ma è anche vero che noi non possiamo giudicare se non con i nostri valori: la contestualizzazione non potrà mai davvero essere piena e totale, quando si vivono tempi e luoghi diversi. Ed è per questo che non si possono non rubricare gran parte dei punti di quel Manifesto altrimenti che sotto la voce “Colossali Idiozie”. Igiene del mondo, come no. Piero Fabbri


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I m p e r t e r r i t i E continuano a chiamarci illusi. Ci additano, anzi, come quelli che hanno troppe idee (loro che ne hanno a malapena mezza, e copiata da altri!) e lanciano così, sottilmente, il messaggio che di queste idee non ne realizziamo alcuna. Una mia carissima amica, lei sì mostro sacro della cultura in genere, delle tradizioni e della storia del nostro territorio, dice che, mentre realizzo cento progetti, ne congetturo centocinquanta. Ben altro sentimento si va così ispirando, non pensate? É comodo far credere che siamo dei fanfaluconi o, al più, dei sognatori, più o meno romantici. Fa comodo, chiuse le orecchie e tappati gli occhi, interessarsi molto poco, in pratica niente, della nostra riuscitissima attività culturale, dell’opera di integrazione e mediazione culturale da noi svolta. Nessun cittadino, esclusi quelli nominati per gestire il patrimonio comune, è pagato per fare del bene alla nostra Terni: si tratta di motu proprio. Molti cittadini anzi, tra i quali noi Senatori della Città, non solo si impegnano alacremente e gratuitamente, con risultati eccellenti, ma forniscono conferenze, eventi, progetti addirittura insospettabili per tanti addetti al lavoro. Amiamo la nostra Terni e cerchiamo di servirla al massimo delle risorse di cui disponiamo, quasi sempre (ma siamo ormai al lumicino!) con finanziamenti personali. L’opera di integrazione culturale, iniziata anni fa con un corso gratuito di lingua araba, è proseguita con corsi, sempre gratuiti, di cinese, portoghese, inglese, tedesco e di italiano per stranieri (sempre più numerosi), ottenendo risultati entusiasmanti. In tre anni abbiamo insegnato, grazie al prezioso contributo erogato dalla Fondazione Carit, a più di trecento giovani, ternani e non. Si prevede, per la fine del corrente anno e per il prossimo, un flusso straordinariamente crescente di giovani che chiedono i nostri servizi di integrazione culturale. Al momento, purtroppo, qualcosa si è inceppato ed allora, per puro spirito di solidarietà umana e perché crediamo fermamente che anche di questo abbia bisogno la città, lo facciamo, noi e i nove insegnanti di lingua, a costo di grandi sacrifici personali (oltre a quelli finanziari) e questo, crediamo, non sia del tutto corretto, soprattutto per i giovani insegnanti che devono pur lavorare e guadagnare! Confidiamo però che tutto possa essere portato ben presto a felice conclusione perché non passa giorno che non arrivi in associazione qualche giovane, dal centro America in particolare. I locali dell’Associazione Culturale La Pagina sono punto di ritrovo abituale per collezionisti: Florio, Bruno Petrollini, Sergio Marigliani, Gerardo Gambini e molti altri (un sentito ricordo va al caro Angelo Ceccoli, oggi stradino dei cieli). Si tratta di collezioni relative alla nostra città, per cui l’associazione dispone di un materiale storico ingente e preziosissimo (adesso anche l’intera stupenda collezione di Florio) che mette a disposizione, sempre gratuitamente, a chi ne fa richiesta o che espone nelle innumerevoli mostre d’arte e culturali che organizza. In occasione della mostra delle cartoline di Alterocca (collezione Marigliani) effigianti passi salienti della Divina Commedia, siamo stati gli unici al mondo ad esporre 100 cartoline su 100, mentre le altre mostre, tanto a New York quanto a Firenze, presso Alinari, ne hanno esposte soltanto 92. Abbiamo, già dal 2013, istituito un Ateneo per tutte le età in cui più di 20 docenti-relatori svolgono la loro azione culturale nei confronti di circa 60 iscritti ai corsi stessi. Molte le iniziative di ricerca e di studio e conferenze relative, il più delle volte del tutto originali, con integrazione di attori e di musicisti. Organizziamo poi visite guidate per conoscere la nostra città, in genere ignorata da quasi tutti i cittadini (speriamo vivamente che almeno i nostri amministratori ne abbiano conoscenza piena, altrimenti sorgerebbero seri dubbi sull’utilità della loro presenza!). Realizziamo incontri culturali e socializzanti di ogni tipo, per ultima la splendida serata culminata con un concerto al pianoforte della meravigliosa (conosciuta a Terni solo per l’1% di quanto merita, ma apprezzatissima in tutto il mondo), Moira Michelini. I nostri tre magazine (La Pagina, La Pagina Umbria, La Pagina Europa) pubblicizzano in modo superbo

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L’igiene del mondo - P F a b b r i CONFARTIGIANATO IMPRESE TERNI JACARONI CENTRO DIAGNOSTICO Imperterriti - G R a s p e t t i B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale Brand Image, l’importanza del marchio - A Melasecche Quanta acqua dobbiamo bere? - L Falci Bianconi FA R M A C I A B E T T I Le donne di conforto cancellate dalla storia - F P a t r i z i G I O L I C A RT F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O OTTICA MARI LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I P r i m o P i a n o - L Ta r d e l l a N U O VA G A L E N O Il ruolo degli enti di promozione sportiva - M Sciarrini Liposcultura - R Uccellini L a Te r n i c h e L o t t a - S Lupi C I D AT Non colpevoli? - M P e t r o c c h i La mignatta - P Casali STUDIO MEDICO ANTEO Lo sconcassè - V Grechi C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I Alle origini del fondamentalismo, parte III - PL Seri ASSOCIAZIONE UN VOLO PER ANNA MARCO FRANCESCANGELI - R Bellucci G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI

la nostra città e, attraverso gli articoli della bravissima Loretta Santini e le foto dei nostri eccellenti fotografi (Marco Barcarotti, Marco Ilari, Albero Mirimao) inviano in Italia, in moltissimi luoghi di cultura e in Università di varie e importantissime parti del mondo, una stupenda immagine del nostro amato territorio. Si faccia avanti chi fa anche solo una minima parte di quello che realizziamo noi per far conoscere Terni! Abbiamo istituito un Ateneo giovani in cui una ventina di giovani (con media annuale di circa 9,5 ai licei) che, oltre a seguire, in giugno e in settembre, corsi intensivi di cultura (tutto quello che la scuola istituzionale non può dar loro) già si cimentano in concorsi nazionali e in forme nuove di scrittura. Siamo noi dunque i fanfaluconi? Potremmo fare molto di più se non vivessimo tutto questo in completa solitudine, come se fossimo una bolla d’aria irrespirabile o un’oasi nel deserto priva di acqua. Noi non percepiamo un solo euro per fare il bene della nostra città, né vorremmo mai percepire prebende o stipendi favolosi. Altri lo fanno, noi no! E con noi tutti i Senatori della Città! Ma occorre che qualcuno sia in grado, almeno, di selezionare gli appuntamenti e provvedere alle autorizzazioni (solo questo si chiede!). Ad esempio per il progetto Terni è bella per il quale noi intendiamo tenere corsi gratuiti, per le scuole di ogni ordine e grado, di conoscenza del nostro straordinario territorio, delle sue bellezze, della sua storia. O per il progetto Terni Pitagorica in cui ci proponiamo di far fiorire e crescere amore per la matematica (non per le tante tecniche di calcolo oggi impartite nelle scuole), una matematica euristica, vissuta come ars inveniendi, non come ars demonstrandi (che distrugge fatalmente le giovani menti!) in corsi, anch’essi gratuiti, impartiti a tutti gli alunni delle quarte elementari. Abbiamo già fatto molto, da soli. Vorremmo però che i nostri progetti si realizzassero compiutamente ed estesamente e fossero un modello esportabile in tutto il Paese. Rimaniamo dubbiosi, ma testardamente, non illusoriamente, certi che al cittadino ternano ed italiano gioverebbero davvero! É allora così sicuro che siamo proprio noi a non combinare alcunché? Giampiero Raspetti

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PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Vicedirettore Luisa Romano Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafico Francesco Stufara

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Brand Image, l’importanza del marchio Nel 2015 il marchio più potente al mondo è quello della Lego che scalza dalla vetta nella classifica l’italianissima Ferrari, che scivola fino al nono posto. Lego ha infatti ottenuto il punteggio più elevato, grazie anche alla soddisfazione dei collaboratori, alla reputazione dell’azienda, alla familiarità e alla fedeltà dei clienti. Lo certifica l’ultima graduatoria stilata da Brand Finance, una società di consulenza specializzata nella valutazione dei marchi aziendali. Il marchio danese, che ha abilmente cavalcato il successo di The Lego Movie, il film campione di incassi (oltre 500 milioni di dollari), grazie anche al favore della critica, ha la meglio sulla seconda, il colosso della consulenza alle imprese, PricewaterhouseCoopers, e sulla terza, l’austriaca Red Bull. Il successo di Lego è legato anche al fatto di essere in grado di esercitare il suo fascino sui bambini, ma anche risvegliare nostalgiche memorie da parte degli adulti. Medaglia di legno per un’altra multinazionale della consulenza, McKinsey e al quinto posto l’anglo-olandese Unilever, la multinazionale che vanta, nel suo portafoglio, una gamma di 190 prodotti tra alimentare, bevande e prodotti per l’igiene personale e la casa (tra quelli distribuiti anche in Italia, Algida, Calvé, Knorr, Lipton, Dove, Clear, Svelto, Cif, etc). Segue un altro big, la multinazionale francese della cosmetica L’Oréal. La casa di moda di lusso Burberry, nota per il caratteristico motivo a tartan divenuto sinonimo di status e quindi simbolo riconosciuto e molto imitato, si piazza al settimo posto. Seguono gli orologi svizzeri della Rolex. C’è poi la Ferrari, ora al nono posto e chiude la top 10 del

2015 il gigante dell’abbigliamento e accessori sportivi americano Nike. Dal canto suo il cavallino rampante, rimane un brand molto forte in termini di valore assoluto con un +18% e una stima a 4,7 miliardi di dollari, ma inizia a pagare nell’immaginario collettivo il fatto che sono ormai parecchi anni che non vince il titolo di Formula 1 e quindi l’alone di gloria dell’epoca d’oro inizia ad sfaldarsi. In aggiunta il new deal promosso da Marchionne, post Montezemolo, è percepito come meno rigido nel voler mantenere con pedissequa osservanza strategie e azioni che garantiscano la totale ed assoluta esclusività del marchio. La top 10 cambia se si va ad analizzare quali siano i marchi di maggior valore in senso assoluto, e qui mantiene saldamente la prima posizione Apple, seguita da Samsung e da Google. La prima italiana è Generali, che conferma l’86ma posizione. Tra i marchi più dinamici, cioè quelli che sono cresciuti di più, spicca Twitter, che ha quasi triplicato il proprio valore. Brand Finance ha anche stimato il valore degli Stati in quanto a brand: cresce il valore del marchio Italia in ambito internazionale, nonostante la crisi, con 1.300 miliardi dollari l’Italia è risultata tra i brand più solidi e apprezzati, ma nonostante un +24% rispetto al 2013, si ferma all’undicesimo posto. Consoliamoci con il fatto che in quanto a notorietà, se il Made in Italy fosse un brand univoco, sarebbe il terzo marchio più noto al mondo, dopo Coca Cola e Visa. Occorre però costruire un’identità unitaria del Made in Italy, quale Master Brand capace di fornire specifiche associazioni mentali positive al mercato e su questo c’è ancora molto da alessia.melasecche@libero.it fare.

Qua n t a a c q u a d o b b i amo ber e? Si avvicina l’estate e con essa il caldo e il più stringente stimolo della sete, ma quanta acqua dobbiamo bere? Attraverso le urine e le feci, la sudorazione e la respirazione, il nostro corpo elimina acqua continuamente, quindi per ottenere il bilancio idrico essa deve essere reintegrata. Il centro della sete ha sede nel cervello che regola la quantità di acqua di cui si ha bisogno. Spesso però ci si sente assetati solo quando la perdita di acqua è già stata tale da aver provocato i primi effetti negativi. É quindi bene bere anche quando non si ha lo stimolo della sete che sopraggiunge solo quando il volume d’acqua necessario si è già ridotto. In condizioni normali la perdita giornaliera di acqua nell’ individuo adulto si aggira intorno al 3-4% del peso corporeo (circa 2-2,5 litri al giorno). Queste perdite sono tanto maggiori quanto più l’individuo è di giovane età, con un picco nei primi mesi di vita, duranti i quali le perdite raggiungono anche il 15% del peso corporeo. I bambini, quindi, sono maggiormente esposti a disidratazione. Con l’età, inoltre, la capacità di risposta del centro della sete diventa meno pronta, e rischia di non segnalare adeguatamente il reintegro idrico necessario. Soprattutto le persone anziane devono abituarsi a bere spesso

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nell’arco della giornata, durante e al di fuori dei pasti, anche quando non ne avvertono la necessità. Il fabbisogno di acqua per gli adulti anziani è di 1 ml per ogni Kilocaloria alimentare introdotta nel corso della giornata. Per i bambini il fabbisogno è maggiore: 1,5 ml/Kcal/giorno. Praticamente possiamo suggerire di bere 6/8 bicchieri di acqua al giorno (circa 1,5-2 litri). Questa quantità è sufficiente a sostituire le perdite quotidiane quando si svolga attività sportiva o si viva in ambienti caldi e umidi. L’acqua è anche presente in alcuni alimenti come il latte, la frutta, le verdure e ovviamente nelle bevande. La regola generale è di bere spesso in piccole quantità anche lontano dai pasti pure se non abbiamo sete, così da anticipare le richieste dell’organismo. Se beviamo acqua fredda, soprattutto quando fa caldo, è bene farlo lentamente perché un brusco calo della temperatura dello stomaco può creare pericolose congestioni. Bere acqua o bevande non è la stessa cosa. L’acqua non è sostituibile da aranciate, bibite a base di cola, succhi di frutta, caffè, tè, tisane ecc. che oltre che apportare acqua apportano anche sostanze che contengono calorie (zuccheri) o sostanze farmacologicamente attive (caffeina). Tutte queste bevande vanno ingerite con Lorena Falci Bianconi moderazione.


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Le donne di conforto cancellate dalla storia Dopo il ventesimo soldato perdevo i sensi e non sentivo più nulla. Mi picchiavano e quando sono stata liberata non avevo più un dente. A parlare non è una prostituta. Soon-Aee ha tredici anni appena quando tre soldati giapponesi bussano alla sua porta a Masan, una cittadina della Corea del Sud, c’è la guerra e l’esercito nipponico deve prendersi carico anche delle impellenze più corporali delle truppe. Nella vasta area coinvolta nel conflitto, dal Vietnam alla Thailandia, dalla Birmania alla Micronesia, non mancano i bordelli, ma le prostitute locali veicolano malattie e a volte sono coinvolte in operazioni di spionaggio, per questo l’esercito giapponese decide di provvedere in totale autonomia. Mi portarono su un’isola e mi rinchiusero in un’area di conforto, come le chiamavano loro. Già il primo giorno c’era fuori una fila di venti soldati, a fine giornata ne avevo contati una cinquantina. Soon-Aee diventa una comfort woman, traduzione letterale del termine “jugun ianfu”, ed entra a far parte del servizio di assistenza dell’esercito giapponese composto da donne reclutate, o meglio requisite, nei paesi in guerra. Non esiste una cifra esatta di chi ha subito questo destino, si presume che dal 1931 al 1945 l’esercito imperiale abbia impiegato, per il nobile scopo sanitario di prevenire le malattie veneree, più di 400 mila donne di conforto, spesso adolescenti e preadolescenti. Nel processo di Tokyo contro i crimini di guerra la questione non venne neanche sollevata, il generale MacArthur, comandante supremo delle forze alleate, fece finta di non vedere, in fin dei conti di trattava solo di prostitute e il Giappone non aveva neanche firmato la Convenzione di

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Ginevra del 1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra. Il primo giorno le altre ragazze che si trovavano sull’isola mi dissero che non dovevo ribellarmi e non dovevo tentare la fuga altrimenti mi avrebbero ucciso, vivevamo come prigioniere. Bisogna tenere presente questo contesto per comprendere la portata dell’offesa che il presidente della Corea del Nord ha indirizzato alla presidente della Corea del Sud accusandola di essere la donna di conforto degli USA, non la prostituta, come è stato tradotto in alcune lingue, poiché la sfumatura del termine assume una rilevanza storica: la Corea è stato il paese più colpito da questa barbarie e oggi subisce la beffa di vedere il presidente giapponese Shinzo Abe cancellare la schiavitù sessuale militare dai manuali scolastici di storia con un’operazione di revisionismo molto criticata. In altre occasione Abe ha equiparato il reclutamento delle donne in quel periodo alla tratta di esseri umani, scomparire così la pianificazione meticolosa messa in atto dall’esercito dell’Imperatore. Dal dopoguerra ad oggi il Giappone non ha mai riconosciuto il crimine di sfruttamento della prostituzione, non ha mai versato neanche un indennizzo alle poche donne sopravvissute ed ha ignorato le istituzioni come il Museo storico della schiavitù sessuale militare giapponese fondato per contrastare l’opera di rimozione del paese del Sol Levante. Le ultime testimonianze di queste donne sono state raccolte dall’orientalista Ilaria Maria Sala. Quando Soon Aee tornò a casa si chiuse in un muro di silenzio, visse sotto il peso del trauma e dell’onta di essere stata una prostituta di guerra, vittima di un periodo di cui nessuno voleva Francesco Patrizi più sentir parlare.


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Università e sviluppo imprenditoriale in un convegno alla Fondazione Carit con la partecipazione di Henry Etzkowitz, studioso di fama internazionale L’università imprenditoriale come motore dello sviluppo territoriale, è questo il tema del convegno organizzato dalla Fondazione Carit, con il patrocinio del Comune di Terni e di Triple Helix Association, a palazzo Montani Leoni mercoledì 27 maggio 2015. Il professor Etzkowitz è uno studioso di fama internazionale del tema dell’innovazione ed è l’ideatore dei modelli di università imprenditoriale e tripla elica la cui tesi sostiene che il potenziale per l’innovazione e lo sviluppo economico in una società basata sulla conoscenza risiede in un ruolo più prominente dell’università accompagnato da una più forte relazione e collaborazione tra università-industria-governo per generare nuovi modelli sociali ed istituzionali di produzione, trasferimento e applicazione della conoscenza. Etzkowitz è in Italia per intervenire a degli eventi organizzati a Roma il 27 e 28 maggio rispettivamente alla Fondazione Giacomo Brodolini e all’università degli Studi Link Campus University e il 29 maggio all’Università degli Studi di Milano. Dovendo poi ripartire per Pechino, dove interverrà alla XIII edizione di “Triple Helix International Conference”, ospitata dalla Tsinghua University, la Fondazione Carit ha colto l’occasione per invitarlo a palazzo Montani Leoni per tenere una conferenza sull’argomento, che riveste una notevole importanza per la comunità locale, con ricadute sul tessuto socioeconomico-imprenditoriale del territorio. Come presidente della Triple Helix Association, Etzkowitz è al centro di un network internazionale di alcune centinaia di studiosi e professionisti che si occupano di relazioni università-governo-industria. È visiting professor all’Università di Londra, Birkbeck; alla Business School dell’Università di Edinburgo e alla Stony Brook University, US. Dal 2009 è affiliato all’università di Stanford come membro del Clayman Institute for Gender Research e del H-STAR Centre.

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AZIENDA OSPEDALIERA

Struttura S. D. Ch

Prof.

Mark R agus a

Responsabile Struttura S. D. Chirurgia Toracica A z ie n d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni

La Chirurgia Toracica è considerata un reparto specialistico ormai storico dell’ospedale di Terni. È nel 1986 infatti che il prof. Giuliano Daddi, proveniente da scuola romana, viene incaricato della direzione della sezione ternana della Clinica Chirurgica dell’Università di Perugia, introducendo in Umbria tale tipologia di interventi. Nel 2000, a seguito del trasferimento dello stesso prof. Daddi nel capoluogo regionale, la direzione del reparto ternano fu assunta dal suo allievo, il prof. Francesco Puma. Nel 2008, al pensionamento del prof. Daddi, il prof. Puma è subentrato alla direzione della Chirurgia Toracica di Perugia ed ha mantenuto contemporaneamente l’apicalità dei due reparti. Per l’attuazione del piano sanitario regionale, la direzione della Chirurgia Toracica è stata affidata quest’anno al prof. Mark Ragusa (anch’esso allievo del prof. Daddi e suo collaboratore negli anni trascorsi a Terni e a Perugia). Il prof. Puma, tuttavia, rimane legato al reparto ternano in qualità di consulente. ATTIVITÀ CLINICA La Struttura di Terni è una delle due sedi regionali della Chirurgia Toracica assieme a quella di Perugia. Costituisce punto di riferimento territoriale per l’Umbria meridionale (territorio dell’Azienda USL Umbria 2), ma anche per province limitrofe quali Rieti e Viterbo. I dati di attività 2014 registrano 264 interventi chirurgici, 284 ricoveri totali di cui più di un terzo a provenienza extraregionale. Nello stesso anno sono state eseguite complessivamente 856 broncoscopie. Nell’ambito della Struttura di Chirurgia Toracica vengono trattate tutte le patologie toraco-polmonari di interesse chirurgico, con particolare riguardo al tumore polmonare, primitivo o metastatico. Nell’ambito della chirurgia oncologica va anche menzionato il trattamento del cancro dell’esofago e del mesotelioma pleurico, patologia particolarmente insidiosa e dall’incidenza ragguardevole data la concentrazione industriale nel territorio ternano. In presenza di patologia neoplastica le decisioni terapeutiche relative ai singoli casi sono sempre il frutto di una valutazione collegiale; in altri termini l’approccio terapeutico più corretto scaturisce dal vaglio del Gruppo Multidisciplinare per l’Oncologia Toraco-Polmonare che si riunisce settimanalmente e prevede, oltre ai Chirurghi Toracici, la presenza di Oncologi, Radioterapisti, Radiologi, Medici Nucleari, Anatomopatologi e Pneumologi. In tal modo si riesce ad identificare il percorso terapeutico più corretto per ogni singolo paziente, garantendo elevati standard di cura in tempi ristretti. Oggetto di interesse sono anche patologie non neoplastiche quali il pneumotorace primitivo e secondario, la chirurgia dell’enfisema bolloso, le patologie acquisite e congenite della parete toracica e la traumatologia toracica in tutti i suoi aspetti. Lo staff della Chirurgia Toracica assicura infatti la reperibilità per le urgenze toraciche 365 giorni l’anno. Nei casi in cui è indicato, l’approccio chirurgico può avvenire sia con metodica open (cioè con i tradizionali accessi chirurgici), sia con moderne metodiche mini-invasive che, attraverso l’impiego di telecamera e mini-accessi, riducono il dolore postoperatorio. In particolare, la gestione del dolore toracico post-operatorio negli ultimi anni è stata oggetto di sensibile evoluzione grazie alla collaborazione con i colleghi anestesisti.

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REPARTO Il reparto di Chirurgia Toracica è collocato al quinto piano dell’ala sud dell’ospedale, condiviso con la Chirurgia Vascolare, e dispone di 10 posti letto, di cui 3 monitorizzati in sala semi-intensiva (dedicata di norma ai pazienti operati o comunque ai malati maggiormente impegnativi). La gestione delle attività di reparto avviene con modalità informatizzata ed al riguardo la Chirurgia Toracica ternana è stata centro pilota per la regione Umbria. Tale modalità gestionale agevola in particolar modo la somministrazione dei farmaci, la cui prescrizione viene comunicata tramite rete intranet al servizio di Farmacia; questo provvede al confezionamento della singola dose del farmaco (monodose) riducendo al minimo la possibilità di errori di somministrazione, con indubbi vantaggi in termini di sicurezza, ottimizzazione delle risorse ed impatto ecologico. Attualmente il personale medico è rappresentato dal direttore e da 4 dirigenti medici, tutti formatisi negli anni nella medesima scuola; lo staff infermieristico è costituito da elementi qualificati nella disciplina, molti dei quali con esperienza ultraventennale. ENDOSCOPIA TORACICA Una caratteristica distintiva del reparto di Chirurgia Toracica è la ragguardevole attività di Endoscopia Toracica, uno dei principali punti di forza della struttura rispetto ad altri centri extraregionali. I procedimenti di Endoscopia Toracica possono avere finalità diagnostiche o terapeutiche.


S A N TA M A R I A D I T E R N I

h i r u r g i c a To r a c i c a

biopsie delle lesioni toraciche di origine polmonare o linfatica per patologie neoplastiche e non, polmonari e mediastiniche. Un investimento molto impegnativo dal punto di vista economico, che dota il reparto di una tecnologia attualmente non ancora diffusa in tutti i centri italiani e che pone la struttura di Chirurgia Toracica all’avanguardia in questo specifico settore diagnostico. Le finalità terapeutiche dei procedimenti di Endoscopia Toracica sono sostanzialmente rappresentate da estrazione di corpi estranei e disostruzioni tracheali e bronchiali con eventuale posizionamento di endoprotesi. ALTRE ATTIVITÀ ISTITUZIONALI: RICERCA E FORMAZIONE Oltre all’attività clinica, il reparto di Chirurgia Toracica svolge compiti in linea con la propria connotazione universitaria. Questi sono rappresentati dalla formazione di studenti del corso di laurea in Medicina e Chirurgia e del corso di laurea in Infermieristica. Tali attività formative si svolgono mediante la frequenza degli studenti in reparto, ambulatorio e sala operatoria sotto la guida del prof. Ragusa e dei dirigenti medici della struttura, in possesso della qualifica di tutor riconosciuta dal Consiglio di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia. Il reparto, inoltre, partecipa a progetti di ricerca nazionali ed internazionali su argomenti di chirurgia toracica riguardanti in particolar modo la biologia e la diagnosi precoce del cancro del polmone.

Équipe Responsabile Personale medico

Personale infermieristico Coordinatrice Monica Tiberi Infermieri professionali Fanny Marianna Allegretti, Massimo Baiocco, Annalisa Baratta, Valeria Carnassale, Elisa Crocchianti, Federica Festuccia, Loreta Grifoni, Rosa Martillotta, Francesca Pecoraro, Ilaria Rinaldi, Elisa Rosati, Tiziana Santini, Letizia Scorcelletti Personale O.S.S. Claudia Santori, Debora Testa Segreteria Dr Alessandro Quintili

Fotoservizio di Alberto Mirimao

L’attività diagnostica si svolge presso l’ambulatorio di Endoscopia Toracica, parte integrante del reparto, su pazienti ricoverati o ambulatoriali. Nel corso del 2015 la tecnologia in dotazione sarà oggetto di potenziamento mediante l’acquisizione di 1 broncoscopio ottico e di 2 nuovi videobroncoscopi, uno dei quali già donato dalla Fondazione Aiutiamoli a Vivere – TernixTerni Anch’io, che vanno ad aggiungersi o a sostituire quelli già presenti. Un ringraziamento particolare va alla Fondazione Aiutiamoli a Vivere – TernixTerni Anch’io che ha recentemente donato all’ambulatorio di endoscopia toracica un nuovo videobroncoscopio di altissima precisione, che contribuisce a potenziare le possibilità di diagnosi di patologie gravi e ad alta incidenza, come il cancro del polmone, le lesioni metastatiche polmonari, le malattie infettive ed infiammatorie del polmone, oltre a molte procedure terapeutiche come assistenza nelle disostruzioni bronchiali, broncoaspirazione in pazienti defedati o incoscienti, rimozione di corpiestranei, posizionamento di valvole endobronchiali nella cura delle lesioni enfisematose, che costituiscono l’armamentario clinico dell’attuale endoscopia toracica. Per un centro ad alto volume di attività come quello di Terni -che tra pazienti esterni, consulenze per altri ospedali e consulenze interne per reparti e sale operatorie effettua circa 1000 procedure endoscopiche all’annodi assoluto rilievo è stata, inoltre, l’acquisizione di un sistema per videoecoendoscopia (EndoBronchial UltraSound – EBUS) che consentirà di effettuare

Prof. Mark Ragusa Dr Carlo Luigi Cardini, Dr Sandro Casadei, Dr Stefano Santoprete, Dr.ssa Moira Urbani

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Pr imo P i a n o MIA MADRE di Nanni Moretti Certe storie sembrano dirtelo subito che sono state vissute sulla pelle. Lo si riconosce dai dettagli, che restano in fondo la cosa più importante, quella in grado di tracciare un netto confine tra ciò che è vero e ciò che è solo finzione. Lo si riconosce dai personaggi, che non sono mai soltanto dei personaggi ma diventano persone reali, anzi perfino più che reali, perché si svelano e si aprono nel profondo lasciandosi guardare da vicino. Quello di Margherita è il personaggio più sincero e puro uscito dal cinema di Moretti, quello con cui ha scelto di raccontarsi, di psicanalizzarsi, di conoscersi meglio, lui che tante volte è stato psicologo nei suoi film; lui che ha scelto una donna per raccontare se stesso, per prendere le distanze necessarie, per poter essere lucido e obiettivo. Moretti ha scelto di fare il regista, questa volta più di altre. Lo ha fatto dirigendo un cast di attori di grandissimo livello: da una superba Margherita Buy (senza ombra di dubbio nell’interpretazione più autentica della sua carriera) ad una composta e misuratamente toccante Giulia Lazzarini, fino all’istrione John Turturro, cui è affidato il compito di stemperare con qualche risata (ma sempre amara) il dramma crescente della storia. Si parla di insicurezza in questo film, di dubbi che arrivano tardi

nella vita, quando oramai il percorso è stato preso e quando la strada del ritorno appare difficilmente percorribile. Si parla di rapporti umani, di amore e di affetto, dell’essere figli e dell’essere madri. Si parla di vita, quella che nasce e quella che muore. E si parla dell’essere orfani, non importa se a cinquanta o a sessant’anni, ma piuttosto di quella sensazione e di quella paura che ci portiamo dietro dall’infanzia: rimanere soli. Si parla di tutto questo, e in maniera raffinata, delicata, misurata. Le lacrime che arrivano si sono formate dentro di noi mentre il film ci scorreva davanti, non sono esplose dal nulla per mezzo di qualche trucco di retorica a cui il cinema ci ha abituati da anni. Sono lacrime vere, perché vera è la storia che ci è stata raccontata. “Mia madre” è film più maturo ed autentico di Nanni Moretti. Un film che, senza funambolismi o virtuosismi di sorta, senza corse sfrenate o grida a squarciagola, ha la forza e la potenza di un sospiro, di una confessione fatta a quattrocchi, di una mano che ne stringe un’altra in un momento di estrema confidenza. Lorenzo Tardella Per altre recensioni visitate il blog www.ilkubrickiano.wordpress.com

L O S P O RT FA M A L E . . . q u a n d o Aveva 70 anni e una passione infinita per il ciclismo. Era lui a radunare gli amici per la sgambata settimanale. A lui piaceva stupirli. Non rimaneva mai indietro. I chilometri aumentavano di volta in volta, i percorsi sempre più impegnativi: salite e ritmi in crescendo. Nelle battute dei compagni e nei complimenti per la resistenza, cominciò a serpeggiare qualche dubbio. Confessò di prendere degli integratori, così almeno diceva. Si divertiva a staccarli in salita. Lo chiamavano “il pirata”, come Pantani. Successe che un giorno, quasi alla fine di un percorso che avrebbe stroncato un professionista, sentì un dolore insistente al petto. Fu costretto a fermarsi. I compagni, rimasti indietro arrivarono con qualche minuto di ritardo. Troppi per essergli d’aiuto. Fortunatamente non tutti gli eccessi si rivelano tragici; dannosi, però, sempre. Chi pratica lo sport a livello amatoriale deve sapere quali limiti non possono essere travalicati. Il riferimento principale è la conoscenza delle capacità fisiche personali, il controllo regolare delle proprie condizioni di salute. Esasperare le prestazioni non ha senso.

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Non ci sono premi che valgano il rischio. Il corpo umano è una macchina quasi perfetta dalla quale non si può pretendere l’impossibile. Ogni eccesso si paga e il prezzo è spesso elevatissimo. L’età dell’atleta deve dettare ritmi proporzionati e carichi di fatica compatibili con lo stato di salute generale. Solo in queste condizioni lo sforzo fisico è salutare. L’esercizio fortifica muscoli e funzionalità biologiche, facilita la circolazione sanguigna, abitua gradualmente a sopportare la fatica e assicura resistenza. Quando lo si pratica in gruppo, ha un benefico effetto socializzante, incide nel miglioramento delle relazioni interpersonali e sviluppa spirito di solidarietà. Tutti questi aspetti scompaiono nel caso si inseguano prestazioni non in linea con la condizione biologica dell’atleta. Nel rispetto di questi principi risiede il successo di associazioni sportive come la FIASP, il cui “segreto” principale sta nella non competitività dell’esercizio motorio e nella filosofia che esso è a servizio della salute, sia biologia che psichica. Giocondo Talamonti


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L a Te r n i c h e

La Lotta rappresenta la disciplina sportiva più antica al mondo. Testimonianza di ciò sono i graffiti risalenti al paleolitico raffiguranti azioni con protagonisti i primi lottatori, nonché il rinvenimento di reperti della civiltà sumerica di oltre 5000 anni fa. L’arte di “fare alle braccia” ha antiche radici in Mesopotamia, Egitto, India e Cina. Le prime tracce riguardanti la lotta “codificata”, risalgono alla tomba egizia di Beni Hassan (3000 aC) in cui vengono rappresentate circa 400 differenti tecniche di lotta con scopo ginnico-militare. La civiltà ellenica ha tramandato ampie documentazioni nelle quali la lotta veniva considerata indispensabile per il rafforzamento del fisico e del carattere dei giovani. La lotta olimpica nacque nel 708 aC in occasione della XVIII Olimpiade ed il primo vincitore dei Giochi fu lo spartano Euribato. Uno dei più grandi campioni olimpici della lotta antica fu Milone di Crotone, vincitore per ben sei volte dal 540 aC al 516 aC. Nel periodo romano la lotta divenne un’attività per professionisti o per soldati, che si scontravano nelle arene, perdendo quindi il carattere dilettantistico di quella ateniese. Nel 394 l’imperatore Teodosio I soppresse i Giochi Olimpici, facendo decrescere la popolarità della lotta sportiva. Nonostante questo, la disciplina continuò ad evolversi fino al medioevo, periodo nel quale veniva praticata con pochissime regole e per scopi militari. Fra il secolo X ed il secolo XV l’arte di lottare riacquistò visibilità in Ungheria, Italia e nelle vallate alpine in cui veniva impiegata come intrattenimento e difesa personale. Il 1800 rappresenta la rinascita della lotta a livello di popolarità; in questo periodo iniziò la fase della “lotta olimpica moderna”. La Francia svolse un ruolo fondamentale per il rilancio della disciplina. Negli stessi anni nacquero importanti palestre anche in Italia, a Milano, Genova e Torino, grazie al prezioso contributo di Basilio Bartoletti. Il regolamento sportivo della lotta greco-romana venne scritto il 20 maggio 1848, stilato da 350 delegati delle accademie di Lione, Marsiglia, Arles, Bordeaux, Tolosa e Nimes. Tre grandi nomi di lottatori dominano la scena internazionale dell’epoca: Felix Bernard, Pietro Dalmasso ed Abdullah Jeffery, autentici maestri della lotta. Per quanto riguarda l’Italia, i nomi più importanti sono quelli di Basilio Bartoletti, al quale si deve la denominazione di “lotta greco-romana”, e Dalmasso. Nell’Europa del 1800-1900 nacquero molte accademie ma sopratutto si costituirono le prime federazioni nazionali. In questi secoli, la lotta era presente anche nell’ ex URSS. Gli stili olimpici raggiunsero l’Australia per via dei soldati inglesi. Fra gli ultimi anni del 1880 ed i primi del 1900 diversi lottatori di greco-romana furono protagonisti di sfide interstile in cui dimostrarono la grande efficacia della lotta. Nel 1887 William Muldoon sconfisse il campione mondiale di pugilato John L. Sullivan in meno di due minuti. Alla fine del secolo il futuro campione dei pesi massimi di pugilato Bob Fitzsimmons affrontò il campione europeo di lotta greco-romana Ernest Roeber. Questi ebbe una frattura allo zigomo, ma fu in grado di portare Fitzsimmons al tappeto. Durante i primi anni del 1900, l’italiano Giovanni Raicevich, campione di lotta greco-romana, sconfisse Akitaro Ono, un maestro

Alberto Molfino

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Umberto Trippa

Lotta

Adalberto Lepri

Jonathan Molfino

giapponese esperto di judo, ju-jitsu e sumo. Quando al congresso del 1894 il barone Pierre de Coubertin riaprì le Olimpiadi, le nazioni più progredite canalizzarono i movimenti sportivi spontanei, in strutture organizzate finalizzate prevalentemente alla partecipazione ai Giochi Olimpici. La greco-romana entrò a far parte delle Olimpiadi moderne fin dalla sua prima edizione nel 1896, mentre la lotta libera comparve nel 1904. Nel 1912 nacque la federazione internazionale della lotta (FILA) e con essa iniziarono ufficialmente le altre competizioni internazionali, come i campionati europei e mondiali. Terni vanta una lunga e solida tradizione di campioni nella lotta. Ricordiamo prioritariamente Alberto Molfino, nato a Genova l’11.07.1906. Si trasferisce nel 1936 a Terni ove inaugura la prima palestra di lotta Greco-Romana, frequentata da intere generazioni di ragazzi. Divenne Campione d’Italia assoluto di lotta Greco-Romana categoria Leggeri kg. 67 negli anni 1930-33-35-36-38-48. Partecipa alle Olimpiadi di Berlino nel 1936 classificandosi al 5°posto. Partecipa agli Europei di Praga nel 1931 e di Roma nel 1934. Partecipa inoltre agli internazionali a squadre in Francia nel 1930-31-35, in Cecoslovacchia nel 1935, in Ungheria nel 1936-37, in Polonia nel 1938. Vanta 12 presenze azzurre. Muore a Terni il 18.07.1977. Quindi Umberto Trippa, nato a Terni il 6.4.1931. Il suo palmares: Campione d’Italia assoluto di lotta Greco-Romana nel1952-53-54-55-58-59. Campione d’Italia assoluto di lotta Stile Libero nel 1951-53. Si classifica 4° ai Campionati del Mediterraneo di Lotta stile libero nel 1951. Nel 1952 si classifica 4° alle Olimpiadi di Helsinki, alle Olimpiadi di Melbourne (1956) è 5°. Di nuovo 4° alle Olimpiadi di Roma nel 1960. Si classifica 2° ai campionati Mondiali di Napoli nel 1953 e al 5° posto ai Campionati Mondiali di Karlsruhe nel 1955. Partecipa a diversi incontri Internazionali a Squadre dal 1951 al 1959. Presenze azzurre: 14 in Greco-Romana, 2 in Stile Libero. Poi Adalberto Lepri, nato a Terni il 2.10.1929. Lotta Stile Libero categoria medi Kg.79. Partecipa alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952 classificandosi al 12° posto. Partecipa alla Coppa del Mondo di Istanbul nel 1956. Partecipa a vari incontri Internazionali a Squadre dal 1951 al 1959. Campione Italiano di categoria dal 1950 al 1958. Presenze azzurre 11. Parliamo di campioni espressione di una città umile, ma con una grande voglia di fare ed affermarsi. Nella Terni di quegli anni lo sport era davvero popolare e con la lotta si sono forgiati tanti atleti ternani nel comune ricordo ed ammirazione per Molfino. Una tradizione familiare che è proseguita con Mario Molfino, padre di Jonathan, plurimedagliato campione a livello internazionale. La lotta libera e greco-romana ottenne un ulteriore incremento di popolarità intorno al 1990, quando nacquero vere e proprie icone della lotta mondiale, come quelle dei russi Alexandre Kareline (greco-romana) e Buvaisar Saitiev (libera). Per quanto riguarda l’Italia è doveroso ricordare le imprese del greco-romanista Vincenzo Maenza, vincitore di tre medaglie olimpiche. D ott. Stefano Lupi

Delegato Coni Terni


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NON COLPEVOLI? Il 2 Aprile 2015 è entrato in vigore, nel nostro ordinamento, l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto. In adempimento della legge delega del 28 Aprile 2014 n.67, è stato inserito nel nostro Codice Penale, l’art.131 bis, ai sensi del quale, per i reati puniti con la pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva, e per i reati puniti con la pena detentiva nel massimo non superiore a 5 anni, il fatto commesso non viene sanzionato. L’istituto non è nuovo, essendo già applicato nell’ordinamento minorile e in quello riguardante i reati di competenza del Giudice di Pace, e in molti ne auspicavano l’estensione. Tutte le contravvenzioni previste dal Codice Penale, alcuni reati contro il patrimonio, come il furto semplice, l’appropriazione indebita, la truffa ed il danneggiamento, rientrano nella norma, e, pertanto, se commessi non incorreranno in sanzione penale. Rientrano nei parametri introdotti dall’art.131 bis anche i delitti di lesione personale, l’omissione di soccorso, la violazione di domicilio, e addirittura l’omicidio colposo purché non sia aggravato. Rientrano ancora, nella fattispecie, anche molti reati contro la Pubblica Amministrazione, quali l’abuso d’ufficio, il rifiuto d’atti d’ufficio, la percezione di indebite erogazioni in danno dello Stato, nonché reati societari, fallimentari e tributari, quali il falso in bilancio, l’aggiotaggio, la bancarotta semplice, l’omessa o infedele dichiarazione dei redditi, l’omesso versamento di ritenute certificate. Perché l’istituto possa trovare applicazione, occorre, oltre al limite della pena edittale massima di 5 anni, la particolare tenuità dell’offesa, da valutarsi sia sotto il profilo della modalità della condotta, sia sotto il profilo dell’esiguità del danno o del pericolo cagionato da tale condotta, che, in ogni caso, non deve essere abituale. Ne consegue che l’istituto non potrà essere applicato al soggetto che ha precedenti penali, o a colui che è autore di condotte criminose che si ripetono nel tempo, come ad esempio i maltrattamenti in famiglia, la violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’abuso di mezzi di correzione, o la commissione di atti persecutori, quali il famigerato “stalking”. L’obiettivo del legislatore, è quello di impedire che fatti lievi commessi occasionalmente, possano diventare oggetto di processo penale, aggravando così il carico giudiziario già notoriamente imponente. In applicazione dell’istituto il Pubblico Ministero, può chiedere l’archiviazione del procedimento ai sensi dell’art. 131 bis c.p., dandone comunicazione all’indagato e alla persona offesa, la quale può presentare opposizione spiegando le ragioni del suo dissenso; in tal caso, verrà fissata un’udienza apposita, all’esito della quale il Giudice deciderà se archiviare o proseguire con il giudizio. La causa di non punibilità può essere dichiarata d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del procedimento e, ovviamente, sollecitata dal difensore dell’imputato. Ma in questa cornice la vittima del reato come viene tutelata? È bene precisare che il meccanismo appena descritto non prevede un diritto di veto in capo alla persona offesa dal reato, come invece previsto nei giudizi di competenza del Giudice di Pace. Ma poiché essere riconosciuti non punibili per la particolare tenuità del fatto, significa comunque che il Giudice ha accertato l’esistenza di un reato, e lo ha attribuito all’imputato, tale accertamento ha efficacia nel giudizio civile per il risarcimento del danno. In altre parole la persona offesa non otterrà nulla in sede penale, ma il giudizio civile sarà agevole, essendo il fatto già accertato dal Giudice, ed il suo autore già individuato. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it

La mignatta Su ‘na scòla ‘lementare ‘na maestra... Bbardascitti mii domani dovete portamme... cercate d’arcordavvelu però... cinque euri pe’ le fotocopie... Sì ppeggiu de ‘na mignatta, ce stai a ssuga’ tuttu ‘llu pocu “sangue che cc’emo, se sseguitamo ccucì mesà che cce tòcca fa’ le trasfusioni... Come te permétti!?... Lo sai armeno quillu che stai dicenno?... No... ma lu sento a ddi’ cuntinuamente llà ccasa... Dimani me fai vini’ quarcunu a pparla’ co’ mme... mo’ ascordame e vvojandri pure ascordateme tutti! La trasfusione se fa mettènno lo sangue de ‘n cristianu dentro a ‘n andru che cce n’ha bbisognu e la sanguisuga o mignatta come hai dittu tu... è ‘na specie de lumacone spojatu che

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‘n tembu t’appiccicavono su la pelle pe’ ffatte succhia’ lo sangue e ccerca’ de guaritte da la frebbite... la poliomelite...la purmunite... Allora quanno... Statte zzittu e ascordame bbène!... Pèrde lo sangue pòle significa’ pèrde la vita... purtroppo a vvòrde... anche a ‘rmettelu se pòle muri’!... E ‘llora mae’... Zzittu!...A lu tembu de Chéccu e Nnèna se credéa che lo sangue era tuttu ‘guale... ‘nvece ce sta chi cce l’ha de gruppu A... B... AB... 0... co’ ttantu de erre acca pusitivu o negativu e a ognunu quanno ce n’ha bbisognu tòcca armettejelo ‘guale a qquillu che ccià... sinnò se pòle anna’ a ffini’ più dde llà che dde qqua! Maestra... allora se unu se mette a ssuga’ lo sangue de li cristiani è ppericolosu!... Ma che stai a ddi’... che ssì ‘n vampiru?... Io no... ma quilli che cce commànnono, come dice mi’ nonnu, co’ ttutti ‘lli gruppi che ssùgono... sa che ‘nturbidimentu dentro a ‘lli cricili!? paolo.casali48@alice.it


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Lo sconcassè Quelli che hanno un’età almeno sopra la cinquantina dovrebbero conoscere il significato di questa parola, mentre quelli più giovani, se hanno qualche reminiscenza dialettale, al massimo lo possono identificare come sinonimo di veicolo sgangherato. Cerchiamo prima di tutto di capire a cosa serviva. Fino a oltre la metà del 1800 la stragrande maggioranza delle strade di tutto il mondo erano bianche, intendendosi per bianche le strade col fondo in pietrisco, ghiaia e sabbia. Al passare delle carrozze trainate da cavalli si sollevava un bella nuvola di polvere e ci voleva una manutenzione continua, specialmente dopo ogni pioggia. A tal uopo in Italia era stato organizzato un corpo di addetti provinciali chiamati cantonieri, con tanto di divisa, che si occupavano con pala, zappa e carretta di tenere sempre percorribile il tratto di strada loro affidato. Tutti voi avrete visto le vecchie “case cantoniere”, ora desolatamente vuote e abbandonate, lungo le vie più importanti del nostro paese: quelle erano le loro case. Il cantoniere era anche munito di una palina di ferro identificativa con in cima un disco, dove c’era scritto il nome della provincia e il numero di quella strada o di quel tratto di essa. Al mattino presto piantava la palina sul ciglio della strada e iniziava il lavoro di riparazione ripianando le buche, spargendo il pietrisco in modo omogeneo e tenendo pulite le cunette ai lati della strada. C’è da dire che anche allora, nonostante la presenza dei capi cantonieri con funzione organizzativa e di controllo, il cantoniere addetto a una certa strada poteva lavorare o cacciare i tordi nell’oliveto prospicente il luogo di lavoro. Nel caso di una ispezione bastava abbandonare il fucile dietro una siepe e dichiarare che ci si era allontanati per soddisfare un bisogno corporale. Non c’è che dire: i trucchi per lavorare poco vengono da molto lontano! Qualcuno di voi più curioso si domanderà dove venivano presi pietrisco e sabbia per rinnovare la carreggiata: venivano preso dai mucchi, detti montini, lasciati a intervalli regolari lungo la via. E da dove venivano quel pietrisco e quella sabbia? Dal greto dei fiumi o dei torrenti? O addirittura dalle spiagge marine? Niente affatto, venivano prodotti dallo sconcassé. Lo sconcassé era una macchina in ferro con motore diesel, in grado di Lo sconcassè di Andolo frantumare pietre di medie dimensioni. Il nome deriva probabilmente dal francese concasseur, frantumatore, riconducibile al latino conquassare. Tale nome nell’uso comune è diventato sinonimo di veicolo sgangherato, viste le vibrazioni e il rumore che faceva inghiottendo pietre su pietre. Nei mesi estivi piccoli imprenditori locali, che avevano investito denari nell’acquisto di tale sferragliante macchinario, prendevano in appalto la fornitura di pietrisco per rifare il fondo a una certa strada. Un gruppo di operai armato di pale e mazze di ferro circondava lo sconcassé: le pale servivano a caricare sulle carrette il pietrisco frantumato, che veniva poi raccolto nei montini equidistanti lungo la carreggiata, mentre le mazze erano necessarie a spezzare manualmente le pietre troppo grandi che non entravano nella bocca del frantumatore. I sassi da macinare potevano essere recuperati lungo la stessa strada o venivano da una cava ed erano portati sul posto tramite camion. Il caldo era soffocante, la polvere pure e il sole a picco implacabile senza l’ombra di una nube, faceva sì che gli operai erano portati a fare la danza della pala. Col berretto a visiera ben calato sugli occhi, per proteggersi dal riverbero solare, appoggiavano il mento su entrambe le mani che stringevano la fine del manico della pala. Poi guardavano a sinistra, indi a destra, poscia tiravano fuori il fazzoletto per detergersi il sudore mentre il padrone cercava di incitarli dicendo: Forza che piove. Al che gli operai ribadivano: Ma se non ci sta manco ‘na nuvola, come fa a piove? E il piccolo impresario di rimando: Fa prima a rannuvolarsi e a piove che voi a fa un passo de tango co’ la pala. Forza, moveteve, che la cera se cunsuma e lu mortu non cammina. [detto popolare relativo a un funerale troppo lento: la cera Vittorio Grechi delle candele rischiava di finire prima che il defunto giungesse al cimitero]

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Alle origini del fondamentalismo. Il fondamentalismo islamico. Area sciita. Come avevamo detto nell’articolo precedente, gli Sciiti e i Sunniti hanno contenuti dottrinali simili, varia invece il modo di recepire l’autorità. Gli Sciiti vedono nell’imam non un semplice cerimoniere, ma un uomo senza peccato, possessore della verità. Infatti l’hadith (tradizione dei profeti) va integrata dagli imam con il loro magistero vivente. Per loro non esiste solo il Corano, ma anche gli insegnamenti degli imam che sono succeduti dopo i grandi profeti. Sono i seguaci di Ali ibn Abi Talib cugino e genero di Maometto, considerato al contrario dei Sunniti unico legittimo erede del profeta e primo imam. Najaf in Iraq, luogo della sua sepoltura, è considerata città santa dopo La Mecca e Gerusalemme. Nell’ambito sciita un posto di spicco dal punto di vista sia religioso che politico spetta all’imam Khomeyni artefice della rivoluzione iraniana del 1979 che ha deposto la monarchia dello Sha Reza Palhavi, istaurando una repubblica islamica. Fatto senza precedenti in quanto il fondamentalismo da setta perseguitata e confinata nella semi-clandestinità aveva per la prima volta conquistato il potere. Ma proseguiamo il nostro viaggio in questo mondo complesso e vediamo chi era questo personaggio balzato prepotentemente alla ribalta della scena politica mondiale, creando un pericoloso precedente. Ruhollah Mustafa Komeyni, nato nel 1902 da famiglia modesta, rimasto orfano, entrò nella scuola coranica a Qom sotto la guida di Abd al Karim Ha’riri approfondendo studi su shariya, diritto e filosofia. Nel 1962 dichiarò la sua opposizione allo Sha di cui non accettava il laicismo e la politica filooccidentale. Prime adunate politicoreligiose, arrestato più volte, venne nel’65 esiliato in Iraq dove a Najaf, luogo santo per gli Sciiti, elaborò le sue teorie del governo islamico. Allontanato dall’Iraq si trasferì a Parigi, da dove guidò la rivoluzione islamica culminata con la caduta dello Sha e la formazione di un nuovo governo. Tornato in Iran, accolto come trionfatore, fu leader carismatico e assoluto fino alla sua morte nel 1989, condizionando non solo la vita politica del suo paese, ma anche cambiando gli equilibri del quadro politico-strategico dell’area mediorientale. Questa in brevissima sintesi la vita di un leader che, emulo degli antichi califfi, ha saputo unire l’aspetto religioso, politico e sociale, divenendo un esempio per i popoli musulmani. Infatti, dopo la sua vittoria si assiste ad una proliferazione di movimenti filokomenisti che hanno interessato in diversa misura vari paesi orientali come l’Egitto, l’Algeria con il trionfo del F.I.S. nel 1991, la Palestina con Hamas, molti paesi islamici dell’Africa sub-sahariana, la Nigeria infine l’Afghanistan con gli agguerriti Taleban. Nel 1989 nel Sudan prende il potere il N.I.F. partito fondamentalista e filokomenista. L’ayatollah fin dal 1970, quando era in esilio in Iraq, aveva teorizzato la necessità di un governo islamico (Hukumat i Islami) per l’Iran basandosi su due punti: 1) Liberarsi del governo dello Sha che con il laicismo e la modernizzazione tende a distruggere le basi religiose dell’Iran. 2) Rovesciare un ordinamento politico ingiusto che divarica le differenze tra ricchi e poveri. Lo Sha aveva imposto un governo estraneo alle tradizioni islamiche del paese e per giunta ingiusto in quanto concentrava la ricchezza nelle mani di una classe ristretta e privilegiata, tagliando fuori masse di poveri e diseredati. Komeyni, facendo leva sulla comune religione islamica e sulla rivendicazione sociale, poté saldare gli interessi dei ceti mercantili dei bazar con quelli delle classi più povere e gli entusiasmi degli intellettuali islamo-marxisti come Ali Shariati. Molto ha anche giocato il ruolo carismatico dell’ayatollah

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che ha pagato di persona la propria opposizione al regime. Secondo il pensiero politico di Komeyni la forma del governo islamico doveva essere quella di una repubblica di saggi e esperti della Legge Divina (I Fuqaha). Solo coloro che sono esperti della Legge possono gestire il potere e si devono impegnare a creare un nuovo ordine giuridico e costituzionale; essi devono applicare la Legge che tutti conoscono. Per Komeyni la guida politica è come un defensor fidei di fronte al nemico Occidente. Gli Esperti della Legge, i Fuqaha hanno una duplice funzione: devono in primo luogo ristabilire la verità dell’Islam impegnandosi in una rieducazione di massa alla fede dimenticata, una mobilitazione morale, politica e religiosa (la preghiera del venerdì come significato politico-ideologico), in secondo luogo selezionare una classe dirigente in base a princìpi etico-religiosi. Gli ayatollah devono essere immuni dal peccato, dei puri. Il termine imam durante la Rivoluzione islamica si carica sempre di più di significati politici piuttosto che religiosi, utilizzato per legittimare il potere assoluto di un capo per trasformare ogni suo pensiero in un ordine, in verità infallibile. Il fondamentalismo è una sorta di ermeneutica vivente, totale, circolare, in parole povere parte da un dato di fede e vi ritorna. Esso non può non prevedere tutti gli aspetti della vita. In questa prospettiva lo stato laico è visto come un male che va combattuto frontalmente con la jihad che si esplica contro i nemici della legge divina, quelli interni ovvero i politici corrotti, quelli esterni ovvero l’Occidente. A questo punto è d’obbligo porsi una domanda: quali sono le ragioni del successo del fondamentalismo? In primo luogo esso ha fatto presa su una massa di giovani scolarizzati che vivono però ai margini di una società la cui arretratezza viene imputata alle classi dirigenti corrotte e all’Occidente; in secondo luogo sui ceti religiosi che vedono con preoccupazione l’invasione dei modelli occidentali, in primis l’emancipazione della donna, infine sulla intellighenzia islamica che si vede frustrata dalla superiorità tecnologica dell’Occidente e si aggrappa al mito dell’età dell’oro dell’Islam per rivendicare una propria autonomia creatrice. Anche il fondamentalismo ha però ha i suoi limiti: l’imposizione di una rigida disciplina di massa non può durare a lungo termine (vedi i problemi scaturiti dopo la morte di Komeyni, dalla successione all’imam, dal programma nucleare iraniano e dal lento e discusso riavvicinamento dell’Iran all’Occidente), la radicalizzazione della lotta politico-religiosa getta forte discredito sull’Islam e molti leader religiosi stanno prendendone le distanze. In conclusione si può dire che la partita con il fondamentalismo religioso è ancora tutta da giocare e che caratterizzerà la politica estera del XXI sec., condizionando i rapporti tra Occidente e Oriente. Dopo l’effimera fiammata della primavera araba che ha suscitato tanto facili entusiasmi in Occidente, buona parte dei paesi arabi del Mediterraneo risulta destabilizzata e a complicare il quadro inquietante ci si mettono le lucide crudeltà dell’I.S. e la massa di disperati che fuggono dalla miseria e dalla guerra aggrappati ai barconi. Un valido antitodo al radicalismo religioso potrebbe essere l’Islam moderato, la cui voce per ora rimane troppo debole; proprio per questo occorre che esso si organizzi con coraggio e determinazione in comitati, assemblee, cortei di protesta allo scopo di dare all’opinione pubblica mondiale un’immagine diversa dell’Islam, strappandone il monopolio ai movimenti radicali come Al Queida, l’I.S., i Taleban. Pierluigi Seri


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