La Pagina settembre2014

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B AT T I S T E L L I

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura

Il b e ma nesse ssim re d e op rofi i suoi tto c per ollabo un imp ratori è ren dito il re

Numero 11 7 settembre 2014

Fot o Al bert o M i ri mao


Presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, in Terni, Corso Tacito n. 49, viene realizzata la mostra antologica dedicata al geniale pittore

Orneore Metelli : Il racconto della città che c’era dal 27 settembre 2014 all’11 gennaio 2015

La mostra verrà presentata dal Prof. Philippe Daverio Curatori della mostra: Prof. Paolo Cicchini e Dott.ssa Maurella Eleonori

Orneore Metelli: Terni - Porta Romana com’era nel 1879 Olio su cartone 61 x 81 Collezione Cesare Taddei 2


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La matematica svelata I grandi congressi matematici si tengono ogni quattro anni, come le Olimpiadi e i Mondiali di Calcio. Il primo si è tenuto nel 1897, a Zurigo, e gli altri sono seguiti, anche se sempre con cadenze precise, e con qualche inevitabile salto e sfasamento dovuto alle guerre. Durante il Congresso di Oslo del 1936 si decise di istituire un premio per i matematici più brillanti, purché ancora ragionevolmente giovani; un assegno e una medaglia commemorativa, che prese il nome dal suo ideatore, il canadese John Charles Fields. Da allora il più prestigioso premio per un matematico è appunto la Medaglia Fields. A differenza del Premio Nobel, che non esiste per la Matematica, l’assegno che accompagna la Medaglia Fields non è particolarmente elevato (15.000 dollari canadesi contro gli 8.000.000 di corone svedesi del Nobel: tradotti in euro, significa 10.000 contro 1.000.000), e soprattutto non è attribuibile a studiosi che abbiano già compiuto quarant’anni. Inoltre, visto che la Fields si assegna appunto durante i Congressi Internazionali che si tengono ogni quattro anni, l’attribuzione è solitamente quadruplice, nel senso che ad ogni congresso quadriennale si hanno quattro nuovi premiati. La classifica delle Medaglie Fields vede l’Italia presente, ma nelle parti basse della lista: l’unico alloro azzurro porta la firma di Enrico Bombieri, che lo vinse esattamente mezzo secolo fa. In cima alla classifica ci sono i soliti USA (13) e Russia/URSS (9), ma è sorprendente il secondo posto assoluto della Francia, con 11 riconoscimenti, e l’ottimo quarto posto del Regno Unito, con 6. Quest’anno il Congresso si è tenuto a Seul, in agosto, e finalmente se ne è parlato diffusamente anche sui quotidiani. Anche questa volta sono stati premiati quattro giovani studiosi: Artur Avila (brasiliano naturalizzato francese, 35 anni), Manjul Bhargava (canadese di origini indiane che ha compiuto 40 anni l’8 di questo mese), Martin Hairer (austriaco, non ancora trentanovenne), e Maryam Mirzakhani (iraniana che lavora a Stanford, USA, 37 anni). Due di questi quattro giovinotti, Bhargava e Hairer, fanno una fatica del diavolo a ritrovare il loro nome nelle cronache dei quotidiani; Avila ha vita appena un po’

Locale climatizzato - Chiuso la domenica Terni Via Cavour 9 - tel. 0744 58188

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meno complicata perché, in quanto brasiliano, è il primo vincitore della Fields proveniente dal continente sudamericano. Di fatto –e inevitabilmente– tutti i media si sono lanciati sulla notizia più ghiotta, ovvero l’attribuzione del più prestigioso premio matematico ad una donna, Maryam Mirzakhani. Maryam, poi, ci ha messo del suo: non contenta di essere il primo matematico femmina premiato in quasi ottant’anni di storia della Medaglia Fields, si è permessa il lusso di nascere iraniana e perfino di essere carina. La classica miscela esplosiva, e infatti non c’è giornale che quest’anno non abbia parlato della Medaglia Fields, mentre nelle passate edizioni bisognava armarsi di tenacia e pazienza per trovare un trafiletto di sette righe nelle ultime pagine, dopo l’elenco delle fiere rionali. E così, la matematica è finalmente sbarcata sui quotidiani. E così, si sono viste molte foto della dottoressa Mirzakhani, con i suoi occhi blu e i suoi corti capelli rossicci, un po’ alla Mia Farrow. E tutti i commentatori si sono mostrati entusiasti e stupiti, almeno a giudicare dal tono degli articoli: “Perdinci, è una donna!”; “Ehi, non è neppure brutta!”, e così via. Forse con espressioni meno colloquiali, ma il senso è quello, come se fosse davvero incredibile che una signorina giovane e carina possa essere un genio scientifico. Ma c’è di peggio: Maryam è nata a Teheran, anche se vive da tempo negli USA, e in Iran i giornali hanno dovuto fare i triplici salti mortali. La notizia è lusinghiera e rende lustro alla nazione, ma la matematica (sia la scienza sia la scienziata) non è adusa a portare il velo. E così in Persia si sono viste in giro ricostruzioni ritoccate, foto che zoomano i primissimi piani per tagliar via i capelli, fotodisegni in cui la chioma di Maryam viene confusa col nero della lavagna, fino ad espliciti veli posticci messi a forza col Photoshop. La Medaglia Fields alla dottoressa Mirzakhani è una notizia ottima, e purtroppo è anche un evento eccezionale. Purtroppo, perché se nessuna donna ha vinto prima di lei, non è certo per colpa delle donne in quanto tali, ma della secolare –meglio, millenaria– sudditanza alla quale le donne sono state costrette, e che in molti sensi dura ancora. L’eccezionalità dell’evento dovrebbe servire a ricordarci il ritardo culturale che ancora ci portiamo addosso, più che essere salutato come una festa. C’è da chiedersi se si sia mai festeggiata la prima medaglia vinta da un biondo con gli occhi azzurri, o da un mancino dai capelli neri, come se si trattasse di un fatto straordinario. Se questo non è mai avvenuto è perché certe caratteristiche non sembrano significative quando si parla di un premio all’intelligenza e alla tenacia. Sarà un gran bel giorno quando, nella celebrazione di un’eccellenza, al pari del colore dei capelli e della forma del naso, anche il tipo di apparato genitale sarà considerato indegno di menzione. P i e ro F a b b r i


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ORNEORE METELLI

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PISCINE DELLO STADIO

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La matematica svelata

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C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I

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L a m a c c h i n a v i r t u o s a c h e è i n Vo i

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C I D AT

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Fastidi ad alta quota!

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FA R M A C I A B E T T I

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Il pescatore di anime di Hanoi L’ r r i d u c i b b b i l e

La macchina virtuosa che è in Voi

- C o l l e z i o n e C Ta d d e i

(L’avvelenatissima) - P Fabbri

- G Raspetti

- A Melasecche

- F Patrizi

- P Casali

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STUDIO MEDICO TRACCHEGIANI

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Quando con le Fabbriche va in crisi anche lo sport

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OZONO TERAPIA in ortopedia

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Sostieni BCT

- S Lupi

- V Buompadre

Ciao ANGELO 15

I M M O B I L I A R E B AT T I S T E L L I

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Sfratto o non sfratto?

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L A B O R AT O R I S A L VAT I

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A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I

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La parola etologia

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N U O VA G A L E N O

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ANTROPOLOGIA DEL CIBO

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Te r a p i e i n t e g r a t e e c a n c r o

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Ysant il mago di Bilelipe

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LANDI COSTRUZIONI

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Complessa e sfuggente

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1 ° G I O R N ATA U R O L O G I C A T E R N A N A -

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Una soffitta sull’universo

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F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O

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La città e i giardini

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CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA

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La capezzagna

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SANFAUSTINO

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FRANCESCO PATRIZI

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G L O B A L S E RV I C E

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SUPERCONTI

LA

- M Petrocchi

- I Mortaruolo

- L Paoluzzi - F Lelli

- A Grasso L Luzzi

- M Pasqualetti

- A Zerbini

- V Grechi

- R Bellucci

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti

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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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La Pagina

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Focalizzo una macchina fantastica, un marchingegno portentoso in grado di annichilire intere categorie di persone che, senza una remissiva complicità, non sarebbero mai esistite. Si seleziona la specie subumana, si aziona la macchina e la similfauna non c’è più. Attiviamola insieme, allora, questa macchina! Cominciamo con il cancellare i cultori di privilegi, quei meschini che agiscono unicamente in combutta con altri come loro e colpiscono, all’uopo, solo dieci contro uno. Fanno i gradassi con i soldi degli altri o s’ammassano in gruppetti di mutuo soccorso per arraffare. È difficile scovarli apertamente, anche se sono tanti, perché si sono già cancellati da soli, non sono mai realmente esistiti, come uomini. Qualcuno staziona all’aperto, ma ben mascherato; si riconosce perché blatera senza cessa di meritocrazia che però, guarda caso, pretende solo da chi è fuori dalla sua cerchia. Segue la gioventù dabbene che si prostituisce con vecchi zozzoni, ricchi e corruttori, ma ancor prima quei genitori che accoglierebbero con entusiasmo la zoccolaggine della propria figlia col puzzone inverecondo che si è attrezzato ad apparir potente. Come non aggiungere quegli invasati, figli di un dio molto minore, che ostentano spasmodico tifo per pupazzi sgambettanti che accaparrano, ogni giorno, lo stipendio (da stips, monetina) di un operaio in 10 anni? Estinguiamo anche gli affiliati (numerosissimi) alle molte tipologie di mafia di cui gode il nostro Bel Paese. Sono tanti: da tempo ormai figli, parenti e amici dei mafiosi sono trapiantati nei posti di potere vero, anche con lo scopo di abilitare lo spirito mafioso a mal comune, anzi a mezzo gaudio: vuolsi che le persone serie si trovino a disagio, colpevoli di essere oneste. A questo tendono le tante altre infamità sdoganate negli ultimi tempi: cialtroneria, zozzeria, fangheria sulle istituzioni, falsità in bilancio, falsità nell’essere, truculenza nell’avere. Si aggiungano i parenti dei politici che, è sotto l’occhio di tutti, non conoscono disoccupazione, ma festeggiano disinvoltamente, ogni giorno, i loro emolumenti milionari, alla faccia di tantissimi disoccupati giovani, colti e intelligenti. Il paese si spopola ormai! Ma occorre ancora aggiungere quella enormità di minus quam senza ideali che si fionda nella partitica per degradare la politica, per sfamarsi o per sfuggire alla galera. Poi tutti quelli che mai hanno lavorato, nulla sanno fare se non sfruttare, partiticamente, i beni di famiglia o le conventicole di comodo. Non si può poi tralasciare chi soffia strumentalmente sulle disgrazie della gente e sul malcontento generale. Il gaglioffo s’adopra perché i mali crescano a dismisura e cerca di favorire il massimo del caos, unico modo per assicurarsi il sostegno di tanti strillatori isterici semianalfabeti e per riuscire ad instaurare la dittatura, quella della imbecillità violenta. E dove mettere quelli che dicono di immolarsi per i poveri e, invece di vivere umilissimamente come mostrato loro dal santo dei santi o lavorare per poi donare ai poveri stessi i frutti delle proprie fatiche, allestiscono festose e costose questue mentre dell’enorme potere temporale accaparrato nei tempi cedono meno di un mattone sbriciolato? Aiutare i poveri significa solo, e assolutamente, donare i frutti del proprio lavoro, non i soldi degli altri! Intanto i poveri, è sotto tutte le loro occhiaie, sono sempre più poveri e bisognosi, mentre i raccattatori sempre più pingui! Dulcis in fundo, chi specula sui disperati: chi favorisce, per molti irriducibili massacratori di se stessi e delle proprie famiglie, il gioco d’azzardo e chi autorizza la pubblicità di giochini ridicoli per colpire gente indifesa e stupida. Ma leggi, decoro, onestà, buon senso, sono ancora rintracciabili in questo similmostruoso Paese? Rallegrati operaio, sii fiero di te artigiano, gioisci imprenditore: in cima alla graduatoria delle persone per bene ci sei, come sempre, tu. Sei rimasto solo tu legittimo possessore della macchina: attivala, dunque, senza fare eccezioni, distinguiti, allontanati per sempre dalla gentaglia! La macchina portentosa ha il tuo stesso nome: si chiama Dignità. Giampiero Raspetti


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Fastidi ad alta quota! Viaggiare in aereo è ormai abbastanza comune e anche i tragitti impegnativi non spaventano più. Chi si sposta frequentemente per lavoro o chi è reduce da una vacanza che abbia previsto almeno un volo aereo, sa quanto condividere quegli spazi ridotti, se fatto con passeggeri maleducati ed anche solo per poche ore, possa rivelarsi un’esperienza davvero stressante. Ma quali sono le abitudini più irritanti rilevate dai sondaggi sul tema? Al primo posto dei fastidi in aereo ci sono sicuramente ginocchiate e calci inferti al nostro sedile quando chi è seduto dietro di noi è particolarmente irrequieto; a seguire, l’invasione del proprio spazio vitale da parte dei vicini di poltrona, che si tratti di allungamento degli arti superiori o inferiori; al terzo posto, i bambini chiassosi e decisamente fuori dal controllo dei genitori. Da non sottovalutare neppure ciò che riguarda il sonoro: doversi sorbire il russare altrui, il “bla bla bla” senza sosta per tutto il volo soprattutto quando la voce ha un tono particolarmente alto. Poi c’è il passeggero che invade la cappelliera con i suoi bagagli a mano come se fosse a lui riservato. Non manca il fastidio procurato da chi vibra di continuo le gambe, per stress o per abitudine. Tanti segnalano come insopportabili quei passeggeri che furbescamente superano la fila durante l’imbarco; c’è poi chi si irrita per il vicino iperattivo, ovvero quello che durante un volo va diverse volte in bagno o si vuole sgranchire le gambe ogni mezz’ora. C’è chi si porta lo spuntino al sacco con odori poco gradevoli che si diffondono in tutto l’abitacolo o chi usa in abbondanza profumi o dopobarba. Tra i passeggeri invisi ci sono anche quelli che battagliano per occupare il bracciolo che li divide dal vicino, chi si impadronisce del sedile vuoto centrale per metterci giacche, riviste e quant’altro e chi gioca ai videogame senza spegnere la fastidiosa colonna sonora. Non ultimi i viaggiatori che trascurano l’igiene personale soprattutto

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se si tolgono le scarpe a bordo; coloro che monopolizzano il bagno e infine chi tiene inclinato il sedile per tutto il tragitto. Se si considerano le diverse nazionalità emerge che, in generale, i viaggiatori italiani siano tra i più tolleranti, in contrasto con le reazioni dei tedeschi facilmente suscettibili allo “stress da volo”. Un capitolo a parte merita l’applauso che scatta un secondo dopo aver toccato il suolo. Le ragioni sembrano essere varie: ringraziare il pilota, esprimere felicità per essere nuovamente a terra, per essersi tolti il pensiero del volo o semplicemente per goliardia: se applaude il vicino perché non partecipare? Ma come viene considerata dai non-applaudenti questa abitudine? La maggior parte non vede di buon occhio questo comportamento, ritenendolo fastidioso e provinciale, viceversa c’è chi lo ritiene divertente ed amichevole. Quali sono, invece, le dieci cose più odiate dagli assistenti di volo? Schioccare le dita per richiamare l’attenzione, alzarsi quando non è consentito, avere troppi bagagli o bagagli troppo pesanti da stivare nelle ridotte cappelliere e poi magari lamentarsi per la mancanza di spazio, parlare durante il safety briefing, chiedere ulteriori cuscini e coperte, riempire i sedili di rifiuti, chiedere un pasto differente, qualora il pasto sia previsto, o chiedere un pasto, qualora non sia proprio previsto, suonare per lamentarsi della temperatura, chiedere una specifica marca di bevande. Potrebbe non sembrare possibile, ma sembra che per alcuni lo shopping si confermi, poi, un ottimo mezzo per recuperare lo stress da viaggio. L‘enorme crescita e diffusione delle compagnie low cost e dei viaggi last minutes e l’uso sempre più regolare dell’aereo per ragioni di lavoro, rendono più frequenti le convivenze ad alta quota. Sarebbe bene quindi che tutti adottassimo comportamenti di massima educazione e rispetto nei confronti del prossimo, e magari non solo in volo! alessia.melasecche@libero.it


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Il pescatore di anime di Hanoi Long Biên, il ponte d’acciaio che congiunge la parte vecchia di Hanoi con i quartieri a nord, costruito dai francesi nel 1902 (si dice su un progetto di Gustave Eiffel), ad ogni ora del giorno e della notte vibra rumorosamente al passo frenetico dei vietnamiti. Sotto al ponte scorre lento il Fiume Rosso che dalla Cina scende fino al Mare del Tonchino; sulle sponde limacciose si accumulano detriti di ogni tipo, ma in un punto non troppo sporco sorge una baracca di legno da dove si può vedere Long Biên che si staglia al tramonto e per un attimo si ha la sensazione di trovarsi in campagna e che i recenti grattacieli e l’isterico traffico cittadino siano solo l’eco lontana del nuovo volto del Vietnam. È qui che vengono a scattarsi le fotografie le coppie di giovani sposi ed è qui che vivono da quarant’anni i coniugi Nguyên, due vecchietti dall’età imprecisata e dai ricordi confusi: da ragazzi sono fuggiti sotto le bombe americane e poi si sono ritrovati orfani e senza casa in una città devastata; come altri della loro generazione, ad accoglierli e a sfamarli è stato, ed è ancora, il Fiume Rosso. Il signor Nguyên si alza prestissimo la mattina e fruga tra i rifiuti portati dalla corrente, raccoglie gli oggetti che la gente butta via o smarrisce e li rivende al rigattiere del quartiere. A volte capita anche di vedere affiorare a pelo dell’acqua il corpo di un annegato; spesso si tratta di cinesi che, più a nord, hanno affidato alle acque torbide e fangose i propri affanni.

Secondo la tradizione vietnamita toccare il corpo di un suicida porta sfortuna, per questo quando qualcuno finisce impigliato nelle reti dei pescatori è il vecchio Nguyên che viene a liberarlo, perché a lui non interessa la superstizione, anzi quel corpo è una fortuna dal momento che prima o poi arrivano i parenti a ringraziare con una generosa mancia chi ha avuto il coraggio e la pietà di arrestare la corsa dell’annegato. È così che il vecchio della baracca, escluso dalla new economy e dal boom che sta conoscendo l’Estremo Oriente in questi ultimi tempi, ha trovato una occasione di sussistenza non tanto nel riciclare materiali inorganici rigettati dal nuovo consumismo, ma ripescando il disavanzo organico di disperazione dei cinesi. I coniugi Nguyên vivono letteralmente agli argini di una società che sta crescendo velocemente e sta perdendo le sue tradizioni, hanno visto il fiume trasportare il sangue di una guerra, i veleni delle armi chimiche americane, l’inquinamento di una capitale rinata e gli scarti umani di una nazione prospera e popolosa. Oggi fusti di plastica, sposini in posa e annegati sono ciò che offre il fiume per tirare a campare: storie di infelicità, promesse di felicità e contenitori vuoti di un’economia giovane e in espansione. Verso sera, quando il traffico va scemando e il ponte si concede un sospiro di riposo, passano lentamente dei fiori trascinati dalla corrente, forse un’offerta per i morti o un augurio per gli sposi o forse soltanto un auspicio perché la vita continui a scorrere. Francesco Patrizi

L’irriducibbbile Mamma mia!... 17 gatti niri... annamo argiramoce sinnò ce portono jella!... Ammappete se ccome sì supestizziusu! Mo’ tte faccio aricréde… te vòjo arconta’ come so’ nnate tutte ‘ste scantafavole… stamme a ssindi’... Tantu tempu fa ‘n romanu… stéa appénnenno su la porta de casa sua lu nummeru civicu XVII, quanno a ‘n certu puntu, pe’ mmutivi de ‘quilibriu, t’ha fattu ‘nu scrocchiu lungu llà ppe’ tterra portannose dietro bbaracca e bbaracchinu. Tuttu mezzu sconocchiatu, t’ha vistu accantu a issu, scumbussolatu anzi ‘nagrammatu lu nummeru... VIXI... issu cià lettu... VISSI, cioè ch’era spippatu… Po’ èsse come stai dicenno… ma mica so’ ttantu cunvintu de quillu che mme stai a ‘rconta’!... E dde lu niru che mme poli di’?... Ascordame… mo’ tte spiego pure quistu... quanno la luce, ch’è ‘n miscuju de culuri... rusciu

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‘rancione ggiallu verde ‘zzurru indacu e vviulittu, te ‘llumina ‘n oggettu... quistu lu vedemo. Lu colore che ccià dipènne da quanta luce ‘ssòrbe e rrifrètte. ‘N oggettu... ...è vverde se ‘cchiappa tutti li culuri meno che lu verde che, rifressu, arrìa all’occhi nostri... è bbiancu se rifrètte tutti li culuri senza ‘ssorbilli gniciunu... pòle anche rifrètte più cculuri che cce danno tante gradazzioni… è nniru se ‘ssorbe tutti li culuri e all’occhi nostri ‘n ciarrìa gnente. Allora lu niru è qquanno ‘n ce sta lu colore... è lu ggnente... e l’hanno ‘ntesu come ‘na ddisgrazzia!... Sindi ‘n bo’ ‘sta nutizzia de lu ggiornale se tte po’ cunvince... che sso’ tutte bbuatte!... “Senzazzionale vincita a la rulette... 17 mijardi co’ lu 17 niru!”... Mamma mia... l ’éo dittu io?! Mo’ j’è ffinita la pace… quillu mancu pe’ ll’anticammera de lu cervellu ce penza a qquantu po’èsse scalognatu!... Porcaccia bbilla... ‘lli gattacci niri ciànno ‘ttraversatu davanti… e mmo’? paolo.casali48@alice.it


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Quando con le Fabbriche va in crisi anche lo sport

Il difficile momento economico della città di Terni investe e riguarda anche lo sport. Per anni nel nostro territorio il binomio sport e fabbrica è stato il connubio vincente, che ha garantito la pratica sportiva ad un gran numero di giovani. Ci sono a Terni e nel territorio fulgidi esempi di Circoli del Dopolavoro che, negli anni, hanno contribuito in modo significativo alla diffusione delle discipline sportive, arricchendo l’intera comunità di un’impiantistica di tutto rispetto. Il Circolo Lavoratori Terni, i dopolavoro dell’Elettrocarbonium, dell’Enel, della Polymer, hanno avviato e formato allo sport intere generazioni. Le fabbriche garantivano il lavoro coniugandolo alla cura ed alla crescita sportiva della intera comunità. Un modello andato in crisi, con il declino industriale del nostro territorio. La fabbrica si ridimensiona o addirittura rischia di chiudere, si contraggono le attenzioni e gli investimenti nell’impiantistica e nelle sezioni

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sportive dei Dopolavoro. La trasformazione dell’Enel ha procurato la chiusura negli anni scorsi degli impianti della “Diga”, lo spezzatino del polo chimico ternano ha causato seri problemi al proprio Circolo, che va avanti sul volontariato di pochi soci. La crisi dell’Elettrocarbonium, ora SGL Carbon, si è ripercossa pesantemente sulle attività sportive. Dopo lunghe ed intense riunioni con l’Amministrazione Comunale di Narni e con i dirigenti sportivi, si è giunti alla creazione di una nuova polisportiva per garantire continuità sportiva ad oltre quattrocento fruitori. Le dismissioni industriali quindi, non solo lacerano il territorio in termini di licenziamenti e perdite occupazionali, ma ne minano le fondamenta sociali e di tenuta valoriale, allorché si priva una comunità di impianti o della possibilità di praticare lo sport. Un tema sul quale dobbiamo fortemente riflettere, ponendo la giusta attenzione. Il diritto allo sport insieme ad altri diritti primari della persona va garantito e rispettato. Le multinazionali che saccheggiano il territorio, privandoci del lavoro ci negano la dignità e la possibilità di esercitare i nostri inalienabili diritti. Lo sport è sicuramente tra questi. Lo sport inteso come prevenzione, come crescita, come assunzione di valori. Il ridimensionamento dei circoli del dopolavoro quindi, a seguito della crisi delle fabbriche, demolisce un modello di organizzazione e gestione sportiva che, per anni, ha garantito non solo tale diritto, ma la vita stessa di tante discipline sportive. Siamo fortemente preoccupati! Nell’ambito della negoziazione con le multinazionali in procinto di vendere i propri asset industriali presenti sul nostro territorio, riteniamo porsi la questione degli impianti sportivi di “loro” proprietà. Penso al campo di calcio ed al bocciodromo a Narni della Sgl, ai campi da tennis della Polymer, alla piscina ed all’intero circolo del CLT a Terni. Tutti questi impianti sono “nostri”, dei lavoratori passati ed attuali, della comunità ternana e narnese. Non possono essere cinicamente considerati dei beni immobili da collocare in una speciosa compravendita commerciale. Lì dentro ci sono le storie, i sentimenti, le vite di tanti concittadini che hanno dedicato tempo e passione allo sport! Gli Enti Locali e quindi i Comuni di Narni e di Terni, nel sostenere i lavoratori in lotta per il mantenimento del proprio lavoro, debbono avere il coraggio di chiedere alle aziende la restituzione di questi beni, affinché vengano acquisiti nella disponibilità dell’Ente Pubblico. Ciò non solo come forma di compensazione di un qualcosa che comunque appartiene al nostro comune vissuto ed alla nostra comunità, non solo per sventare possibili speculazioni, ma per garantire una continuità sportiva, altrimenti messa a rischio. Su questa battaglia il Coni è disposto a fare la sua parte. Dott. Stefano Lupi Delegato Coni di Terni


O Z O N O TERAPIA in o rto p e d ia L’ozono ha non solo una funzione fondamentale nell’equilibrio ecologico del nostro pianeta, ma anche positivi impieghi in campo medico. In medicina l’ozono viene utilizzato sotto forma di miscela con l’ossigeno a diverse concentrazioni prodotto da specifiche apparecchiature medicali (Fig.1). Gli effetti documentati in ambito medico sono: - miglioramento del microcircolo, - azione antiinfiammatoria, - azione antiedemigena, - azione battericida e fungicida. In medicina l’ossigeno-ozono terapia è una terapia fisica che viene molto utilizzata nel trattamento del dolore, soprattutto in campo ortopedico e riabilitativo (altri campi di utilizzo sono la patologia vascolare, le ulcere cutanee, la cellulite, le patologie dermatologiche...). Metodiche di utilizzo: utilizzo il trattamento è ambulatoriale; l’ozono viene iniettato tramite una siringa con aghi sottili nei tessuti muscolari paravertebrali (Fig 2), nel tessuto sottocutaneo, nelle cavità articolari, nelle borse, nei tessuti peritendinei, con concentrazioni stabilite da precisi protocolli. Nel dolore rachideo l’ozono può essere iniettato all’interno del disco sotto controllo radiografico/TAC. Tale metodica trova sempre meno indicazione perché attualmente altre metodiche di discolisi/discectomia percutanea (a radiofrequenze, laser, meccanica) forniscono risultati migliori (infatti la procedura non è più rimborsata dal SSN nella sanità convenzionata). Indicazioni: Indicazioni dolore di origine vertebrale (discale: da degenerazione, fissurazione, protrusione, erniazione; radicolare; articolazioni zigoapofisarie), artrosi/artrite delle grandi articolazioni e delle mani, tendiniti acute e croniche, come coadiuvante delle patologie del connettivo e fibromialgie. Particolarmente indicato nei pazienti allergici/intolleranti a farmaci antidolorici/antiinfiammatori, in politerapia, con patologie epatiche e renali che limitano l’assunzione di farmaci. Il trattamento di ozono-terapia è di breve durata e va ripetuto più volte in base al tipo di patologia e sua gravità. La procedura può essere effettuata solo da un Medico, preferibilmente specialista in modo da effettuarla con una corretta diagnosi, avere confidenza con le varie tecniche infiltrative, integrarlo con altri tipi di terapia: medica, fisica, riabilitativa, chirurgica. Le controindicazioni all’ozono sono: la gravidanza, l’ ipertiroidismo, il favismo, le gravi malattie cardiovascolari-ematologiche-respiratorie in fase clinica di scompenso. La somministrazione di ozono è in genere ben tollerata; talora si può avere una sensazione di pesantezza locale e/o dolore di Dr. V. Buo m pa dre breve durata. Spe c . Ortope dia e M e d ic in a d e llo S p o r t

D r. V i n c e n z o B u o m p a d r e

Specialista Ortopedia e Medicina dello Sport

Te r n i - V i a C i a u r r o , 6 0744.427262 int. 2 - 345.3763073 vbuompadre@alice.it 13


C’è un mondo a portata di mano in biblioteca che conta anche su di te. Sostieni bct! bct Se ancora non conosci la tua biblioteca in città, non c’è momento migliore per fare una visita, sperimentare i servizi e partecipare alle iniziative. A settembre si riparte, si spalancano porte e finestre ed in bct entra aria e nuova luce che stimola fermenti di creatività. C’è sempre qualcosa che puoi trovare in bct: puoi attraversarla e sostare per uno sguardo tra libri, film, audiolibri e computer; puoi fare ricerche nel ricco fondo storico locale conservato nell’antica sala consigliare dell’ex palazzo comunale; puoi fermarti a studiare l’ampia collezione di materiale consultabile; puoi prendere libri di narrativa e saggistica in prestito; puoi tornare bambino accompagnando il tuo piccolo nella sala Zerosei e partecipare a laboratori di lettura; puoi attingere al vasto materiale della sala ragazzi (Tweenager) dove libri e dvd sono a portata di mano; puoi consultare riviste, quotidiani e periodici per rimanere sempre aggiornato, puoi dedicarti all’ascolto della musica in sala o decidere di portarla via con te… Insomma, un patrimonio di circa 212 mila unità aspetta di essere scoperto e di continuare ad esistere attraverso il tuo interesse. Ma non solo. Ora bct è anche digitale, puoi averla a casa tua e si chiama Media Library online: prendere in prestito e-book o scaricare film e musica non è mai stato più semplice. Basta iscriversi in bct per avere accesso a questo serbatoio di conoscenze che si espande rapidamente tanto da essere passato da 300 a 7000 unità in poco tempo. Tutto gratis, persino la tessera di iscrizione che ti permette di accedere ai servizi è gratuita. Non ti stupirà dunque se, a fronte della riduzione delle risorse finanziarie per i Comuni, per il bilancio del Comune di Terni e dunque per bct che da quel bilancio dipende, tutto questo patrimonio rischia di diventare obsoleto, di rimanere immobile e tornare ad impolverarsi se non può contare anche su un tuo minimo contributo. Sostenere bct è semplice e ti consente persino di avere alcuni vantaggi immediati. Può sembrare un gioco di parole dal momento che sostenere la biblioteca significa -di fatto- sostenere la propria conoscenza e la propria crescita. Però è un gioco necessario per ribadire con forza che le tue esigenze sono anche le nostre. Con la vendita di libri usati ti permettiamo di acquistare ad un prezzo ineguagliabile libri in buono stato e finanziare bct. Questa sorta di mercato avviene un mercoledì al mese: sarà nostro compito informarti attraverso il sito internet, la newsletter ed il programma mensile che trovi distribuito in bct. Ma puoi fare anche di più. Puoi sottoscrivere la card amico bct o Sostenitore. Due card speciali che ti proiettano automaticamente nel paradiso riservato ai Mecenati. Con 25 euro diventi amico bct ed avrai anche altre agevolazioni. Potrai avere lo sconto del 50 per cento sui laboratori a pagamento sia in bct che a Biblioluna, avrai una tessera omaggio per 50 fotocopie, uno sconto al bar bct e un prezzo agevolato per il complesso delle Piscine dello stadio di Terni. Se invece decidi di diventare Sostenitore, con la card di 100 euro, i vantaggi saranno moltiplicati: avrai sconti presso le librerie Alterocca, Laurentiana, Passaparola e Libreria Nuova, prezzi agevolati presso la Scuola InLingua, sconti presso le palestre centro Movèo, Ducky gym, Fitness center, Tonic Terni e potrai usufruire anche di una riduzione per le stagioni musicali delle associazioni Araba Fenice, Filarmonica Umbra e Visioninmusica, realizzate in collaborazione con il Comune di Terni. Per i dettagli ti invitiamo a consultare il sito della biblioteca, www.bct.comune.terni.it

Il nostro A ngelo Non nascondiamo la commozione nel ricordare un caro amico. Per Angelo provavamo profonda stima e vero affetto, che l’impegno e l’interesse condivisi per la storia di Terni e delle sue tradizioni avevano via via rafforzato. Apprezzavamo in lui l’intelligenza e la cordialità, l’energia e la competenza, la schiettezza, la generosità e i sentimenti profondi. Come tutti sanno, Angelo ha contribuito non poco alla diffusione di notizie storiche relative alla città. Amava le tradizioni di Terni, che raccoglieva con entusiasmo e laboriosità in piccoli plichi preziosi che firmava Angelo Ceccoli apprendista storico e donava ad amici e conoscenti. Si faceva chiamare anche lo stradino. Ci manchi, Angelo, ma sappiamo che sei silenziosamente presente, ora che viaggi nelle strade del mondo. Associazione Culturale La Pagina

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Sfratto o non sfratto? Cercasi casa disperatamente La crisi ha molte facce. Una delle tante è che un affitto su due non è pagato con regolarità e circa il 25% del totale degli affitti registrati arriva ad un punto tale da consentire al proprietario dell’immobile il ricorso alla procedura di sfratto per morosità. La circostanza, poi, che solo il 10% di tali vicende si trasformino in una causa ha a che fare con una generalizzata sfiducia nel funzionamento della giustizia, ma questo è un altro argomento. Per far fronte a tale gravissima situazione, nell’anno 2013 secondo i dati del Ministero dell’Interno, i provvedimenti di sfratto sono stati ben 73.385; è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della morosità incolpevole. Il d.l. 102/2013, convertito con modificazioni dalla l. 124/2013, ed entrato in vigore il 14/07/2014, ha istituito presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, un apposito fondo dell’importo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 da destinare ai Comuni ad alta tensione abitativa per l’erogazione di contributi a favore di inquilini che siano da ritenersi morosi incolpevoli. La morosità incolpevole viene definita come “la situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare”. Per evitare, inoltre, che la genericità della definizione possa lasciare spazio a possibili abusi, vengono elencate specificamente le cause di morosità incolpevole, lasciando al Comune di appartenenza il compito della verifica dei presupposti: perdita di lavoro per licenziamento; accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro; cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale; mancato rinnovo di contratti a termine o di lavoro atipici; cessazioni di attività libero– professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente; malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare, che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell’impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali. Possono accedere al cosiddetto fondo “anti – sfratti”, famiglie con reddito ISEE fino a € 35.000,00 e reddito ISEE non superiore a € 26.000,00; destinatari di atti di intimazione di sfratto per morosità con citazione per la convalida; titolari di contratti di locazione di unità immobiliari ad uso abitativo; risiedenti nell’alloggio oggetto della procedura di rilascio da almeno un anno; cittadini italiani, appartenenti all’Unione Europea, ovvero, se non appartenenti, titolari di regolare permesso di soggiorno. Costituisce, poi, titolo preferenziale di accesso al fondo la presenza, all’interno del nucleo familiare, di almeno un componente che sia: ultrasettantenne, minore, con invalidità accertata di almeno il 74%, ovvero in carico ai servizi sociali o alle competenti aziende sanitarie locali per l’attuazione di un progetto assistenziale individuale. Saranno poi i singoli Comuni, come già detto, ad essere chiamati, di volta in volta, a verificare la sussistenza dei presupposti ed a comunicare l’elenco degli ammessi al Fondo alle Prefetture che dovranno ultimare la procedura. Il contributo in ogni caso non potrà superare l’importo di euro 8.000,00. L’eventuale eccedenza dovrà essere sanata con risorse del locatario. Una misura nuova, sperimentale, ma che si muove nella direzione di aiutare chi si trovi in difficoltà a superare momenti particolarmente bui, ovviamente l’augurio è che vi debbano ricorrere meno persone possibile. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it

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AZIENDA OSPEDALIERA

Struttura Complessa d

Dottor Fabio Loreti Direttore Struttura Complessa di Medicina Nucleare A z ie n d a O s p e dalie r a “S. Mar ia” di Te r ni

La Medicina Nucleare dell’Azienda ospedaliera di Terni è attiva dal 1973. Nata prima come struttura aggregata alla Radiologia, nel 1979 è divenuta una struttura autonoma. È un Centro di riferimento per pazienti provenienti dal centro Italia ed in particolare dalle provincie limitrofe. Fin dai suoi albori ha avuto come responsabile il professor Sergio Arzano; ora è diretta dal dottor Fabio Loreti. Nel corso di questi decenni la Struttura è andata incontro ad una serie di progressivi programmi di aggiornamento tecnologico che nel 2014 stanno raggiungendo il culmine: infatti sono stati ultimati il Centro PET, frutto di un’importante donazione della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni, e la Radiofarmacia unica, che permette di adeguare il servizio agli standard operativi di riferimento nazionali ed internazionali. Nell’ambito del piano generale di ristrutturazione dell’ospedale, nei prossimi mesi l’intero reparto sarà spostato al piano secondo seminterrato, che ospiterà i servizi di Radioterapia Oncologica, Radiologia, Medicina Nucleare, al fine di consentire una migliore gestione dei processi operativi clinico-diagnostici ed un maggior comfort per i pazienti. La Medicina Nucleare è una disciplina medica la cui peculiarità risiede nell’impiego regolamentato di radionuclidi artificiali per attività in larga parte di tipo diagnostico ed in misura minore di tipo terapeutico. Non esiste, attualmente, nessuna specialità clinica (Oncologia, Cardiologia, Neurologia, Urologia, ecc.) che possa fare a meno delle prestazioni della Medicina Nucleare ed il medico nucleare ha un ruolo sempre più importante nell’ambito multidisciplinare della diagnosi e della cura di patologie, in particolare di tipo oncologico. Le minime quantità di sostanze debolmente radioattive, che vengono somministrate generalmente per via endovenosa, sono definite radiofarmaci e sono di tipologia diversa in base agli organi, ai tessuti e al processo patologico che si vogliono studiare. La modesta quantità di radiazioni che vengono emesse dal paziente sono captate da una strumentazione dedicata e permettono di ottenere delle immagini che rappresentano la distribuzione del tracciante a livello molecolare. Questo è il motivo per cui la Medicina Nucleare viene definita Imaging biomolecolare. Il timore che generalmente suscita l’esecuzione di un esame medico nucleare non è giustificato in quanto l’aggettivo nucleare deve essere riferito esclusivamente all’origine delle radiazioni utilizzate, cioè dal nucleo degli elementi, e non dalla quantità di radiazioni che si utilizzano o che si assorbono. In modo molto semplice si può affermare che un’indagine medico nucleare espone il paziente a delle dosi del tutto simili a quelle di una radiografia della colonna o di un bacino. Inoltre i rischi di reazioni avverse di tipo allergico sono quasi inesistenti. Una volta eseguito l’esame, il paziente ambulatoriale potrà lasciare il reparto e volendo potrà anche guidare in quanto i radiofarmaci non interferiscono con le comuni attività giornaliere. Ad ogni paziente viene consegnata una informativa per singolo esame ed il personale della S.C. di Medicina Nucleare è a disposizione per qualsiasi chiarimento. I macchinari diagnostici a disposizione della Struttura sono: una PET/TC di ultima generazione, due gamma camere a largo campo, delle quali una a doppia testata e provvista di TC di localizzazione anatomica, una gamma camera a piccolo campo per studi di fisiopatologia tiroidea, un apparecchio DEXA per mineralometria ossea computerizzata, una sonda per chirurgia radioguidata, un ecografo per esami ecotomografici tiroidei.

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Diagnostica medico nucleare convenzionale È stata per anni la colonna portante della Medicina Nucleare. Comprende tutte le applicazioni diagnostiche medico nucleari al di fuori della PET, cioè quelle che utilizzano radioisotopi che emettono radiazioni gamma e permettono di ottenere esami chiamati scintigrafie e tomoscintigrafie (SPECT). I campi applicativi sono numerosi e spaziano dalla Neurologia per lo studio delle demenze e dei parkinsonismi (in quest’ultimo caso mediante traccianti recettoriali dopaminergici o DATSCAN), alla Cardiologia per lo studio della ischemia miocardica inducibile o per la rivalutazione di pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica o by-pass. Gli studi di tomoscintigrafia miocardica necessitano di una stretta collaborazione con il cardiologo, presente nella prima fase dell’esame che prevede l’esecuzione di un test al cicloergometro. Lo studio della funzionalità renale viene effettuato (Scintigrafia Renale) con radiofarmaci che permettono di effettuare una valutazione della funzionalità renale globale ed in percentuale fra i due reni in modo non invasivo fornendo importanti dati preoperatori al chirurgo sia in caso di chirurgia oncologica sia nel caso di chirurgia disostruttiva. Le applicazioni oncologiche sono numerose e comprendono lo studio dello scheletro (Scintigrafia ossea) in particolare per scopi di stadiazione o lo studio delle neoplasie neuroendocrine mediante traccianti recettoriali per la somatostatina (OCTREOSCAN) al fine di un corretto approccio terapeutico.


S A N TA M A R I A D I T E R N I

di Medicina Nucleare ventilato. La PET si inserisce in modo lineare nel percorso oncologico di diagnosi, follow-up e terapia presente nell’Azienda ospedaliera di Terni dove sono operative Strutture di Oncologia, Radioterapia Oncologica e di Oncoematologia. Il radiofarmaco utilizzato, il fluorodesossiglucosio, del quale le cellule neoplastiche sono particolarmente avide, permette oltre alla diagnosi e alla stadiazione della maggior parte delle neoplasie anche una accurata e precoce valutazione della risposta alla terapia sia essa chirurgica, farmacologica o radiante. È possibile fornire dati per piani di trattamento in Radioterapia ed effettuare in pazienti selezionati PET e TC con mezzo di contrasto radiologico nella stessa seduta. Da ti d i a tti v i tà Solo nel corso dell’anno 2013 sono stati effettuati 2.347 esami scintigrafici dei quali 480 tomoscintigrafie miocardiche e 500 scintigrafie ossee. Le prestazioni per pazienti extraregionali sono state 456. Le Densitometrie Ossee Computerizzate sono state 2.736, effettuate con l’unico apparecchio in ambito Servizio Sanitario Nazionale esistente nella provincia ed inserito nel percorso endocrino-metabolico presso il Centro Salute Donna. Le prestazioni DEXA sono erogate secondo LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) ed in particolare con sedute apposite per pazienti oncologici. Le ecografie tiroidee sono state 675 ed eseguite nell’ambulatorio Ecografico del Centro Salute Donna. L’obiettivo del Centro PET è quello di effettuare 400 esami nel corso del 2014.

Équipe Direttore: Dr. Fabio Loreti Personale Medico: Dr. Marcello Costa; Dr. Christos Anagnostou Biologa: Dr.ssa Roberta Di Marzio Tecnico di Laboratorio: Dr.ssa Paola Sillani Coordinatore Tecnico Sanitario di Radiologia Medica: Marco Grilli Tecnici Sanitari di Radiologia Medica: Corinne Colagrande, Moira Costantini, Emanuele Fausti, Antonio Gentileschi, Neda Grilli, Vanessa Pollini, Simona Mezzetti, Alessandro Di Giuli. Coordinatore Infermieristico: Nevio Marcoccia Infermieri: Antonella Bussetti, Umbro Strinati, Orietta Rosignoli Operatore Tecnico Specializzato: Marisa Porrini Ausiliari Specializzati: Natalina Galli, Mafalda Rossi

Fotoservizio di Alberto Mirimao

Un campo applicativo relativamente recente ed in espansione è quello della chirurgia radioguidata. In tal caso il lavoro del medico nucleare si integra con quello del chirurgo senologo ed oncologo in quanto mediante la linfoscintigrafia viene indicato il linfonodo sentinella, ovvero il primo linfonodo o il gruppo di linfonodi che drenano la linfa dalla neoplasia. Nel carcinoma mammario e nel melanoma tale procedura è divenuta di routine e fornisce importanti informazioni in termini di stadiazione e di prognosi. In tale ambito i sanitari della Struttura hanno contribuito alla stesura di Linee Guida Regionali ed inoltre partecipano regolarmente ai gruppi multidisciplinari oncologici aziendali e regionali insieme a colleghi chirurghi, radioterapisti, radiologi, dermatologi e neurologi, così come gli esami scintigrafici vengono inseriti in trial clinici al fine di valutare l’efficacia di farmaci oncologici. Tomografia ad emissione di positroni (PET) La recente acquisizione di tale strumentazione ha permesso alla struttura complessa di Medicina Nucleare di colmare un gap tecnologico nei servizi offerti. Il nuovo Centro, attivo dall’aprile 2014, è provvisto di un tomografo PET di ultima generazione, di locali di attesa confortevoli sia per i pazienti che per gli accompagnatori e di una sala di somministrazione del radiofarmaco provvista di tre postazioni ergonomiche con sistema di controllo mediante telecamera. Il radiofarmaco giunge dall’esterno utilizzando un percorso preferenziale tramite apposito passapreparati

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La parola etologia brevi considerazioni Konrad Lorenz, uno dei fondatori della moderna etologia, così definì tale scienza: L’etologia o studio comparato del comportamento è di facile definizione: consiste nell’applicare al comportamento degli animali e delle persone quei metodi divenuti d’uso corrente e naturale in tutti gli altri campi della biologia dopo Charles Darwin e di formulare gli interrogativi seguendo lo stesso criterio. (L’etologia - Boringhieri 1980) Il riferimento a Darwin appare doppiamente giustificato, in quanto l’illustre scienziato inglese, oltre a rivoluzionare il pensiero scientifico, logico e filosofico, è stato uno dei precursori dell’etologia e ne sono chiara testimonianza le sue due opere: Le origini dell’uomo e Le espressioni delle emozioni nell’uomo e negli animali. In quest’ultimo libro si sostiene altresì che il comportamento doveva essere considerato e studiato come se si trattasse di un organo e, come tale, soggetto alle pressioni evolutive e in grado di offrire orientamenti filogenetici fra le specie affini. Non sorprende, dunque, se Lorenz fu costantemente un convinto sostenitore delle teorie darwiniane. Dopo questa nota introduttiva, va evidenziato che, ai nostri giorni, la parola etologia è talmente entrata nell’uso corrente che, d’ordinario, attiene agli aspetti del comportamento animale. Tuttavia al termine in esame non sempre sono stati attribuiti significati univoci nel corso della sua storia, che vede il suo apparire in Francia fra il XVIII e il XIX secolo. Per tracciare quelli che sono stati i tratti più salienti della sua evoluzione linguistica, mi avvalgo principalmente dei contributi che l’insigne studioso William Homan Thorpe ha proposto nel suo libro L’etologia - origini e sviluppi, edito nel 1983 da Armando (il titolo in lingua originale era The science of the natural behaviour of animals, dato alle stampe nel 1979). Così scrive Thorpe: Nel diciassettesimo secolo un attore o un mimo che rappresentasse il carattere di una persona era considerato un professionista dell’etologia, e veniva chiamato etologo. Questa accezione scomparve nel diciottesimo secolo quando il termine fu utilizzato per intendere la scienza etica. Dunque non è agli animali che si riferisce il termine nella sua fase iniziale. Del resto l’analisi etimologica ce lo suggerisce, perché la parola è di origine greca: ethos = carattere, costume, regole di vita, comportamento (umano); logos = discorso. Detto altrimenti, per gli antichi greci l’ethos atteneva soltanto all’uomo. Nel diciannovesimo secolo il filosofo inglese John Stuart Mill, con la sua opera A system of logic (1843), complica un po’ le cose attribuendo alla parola in questione un significato molto più ampio. Invero, per etologia intendeva la scienza che si occupava della formazione del carattere, sia sotto un’ottica individuale che

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collettiva o nazionale. Sempre in Francia apparve il termine etologia nel significato che attualmente gli attribuiamo. Il merito è di Isidore Geoffroy-Saint Hilaire, figlio del famoso Etienne, che nel terzo libro della ponderosa opera Histoire naturelle générale, pubblicata dal 1854 al 1864, istituzionalizza tale parola e, nel contempo, l’arricchisce di ulteriori significati che ai nostri giorni rientrerebbero nell’alveo della scienza ecologica. Ma la strada per un univoco concetto era ancora lunga e talvolta tortuosa. Fu emblematica la situazione che si creò in Inghilterra, dove alcuni studiosi scambiavano l’etologia con l’ecologia e viceversa, rendendo così incerti e confusi gli ambiti delle due discipline. Ancor più peculiare appare la situazione creatasi agli inizi della seconda metà del secolo scorso, quando il vocabolo etologia si era affermato fra gli studiosi e iniziava ad avere una certa notorietà fra la gente, ma ancora nel mondo scientifico si s tentava ad adottarlo ufficialmente. Quasi paradossale appare la constatazione che Karl von Frisch, considerato insieme a Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergergen uno dei padri di tale scienza e che ha condiviso con i due il premio Nobel nel 1973, nei suoi numerosi scritti non ha mai usato la parola etologia. Si potrebbe, pertanto, essere indotti ad ipotizzare che non si tratti di una mera distrazione ma di un preciso intento di mantenere un certo distacco, di tracciare una sorta di linea di autonomia. Comunque sia, già da anni l’etologia ha consolidato le proprie radici e si dimostra una branca scientifica autonoma e in grado di offrire spunti e contributi ad altri ambiti di ricerca. Già nel 1951Nikolaas Tinbergen nel suo libro The study of instinct (vi fu una ristampa nel 1969) evidenziava punti di contatto con la neurofisiologia, la fisiologia sensoriale e muscolare, l’endocrinologia, l’ecologia, la tassonomia e la sociologia. Ma con il trascorrere del tempo sono aumentate le relazioni con altre discipline. Così Robert A. Hinde, anch’egli studioso di statura internazionale, nel volume Etologia e i suoi rapporti con le altre scienze (1984) ci propone, tra l’altro, una rappresentazione dei legami con ulteriori branche scientifiche come la psicologia sociale, la psicologia genetica, l’antropologia e la psichiatria. Dunque, in più di tre secoli l’etologo si è trasformato da attore e comico a studioso del comportamento; l’etologia ha cambiato il suo scenario: dai polverosi palchi teatrali alle austere cattedre universitarie e congressuali. Questa parola ne ha fatta di strada! Ivano Mortaruolo


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Terapie integrate e cancro Negli ultimi 10 anni si è avuto uno sviluppo così rapido di alcune possibilità terapeutiche nei confronti delle malattie croniche degenerative, che la classe medica non è riuscita, se non in parte, a seguire in maniera adeguata. A maggio di quest’anno si è tenuta a Roma nel dipartimento per la tutela della salute della donna, della vita nascente, del bambino e dell’adolescente -Ospedale Gemelli- un meeting sulle possibilità di intervento integrato nelle donne con tumore al seno! La finalità dell’incontro era incentrata sulla possibilità di interagire in maniera positiva con le terapie standard onde garantire un miglior controllo dei sintomi correlati (astenia, dolore, nausea, vomito, alterazioni cutanee, vampate, insonnia, ecc...) e favorire nella paziente una migliore gestione, anche emotiva, della patologia medesima, attraverso un percorso di cura personalizzato, con effetto positivo sia sul trattamento che sulla qualità la vita. Negli USA, 62 pazienti su 100 vi fanno ricorso e la soddisfazione supera l’80%. In Italia secondo i dati ISTAT del 2007, soltanto il 13,6% utilizza terapie integrate in oncologia, collocando il nostro paese, ancora una volta, agli ultimi posti tra i paesi occidentali! La partecipazione al congresso ha visto la presenza di numerosi operatori del settore ed in particolare il preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma, il capo del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità che ha parlato di piante medicinali, biologi nutrizionisti del Ministero della Salute, antropologi, etnologi, ecc.

Insomma una realtà che non può essere ignorata, anche perché, come sosteneva il presidente dell’ARTOI, prof. Bonucci, che abbiamo avuto l‘onore di avere a Terni in un congresso di novembre scorso, l’adozione delle terapie integrate può ridurre i costi di gestione dei pazienti oncologici a fronte di una riduzione degli effetti collaterali e del miglioramento delle condizioni generali del paziente. Il punto di partenza per questo nuovo approccio deve essere pertanto quello di porre al centro delle cure mediche non la malattia ma il paziente. Una corretta alimentazione di cui abbiamo già parlato in passato, una regolare attività fisica, l’impiego di erbe, piante medicinali e farmaci naturali, l’agopuntura, la riflessologia plantare, un supporto psicooncologico, tecniche di rilassamento, esercizi di meditazione e respirazione, arte e musico terapia possono concorrere al raggiungimento di un buon risultato. Il mio auspicio è quello che si possa creare una alleanza terapeutica fra presìdi terapeutici e medici, al fine di fornire il massimo possibile a chi soffre e sta male, non solo dal punto di vista tecnologico e scientifico (necessario), ma anche da un punto di vista umano e spirituale (necessario), visto che siamo composti sia da un corpo materiale che da un corpo non materiale, diciamo energetico. Il risultato della combinazione di quello che la medicina attuale identifica come PNEI. Dr. Leonardo Paoluzzi Medico chirurgo - Esperto in agopuntura e fitoterapia

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Ysant il mago di Bilelipe A sud dell’Isola di Bioko, nel piccolo villaggio di Bilelipe, viveva un uomo di nome Ysant in possesso di eccezionali poteri magici. Nonostante la sua età non fosse così avanzata da consentirgli di entrare nel Consiglio degli Anziani, il suo equilibrio ed il suo senso di giustizia erano tali da meritare la stima di quanti vi partecipavano per diritto. Di etnia bubi, l’uomo aveva ereditato i segreti della professione da una zia, famosa nell’intera isola per l’efficacia delle sue pratiche. Ysant faceva un uso intelligente delle sue facoltà, attento agli effetti degli interventi, mirati solo al bene della comunità, piuttosto che agli interessi del singolo. A queste aggiungeva la funzione di curandero, sebbene applicasse tecniche diverse da quelle tradizionalmente conosciute. Gli bastava, in sostanza, utilizzare il solo fluido degli occhi che, posati su un qualsiasi oggetto, poteva trasformare la materia secondo le sue volontà. Riusciva così a guarire i malati gravi, a ridare elasticità ai tessuti cutanei bruciati, a saldare le ossa fratturate, a restituire persino la vista ai ciechi. Non aveva mai sperimentato, invece, questa dote nei confronti del disordine sociale nel quale versava l’intero paese, dovuto al potere tirannico del presidente che gestiva a suo capriccio il diritto di vita e di morte dei cittadini. Come un padre-padrone, il Capo del piccolo Stato esercitava sui concittadini crudeli vessazioni in base all’umore giornaliero. La fama d’Ysant aveva superato i ristretti confini dello sperduto villaggio. Si favoleggiava di lui nell’intera nazione, spesso ingigantendo, con l’aggiunta di particolari fantasiosi, le sue già stupefacenti imprese. Il suo nome ricorreva anche all’interno della cittadella presidenziale, dove il Capo soffriva da giorni di un terribile mal di testa. Né i medici cubani dell’ospedale cittadino, né quelli francesi fatti accorrere dal vicino Cameroun, né lo specialista nigeriano giunto appositamente da Lagos, erano riusciti a ridurre la penosa sofferenza. Meno che nulla aveva potuto fare il curandero fan, con fissa dimora nel palazzo presidenziale e stipendio assicurato, cacciato a pedate dalle sue stanze e rincorso fino in strada dai fedelissimi dell’infermo. Non tutto quel male era venuto per nuocere. La malattia, infatti, aveva avuto il vantaggio di aver stabilito una tregua non dichiarata fra gli uomini della polizia politica e i fantomatici oppositori del regime che la guardia presidenziale diceva di vedere in ogni luogo per giustificare lo stipendio e condizionare le scelte del tiranno. Costui aveva l’abitudine di condurre personalmente gli interrogatori dei sospettati e di segnarne il destino, senza dar loro alcuna opportunità di difesa. Nel migliore dei casi, quel che restava di un povero diavolo dopo l’interrogatorio, era oggetto di ulteriori cure da parte del colonnello Monsuy, comandante della prigione di Black Beach, nella quale entravano frotte di disgraziati, senza che mai nessuno ne uscisse. I segreti di Black Beach erano un po’ quelli di Pulcinella: tutti sapevano quel che succedeva all’interno, ma nessuno osava parlarne. La posizione della prigione, sull’estrema punta nord del promontorio che s’affaccia a strapiombo sulla baia di Malabo, era già una risposta esaustiva ai dubbi circa dove e come tanta gente sparisse. La violenza era di casa in seno alla famiglia del dittatore. Suo figlio Neotorin era cresciuto sull’esempio paterno ed aveva sperimentato tutto in materia di crudeltà materiale e psicologica. Instabile nel carattere, conservava un ghigno sinistro sul volto, persistente anche nelle rare occasioni in cui sorrideva. Basso e tarchiato era la prova provata della teoria evoluzionistica darwiniana sulla discendenza dell’uomo, amava lo scontro fisico e si divertiva ad umiliare i più deboli, ostentando l’immeritato potere e la ricchezza sfacciata, certo che nessuno avrebbe mai potuto opporsi alle sue bizzarrie. Ordinava alle donne di suo gusto di salire nel suo fuoristrada, faceva malmenare chi non lo salutasse con riverenza, giustiziava in strada i barboni, colpevoli di danneggiare l’immagine del paese, pretendendo che chi moriva di fame dovesse farlo nell’intimità della propria capanna. Insomma, Neotorin ricordava al popolo che le cose non sarebbero cambiate nell’eventualità che fosse succeduto a suo padre, al punto che nessuno degli abitanti si sentiva di gioire per l’infermità del presidente, né, a maggior ragione, si augurava la sua morte. Intanto, il capo era assolutamente impotente di fronte alla natura della malattia. I dolori lancinanti lo costringevano a improvvise urla strazianti che rimbombavano nel palazzo fra la disperazione dei famigliari, impotenti e rassegnati a condividere con lui l’accanimento dell’infermità. Il tempo passava e la gravità del suo male aumentava senza speranza. Non sapendo più a che santo votarsi, due consiglieri proposero al figlio e alla moglie del poveretto di ricorrere alle cure di Ysant. Ottenuto l’assenso, tre imponenti fuoristrada neri, protetti da vetri fumé, lasciarono la cittadella con destinazione Bilelipe. Una strage di polli, oche e caprette, segnò la folle corsa del piccolo corteo attraverso i poveri villaggi, fino alla meta.

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Giunti sul posto, i militari che occupavano la prima vettura scesero con la pomposità abituale, imbracciando fucili e pistole. Il comandante chiese dove vivesse Ysant e, saputolo, s’indirizzò con decisione verso la capanna. Vi entrò con consumata arroganza, tanto che uno dei figli di Ysant si spaventò e cominciò a piangere. Il militare l’allontanò con un piede verso la madre ed ordinò al mago di seguirlo immediatamente. Ysant prese in braccio suo figlio e lo acquietò, quindi lo consegnò a sua moglie prima di lasciare l’abitazione. Nessuno si premurò di spiegare alla famigliola le ragioni del prelievo, in linea con la rassegnazione dei guineani in tema di soprusi. L’uomo venne caricato in auto che, a tutta velocità, tornò in sede. Afferratolo per le braccia, quasi fosse un detenuto, i militari condussero Ysant alla presenza del presidente. Seduto su una poltrona rivestita di pelle di leopardo, il dittatore agitava ritmicamente la testa da un lato all’altro, emettendo ogni tanto inutili, strazianti lamenti. Lo assistevano la sua seconda moglie Costanza, il figlio e cinque consiglieri. Fu Neotorin, con fare sgraziato, ad ordinare a Ysant: Lo devi guarire! - A qualsiasi costo?- s’informò umilmente il mago. -Non so cosa intendi, ma a qualsiasi costo - rispose deciso Neotorin. -A qualsiasi costo?ripetè Ysant, rivolto alla moglie e ai consiglieri. A qualsiasi costo! -confermarono in coro. Ysant s’avvicinò all’infermo e con la mano destra fermò il movimento oscillante della testa, quindi fissò negli occhi il presidente. I muscoli tirati del viso e l’espressione affranta si rilassarono lentamente fino a distendersi in un sorriso perso e beato. Contemporaneamente tutto il corpo assunse una rigidità progressiva, fino a pietrificarsi. Che hai fatto a mio padre? -gridò Neotorin. -Gli ho tolto il dolore e gli ho restituito la serenità- rispose pacifico Ysant. Anche uccidendolo avresti ottenuto lo stesso effetto -urlò minaccioso il figlio. -No. Il presidente è pietrificato, ma vivo. In qualsiasi momento potrò farlo tornare allo stato originario, ma insieme al suo dolore- spiegò il mago. Arrestatelo!-comandò Donna Costanza. Due consiglieri gli saltarono addosso e l’immobilizzarono. -Forse dimenticate che solo io posso liberarlo dall’incantesimo -intervenne serafico Ysant- potete uccidermi se volete, ma mi porterò dietro il presidente- concluse tranquillo. Le mani che lo trattenevano allentarono la presa. Fu sufficiente qualche istante perché tutti si rendessero conto di essere diventati ostaggi del mago. -Avete detto a qualsiasi costo, ricordate?- aggiunse Ysant. Qual è il prezzo? -tagliò corto Neotorin, certo di poter pagare qualsiasi somma. -Alto, molto altorispose tranquillo Ysant, scandendo bene le parole. Un milione? Due milioni? Dieci milioni di cefas? -azzardò. -No, di più, ma non si tratta di soldisoggiunse il mago. E precisò: voglio che tutti i reclusi di Black Beach, privati della libertà per motivi politici ed etnici, vengano rilasciati; voglio che i proventi del petrolio vengano utilizzati per garantire servizi essenziali ai cittadini; voglio che l’attuale governo si dimetta e che vengano indette elezioni democratiche; voglio che si formino commissioni popolari di controllo della spesa pubblica e che si stronchi la corruzione di ministri e dirigenti; voglio che i giovani possano frequentare gratuitamente le scuole, che si aiutino le famiglie più povere, che lo Stato gestisca le risorse del paese per creare proprie imprese, voglio che il sistema sanitario possa contare su personale e attrezzature in grado di assicurare la salute dei cittadini, voglio che si liberalizzi l’attività imprenditoriale e si applichi un’equa tassazione dei profitti, voglio che si allontanino i corrotti e i violenti nella polizia di stato, nell’amministrazione, nella dogana, voglio che si ridiscutano le royalties con le compagnie petrolifere, troppo alte per la sola famiglia del presidente, troppo basse per le necessità dei cittadini, voglio…Voglio, voglio, voglio… ma chi credi di essere? -l’interruppe collerico Neotorintu sei solo un pazzo ricattatore che crede di giocare con la vita di mio padre, come si fa con un animale. Ti posso distruggere quando e come voglio, annientare te e la tua famiglia, bruciare il tuo merdoso villaggio... -Adesso basta! -tuonò Ysant- non costringermi a scelte irrazionali. La mia vita contro quella di tuo padre. Pensi che abbiano lo stesso valore?Donna Costanza s’avvicinò a suo figlio, lo prese per un braccio e cercò di calmarlo. Aveva capito che non c’era soluzione e che era meglio non esasperare il mago. Le trattative continuarono con offerte e richieste da ambo le parti, ma il quadro non cambiò. Ysant aveva vinto. Passarono gli anni, tanti anni, durante i quali i prigionieri vennero rilasciati, il governo cambiò, i controlli della spesa si infittirono, si fecero nuove e democratiche elezioni, le risorse naturali del paese furono sfruttate nell’interesse degli abitanti, nacquero industrie, giunsero insegnanti europei per una scuola libera, arrivarono formatori qualificati per l’amministrazione dello stato, per la sanità, si triplicarono le royalties del petrolio, si crearono Consigli degli Anziani in ogni villaggio con rappresentanza proporzionale nel Gran Consiglio Nazionale. Il paese crebbe, aumentò il benessere, si sviluppò il turismo, la cultura, sorsero alberghi e ristoranti, scuole e università nuove, impianti sportivi, cinema e teatri. Solo quando Ysant fu certo che il senso civico dei cittadini e la ritrovata idea di libertà e di giustizia fossero elementi irrinunciabili della nuova coscienza popolare, acconsentì a sciogliere l’incantesimo al presidente. Questi, preso atto del cambiamento del paese e dell’armonia che regnava fra gli abitanti, chiamò Ysant a palazzo e gli conferì l’incarico di Primo Ministro. Questa non è una storia vera. Anzi, lo è solo a metà. Il superamento della dittatura e la soluzione delle sofferenze del popolo guineano, suggerita e pretesa da Ysant, appartiene purtroppo alla fantasia. Alle favole si ricorre quando la realtà è crudele e per dar forma a legittime aspirazioni. Non è una forma sterile di raccontare la vita: sogni, e illusioni hanno il diritto legittimo di farne parte, senza contare che alla speranza nulla è precluso. Franco Lel l i


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Complessa e sfuggente Volendo descrivere con due aggettivi la sclerosi multipla, verrebbe istintivamente dire complessa e sfuggente. La complessità data dal coinvolgimento del sistema nervoso e dalle componenti sistemiche del problema, l’essere sfuggente dal suo potenziale invasivo (da cui multipla) che può spaziare da una problematica muscolare ad una sensitiva, viscerale, endocrina, comportamentale... e chi più ne ha più ne metta! Certamente, chi vive in questa situazione sa bene a cosa mi riferisca, con l’ulteriore consapevolezza che la medicina ufficiale, conoscendone allo stato attuale il decorso e non la causa primaria, può solo proporre protocolli farmacologici volti al controllo della progressione della patologia. A questo punto mi sono posta due domande: - come può essere stimolato il corpo verso un miglior equilibrio funzionale globale? - cosa può fare attivamente la persona affetta da sclerosi multipla per migliorare la propria qualità di vita? La terapia cranio sacrale può dare una risposta valida alla prima domanda, considerando l’azione terapeutica che svolge a livello della dura madre e del liquor. Questi termini anatomici rappresentano in verità la membrana che avvolge il cervello ed il midollo (dura madre) ed il fluido (liquor) che bagna e nutre gli stessi, quindi protezione e nutrimento. Direi strutture abbastanza importanti, considerando la loro attività svolta nei confronti del sistema nervoso, direttamente aggredito dalla patologia stessa! Se pur il nostro corpo ha una sua tridimensionalità

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e spazialità (altezza, larghezza, profondità) ed è possibile accedere direttamente alle sue parti interne attraverso chirurgia e/o strumentazione specifica, studi specialistici nell’ambito delle terapie manuali insegnano a conoscere ed utilizzare punti di riferimento esterni, presenti su tutta la superficie corporea, per normalizzare il fisiologico movimento di ogni sua parte. Questo per dire che, essendo la dura madre una struttura interna al corpo, posso comunque trattarla manualmente attraverso i suoi punti di ancoraggio esterni sulla struttura ossea, stimolandone il corretto funzionamento. Il nostro corpo è sempre in continuo movimento: mentre dormiamo, mangiamo, lavoriamo, mentre guardiamo la tv o qualsiasi altra attività esterna, internamente al corpo, in modo a noi inconsapevole, tutto si muove, in completo equilibrio e sinergia tra le parti. La vita è movimento: tutto ciò che si allontana da questo principio fisiologico di base, predispone ad un problema, ad un sintomo, ad una malattia. Le nostre mani, quando correttamente educate al tocco e guidate dalla conoscenza scientifica, possono trasformarsi in un grande strumento terapeutico. Per quando riguarda la seconda domanda, cioè su cosa possa fare la persona per migliorare la propria qualità di vita, il mio punto di vista è, innanzitutto, ESSERE non vittima della situazione stessa, porsi come parte ATTIVA, comprendendo quali siano gli atteggiamenti mentali, alimentari, fisici che hanno permesso l’innesco di un meccanismo patologico. E come l’innesco viene attivato in un senso, Annalisa Grasso allo stesso modo lo si stimola nell’altro...!


L’ipertrofia prostatica benigna (IPB) è una patologia molto comune nella popolazione maschile. Circa il 60% degli uomini oltre i 60 anni di età soffre di disturbi della minzione secondari all’ipertrofia prostatica. Si stima che circa il 30% degli uomini sopra i 65 anni soffra di sintomi urinari severi legati all’ipertrofia prostatica. Il nostro obiettivo è quello di focalizzare l’attenzione sulla diagnostica di questa patologia, passando attraverso le opportunità farmacologiche che abbiamo oggi a disposizione per curarla per poi finire con i trattamenti chirurgici opzionabili. I nostri interlocutori saranno tutti i colleghi che, ormai giornalmente, si trovano a stretto contatto con questa tipologia di pazienti. Luzio Luzzi Direttore Struttura Complessa Urologia - Azienda Ospedaliera Santa Maria Terni

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Una soffitta sull’Universo La sera del 10 agosto era alle porte e sia in soffitta che in casa si avvertiva una certa agitazione. Proprio quel giorno però arrivò la telefonata da parte della nonna di Leonardo che li invitava per la cena. Non potevano dire di no perché si sarebbe offesa, così Margherita, che era già d’accordo con sua madre, spedì marito e figlio a cena e lei rimase a casa con la scusa di un forte mal di testa. Sarebbero tornati comunque in tempo per il buio e per la serata osservativa. Appena furono usciti, Margherita si mise all’opera aiutata dal telescopio e dagli amici di Leonardo che, a prima vista, rimasero giustamente perplessi pensando che Overlook fosse il frutto di un nuovo esperimento robotico altamente tecnologico. Quella sera il terrazzo della soffitta fu “accantonato” per lasciare spazio al grande giardino dietro la casa: Margherita aveva organizzato uno “Star Party”. Gli amici di Leonardo che non erano in vacanza erano tutti presenti, muniti di torce, indumenti pesanti, binocoli e sacchi a pelo. Lei aveva preparato bevande calde e stuzzichini come cornice a quella lunga serata osservativa. Quando Giovanni e Leonardo rientrarono, si stupirono nel vedere tutte le luci del viale e della casa spente, pensando a un guasto elettrico. Quando scesero dall’auto e tutte le torce furono puntate contro di loro, ebbero un attimo di spavento, poi arrivò Margherita a spiegare tutto. Leonardo, senza bisogno di dirlo, fu felicissimo di quella bella sorpresa e fu contento soprattutto, oltre che di condividerla con i genitori, di condividerla anche con i suoi amici dai quali era molto apprezzato e stimato. Tutto il vociferare cessò quando Overlook iniziò a parlare al suo, ormai numeroso, pubblico. Come sapete ragazzi, in questo periodo, ogni anno, possiamo vedere numerose strisce luminose, solcare il nostro cielo: sembra che le stelle cadano a centinaia, ma non sono affatto “stelle” nel vero e proprio senso della parola. Cosa sono allora? Sono le scie che si formano quando piccole particelle di roccia si disintegrano a contatto con l’atmosfera terrestre e vengono chiamate “meteore”: quelle più luminose le avremo al disintegrarsi dei pezzi rocciosi più grandi. Qualche volta alcuni frammenti riescono ad attraversare l’atmosfera e a cadere sulla Terra: chiameremo questi pezzi “meteoriti”. Ma perché avviene questo fenomeno? Lo spazio che si trova tra la Terra e gli altri pianeti è pieno di questi pezzi di roccia e metallo: quando questi pezzi si trovano abbastanza vicino, la forza di gravità terrestre li attrae e iniziano a cadere verso il nostro pianeta. Viaggiano ad una velocità fino a 250.000 km orari ed è per questo che prendono fuoco e bruciando si lasciano dietro una scia fiammeggiante. Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it

Sbiancamento dentale Denti bianchi e curati costituiscono un ottimo biglietto da visita e rappresentano una caratteristica estetica molto ambita e capace di rendere più gradevole il sorriso e l’aspetto di un individuo. Lo sbiancamento dentale è un trattamento estetico molto richiesto per rendere più chiaro il colore dei denti.(fig.1) Questa caratteristica che è geneticamente determinata, come lo è ad esempio anche per occhi e capelli, varia in seguito al naturale invecchiamento proprio dell’età ed è il risultato della combinazione cromatica delle due sostanze mineralizzate che compongono il dente: lo smalto e la dentina la quale presenta sfumature di vari colori che vanno dal grigio al giallo al rossiccio. (fig.1) Nemico assoluto di un bel sorriso è uno scarso livello di igiene orale che favorisce l’accumulo sui denti di placca batterica e tartaro che rendono i denti più gialli e opachi ma facilitano anche l’adesione di coloranti e pigmenti come ad esempio quelli presenti nel vino rosso, thè, caffè, nel fumo di sigaretta. Tali macchie e depositi superficiali possono essere tuttavia rimossi dal dentista con trattamenti specifici di igiene orale, la cosiddetta pulizia dei denti. (fig.2) Lo sbiancamento dentale è invece una procedura di odontoiatria cosmetica professionale svolta nello studio odontoiatrico e agisce direttamente sullo smalto e sulla dentina che vengono schiariti utilizzando agenti sbiancanti sotto forma di un gel che viene applicato sui denti, previa protezione delle gengive e del colletto dei denti stessi con materiali isolanti per prevenire effetti indesiderati come sensibilità dentale e irritazioni gengivali (fig.2) I princìpi attivi di tali gel contengono elevate concentrazioni di ossigeno che, grazie anche all’attivazione esercitata dalla luce di lampade specifiche (fig.3), viene liberato e penetra nella struttura del dente determinandone lo sbiancamento. L’entità dello sbiancamento dipende dalla concentrazione del principio attivo e dal tempo di applicazione ma anche dalle caratteristiche cromatiche intrinseche del dente e le (fig.3) aspettative estetiche riposte in tale procedura devono essere realistiche in quanto il colore che la dentatura ha per sua natura può essere schiarito di qualche grado ma non modificato completamente. Alberto Novelli

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La serenata, proprietà Fondazione CARIT

Foto: Alberto Mirimao

Uscita dal teatro, proprietà Comune di Terni

Con Orneore Metelli la Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni inaugura per il 2014 l’ormai tradizionale appuntamento dedicato alle mostre dei maestri della pittura umbra. È dal 2005, infatti, che la Fondazione ha avviato una rassegna di mostre di artisti locali, del Novecento o contemporanei, aprendo al pubblico le porte di palazzo Montani Leoni. La mostra, molto attesa dalla comunità locale e non solo, ha richiesto un notevole dispendio di tempo ed energie per poter portare all’attenzione del pubblico una ricca raccolta delle opere più rappresentative dell’attività del pittore “calzolaio”. Oltre ai numerosi dipinti, per lo più già noti e conservati presso la pinacoteca comunale, è stato effettuato un attento lavoro di ricerca presso i privati che custodiscono gelosamente, tra le proprie mura domestiche, i quadri di Metelli. Sono state quindi rintracciate opere dell’artista ovviamente a Terni, ma anche a Roma, Tivoli, Verona, Perugia, i cui proprietari hanno concesso generosamente il loro prestito. Altre opere sono state poi individuate in prestigiosi musei quali quello di Basilea e di Setagaya in Giappone e dovutamente documentati. Il catalogo che accompagna la mostra è, infatti, una vera e propria opera monografica, un attento excursus artistico di Metelli proiettato nell’ambito culturale dei suoi tempi, un inventario di tutta la produzione del pittore sino alla sua morte, intervenuta nel 1938 mentre dipingeva la celebre Uscita dal teatro. La Fondazione si augura che la mostra possa degnamente raccontare l’arte di Metelli e valorizzare il suo lavoro, che per troppo tempo è stato trascurato e non apprezzato nel modo dovuto. La mostra sarà inaugurata il prossimo 27 settembre e rimarrà aperta al pubblico fino all’11 gennaio 2015 ogni venerdì sabato e domenica dalle ore 11.00 alle ore 13.00 e dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

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L a c i t t à e i g i a rd i n i Non è raro, anzi è frequente, specie in primavera-estate, che i cittadini ternani (anche quelli di altre città) sollevino la voce per denunciare stati di degrado dei giardini pubblici. In tempi di crisi totale diventano dappertutto un valore marginale perchè non incidono sul consenso, i bimbi non votano... Ai giardini si legano, senza forzature moraleggianti, funzioni ecologiche esistenziali, ovvero la salute dei residenti. Non è un caso che tutti i tipi di verde, dai grandi parchi alle piccole aiuole, vengano definiti i polmoni di una città. Ciò vale maggiormente per Terni grande fumatrice da secoli, e che, come dicono quelli della band degli Altoforno: c’ha l’asma co’ lu fischio. I giardini della Conca, oltre che baluardo della salute, svolgono, senza che nessuno se ne accorga, funzioni educative, sociali e perfino politiche. Il giardino pubblico fa parte dell’educazione civica quotidiana, primariamente dei bambini e di quanti li accompagnano a giocare nel verde. I giardini di una città costituiscono gli elementi propedeutici alla socializzazione e ai comportamenti democratici, sottoforma di rispetto e di cura delle cose pubbliche. Se è sporco, disordinato, spoglio, trasmette un messaggio di violenza, di non accoglienza. Indirettamente dice pure che chi dovrebbe averne cura non è interessato, ed è pertanto indifferente nei riguardi di chi ne ha maggiormente bisogno: bambini e anziani. Il sistema giardini andrebbe tutelato parimenti a quello museale, perchè a pensarci bene è in effetti anch’esso un museo. Un museo all’aperto che sebbene distribuito nel contesto cittadino ha parti di esso, come la Passeggiata da noi, le Cascine a Firenze, Villa Borghese a Roma, tratti caratterizzanti la storia e quindi l’identità di una comunità. Alberi secolari, particolarità e varietà delle piante, alcune, un tempo, di campagna altre di bosco, fiori nostrani ed esotici, fontane e percorsi piacevoli tra il verde. Quindi si sta parlando di un museo della Natura che può esporre bellezze floreali, qualche animale d’acqua, di pianta e di terra che dovrebbero catturare la curiosità dei nostri bimbetti al posto di quelle attrezzature (li chiamano giochi) tipo palestra che stridono con l’ambiente. Rieducare ai giardini e alla natura dovrebbe essere tema costante della scuola. Vedere tanti adolescenti bivaccare e fare scempio del verde, essere indifferenti a ciò che un tempo era il luogo preferito per le prime parole d’amore, i primi baci, lascia esterrefatti. I giovani, così lontani dai giardini, andrebbero motivati al fine di far realizzare in essi altri spettacoli, quelli dell’arte. Per tante città essi costituiscono un patrimonio di opere e di sentimenti prodottisi nel lungo periodo, dal lavoro di addetti specializzati e dall’attenzione di cittadini sensibili, segno di una responsabile maturità etica. L’insieme dei giardini per una città rappresenta nel contempo il saluto di benvenuto per quanti arrivano in visita. Lo stesso dicasi per i neonati, cioè i neoarrivati, per i quali un conto sarà trovarsi tra cemento e auto ed un altro muoversi tra le aiuole e fare capriole sui prati. Quando si giunge in una città poco conosciuta, tra le prime sensazioni che si provano sono quelle date dai giardini, dalle fontane zampillanti d’acqua, dai balconi e finestre adornati di fiori, che s’incontrano. Se uno fa caso a questi aspetti ne ricava la percezione di venirsi a trovare in un ambiente amato, per cui i visitatori ricevono dalla città una intrinseca comunicazione di attraente bellezza. Noi ternani facciamo fatica a superare l’immagine stereotipata e ormai datata di città dell’acciaio, grigia e fredda, per diventare anche una città dei fiori ovvero calda e turistica... Le città che hanno scarsi e malridotti giardini mandano il messaggio di essere poco socievoli, danno l’impressione che in esse predomini l’individualismo e gli interessi di gruppetti faziosi che dei giardini non frega nulla. Una bella platea di Giardini, vista come lineamento importante di una collettività, diventa fonte di richiamo intrinseco al senso estetico, stimolo continuo ad amare le cose piacevoli obbligando permanentemente i suoi amministratori e i cittadini al suo miglioramento. Il sistema giardini insegna in modo subliminale anche il rispetto della Natura e quindi in definitiva degli altri. Che non è cosa da poco! Inoltre esso (dovrebbe) preparare allo sport, come dico nel mio libro “Terni e lo Sport”, perché prima dell’agonismo viene il Gioco (con la G grande), e nei giardini i bimbi possono sperimentare spontaneamente i primi passi, le prime emozioni e i movimenti di tutte le discipline. Evitando di cadere nelle trappole delle varie scuole (cosiddette): calcio, nuoto, ecc. che, con la smania di vincere, dei mister e dei genitori li derubano di ogni piacere, tanto che nel giro di pochi anni fuggono. Parlando di giardini ne parlo come se fossero dei soggetti invece che degli oggetti variamente estesi e articolati, sorti o posizionati qua e là per la città. Per cui c’è da domandarsi: ma i giardini sono dei viventi? Hanno un loro spirito che abita in questi speciali ambienti? Hanno bisogno di cure materiali e psicologiche (affetto) per mantenersi in salute? Tutte le persone che hanno una particolare sensibilità verso i fiori (idem per gli orti) sanno benissimo che se un vaso di qualsiasi fiore è amato dai suoi proprietari, esso esprime tutto il suo potenziale splendore. Se trascurato, si deprime e si lascia morire. I giardini che ha in dote una città sono comparabili ad enormi vasi, a grandi fioriere che manifestano in forma sintetizzata l’esistenza ben integrata di Natura e Cultura. Alla piacevolezza del decoro urbano si associa pertanto una valutazione (unitamente ad altri parametri) che va oltre i giardini e si estende all’intera cittadinanza, che verrebbe considerata colta e solidale, intelligente, organizzata e simpatica. Noi, come Associazione, abbiamo più volte proposto alle autorità vari progetti pro-giardini. Uno per renderli attrezzati per recuperare e rigiocare i giochi tradizionali, quelli dei nonni, valori compresi. Un altro, denominato Adottiamo un giardino, tende a responsabilizzare sia i vertici politici-amministrativi della nostra città che le scuole, le associazioni varie e i residenti di un dato quartiere dove risiede un giardino a prendersene cura, quindi adottarlo in modo permanente. Non se ne è fatto nulla, come tante altre iniziative, anche se era a costo praticamente zero, mentre a Milano ed in altre località proprio la formula dell’adozione del verde è cresciuta in modo sorprendete (fonte: tg1 una sera di agosto), da noi, a parte qualche festa altisonante (ovvero rumorosa...) che ammassa... ci vanno in pochi. Nelle iniziative proposte venivano suggeriti incentivi per le persone di buona volontà e senso di comunità, come premiare le scuole, le associazioni di volontari, gruppi di pensionati e chiunque si dedicasse ai giardini o agli orti cittadini. Così, non fare pagare i rifiuti a chi va a pulire e sistemare spazi pubblici, crediti ai giovani volontari per l’acquisizione di punteggi validi per futuri concorsi pubblici o per le altre forme di assunzione al lavoro dei meritevoli. Aldo Zerbini

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La capezzagna Questa parola non si trova nemmeno nei vocabolari del dialetto locale, eppure era usata in un vasto territorio comprendente sicuramente buona parte dell’Umbria e dell’Abruzzo. Basta vedere quanti agriturismi sono chiamati con questo nome! Su Wikipedia è definita così: - La capezzagna o cavedagna, oggi è una strada sterrata di servizio agli appezzamenti coltivati. È una superficie improduttiva ma funzionale alla gestione delle colture. Nella viticoltura, ad esempio, la capezzagna è ortogonale al senso dei filari e permette l’accesso a ciascun interfilare. Su di essa avvengono le manovre di svolta delle macchine operatrici per passare da un filare all’altro. Quando le macchine operatrici non erano state ancora inventate, la capezzagna cosa era? Era semplicemente il lato corto di un rettangolo di terreno, alberato o no, dove le vacche che tiravano l’aratro invertivano il senso di marcia. Se l’aratro aveva il vomere che poteva essere ribaltato a destra e a sinistra -tale aratro era chiamato voltorecchio, in dialetto: lu vordarècchie- ed era in uso nei terreni di collina, allora le vacche potevano continuare lungo lo stesso solco in quanto, ribaltando il vomere, la terra arata era rovesciata sempre dalla stessa parte. Se invece l’aratro aveva il vomere fisso, come ad esempio la perticara con le ruote usata nei terreni di pianura, fatto un solco lungo il lato maggiore del rettangolo, si tornava indietro facendo un altro solco sull’altro lato maggiore, dalla parte opposta del campo. In questo modo, alla fine dell’aratura veniva fuori un grande solco centrale, perché metà della terra arata era stata rivoltata verso destra e l’altra metà verso sinistra. Con qualsiasi aratro si arasse i lati corti del rettangolo di terra moltiplicati per circa cinque metri, cioè per la lunghezza delle vacche, più timone, aratro e contadino, risultavano non arati. Oltre a non essere bello da vedere, con la penuria di terra che c’era e con l’abbondanza di fame che dominava, lasciare un pezzo incolto sembrava a tutti gli uomini di buon senso un colossale spreco. E lo spreco era tanto più grande quanto più piccoli erano gli appezzamenti agricoli. Nel latifondo incideva di meno ma, sia i grandi sia i piccoli possidenti concordavano sul fatto che la buona terra doveva essere tutta resa produttiva. Infatti, ancora oggi, nella piccola proprietà contadina si continua a seminare sia nei vigneti, sia negli oliveti, alternando di anno in anno favetta, biada, erba medica, trifoglio, orzo e granturco da foraggio. Allora bisognava arare anche il lato corto del rettangolo, in altre parole la famosa capezzagna. Arare quel piccolo pezzo di terra non era per niente facile poiché bisognava operare in modo ortogonale rispetto a quanto già fatto. Si mettevano allora le vacche nel giusto verso e tirando le cavezze collegate ai morsi nasali, si facevano rinculare in modo che la punta del vomere, tirato indietro dal contadino, si infilasse nel terreno proprio sul suo confine. In questo modo l’uomo veniva a trovarsi fuori confine nel campo del vicino o con i piedi penzoloni sopra un piccolo fosso pieno d’acqua se il confine era... liquido! Alla fine il colpo d’occhio sul terreno era piacevole per le simmetrie ortogonali dei solchi e se c’era qualche sbavatura, cioè qualche pezzo non arato bene che stonava, bastava qualche colpo di zappa ben assestato e tutto tornava in ordine. Arare adesso la capezzagna col trattore che è munito di retromarcia, è una bazzecola. Era la scarsa produzione di cibo e la fame atavica a far sì che al terreno fossero rivolte tante cure? Senz’altro. Era anche amore dell’ordine, ricerca del bello e del ben fatto? Può darsi. Che si lavorasse più di quanto non si faccia oggi, dall’alba al tramonto, con l’unico orologio, quello dello stomaco? Certamente. E adesso come stiamo messi? A parte la capezzagna incolta che serve solo come campo di manovra delle grandi macchine agricole, si lavora tenendo presente solamente quanto si guadagna netto l’ora o quanto si spende per far eseguire un lavoro a terzi. E l’ordine, la ricerca del bello, la soddisfazione del ben fatto e la cura del territorio sono stati sostituiti spesso dalla soddisfazione di aver speso il minimo possibile. Il resto non conta. Vittorio Grechi

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F r a n c e s c o P a t r i z i Attore e Regista Critico Teatrale Libri e Libri Nostro Redattore Massimo

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