Numero 1 0 aprile 2015
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Fo to Al ber to Mi ri mao
Ciao David Abbiamo voluto riportare quanto scritto da Marco Barcarotti perché ci sentiamo di sottoscrivere ogni sua parola. Ho aspettato alcuni giorni per far abbassare la rabbia e la delusione che ho dentro di me! Ovviamente mi riferisco alla tristissima vicenda dell’assassinio del povero David Raggi. Quello che ho letto e sentito in questi giorni da tanti ternani, nei confronti dei quali, almeno per qualcuno di loro, nutrivo una profonda stima, mi fa veramente vergognare di essere loro concittadino! Pena di morte! Forca! Sedia elettrica! Bruciamoli vivi! Affondiamo le loro sporche barche! Riapriamo i campi di concentramento! E via discorrendo... Ho cercato di dare la mia opinione, per cui affermavo che in un paese civile, in uno stato di diritto, l’unica soluzione è quella della certezza della pena. Sono stato oggetto, oltre che di contestazioni (più o meno civili, e questo ci può stare...), anche di offese pesanti! Come se il fatto di essere per la Giustizia e non per la vendetta, significasse essere dalla parte dell’assassino! E non c’è stato verso di far capire a costoro che non è che l’alternativa alla pena di morte sia quella di lasciare libero chi commette un reato tanto efferato! Sono stato un attivista di Amnesty International per tanti anni (sono ancora un socio, convinto, di questa Organizzazione), e probabilmente il mio pensiero a tale riguardo è frutto anche di queste frequentazioni, ma sono STRA-convinto di quello che dico e che continuerò a dire, rivendicando il diritto a poterlo fare! Vorrei ricordare a tutti quelli che in questi giorni fremono dalla voglia di aggiungere dolore a dolore, che Terni è stata sempre una città che ha fatto dell’accoglienza il suo motivo di crescita. Le stesse parole che oggi si dicono nei confronti di un extra-comunitario, 50 anni fa si dicevano verso un meriodionale, e 100 anni fa ancora verso un italiano che arrivava a Terni perchè magari veniva a lavorare all’Acciaieria. Questo ci ha fatto crescere come comunità. Oggi siamo tutti pieni di egoismo e ce ne freghiamo di quello che ci circonda! Ma se un domani, più o meno remoto, dovremo essere noi a bussare a porte altrui? Con che faccia lo potremo fare? A qualcuno ho risposto dicendo come la pensavo, e la loro quasi unanime risposta è stata: vorrei vedere se fosse stato un tuo famigliare! Bene! La migliore risposta a tutti voi 3 4 ... 6
Marco Barcarotti
Siamo qui a piangere, ancora una volta. Per David. Una morte assurda, agghiacciante per il modo in cui è avvenuta, per la giovane età della vittima, per l’assurdità della situazione. Siamo qui a piangere per quella donna uccisa in una rapina a Terni, presa di sorpresa mentre tornava a casa. Siamo qui a piangere per tante altre vite stroncate da atti di delinquenza, ingiustificati e ingiustificabili. E inorridiamo per le morti nel mondo, per gli attentati orribili dell’ISIS, per le stragi (purtroppo meno note) ma altrettanto terrificanti del Boko Haram. Carnefici sanguinari! Non uomini, non persone, ma sanguinari! Adiriamoci, sì adiriamoci! Adiriamoci per la delinquenza che fa scorrere sangue, che ci assale improvvisa, che crea timori crescenti, che rende precarie le nostre giornate e le nostre aspettative. Adiriamoci per una giustizia lenta, inefficace, che lascia liberi dopo pochi giorni rapinatori e delinquenti vari. Ma adiriamoci anche per chi incita alla risposta violenta, al linciaggio, al razzismo, alla vendetta, a chi predica l’occhio per occhio e il dente per dente. Adiriamoci con tutti i Robespierre di turno: ne abbiamo tanti, dal semplice cittadino al politico che dovrebbe dare il buon esempio. Noi non porgiamo l’altra guancia, ma siamo persone civili, uomini che pensano, uomini che vogliono giustizia, non giustizialismo. Le parole della famiglia Raggi siano un esempio per tutti. Siano la misura della convivenza e del rispetto, del senso di giustizia e di civiltà. Loretta Santini
Non restare a piangere sulla mia tomba. Non sono lì, non dormo. Sono mille venti che soffiano. Sono la scintilla diamante sulla neve. Sono la luce del sole sul grano maturo. Sono la pioggerellina d’autunno. Quando ti svegli nella quiete del mattino… Sono le stelle che brillano la notte. Non restare a piangere sulla mia tomba. Non sono lì, non dormo. Canto Navajo Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime. Sant’Agostino E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio
LA PAGINA UMBRIA
FIORE DI PESCO S A N VA L E N T I N O S P O RT I N G C L U B
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E se...
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A G E N Z I A I M M O B I L I A R E B AT T I S T E L L I
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 2/2014, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastazio De Filis 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni
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V I L L A SAB R I N A
razzisti mascherati da persone perbenino, e che magari la domenica mattina andate a sfoggiare i vostri lussuosi abiti firmati in qualche chiesa di Terni, la migliore risposta, dicevo, ve l’ha data proprio la famiglia di quel povero ragazzo! Se posso essere orgoglioso di qualche mio concittadino in questi tristi giorni, lo devo proprio a loro: GRAZIE famiglia Raggi!
La Pagina
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Nasce l’Associazione Culturale Politica
Associazione Culturale Politica
Fiore di Pesco Un'associazione culturale politica fonda le sue strategie sulla cultura. In essa si possono elaborare strategie politiche e progetti ortodossi, all'altezza dei tempi cioè, proprio perché ci si avvale di risorse culturali, le sole capaci, nell’attuale vivere, di preparare alla conoscenza ed alla interpretazione dei fatti, non solo dei fenomeni, e di intuire ed interpretare, proprio nell’attuale orizzonte costellato di mobilità e di innovazione, le direzioni sociali e politiche più opportune. Negli attuali raggruppamenti politici domina, in genere, la figura del politico puro che, proprio perché chiamato a governare oggi non già quattro fogne e due panchine ma un villaggio ormai globale, deve cercare di acculturarsi (lo fa raramente e con difficoltà quasi insormontabili). In una associazione culturale politica il percorso è inverso: è l'uomo di cultura che detta nuove coordinate per la politica, fino a migliorarne decisamente alcuni obsoleti connotati. Solo l'uomo di cultura infatti può far compiere un viraggio dai programmi (ormai tutti uguali nella loro desolante demagogia) ai progetti (che, per loro genesi, sono altra cosa, concretamente ed oggettivamente). Ormai è la parte più scansafatiche dei cittadini (fatte salve pochissime e lodevolissime eccezioni) che si occupa degli affari amministrativi. Nessuno sembra essere in grado di saper vedere il futuro della città e di saper provvedere di consequenza. Sono impegnati da problemi pressanti che scaturiscono però da una visione delle cose standardizzata, rituale; cavalcano, in genere, l’ovvio. Le deleghe che i cittadini concedono all’atto delle votazioni sono affidamenti del tutto pittoreschi. Si delega, in vari, tristissimi casi, qualche amichetto di quartiere o di merenda, come si trattasse di nominare un comitato per organizzare la festa del cetriolo ubriaco o la vendita delle mosciarelle in carrozza. Poi finisce tutto lì. Gli eletti si incontrano nei vari Consigli, a singolare o a plural tenzone, attenti a non andare fuori dagli stanchi binari. Ci sono poi le nuove leve, giovani menestrelli scodinzolanti che magnificano tutto quello che fa il Capo: stendiamo un altro velo pietoso! Di vedere (intelligere - intus legere) tra le righe, dietro le righe, nel non detto, nel non comune, non se ne parla proprio. E questa approssimazione fa gola a tutti; tutti pensano di esserne all’altezza; tutti hanno capito invero che si tratta di cosa risibile: in 13 nella nostra città hanno proposto la propria candidatura a sindaco, come si trattasse di una gita fuoriporta. Così è decaduta (fatta decadere) l’Istituzione! E vedremo quanti avranno la disinvolta arroganza di presentarsi come candidati, la prossima volta! E si presenteranno sempre e solo quelli che navigano nel mare di questa partitica, mostrandosi ripuliti, sapendo anche ben dire quel nulla che hanno da dire, magari facendo finta di essere amici di tutti... ma... nessuno in grado di mostrare quanto e quanto di bello abbia mai fatto, in proprio, per la propria città! E perché dovremmo di nuovo interessarci di gente che o non ha mai lavorato, mai fatto alcunché per la città, o è appartenente a qualche cupola e rende conto solo a quella? E dovremmo fare proposte a questi signori? No! Se abbiamo decoro di noi stessi dobbiamo tutti sentirci sindaci della città e trovare la forza di amministrare da soli, lavorando con i cittadini e con le nostre uniche e (molto) presunte armi: intelligenza e cultura. Se ne siamo in possesso dovremo pur mostrarle, al posto di una continua infruttifera lamentela, con progetti possibili. Se non le abbiamo, vuol dire che saremo pronti ad assumere incarichi amministrativi! Giampiero Raspetti
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Fiore di Pesco
Adoro la Adoro la politica, proprio -credo- per non averla mai fatta! Davvero: più invecchio, più sono preda di questa insana passione. Appartengo al popolo di coloro che mettono la sveglia al mattino presto per tormentarsi con la rassegna stampa delle varie emittenti, avidamente tesi a scovare gli intrighi, il non detto, a smascherare il dolo, il retroscena inquinato, ad individuare i colpevoli dei drammi politici in cui quotidianamente ci getta questo squallido presente. A quindici anni leggevo voracemente i classici, a venti solo saggistica politica (era il ’69 dello scorso millennio ed a Roma, alla Sapienza, infuriava la lotta delle idee, la critica sociale, la filosofia della creatività al potere… bella stagione, nulla da rinnegare!), poi tanta formazione professionale nella didattica, tanta fatica per accettare la sfida dell’Europa e la militanza strenua nella progettualità, dover imparare altre lingue… Crescita personale, mutamenti esistenziali significativi mentre, in politica, nulla mutava; dai trenta fin quasi ai sessanta, io totalmente fedele ad un pensiero pigramente unidirezionale. Un solo quotidiano, la copertina di Linus degli intellettuali dell’epoca (che ora rifiuto persino di sfogliare, tanto nauseanti appaiono le sue strumentalizzazioni biecamente partitiche, nel senso più deteriore del termine) allora da me spulciato in tutti i suoi anfratti, magari la notte, perché di giorno tra lavoro, famiglia, progetti, amici… il tempo era così ristretto. Ora la sovrana serenità della senilità, la disponibilità di tempi deliziosamente dilatati, l’accesso alle mille meravigliose tecnologie dell’informazione mi consentono di superare il pensiero unico di cui sono stata prigioniera per una vita. Ora, finalmente, posso godermi il lusso di guardare il mondo con sguardi diversi, angolature di analisi divergenti: che liberazione!
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politica Molta acqua è scorsa sotto i ponti, oggi appassionarsi alla politica è veramente démodé, oggi la politica va utilizzata per arraffare un morso di utile personale, per distruggere l’altro con tutti i mezzi, meglio se al limite dell’illecito! Mai come oggi il termine politica si connota per corruzione, malaffare, opportunismo, millanteria, prevaricazione, imbroglio. Una come me ed altri milioni che politica non l’hanno mai fatta ma (e questo è il paradosso) hanno condiviso con passione alcuni sistemi di valore, per la difesa e l’affermazione dei quali hanno anche lottato, pagando, a volte, di persona scelte che, prima che politiche, erano etiche… ebbene proprio quelli lì oggi sono i più drammaticamente esposti alla desertificazione antropologica, morale, valoriale in atto. Svetta, sul nulla dell’inganno, la potenza della voce di Francesco: l’unica, oggi, capace di rendere l’orizzonte meno cupo. Le reazioni al deserto dell’oggi sono soggettive: io adoro la mia attuale conquista di un punto di vista disincantato sulla res publica e la sua malefica gestione nel nostro sciagurato paese. Sono tuttavia più agguerrita che mai nella determinazione di spendere le mie migliori energie, le mie passioni, la mia intelligenza per capire quale sia, oggi, la via migliore per una corretta gestione della polis e guardo con interesse e gratitudine i segnali di elaborazione di cultura politica che sbocciano in prati nuovi, informali, non strutturati, nei quali mi trovo a pascolare. Sono incuriosita dalla generosa incoscienza degli amici de La Pagina, che hanno il coraggio di definire il loro spazio di analisi della politica -ambizioso e di alto livello dialettico- con la locuzione Fiore di Pesco! Intellettuali fatalmente liquidabili come ingenui utopisti o, invece, lucidamente profetici? Gli approdi del dibattito e delle elaborazioni in corso saranno decisivi per una disincantata Rose lla Mastodonti diagnosi.
Che faremo? cienza
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Abbiamo numerosi esempi di pratiche, presso vari uffici amministrativi, che, invece di durare il tempo di un “buongiorno, ciao”, riescono a galleggiare minimo 2/3 settimane solo per rimpallo di documentazioni da un ufficio ad un altro! Sembra tutta una strategia volta a rovinare, cinicamente, il mondo del lavoro. Non si può essere, altrimenti, così sprovveduti, da non correre, immediatamente, ai ripari. Visto poi il carico enorme di lamentele (anche per fatti di piccolo cabotaggio, tipo i generosi lasciti lasciati in bella vista dai cani ternani, nell’indifferenza del padrone e di chi è pagato per la gestione della città) che ci giunge, saremo costretti a non dedicarci esclusivamente alla città del sole che vorremmo sempre suggerire attraverso i nostri (come vedete a sinistra) e i vostri progetti, ma saremo costretti a fare riferimento anche a quella sorta di città delle sòle che le pubbliche, pressanti considerazioni stigmatizzano di continuo. Cari concittadini, cominciamo a renderci tutti responsabili in prima persona! FdP
Sudditi, clienti e cittadini Gli uffici, sia pubblici che privati, hanno una forte tendenza a scaricare sull’utente qualsiasi problema. Vai a rinnovare la patente di guida? Trovi un foglio dettagliato che ti spiega cosa fare, ma non trovi i bollettini di conto corrente. Allora vai all’ufficio postale vicino, dove trovi bollettini in bianco e nero e solo uno a colori adatto all’uopo. C’è già la fila, prendi il numero e ti metti a compilare. Arriva il tuo turno allo sportello e ti senti dire che il bollettino bianco, scritto da te con tutti i codici a posto, non va bene perché dovevi usare quello prestampato che non c’era. La colpa è tua, ti viene detto, perché dovevi chiederlo. Il fruttivendolo quando apre il negozio sistema tutta la mercanzia in bella vista, ma in quell’ufficio postale evidentemente questa lodevole abitudine non c’è. Vai a rinnovare il permesso di circolazione per disabili ultra novantenni: ci vuole il certificato medico che attesti il permanere dei requisiti! Vai dal medico che sta per terminare l’ambulatorio, fai la fila, te lo stampa, poi si accorge che la Asl ha stabilito una nuova versione per tali permessi; ti stampa la nuova versione, la firma aggiungendoci tutti i timbri necessari e tu contento ritorni di corsa nell’ufficio che, nel frattempo, sta per chiudere. L’impiegato legge il certificato scrollando il capo: non va bene! Consulta anche un suo superiore: idem. Consiglia quindi di tornare dal medico e di informarlo su come andrebbe scritto e quindi farselo rifare. A questo punto anche il più pacifico degli esseri umani potrebbe diventare una belva. Io NON devo informare nessuno: sono venuto qui solo per avere un servizio! Per fortuna ogni tanto si trova un impiegato/a comprensivo e dotato di umana intelligenza, che viene incontro al malcapitato di turno risolvendogli il problema. Situazioni simili sono sicuro siano capitate a ciascuno di voi. E se ci riflettete un attimo, avrete la sensazione di essere trattati come sudditi nullafacenti che vivono da fortunati godendo di una qualche grande rendita e quindi in grado di girovagare per giorni da un ufficio all’altro per risolvere La Pratica. Invece siete gente che lavora, che ha un’attività alla quale deve dedicare la maggior parte del tempo disponibile e se deve girare per uffici deve prendere le ferie, assentarsi dal lavoro e trascurare la famiglia. Possibile che i nostri eletti a livello locale e nazionale, tutti Grandi Riformatori a parole, non siano capaci di riformare i vari Front Office [loro che amano tanto l’inglese da metterlo pure nelle leggi dello Stato Italiano], ovvero gli sportelli a contatto col cittadino? Possibile non siano capaci di far colloquiare i vari Enti tra loro, far impostare metodiche condivise e preparare i propri dipendenti al servizio degli utenti? Il fruttivendolo appena una persona si avvicina al suo banco gli augura il buongiorno, gli chiede se può servirlo oppure gli magnifica la sua mercanzia. Se è già occupato con un altro cliente, saluta e si premura di avvertire che sarà subito da lui. Perché il cliente è sacro per ogni negoziante, è quello che gli fa guadagnare lo stipendio. Cari Amministratori, se pensate che sia sconveniente per voi considerarci come clienti, almeno cercate di trattarci come cittadini, non come sudditi. Nel frattempo siamo venuti a conoscenza che almeno un Amministratore locale si sta dando da fare per cercare di risolvere le carenze della propria squadra. Ne diamo atto volentieri sostenendo questo sforzo verso l’efficienza e l’efficacia, Vittorio Grechi nell’interesse di tutti i concittadini.
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Associazione Culturale Politica
Da La Pagina, Pagina Settembre 2004
Altro è il nostro obiettivo: la ricerca dell’alfabeto morale comune, di cosa unisce senza presse, ricatti, ipocrisie, infamità, partecipazione a combriccole d’affari. Vogliamo, a tal fine, abbandonare anche la politica assiale, pensata come costituita da un centro e da due semirette da esso uscenti, una verso destra, l’altra verso sinistra, come calco della concezione della terra piatta, con il suo presunto centro di vita e di cultura, posto tra una colonna d’Ercole (Gibilterra) e l’altra colonna (il fiume Indo), per entrare nella politica assiologica, dei valori attestabili. In questa nuova dimensione centro altri non è che l’atollo in cui si concentrano valori condivisi; estremo, né a destra né a sinistra, è l’atollo di quelli opposti. Si tratta di un bipolarismo cristallino: da una parte o dall’altra, sì, ma rispetto a comportamenti netti, solari, a categorie fondamentali condivise da molte persone, qualunque sia la loro appartenenza partitica. Smettiamola di assumere atteggiamenti vittimistici (i buoni siamo noi!) sputando al contempo certezze sulle mascalzonate degli altri. Si guardi invece solo nel proprio campo, dove reale è la conoscenza: se il nostro politicante Pinco non corrisponde con evidenza ai requisiti richiesti, non sarà votato, e nemmeno il suo schieramento avrà il nostro voto! Non ci sarà ragion di stato, niente ci costringerà a votare turandoci ogni tipo di pertugio. So bene che il Pallino si dannerebbe l’anima per cercare di sottrarsi al calderone dei valori negativi (già lo fa!); chi però bene lo conosce o è disgustato dai suoi comportamenti e dalle sue apparizioni, potrà all’istante sconfessarlo e, se crede nella politica assiologica, non votarlo, prendendo decisamente le distanze dal polo che lo ha candidato senza sentirsi un traditore della patria. In realtà abbandona solo una manica di cavolsuisti. In primis poniamo allora la diade costituita dall’uomo libero e dal suo antitetico, il cultore di privilegi. L’uomo libero è solidale con tutti, particolarmente con chi è meno protetto, vive con la sola industria di se stesso, lotta per una sana meritocrazia, non è dogmatico quindi persegue virtù e conoscenza: è chiaramente riconoscibile. L’uomo libero non si accatasta con altri per fini privati lucrosi: l’uomo libero è il centro. Il cultore di privilegi è solidale con se stesso, con la sua conventicola, con il potente al quale si appoggia. É dogmatico e come tale fa a meno della cultura e della scienza: sta all’estremo. Uomini liberi di tutto il mondo, uniamoci! Uniamoci al coraggioso, che si batte da solo ed esclusivamente con i propri mezzi. Assoggettarsi ai poteri del malaffare, sentirsi forte perché si è servi di un potente, combattere tanti contro pochi, non è nella logica del guerriero, è invece comportamento del vigliacco che si serve, per sconfiggere il nemico, dell’unione di forze con altri vigliacchi. Schieriamoci contro! Laico o confessionale, poi. Non c’è da commentare, ma, per il rispetto che abbiamo delle confessioni religiose, non contamineremo mai l’aspetto spirituale con quello temporale-materialistico-corruttivo. La fede è uno degli aspetti più sacri e più privati che esista. Guai a contaminarla nella partitica. La vita religiosa va testimoniata, senza mai imporre agli altri le proprie convinzioni se non attraverso il confronto e l’esempio personale. Dobbiamo essere solo laici, altrimenti saremmo uguali a quelle nazioni in cui non solo non si ammette altra religione diversa da quella di stato, ma si cerca l’annientamento fisico di chi pensa o crede in modo diverso. Il moderato si ispira alle virtù della tolleranza, della ragione, della paziente ricerca della mediazione: virtù necessarie nel mercato delle cose come nella dialettica delle opinioni, delle idee, degli interessi conflittuali. Rispetta cultura e tradizioni di tutti. L’estremista decide invece da solo e il più delle volte la sua intempestività risulta catastrofica, le sue dichiarazioni violente, goffe, ipocrite. Non si interessa delle riflessioni altrui. Cerca spasmodicamente di farsi credere moderato e di centro. Il centro è però salda sede dei suoi avversari. Il centro è per il corruttore Socrate, è per gli stoici, che introdussero il concetto della fratellanza umana: tutti gli uomini sono figli di Zeus, senza distinzione fra greco e barbaro, schiavo o libero. Il centro è per chi rispetta: non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. É per Buddha quando dichiara che non potrebbe mai essere felice, finché anche un solo uomo risulti infelice. Vagheggiamo allora il vero partito di centro. Chi si ispira ai valori esposti (e ad altri...) ce n’è ovunque, tra la gente e tra i poli, tra atei e credenti, tra ebrei e palestinesi, tra cattolici e mussulmani. Apriamo l’epoca di un nuovo umanesimo, delle relazioni tra umani e della emarginazione dei disumani. Viviamolo con rispetto, facciamolo senza violenza. Il nostro giornale si impegnerà per unire, non solo idealmente, a Terni come nel Maine, uomini liberi, colti, moderati per individuare con loro altre categorie del vero centro e della vera moderazione. Non riguarderemo cultori di privilegi, dogmatici, vigliacchi, estremisti. Loro residuati, tra guerrafondai, sfruttatori e terroristi, ancora galleggiano; li tiene uniti il collante del furto, dell’odio e del privilegio; arrecheranno ancora lutti e nutriranno l’ingiustizia, rendendo dilagante la guerra mondiale economica nella quale ci hanno scagliati. Le vittime saranno ancora tra di noi ma un mondo pulito ha bisogno di conoscenza e di scienza, di gentilezza e di coraggio, di rispetto e di amore e, purtroppo, ancora di sacrifici. Ma non abbarbichiamoci ad un passato regolato da uomini privi di cultura o non nobili, un passato che nelle nostre coscienze è già seppellito, insieme alle sue superstizioni ed ai suoi massacri. Un passato che sarà di gran lunga superato dal futuro che intelligenza e umanità sapranno creare. Giampiero Raspetti La Pagina, Pagina Settembre 2004
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E se... E se... e se esistesse una soluzione ragionevole per curare i nostri mali? Se domani andassimo dal medico e di fronte ad una diagnosi infausta potessimo dire: meno male che c’è la cura! Beh, oggi certamente viviamo ben più a lungo dei nostri antenati, basti pensare che in pochi anni l’aspettativa di vita si è allungata di oltre 30 anni; ma a quale prezzo? É vero che ormai abbiamo capito moltissimo di come funziona l’essere umano e sappiamo bene quali siano praticamente tutti i meccanismi della sua fisiologia, ma quante cose e quali si sanno che sono opportunamente tenute nascoste? Tante, forse troppe e troppo dolorose se conosciute da un malato. Quanti malati cronici continuano ad andare avanti nella speranza (vana) che “il prossimo anno uscirà una nuova medicina rivoluzionaria”... ma il prossimo anno non arriva mai! Chi scrive ha atteso per oltre 20 anni che questa promessa si realizzasse, solo per rendersi poi conto con sconcerto che ogni nuovo anno era solo un’attesa del prossimo, sperando di poter leggere finalmente la tanto attesa notizia: trovata la soluzione!!! Devo dirvi che ho sognato e ancora sogno di poter correre di nuovo e non avere quel fastidioso bollino che mi etichetta come privilegiato avente diritto ad un posto riservato nei parcheggi, nei concorsi pubblici e nei cinema (anche se spesso è stato davvero comodo). Tutto questo però è un semplice “e se...”. O no? Stavolta scrivo per comunicare IO la bella notizia (anche con tono un poco polemico)... il mix di farmaci che abbiamo messo a punto FUNZIONA! E non lo dico io attenzione... vi avevo anticipato di aver richiesto il brevetto1 e finalmente dall’EPO (ufficio brevetti Europeo) abbiamo ricevuto una risposta che è stata una vera doccia gelata! Ve la illustro senza commentare lasciando a voi l’interpretazione. É cosa nota che perché un brevetto possa essere rilasciato devono essere presenti alcuni requisiti: 1) che non sia mai stato rilasciato prima; 2) che ci sia un’attività inventiva; 3) che sia applicabile a livello industriale. Ebbene, la risposta che abbiamo ricevuto, in merito alla nostra richiesta di brevetto, è la seguente: 1) non è mai stato brevettato; 2) l’attività inventiva è poco presente perché da oltre 15 anni si sapeva che rappresentasse la soluzione ideale; 3) è applicabile a livello di produzione industriale. Di cosa parlo vi chiederete, anche se forse già mi avete letto e ben conoscete la mia storia (sclerosi multipla da oltre 22 anni). Quello che mi ha gelato il sangue nelle vene è stato leggere una serie di lavori scientifici e di richieste di brevetti precedenti corredati da ricerche, sperimentazioni ecc. che poi sono stati abortiti nonostante tutti dessero lo stesso risultato: si può fare una prevenzione efficace nonché una riduzione significativa della disabilità con pochissimo sacrificio, a bassissimi costi e senza terapie devastanti con effetti collaterali capaci di segnare per sempre l’esistenza dei malati. Non voglio con questo fare della dietrologia o della polemica da salotto di pettegolezzo televisivo ma la considerazione che tutti abbiamo fatto è stata: perché nessuno ce lo ha detto prima di darci come unica possibilità la via della distruzione del sistema immunitario? Perché ci hanno detto che non esistevano altre possibilità? Ma forse, nonostante quello che sostiene l’EPO, ovvero che qualunque tecnico preparato nel settore della neurologia avrebbe ben potuto saperlo o capirlo, forse qualcuno non lo ha mai voluto rivelare nemmeno ai neurologi, i quali incolpevolmente hanno continuato a prescrivere con rammarico dei trattamenti che di certo avevano solo gli effetti collaterali e la cui unica caratteristica era “nella speranza di ritardare l’inevitabile”! L’unica considerazione finale è la seguente: ora che si sa, ora che la richiesta di brevetto c’è e la voglia di andare avanti pure, chissà se le coscienze si risveglieranno? O continueremo a stare nella grotta, seduti a guardare il Fabrizio De Silvestri muro, convinti che le ombre proiettate dal sole siano l’unica realtà possibile? 1 - Il mio brevetto è in via di rilascio, ma il mix farmacologico è già prescrivibile nei dosaggi per cui è stato richiesto.
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I Consorzi di bonifica
I Consorzi di bonifica subiscono periodici attacchi da parte di ben identificati interessi, perché la loro azione disturba i poteri forti, che sottendono ad un modello di sviluppo basato sulla cementificazione del territorio, non sulla valorizzazione dell’ambiente e dell’agricoltura. Il modello dei Consorzi di Bonifica è un esempio di efficienza, imitato nel mondo. Lo afferma Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.), intervenendo nei giorni scorsi, a Venezia, alla Conferenza Interregionale dei Consorzi di Bonifica del Nordest, organizzata dall’Unione Veneta Bonifiche. Il prossimo Expo -prosegue Vincenzi- sarà una grande opportunità per affermare una rivoluzione culturale: l’agricoltura usa e non consuma l’acqua, producendo cibo; basti pensare che, a livello planetario, il 18% di superfici irrigate produce il 45% delle derrate alimentari. Per questo, l’attività dei Consorzi di bonifica deve rientrare nei Piani di Sviluppo Rurale, ma deve anche guardare alle risorse previste dal Fondo Sociale Europeo per l’utilizzo delle cooperative sociali nelle zone svantaggiate del territorio. Confermiamo -aggiunge Massimo Gargano, Direttore Generale A.N.B.I.- grande apprezzamento per il lavoro svolto dalla Struttura di Missione contro il Rischio Idrogeologico, alla quale ribadiamo piena collaborazione. Grazie all’impegno di Erasmo D’Angelis e della sua struttura, finalmente l’Italia ha voltato concretamente pagina nelle politiche di prevenzione da frane ed alluvioni, emergenze che non solo causano vittime e danni, ma sono freno a qualsiasi ipotesi di rilancio economico del Paese. Il Consorzio Tevere Nera è particolarmente impegnato nella sua attività di prevenzione e sicurezza ambientale. Per quanto riguarda i lavori ricordiamo: - La sistemazione idraulica del fosso di Stroncone nel tratto tra via Di Vittorio e la confluenza con il fiume Nera a Terni; - La sistemazione idraulica del fiume Nera III Stralcio I Lotto. Gli interventi sono finalizzati alla messa in sicurezza del tratto del fiume compreso tra ponte Allende ed il ponte della ferrovia Terni-L’Aquila. 10
Per quanto attiene la progettazione ricordiamo: - Il progetto esecutivo di sistemazione idraulica del fiume Nera III Stralcio II Lotto per la messa in sicurezza della destra idraulica del fiume nel tratto compreso tra ponte Romano e l’Officina Micheli, nel Comune di Terni; - Il progetto definitivo di sistemazione idraulica del fiume Nera III Stralcio III Lotto per la messa in sicurezza della destra idraulica del fiume nel tratto tra via Vanzetti ed il ponte tra Maratta e la E45, nel Comune di Terni; - Il progetto definitivo di sistemazione idraulica del fosso di Stroncone II Stralcio. É il completamento della messa in sicurezza del primo stralcio e riguarda il tratto tra il ponte di via Di Vittorio e il ponte su via Antonelli nel Comune di Terni.
i f i c a Te v e re Ner a a difesa dell’ambiente
Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
Importante sentenza della Cassazione RESPINTO IL RICORSO DELL’ATER UMBRIA CONTRO IL CONSORZIO TEVERE NERA La Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dall’ATER con sentenza n. 27057 del 19.12.2014 (comunicata in data 26.2.2015). Lo IERP di Terni, ora ATER, convenne in giudizio il Consorzio Bonifica Tevere Nera chiedendo che fosse accertata l’illegittimità dell’imposizione del contributo consortile in relazione ad alcuni immobili ad uso abitativo posti a Terni, sostenendo che gli immobili non avevano tratto alcun vantaggio dalle opere del Consorzio, in quanto non direttamente interessati. Il Consorzio, difeso dagli avvocati Ranalli, Casoli e Bugatti aveva obiettato che gli immobili erano all’interno del Piano di classifica approvato dalla Regione, e che tutte le opere di sistemazione idraulica e di manutenzione dei corsi d’acqua erano state eseguite per prevenire danni provenienti da eventi alluvionali in una situazione di rischio idraulico. Ragione piena al Consorzio Tevere Nera. La motivazione della sentenza della Cassazione è di estremo interesse laddove correla la sussistenza del beneficio alla realizzazione delle opere idrauliche ed alle attività a queste connesse. Tale decisione è assai importante anche perché conferma l’indirizzo della Suprema Corte in ordine alla legittimità del contributo e dell’operato del Consorzio Tevere Nera. 11
ATENEO GIOVANI
Apologia di
Elisa provava una strana sensazione, un sentimento nuovo, mai provato prima d’allora, che le parole non riuscirebbero a descrivere adeguatamente. Un’immagine cominciò lentamente a farsi largo in quel turbine di emozioni che stavano investendo il tenero cuore della ragazza. L’immagine che prima era solo un lontano ricordo affiorava sempre di più tra gli altri pensieri ed emergeva e si faceva più grande e nella sua mente si faceva tutto più chiaro e ordinato. Sentiva il cuore battere violentemente nel petto così forte che riusciva a percepirne i battiti rapidi, e sentiva il sangue scorrere dentro di lei fluido come linfa vitale che fluisce dalle radici della quercia e risale ostinata lungo il tronco, passando per le condutture, fino ai rami, fino a quelle nervature sottili che si disegnano sulle foglie, rendendole di quel verde brillante che ora rifulgeva negli occhi vivaci di Elisa. Quel vago ricordo che aveva fatto timidamente capolino nella memoria della ragazza era ormai una certezza: la foglia, quella che da bambina aveva raccolto orgogliosa, era lì, in quelle graziose nervature che era rinchiusa la risposta, la speranza, il futuro di un’intera città. Se il destino le aveva fatto incontrare Alessio, se quel vento di sette anni prima le aveva fatto capitare tra le mani quella foglia, qualcosa voleva pur dire. E lei lo doveva scoprire. Solo lei avrebbe potuto, era scritto nel suo destino. Si era fermata a fissare il vuoto, con gli occhi che brillavano speranzosi e un sorriso appena accennato, persa a seguire il filo dei suoi pensieri che si insinuavano pervicaci nei meandri della sua mente, incalzandola. Il tocco delicato di Alessio la riportò alla realtà. Si sentì terribilmente fuori posto in quel luogo, sotto gli sguardi inquisitori dei compagni impazienti. Aprì la bocca come per parlare, ma non disse nulla, fece qualche passo all’indietro perdendo l’equilibrio, afferrò con forza il polso dell’amico e lo trascinò fuori dalla stanza. Nella vecchia pasticceria i presenti, guardando nelle porte a vetri, sconcertati li vedevano allontanarsi e si scambiavano occhiate perplesse, mentre nella stanza si creava una babilonia di voci. Si ritrovarono in strada, imboccarono una traversa di Corso Tacito: Corri! -gli urlò- non possiamo perdere neanche un secondo. Elisa correva verso casa sua ignorando le domande dell’amico confuso. Salì le scale, inserì la chiave nella toppa, spalancò la porta e si fermò davanti alla piccola libreria in legno lungo il corridoio della casa di nonno Elio. I suoi occhi scorrevano veloci sui titoli incisi nelle copertine spente dei volumi, rigorosamente ordinati negli scaffali. Poi improvvisamente il suo sguardo cadde su un libro dalla copertina verde smeraldo, lo sfilò delicatamente e lo prese con entrambe le mani. Era antico e consumato dagli anni. Elisa vi passò una mano, la copertina era rigida e ruvida, con la punta delle dita sfiorò gli spigoli del libro ornati da sottili rifiniture dorate e lesse il titolo inciso a caratteri gotici Apologia di un declino. Elisa aprì il volume, sfogliò le pagine di pergamena scricchiolanti, la inebriò un lieve odore di biancospino.
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Scorrendo le pagine intravide qualcosa, capovolse il libro e lo scosse delicatamente, cadde una foglia ormai secca e fragile. Alessio la raccolse e guardò perplesso l’amica. Poi guardando il libro disse sottovoce: “Questo libro me lo leggeva sempre mio padre quando ero bambino… è la storia di una città destinata a morire e ormai dimenticata da tutti; ma proprio quando tutto sembra perduto, un ragazzo, svelando il grande segreto racchiuso nell’albero attorno alle cui radici era fiorita la città, riesce a capovolgerne le sorti e a farla rinascere”. Sul viso di Alessio si era dipinto un lieve sorriso, quel libro gli aveva riportato alla mente i suoi ricordi più belli, quelli che teneva gelosamente racchiusi in un angolo della sua mente. Elisa se ne era accorta e, forse senza neppure pensarci, spontaneamente, gli chiese: Chi è tuo padre? Alessio si toccò la nuca con la mano destra e rivolse lo sguardo a terra; Elisa si accorse subito del terribile errore e imbarazzata sussurrò: Oh scusa… non…ecco sì io…ti chiedo scusa…non avrei dovuto farti quella domanda. L’amico alzando la testa rivolse lo sguardo sui tomi, come se volesse evitare gli occhi della ragazza, poi timidamente, disse: “Vedi Elisa, a volte succede che anche se diamo tutti noi stessi, se ci proviamo con tutte le forze, non riusciamo nel nostro intento… Però dobbiamo comunque essere soddisfatti del nostro lavoro. Ecco, mio padre forse era un uomo troppo orgoglioso e ambizioso per riuscire ad accettare un fallimento in qualcosa su cui aveva puntato tutto -la sua voce era incrinata ed Elisa si sentiva tremendamente mortificata per avergli fatto quella domanda, non sapeva cosa dire-, lui amava Terni -continuòin fondo era la sua città natale e ci sarebbe riuscito se il governo centrale…”. Non riuscì ad andare avanti e sarebbe stato impossibile tentare di calmarlo, cercare di razionalizzare la sua rabbia (o forse la sua paura), ogni parola sarebbe stata vana; ma non per Elisa, lei aveva una strana influenza positiva su di lui, la sua presenza riusciva a rassicurarlo, anche se fossero stati a un passo dalla catastrofe. La ragazza gli prese la mano e lo guardò con un sentimento che forse si potrebbe definire amore, ma questa volta non aveva nulla a che fare con le farfalle nello stomaco o la testa tra le nuvole, era tutto diverso. Era come se tra quelle dita intrecciate fluissero gli stessi stati d’animo, le stesse emozioni di due anime diverse, come se finalmente dopo essersi cercati per troppo tempo si fossero ritrovati. I due si guardarono e senza bisogno di parlare avevano indovinato l’uno i pensieri dell’altra. Erano a un passo dalla soluzione, ormai. Non sapevano cosa avrebbero fatto poi o come avrebbero abbattuto il governo centrale, l’unica cosa che avevano capito era che erano vicini alla fine di tutta quella terribile storia e che di lì a poco tutto sarebbe cambiato. Elisa si mise in punta di piedi e avvicinò le labbra all’orecchio di Alessio e gli sussurrò: Sai quando una città muore? -e senza lasciare che ci pensasse riprese- quando anche l’ultimo dei suoi cittadini ha smesso di crederci e sopporta senza combattere l’idea della fine della propria città. Terni non è morta, e noi non possiamo lasciarla morire. La risposta era nella Grande Quercia, l’unica speranza che Terni aveva di rifiorire, l’ultimo albero, uno squarcio di vita in mezzo a quel grigio desolante e monotono. Giorgia Depretis
un declino Ecco da dove veniva! esclamò Elisa, pensando alla foglia che aveva trovato da bambina. Preso per mano Alessio, corse di nuovo da Pazzaglia: se la foglia aveva fatto nascere, anni prima, il suo desiderio di libertà per Terni, l’albero da cui essa proveniva sarebbe stato il simbolo della ribellione che stava organizzando. Elisa camminava in silenzio, pensosa; sembrava che il libro suggerisse proprio la stessa soluzione dell’articolo del padre di Alessio. Nella sua testa, tutto sembrava riassumersi in quel titolo, Apologia di un declino... Ma come far risorgere la loro città? Si girò verso Alessio: lui la guardava già da un po’, aspettando che lei facesse lo stesso. L’albero, quell’albero che il libro indicava loro, sarebbe diventato il simbolo della riconquista della libertà. A Terni, infatti, non erano stati abbattuti proprio tutti gli alberi: o meglio, non erano del tutto assenti nella città. Avete mai sentito parlare della vecchia Passeggiata, ormai soffocata da colate e colate di cemento? Dunque, si diceva che lì, una volta, ci fossero altalene, scivoli e giostre, ai tempi in cui i giochi dei bambini non erano vietati per lo schiamazzo che provocano. E tanti, tanti alberi: tigli, pini, ippocastani, lecci, platani... c’erano addirittura dei piccoli laghetti con dei pesci e delle papere. Ecco, quando il Nuovo Governo si era insediato, aveva costruito, oltre alla torre di controllo a Piazza Tacito, anche degli appartamenti per le loro famiglie, dove una volta sorgeva il Duomo. Il Governatore di Terni aveva portato con sé sua figlia, all’epoca molto piccola. Questa bambina, Cecilia, aveva sentito parlare la sua tata del parco che una volta sorgeva in quella città, e ne era rimasta tanto colpita da aver chiesto al padre di poter piantare degli alberi. Ovviamente, questi non aveva acconsentito. Ma tale era il desiderio della piccola Cecilia di vedere un albero che, di nascosto dal padre, aveva cercato un posto per piantare una quercia, di cui la tata aveva conservato dei semi. La vecchia tata non era nata in città, ma in un piccolo paesino poco distante, Piediluco, ma era stata costretta a trasferirvisi quando il Governo aveva imposto che tutti si trasferissero a Terni. Infatti, dopo il provvedimento che obbligava tutti i commercianti a vendere esclusivamente prodotti coltivati in serra e sottoposti ai controlli statali, l’agricoltura era del tutto inutile, e così la pesca, la caccia e tutte le altre attività tipiche dei paesi. La tata, tuttavia, ricordava che, proprio in cima alla montagna alla cui base sorgeva Piediluco, c’era un antico castello: per il Governo, abbatterlo sarebbe stato costoso, e d’altra parte non avrebbero avuto alcun interesse a costruirci qualcosa sopra: malconcio com’era, simile ad uno dei tanti ruderi che punteggiavano il paesaggio ternano, poteva anche essere lasciato dov’era. Dunque, la tata aveva accompagnato lì la piccola Cecilia e, all’interno del castello, ormai del tutto privo di un soffitto, aveva aiutato la bambina a piantare il seme che avrebbe dato vita all’unico albero di Terni: una grande quercia che sarebbe cresciuta al riparo dai controlli del Governo, nascosta dalle mura dell’antico castello. Non si doveva spargere la voce di tale quercia: gli anni erano passati e Cecilia era diventata donna, ma non si era mai occupata di politica: un grande dispiacere per tutti i ternani che avevano visto in lei, sempre curiosa e disponibile, una possibile liberatrice. Ad ogni modo, in punto di morte, la tata aveva rivelato ad alcuni amici l’esistenza di tale albero, perché se ne prendessero cura: anni dopo, molti ternani mormoravano di quest‘albero, attenti a non far giungere la voce ad alcuna spia che avrebbe potuto denunciare il fatto alle autorità, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di andare a vederlo di persona, nonostante la tata avesse pregato tutti di assicurarsi della salute della quercia. Voglio raccontarvi un fatto, ternani, che risale a quando ero solo una bambina. Elisa, in piedi su quello che una volta era il bancone della pasticceria, unico pezzo di arredamento rimasto nel locale, non
ATENEO GIOVANI
sembrava affatto intimorita dalla folla. Una volta, per caso, ho trovato una foglia, portata dal vento. Era stata una piccola festa per me: sapete benissimo che non se ne trovano, nella nostra città desolata, e decisi di conservarla in un libro, come si faceva una volta, Credevo che avrei potuto cambiare il mondo, solo grazie ad una foglia, ma poi la realtà mi ha dimostrato che non è tutto facile come sembra quando si è bambini, ed ho smesso, per anni, di credere in un futuro migliore. Poi, oggi, nel vedervi qui, davanti a me, ho deciso di ricominciare a sperare. Da dove venisse quella foglia, cari concittadini, mi sembra molto chiaro: chi, amici miei, non ha mai sentito parlare della Grande Quercia del castello, la Grande Quercia, unico albero della nostra terra? Eppure, cari concittadini, chi di noi si è mai sforzato di cercare un qualche modo per uscire da questa città resa ormai squallida da un Governatore che non abbiamo scelto, di provare ad uscire almeno per andare a vedere questo famoso albero di cui avevamo promesso di prenderci cura? Nessuno! Credete forse che la tata di Cecilia abbia rischiato di essere scoperta, imprigionata, forse anche uccisa solo per accontentare una bambina viziata? No, Ternani cari, no: se il Governo ci ha tolto gli alberi c’è un motivo! Non vuole toglierci semplicemente il verde, ma vuole toglierci la bellezza, tutto ciò che ci lega alla nostra terra, la nostra dignità insomma! Credete sia un caso che, insieme agli alberi, abbiano eliminato anche i monumenti, i parchi, gli edifici più eleganti, addirittura i locali? Che fine hanno fatto la fontana di piazza Tacito, La Passeggiata, il Duomo, e presto, se non facciamo qualcosa, anche Pazzaglia? Le parole uscivano veloci, ma soprattutto forti dal piccolo corpo di Elisa, che finalmente, dopo tanti anni, tirava fuori tutti quei sentimenti repressi dalla necessità di sopportare. Questo luogo in cui ci troviamo, proseguì Alessio, Pazzaglia, un tempo era famoso non solo a Terni, ma anche nelle città vicine. Era un vanto per Terni: per questo vogliono distruggerlo! Noi dobbiamo proteggerlo! “Ma come faremo noi, così, contro il Governo?” - gridò qualcuno dalla folla. “Non possiamo attaccare il Governo, disamati come siamo! Esclamò qualcun altro. Avete ragione, rispose Elisa, calma, facendo però riemergere, nello sguardo, quella tempra da guerriera che già più volte aveva mostrato, noi non possiamo attaccare direttamente. Ma io ho un’altra idea: ritirarci nel Castello. Tutti guardavano stupiti la ragazza, non capendo. Dobbiamo portare con noi quanti più ternani possibile, continuò Elisa, ed aspettare, lì, di essere in numero sufficiente per far sì che il Governo non possa ignorarci. “Ma lasceremo Terni in balia delle ruspe!” - gridarono tutti inorriditi. Certo che no! rispose Elisa. Prima di partire, infatti, dovremo riuscire ad ottenere l’appoggio di Cecilia, la figlia del Governatore: è l’unico modo che abbiamo per non lasciare che la nostra città venga rasa al suolo. Maria Vittoria Petrioli
Apologia di un declino Gennaio Febbraio Marzo Aprile
2015 2015 2015 2015
Francesco Pambianco - Elena Riccardi Camilla Bernardinangeli - Martina Salvati Francesco Neri - Francesca Burgo Giorgia Depretis - Maria Vittoria Petrioli
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Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 07441963037 - 3936504183 - 3465880767
Non prendere scorciatoie. Se vuoi emozioni, assumi cult u r a . Aprile - Maggio 2015 A - Mercoledì 15 A - Giovedì 23
21.00 18,15
A - Giovedì
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A - Martedì
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M - Venerdì M - Sabato M - Martedì M - Sabato
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18,15 16,00 18,15 18,15
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M - Martedì
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Benessere e salute pubblica TRèbella Terni e il suo territorio in epoca preromana e romana Medici in Palestra Orologi solari: dal Sole all’ora dell’orologio Cultural Cabaret Corso di fotografia Carbonio mon amour Bottega delle idee I tesori di Galleria Borghese TRèbella I progetti di Fiore di Pesco Tutto è numero? Da Pitagora ai moderni computer
Ass. Fiore di Pesco Loretta Santinii Savino Tupputi Bruno Stafisso Paolo Casali Apericena ore 20,00 Bottega delle idee Vittorio Grechi Paolo Leonelli Apericena ore 20,00 Ass. Fiore di Pesco Alberto Ratini Giampiero Raspetti
In giro per Terni: aperte le iscrizioni 22 aprile 2015 - ore 15,30 Partenza dall’Associazione La Pagina, via De Filis La pittura a Terni: Terni San Cristoforo, San Lorenzo, San Pietro, Sala Consiliare, San Salvatore, San Francesco (Cappella Paradisi). Una o più di una di questi siti possono essere tolti per mancanza di accordi con le chiese o per contemporaneità delle funzioni religiose.
06 maggio 2015 - ore 16,00 Terni preromana e romana
Appuntamento presso CAOS
Museo archeologico (CAOS)
Sono aperte le iscrizioni ai corsi gratuiti di
DISEGNO E PITTURA per bambini di 8/10 anni
Ogni venerdì 16,30 - 17,45
Proiezioni di opere d’arte: viaggio di studio fuori e dentro le opere tra le varianti delle tecniche pittoriche. Osservazioni, suggerimenti, consigli e ricerca a cura del Pittore
18,15 - 19,30
Rivivere i grandi capolavori della letteratura italiana attraverso i Commenti e la Lettura dei Classici a cura del Prof.
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Giovanni Ferri
Renzo Segoloni
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 07441963037 - 3936504183 - 3465880767
N on an dare die tr o a i p u p a z z i. C e r c a l ’uomo.
Per Florio
Per festeggiare Florio c’è un problema: non si sa da che parte incominciare. Se parti dalle scarpe a risuolare rischi di andare pure fuori tema. Calzolaio non sol, collezionista a tutto tondo ma anche a largo raggio, poeta dialettale e in quanto artista, erede di Metelli, il primo in lista! Del circolo La Pagina è colonna, presente sempre e tiene banco a destra; da sotto la berretta par che dorma, invece osserva a che sia tutto a norma.
Ancora per Florio
Chi non conosce Florio ha perzu tantu: è erede de Metelli: carzolaru, fa lu poeta e arcoje tuttu quantu lu bellu che se po’ collezzionà. Arriva in Sala G motorizzatu, la nova bicicretta ce parcheggia, arropre porte, pija li ggiornali, archiude e po’ va via come ‘na scheggia a consegnà La Paggina a quarcunu... ... e ner mentre che fa teste faccenne arsoffia e sbuffa come fa ‘n serpente. Se è friddu se ‘n cappotta e se ‘n berretta e tene bancu co’ la moje accostu, che Imola arrìa doppo e va via prima pe ‘preparà lu pranzu co’ l’arrostu. Giampiero a capu, a nome dei ternani amici vecchji e amici pure novi, oggi lu festeggiamo tutti assieme pe’ di’ che a Florio je volemo bene.
Vittorio Grechi
La collezione di documenti storico-culturali di Florio sarà custodita nei locali della Associazione Culturale La Pagina, per essere, come sempre, al servizio della cittadinanza.
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Grazie, stupenda
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famiglia Raggi
Lutto Quando il lutto colpisce una famiglia nobilissima per dignità, amore per il prossimo, comportamento, famiglia che ha diffuso a piene mani il seme dell’amore e del rispetto, allora incommensurabile è il dolore. Come fuori misura è adesso la famiglia Raggi, ingigantita perché tutti gli spiriti nobili del mondo sentono di farne parte. Ho pianto molto di fronte alla dura realtà che persone del genere abbiano perduto un David così bello che ha purificato (parole di Sua Ecc. il Vescovo di Terni) l’aria di questa città. Nessuno ve lo restituirà, cari Raggi, ma sono tanti oggi quelli che vi considerano loro padri e loro madri e genitori entrambi di educazione e di civiltà. Avete donato non solo alla nostra città, ma al mondo intero, un rinnovato, incommensurabile bene: il sentimento umanissimo della fratellanza, l’essenza stessa della vita, grazie. gr
Fo to Alb er to Mi ri mao
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Una via di bellezza ed armonia alla ricerca di se stessi Il santo di Assisi, seguendo le orme del Vangelo, nella sua breve vita terrena, peregrinò costantemente, spostandosi da una piazza comunale all’altra per predicare; ritirandosi, nei tempi intermedi, in eremi, piccoli conventi e in ambienti naturali incontaminati. Il suo continuo viaggio ebbe come regione privilegiata l’Umbria, ma fu constante e frequente anche nelle regioni limitrofe. E ancora non possono non citarsi, il noto viaggio in Oriente per la conversione del Sultano, ed un viaggio sino alla tomba di San Giacomo. Il pellegrino scoprirà antichi sentieri, vecchie vie, remoti camminamenti e percorsi che potranno accompagnarlo nella conoscenza della vita del Santo Assisiate.
Nella natura Umbra Il Cammino attraversa centri umbri più o meno noti sia località che, conseguentemente al passaggio di Francesco, si sono arricchite di architetture ed opere d’arte eccezionali. Località dove sono rimaste pressoché intatte la natura e la semplicità di otto secoli fa, dove visse e operò e dove ha lasciato impresse le orme della sua Santità, vicende desumibili dai Fioretti e dalle Vite. Circondati dalla prepotente bellezza della natura i pellegrini di questa antica, ma al contempo nuova via, possono al fine giungere all’agognata meta: giungeranno ad Assisi con il cuore ricolmo di bellezza e di gioia.
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Presentazione del progetto del cammino di San Francesco Il poverello di Assisi riempì l’Umbria della sua presenza; la sua profonda spiritualità e il suo fervente apostolato furono così apprezzati che quasi ogni grotta, romitorio, centro piccolo o grande, nel quale dimorò, divennero subito e nei brevi anni susseguenti alla sua morte, sedi di conventi e chiese dell’ordine francescano. I viaggiatori e i pellegrini, che avevano come mete principali dei loro viaggi Gerusalemme, Roma e Santiago ebbero anche un grande interesse per l’Umbria terra di Santi e vennero attratti, in particolare a partire dal secondo decennio del XIII secolo, dalla tomba di Assisi. Nacque così ed è ancor oggi confermata un’immagine dell’Umbria, quale regione verde, ove ad ogni passo il contatto con la natura è assicurato e quale ragione santa, grazie alle grandi figure che in essa ebbero i natali o in questa operarono. Questi due caratteri assicurano al visitatore la possibilità di un periodo di riflessione per ritrovare se stesso ed un ristoro alle crisi causate dalla rumorosa civiltà moderna. Ritrovare i luoghi medievali nei quali Francesco si recò è stato compito arduo, ma non impossibile, in quanto pressoché tutti i luoghi a lui riconducibili sono sempre stati attivi, meno integri invece sono i percorsi storici: mulattiere e sentieri oggi scomparsi o sostituiti dalla nuova viabilità. Compito del progetto è stato quello di recuperarli e di renderli attivi per far sì che il pellegrino possa, nel silenzio dei questi percorsi, ritrovare se stesso. Paolo Leonelli
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Pr im o P i a n o NESSUNO SI SALVA DA SOLO di A chi gli chiede il perché di questo consolidato sodalizio artistico (e privato) con Margaret Mazzantini, Sergio Castellitto risponde che la scrittura di sua moglie è perfetta per diventare un film, e che il suo vantaggio è quello di conoscere quelle storie e quei personaggi sin dalla nascita, quando sono ancora bozze su fogli di carta. Forse questa volta più di altre la scrittura della Mazzantini era adattabile in forma di sceneggiatura: la teatralità del romanzo, l'assoluta predominanza dei dialoghi, la limitatezza degli ambienti rendevano la vicenda di Nessuno si salva da solo un perfetto materiale cinematografico. Peccato che a lasciarsi scappare le buone occasioni ci voglia poco, molto poco. L'errore di Castellitto (a pochi anni di distanza dall'altro tentativo fallito di Venuto al Mondo) è quello di perdersi nella macchina cinematografica e nelle infinite possibilità che i suoi giocattoli possono offrire. I successi al botteghino (pressoché scontati in quanto trainati dalle vendite dei romanzi) portano i budget a lievitare, e con essi (evidentemente) le smanie creative del suo autore. Ed ecco una storia, che sulla carta poteva definirsi carnale, autentica, sporca e viva come la realtà di tutti i giorni, che si trasforma in un grande spot pubblicitario, dove ogni cosa è al suo posto, dove tutti sono belli e ben vestiti, dove le musiche fanno sempre (e sottolineo sempre) da contrappunto ai momenti di maggiore intensità. L'esatto opposto di quello che la storia di Delia e Gaetano richiedeva. Una storia legata a doppio filo con la carne, con l'avidità di corpi che si attaccano e si consumano a vicenda, con lo squallore e il
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Sergio Castellito
marcio di una vita che pian piano si avvita su se stessa, portandosi dietro i sogni e le speranze di una gioventù arrogante e vissuta in ogni suo istante. Una storia che ha il sapore acre della vita vera, fatta di sporcizia, di ambienti consumati e spogli, di anime disperate e consumate da un amore più grande di quanto entrambi possano sopportare. Qualche anno fa Castellitto fece il miracolo (sì, lo ripeto: il miracolo) di partorire quel grande film che fu Non ti muovere. Un film che ti rimaneva aggrappato alla pelle, che colpiva al cuore e allo stomaco, che ti lasciava senza il fiato e il coraggio di rialzarti dalla sedia. Le ambizioni e la sostanza delle vicende raccontate in questi film non sono cambiate, ciò che nutre e alimenta il talento e la curiosità della Mazzantini resta sempre la disperazione e la grandezza della vita quotidiana, e di quei protagonisti che sono sempre dei piccoli eroi moderni, con le loro sofferenze e i loro errori spesso irreparabili. Quello che è cambiato è il sentimento con cui Castellitto ha scelto di raccontare queste storie. Che sia colpa solo e soltanto dei soldi (e con essi la produzione che sta alle spalle di un film) non è dato saperlo. Ma quel che è duro da costatare è che ancora una volta ci si trova di fronte ad un pressoché vuoto esercizio di stile, quasi sempre freddo e poco credibile. E vien da chiedersi allora a cosa serva dividere la tavola con l'autrice delle tue storie, se poi puntualmente se ne stravolgono Lorenzo Tardella le fondamenta. Per altre recensioni visitate il blog www.ilkubrickiano.wordpress.com
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MARE MONSTRUM Il 20 aprile alle ore 21.00 va in scena al Teatro Secci di Terni lo spettacolo conclusivo dei laboratori di Progetto Mandela dedicato quest’anno al fenomeno delle migrazioni e alle tragedie dei profughi. Da novembre 2014 una settantina di giovani provenienti da tutte le scuole superiori di Terni e studenti universitari si incontrano nei laboratori di drammaturgia, recitazione, scenografia, costumi, comunicazione e musica per lavorare alla realizzazione dello spettacolo. Grazie al finanziamento dell’OTTO PER MILLE della Tavola Valdese e al contributo del Comune di Terni, nonostante le difficoltà logistiche (la mancanza di una sede adeguata), anche quest’anno l’Associazione, fondata nel 1989, sta portando avanti un progetto culturale e teatrale complesso, dedicato ai diritti umani che coinvolge i giovani e la città tutta in una riflessione su un tema di bruciante attualità. Lo spettacolo prende di mira la gestione politico burocratica del fenomeno delle migrazioni da un lato e dall’altro da voce a chi è costretto per miseria, violenza, guerre o carestie a lasciare la propria terra e le proprie radici per cercare un proprio futuro lontano. Le continue tragedie nel Mediterraneo, dove centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini continuano a perdere la vita perché l’Europa sa erigere solo muri, sono al centro di questo spettacolo. Lo stridente contrasto tra le storie di vita dei profughi e le leggi sull’immigrazione dell’Italia e dell’Europa, l’indifferenza e l’ignoranza rispetto al fenomeno di molta parte della popolazione, la strumentalizzazione politica, il razzismo e gli interessi della malavita fanno da trama a MARE MONSTRUM. Un’occasione da non perdere per riflettere con leggerezza e poesia sul diritto alla libertà di tutti gli esseri umani di scegliere come e dove vivere la propria vita. Sono previste matineé per le scuole il 20 e 21 aprile. Per informazioni e prenotazioni: mail: progetto.mandela@gmail.com, tel. 3472453278
Programma Aprile 2015 Lungo cammino verso la libertà
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14 aprile
22° incontro
21 aprile 28 aprile 5 maggio
23° incontro 24° incontro 25° incontro
Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani e delle loro violazioni Terni, Auditorium di Palazzo di Primavera, ogni martedì dalle 15,30 alle 16,30
GENOCIDI E STERMINI, PARTE V: La resistenza ebraica: il ghetto di Varsavia. la soluzione finale, il genocidio dei Rom (Porrajmos) e lo steminio degli omosessuali. 7° MODULO: Tortura, Schiavitù, Pena di morte. LA SCHIAVITÙ IERI E OGGI LAPENA DI MORTE IERI E OGGI
I settant’anni di Marcello Ricci Festa a sorpresa in stile mandeliano
A giudicare dalla sua espressione stupita, Marcello Ricci certamente si aspettava di trovare qualche amico, ma non quella piccola folla che lo scorso 25 febbraio si è riunita in sala Laura per festeggiare il suo settantesimo compleanno. Lo attendeva, sorridente, un folto gruppo di persone di ogni età, dai piccoli in passeggino ai suoi colleghi e amici di sempre. Il Progetto, organizzatore della serata, l’ha voluta allietare con musica, sketch e poesie, com’è suo stile. La festa è iniziata con una carrellata di fotografie ritraenti Marcello, i suoi innumerevoli sforzi nel cercare di far crescere l’associazione culturale da lui fondata, e i mille personaggi a cui ha dato vita: lo vediamo nei panni di un professore fascista, per poi ritrovarlo cardinale, partigiano, e chi più ne ha, più ne metta. “Amarcord”, questo, che ha regalato un sorriso agli amici, e anche risate fragorose, vedendolo ora ammiccante e circondato da belle ragazze, ora sonnecchiante su un prato, sotto il sole primaverile. Non è mancata la musica: da uno scanzonato “Tristezza, per favore va’ via”, all’amato De André che, come nessun altro, si fece interprete di valori che Marcello ha sempre portato avanti, con il suo perenne impegno nella difesa dei diritti umani e nella diffusione della loro conoscenza tra la popolazione ternana (e non solo). Non dimentichiamo, tuttavia, che Marcello è soprattutto un professore, anche se fuori dagli schemi! Lo hanno voluto sottolineare i suoi colleghi con un divertentissimo siparietto basato sulla figura del perfetto insegnante: un automa della didattica, che non intrattiene rapporti con i suoi alunni né tantomeno li coinvolge in attività extracurricolari che li sottraggono allo studio pedante. Ritratto, questo, che non potrà che far sorridere chi lo conosce, sapendo quanto poco gli si addica un modello così asettico! Anche i ragazzi del laboratorio di recitazione hanno voluto dare il loro contributo: c’è chi ha riadattato un estratto di una commedia di Molière, chi ha proposto delle scene dei primi spettacoli di Progetto Mandela, chi una poesia di auguri in tedesco, che i partecipanti non pratici della lingua hanno potuto apprezzare grazie a un’artista che ne ha mimato il contenuto in maniera efficace e esilarante. Non poteva mancare un’improvvisazione riguardo un giorno tipo al corso sui diritti umani, in cui abbiamo visto il nostro festeggiato alle prese con la tecnologia e gli immancabili guasti tecnici, in quel clima di calore e affetto che da sempre si respira in questo ambiente. Chi non c’era, non si è dimenticato di lui: sono stati molti a volergli fare gli auguri tramite una serie di video che sono stati proiettati durante la serata. È stato meraviglioso vedere quanti hanno voluto dimostrargli la loro vicinanza pur se fisicamente lontani: ex ragazzi del progetto che ora studiano o lavorano fuori, altri che hanno messo su famiglia, o che si stanno godendo una meritata vacanza all’estero e hanno voluto comunque contribuire con allegria alla festa. Non poteva essere altrimenti: Marcello è sempre presente quando si ha bisogno di un consiglio o, semplicemente, di qualcuno che sappia ascoltare e offrire il proprio supporto, e ci riesce divinamente. Con i suoi piccoli gesti, ha aiutato tanti a trovare la propria strada e il coraggio per seguirla fino in fondo, con quella semplicità e umiltà che lo contraddistinguono. Alla fine, tra fotografie, auguri e abbracci, a Marcello è anche scappata una lacrimuccia di fronte all’affetto mostrato da tutte queste persone. Claudia Cavalieri
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C entenario italiano de lla G
La prima gue I l v ol t o d i su m a n o d ella guerra Secondo lo storico britannico Hobsbawm fu proprio la Prima Guerra Mondiale l’evento che segnò l’inizio di quello che definì poi il secolo breve. Enorme è infatti la frattura che questo conflitto causò nella storia, segnando inevitabilmente un prima e un dopo, soprattutto nel contesto europeo ma non solo. Non ci fu cittadino, uomo o donna che fosse, che non visse sulla propria pelle le catastrofiche conseguenze che la guerra comportò, e che non fu pienamente coinvolto nel conflitto. Se furono dieci milioni, infatti, i soldati rimasti uccisi sul fronte, le vittime totali della guerra raggiunsero la tragica cifra di 50 milioni, tra i quali si contano i civili e i morti di Spagnola. Anche la vita di coloro che rimasero nei loro paesi e città non fu ovviamente la stessa, ma venne violentemente straziata dalla miseria crescente, dalle sanguinose notizie provenienti dal fronte e soprattutto dai lutti fin troppo frequenti che colpirono ogni famiglia. Di fronte ad un così tragico scenario, è dunque inevitabile domandarsi il motivo che spinse l’Italia ad entrare nel conflitto, ma soprattutto cosa suscitò la forte volontà di parteciparvi che coinvolse la gran parte del popolo italiano e, più largamente, europeo. Sappiamo infatti che anche la maggior parte dei gruppi socialisti d’Europa, come i laburisti inglesi, i social-democratici tedeschi e i socialisti francesi, accettarono di votare i debiti di guerra, venendo meno al principio di internazionalità pacifista introdotto da Marx. Ad eccezione dei turatiani italiani e dei bolscevichi russi, dunque, anche i restanti socialisti europei vennero contagiati dalla bellicosa passione interventista, che imperversava ormai tra gli Stati d’Europa. Una sorta di coinvolgimento psicologico, malsano e largamente diffuso, era sorto infatti tra i cittadini delle diverse Nazioni, sostenuto e alimentato dai diversi schieramenti interventisti infiammati, in Italia, da personaggi carismatici e influenti come Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele D’Annunzio. Il primo, autore del Manifesto del futurismo italiano, redatto nel 1909, scriveva: Noi vogliamo glorificare la guerra -sola igiene del mondo-, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo per la donna, mentre il secondo, fautore della guerra più per i personali intenti superomistici che per un vero e proprio interesse collettivo, spronava il Paese alla guerra al grido di Alalà! L’Italia dunque, annebbiata e confusa dalle grida nazionaliste dei futuristi come Giovanni Papini, che acclamava la fine della “siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria” e la necessità di “un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne”, influenzata dai princìpi irredentisti di Damiano Chiesa e Cesare Battisti e dalle idee antidispotiche, peraltro incoerenti, di Gaetano Salvemini, nel 1915, dopo aver firmato il trattato di Londra, entrò in guerra. Vittorio Emanuele III, infatti, confermando il governo Salandra, orientato all’intervento, sconfessò il Parlamento, in maggioranza neutralista. Inconsapevole di ciò che avrebbe voluto significare la partecipazione al conflitto, l’Italia uscì così definitivamente dalla Triplice Alleanza e si schierò a fianco dell’Intesa, incantata dalle parole di chi, come D’Annunzio, non partecipò davvero, e non conobbe il freddo, la fame, il dolore, la paura e l’attesa delle trincee sepolte sotto la neve alpina. La follia cieca e malata sorta nei tempi precedenti al conflitto perdurò poi negli anni successivi giungendo, nel ‘17, all’adozione della tecnica della decimazione, che vedeva addirittura i soldati uccisi dai comandanti del loro stesso esercito. Per chi partecipò davvero alla guerra, le parole violente dei futuristi sono un insulto profondo ed un’offesa. “Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita”, scrive il poeta Giuseppe Ungaretti dalle trincee della Prima Guerra Mondiale, accanto al corpo massacrato di un compagno ucciso. Chi visse davvero il tormento e la sofferenza della guerra, e non si limitò a sorvolarla dall’alto (come invece fece D’Annunzio a bordo del suo aliante), ci rivela quello che questo conflitto fu realmente. Solo le parole dei milioni di uomini al fronte, ogni giorno così vicini alla morte, possono lontanamente farci intuire i sentimenti delle numerosissime vittime che non vennero ricordate con altro che un numero, che ne annotava la quantità. Vite umane usate come pedine di una scacchiera, che Benedetto XV definì “un’inutile strage”. Pedine mosse da Nazioni pronte a sacrificarne interi milioni in una sola battaglia, come avvenne nel 1916 in quelle di Verdun e La Somme. L’igiene che i futuristi acclamavano non si realizzò, pur nel vuoto che tanto auspicavano: “La guerra mette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio, lascia meno bocche intorno alla stessa tavola”. Quello che i futuristi non consideravano era l’animo con cui gli stessi commensali di quelle tavole potessero sedervi e mangiare, accanto a sedie alle quali sedevano assenze così pesanti e rumorose da essere più ingombranti di qualsiasi presenza. Quello che i futuristi non considerarono fu l’effetto di quel vuoto che la guerra portò nelle case e nei cuori della gente. La vera faccia della guerra è questa. Non sono trattati, territori ottenuti, cifre, princìpi, comandi, strategie, metri conquistati e metri perduti. La guerra la fanno i soldati sul campo, non i generali seduti alle loro comode scrivanie, come descrive efficacemente Stanley Kubrick nel film “Orizzonti di gloria”. La guerra non è burocrazia, è sangue, ferite, paura, freddo, fame, buio, morte, attesa. La guerra è anche l’attesa di chi restò a casa ad attendere qualcuno di cui non sarebbe più tornato neanche il corpo. L’attesa è la speranza di chi la guerra la osservava da lontano, ma pur sempre da più vicino di chi la cantò, ma non la conobbe mai davvero. Ma la dama abbandonata / lamentando la sua morte / per mill’anni e forse ancora / piangerà la triste sorte. / Fila la lana / fila i tuoi giorni / illuditi ancora che lui ritorni / libro di dolci sogni d’amore / apri le pagine al tuo dolore. Valeria Croce III D
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G rande Gue rra ( 1 9 1 5 - 2015)
rra mondiale C ultura d e l c onf litto Se fossi stato lì, amico mio, non diresti con grande zelo ai figli in cerca di una gloria disperata l’antica bugia: Dulce et decorum est pro patria mori. Wilfred Owen, Dulce et Decorum est E se è vero che nell’uomo non c’è il gene della guerra, è anche vero che non c’è neanche quello della pace. Ugo Morelli, Non c’è pace senza conflitto
Dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne, ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero, scrive Giovanni Papini per celebrare lo scoppio di uno dei più grandi conflitti ai quali la storia sia stata costretta ad assistere: la prima Guerra Mondiale, definita non a caso “la Grande Guerra”. Essa non fu, in realtà, che il prodotto finale di un clima malato, di un atteggiamento oltremodo bellicoso e sprezzante che le varie nazioni avevano assunto, anche grazie alla spinta del Capitalismo e dell’Imperialismo, espressioni della mentalità di fine Ottocento e inizio Novecento. Le grandi celebrazioni, i canti e le poesie di guerra che furono composte in onore della lotta superarono di gran lunga le poche e a volte timide opposizioni, che non furono affatto efficaci, soprattutto per quel che riguarda l’Italia, e anche se nel settembre 1915 si teneva un convegno in Svizzera, a Zimmerwald, che riuniva tutti i gruppi socialisti contrari alla guerra nel disperato e ormai utopico tentativo di ristabilire la pace, nel frattempo la Grande Guerra imperversava su tutti i fronti e la voce, seppur convinta, dei socialisti non raggiunse le orecchie sorde delle diverse nazioni. Molti intellettuali e poeti, tra cui D’Annunzio, Pascoli, Owen e Hemingway, celebrarono l’inizio del conflitto e spronarono il loro pubblico ad accettarlo, anzi ad esserne entusiasti, e la maggior parte di loro si accorse troppo tardi delle terrificanti e disastrose conseguenze che avrebbero schiacciato l’Europa nel dopoguerra: la più terribile, forse, fu proprio l’inasprimento del controllo e della repressione statale che porterà inevitabilmente a successivi regimi totalitari e assolutistici. La domanda da porsi è perché l’Europa non seppe prevedere l’imminente disastro, ma, al contrario, andò incontro ad esso e perché, come disse Papini, i civili furono subito pronti a ritornare selvaggi. Come si è detto, il clima europeo era cambiato e già da tempo le nazioni contendenti andavano disputandosi territori, colonie e persino mari. Quindi l’iniziale euforia nei confronti della guerra, che si diffuse rapidamente, quasi come una follia collettiva, nonché la constatazione che da sempre l’uomo pratica l’arte della guerra e che la Prima Guerra mondiale non fu certamente l’ultima, ci potrebbero portare a concludere che nell’uomo debba esserci un qualche gene della guerra o del conflitto; tuttavia, come afferma Ugo Morelli nel suo articolo Non c’è pace senza conflitto, la guerra è probabilmente frutto di condizionamenti storici, nonché di manipolazioni sociali attuate grazie alle tecnologie di massa e ai mezzi di comunicazione e per questo non potrebbe essere definita con esattezza un frutto naturale dell’uomo. Eppure, purtroppo, non sempre il desiderio di pace prevale nell’uomo e non sempre quest’ultima è in grado di mettere definitivamente punto dopo una guerra. Paradossalmente, infatti, nel 1919, gli stessi tentativi di ristabilire un equilibrio, di arrivare ad una pace, una piccola pace dopo una grande guerra, si connotarono presto di bellicosità e le dure condizioni imposte alle nazioni sconfitte misero in luce che il germe dell’aggressività non era ancora scomparso dall’Europa. Pochi anni dopo, come conferma del persistente malanno, ci sarebbe stata la Seconda Guerra mondiale, ancor più disastrosa e devastante della prima. Il mito della guerra è dunque difficile da sopprimere, anche se si considera la guerra non come prodotto diretto dell’interiorità umana, ma come sovrastruttura imposta dalla società attraverso una violenta propaganda. La società e lo Stato, infatti, come avvenne per la Prima Guerra mondiale, ma come sempre avviene in tempo di guerra, tentano di convincere l’uomo della necessità del conflitto e dello scontro, presentando la guerra come bisogno fisico, strumento necessario per lo sviluppo e il progresso della nazione. Le masse vengono così animate, incitate, illuse da quella che Owen definì la grande bugia, ovvero la bellezza e la nobiltà della guerra e la dignità che scaturisce dalla morte gloriosa, al fine di proteggere la patria, sacrificio che rimane spesso anonimo, poiché molti dei soldati vengono dimenticati, svaniscono come portati via dal vento. A questo punto una possibile soluzione sembrerebbe una propaganda pacifista che sproni l’uomo ad aborrire l’orrore della guerra, a rifiutare la ormai radicata cultura del conflitto e ad abbracciare una cultura della pace. Tuttavia, anche questo tipo di cultura potrebbe portare effetti negativi, nel momento in cui quegli umori bellicosi che l’uomo sfogava in parte nella guerra esterna si riversino, al contrario, in una sorta di guerra interna alla società o all’individuo stesso, creando ben altro tipo di disagi. Probabilmente, l’unica vera soluzione sarebbe quella di diffondere un’idea di conflitto positiva, ovvero presentare lo scontro di differenze come un confronto pacifico necessario, che non sempre debba portare inevitabilmente ad una vera e propria guerra. Significherebbe tradurre l’aggressività, che è in parte una componente costitutiva dell’uomo, con il suo significato letterale: ad-gredior significa letteralmente avvicinarsi ed è proprio avvicinarsi all’altro e scontrarsi in un certo senso con l’altro, ma con armi non violente, che può portare a forme di conflitto utili, produttive e prolifiche; una guerra intesa in questo senso non può che essere positiva e può trasformarsi in energia benefica per il motore dello sviluppo e del progresso. Senza scontro non c’è progresso, senza confronto e conflitto non può esserci rinnovamento. Si tratta soltanto di intraprendere un tipo di guerra diverso da quello che troppo spesso e troppo facilmente l’uomo ha promosso. Solo così l’espressione cultura del conflitto può connotarsi positivamente, cessando di essere artefice e promotrice degli orrori della guerra e assumendosi, al contrario, il merito di far emergere e prevalere la parte migliore dell’uomo. Valentina Sernicola III D
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Pasquetta Tempo permettendo, visto anche il disordine atmosferico in cui siamo caduti, non sarebbe male tornare in massa a fare Pasquetta. Tra le tante sane tradizioni delle comunità della Conca si usava andare come si dice “fuori porta” a festeggiare il Lunedì dell’Angelo. Non è che si andava nei parchi e nei monti con l’aspettativa di incontrare lo Spirito Celeste e ascoltare la lieta notizia della resurrezione di Cristo Gesù. La scampagnata aveva tutt’altre finalità legate alla terra, giocare all’aperto, riprendere il contatto con la Natura che stava rifiorendo dopo l’invernata. Tante comitive cantavano e ballavano a suon di fisarmonica o col giradischi portatile, quello di colore arancione. Per cui più che il risveglio delle anime si assisteva al recupero dei corpi dopo il torpore delle giornate grigie e corte. Famiglie molto allargate sorridenti qua e là sdraiate sul verde con al centro i nonni, i bimbetti scorazzanti attorno (e che urlavano come gli indiani) metri e metri di tovaglie e coperte distese in terra, piatti, bottiglie e tegami a non finire. Non sembrava affatto una merenda o “merennata”; per la quantità e varietà delle vivande esposte era più una rappresentazione di un pranzo matrimoniale. In effetti costituiva un rito di ri-unione, di rinvigorimento dei legami affettivi e sociali, divertirsi con semplici cose con l’augurio sotteso di tirare a campare in buona salute. Molto probabilmente c’era anche un inconscio desiderio di manifestare l’amore per la Natura (con la N grande), di sentire la purezza dei suoi profumi, godere dei suoi colori seppure distrattamente tra un boccone e l’altro, tra un bicchiere di vino e l’altro. I ternani si riversavano in Valnerina, sui prati di Stroncone, presso le acque di Piediluco, del Nera, sui monti Cesani, con l’intimo bisogno di ritrovare le proprie radici, così come venivano estratti dal terreno la cicoria, il finocchietto selvatico, gli asparagi. Chissà se tornando su questi luoghi possano riemergere nelle coscienze le immagini arcaiche dei contadini e degli operai, nostri avi, intenti a irrigare i campi e ad azionare le prime fucine? Celebrare la Pasquetta nei pressi della Cascata rappresentava anche un rito di ringraziamento per il nostro petrolio dell’epoca, ovvero dell’acqua “benedetta” che inondava di energie le Valli e la Conca. I Narnesi in fila si recavano alla Rocca magari per avere un contatto con lo spirito del Gattamelata e tornare a casa con più fierezza e coraggio. Quelli di San Gemini, tra cui il sottoscritto, in processione verso Carsulae, carichi di libagioni varie e pieni di gioia per la bella ricorrenza che si era interrotta solo con la guerra. Camminare sulla vecchia strada romana, mettere i piedi tra i solchi scavati dalle ruote dei carri, vedersi circondati da enormi pietre squadrate, colonne, archi e tombe non potevi non pensare subliminalmente ai soldati romani, alla crocefissione e alla resurrezione di Gesù. A proposito delle antiche sepolture, tra i primi a scovarle e a scavarle con le nostre mani fummo noi ragazzacci del tempo. Poi a grande distanza di anni arrivarano gli esperti a spolverarle... Rispetto ad altri luoghi più laici a Carsulae si avvertiva veramente qualcosa di religioso e forse ancora oggi è più facile sentire l’Annuncio dell’Angelo, perché qui c’era Roma quando discese dal cielo e apparve, “fuori porta” di Gerusalemme, e parlò ai discepoli di nostro Signore. Per noi, bardasci di quegli anni, l’antica cittadina romana era un meraviglioso parco “giochi”, offriva numerose ambientazioni sceniche, una specie di cinecittà. Foto, sotto o sopra l’arco di San Damiano, tra amici o abbracciati alla bardascia (come cantano gli Altoforno), caccia al tesoro, recite improvvisate nel teatro, a pallone perfino nell’anfiteatro, dove ci sentivamo gladiatori nel Colosseo. Ogni volta che si andava tra quelle rovine, e ciò capitava spesso, anche perchè Sangeminesi e Carsulani, leggendo la storia, erano parenti, ci aspettavamo di vedere squadre di archeologi impegnati a restituirci, nell’antico splendore, il complesso teatro-anfiteatro. Pare che fra poco (?) verranno iniziati i lavori di recupero, cosa che con palette e secchielli, in mezzo secolo, l’avrebbero realizzato i bambini... Qualche mese fa in TV fecero vedere che nei sotterranei dei musei della capitale sono ammucchiati, giacenti e dormienti tra la polvere, una quantità incalcolabile di reperti ed opere antiche; perché non portarle al micromuseo di Carsulae e farlo diventare un museo di nome e di fatto? Ora quanto detto per Carsulae sulla mancata, sulla omessa valorizzazione storico-turistico-culturale, del suo contorno ecc. ecc. vale anche per gli altri ambienti sopra citati e di tutte le altre potenzialità frustrate e soffocate dalla superficialità e dalla distrazione (per non dire parolacce...) di quanti hanno amministrato questi beni. Abbiamo parlato delle usanze delle comunità locali per la Pasquetta, abbiamo parlato di riordinare e di fare pulizia (e, come si dice, pulizie di Pasqua... pensate se Carsulae fosse stata in Svizzera...) nei nostri luoghi sacri-profani, abbiamo parlato di igiene mentale e morale di chi vive accanto a questi valori e li trascura o peggio li deturpa con errori (e peccati…) ed omissioni. Chissà se prima o poi l’Angelo non appaia a qualcuno, affinché torni a diffondersi lo spirito di resurrezione di cui c’è un immenso bisogno tra le nostre genti? Aldo Zerbini
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