Numero 1 3 5 maggio 2016
Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
G I O C H I D E L L A VA L N E R IN A
EDIZIONE
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Giochi di terra, acqua, aria, fuoco, etere 29, 30 Settembre - 1, 2 Ottobre 2016
Giochi d’aria
Le ragioni della Norvegia Il 22 luglio 2011 è un venerdì: per molti norvegesi, è il giorno più cupo e triste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ad Oslo, Anders Behring Breivik, in quel venerdì, trascorre la mattina ripassando il programma che si è prefisso di portare a termine nella giornata, e poco dopo pranzo entra in azione: alle tre e venticinque del pomeriggio, la macchina da lui parcheggiata di fronte alla casa del Primo Ministro norvegese, Jens Stoltenberg, esplode e uccide otto persone. I feriti sono più di duecento, dodici in modo grave. Stoltenberg è il leader del Partito Laburista Norvegese: le notizie sugli attentati corrono veloci, e probabilmente le prime cominciano già ad arrivare anche a Utøya, minuscola isola sul lago Tyrifjorden, dove la sezione giovanile di quello stesso Partito Laburista ha organizzato un campus. È probabile che i molti ragazzi riuniti sull’isola stessero appena cominciando a commentare le prime voci sulla strage di Oslo: forse alcuni, vedendo comparire l’uomo in divisa da poliziotto, avranno fatto in tempo a pensare che quell’arrivo fosse un risultato dell’allerta scatenato proprio da quell’attentato. Ma è più probabile che non abbiano avuto neppure il tempo di pensare, perché Breivik non è tipo da lasciare a nessuno il tempo di un respiro. È lui, infatti, che si è travestito da poliziotto: lui, che meno di due ore prima aveva fatto esplodere l’autobomba nella capitale, arriva in quell’isoletta piena di ragazzi, e dà subito inizio alla seconda -e più terribile- parte della strage. Uccide a colpi di pistola i responsabili del campo, insospettiti da quello strano uomo armato che sostiene di essere sul posto per cercare possibili bombe; poi cambia arma, prende un fucile automatico e con questo, senza fretta, senza correre, senza l’ombra di un’emozione, comincia a sparare sulla folla di ragazzi. Con metodo. Ci vorrà un’ora e mezza prima che le forse speciali della polizia norvegese riescano ad intervenire sull’isola: e quando finalmente ci riescono, trovano Anders Breivik che si lascia catturare senza opporre resistenza; ma trovano anche la carneficina dei cadaveri di 69 ragazzi: tutti di età compresa fra i 14 e 20 anni. Oltre ai morti, sull’isola ci sono anche 110 feriti, tra i quali 55 in modo grave. Breivik non ha mai mostrato traccia di pentimento. Al processo
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saluta con il braccio teso dei nazisti, non ha mai esitato a riconoscersi come l’autore della strage, e probabilmente è davvero convinto, dentro di sé, di essere un “eroe cristiano che combatte il veleno della società multiculturale” in nome dei valori dell’Occidente. La corte di giustizia norvegese lo condanna al massimo della pena: 21 anni di reclusione. Breivik viene così rinchiuso nel carcere di Skien: è uno dei carceri migliori della Norvegia, e le carceri norvegesi sono da tempo definite “le più umane del mondo”; non celle, ma trilocali che fanno invidia a molti appartamenti italiani: TV a schermo piatto, playstation, bagno con doccia, scrivania, persino un angolo palestra, e la possibilità di uscire nel cortile quando si vuole. Ma Breivik fa comunque causa allo stato norvegese per “trattamento crudele e inumano”: si lamenta di molte cose, perfino del caffè troppo freddo, e soprattutto dell’eccesso di isolamento. Il giudice norvegese, la signora Helen Selukic, respinge molte delle sue proteste, ma accoglie quella dell’eccesso di isolamento; e di conseguenza condanna lo stato norvegese a indennizzare il massacratore neo-nazista. La notizia corre sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, e veicola sempre, in maniera più o meno esplicita, la domanda piena di stupore: com’è possibile che si conceda tanto a uno come Anders Breivik? Uno che, a dar retta all’istinto, merita solo d’essere lasciato marcire in una fogna, o meglio ancora dato in pasto ai genitori e ai parenti dei ragazzi morti, con licenza di linciaggio? Perché tanti incredibili privilegi, per chi si è dimostrato più feroce del peggiore degli uomini? La domanda è naturale e istintiva, e la risposta -se solo ci si sofferma per un istantelimpida e ragionevole: i norvegesi non fanno questo per Breivik, lo fanno per loro stessi. Lo fanno perché hanno deciso a suo tempo che l’ergastolo è pena inumana, e non la comminano agli uomini; lo fanno perché hanno deciso a suo tempo che tutti hanno dei diritti inalienabili, e che quel “tutti” comprende anche i peggiori degli uomini; lo fanno perché hanno costruito un senso comune dell’etica, dell’amministrazione della giustizia, della civiltà, e pensano che queste conquiste non possono essere barattate in cambio di Anders Breivik. Lo fanno per la Norvegia, e devono essere ammirati. Un sistema giudiziario che salvaguarda i diritti di chi i diritti ha, a prescindere dal fatto che se li meriti. Un sistema che non si adagia e non si adegua sull’orrore della colpa, sull’identità della vittima o peggio ancora su quella del colpevole, ma che si dà delle regole, e le rispetta. La Norvegia ricorrerà in appello, contro la sentenza a favore di Breivik; e forse l’appello rovescerà il verdetto, forse lo confermerà. Ma l’importante è che tutto accada secondo le regole, soprattutto quando queste sono regole di altissima civiltà, come sono -e mai come stavolta lo hanno dimostrato- quelle norvegesi. P ie ro F a bbr i
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Giochi della Valnerina Cinque elementi, magicamente fusi: la terra, originata da fuoco eruttivo e da emersione dalle acque, respira profumi primaverili, in ogni stagione; l’intreccio sublime di storia e di arte ingenera poi quinta essenza. Sali minerali, che marina e lapilli sigillarono con dovizia, immergono l’Umbria in sapori, di ara in ara, diversi. Necropoli, templi, città sotterranee, monasteri, abbazie, conventi, castelli, borghi, torri e muraglie costituiscono l’irripetibile patrimonio archelogico, artistico, architettonico sedimentato in Umbria da Etruschi e Romani, da Medioevo e Rinascimento. Il caleidoscopio, dominato dal verdeumbria, è arricchito da tenui colori: il rosa pallido, il giallo tufaceo, il miele ambrato, l’azzurro cenerino, il rosso mattone delle sue pietre e dei suoi tufi. Su campi e su alture, su gobbe, su piane, ovunque distesi uliveti e vigneti. Querce, pioppi, aceri, olmi a guardia di fiumi e di rivi ondulati. Una sull’altra le case, arrampicate fino a fortezze feudali. Umbria, misura umana, oasi di pace. “Umbria” è una delle parole più note al mondo: ed è già, questo, un patrimonio rilevantissimo. La nostra regione è ovunque conosciuta come Cuore verde d’Italia. Noi sappiamo che è, altresì: Cuore vetusto, centro degli episodi, storici e culturali, più importanti del Paese, Cuore geografico, crocevia dei quattro punti cardinali, Cuore puro, come la cristallinità delle sue tante acque che arricchiscono una infinità di fiumi, laghi, cascate, fonti, rivoli, ruscelli, Cuore vitale, con le sue acque minerali e le sue terre, emerse e laviche, che assicurano la più alta concentrazione di sali minerali al mondo, Cuore pulsante, per l’umanità dei suoi abitanti e la purezza dei luoghi che ne fanno la terra che dona al mondo il maggior numero di grandi santi, i quali, a loro volta, hanno ancor più fecondato la spiritualità degli umbri rendendoli oggi i primi messaggeri al mondo di appelli di pace, fratellanza, solidarietà, in breve di diritti umani. Tutto ciò trova corrispondenza nella quieta serenità del vivere in Umbria, nei nostri paesini, nei nostri agriturismi, ove si gode davvero del gusto dell’assaporare, dell’odorare, del toccare e del vedere. Vedere i colori dell’Umbria, il suo famoso verde, anzi i verdi dell’Umbria! Proprio per questo la nostra regione deve essere vissuta, toccata, respirata. Ogni pubblicità, anche se particolarmente seguita e curata da grandi professionisti, nella Regione e nelle agenzie turistiche, presentata attraverso qualsiasi media, potrà emozionare solo di una inezia rispetto alla totalità delle sensazioni che si provano nello stare dentro a questa meravigliosa terra. Ecco allora il senso dei miei progetti: grandi eventi che facciano conoscere l’Umbria per esperienza diretta. Gli eventi dovranno, ovviamente, essere tutti coerenti, armonici, coniugati con l’immagine della regione che dovremo sempre più cristallizzare e far conoscere. In settembre-ottobre, dopo lo straordinario successo di Terni, città di San Valentino, capitale dei Diritti Umani, inauguriamo altri due eventi: Giochi della Valnerina e Terni Pasticciona che saranno poi congiunti, non solo idealmente, al primo.
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Le ragioni della Norvegia - P F a b b r i C N A - C O N F E D E R A Z I O N E N A Z I O N A L E A RT I G I A N AT O Giochi della Valnerina - G R a s p e t t i B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale Suonami, io sono tuo - A Melasecche C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T Á T R A S P O RT I Il piccolo ricettore nucleare: una storia d’amore - F P a t r i z i I Cristiani d’Oriente - p a r t e I I - PL Seri STUDIO MEDICO TRACCHEGIANI A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I Il terrorismo non può uccidere lo sport - S Lupi N U O VA G A L E N O L’Europa è così vicina? - M P e t r o c c h i La carma... vène se vvolemo - P Casali OTTICA MARI I negozi di una volta - V Grechi F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O La mela di Biancaneve - L P a o l u z z i MIRIAM VITIELLO Fabrizio Pacifici - R B e l l u c c i G L O B A L S E RV I C E MEDICENTER GROUP
Di Terni Pasticciona parlo già da una ventina di anni, ma in settembre saprete tutto. Dei Giochi della Valnerina comincio ad illustrare qualche elemento: svilupperemo, nel tempo, nel rispetto della sacralità della Valnerina e delle sue ricchezze naturali, i giochi degli elementi (aristotelici): terra, acqua, aria, fuoco, etere, giochi per cui la Valnerina è particolarmente versata ed attrezzata. L’etere è la quintessenza, l’essenza stessa del mondo celeste, eterna, immutabile, senza peso e trasparente, ove una forza divina imprime moto continuo, circolare e quindi perfetto, ai corpi celesti sub-limen, ovvero posti al di sotto della porta del settimo cielo, sede del motore immobile e delle stelle fisse. Afferma Aristotele, nel De coelo: Considerando il corpo primo come un’altra sostanza oltre a terra, fuoco, aria e acqua, essi chiamarono il luogo eccelso etere [αιθήρ], e gli diedero questo nome perché esso scorre sempre [αει θειν] nell’eternità del tempo. Galilei, correggendo Aristotele anche nel suo assunto filosofico natura abhorret a vacuo (frase comunque attribuita a Cartesio) e riconsegnando a Democrito la sua natura fatta di atomi e di vuoto, dimostra che il moto dei pianeti immersi nel vuoto non ha alcun bisogno di un dio che imprima in continuazione il moto circolare. Comincia a rendere chiaro altresì che il motore della vita è del tutto umano, non è positivo, ma negativo e si chiama attrito. Lo scorrere perenne avviene per assenza, mentre il moto sulla terra avviene per presenza, una presenza faticosa, dura, negativa, una verità che toglie ogni disincanto e che non è più possibile edulcorare o sublimare. Si passa così, realmente, dal divino all’umano, dall’eterno al temporaneo, dall’etereo alla concretezza della vita dei comuni mortali. Nei nostri giochi dunque l’etere, la nostra sublime quintessenza, non può che essere rappresentato dal popolo, proprio poiché la vita di noi tutti è una continua tenzone contro i motori mobili: la gravità e l’attrito. I giochi di terra, acqua e fuoco non hanno bisogno di indicazioni visto che la Valnerina è in tutto dotatissima; do solo, nella prima di copertina, un’idea dei giochi dell’aria, mentre i giochi dell’etere saranno, ovviamente, i giochi popolari, animati da chi giorno dopo giorno è costretto a fare i conti, con più o meno fortuna, con le forze temibili ma irrinunciabili della natura, il nostro vero etere. Protagonisti saranno gli appartenenti al genere umano, uomini e donne, giovani e meno giovani, italiani e non, diversabili e normodotati. Puoi partecipre anche tu, come atleta o come tifoso ... ... di tutte le squadre, naturalmente! Giampiero Raspetti
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PA G I N A
Mensile di attualità e cultura
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S u o n a mi , i o s o n o tu o Play me, I’m yours (letteralmente appunto, Suonami, io sono tuo). Si tratta di un innovativo progetto di street art nato sette anni fa a Londra, quando una onlus ha aiutato l’artista britannico Luke Jerram a distribuire per tutta la città una trentina di pianoforti, vecchi e spesso anche logori, molto rovinati, ma in grado di suonare e, è qui che sta l’innovazione, ogni pianoforte era a “utilizzo libero”. Chiunque poteva sedersi e suonare qualcosa, si formava quasi subito un piccolo assembramento di persone che ascoltavano, canticchiavano, proponevano altri brani. È stato un vero e proprio successo che ha prodotto come risultato negli ultimi anni, pianoforti che sono apparsi progressivamente in stazioni e aeroporti, ma anche in zone industriali, di fronte alle lavanderie a gettone, su strade pedonali, sotto pensiline dell’autobus, fuori dai pub e nel mezzo dei campi da calcio, in molte città in giro per il mondo. Pianoforti che di fatto finiscono per appartenere a tutti, ma soprattutto a chi abbia voglia di suonarli per sé stesso o per gli altri, molti dei quali vengono anche decorati e personalizzati. Come detto, il progetto dei pianoforti “di strada” non è nuovo, è passato da Birmingham e São Paulo nel 2008, da Bristol, Londra e Sydney nel 2009, da Bath e Barcellona nel 2010, poi Bogotà e man a mano si sta diffondendo nel mondo. Ha portato ben oltre 1.300 pianoforti ad essere inseriti negli angoli delle più grandi metropoli del mondo, da New York a
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Parigi, e più recentemente è stato finalmente anche accolto in Italia. Grandi Stazioni ha installato pianoforti negli atri delle stazioni a Torino Porta Nuova, Milano Centrale, Venezia Santa Lucia, Firenze Santa Maria Novella e Roma Tiburtina, e in un giorno come altri succede che qualcosa cattura inevitabilmente l’attenzione di pendolari, lavoratori o studenti che le attraversano: si tratta di note, suoni e la musica invade le stazioni, ogni volta diversa, a seconda della mano che, coraggiosamente, ma anche generosamente, decide di dilettarsi con il piano. Dai Queen a Beethoven, il potere accattivante della musica non lascia indifferenti, peraltro è anche scientificamente testato l’effetto benefico dalla musicoterapia, e le melodie si contrappongono alle voci, al rumore dei passi e delle ruote dei trolley, e dei treni in arrivo e partenza. È venuto poi il turno degli aeroporti che non sono rimasti “indifferenti”, addirittura a Fiumicino ve ne sono più di uno dislocati tra i vari gate. L’idea di “Suonami, io sono tuo” va quindi ben oltre il semplice divertimento: è l’espressione di una cultura volta veramente ad aggregare sfruttando in tal senso il potere della musica e far sì che luoghi di utilizzo routinario e principalmente percepiti come meri luoghi di passaggio, vengano vissuti in modo completamente diverso, aggregante. Perché allora non mettere qualche pianoforte anche in giro per Terni? alessia.melasecche@libero.it
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Il piccolo ricettore nucleare: una storia d’amore Ci eravamo sposati da poco, io gli ripetevo ti amo, ti amo, ti amo, ma non sapevo ancora quanto… Il telefono squilla all’alba, una voce avvisa Ljudmila che il suo Vasilij è stato portato d’urgenza in ospedale, che è grave e non può essere avvicinato, lei si veste di fretta e corre al pronto soccorso, le dicono di tornare a casa a prendere gli effetti personali perché il paziente deve essere trasferito a Mosca insieme agli altri feriti, ma è solo un modo per farla desistere perché quando torna l’aereo è già partito. Ljudmila non demorde, si organizza con le altre mogli dei colleghi di Vasilij, affitta un pulmino e la mattina dopo arriva all’ospedale della capitale russa: prima che le infermiere possano fermarla, squarcia i teli di protezione, si getta sul letto e comincia a baciare il suo Vasilij. Sei matta, stammi lontano implora lui, un medico le fa indossare una tuta protettiva e le dice di mantenersi a una distanza di sicurezza dal letto, suo marito è stato contaminato dalle radiazioni. Me lo dicevano, ma io non riuscivo a stargli lontano… e poi cos’è questa malattia? Non l’avevo mai sentita prima, non si vedeva niente, aveva solo un po’ di febbre… Ljudmila non lo lascia un attimo, lo accarezza di continuo e lo bacia, lo bacia fino a quando la pelle del suo Vasilij non le resta attaccata alle labbra, allora si accascia a terra e sviene. Non sarà mica incinta? Lei è pazza, non sa cosa ha fatto! La sgrida il medico. No, non l’avevo detto che ero al terzo mese di gravidanza, se no mi avrebbero cacciato dall’ospedale e non lo avrei più rivisto il mio amato Vasilij!
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Natashenka è vissuta quattro ore, era un piccolo essere senza organi, quando era nel grembo aveva assorbito le radiazioni salvando la vita alla mamma, come hanno spiegato i medici, è stata un piccolo ricettore nucleare. L’hanno seppellita accanto al padre, in una piccola bara foderata di zinco, deposta in un cimitero al quale non si può accedere sotto uno strato di terra e cemento. Ljudmila non poteva tornare nella sua casa in Bielorussia, non aveva niente con sé e più nessuno accanto, le hanno assegnato un alloggio a Kiev, in Ucraina, dove ha ritrovato le altre vedove dei pompieri accorsi a spegnere l’incendio divampato alla centrale nucleare di Cernobyl quella notte del 26 aprile del 1986. La gente li evitava, aveva timore che fossero radioattivi, li chiamava cernobyliani, una razza a parte. Sono venuti i soldati in Bielorussia, ci dicevano che ce ne dovevamo andare dalla nostra terra, che dovevamo uccidere i nostri animali, compreso il gatto perché aveva il pelo radioattivo, ma nessuno lo ha fatto, come puoi uccidere il tuo gatto? Così abbiamo lasciato tutti i gatti liberi, chissà chi li ha presi... Quando abbiamo abbandonato le nostre case, qualcuno di nascosto si è portato via un piccolo ricordo. Poi ne ha pagato le conseguenze. Qualche anno dopo Ljudmila si è risposata, ha avuto un bambino, nato senza una mano, che dovrà passare la vita tra la casa e l’ospedale. Quell’unica manina gliela stringo forte, mi dice sempre che gli faccio male, ma io ho paura che quella malattia invisibile un Francesco Patrizi giorno mi porti via anche lui.
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I Cristiani d’Oriente Chiese antiche e fragili parte II Nel numero precedente ci siamo occupati dei Copti, numerosa comunità cristiana residente in Egitto; ora lasciamo questo paese alle prese con gravi contrasti interni e internazionali (non dimentichiamo la drammatica fine del ricercatore italiano G. Regeni e lo strascico di vicende che ne sono seguite) e ci trasferiamo in Libano dove incontriamo i Maroniti, chiesa cristiana in comunità con Roma, in pratica cattolici. È una chiesa patriarcale, riti e liturgia derivano dalla tradizione antiochena, la lingua liturgica è il siriaco, lingua parlata insieme al greco nella provincia romana della Syria prima della conquista araba. La chiesa maronita prende nome da San Marone (m. 410) un asceta siriano amico di Giovanni Crisostomo. Fin dalle origini la comunità maronita seguì il patriarcato di Antiochia ed era molto diffusa nella regione. Essa è l’unica chiesa di Oriente rimasta sempre legata a Roma, sebbene con ampie autonomie. Il Patriarca viene eletto dal sinodo dei vescovi e dopo la sua elezione fa professione di comunione con il papa; per tradizione recente è anche cardinale. La chiesa maronita era diffusa principalmente in Siria, poi, quando la regione divenne a maggioranza monofisita (Cristo ebbe solo una natura: quella divina), si trasferì nelle zone interne e nel Libano. Da questo momento in poi la comunità maronita seguì le vicissitudini tormentate del patriarcato di Antiochia sempre in contrapposizione con il potere politico dell’ imperatore di Costantinopoli e del suo patriarca che tendevano ad estendere la loro egemonia politico-religiosa sulla Siria e l’Egitto. In seguito al Concilio di Calcedonia (451), la chiesa di Antiochia si divise tra calcedonesi o duofisiti e non calcedonesi o monofisiti che divennero la maggioranza, la comunità maronita restò calcedonese rompendo i rapporti con il patriarca antiocheno Teofane e diventando autonoma (685). Con la conquista della Siria da parte dell’Islam, il paese in poco tempo cambiò religione e lingua. Il siriaco venne soppiantato dall’arabo e i Cristiani da maggioranza divennero una minoranza debole e divisa. I Maroniti, nonostante le difficoltà in cui vennero a trovarsi, riuscirono a mantenere la loro identità ed autonomia. Nel periodo delle Crociate la chiesa maronita riallacciò i rapporti con la chiesa di Roma dalla quale non si era mai ufficialmente separata. L’unione venne sancita nel 1584 sotto Gregorio XIII con la creazione del Collegio Maroniano di Roma. Quando nel 1943 il Libano ottenne l’indipendenza, i poteri dello stato vennero suddivisi tra le varie componenti religiose, i Maroniti che erano il gruppo di maggioranza ottennero la presidenza della repubblica, carica che continuano a detenere anche oggi. Va ricordato che il Libano è il paese orientale con il maggior numero di cristiani circa il 36%. Anche qui l’emigrazione, soprattutto negli anni della guerra civile, ha colpito pesantemente e più di 2 milioni di maroniti si trovano sparsi in Iraq, Israele, America latina, Stati Uniti, Canada, Australia. Per completare il quadro bisogna ricordare che appartennero alla comunità maronita il poeta pittore libanese Khalil Gibran autore dell’intramontabile libro Il Profeta e il cantante canadese Paul Anka, celebre negli anni ’60. Sempre in terra siriana troviamo un’altra comunità cristiana: i Melchiti comunità cattolica sui iuris di rito bizantino guidata
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dal patriarca Gregorio III Laham diffusa in Siria e in Libano e conta circa 1.700.000 fedeli. Sono conosciuti anche con il nome di greco-cattolici o cattolici orientali. Il nome deriva dal termine siriaco malka (sovrano) perché dopo il concilio di Calcedonia (451) sulle dispute cristologiche e la conseguente scissione tra calcedonesi e non calcedonesi, essi si schierarono con l’imperatore d’Oriente fedele al credo calcedonese. Melchiti significa letteralmente uomini del re. Quando l’Islam occupò la Siria, essi si mantennero fedeli al patriarca di Costantinopoli, anche dopo la scissione con Roma del 1054. I Melchiti nascono da una scissione avvenuta nel 1724 quando il patriarca di Costantinopoli non riconobbe l’elezione alla cattedra greco-ortodossa di Antiochia di Cirillo III ritenuto troppo vicino all’Occidente. Cinque anni dopo questi tornò in piena comunione con Roma mantenendo il rito bizantino ed usando come lingua liturgica il greco e l’arabo. I rapporti con Roma ebbero momenti di tensione sotto Pio IX che tentava di latinizzare la liturgia e di ridurre le autonomie della chiesa melchita. I rapporti si distesero sotto Leone XIII e, con il Concilio Vaticano II, il patriarca melchita Massimo IV contribuì notevolmente al dialogo con la chiesa ortodossa. Nel sec. XXI la chiesa melchita insieme alle altre comunità cristiane cattoliche ed ortodosse vive momenti di tensione a causa dell’alto tasso di emigrazione, dell’instabilità dei paesi medioorientali e più di recente per le minacce dei fondamentalisti islamici con il Daesh-IS in testa. Nella tormentata Siria vive anche un’altra comunità cristiana: i Siri. Essi sono divisi in due chiese: Chiesa siriaca ortodossa e Chiesa siriaca cattolica. La prima, più numerosa è originaria della Siria, ma con fedeli sparsi in tutto il mondo, specie in India e in America. È una chiesa ortodossa autocefala, monofisita, non avendo riconosciuto i decreti del Concilio di Calcedonia, utilizza come lingua liturgica il siriaco affine all’aramaico, la lingua di Gesù. Fu fondata da S. Pietro, primo vescovo di Antiochia, ma il vero organizzatore fu Giacomo Baradeo detto il Monofisita. Anche questa comunità subì persecuzioni e violenze sotto l’Impero Ottomano per cui molti emigrarono in vari continenti e dopo alcuni decenni di calma relativa, il fondamentalismo islamico, le violenze del Daesh-IS e la guerra in Siria li hanno nuovamente spinti all’emigrazione. Esiste, anche se poco numerosa, una Chiesa Siro-cattolica, sui iuris, in comunione con Roma dal 1783 che ha mantenuto il rito siriano e la lingua aramaica ed una propria legislazione. I Siro-cattolici sono diffusi in Siria, Iraq e moltissimi nella diaspora, il loro patriarca Ignatius Joseph III Younan risiede a Beiruth. Secondo stime recenti il loro numero si aggirerebbe intorno ai 100.000. Anche i Siro-cattolici come quelli ortodossi hanno subito recentemente le drammatiche conseguenze della guerra siriana con aggressioni da parte di gruppi fondamentalisti e del sedicente califfato. Concludendo è doveroso ricordare l’opera svolta dai dotti monaci siriani a cui si deve la traduzione dal greco in siriano e poi in arabo dei tesori dell’antichità classica che giunsero in Occidente tramite la Spagna, testi che altrimenti sarebbero stati perduti per sempre. Nella parte III parleremo di altre comunità cristiane d’Oriente: i Caldei, gli Armeni, i Latini, i Greco-ortodossi. Pierluigi Seri
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AZIENDA OSPEDALIERA
Struttura Complessa di Otorinolaring
Dr. Santino Rizzo D i r e t t o r e d ella S t r uttur a C om ple s s a di O to r in o la r in g o ia tr ia e Patologia C e r v ic o Fac c iale d e lla A z ien d a O s p e dalie r a “S. Mar ia” di Te r ni
L’attività clinica della Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria dell’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, diretta dal dottor Santino Rizzo, è rivolta tradizionalmente all’otorinolaringoiatria generale erogando, sia in elezione che in urgenza, prestazioni sanitarie specialistiche di media o elevata complessità, in coerenza con la missione aziendale. L’interdisciplinarità è concretizzata nel quotidiano supporto al Dipartimento di EmergenzaUrgenza e al Dipartimento Materno Infantile e nella collaborazione con le altre strutture complesse. La struttura dispone di tutte le tecnologie e competenze che consentono di affrontare la patologia generale ORL secondo i moderni standard tecnologici e clinici, sia dal punto di vista diagnostico sia da quello terapeutico e chirurgico. Notevole attenzione è rivolta a: - oncologia della testa e del collo, in particolare: trattamento dei carcinomi laringei con chirurgia tradizionale e chirurgia LASER CO2; trattamento dei carcinomi orofaringei e delle eventuali metastasi linfonodali laterocervicali; - trattamento delle patologie infiammatorie/degenerative ed oncologiche rino-sinusali con chirurgia endoscopica naso-sinusale funzionale (F.E.S.S.) o demolitiva (E.S.S.); - trattamento chirurgico delle neoformazioni benigne e maligne della parotide e delle altre ghiandole salivari; - chirurgia delle malformazioni estetiche e funzionali del naso (settoplastica, rinoplastica, turbinoplastica mediante generatore di radiofrequenze a risonanza quantica molecolare); - fonochirurgia (patologie benigne della laringe quali noduli, polipi e cisti cordali, stenosi laringee, paralisi cordali); - oto-chirurgia come Timpanoplastiche ed in particolare della chirurgia delle disfunzioni tubariche mediante tecnica dilatativa endoscopica tran-nasale (BALLOON); - oto-neuro-vestibologia: diagnostica e trattamento medico e riabilitativo delle sindromi vertiginose, della sordità e degli acufeni; - chirurgia endoscopica dei tumori della ghiandola ipofisi in collaborazione con i colleghi neurochirurghi; chirurgia endoscopica delle vie lacrimali (dacriocistorinostomia) per la cura delle stenosi delle vie lacrimali (dacriocistite) con i colleghi oculisti. Per quanto riguarda l’aspetto diagnostico e clinico, è stato attivato un percorso che comincia dalla visita otorinolaringoiatrica generalista presso i Poliambulatori, prenotabile mediante CUP (circa 1400 l’anno). Qualora fossero necessari ulteriori accertamenti, la struttura complessa dispone di servizi ambulatoriali dedicati, che consentono di eseguire esami diagnostici e strumentali per raggiungere una precisa diagnosi e programmare un idoneo iter terapeutico. Tra questi servizi occorre ricordare l’ambulatorio di endoscopia delle vie aerodigestive superiori e di otomicroscopia con circa 250 prestazioni l’anno: mediante endoscopi ottici flessibili e rigidi è possibile esplorare in maniera adeguata le fosse nasali, la faringe e la laringe, consentendo una diagnosi precoce delle malattie infiammatorie e tumorali di queste regioni, mentre con il microscopio è possibile studiare l’orecchio per diagnosticare otiti croniche e perforazioni timpaniche. (Dr Antonio Alberto Maria Giunta e Dr Massimo Bernardini). Il servizio di audiovestibologia (responsabile il Dr Saverio Falcetti) esegue
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diagnosi e terapia delle ipoacusie e delle sindromi vertiginose mediante esami strumentali quali esami audiometrici tonali e vocali, impedenzometrici, potenziali evocati uditivi tronco encefalici, otoemissioni acustiche, esami vestibolari, potenziali evocati vestibolari con circa 2000 prestazioni l’anno (in collaborazione con l’audiometrista Dott.ssa Giuliana Venuto). In tale ambito è anche attivo un servizio di riabilitazione vestibolare (responsabile la Dott.ssa Antonietta Rossi), che si occupa delle sindromi vertiginose che sono suscettibili di terapia fisica, quali le vertigini parossistiche posizionali benigne e gli esiti delle cosiddette labirintiti. Particolare attenzione è rivolta alla diagnosi precoce della sordità attuando lo screening audiologico neonatale per la diagnosi precoce delle ipoacusie infantili con circa 1200 prestazioni annuali. Il servizio di foniatria (responsabile la Dott.ssa Elena Bracchi) si occupa della diagnosi, cura e riabilitazione delle disfonie funzionali ed organiche e della riabilitazione logopedica dei pazienti laringectomizzati, eseguendo circa 100 prestazioni l’anno. Il servizio di rinologia è dedicato alla diagnosi e cura delle sindromi ostruttive respiratorie naso-sinusali, delle riniti e delle sinusiti mediante uno studio funzionale rinomanometrico. In collaborazione con i colleghi radioterapisti, oncologici ed anatomopatologi è attivo un comitato oncologico multidisciplinare per la pianificazione terapeutica ed il successivo follow-up dei pazienti affetti da tumori del distretto cervico-cefalico, con circa 250 pazienti esaminati mediamente nell’anno.
S A N TA M A R I A D I T E R N I
goiatria e Patologia Cervico Facciale S.C. di Otorinolaringoiatria e Patologia Cervico-Facciale
Équipe
Fotoservizio di Alberto Mirimao
I medici della Clinica ORL eseguono, inoltre, circa 1.200 consulenze annuali di pazienti ricoverati in altri reparti e circa 2.500 consulenze annuali di pronto soccorso. Per quanto riguarda l’attività chirurgica, vengono eseguiti circa 770 interventi l’anno, che verranno sicuramente incrementati grazie ad un recente aumento del numero delle sedute operatorie. Da due anni aderisce alla Giornata della Prevenzione AOOI (Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani) per la diagnosi precoce dei tumori del cavo orale (con circa 170 visite). La Clinica ORL è molto attiva anche dal punto di vista scientifico. Oltre a presentare contributi scientifici a vari congressi, in questi ultimi anni si sono organizzati a Terni, presso la sala conferenze dell’ospedale -con ampia partecipazione da parte di medici ospedalieri e del territorio, infermieri e personale tecnico- alcuni convegni/incontri come un Corso teorico sulle “Urgenze ed Emergenze in ORL nell’ottobre 2015”; “Aggiornamento nella diagnosi e terapia dei tumori della laringe” nel febbraio 2014, un corso su “Le ipoacusie monolaterali” nel gennaio del 2014; e inoltre, sempre nel 2014, “La multidisciplinarietà come opportunità e risorsa nell’ambito della patologia neoplastica ORL”. In conclusione, si può affermare che l’attività diagnostica, chirurgica e scientifica della struttura complessa di Otorinolaringoiatria dell’Azienda Ospedaliera di Terni rappresenta un punto di riferimento importante per la regione e per le province extraregionali confinanti, con prestazioni in crescita dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo.
Dire t t ore Dr Santino Rizzo Dir ige nt i M e dic i Dr Massimo Bernardini; Dott.ssa. Elena Bracchi; Dr Saverio Falcetti; Dr Antonio Alberto Maria Giunta; Dott.ssa Antonietta Rossi Audiometrista Dott.ssa Giuliana Venuto Caposala Re par t o Rita Moretti Inf e r m ie r i Re par t o Gloria Marchetti, Patrizia Russo, Liliana Arancio, Rosanna Bufaloni, Maria Domenica Berardi, Alessandra Bartolucci, Francesca Proietti, Gian Marco Conti, Emanuele Luccioni, Valentina Chiapparicci, Stefania Villa Inf e r m ie r i M e dic he r ia Luciana Colantoni, Antonella Spadini, Patrizia Candelori Ge st ione List a di at t e sa Sabrina Aquili Caposala Sala Ope r at or ia Lorella Perugini Inf e r m ie r i Sala Ope r at or ia Benedetta Gigli, Antonella Cipria, Lara Gori, Giuliana Gubbiotti, Roberta Seconi, Fabiana Colangeli OSS Re par t o Daniela Marsiliani OSS Sala Ope r at or ia Maria Micheli Clavier, Valentina Pesciaioli, Romina Baldassarre
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IL TERRORISMO NON PUÒ UCCIDERE LO SPORT Da Monaco nel 1972 agli attentati di Parigi nel 2015 Ho conosciuto l’ombra scura del terrorismo nel 1972, vivendola con gli occhi di un bambino di otto anni. Le Olimpiadi rappresentavano nel nostro immaginario un evento unico, un appuntamento irrinunciabile. Monaco aveva deciso di vestirsi a festa. Erano gli anni in cui la Germania Ovest dimostrava, anche nello sport, la sua rinascita e supremazia rispetto a quella dell’Est. L’Olympia Stadion simboleggiava un’avveniristica cattedrale dello sport, progettata da Frei Otto per dare lustro alla città ed al Paese. Lo slogan dei Giochi era The happy games. Felici lo furono per poco, purtroppo. Improvvisamente i filmati in bianco e nero di una televisione che non esiste più, ci mostravano con impietoso realismo un’incredibile realtà. Uomini incappucciati, armati di mitragliatori, avevano preso in ostaggio degli atleti israeliani al villaggio olimpico: alle 4.30 del 5 settembre 1972 la cieca violenza si impadroniva dello sport! I fedayn palestinesi di Settembre Nero lanciavano con clamore la loro sfida al mondo, brutalizzando i giochi olimpici di Monaco. Il CIO decise di non sospendere la manifestazione, mentre il nuotatore statunitense Mark Spitz, vincitore di 7 ori, venne fatto immediatamente rimpatriare negli Usa. Seppur giovanissimo seguivo con ansia le notizie, non riuscendo a capire come una festa così importante potesse trasformarsi in tragedia. I sequestratori chiesero la liberazione di tutti i prigionieri dalle carceri israeliane, oltre alla scarcerazione dei terroristi tedeschi Andreas Baader e Ulriche Meinhof. Il Primo Ministro israeliano Golda Meir non fece alcuna concessione. Il governo tedesco ed il Mossad avviarono una estenuante trattativa, conclusasi drammaticamente all’aeroporto di Monaco il 6 settembre. Morirono 11 atleti israeliani. Anni dopo, nel mio girovagare per l’Europa con zaino e sacco a pelo, volli andare all’Olympiapark di Monaco per rendere omaggio a quei giovani atleti israeliani. Le tristi immagini di quelle Olimpiadi di sangue non mi hanno mai lasciato. Rivivo la stessa angoscia, ogni volta che le manifestazioni sportive subiscono attentati terroristici. I fatti di Monaco hanno cambiato la percezione sportiva delle competizioni, creando un inquietante spartiacque. Nel corso di questi anni altro sangue ha macchiato le maglie degli sportivi e le bandiere delle squadre nazionali. Il terrore ha bussato di nuovo ai Giochi di Atlanta nel 1996. Eric Rudolph un esponente dell’associazione ultra-cattolica Christian Identity, il 27 luglio del 1996, piazzò un ordigno al Centennary Park durante un concerto. Nell’esplosione morì una
donna, Alice Hawthorne, e 111 persone rimasero ferite perché Rudolph voleva “colpire il governo di Washington per il suo ruolo nella somministrazione dell’aborto su richiesta”. Anche in questo caso, i Giochi non furono fermati. Durante la Coppa d’Africa del 2010 il pullman che trasportava la nazionale di calcio del Togo, al confine con l’Angola venne attaccato da un commando. “Avevamo varcato il confine da 5 minuti. Tutto sembrava tranquillo quando si è scatenata una tempesta di proiettili. Ci siamo dovuti nascondere per 20 minuti sotto i sedili per evitare le pallottole”, racconterà il giocatore Serge Akakpò. Morirono l’autista del pullman, l’allenatore in seconda Hubert Velud e l’addetto stampa, oltre a sette feriti gravi. L’attentato fu rivendicato da un gruppo di ribelli. La Fifa inflisse una multa di 50mila dollari al Togo per aver abbandonato la competizione. Il torneo si svolse regolarmente. Il 15 Aprile 2013 due bombe esplosero nei pressi del traguardo della Maratona di Boston, provocando tre morti e 144 feriti. In quel momento, più di 17.000 corridori avevano portato a termine la gara, ma migliaia di altre persone erano ancora presenti lungo il percorso. Pochi giorni dopo la polizia americana rintracciò due fratelli ceceni che vivevano negli Stati Uniti: uno fu ucciso durante l’inseguimento, l’altro condannato alla pena capitale. Arriviamo quindi al tragico 13 Novembre 2015. A Parigi durante l’amichevole di calcio Francia-Germania giocata allo Stade de France, si sono susseguiti vari attacchi terroristici. Tre aggressori si sono fatti saltare con cinture esplosive vicino allo stadio. Ulteriori attacchi in contemporanea in altre zone di Parigi. Almeno 128 persone sono morte e si stima che siano oltre 250 i feriti, 99 dei quali in gravi condizioni. La milizia terroristica dello Stato Islamico ha rivendicato gli attentati. Ho ricordato questi avvenimenti perché il mondo dello sport non è immune purtroppo dalla violenza che ci circonda, né può pensare di non sviluppare una forte coscienza civile contro qualunque forma di prevaricazione e terrorismo. Lo sport non si ferma né arretra di fronte alla violenza. Forte il messaggio dei valori che esprimiamo: tolleranza, rispetto e lealtà comportamentale. Con questo spirito e con tale convinzione ci prepariamo al Giubileo degli Sportivi che celebreremo il prossimo 5 Giugno al Campo Scuola di Terni con tutta la nostra comunità di atleti, dirigenti, tecnici e volontari. Dopo la messa celebrata dal Vescovo Piemontese, insieme varcheremo la Porta Santa in Cattedrale. Stefano Lupi Delegato Coni Terni
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L’EUROPA è COSì VICINA? La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è un organo giurisdizionale cui è attribuita la competenza esclusiva ad interpretare le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con rilevanti ripercussioni, frequentemente molto interessanti, nel diritto dei singoli Stati membri. L’attività normativa dello Stato italiano, ad esempio, non è solo da controllare alla luce delle norme della Convenzione, ma anche dell’interpretazione autentica che la Corte stessa ne fornisce. Quanto all’applicazione di tali norme ed al rapporto che esiste tra le sentenze della CEDU e le sentenze nazionali la questione è un po’ più complicata. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 2800/2006, affermò che il giudicato interno viene travolto, anche se non vi sono norme nazionali di attuazione, da una sentenza CEDU che accerti l’esistenza di una pronunzia di condanna emanata in violazione delle regole dettate della Convenzione Europea. Sebbene tale posizione sia stata successivamente messa in discussione dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 129/2008, oggi la giurisprudenza di Strasburgo può, anzi deve, prevalere sulla normativa interna. Ora i giudici possono anche, e anzi devono, applicare direttamente la giurisprudenza di Strasburgo al posto della norma interna che con essa è in contrasto. Fatta questa premessa, il 19 Febbraio 2016 la CEDU ha emesso una i mportante decisione con ripercussioni, potenziali, di grande interesse. Anche il giudice dell’esecuzione, immaginiamo il Giudice che sta disponendo la vendita di un bene, mobile o immobile che sia, può rilevare la vessatorietà di una clausola in danno del consumatore non trovando ostacolo neppure l’autorità di cosa giudicata del titolo esecutivo. Per intenderci. Una volta che esiste un titolo esecutivo, come ad esempio una sentenza e questa non può più essere modificata, attraverso una impugnazione, il giudice dell’esecuzione non poteva entrare nel merito della vicenda, ormai coperta da giudicato. La citata decisione, riguardante un contratto di prestito di € 30.000,00 per il finanziamento dell’acquisto di un veicolo effettuata da un cittadino spagnolo, ha infatti stabilito che la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, che non consente al giudice dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione. Il mancato accertamento d’ufficio da parte del giudice nazionale sul carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto di credito al consumo blocca gli effetti esecutivi di un provvedimento anche quando si è formato il giudicato. Il cliente non aveva pagato alcune rate e l’istituto aveva chiesto ed ottenuto dal Tribunale una ingiunzione di pagamento. Solo dopo l’emissione dell’ingiunzione e l’avvio della procedura di esecuzione, i giudici spagnoli si sono rivolti alla Corte sull’interpretazione della direttiva 93/13 avente ad oggetto le clausole abusive, recepita in Italia con il codice del consumo. Ogni protezione in favore del consumatore, che non preveda l’accertamento effettivo della natura abusiva di alcune clausole, sarebbe priva di effettività. Una conseguenza inaccettabile che porta la Corte a incidere sui sistemi processuali nazionali e, in particolare, sulle modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata, richiedendo un controllo d’ufficio “della potenziale natura abusiva delle clausole inserite in un contratto”. Il principio appena espresso nasce certamente dalla particolarità della procedura spagnola, ma indica una via di grande rigore ed è certamente molto innovativo; stiamo a vedere se e quale applicazione ne faranno i nostri Giudici. legalepetrocchi@tiscali.it
La carma vène... se vvolemo Tra bbiancu rusciu verde ggiallu e nneru pe’ no’ mmanna’ ‘stu munnu a scatafasciu dovristi èsse più onestu e ppiù ssinceru e ssenza fanne d’erba tuttu ‘n fasciu. Quann’è che ddici... quillu ‘n ze sopporta e ‘ppo’... guarda quill’andru che scrianzatu dovristi ‘n bo’ rifrette quarche vorda che ppure l’andru forse l’ha penzatu. A qquistu puntu semo abbituati che ll’organismu è prontu pe’ sbotta’ li globbuli e li nervi so’ ssardati e non ce fonno propiu raggiona’. Magari doppo certu (?) ce pentimo se ssemo ‘nnati troppu a bbrija sciorda è mmèjo misura’ quillu che ddimo che ‘nzieme a cciò che famo non ze scorda.
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Quann’è che cce succede d’èsse ‘n troppi e cc’emo lu vicìnu musu a mmusu po’ èsse ce staronno tanti ‘ntoppi ‘n do’ quarchidunu ‘rmane fòri usu. Ma se nnojandri ‘n bo’ ce ‘ccontentamo de quillu che cce bbasta o ppocu più potemo ‘nche riusci’ qui ‘n do’ che stamo a mmette ‘n bo’ de carma... e fforse più. Facenno ‘n quistu modu tutti quanti se pòle ‘n quistu munnu tira avanti e sse qquarcunu vòle ave’ rraggione facemoje capi’ ch’è ‘n’illusione... tantu ‘gni cosa certu vène a ggalla e ddoppo quella fredda c’è la calla. Paolo Casali
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I negozi di una volta Negli anni intorno al 1950 regnava ancora l’autarchia, specialmente nelle campagne. Quando qualcuno della famiglia scendeva in paese o in città per qualche incombenza, si premurava di chiedere alle donne di casa se doveva comprare qualcosa. Spesso si sentiva rispondere così: Li furminanti (i fiammiferi) ci stanno, lo sale pure… nun serve gnende! Il resto, era sottinteso, veniva prodotto in casa. Si utilizzava tutto quello che si produceva e si comprava solo l’indispensabile che non si era capaci di produrre. Per racimolare il denaro necessario per queste spese e per acquistare attrezzi in ferro dal fabbro, scarpe fatte su misura dal calzolaio e stoffe che venivano cucite in casa per gli usi quotidiani, si vendeva un vitello, un castrato, le uova, l’eccesso di olio di oliva prodotto, oppure il grano, il vino o la frutta, se la stagione era stata particolarmente favorevole, altrimenti si ricorreva alla vendita della legna e delle fascine, che non mancavano mai, ai forni e ai camini del paese vicino. Le uova erano le più facili da vendere. La massaia contadina le metteva in una grande canestra di vimini col manico, insieme a manciate di paglia per salvaguardarne l’integrità. Arrivata al negozio di generi alimentari, accompagnata da un bambino, figlio o nipote, contrattava il prezzo per coppia di uova, tirando sulla lira e il gioco era fatto. Non si perdeva tempo come con la vendita porta a porta e il tempo per i contadini era sempre troppo poco con tutto il daffare che avevano. Intanto il negoziante separava le uova più grandi e belle mettendole in un canestro, mentre quelle più piccole le metteva in un altro. La donna immaginava che il furbacchione, appena lei fosse uscita, avrebbe venduto come uova freschissime le prime a un prezzo doppio rispetto a quanto le aveva pagate “…ecco queste so’ fresche, fresche… me l’ha portate mo’ pròpiu Barburella...” mentre le altre più piccole, per fare la pasta o i dolci, le avrebbe vendute con qualche liretta di sconto, ma sempre molto più di quanto le aveva pagate. Una parte del gruzzoletto fatto con le uova la contadina lo spendeva per acquistare qualche chilo di spaghetti o di rigatoni, la cosiddetta pasta compra, da cuocere nella domenica successiva, onde rompere la monotonia (e la fatica) della pasta fatta a mano, in casa, anche due volte nello stesso giorno. Il negoziante prendeva allora dai capaci cassettoni di un grande mobile di legno una manciata di spaghetti -all’epoca quasi tutto si vendeva sfuso- li avvolgeva in un foglio di carta paglia e li pesava su una bilancia a due piatti, sotto lo sguardo vigile della donna. Se si trattava di pasta corta, riso o zucchero, si usava prelevarli dall’apposito cassetto con la scartoccia, sàssola di latta a fondo piatto, con manico e poi messi nel cartoccio conico fatto sempre con la carta paglia. Per il sale -che si vendeva solo nella rivendita di Sale e Tabacchi ed era un monopolio di Stato- veniva usata la scartoccia di vetro a fondo piatto e per la pesata veniva utilizzata una stadera con il piatto anch’esso di vetro ma a forma concava. Se il bottegaio era di buon umore o voleva ingraziarsi la donna per farla sua cliente, regalava una caramella “esplosiva” al bambino. Qualcuno forse le ricorda: erano caramelle che, buttate con violenza contro una superficie dura, esplodevano con un piccolo botto, poi si mangiavano, mentre l’aria era impregnata dell’odore della polvere pirica bruciata. Sarà perché la guerra era finita da non molto e c’era un avanzo di polvere da sparo o perché alla sicurezza si faceva meno caso, anche le pistole giocattolo “portate” dalla befana erano provviste di un nastro di carta che, a intervalli regolari, conteneva un piccolo grumo di esplosivo. Tale nastro si avvolgeva nel tamburo della pistola e ogni volta che si premeva il grilletto il nastro avanzava di uno scatto, mentre il cane, colpendo il grumo, provocava lo sparo. Anche i fucili giocattolo erano dotati dei medesimi apparati esplosivi, sicché dall’Epifania in poi, era una continua sparatoria con i maschietti del vicinato e una continua richiesta di acquisto di nuove “munizioni” che finivano in un lampo. Vittorio Grechi
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C HI ESA di
S anta Maria Annunz ia ta Gu a d a m ello - N ar ni
La chiesa di Santa Maria Annunziata, nella frazione narnese di Guadamello, è costruita tra il ciglio di un dirupo e un arco medievale. Custodisce al suo interno pregevoli opere d’arte, alcune delle quali di epoche molto antiche, provenienti presumibilmente da aree archeologiche limitrofe. Si presenta ad unica navata con un ambiente semplice e austero; alla sinistra dell’ingresso alcune testimonianze di origine romana come capitelli e colonne e un’urna cineraria lapidea tardo imperiale. Il fonte battesimale, manufatto di artigianato locale di particolare interesse, è collocato tra la parete di controfacciata e la parete laterale sinistra. Risale alla seconda metà del XVII secolo e reca sul catino, che poggia su un’elegante colonna, lo stemma di Raimondo Castelli, vescovo di Narni tra il 1656 e il 1670. In un documento rinvenuto da Daniele Cavafave presso l’Archivio di Stato di Roma si legge che nel 1657, in occasione di una Sacra visita, il vescovo aveva ordinato di sistemare il fonte battesimale che versava in pessime condizioni. Durante la seconda visita del 1660 il vescovo dovette, però, constatare che il fonte non era stato ancora sistemato e che i bambini venivano portati a battezzare a Gualdo. Verosimilmente, pertanto, l’opera venne eseguita tra il 1660 e il 1670, anno della morte del vescovo Castelli. La calotta presenta uno sportello ligneo dipinto ed è sormontata dall’immagine di San Giovanni Battista. La calotta e il Battista sono stati realizzati con materiali lapidei differenti rispetto al resto del fonte battesimale. Sulla parete sinistra, sempre nelle immediate vicinanze dell’ingresso, è conservato un trittico del XVII secolo raffigurante Sant’Ambrogio vescovo, la Madonna di Loreto e Santa Caterina d’Alessandria. Le immagini sono riquadrate da finte cornici: le due pertinenti la Madonna di Loreto e santa Caterina sono continue e congiunte tramite un festone floreale; quella riguardante sant’Ambrogio è caratterizzata da una fascia composta da motivi floreali stilizzati ripetuti. Sotto la figura di sant’Ambrogio, la fascia della cornice presenta la seguente scritta: S. AMBROSIVS RANVCCIO D. TV[LI]O F. F. A. L’immagine della Madonna di Loreto poggia, invece, su un piccolo piedistallo in cui è inserita la scritta: LA GLORIOSISSIMA MADON[N]A. Sulla parete di controfacciata, a sinistra, è presente un piccolo frammento di un dipinto murale, sicuramente di più ampie dimensioni, sulla cui cornice in basso a destra si legge la data 1601. Un’altra porzione di affresco, risalente con molta probabilità al XVI secolo e in cui è raffigurato San Rocco, è visibile sulla parete laterale destra. Nel presbiterio, a destra dell’altare, si trova oggi il bel crocifisso ligneo policromo con croce tortile del XVII secolo. Purtroppo il manufatto ha subìto nel corso degli anni continue manomissioni e interventi per i suoi utilizzi e per le diverse collocazioni all’interno della chiesa. La Fondazione Carit, sempre attenta alla conservazione e alla valorizzazione del patrimonio storico artistico dei centri minori, ha accolto fin dal 2007 le istanze della comunità di Guadamello e del suo parroco, intervenendo con il recupero dei beni culturali conservati nella chiesa parrocchiale. Nel periodo 2007-2008 sono stati restaurati il trittico, l’urna cineraria, il San Rocco e il frammento della parete di controfacciata a cura di Daniela Gregori di Cesi (Tr); nel 2015 si è concluso, invece, il restauro del crocifisso ligneo e del fonte battesimale a cura di Daniela Montaldo di Amelia (Tr). Tutti gli interventi sono stati realizzati sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria. Anna Ciccarelli Fondazione Carit
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La mela di Biancaneve Sì, proprio così, la Mela di BiancaNeve, quella che cerchiamo quando andiamo a fare acquisti al mercato. Un prodotto alimentare che attrae i compratori deve essere come quella Mela bella e luccicante senza una benché minima traccia di imperfezione e bianca come la neve perché candida e pura. Questo è il cibo che cerchiamo, perfetto nell’apparenza ma avvelenato nella sostanza. La farina, il latte, il sale, lo zucchero: io li chiamerei i quattro veleni bianchi... perché? La farina bianca non ha più traccia della parte esterna del chicco di grano (la crusca) poiché trattata industrialmente e super raffinata (doppio zero) ha perso tutto il suo valore nutritivo e, anzi, in questo modo, ha messo in evidenza patologie sconosciute fino a qualche tempo fa. Ciò è del tutto innaturale perché se noi maciniamo un chicco di qualsiasi grano (e anche su questo ci sarebbe da dire) otterremo uno sfarinato brunastro e non certamente bianco, quindi per ottenere il bianco dobbiamo eliminare la parte scura e cioè quella più vitale, quella parte che la natura ha messo li per bilanciare la parte interna, gli amidi che in abbondanza determinano un picco glicemico dannoso e pericoloso. Lo stesso dicasi per il latte, il suo colore naturale è giallognolo e non bianco. Anche in questo caso l’industria ha agito in maniera indiscriminata togliendo e aggiungendo affinché un prodotto animale, la cui assunzione dovrebbe essere interrotta dopo i primi anni di vita, possa essere ad alta digeribilità
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quando per natura non lo è poiché abbiamo perso gli enzimi adatti affinché ciò avvenga. Lo zucchero stessa storia. Ci siamo inventati di tutto pur di seguitare a soddisfare le nostre papille gustative e a gratificarci con un po’ di dolce affettuoso. Non parliamo delle assurdità create sempre dall’industria a tale riguardo (aspartame, saccarina, ciclammati, fruttosio, stevia, ...), la realtà è che di quelli raffinati non ne dovremmo consumare affatto sempre per il rialzo glicemico improvviso, semmai dovremmo consumare lo zucchero cosiddetto grezzo di canna e anche questo, guarda caso ha un colore marrone. Infine il nemico di tutti, il numero uno, il sale. Il cloruro di sodio e gli altri minerali costitutivi sono senza dubbio fondamentali per la vita di tutti tali esseri viventi, animali, piante, uomo compreso. Non sarebbero esistite le carovane che attraverso il deserto trasportavano e ancora oggi trasportano lastroni di sale a dorso di cammello se così non fosse. Ok. Ma noi esageriamo a causa delle nostre papille gustative e a causa dell’industria, che anche in questo caso ci ha messo del suo, raffinando e sbiancando quello che il mare o vecchi siti fossili di salgemma il pianeta ci ha messo a disposizione. La risposta è eventualmente sale marino, ricco di iodio, soprattuto nelle aree interne della nostra Italia, lasciando da parte le mode dei vari tipi di sale, dal rosa al nero e così via. In definitiva non sempre ciò che si presenta come candido e puro è il meglio per noi umani. Leonardo Paoluzzi
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Fabrizio Pacifici
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