Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura Numero 8 febbraio 2015
Foto su gentile concessione della Diocesi di Terni-Narni-Amelia (aut. n. 042/15)
Se manca amore Ecco il 14 Febbraio: la festa di San Valentino, la festa dell’amore e degli innamorati, la festa di Terni di cui il santo martire è patrono e protettore e le cui spoglie sono gelosamente custodite nella Basilica a lui dedicata. Giovani fidanzati o coppie che vivono insieme da uno come da 90 anni, oggi si scambiano un bacio, uno sguardo di dolcezza o bigliettini amorosi -i famosi valentini e valentine di tradizione anglosassonesi donano una rosa rossa o un fiore di campo o una scatola di cioccolatini. Alcuni cenano a lume di candela gustando un cibo condito di qualche ingrediente ritenuto afrodisiaco; altri si accontentano di un piatto semplice, il solito, semmai condito con un po’ più di tenerezza. È la magia della festa, almeno per molti. Lo è per ogni festa della tradizione: il Natale come la Pasqua, la festa patronale e folkloristica, come i festeggiamenti per un compleanno o una ricorrenza. Tutto questo ci piace. Ci piace quel misto di sacro e profano che accompagna la festa. Il sacro con le funzioni in chiesa a celebrare il Santo e le coppie di sposi e fidanzati che si rivolgono a San Valentino per la benedizione della loro unione. Ci piace quel profano -anche molto profano- che accompagna queste feste: bancarelle, fiere, spettacoli, danze, manifestazioni sportive e, perché no, anche la corsa a comperare fiori, dolci, gioielli o piccoli pensierini, che fanno tanto bene ai commercianti e meno alle tasche degli utenti. Il pensiero va a quelle feste dell’antichità, in particolare ai Lupercali che si tenevano a Roma nello stesso periodo di febbraio: feste in onore del dio Lupercus che celebravano la fecondità ed erano tanto licenziose da essere state proibite dallo stesso imperatore Augusto. Fu poi papa Gelasio (496 dC) che, con la consueta volontà di cristianizzare gli dèi e i riti pagani, impose la festa di San Valentino, il vescovo che aveva sposato, così racconta la tradizione, Sabino e Serapia, due innamorati di diversa religione (anche se l’indicazione di San Valentino patrono degli innamorati è forse molto più tarda e controversa nelle sue origini). Dicevamo: tutto ciò ci piace. Ci piace essere identificati come la città dell’amore, noi che siamo stati da più di un secolo identificati come città dell’acciaio. La città però vuole, anzi pretende, qualcosa di più. Tutto è compreso nella parola amore. Vogliamo essere la città dell’Amore con la A maiuscola, l’Amore universale. Amore è il nome moderno dei diritti umani, diceva l’abbé Pierre, il combattivo religioso tanto amato e altrettanto scomodo alle autorità sia politiche che religiose che portò avanti con schiettezza e audacia le sue lotte a favore di tutti i deboli ed emarginati del mondo. Ecco: amare è il riconoscimento di tutti i diritti umani. E per umano intendiamo non solo l’uomo, ma tutto ciò che vive intorno a lui e con lui: gli animali, la terra, la natura, l’aria che respiriamo, il cielo, la città. Se manca amore, non c’è rispetto. Se manca amore, non c’è dignità. Se manca amore, non c’è bellezza. Se manca amore, non c’è libertà e, per prima cosa, la libertà dal bisogno, che è il fondamento dell’uomo per sopravvivere e aspirare a tutte le altre libertà. Il nostro caro San Valentino, il Santo che proprio a Terni è nato e qui ha le sue spoglie, il Santo che donava una rosa del suo giardino per ricordare a tutti di volersi bene e rispettarsi, proprio da questa città deve lanciare al mondo il suo messaggio e divenire il faro di questo Amore universale, onnicomprensivo, totale e totalizzante, pieno, incondizionato. Loretta Santini
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Se manca amore - L S a n t i n i BIENNALE 2015 - F C a l za va cca ASSOCIAZIONE CULTURALE LA PAGINA ANTONINI CENTRO DIAGNOSTICO JACARONI A p o l o g i a d i u n d e c l i n o - C Bernardinangeli, M Salvati CONSORZIO DI BONIFICA TEVERE NERA Il giudice dalle scarpe sporche - F Lelli LICEO CLASSICO - A R o sa t i , T F ed eri ci , AAVV MUOVIAMO TERNI A G E N Z I A I M M O B I L I A R E B AT T I S T E L L I P O L I S P O R T I VA T E R N A N A - M S ciar r ini S A N VA L E N T I N O S P O R T I N G C L U B PROGETTO MANDELA - M Mangiolino, E Landi, VALLANTICA RESORT
V Sani
C’è speranza se questo avviene a Terni L’Associazione Culturale La Pagina si impegna alacremente per il benessere culturale e sociale dei cittadini ternani. Troverai nell’Associazione: Ateneo per tutte le età e Ateneo giovani; corsi di italiano per stranieri e corsi di inglese, cinese, arabo, tedesco, portoghese, spagnolo per italiani; conferenze di ogni tipo riguadanti molte scienze umane e sociali e moltissime discipline scientifiche; distribuzione gratuita dei libri e dei filmati che produciamo; spettacoli musicali e teatrali; visite d’istruzione; incontri conviviali; elaborazione di progetti per il territorio di altissima qualità. Per realizzare tutto questo noi paghiamo di tasca nostra, senza orpelli, prebende, emolumenti di sorta, guidati esclusivamente da normalissimo senso civico.
Impegnati con noi per il bene comune!
LA PAGINA UMBRIA
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Alberto Mirimao Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Direttore editoriale Giampiero Raspetti
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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BIENNALE 2015
Tutti i futuri del mondo saranno il filo conduttore della Biennale internazionale d’arte di Venezia che si terrà dal 9 maggio al 22 novembre ai Giardini ed all’Arsenale nonché in vari altri luoghi della città lagunare a cura di Okwui Enwezor, come ha annunciato il Presidente Paolo Baratta incontrando i rappresentanti dei 53 paesi partecipanti. Il senso della prossima esposizione non è facile da interpretare anche se è evidente l’interesse per l’inquietudine che pesa sul nostro tempo, in tutti i settori del vivere civile. Ai piedi dell’angelo della storia, l’Angelus Novus, si sono accumulate le macerie delle precedenti catastrofi sociali e culturali, come ha fatto notare il curatore. Gli spunti per gli artisti certamente non mancano, in qualsiasi settore essi operino, dalla visualità alla scrittura, dal cinema e dal teatro alla musica alle performances. Perciò il progetto dovrà essere dedicato ad una nuova valutazione sull’arte e sugli artisti nell’attualità. Ovviamente l’esame del lavoro compiuto ed in atto fra gli operatori delle arti visive sarà piuttosto complesso e dovrà inserirsi in un percorso che tenga conto della “traiettoria storica” dell’istituzione, centovent’anni, per trarne le opportune conseguenze ferma restando l’opportunità di un coinvolgimento totale fra la proposta estetica ed intellettuale ed i fruitori della medesima, dagli artisti al pubblico, per cui tutti saranno protagonisti. Molti gli aspetti della esposizione che accoglie un programma di eventi atti a drammatizzare lo spazio in progressivo svolgimento. Saranno perciò esposte opere che già esistono in gallerie, musei, studi d’arte, accanto a nuovi contributi creati per l’occasione. Lo spazio storico dei Giardini e del padiglione centrale nonché le Corderie, il Giardino delle Vergini all’Arsenale ed altri selezionati luoghi di Venezia saranno considerati come una metafora attraverso la quale poter esaminare l’attuale “stato delle cose”. Non mancheranno iniziative assolutamente innovative come un esame delle strutture ideologiche di tutto il mondo partendo dal “Capitale” di Marx che, dalle sue origini, nel 1867, ad oggi ha influenzato ed ispirato teorici della politica, economisti ed altre categorie sociali ed intellettuali.
Associazione Culturale La Pagina Terni, Via De Filis 7A
Un importante progetto bibliografico frutto di una meticolosa ricerca che si esternerà in un programma di letture dal vivo da tenersi nel Padiglione Centrale. Ed ancora. Accanto ai padiglioni che ogni nazione partecipante interpreta secondo le sue intenzioni, si aggiunge una grande mostra internazionale autonoma affidata al curatore, un esperimento che da quindici anni perfettamente funziona avviando una nuova storia nella vicenda complessa e varia della Biennale. Tanto che l’esposizione -che non è una mostra mercato- ha già una sua configurazione ed una sua denominazione molto coinvolgente quale “la macchina del desiderio” per evitare cadute conformistiche e mantenere alto il desiderio di arte. Certamente un’impresa non semplice per chi la crea e per chi la fruisce consapevolmente. Il gusto un po’ retrò dei viali e dei canali che compongono i Giardini, il fascino anche fisico e strutturale dell’Arsenale e delle Corderie dove la Venezia operaia e cantieristica mostrava l’altro volto della sua realtà, sono in attesa del nuovo coinvolgimento che segnerà la 56ª edizione della Biennale a partire dal prossimo maggio sollecitando il nostro (ed il vostro) interessamento. Cercheremo insieme di penetrare nell’essenza delle arti -poiché non solo di arte visiva si tratta- così come oggi si esprimono e si espongono, oltre i rituali del dejà vu, per dare sostanza e visibilità al pensiero dell’uomo. Franca Calzavacca
Ogni venerdì: Pomeriggio di intrattenimento culturale
16,30 - 17,45 Proiezioni di opere d’arte: viaggio di studio fuori e dentro le opere tra le varianti delle tecniche pittoriche. Osservazioni, suggerimenti, consigli e ricerca a cura del Pittore Giovanni Ferri 18,15 - 19,30 Rivivere i grandi capolavori della letteratura italiana attraverso i Commenti e la Lettura dei Classici a cura del Prof. Renzo Segoloni 3
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 07441963037 - 3936504183 - 3465880767 - 3482401774
Non prendere scorciatoie. Se vuoi emozioni, assumi cult u r a . Febbraio 2015 Giovedì 5 Giovedì 12 Sabato Giovedì Martedì Giovedì
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Incontro per una politica assiologica Terni è bella* Arte a Terni, la pittura nelle chiese e nei palazzi All day OPEN DAY** TRèbella I vostri progetti Conosciamo il metano TRèbella L’espansione della città, superfici utilizzabili
Fiore di pesco Loretta Santini All the People Giampiero Raspetti Vittorio Grechi Pietro Rinaldi
Marzo 2015 Martedì 3 Giovedì 5
Martedì 10 Giovedì 12 Martedì 17 Giovedì 19
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* Concordare visita: ** Vedi pagina 18
Il liberalismo, storia di un’idea - 2° TRèbella Diffusione della storia e della cultura del nostro territorio nelle scuole, dalle primarie alle superiori La pet-therapy con gli uccelli TRèbella La città pedonale Una vita spezzata: lettere dal fronte del fante Francesco Malgradi TRèbella Offerta turistica del territorio: la Green Way del Nera
Sauro Mazzilli
Loretta Santini Ivano Mortaruolo Paolo Leonelli Pierluigi Seri Pietro Rinaldi
La pittura nelle chiese di Terni
7 - 20 febbraio
21 febbraio - 7 marzo
Amore Universale
Giochi Geometrici
D ir itti U m an i
Mostra Collettiva di Pittura Contemporanea. Dal sentimento di coppia all'amore verso gli anziani, i bambini, gli animali, la natura, il nostro Universo!
Mostra Personale di Pittura di
Pierluigi Seri
Opening ed inaugurazione sabato 21 febbraio dalle ore 17,30 Opening ed inaugurazione sabato 7 febbraio dalle ore 17,30 INGRESSO LIBERO A cura di Alessandra La Chioma
INGRESSO LIBERO
A cura di Alessandra La Chioma
Il corso di lingua italiana per stranieri si terrà OGNI MERCOLEDÌ dalle ore 20,30 alle ore 21,30 Sono aperte le iscrizioni ai corsi gratuiti di ARABO TEDESCO PORTOGHESE I corsi sono totalmente gratuiti per tutti gli iscritti l’anno e dà accesso a tutti i corsi e a tutte le attività
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all’Associazione. Il costo dell’iscrizione all’Associazione è di 30€ organizzate e a quelle, realizzabili, che tu proporrai.
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 07441963037 - 3936504183 - 3465880767 - 3482401774
Lezioni di lingua inglese
Lezioni di lingua cinese
Fo to Al ber to Mi ri mao
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Fot o Al be rt o M ir imao
I siti e l’uomo della preistoria nel territorio ternano
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ATENEO GIOVANI
Apologia di
10 maggio 2057 I rami fragili e spogli degli alberi squarciavano il cielo plumbeo. Lo scricchiolio inquietante che il vento feroce produceva scuotendoli suonava come la promessa di una catastrofe. Elisa li osservava dalla finestra della sua camera, seduta sul davanzale, pensando a quanto fosse assurdo: era maggio, la primavera avrebbe dovuto scoppiare in arcobaleni variopinti di profumi, suoni. La natura avrebbe dovuto reagire, far sentire la sua voce, rinascere, lottare. E invece stava per avvicinarsi un’altra tempesta. Le prime gocce di pioggia furono accompagnate da un ruggito che risuonò in tutta la città, propagandosi attraverso i muri delle case grigie che tremavano quasi si fossero già rassegnate a crollare: no, non era un tuono, quello che scosse quella povera città dimenticata da Dio. Era qualcosa di ben peggiore. Mamma, cos’è stato? -fece Elisa correndo giù per le scaleHai sentito anche tu? “S-s-sì” fece la madre, pallida in viso. “Cosa pensi che sia stato?” - chiese ancora la ragazza. La madre stava per rispondere che non lo sapeva, quando delle voci disperate provenienti dalla strada attirarono l’attenzione delle due: “Correte! Correte a vedere! Hanno iniziato a smantellare!”. “Cosa? A smantellare? Poveri noi, è la fine, la fine!”. “Povera Terni!”. “Correte vi dico!”. Elisa e la madre corsero in strada, unendosi al fiume in piena di gente affannata che correva verso l’epicentro di quel disastro: lasciandosi trasportare dalla spinta della folla, giunsero a Piazza del Popolo, dove l’intera popolazione si era ormai radunata a guardare il massacro imminente. Una grossa ruspa arancione faceva bella mostra di sé al centro della piazza. I ternani, ammassati attorno ad essa, la osservavano attoniti, cercando di capire cosa ci facesse lì. Di sicuro, nulla di buono. Comunque, i loro dubbi si dissiparono all’istante quando da una specie di oblò posto sulla sua sommità uscì un uomo. Dopo che si fu alzato ed ebbe aggiustato il panciotto verde smeraldo sul suo pancione, lisciandosi i baffi esclamò gioviale: “Buon giorno, cittadini di Terni! Sapete, volevo avvertirvi del mio arrivo, ma poi ho pensato che ve ne sareste resi conto da soli, e poi, ho sempre amato l’effetto sorpresa!” e poi continuò: ”Allora, come state? Vi piace la mia bambina nuova di zecca?” accarezzando la carrozzeria della ruspa, scintillante anche sotto la pioggia battente. “Allora, lasciamo perdere i convenevoli: vi starete chiedendo perché sono qui. Ebbene, è presto detto: io e la mia piccoletta” e qui si fermò ad accarezzare nuovamente la terribile macchina sotto i suoi piedi, dandole dei colpetti affettuosi “abbiamo ricevuto l’ordine di iniziare in anticipo lo smantellamento, quindi abbiamo pensato di venirci a fare un bel giretto, da
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qualche parte si dovrà pure iniziare!”. A queste parole, dalla folla si levarono alcune voci indignate: “Ma come, così, senza trasferirci? E cosa faremo? Dove andremo?”, mentre la maggior parte dei cittadini si accasciò a terra disperata, piangendo in silenzio. MOSTRO! gridarono i più audaci: alcuni tentarono addirittura di arrampicarsi sulla ruspa, sfidando i grossi cingoli che ornavano le grosse ruote, ma senza successo. “Su, via, non fate così” continuò l’uomo sulla sua cima: “Vedrete che troveremo una soluzione… un accordo… ma prima, lasciatemi fare il mio lavoro, la mia piccola sta diventando impaziente!”. Dette queste parole, si calò di nuovo giù per l’oblò, lasciando i ternani tra la disperazione e lo sconcerto. Poco dopo, la ruspa ruggì di nuovo, lacerando l’aria intrisa di dolore e umidità con la potenza del suo motore, poi, sbuffando, si mise lentamente in moto, puntando dritto verso Corso Tacito, e sgretolando sotto le sue fauci monumenti, fontane, aiuole, pavimenti come fossero biscotti. Mentre sua madre piangeva sconsolata in un angolo, coprendosi gli occhi con le mani per non guardare, Elisa stava in silenzio accanto alla nonna, che si era unita a loro, tenendole la mano. Vagando con gli occhi annebbiati dalle lacrime tra la polvere, le rovine e i capannelli di persone angosciate che si aggiravano tra di esse come fantasmi, sentiva il cuore gonfio di dolore e preoccupazione. All’improvviso però, le piombò qualcosa in mano: la scia acre di fumo che la ruspa si era lasciata dietro aveva trasportato qualcosa nel suo funereo cammino, qualcosa di bruciacchiato, impolverato, ma ancora verde e maestoso nella sua piccolezza: una foglia. Come un guerriero che esce incolume dallo scoppio di una bomba, lei era sopravvissuta. E anche Elisa. E finchè era in vita, e c’era qualcuno che la chiamava per lottare, avrebbe lottato anche lei. Proprio in quel momento, tra i brandelli sporchi di fumo e cenere di una città che aveva iniziato la propria marcia verso la morte, la ragazza sentì il cuore gonfiarsi di ottimismo e determinazione. Se ne pentì subito: era una cosa orribile da parte sua sentirsi così, come poteva, era l’unica che in un momento tanto cupo si metteva a pensare che fosse possibile salv…. Mentre era persa nelle sue elucubrazioni, in lotta contro il suo stesso animo, il fumo si diradò un poco, e riuscì a scorgere, al di là delle macerie, un viso polveroso, con l’espressione triste ma gli occhi sorridenti che la fissava: Elisa lo riconobbe, era il ragazzo che aveva incontrato il giorno prima davanti all’avviso di smantellamento. Pensò che fosse una singolarissima quanto funesta coincidenza, ma subito si rese conto che non era così: Alessio aveva una foglia in mano. Non erano coincidenze, era il loro destino. Ed Elisa si accorse che non era l’unica a sentirsi speranzosa in Camilla Bernardinangeli mezzo alle rovine.
i un declino Da quel giorno lo smantellamento aveva avuto inizio, l’intera popolazione ternana era stata costretta in casa per mesi, al fine di evitare disordini pubblici; le attività commerciali erano autorizzate ad esercitare solo in alcune fasce orarie, coincidenti con quelle di uscita delle famiglie dalle proprie abitazioni per le necessità quotidiane o la frequentazione della scuola. 11 Novembre 2057 Questo destino andava plasmato in qualche modo, però, e in fretta: Terni andava salvata. E c’era un solo luogo in cui poter pianificare una simile impresa, un piccolissimo angolo della città in cui un’antica bellezza regnava ancora, al riparo -nella sua sublime perfezione- dall’aura di morte e distruzione che avvolgeva la piccola provincia umbra; ed era lì che si sarebbero incontrati. Si erano accordati? Oh no, affatto: sarebbe stata la foglia, quell’unica, piccola testimonianza di vita a farli incontrare in quello stesso luogo; ed eccoli lì, insieme, le loro voci l’unico suono umano rimasto. Il piano procedeva: avrebbero indagato, sì, avrebbero scoperto quale sarebbe stato il destino della loro Terni. Lo smantellamento non può essere l’unico obiettivo, c’è un progetto molto più complesso e crudele dietro tutto ciò, deve essere così, furono le parole di Elisa. E siamo noi a doverlo scoprire - dissero insieme. Si interrogarono a lungo sul da farsi: dovevano trovare un appiglio (un volantino, un articolo di giornale che potesse aver sottinteso qualcosa in riferimento al turbine di avvenimenti che stava in quel momento investendo la città) da cui partire con la loro indagine. Erano due ragazzi razionali e riflessivi al punto giusto: avrebbero analizzato la situazione con quella calma ragionata che li caratterizzava, senza agire d’impulso, e solo nel momento in cui si fossero sentiti sicuri di come procedere, allora avrebbero seguito le loro passioni, e non avrebbero accettato di assistere passivi alla fine di una città che aveva ancora così tanto da dire sulla sua storia. Ma qualcosa li distraeva: le membra ormai aride dell’anfiteatro tornavano a vivere, fecondate da una solarità eroica e pronta a forgiare, in Alessio, un novello Aiace; l’odore caldo e forte di un autunno incipiente impregnava la fredda e pungente luce di novembre. Ora era chiaro: solo un perfetto connubio tra sacrificio e voglia di creare, tra volontà di rivivere le vittorie iliadiche e capacità di meravigliarsi davanti a singoli frammenti di sensazioni avrebbe fatto risplendere -dopo tanto, troppo tempo- quella piccola grande città. Si salutarono; era calata la sera e la sagoma del campanile era l’unica pennellata di luce in un’oscurità che soffocava anche l’anima. Elisa aveva un singolare, dolce sorriso in volto durante la cena, anche i suoi occhi sorridevano, più del solito; era come
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euforica, ma si trattava di un’euforia diversa dal tipico entusiasmo che la distingueva. Doveva iniziare la ricerca, focalizzarsi esclusivamente su quello: si fece forza, frenò l’ormai decollato flusso di coscienza joyciano che si era impossessato di lei, e scese due piani del palazzo; entrò nella casa dei suoi nonni, abbandonata a se stessa ma che ancora conservava un odore che era stato parte dell’infanzia della ragazza, e che non poteva essere dimenticato. Avrebbe trovato quello che cercava, ne era sicura: il nonno era stato troppo appassionato di lettura, un perfetto collezionista di volumi antichi, e la nonna, ah… che donna perfetta, che ordine vigeva ancora in quell’appartamento vuoto ma con un’anima ancora pulsante! Alla mamma Elisa aveva quasi detto la verità: Vado a cercare un libro che se non sbaglio il nonno teneva nella libreria del corridoio -“Mi fa piacere che tu riporti anche solo per qualche minuto la vita in quella casa, ne ha bisogno, ne HAI bisogno”non aveva certo posto attenzione a quel “hai” prima di andare, eppure casuale non poteva essere stato, sua madre sapeva davvero qualcosa. Interamna: storia di una fenice: questo il titolo dell’articolo che avrebbe cambiato per sempre il destino di Terni. Elisa era sconvolta, sapeva cosa la aspettava, anzi, cosa LI aspettava; ma era, allo stesso tempo, così felice ed elettrizzata… doveva dirlo ad Alessio, e subito: prese un foglio e iniziò a scrivere (era stato vietato l’uso di qualsiasi altro mezzo di comunicazione -telefoni, internet, … ), e la penna scorreva rapidissima sulla carta, quasi l’inchiostro stesso fosse impaziente di dar vita a quelle parole. Si fermò di colpo: Ma no, no… che mi passa per la testa? Intercetteranno la lettera ancor prima che Alessio possa leggerla; non posso, manderei all’aria tutto così facendo. Uscì di corsa dalla casa dei nonni, chiuse la porta dietro di sé e si precipitò per le scale; rientrò in casa sua come una furia. Il primo impulso fu quello di una ricerca affannata nell’elenco telefonico, finché non si ricordò che non le era possibile telefonare; accese il computer, ma nulla, anche la rete era stata resa inutilizzabile. Cominciò a tempestare sua madre di domande, tentando di descriverle Alessio al meglio, sperando che le potesse ricordare le fattezze di un parente del ragazzo di cui lei conosceva il nome, ma l’unica cosa che si poteva evincere dalla descrizione di Elisa era l’incredibile forza dell’affetto che già la legava al ragazzo… Fino a che: Oh, ma certo! M a r t ina Sa lv a t i
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Per una irrigazione eff
L’irrigazione è un elemento vitale per l’ottenimento di produzioni economicamente sostenibili e di elevata qualità. L’acqua distribuita alle aziende agricole dai Consorzi di Bonifica sta diventando una risorsa sempre più pregiata ed insostituibile, da impiegare in maniera oculata rispetto al passato. Con il servizio Irriframe, l’A.N.B.I. ed i Consorzi di Bonifica forniscono assieme all’acqua tutte le informazioni per un uso efficiente, con l’obiettivo di giungere a consistenti risparmi delle risorse idriche migliorando la produttività delle colture. L’A.N.B.I. (Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni) sarà presente all’EXPO 2015 di Milano con il proprio modello Irriframe. Ciò a dimostrazione che i Consorzi di bonifica non solo sono un virtuoso esempio di federalismo applicato e di autogoverno del territorio, ma anche una fucina di ricerca applicata, frutto della quotidiana esperienza. Irriframe infatti, sistema “irriguo esperto”, nasce dall’evoluzione di una precedente esperienza, già positivamente attivata in Emilia-Romagna. Il 48% della superficie irrigabile, gestita dai Consorzi di Bonifica in Italia, è oggi servita da Irriframe. Le Regioni interessate sono Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio Abruzzo, Puglia, Basilicata e Calabria. L’uso razionale dell’acqua irrigua -precisa Massimo Gargano, Direttore A.N.B.I.- soddisfa in modo esatto le prescrizioni dell’ Unione Europea, legate alla buona gestione dell’acqua in agricoltura. Per questo, puntiamo alla estensione del sistema, grazie anche al Protocollo d’Intesa stipulato con il Ministero Politiche Agricole Alimentari Forestali. Il 2014 -prosegue Gargano- è stato il terzo anno di gestione ordinaria di Irriframe ed abbiamo incrementato ulteriormente le caratteristiche del sistema, ampliando le categorie di impianti irrigui: scorrimento, aspersione e microirrigazione, con una quarta categoria, che fa riferimento all’aspersione, ma che permette di includere impianti come, ad esempio, i pivot, che hanno caratteristiche sensibilmente differenti. Irriframe sarà l’eccellenza che ci rappresenterà all’Esposizione Universale -annuncia il Presidente ANBI Francesco Vincenzi- grazie alla combinazione di più parametri (condizioni climatiche, umidità del terreno, tipo di coltivazione e relativa fase fenologica,
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I r r i f r a m e
ficiente e di precisione
Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
gestione ancora più efficiente e razionale. Oggi Irriframe è il servizio di informazione irrigua di maggiore diffusione in Europa. Il Presidente Vincenzi ha inoltre annunciato che sarà il Padiglione Italia ad ospitare la prossima Conferenza Organizzativa A.N.B.I., annuale momento di confronto. Ad EXPO 2015 presenteremo tre progetti specifici - spiega il direttore dell’Associazione Massimo Gargano: 1) Irriframe, per il risparmio e una maggior efficienza nell’utilizzo dell’acqua irrigua, con minori costi per l’agricoltore. 2) Le situazioni e le criticità per la difesa del suolo. 3) La presentazione del progetto La civiltà dell’acqua per inserire i siti della bonifica nel patrimonio mondiale dell’UNESCO. L’Acqua, preziosa e indispensabile risorsa, è un bene essenziale non solo per la vita dell’uomo, ma anche per produrre cibo, offrire svago, creare ambienti e paesaggi gradevoli. Per questo nutrire il pianeta, l’obiettivo cioè di EXPO 2015, non può prescindere dalla risorsa acqua, che, sapientemente governata dai Consorzi di bonifica e di irrigazione, può assicurare una maggior produzione e una migliore qualità di beni alimentari. L’acqua è anche portatrice continua di disordine idraulico, con esondazioni dei fiumi, frane e disastri. Da qui la duplice azione dell’uomo per irrigare i terreni carenti d’acqua e salvaguardare il territorio da inondazioni e impaludamenti, tanto più necessaria ora che eventi estremi causati dai cambiamenti climatici (piogge eccessive alternate a periodi di siccità) rendono più fragile il territorio, più a rischio l’ambiente, più difficile l’agricoltura. Per tale importante finalità operano su oltre la metà del territorio nazionale 127 Consorzi di bonifica e di irrigazione, enti pubblici che, sotto il controllo dello Stato e delle Regioni, si autogovernano e provvedono, anche con finanziamenti dei propri associati, alla salvaguardia idraulica del territorio, all’irrigazione delle campagne, alla produzione di energia pulita, alla creazione di oasi naturalistiche per la conservazione di molte specie animali e vegetali. disponibilità idrica, ecc.) è in grado di fornire il miglior consiglio irriguo all’agricoltore, permettendo un risparmio medio del 25% nell’uso dell’acqua in agricoltura. Una pratica indispensabile da cui dipende l’84% del rinomato made in Italy agroalimentare. Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera ha aderito al progetto Irriframe. Tramite un sms od una mail il consorziato riceverà dati di consiglio irriguo basati sul bilancio suolo/pianta/atmosfera e sulla convenienza economica dell’intervento, nonché sul volume d’acqua ottimale. Le informazioni saranno coerenti sia con la disponibilità d’acqua sia con le caratteristiche gestionali e funzionali del distretto irriguo. Decidere il momento più opportuno per irrigare è importante, giacché evita sprechi di acqua inutili. Il Consorzio di Bonifica Tevere Nera tramite la piattaforma Irriframe disporrà dei dati di umidità del terreno, delle informazioni meteorologiche provenienti da stazioni poste in luoghi strategici del comprensorio. Tutto ciò permetterà una
Cronologia Progetto Irriframe Irriframe è un progetto A.N.B.I. Il coordinamento tecnicoagronomico è del CER -Consorzio per il Canale Emiliano Romagnolo. 1959 - Il CER inizia l’attività di ricerca e sperimentazione agronomica e tecnolgica sul risparmio idrico in agricoltura. 1984 - Il CER progetta il primo modello di bilancio idrico suolo-pianta-atmosfera. Con il consorzio Bonifica Renana inizia ad impiegare in Emilia-Romagna i risultati della ricerca. 1990 - Con il coordinamento del Ministero Politiche Agricole il progetto Videotel Irrigazione diventa Nazionale. 1999 - Il CER migliora ulteriormente il modello di bilancio idrico e porta il servzio in internet col nome di IRRINET. 2011 - L’ANBI, viste le sempre crescenti necessità di un uso oculato dell’acqua, decide di dotarsi di un Servizio di consiglio irriguo sul modello di IRRINET. Su progetto del CER realizza IRRIFRAME, dotato di nuove funzioni ed utility per gli agricoltori ed i Consorzi di Bonifica. Il CER collabora per l’attivazione del modello, il supporto agronomico ed il miglioramento dei parametri. 2014 - L’ANBI, in collaborazione con INEA, nell’ambito del progetto “Strumenti di supporto alle decisioni per l’uso irriguo dell’acqua”, ha provveduto all’aggiornamento dei dati di IRRIFRAME, ed in particolare alla sua attivazione in nuovi Consorzi.
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Il giudice dalle scarpe sporche Nell’afa di un pomeriggio di novembre, il piccolo corteo attraversò cantando la strada principale del quartiere di Lampert, a Malabo. Di tanto in quanto, la doppia fila si disuniva per saltare sassi e buche. Davanti venivano quattro ragazzini, coetanei del defunto, con lunghe foglie di palma in mano, con cui si facevano continui scherzi. Dietro, due zii materni trasportavano a braccia una bara verniciata di bianco, a scimmiottare il costume europeo che riserva quel colore agli innocenti. Seguiva il papà e la mamma, l’unica a piangere. Alle loro spalle, io, l’invitato bianco alla cerimonia in veste di datore di lavoro della madre, cuoca nella mia impresa. Chiudevano la fila i sette fratelli del morto, tre femmine e quattro maschi, avvezzi a sfilate del genere. Composti, ma non stravolti. Destinazione, il cimitero di Ela Nguema: un’area delimitata da un muretto alto neppure mezzo metro, privo di siepi o di reti di recinzione, ma con un pesante ed inutile cancello all’ingresso. Una volta giunti lì, gli zii s’erano messi subito alla ricerca di uno spazio libero dove scavare la fossa, depositare il corpicino e ricoprirla. Al papà spettava, invece, l’onere della veglia per una notte, voluta da una tradizione fang, per fortuna caduta in disuso che, solo una ventina d’anni prima, imponeva al genitore di non allontanarsi per almeno dieci giorni dal corpo del figlio, tempo stimato sufficiente a scoraggiare il furto del cadavere, spesso destinato a riti antropofagi. Nell’attesa, girovagavo fra le povere tombe disposte senz’ordine e senza logica, incuriosito dall’originalità degli epitaffi, finché mi fermai di fronte ad una lapide che, sotto il nome del defunto, Feliz Ondo Maye, ministro della Repubblica, nato a Mongomo il 5 ottobre 1942 e morto a Malabo il 12 dicembre 2004, riportava l’indicazione: deceduto per l’onestà e l’ingratitudine del migliore dei suoi figli. La mia curiosità non era sfuggita al capofamiglia, che mi aveva seguito con discrezione negli spostamenti fra le croci. S’avvicinò e disse: É una storia triste che conosco per averla vissuta direttamente. Ero autista del ministro all’epoca dei fatti. Lo guardai, aspettando il seguito che non si fece attendere: Conosce il quartiere di New Bili, no? “Sì, ma non ci sono mai entrato”, risposi. Ha fatto benissimo. Neppure i guineani ci entrano. Prese a spiegarmi che quello era il posto più disgraziato del mondo; nato dalla disperazione e alimentato dalla povertà. Era sorto in modo spontaneo per accogliere i lavoratori del cacao dal Cameroun e dalla Nigeria, cacciati senza preavviso dal primo presidente della repubblica guineana, Macias Nguema, nel 1967, convinto che ogni straniero tramasse contro di lui. Quanti fra costoro sapevano di avere la coscienza sporca, vale a dire quasi tutti, non provarono neppure a rientrare in patria. La comunità che si accentrò lì si arricchì presto di altri esclusi, con preferenza delinquenti, ladri, assassini e violentatori, mantenendo il livello di bassezza sociale nel tempo. Il nome di New Bili deriva dal pidgin english, “new building”, a identificare nuove costruzioni, un’area isolata dalla città fino a diventare un rifugio invivibile per condizioni igieniche e per conflitti interni dalle conclusioni sempre tragiche. Quando, nel 1979, Teodoro Obiang subentrò a suo zio alla presidenza della repubblica, cercò di porre rimedio a questa piaga sociale, bonificando il quartiere, dove neppure i militari s’azzardavano a entrare. Il Presidente pensò ad una formula che non fosse repressiva ma che, al contrario, mostrasse la solidarietà dei guineani verso gli esclusi. Stabilì, anzi ordinò, che i cittadini benestanti di Malabo adottassero un giovane di New Bili, curandone la salute e l’educazione, facendolo studiare e crescere a proprie spese. L’ordine, per dare il buon esempio, fu diretto inizialmente a tutti i ministri della repubblica e agli amministratori dello Stato, per estendersi fino agli stranieri titolari di imprese. Alla luce dei risultati, non fu una soluzione soddisfacente. Molti abbandonarono l’impegno alla prima difficoltà, altri cercarono di giustificare la resa con l’impossibilità di accedere nel quartiere, altri ancora fecero del tutto per risparmiare soldi che non bastavano neanche al mantenimento della propria famiglia. A Feliz Ondo Maye toccò in sorte un bambino giovanissimo, Faustino Douglas Mbe, di origine nigeriana, orfano di padre e figlio unico di Olga Bakuri. Quando qualcuno gli spiegò il cambiamento radicale che s’apprestava a vivere, il piccolo accolse la nuova presenza con
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ingenuo entusiasmo, non avendo difficoltà a chiamare il ministro, papà. Man mano che cresceva, le dimostrazioni di affetto fra i due aumentarono a tal punto che Feliz non distinse fra gli obblighi di genitore naturale e quelli di benefattore. Le soddisfazioni che il piccolo Faustino gli dava nello studio non erano minimamente paragonabili a quelle provenienti dai suoi figli, tanto che scelse di concentrare ogni sacrificio economico su di lui, piuttosto che su Rafael, suo primogenito, refrattario a libri, penne e quaderni. La sua carriera scolastica fu un crescendo di successi. Il ragazzo era sveglio, riconoscente, educato e sensibile. Frequentò il liceo a Malabo e poi fu deciso di iscriverlo alla facoltà di Studi Giuridici a Salamanca, in Spagna. La scelta di frequentare la prestigiosa università, nacque dall’opportunità di una beca, una borsa di studio prevista da accordi di cooperazione fra Spagna e Guinea, grazie alla quale si riconosceva a uno studente meritevole l’esenzione dalle tasse universitarie del primo anno. Faustino non si smentì. Divorava libri e assorbiva nozioni con voracità. La sua capacità elaborativa era incredibile; apprendeva con una facilità da stupire i suoi stessi docenti. Al suo papà acquisito restava un profondissimo orgoglio, ma sempre meno soldi; in difficoltà a sostenere oneri inconcepibili per la realtà africana, ma comunque deciso a non abbandonarlo nel suo percorso di studio. S’era, intanto, fatto tardi. La fossa scavata dagli zii aspettava di accogliere la piccola bara, poggiata a terra e abbracciata, fra singhiozzi accorati, dalla madre. Uno dei fratelli buttò sul fondo una rudimentale macchinina, forse il giocattolo più caro al poverino, ricavata dal tetrapack di un vino sconosciuto, sul quale erano state applicate incerte ruotine e un lungo bastone che consentiva di guidarne la direzione. La cerimonia si svolse fra l’indifferenza rassegnata dei più e gli strepiti materni. Durò poco. Il tempo di calare il feretro nella buca, senza neppure troppe accortezze, e di ricoprirlo con generose palate di terra. Quindi, con i piedi, fu compattato il terreno alla meglio e un cumulo restò a sostenere una croce di legno rozza e sbilenca. Erano quasi le sei e il sole infuocato s’apprestava a scomparire oltre la linea bluastra dell’orizzonte, inondando di luce calda la misera assemblea. Presto sarebbe affogato nelle acque calde dell’oceano allungando sul cimitero le ombre di mille croci. Scese il buio e restammo soli. Intuii che il racconto si sarebbe arricchito di particolari per durare più a lungo. Riprese a dire che Faustino si laureò con il massimo dei voti e la lode. Il preside di facoltà raccomandò a Feliz Ondo di fargli intraprendere la professione di giudice. Gli sarebbero bastati due anni per ottenere il titolo e poco sforzo, date le sue abilità. L’ateneo, in via del tutto eccezionale, si sarebbe fatto carico delle spese di immatricolazione. Intanto, New Bili stava conformandosi ai successi del suo illustre abitante. Si era diffuso un cambiamento che aveva finito per coinvolgere tutti: meno liti, meno furti, meno delitti, come se il quartiere si preparasse ad accogliere il suo figlio illustre in un clima di legalità sconosciuto prima d’allora e del quale lui era diventato simbolo. L’attaccamento di Faustino per New Bili e i suoi abitanti era sconfinato; quando tornava a Malabo, non rinunciava a vivere nella sua vecchia capanna di lamiera e a condividere con i suoi i disagi del luogo. Lo faceva a scapito dell’integrità delle sue scarpe, inesorabilmente insudiciate dal fango perenne delle strade, dovuto alla mescola dell’argilla rossa con i liquidi che tracimavano dalle fogne a cielo aperto. Gli abitanti proiettavano su di lui un desiderio inappagato di riscatto individuale e collettivo, il sogno di fuggire da una vita di stenti, dall’emarginazione e dalla miseria. Superò con brillantezza gli esami per divenire giudice e l’eco dei suoi successi si diffuse ben oltre il quartiere di New Bili. Ne fu informato il presidente della piccola repubblica che predispose un’accoglienza trionfale al ritorno definitivo di Faustino nel Paese. Successivamente, lo invitò ad un colloquio nel corso del quale gli propose di affiancare il vecchio capo del tribunale con la prospettiva di un rapido subentro. Faustino accettò e gli fu affidato subito un incarico delicatissimo: ricercare eventuali riscontri ad un’ipotesi di appropriazione illecita di fondi esteri destinati allo sviluppo del Paese. L’inchiesta che avrebbe svolto doveva avere il carattere della segretezza assoluta, al punto che suo unico interlocutore sarebbe stato il presidente della repubblica in persona. Frattanto, la notte era scesa profonda con i suoi silenzi e i suoi rumori.
Nel cimitero, gli uni e gli altri si amplificavano fino a diventare inquietanti. Ambedue fingevamo di non avvertirli e continuavamo a chiacchierare. Alla luce incerta della luna, attraversata da nubi veloci e scurissime, il papà del piccolo scomparso aprì una scatola di sardine estratta insieme ad un pezzo di pane dalla tasca della giacca sdrucita. Consumò così la sua cena fra rumori insistenti, imputabili, a suo dire, alla presenza di topi, attratti dall’odore forte del pesce e dell’olio di colza che lo conservava. Di che è morto il bimbo?, provai a chiedere per rompere un improvviso silenzio. “Malaria -rispose senza smettere di masticare- è il terzo figlio che perdiamo in due anni”. Non avvertii nessuna emozione nelle parole che mi rivolgeva, quasi abituato a quelle rinuncie. Ha sofferto? -azzardai- voglio dire, si è reso conto di quanto gli stava succedendo? -cosciente di aver fatto una domanda cretina. “Non molto. Ha avuto febbre altissima per poche ore. Poi è entrato in coma. É morto come i fratelli, con dolcezza”, concluse per accontentarmi. L’afa del giorno si prolungava nella notte con un leggerissimo scarto termico. Sudavamo ambedue con la medesima abbondanza diurna. La rapidità con cui si spostavano le nubi creava a terra improvvisi spot di luce che imbiancavano ora qui ora là i miseri loculi. Uno di questi lampi improvvisi mi permise di vedere che aveva terminato la cena. Riprese a raccontare che la grande professionalità di Faustino aveva consentito veloci avanzamenti nell’accertamento della verità, condivisi con il presidente man mano che si realizzavano. Le notizie che gli forniva erano come piccoli tasselli che andavano a delineare un quadro preciso di responsabilità e a tracciare i connotati del malfattore. Il presidente aveva, da un paio d’anni, avviato una campagna di lotta alla corruzione di Stato, stabilendo pene esemplari per i trasgressori, che prevedevano perfino la morte nell’ipotesi di sottrazioni consistenti. Il caso di cui si stava occupando Faustino era dieci volte più grave dei limiti indicati dalle disposizioni. Fu lo stesso presidente a spiegare, durante uno dei discorsi ufficiali alla nazione, senza precisare i particolari, l’incarico affidato a Faustino per il ripristino della legalità nel Paese, anticipando che l’autore della sottrazione, non ancora noto, sarebbe stato esposto alla riprovazione della popolazione prima dell’esecuzione della condanna. I cittadini, stanchi e vessati per decenni dai soprusi dei potenti, avviliti dal silenzio che doveva accompagnare ogni privazione dei loro diritti, consumata in virtù di una pretesa superiorità derivata dall’uso improprio dell’autorità, partecipavano attivamente alla campagna e ne seguivano gli sviluppi cogliendo con avidità e curiosità ogni progresso delle indagini. Finché un giorno il presidente, basandosi sulle indicazioni di Faustino, preannunciò, in un messaggio ai guineani, che alla fine di quello stesso mese si sarebbe giunti all’identificazione del colpevole. In realtà, al momento dell’annuncio pubblico, Faustino non era ancora giunto all’individuazione del responsabile, in attesa di risposte alle rogatorie internazionali sull’intestatario di conti correnti cifrati in banche europee. Il tifo popolare per il giustiziere Faustino cresceva giorno dopo giorno. La gente lo fermava in strada, gli chiedeva notizie, lo ringraziava piangendo, gli baciava le mani.
Finché le tue scarpe saranno sporche del fango di New Bili, gli gridavano, resterà viva anche la nostra speranza di giustizia. Non ci tradire. Quando la prima delle risposte che attendeva arrivò dalla Francia, Faustino pensò ad un errore. Il conto corrente inquisito risultava intestato al suo benefattore: Feliz Ondo Maye. Su quel conto confluivano le rimesse della cooperazione, taglieggiate prima del trasferimento in Guinea. Fece a meno di informare il presidente, certo di un disguido. Ma il terribile sospetto diventò certezza qualche settimana dopo, quando da Spagna e Italia pervennero conferme dello stesso colpevole procedimento. Fu assalito da un’angoscia indicibile e da mille conflitti interni. Decise di mettere al corrente il presidente, ma poi, ancora restio a credere all’evidenza, pensò di avere da suo padre una preventiva, esplicita ammissione di colpa. Il giorno che andò a trovarlo in casa, Don Feliz era a letto malato. Prima di entrare nella sua camera, Faustino si asciugò le lacrime e si propose di acquisire elementi inequivocabili circa il ruolo eventualmente assunto dal padre nella vicenda. Non tardò a conoscere fatti e particolari. Don Feliz confessò la sua colpa, spiegando che senza quelle sottrazioni non avrebbe mai potuto mantenerlo agli studi. Faustino si sedette sul letto, si prese la testa fra le mani e ricominciò a singhiozzare. Gli si parava di fronte una via senza uscita: denunciarlo e, quindi, condannarlo a morte, oppure ignorare i riscontri evitando di consegnarlo alla giustizia? Ma, poi, per quanto tempo ancora? Confidare nella benevolenza del presidente e ingannare le aspettative degli onesti? Si sentiva causa e effetto di quella colpa e era convinto che le conseguenze non fossero perfettamente percepite dal padre, evidentemente fiducioso nel trattamento comprensivo del figlio. Dopo un’infinità di considerazioni, i due decisero che Faustino, non potendo tradire il suo nuovo ruolo, cui era stato destinato dal presidente e reso ora scomodo dalle circostanze, avrebbe riferito al Capo dello Stato la pura verità, offrendosi di restituire, per tutti gli anni necessari, la somma indebitamente sottratta da Don Feliz ai cittadini, chiedendo in cambio la grazia di fargli salva la vita. Le cose non andarono secondo le attese. Il presidente fu inflessibile e confessò a Faustino che da qualche anno nutriva sospetti sull’operato di Don Feliz, senza avere le conferme necessarie. Sarebbe stato peggio anche per lui, giudice, se gli avesse nascosto la verità. Il suo gesto onesto e coerente era già un passo significativo verso la trasparenza e la legalità che la nazione reclamava. E lui, Faustino, avrebbe potuto essere l’interprete ferreo del rigore voluto. Il presidente gli parlò a lungo, facendogli capire che evitando a Don Feliz la condanna non si sarebbe mai cancellata la vergogna della colpa e che la sua coscienza di giudice, prima che di uomo e di figlio, non avrebbe potuto chetarsi nel favoritismo della scelta. Con la desolazione nel cuore, torturato da mille dubbi, maledicendo una professione che non consente compromessi, riferì al padre l’amara conclusione della vicenda. La condanna fu eseguita solo tre giorni dopo e l’epitaffio che compare sulla tomba non è un monito voluto da Don Feliz a guardarsi dall’ingratitudine filiale, ma è opera dello stesso Faustino che ha inteso ricordare nel dramma vissuto l’eterna punizione per la sua coscienza. Sul cimitero di Ela Nguema cominciarono ad apparire i primi bagliori di una nuova alba. Una lunga striscia tremolante di fuoco s’allungò sulla superficie dell’oceano inondando di calore rassicurante le miserie degli uomini. In quei raggi incerti si avvertiva l’incoraggiamento a credere nella buona natura di ogni essere umano e la fiducia ad ascoltare la voce della propria coscienza. Franco Lelli
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Diritti umani, La matita e il kalashnikov Satira, matita, ignoranza, fanatismo religioso... Tali sono le parole a cui ricorrono ampiamente televisioni, radio e giornali in questi giorni. “Un atto barbaro che non può trovare alcuna giustificazione”, così lo definisce Tzvetan Todorov in un’intervista a caldo rilasciata al quotidiano La Repubblica sui terribili attacchi perpetrati a Parigi da tre uomini che, in nome di Dio, hanno fatto irruzione alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, seminando terrore e distruzione e uccidendo dodici giornalisti, tra cui il direttore Charbonnier, il fumettista e caricaturista Jean Cabut, l’economista Bernard Maris e uno dei padri del caustico settimanale, l’ottantenne Wolinski. Poliziotti, guardie e giornalisti sono caduti sotto i colpi dei kalashnikov di uomini che osano definire la loro lotta santa e compiuta in nome di Allah. A tale farneticazione potrebbe ribattere Socrate: Ma cos’è la santità? Come può essere definita “santa” la violenza, l’uccisione o la guerra? Papa Francesco, baluardo della pace e della libertà, risponderebbe che la guerra è “orrore e avventura senza ritorno” e in quanto tale non può essere definita santa: la violenza e la morte sono gli strumenti di cui si avvale il male per insinuarsi fin nelle più profonde pieghe della società, per infondere terrore e privarci della nostra dignità, fondamento del nostro essere uomini, coscienti e responsabili dei propri atti, titolari del grande valore della libertà. La libertà è una conquista costante che cresce nel reciproco rispetto, nell’incontro e non nello scontro. La nostra cultura occidentale affonda le proprie radici nella filosofia greca, in particolare quella socratica, che tende a valorizzare la dignità dell’altro come diritto inalienabile, e che è cresciuta e maturata grazie a molti dei personaggi che popolano i libri di storia e di letteratura, attestandosi su princìpi di tolleranza e democrazia, che si incrinano irreversibilmente sotto gli attacchi di quanti minano il nostro “sistema liberale” dalle fondamenta: l’attacco al cuore dell’Europa è soltanto l’ennesimo, purtroppo non l’ultimo, della lunga lista di attentati impressi nella memoria, oltre che di tanti francesi, anche di inglesi, spagnoli, europei e americani. Dovremmo forse rispondere con la logica del “muro contro muro”, con l’intolleranza, abbandonando così il pluralismo, i valori che ci appartengono? No, cederemmo così al ricatto dei terroristi. Sarebbe inaccettabile chiudersi e crogiolarsi all’interno della propria cultura, magari scivolando nell’isteria collettiva e nella xenofobia, che assecondano teorie catastrofico-apocalittiche. Un miliardo e mezzo di musulmani di fede islamica non deve e non può essere bollato con l’infamante appellativo di terrorista. Si finirebbe con l’inasprire i rapporti con l’Islam e potrebbero riaccendersi tutti quei focolai di conflitto che, come profetizza papa Francesco, fanno pensare ad una terza guerra mondiale frammentata. D’altro canto, però, occorre concentrarsi sul nostro presente, riflettendo sui nostri errori e sul deprecabile “lassez faire”, poiché l’attentato non è distante ma vicino a noi, né colpisce soltanto i francesi: occorre agire nell’immediato per ripristinare un costruttivo dialogo di pace, affrontando la minaccia del fanatismo che incombe anche sul mondo islamico. I politici non dovrebbero rassicurarci con false promesse di nuovi “F35” o razzi più sofisticati ma rispondere con la ratio e con la matita, evitando di censurare una delle ultime forme di libertà rimaste nelle mani dell’uomo: la satira. La libertà sarà sempre più forte della barbarie: la nostra migliore arma è l’unità, afferma il presidente della Francia François Hollande, a cui fa eco Nicolas Sarkozy: Difendiamoci da questo attacco a uno dei princìpi a noi più cari: la libertà di espressione. Da qui scaturisce l’invito a formare una “falange oplitica di eroi”, non quelli immortali, ma i “comuni mortali”, come coloro che hanno sacrificato la propria vita per salvare quella altrui: la giovane poliziotta, uccisa da uno dei tre terroristi senza alcuna pietà, e la guardia incaricata di presiedere alla redazione, freddata con crudeltà ed odio inumani, ne sono esempi tristemente noti. Ma gli eroi sono anche i due milioni di persone che si sono riversate in “Place de la Republique”, incuranti del potenziale pericolo, e hanno mostrato fieri l’ormai celebre slogan “Je suis Charlie”, armati di matite alzate al cielo, opponendosi a chi, per vile timore, auspica che la libertà di espressione sia sottoposta a censura e a chi clicca “mi piace” o pubblica sui social network i video del terrore. Si tratta di una grande dose di coraggio, che ha abbattuto le mura dell’ignoranza e che dovrebbe rappresentare uno straordinario exemplum per noi, poiché, se Charlie Hebdo aveva combattuto con la penna, si sarebbe dovuto rispondere con armi pari, con la penna e non con armi caricate con tanto odio, crudeltà e ignoranza. Ora è il nostro turno: dovremmo abbandonare la retroguardia e collocarci in prima linea per combattere il fanatismo e l’odio, che di certo non possono e non devono essere associati alla religione. Alziamo anche noi le nostre matite al cielo, affinché i nostri disegni siano al di sopra della barbarie, tutti in difesa di un diritto universale che ha nome libertà. Alessandra Rosati I D
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L’ I s l a m n o Le immagini trasmesse dalle televisioni il giorno 7 Gennaio 2015 ci hanno fatto rabbrividire. Una cellula terroristica, idealmente legata sia all’ISIS (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) sia all’organizzazione terroristica Al Qaeda, ha attaccato la sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo e ha ucciso a colpi di kalashnikov due poliziotti, di cui uno musulmano, e dieci dipendenti. Charlie Hebdo è conosciuto in tutta la Francia per le vignette satiriche, a volte decisamente irriverenti nei confronti di Maometto, del Papa e della religione ebraica. La cosa grave è che non solo ci sono stati dodici morti ma che sembra essersi rotto l’equilibrio presente da sempre nella società francese: gli episodi di intolleranza e antisemitismo si sono fatti più frequenti, mettendo così a dura prova gli ideali repubblicani, sempre più sotto assedio da parte di cittadini che non sembrano riconoscersi nei valori della modernità. Purtroppo temo non solo che in futuro possano verificarsi altre azioni terroristiche ma anche che, in conseguenza di tali attentati, la mentalità occidentale possa radicalizzarsi fino a giungere all’islamofobia e al razzismo, ideologie che di certo non ci aiuteranno a risolvere il problema del fondamentalismo islamico in Europa. Certamente dobbiamo agire per fermare queste azioni ma non bisogna cadere nella trappola dell’islamofobia; infatti c’è il rischio che da ora in avanti un musulmano possa essere visto da noi occidentali con un occhio diverso e che ci sia una ostilità sempre più radicata nei confronti dell’Islam. Dovremmo renderci conto che scatenando l’odio produrremo altro odio. Bisogna ricordare che l’Islam e il fondamentalismo islamico sono due cose completamente diverse e che i terroristi islamici, come noi li conosciamo, hanno mal interpretato i contenuti del Corano.
non fanatismi! Pensieri riverenti
on è l’ISIS Ciò che dobbiamo fare è condannare non l’Islam ma il terrorismo. L’Islam è una parola che rivela un’ambiguità semantica nel suo significato di «sottomissione», vocabolo che rimanda alla sudditanza e al predominio di uno sull’altro. Tuttavia la cultura islamica ha favorito un grande scambio nelle scienze, nella matematica, nella filosofia, nella musica e nell’architettura e ha fatto sì che che l’Occidente le fosse debitore di tali acquisizioni scientifiche. Quando però un’idea, una religione, una cultura degenera, può essere interpretata nelle sue forme più radicali ed estreme, così come è stato per alcune manifestazioni di fanatismo religioso nei Tribunali dell’Inquisizione, nelle crociate e nelle imprese dei conquistadores spagnoli nell’America del Sud. Un altro problema che si è evidenziato in tale situazione è quello dei giovani occidentali che abbracciano la causa dell’ISIS. Ragazzi vissuti, cresciuti ed educati nelle città europee, anche non di origine araba, si rivoltano all’Europa e si uniscono ai fondamentalisti islamici. Dovremmo chiederci perché ciò accade. A mio avviso, ci sono giovani che si sentono insoddisfatti della loro vita, pur vivendo in una società del benessere e del consumismo. Guardando il film inglese «East to East», che parla di una famiglia pakistana che vive in Inghilterra, potrei dire che forse questi giovani cercano valori meno materiali e pensano di trovarli nella Jihad armata. Probabilmente vanno in cerca di valori più forti laddove la società occidentale ha dato maggiore importanza al consumo e ai valori materiali. Spero che questi episodi ci inducano ad una profonda rivisitazione del nostro modo di relazionarci l’uno con l’altro, senza reagire in modo violento e illogico, come purtroppo temo. Tommaso Federici I D
Mentre in Francia venivano uccise venti persone, in Nigeria ne venivano uccise più di duemila. I motivi e gli autori di entrambe le stragi erano simili. Se un morto africano non è importante quanto un morto francese, allora, non si capisce cosa sia rimasto dell’uguaglianza, della solidarietà e della libertà della Rivoluzione Francese. Centinaia di migliaia di morti di questi mesi in Iraq, Siria, Pakistan, Nigeria, Afghanistan e altri paesi ancora non pesano quanto la morte dei giornalisti di Charlie Hebdo? Allora, poche speranze ci sono di risolvere il problema. Andreea Diana Danila La morte di questi uomini non deve essere vana. Essi sono morti per difendere un proprio diritto, sono morti in piedi di fronte a un’arma che voleva farli tacere. Per questo motivo io sono Charlie, ma sono anche tutti gli altri morti per la libertà di espressione. Sono Cabu, sono Charb, sono Tignous, sono Wolinski, sono Honoré, vignettisti che denunciavano gli oppressori e i potenti. Sono Frederick, sono Franck, sono Elsa, sono Bernard, sono Ahmed, sono Mustapha, sono Michel, morti per difendere un giornale. Sono Clarissa, sono Philippe, sono Yohan, sono Yoav, sono Francois-Michel, morti mentre facevano la spesa. Io sono Charlie, ma anche tutti gli altri. Queste poche parole non sono niente, ma sono la mia forza. Viva la libertà di parola. Rachele Subioli “Charlie” trasporta in un mondo dove si può e si deve mettere in dubbio e anche irridere qualsiasi forma di potere, soprattutto nella sua sacralità. I disegnatori erano eredi di un grandioso pensiero illuminista, nipoti di Swift e Voltaire, che avevano deciso di esprimersi attraverso la satira. Forse proprio qui sta il punto della questione. Molto opinionisti, pur condannando l’atto dell’attentato, che non potrebbe trovare consenso, hanno dubitato della legittimità della risata in ambito religioso. Io ho riflettuto a lungo a riguardo. La satira nasce con l’obiettivo di navigare contro corrente, di uscire dai rigidi e bigotti schemi di una società radicata nel buio e polveroso passato, di osare e volare sopra le righe. Senza l’offesa di un’istituzione non ci sarebbe satira! La satira è forse l’unico ambito in cui sia prevista la violazione del rispetto dell’altro. Io credo e professo la religione cattolica e confesso che forse non avrei mai acquistato quel periodico, perché probabilmente mi sarei sentita ferita da un determinato tipo di battute, ma, in virtù di quella libertà che nel mondo moderno vige, ne avrei tollerato la pubblicazione. Marta Gigli È naturale che agli occhi di musulmani, impregnati di una cultura diversa da quella occidentale, la libertà di satira possa apparire assurda. Tuttavia ritengo fondamentale che, essendo emigrati in uno Stato europeo, acquisiscano la consapevolezza di vivere in un regime di democrazia pluralistica, nel quale determinate libertà, come quella di espressione, sono concepite e accettate. Infatti, è proprio in mancanza di una simile comprensione fra le due culture che non è stato possibile cancellare né il rancore generalizzato nei confronti degli occidentali, che da sempre hanno preteso di esercitare nei Paesi islamici un imperialismo culturale spesso per motivi economici, né la diffusa intolleranza dei cittadini europei nei confronti della minoranza musulmana, continuamente nutrita ed accresciuta dalle azioni orrende dei terroristi. Lucrezia Savelli
Come si può agire dopo un simile evento? Innanzitutto ritengo che l’importante sia cercare di domare il timore e l’angoscia che ci perseguitano, poiché, altrimenti, se cedessimo a queste emozioni, seguiremmo le aspettative dei terroristi. Essi, infatti, si rafforzano attraverso la paura delle persone e sperano che la nostra risposta alla loro provocazione avvenga con la violenza e con la repressione verso il mondo islamico. Desireé Silvestri Paris
La risposta ad un tale gesto barbaro non deve essere, senza dubbio, né la violenza, né l’odio, né il razzismo ma la razionalità, la giustizia e la tolleranza nei confronti dello straniero e del diverso per nazionalità, cultura, religione, idee ed opinioni. Dall’odio non deve nascere altro odio. Resistiamo senza alimentare altro odio e vendetta. Resistiamo con fermezza. Valentina Ronchini Per tale motivo, se non si vuole appoggiare il gioco cruento dei terroristi, è indispensabile non lasciarsi prendere dalla paura e da sentimenti xenofobi nei confronti di tutta la popolazione mussulmana. La maggior parte di essa, infatti, è costituita da persone che ripudiano per prime gli atti terroristici. Ciò viene anche testimoniato dal fatto che, proprio in questi giorni, è partita la campagna dei mussulmani contro il terrorismo e ogni forma di integralismo religioso. “Not in my name” è l’hasthag che circola in rete condiviso da migliaia di giovani islamici. Irene Pulcianese
Che senso ha tutto questo? Un Dio può davvero volere la morte di persone innocenti? Può davvero incoraggiare i propri fedeli a fare fuoco su uomini, donne, anziani e bambini? Ma, soprattutto, una vignetta vale la morte di 12 persone? Isabel Santos Abreu
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Polisportiva Ternana Il 19 settembre dello scorso anno ha preso il via un affascinante progetto di unione di più associazioni sportive unite dai colori rossoverdi e dal drago simbolo della nostra città. L’idea di riunire ed organizzare in una casa comune e con comuni finalità sportive l’articolato e vivace mondo dell’associazionismo sportivo ternano, sul modello delle grandi polisportive europee (Barcellona, Real Madrid, Sporting Lisbona, Olympiacos) nasce da una mia precedente esperienza di dirigente sportivo nella società Lazio squash aderente alla Polisportiva Lazio. In Italia il modello delle orgogliose ed autonome federazioni sportive che ha modellato per decenni la cultura e l’organizzazione sportiva sia a livello professionistico che dilettantistico manifesta oggi, in una fase critica di congiuntura economica, tutti i propri limiti sia gestionali che di sviluppo delle attività sportive ad ogni livello; in molte realtà sta progressivamente prendendo corpo l’idea della necessità di condividere progetti sportivi per: - abbattere i costi di gestione, con conseguente beneficio per i ricavi comuni - tutelare gli atleti di rilievo aderenti ai diversi sodalizi della polisportiva attraverso una organizzazione più efficace e strutturata - favorire, anche attraverso efficaci campagne di marketing, comunicazione capillare e programmi scolastici, l’opera di promozione sportiva sul territorio ternano - promuovere, favorire e sostenere progetti umanitari e sociali a sostegno delle persone e categorie più deboli. Positivo è stato il bilancio di questi primi 4 mesi di vita; la Polisportiva conta oggi 14 sezioni (scherma, karate, calcio a 5 maschile, subbuteo, danza classica e moderna, pattinaggio a rotelle, nordic walking, volley femminile, football americano, ciclismo, squash, calcio a 5 amatoriale, tennis, fitness) in rappresentanza di altrettante associazioni sportive (Accademia Drago Scherma, Karate Tradizionale Terni, Orte C5, Ternana Subbuteo, Scuola danza Lucrezia Cardinali, Europattinaggio, Nordic Walking Speed Turtles, Ternana Pallavolo,Terni Steelers, Ternana Ciclismo, Ternana Squash, Borus Snai, Olio e Sapori Tennis, San Valentino Sporting Club Fitness). Numerose sono state le iniziative che hanno visto coinvolte le associazioni sportive affiliate: - l’iniziativa benefica Non dimentichiamo, accogliamoli dell’associazione Aiutiamoli a vivere di Terni, sponsor etico della Crediumbria Ternana Pallavolo, che ha portato nella nostra città tanti bambini della Bielorussia in un soggiorno terapeutico contro le radiazioni nucleari provocate dall’incidente di Chernobyl; - l’adesione al progetto Beat the street (Muoviamo Terni)
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per la promozione di attività fisica e stili di vita sani che a partire dal 14 febbraio e sino al 29 marzo vedrà coinvolta l’intera popolazione ternana in una sorta di sfida globale dei camminatori urbani. L’obiettivo è quello di far percorrere agli abitanti della nostra città, nelle 6 settimane della sfida e monitorati da smart card, 200.000 km (la distanza tra Terra e Luna); - la festa di Natale della Polisportiva Ternana che ha visto la partecipazione di oltre 400 persone; - la manifestazione racchette di Natale, un divertente torneo di squash, tennis, badminton e tennis tavolo; - l’attività convegnistica con 3 conferenze: - l’allenamento mentale per la massima prestazione sportiva, gli sport della racchetta contro gli stress quotidiani e Famiglia e Sport organizzato insieme al Centro Sportivo Italiano. I Programmi futuri riguardano: - un convegno che si terrà il 7 marzo all’ospedale Santa Maria di Terni dal titolo Attività Fisica, il nuovo farmaco del millennio e che verrà la presenza di importanti Medici e Professori; - il Trofeo San Valentino che vedrà coinvolti in una giornata di sport e divertimento circa 300 atleti provenienti da tutta Italia e si svolgerà presso il San Valentino Sporting Club (tornei di subbuteo, squash, burraco, calcio a 5 maschile e femminile e football americano, master class di fitness e dimostrazioni di nordic walking; - la condivisione di programmi di preparazione atletica per l’alto agonismo ed il monitoraggio costante dei dati mediante la polisportiva Ternana Lab; - i progetti scolastici con una manifestazione da tenersi a maggio presso il San Valentino Sporting Club, sullo stile dei vecchi giochi della gioventù e rivolto alle scuole elementari e medie; - la festa della Polisportiva che si svolgerà a settembre; - la nascita di una scuola calcio etica; - progetti di solidarietà ed in particolare centri estivi per bambini meno fortunati. La sede della Polisportiva Ternana è presso il San Valentino Sporting Club, storico complesso cittadino sito in Via Turati 81. La Polisportiva Ternana rappresenta un grande elemento di novità nel panorama dell’associazionismo sportivo ternano in quanto è una prima forma di polisportiva non aziendale, dove le sezioni sportive coinvolte continuano a mantenere la propria autonomia amministrativa, economica e finanziaria ma condividono logo, princìpi etici e programmi sportivi e sociali. Maurizio Sciarrini Presidente della Polisportiva Ternana e del San Valentino Sporting Club
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Intervista a Ivan Tanteri Ivan cosa pensi di fare con noi ragazzi del Progetto? Ripercorrere le linee che ho mostrato attraverso questo piccolo percorso che è un po’ un racconto teatralizzato di quella che è stata la mia esperienza di 40 anni di teatro. Però vorrei partire da un qualcosa di molto preciso, il respiro nella voce, come si può passare attraverso l’organicità del respiro per trovare diversi tipi di voce e come trovarli attraverso il linguaggio del corpo, quindi il respiro del corpo attraverso la voce. Cosa consigli a noi giovani che vogliamo intraprendere non dico una carriera, ma molto tempo nel teatro? Vi consiglio di non fare teatro fondamentalmente perché chi fa teatro in maniera profonda e non passa attraverso alcune forme che conosciamo molto bene che tagliano le strade, deve avere delle grandi motivazioni, un grande senso dell’avventura perché il teatro è una grande avventura ed è arte dell’incontro. Se perdiamo di vista questi due momenti centrali, perdiamo di vista il teatro, che diventa un’altra cosa. Tante forme di teatro e tu oggi ci hai fatto vedere una parte di un determinato teatro, il teatro di immagine, come lo hai chiamato. Quanto è complesso lavorare con il corpo per far evocare immagini senza parola? Non è complesso, è complesso come la parola, come una canzone, come lo studio di una partitura musicale. Ci sono le partiture fisiche, ci sono le partiture del testo, ci sono le partiture musicali, non c’è nessuna differenza tra un musicista che studia le partiture e un attore che studia le sue partiture. Significa che un do è un do e non può essere un do calante o un do crescente e poi questo, messo insieme a tutta l’orchestra del teatro, crea una bella sinfonia. Tu prima di essere attore sei stato uno spettatore, ti ricordi cosa vedevi negli spettacoli che ti hanno incuriosito di più? Io fino a diciotto anni non ero andato mai a teatro. Un giorno ho visto un film, che era Apocalypsis cum figuris di Grotowski, tutto sul corpo e in polacco, dove del testo non capivo una parola ma ho capito tutto. Lì ho capito che volevo fare quel tipo di teatro. Quindi, ti sei ispirato a Grotowski? Non mi sono ispirato, diciamo che sono rimasto impressionato a tutti i livelli, ed era una pellicola. Poi durante il mio percorso sono stato a contatto con Pupella e con Rosalia Maggio, abbiamo diretto, insieme con i miei compagni di viaggio di allora, il Centro Teatrale Europeo a Frascati, abbiamo fatto scambi tra teatro di gruppo e teatro tradizionale con le famiglie d’arte, con i Colombaioni, con Isso Miura che è un giapponese. Questo non ha mai messo in discussione che tutto parte dalla serietà, dallo studio, dalla precisione, dalla volontà e soprattutto da una grande motivazione che quella non te la può dare nessuno, o ce l’hai o non ce l’hai. Questo spettacolo… Attenzione a chiamarlo spettacolo! É un dono che volevo fare agli studenti del teatro, che volevo fare alla mia città da dove sono partito tanti anni fa e dove ho incontrato il teatro, e soprattutto al Progetto Mandela perché riconosco nel Progetto Mandela un grande valore aggiunto per la città di Terni. Nel teatro di immagini è protagonista il corpo e gli oggetti che circondano l’attore. Questo è uno spettacolo portato in tutto il mondo, come reagiscono gli spettatori a queste immagini in base al paese? Ci sono diverse reazione, quello che ti posso dire è che in Sud America c’è una esplosione, vengono toccati a livello sensitivo, sono più liberi da tutta una serie di blocchi mentali che noi possiamo avere o non avere. Noi siamo legati molto al capire, là sentono, c’è tutto un altro modo. Ma in Norvegia per esempio, reagiscono in maniera molto calorosa. In Danimarca sembra che non reagiscano, poi invece finito lo spettacolo senti che vengono con una grande emozione, con grande interesse. Questa è anche la forza, come raccontare storie attraverso gli oggetti e le immagini che uno dà.L’ultima scena che io ho fatto è la storia di un drago e di una principessa che con l’ombrellino sta nel castello perché il padre la vuole proteggere dalle brutture della vita. Ci sono i soldati che si allenano con la spada che fanno la guardia alla principessa. Poi arriva il principe a cavallo, c’è una grande festa, tutte le guardie si ubriacano e c’è un uccellino che parla alla principessa attraverso la finestrella della torre e gli racconta tutte le bellezze dei profumi, dei cinguetti degli uccelli. Lei scappa, parla col gufo, con la civetta, con la margherita, finché non arriva ad un lago, vede la sua immagine riflessa e viene colpita dalla sua bellezza. Ma anche il drago, il principe delle acque, si innamora di lei, e attraverso le lingue di fuoco la trascina sotto il lago. Diventa tutto chiaro: lo posso raccontare o lo posso far immaginare. Tutto finisce con una grande festa dove viene invitato anche il drago. Entra Fellini in simbiosi con tutto quanto e c’è la fusione di diversi livelli. Invece noi siamo abituati a degli schemi: adesso che io te lo racconto allora capisci, ma io non ti voglio far capire. Ognuno fa la drammaturgia di quello che vede, è questa la grande libertà, perché altrimenti sappiamo sempre come inizia come si svolge e come finisce… e la sorpresa? Marco Mangiolino
I Doni dell’arte di Ivan Tanteri
Proseguono le attività dei Laboratori di Progetto Mandela! Fedeli al nostro compito di tenervi aggiornati sugli ultimi e più interessanti sviluppi del nostro lavoro, oggi vogliamo raccontarvi de I Doni dell’Arte, dimostrazionespettacolo a cura di Ivan Tanteri. Il 12 gennaio si è tenuto, alla Tettoia del CAOS, il primo dei tre incontri del percorso di laboratorio organizzato insieme all’attore, regista e pedagogo di origini ternane. I Doni dell’Arte sono momenti di scambio reciproco che appartengono alle ragioni più profonde della creazione artistica. In questi incontri con i ragazzi di Progetto Mandela voglio donare un po’ della mia esperienza e dare il mio contributo di artista a una realtà che reputo preziosa e importante per la nostra città - afferma lo stesso Ivan Tanteri, che attraverso un racconto spettacolarizzato ed esemplificatore delle proprie numerose esperienze si è presentato ai ragazzi di Progetto Mandela, in particolare ai partecipanti al Laboratorio di Recitazione, ai quali sono stati riservati gli altri incontri. Attraverso una versione del proprio spettacolo ridotta per l’occasione, Ivan ha ripercorso le tappe della sua carriera artistica a partire dagli anni ’70 con il Centro Teatrale Universitario di Perugia fino alle sue odierne attività come attore, regista e al suo percorso pedagogico Teatro Immagini, attivo a partire dal 2002 sul territorio nazionale ed internazionale, fra le cui iniziative si inserisce anche la serie di tre incontri formativi organizzata per il Progetto Mandela. Attraverso il percorso di laboratorio di Ivan i ragazzi di Recitazione avranno modo di entrare in contatto con forme di teatro differenti rispetto a quelle a cui sono abituati, arricchendo il proprio bagaglio culturale e acquisendo nuove abilità tecniche che saranno poi applicate alla realizzazione della parte recitativa dello spettacolo teatrale dell’anno, obiettivo finale dei Laboratori di Progetto Mandela. Eleonora Landi
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Lo spettacolo teatrale del Progetto Mandela
CORAGGIO E A PRESTO! per la
Giornata della memoria
La sera del 22 Gennaio, il Progetto Mandela, per ricordare le vittime dell’ Olocausto ha portato in scena lo spettacolo Coraggio e a presto! ispirato alle lettere di Louise Jacobson. La ragazza è un’ebrea parigina, arrestata per non aver indossato la stella gialla; con lei viene fermata anche la madre, ma Louise la vedrà solo una volta. Dalla prigione per minorenni di Fresnes viene mandata al campo di concentramento di Drancy e poi ad Auschiwitz. Qui la ragazza perderà la vita nelle camere a gas. Louise ci racconta la sua prigionia in uno spettacolo dove le lettere sono le vere protagoniste. Per la ragazza la prima preoccupazione è tranquillizzare i suoi cari, lei sta bene, riceve lezioni da altri detenuti, tutti la rispettano e la trattano con gentilezza. Ma i giorni passano e la liberazione appare sempre più lontana e Louise ne è consapevole. L’ultima lettera è per il padre, per informarlo della sua deportazione. Gli chiede di non disperare, perché ovunque sarà potrà sentirlo e ne soffrirebbe. Elisa Gabrielli, nel ruolo di Louise, divide la scena con l’incredibile voce di Noemi Nori e la fisarmonica di Eleonora Tomassetti. I divertimenti e gli svaghi dei parigini che non si fermano nonostante la guerra, si scontrano con l’immagine di Louise, che vediamo sempre sola, vicino al suo letto e alla finestra, leggere lettere su lettere, sperando che queste gli restituiscano parte di quella vita che sta perdendo. Il tempo scorre, lento, lo vediamo conteggiato ogni poco sullo schermo che divide gli attori dagli spettatori. Le lettere si susseguono, simili, una dopo l’altra, in un crescendo che ci sostiene fino alla fine, facendoci sentire sulla nostra pelle l’ansia di un’attesa interminabile. Che dire? Grazie a tutti. Vedervi lavorare insieme per offrirci questo spettacolo è stata una grande emozione. Le risate di Louise, il suo essere così forte, ci hanno fatto entrare in un mondo terribile, ce lo hanno fatto sentire per naturale contrasto, più crudele e più disumano, ma anche più debole, perché non è riuscito a piegarla, a farla arrendere e disperare. E allora diciamolo sempre e forte come lei, per non dimenticare: Coraggio e a presto! Veronica Sani
Programma Febbraio - Marzo 2015 Lungo cammino verso la libertà 3 febbraio 13° incontro 10 febbraio 14° incontro 17 febbraio 15° incontro 24 febbraio 16° incontro 3 marzo
17° incontro
10 marzo
18° incontro
Corso introduttivo alla conoscenza dei diritti umani e delle loro violazioni Terni, Auditorium di Palazzo di Primavera, ogni martedì ore 16,30
IL RAZZISMO, LE TEORIE E LA STORIA, PARTE II N asc ita e sv i l u p p o d el r a z z i s mo b i o l o g i co , la C onve nzion e i n t er n a z i o n a l e s u l l a d i s cr i mi n a z i o n e r a z z i al e d e l 1 9 6 5 IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA, PARTE I Il razzismo a n t i n ero n eg l i US A IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA, PARTE II Il razzismo a n t i n ero e l ’a p a r t h ei d i n S u d A f r i ca IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA, PARTE III L’antisemitismo nazista, gli antecedenti storici, sterilizzazione, eugenetica, eutanasia IL RAZZISMO E LA PRATICA POLITICA, PARTE IV L’antisemiti s mo n a z i s t a : l a p er s ecu z i o n e e i g h et t i . Gen o ci d i e S t e r m i n i GENOCIDI E STERMINI, PARTE I La definizione giuridica di genocidio: la Convenzione sul genocidi (1948), il genocidio degli Armeni, il genocidio di Stalin e il massacro di Katyn, il genocidio dei cambogiani. In Ruanda, il bombardamento di Tokio, lo stupro di Nanchino, Hiroshima.
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