La Pagina Aprile 2019

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elevatori su misura Numero 164 Aprile 2019 Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura

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Aprile

2019

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La maledizione della conoscenza

4 Siamo tanti Loretta Santini

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Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

DOVE TROVARE La Pagina ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Massimo Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO ; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; IPERCOOP; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo Volfango Frankl.

6 Senza lilleri... Giampiero Raspetti

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19 Ecografia della mammella L Fioriti.........pag. 19 R Uccellini...................................................................pag.

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28 L'inquinamento non esiste Enrico Squazzini

37 La Primavera di Greta Giacomo Porrazzini

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Coloriamo lo Sport........................................pag. 24 SIPACE GROUP..................................................pag. 24 Ipertensione arteriosa

25 La musica e l'arte di De Andrè...............pag. 26 TRATTORIA LA MORA...................................pag. 29 LICEO CLASSICO...............................................pag. 30 Leggendo qua e là... P Crescimbeni. ...........pag. 33 Andavamo dal fabbro V Grechi...................pag. 34 CULLA PER LA VITA........................................pag. 35 Centro di Cardiologia dr. Dell'Uomo...........................pag.

Quando Terni fece un botto fragoroso

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SIAMO TANTI Loretta SANTINI

Sì, siamo in tanti ad amare Terni. Tanti ad apprezzarne la storia e le eccellenze. Tanti con la voglia di fare, di conoscere e far conoscere. Purtroppo ancora molti continuano a ripetere “Terni è brutta … è insignificante”, “Sì, città moderna, ma senza anima”, “A Terni non c’è niente!”. Voglio ancora una volta smentire tutto ciò. Assisto a un fiorire di iniziative di associazioni -molte sono di lunga data- che approntano spettacoli, conferenze, incontri, organizzano performance di poesia, canto, musica e teatro. Altre programmano visite guidate alla ricerca delle eccellenze del territorio o ancora seminari di approfondimento di eventi, personaggi, situazioni che hanno fatto parte integrante della storia di Terni rendendola, sotto certi aspetti, unica. C’è chi, amante della natura e soprattutto dei monti e dei boschi che fanno da anfiteatro alla conca ternana, racconta in modo poetico e coinvolgente, storie e tradizioni. C’è chi si meraviglia di nuovo di fronte alle immagini di quella che fu la valle incantata e ne cerca i segni e la poesia nei panorami di oggi: me lo racconta un amante della natura che, durante le sue passeggiate sui colli e sui monti vicini, rivede e fotografa quegli stessi panorami immortalati dagli artisti del Grand Tour. C’è chi su facebook e sui giornali riscrive cronache ed eventi del passato aprendo una finestra su storie dimenticate. Molti pubblicano foto antiche della città cercando di far ricordare, con un misto di nostalgia, ma anche di soddisfazione per le trasformazioni avvenute nel tempo, l’aspetto di Terni di una volta. Molti si impegnano per promuovere il trekking sui tanti sentieri del territorio; alcuni hanno sperimentato un trekking urbano con l’intento di scoprire e far scoprire la storia antica di Terni attraverso i suoi monumenti moderni. Alcuni manifestano il loro attaccamento alla città parlando di quella ternanità che molti sentono come propria identità, come

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cuore di Terni; una ternanità che, seppur non riconosciuta o contestata da altri, anima comunque il dibattito, facendo emergere un impegno culturale e una passione che arricchiscono indubbiamente la città. C’è infine chi sollecita iniziative, chi si indigna per ciò che non è stato fatto e per il degrado postando foto su facebook che denunciano tale degrado sollecitando soluzioni e interventi. C’è dunque una rinnovata vivacità, c’è il bisogno di incontrarsi e di conoscere monumenti, storie, le tradizioni, eccellenze, peculiarità. Non è vero che a “Terni non c’è niente”; non è vero che “Terni è brutta”. A dimostrazione di quanto osservato cito alcuni eventi cui ho ultimamente assistito. Uno di questi sono le giornate di primavera del FAI. La manifestazione, ormai consolidata da anni e di grande spessore, ha visto, nei due giorni di programmazione, centinaia di persone in fila per vedere due palazzi: il palazzo Filerna-Perotti-Montani e il Palazzo Alberici. Sono di proprietà privata e la loro visita è stata concessa per l’occasione. Una vista sicuramente entusiasmante perché ha svelato architetture e pitture di grande pregio, tesori d’arte e di storia di immenso valore. Gli affreschi del nobile Palazzo Montani eseguiti da Gerolamo Troppa e Cosimo Dandini, sono stati un’autentica rivelazione: stanza dopo stanza abbiamo scoperto le sale affrescate e anche signorilmente arredate. A Palazzo Alberici, gradevolissimo esempio di edilizia rinascimentale, il proprietario ha illustrato con grande passione la storia dell’antica dimora e delle fasi di restauro da lui stesso operate sulla struttura. Nell’elegante corte interna, al termine della manifestazione, si è tenuto un concerto dell’Istituto Briccialdi. Questo mi fa riflettere su quanti altri palazzi ricchi di opere pregevoli esistono a Terni, ma non sono conosciuti e, purtroppo, non ancora visitabili. Penso, solo per citarne alcuni, a Palazzo Carrara, Mariani, Fabrizi,

Bianchini-Riccardi con le loro sale affrescate: un patrimonio davvero eccezionale, ma nel tempo spesso dimenticato. Della serie “A Terni non succede niente” ricordo la manifestazione organizzata dall’Araba Fenice “Come in un film” nell’Auditorium di Palazzo Gazzoli stracolmo di gente, dove si sono esibiti l’attore Stefano De Majo, Moira Michelini e l’orchestra d’archi diretta da Emanuele Stracchi, che hanno riproposto la magia delle colonne sonore di tanti film famosi mixando musica e recitazione. Come non citare Visioninmusica giunta ormai alla sua XV edizione con il suo corredo di concerti di altissimo livello. E ancora il Gruppo archeologico DLF (siamo ormai alla XVII edizione) che con i suoi incontri mensili ci porta per mano alla riscoperta delle eccellenze del passato e, soprattutto, della bellezza. Ricordo ancora Terni Fall Festival, l’evento culturale che ripropone la riscoperta dei luoghi del Grand Tour (Cascata delle Marmore, Valnerina, Terni, Narni): la prima edizione dedicata ai coniugi Shelley, ha visto una notevole e appassionata partecipazione di cittadini che hanno assistito a tre giorni di performance, visite alla città di Terni e Narni, conferenze, eventi musicali. La stessa cosa promette l’evento che celebra il bicentenario della visita degli Asburgo-Lorena a Terni e alla Cascata delle Marmore. Ultima, ma non per importanza, ricordo le iniziative dell’Associazione Culturale La Pagina che da anni, anche grazie al magazine mensile in distribuzione gratuita, si adopera per la conoscenza e la rivalutazione della città e del territorio. Cosa ci dice tutto questo? Che si ha voglia di fare, di conoscere, di partecipare; si ha desiderio di scoprire eventi che raccontino la città, la cultura, la sua storia. Soprattutto ci dice che siamo in tanti ad amare Terni e che a Terni ci sono bellezze, storie, eccellenze che attendono di essere riscoperte e riapprezzate.


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Giampiero RASPETTI

Senza lilleri...

La Terni che tutti amiamo è quella così ben narrata da Loretta Santini, vero nume tutelare della storia e delle storie della nostra città, una città tutta frutto e operosità dell'ingegno di semplici cittadini. Fateci caso: non c'è, negli ultimi decenni, un seppur minimo avvenimento in cui si riesca a scorgere la presenza fattiva o l'intelligenza operante di qualche politico, amministratore, sindaco, assessore, presidente, direttore... nessun Alterocca, per dirla in breve. Cosa avviene ormai da tempo? Chi è sconosciuto alla cultura e non ha mai realizzato qualcosa di buono per la città, sgomita ognora per cercare di rappresentarla là dove si percepiscono compensi, non di rado straripanti. Chi invece, impegnato gratuitamente nel nobilissimo volontariato, inventa e realizza grandi benefici per i cittadini, non pensa certo a fare altro, men che meno a militare in fazione o scodinzolare in club riservato. L'ultimo monumento pubblico "donato" alla città di cui si ha memoria è la fontanella bassa e lunga che si appoggia alla chiesa di san Tommaso, ora magazzino di reperti paleontologici. Sta lì impotente da anni, non ricordo più quanti, né ricordo chi siano stati i geni che l'hanno ideata e voluta, né perché sia stata messa lì, con quale scopo. Quanto amerei sapere se quell'arredo urbano abbia in comune qualcosa con la storia di Terni! Quel che è certo, comunque, è che non ha mai funzionato. Ma se parliamo di altre opere di vero ingegno, di creazioni artistiche o culturali che siano state inventate, ex novo, da qualche amministratore, vaghiamo nel nulla fino ad arrivare al Vicesindaco Fabrizio Pacifici che ha creato, per Terni e per l'intera umanità, uno dei più grandi centri di solidarietà e di realizzazione di diritti umani esistenti al mondo. Ricordo poi l'ottimo sindaco Giacomo Porrazzini, professionista ed eccellente uomo di cultura e i miei docenti al liceo, Dante Sotgiu e Piero Adorno, in grado di intervenire ad altissimo livello tanto nella letteratura, quanto nell'arte, quanto nella musica. Chi non ricorda l'Agimus, chi non ha mai letto quei formidabili libri di storia dell'arte adottati in quasi tutti i Licei italiani? Il resto, zero carbonella o giù di lì. Da molto tempo, dunque, persone opacissime, insignificanti dal punto di vista professionale e culturale, mai visti ad un incontro tra cittadini, a conferenze con cittadini, a organizzazioni dei cittadini, si sono industriati e si industriano come sedicenti amministratori. Alcuni siedono addirittura accanto al sindaco (assessori) con il proposito di fare, per la città, quello che non hanno mai mostrato di saper fare, né realmente fatto, in precedenza. Così, all'improvviso, si mettono in mente di aver conquistato otto lauree, di essere geni che sanno progettare, creare, fare, dire, baciare... Ed ecco allora i problemi nella nostra bellissima città: la cultura, i cittadini, Terni stessa vivono appartati, isolati rispetto al cosiddetto potere centrale. Non c'è unione, e forse neanche speranza, perché il grande nostro problema è proprio quello della impreparazione e della scadente capacità culturale, politica e progettuale, di chi gestisce, intra et extra moenia, la pubblica amministrazione.

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Mi rendo perfettamente conto che “senza lilleri non si lallera” (ho italianizzato il proverbio toscano), che, cioè, si deve sempre e comunque onorare tutte le spese e che nulla ci viene regalato. La mia filosofia però, il mio stile di vita, il mio continuo e costante comportamento non sono quelli di chiedere prima di dare, chiedere ad esempio in nome della adesione ad un partito o della iscrizione ad una società di mutuo soccorso, ma di dimostrare prima di chiedere. Sono, da sempre, molto distante da caritatevoli, amichevoli, mafiose prassi operative. Ho insistentemente cercato di dare l’esempio in prima persona, contando solo su me stesso e così intendo proseguire, anche se questo mio agire mi ha fatto spesso considerare un vero e proprio sovversivo. Devo però constatare, con amarezza, che tra tanti lettori che da anni seguono i miei magazine (164 numeri de La Pagina, 32 numeri de La Pagina Umbria, 10 numeri de La Pagina Europa - in tutte le lingue), tutti per magnificare la mia terra e la mia città, di fronte a innumerevoli miei progetti, tutti apprezzatissimi dal fior fiore della cultura, non solo cittadina, non ho mai ricevuto considerazioni lusinghiere od anche, perché no, una proposta di aiuto, anche piccolo, finanziario. Per i miei concittadini, sembrerebbe proprio che dover gestire un consistente insieme di professionisti della cultura con il fine di portare alla luce la bellezza della nostra città o per tentare di realizzare importanti scenari futuri, debba essere, per il sottoscritto, un pressante obbligo mentre invece possa essere un disinvolto optional per i mercenari della partitica e di alcune gaudenti istituzioni! Dalla classe cosiddetta dirigente no, da quella non mi sarei mai aspettato niente perché là lettura e studio difettano e perché la riconoscenza è sentimento per uomini. Ancor più amaro è dover assistere al brigare di chi, gestendo montagne di finanze pro urbe, è perfino riuscito, con l’arte sopraffina del confondere la trasmissione della cultura con il mercato delle vacche, a trattare, unilateralmente e un tanto al chilo, la diffusione culturale sul mio magazine al fine di umiliare chi, come me, compie miracoli, sempre e solo a favore di Terni, e strappa anche l'anima per non rimettere mensilmente cifre eccessive, a non poter accettare la loro miserevole ed offensiva offerta. Ma, casi osceni a parte, si assiste vieppiù a gente che critica tutto e tutti… ti aspetteresti da costoro qualche intervento attivo, qualche idea creativa, un progetto. D'altra parte se neanche gli amministratori sono riusciti mai a dirci cosa fare della nostra città, nella quale ogni tanto qualche negozio è ancora aperto, è chiaro che il singolo cittadino rimane frenato, si pasce di inedia e di ignoranza comune. Ecco perché chi gestisce e dirige ha l'obbligo di proporre e promuovere e di non essere solo un passamano della ordinaria amministrazione. Ma, soprattutto, ha il dovere di collaborare, caparbiamente e continuamente, con i cittadini, cercando di promuovere le idee migliori, senza pensare di essere diventato, lui stesso, ex abrupto, un vero e proprio genio pensante!


STADIO


La maledizione della conoscenza

I

mpieghiamo anni ad acquisire le nostre conoscenze, a “farci una cultura” di studio e/o lavorativa, facendo nostri linguaggi e tecniche specifiche, e più siamo bravi in questo, più probabilmente avremo successo nel nostro campo. Tutto ciò è chiaramente un bene quando siamo sul lavoro o comunichiamo con persone che fanno parte del nostro “mondo”, ma potrebbe diventare un vero problema quando dobbiamo comunicare al resto del mondo cosa facciamo o come farlo. Infatti, quando sappiamo qualcosa, ci risulta difficile ricordare come ci sentivamo precedentemente rendendoci conto che gli altri non sanno ciò che noi ormai conosciamo così bene. Chris Anderson, alla direzione di TED (un’azienda no-profit internazionale che organizza conferenze ed eventi e gestisce una piattaforma web di video fruibili gratuitamente con più di 2,3 miliardi di visitatori), nel suo libro Il migliore discorso della tua vita, dice che: “...tutti quanti soffriamo di un pregiudizio cognitivo per il quale l’economista Robin Hogarth ha coniato l’espressione la maledizione della conoscenza. (…) Un fisico vive immerso nelle particelle subatomiche, per cui può

dare per scontato che sia noto a tutti cosa sia un quark charm”. Diversi i casi esemplificativi più ricorrenti, dalla banale parola in inglese o l’espressione in latino che si conosce e si è sicuri che conoscano tutti, alle informazioni e riferimenti dati per noti, all’uso di astrazioni abituali per chi scrive o chi parla, ma non per i lettori o gli uditori meno esperti, all’uso del gergo, delle abbreviazioni, degli acronimi e della terminologia da addetti ai lavori, senza definizioni o spiegazioni. La maledizione della conoscenza è la causa principale dei messaggi poco comprensibili, scritti o parlati che siano, prodotti spesso da persone molto competenti. I primi a parlare del fenomeno, nel 1989, furono gli economisti Colin Camerer e George Loewenstein. Scrissero un articolo sui risultati di una ricerca svolta per capire se gli agenti di borsa più preparati fossero in grado di anticipare le scelte degli agenti di borsa con meno informazioni. I due ricercatori scoprirono che gli agenti che avevano maggiori informazioni sul mercato, sui dirigenti d’azienda ed economiche, erano incapaci di predire le scelte di investimento degli agenti meno preparati. Ciò accadeva perché i primi non

Alessia MELASECCHE

alessia.melasecche@libero.it

riuscivano a mettersi nei panni dei secondi considerando le informazioni in più che avevano come fondamentali mentre non riuscivano ad immaginarsi come prendere decisioni non tenendo in considerazione proprio quelle informazioni. La maledizione della conoscenza tende ad aggravarsi durante le presentazioni, complici ansia da prestazione e voglia di fare bella figura, che portano a fare sfoggio di tutta la cultura e la conoscenza possedute: dopotutto se si è degli esperti, è bene dimostrarlo! Purtroppo questo atteggiamento fa generalmente prendere le distanze da chi parla e non permette che le persone capiscano e siano coinvolte ed attente. In realtà non è difficile ovviare al verificarsi di una simile situazione, infatti basterebbe adattare il contenuto e il tono al pubblico e per quanto banale possa sembrare, è altrettanto utile sottoporre il testo a lettori reali e rappresentativi di chi poi sarà il fruitore del messaggio, per verificare se ci siano problemi di comprensione. Bisogna scrivere e comunicare pensando che chi legge o ascolta non conosce ciò di cui si parla. In fondo sembra facile.

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CON IL PATROCINIO DI

L'IPOACUSIA DA INQUINAMENTO ACUSTICO Sala Conferenze dell'HOTEL GARDEN Via Bramante, 4 - TERNI Responsabile scientifico Dr. Santino Rizzo

PROGRAMMA

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ore 8.00 Registrazione dei partecipanti ore 8.30 Apertura dei lavori e saluto delle autorità ore 8.45 “Cause dell’ipoacusia e fattori di rischio” Dr. Santino Rizzo ore 9.15 “Soffrire di ipoacusia da rumore: i dati della Regione

Umbria” Dr.Fabrizio Longari

ore 9.45 “Cos’è il rumore e come si determina il danno da rumore

lavorativo” Dott.ssa Nadia Alunni

ore 10.15 Coffee break ore 10.45 “La prevenzione dei danni uditivi da rumore nei luoghi

di lavoro” Dr. Silvestrelli

MAGGIO 2019 6 crediti ECM

PROVIDER

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA

Info: 346.5880767 329.2259422 www.ec-comunica.it

ore 11.15 "Terapie emergenti della ipoacusia da rumore" Prof. Giampietro Ricci / Dr. Egisto Molini

ore 11.45 “Tecnologie per la correzione dell’ipoacusia: versatilità

e connettività” - Eriberto Martellotti - AUDIBEL

ore 12.15 “L’approccio e l’intervento protesico nelle ipoacusie

e analisi di alcuni casi clinici" Simone Gioffredi - ACUSTICA AUDIOLOGICA INMEDICA SORDITA’

ore 12.45 “Percorsi audioprotesici virtuosi: dall’analisi

delle esigenze ai benefici della tecnologia applicata” Massimo Messeri - AMPLIFON

ore 13.15 Discussione e conclusioni ore 13.30 Compilazione Questionario ECM


IL PORTO SBAGLIATO

Francesco PATRIZI

U

n camion corre verso l’entroterra dove la vegetazione si fa più nera della notte, si sovrappongono voci, lingue diverse: chi piange, chi prega e chi bisbiglia cose incomprensibili. Il più giovane dei deportati, un ragazzo nigeriano, chiude gli occhi, dondola il corpo sul bordo del camion e si lascia cadere sulla strada. Nessuno sparo, nessuna frenata, il buio lo inghiotte. Una settimana prima, un gruppo di migranti si organizza per raggiungere la Spagna, il punto di partenza è il Golfo di Guinea, snodo del traffico mondiale di armi, droga e petrolio. Anche i migranti sono merci tra le merci e vengono trasportati attraverso due tratte: quella che dal Mali passa per la Libia, direzione Italia, oppure quella che passa per l’Algeria, direzione Spagna; la seconda è la tratta seguita dal giovane nigeriano Martin Kyere e dai suoi compagni. Un viaggio della fortuna che prevede una prima tappa nel porto di Barra, in Gambia; questo piccolo paese, nato come colonia inglese all’interno del Senegal francese, può offrire asilo e far transitare i migranti

verso il Mali, ma il gruppo è capitato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato: il presidente Yahya Jammeh, andato al potere con un colpo di Stato militare, ha appena ricevuto la soffiata di un imminente sbarco di guerriglieri, mimetizzati tra i migranti, inviati dal Ghana per rovesciarlo. La sera del 22 giugno 2005, ad attendere il barcone, c’è la Marina Militare. I profughi vengono affidati direttamente ai junglers, gli squadroni paramilitari che fanno il lavoro sporco per conto del presidente. Martin e gli altri vengono sottoposti ad una settimana di torture, devono confessare un presunto piano terroristico, otto di loro vengono fatti a pezzi a colpi di machete davanti agli occhi terrorizzati degli altri. Martin assiste al massacro, non capisce cosa vogliono, che cosa deve dire quando toccherà a lui. Interviene la polizia, ma solo per trasferirli nel villaggio di Brufut, situato in una sorta di colonia di espatriati ghanesi, detta Ghana Town, che oggi è divenuta, grazie ai finanziamenti australiani e sudafricani, una località di vacanze di

lusso; lì si trovano le fosse comuni dove scompaiono i dissidenti politici. Durante lo spostamento, Martin Kyere si lascia cadere dal camion e si dilegua nella notte; sarà l’unico sopravvissuto di questo viaggio finito nel sangue. Quattro anni dopo il ragazzo riesce a denunciare alle Nazioni Unite l’eccidio dei suoi compagni. Il governo del Gambia nega, ma una commissione d’inchiesta riesce a ricostruire l’accaduto ed evidenzia il ruolo che svolge il paese nel traffico dei migranti. Per altri otto anni segue un pesante silenzio da parte della comunità internazionale, interrotto nel 2017, quando Jammeh perde le elezioni e fugge in esilio, solo allora trenta suoi ex ufficiali raccontano che in quel massacro hanno perso la vita quarantaquattro ghanesi, dieci nigeriani, tre ivoriani, due senegalesi e un togolese, che sono sepolti vicino a un resort di lusso, in una fossa comune che, ancora oggi, nessuno ha intenzione di riaprire. Quella notte si erano accorti che mancava un ragazzo all’appello, ma erano sicuri che non sarebbe andato lontano.

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Baleniamo? Nell’antica piazza delle Erbe, poi Solferino, oggi dei Bambini e delle Bambine, campeggia, al centro di un “ondoso mare”, una “sagoma di balena”, discutibile sia formalmente, sia per l’uso che impropriamente se ne fa come scivolo, foriero di gravi incidenti. Ci permettiamo pertanto di proporre una soluzione intervenendo con un “obeso” guscio di corten da realizzare, possibilmente, dalle acciaierie e con una circostante vasca d’acqua dove la balena “alla Botero” possa finalmente sguazzare.

Libri che amiamo

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Nel modulo della Dichiarazione dei redditi (730, CU, Unico) trovi il riquadro la "SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER Comeper donare il 5XMILLE MILLE DELL'IRPEF". Firma e inserisci il Dichiarazione dei redditi 97054400581 nello spazio Nel modulo della (730, CU, Unico) trovi il dedicato al per "Sostegno delPER volontariato e delle altre riquadro la "SCELTA LA DESTINAZIONE DEL organizzazioni CINQUE PER non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione MILLE DELL'IRPEF". sociale Firmaecc". e inserisci il 97054400581 nello spazio dedicato al "Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale ecc".

SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) SOSTEGNO DEL VOLONTARIATO E DELLE ALTRE ORGANIZZAZIONI NON LUCRATIVE DI UTILITA’ SOCIALE, DELLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE E DELLE ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI RICONOSCIUTE CHE OPERANO NEI SETTORI DI CUI ALL’ART. 10, C. 1, LETT A), DEL D.LGS. N. 460 DEL 1997

FINANZIAMENTO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E DELLA UNIVERSITA’

SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) FIRMA

....................................................................

SOSTEGNO DEL VOLONTARIATO E DELLE ALTRE ORGANIZZAZIONI Codice fiscale del NON LUCRATIVE DI UTILITA’ SOCIALE, DELLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE beneficiario SOCIALE(eventuale) E DELLE ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI RICONOSCIUTE CHE OPERANO

FIRMA

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FINANZIAMENTO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E DELLA UNIVERSITA’ Codice fiscale del beneficiario (eventuale)

NEI SETTORI DI CUI ALL’ART. 10, C. 1, LETT A), DEL D.LGS. N. 460 DEL 1997

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FLORIO

GRAZIE per il vostro contributo volontario del 5xmille. Indicate sul vostro Mod. 730 / UNICO il codice fiscale dell'Associazione Culturale La Pagina 01484960552.

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25APRILE 25 APRILE Festa Festadella della Liberazione Liberazione PROVINCIALE TERNI

e

d

con il patrocinio di

in copertina Partigiani ternani dopo

la Liberazione. Al centro, con i baffi e la giacca in mano, Alfredo Filipponi (“Pasquale”); a destra Teresa Palaferri.

per il

all’interno pagina 1 Arrivo

di lavoratori coatti italiani in Germania, inizi 1944 (Bundesarchiv-Bildarchiv, uso libero), pagina 2 Da sinistra; colonnello Roberto Battaglia, Claudia Pahor, Goiko Davidovic, Mila Wuk, Toso Svetovar Lakovic e, davanti a terra, Marta Pahor, Norcia 1943. pagina 3, da sinistra a destra, dall’alto in basso Laura Massimi in Rossi, Vincenza Bonanni in Onelli, Francesca Fabrizi, Angela Ferranti, Elvira Filipponi, Teresa Capocci, Ines Faina, Bice Benedetti in Filipponi.

er a

PROVINCIALE TERNI

tranne quella di pagina 1, tutte le immagini sono tratte da Bruna Antonelli, Terni. DONNE dallo squadrismo fascista alla Liberazione (1921-1945). Appunti per una storia, Crace, Narni 2011

ocrazia

17 aprile 2019 - ore 17:00

Archivio Stato di Terni 17viadi -Cavour, 13 -2826 aprile 2019 Isuc (sede di Terni) TERNI occupata 1943-1945 per l’economia di guerra della Germania nazionalsocialista

23 aprile 2019 - ore 17:00

26 aprile 2019 - ore 17:00

Archivio di Stato di Terni

Casa delle Donne

presentazione delle interviste

conferenza

Interviste di Gianfranco Canali (1981-1993)

programma saluti

Cecilia Furiani Direttrice Archivio di Stato di Terni Rossano Capputi Vicepresidente Anpi provinciale Terni Rosina Zucco Direzione Anrp coordina

Angelo Bitti Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea Anpi provinciale Terni

presentano il volume

Amedeo Osti Guerrazzi Istituto storico

germanico, Roma

Antonella Tiburzi

Libera Università di Bolzano

sarà presente il curatore

Brunello Mantelli Università degli studi della Calabria

programma saluti

Cecilia Furiani Direttrice Archivio di Stato di Terni intervengono

Emilio Ricci Vicepresidente Anpi nazionale Tania Scacchetti Segretaria Cgil nazionale Alessandro Portelli Università di Roma La Sapienza Enrico Grammaroli Circolo Gianni Bosio coordina

Mario Tosti Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea

in copertina Pa

e la giacca

all’interno pagina 1 Arriv

(Bundesarc pagina 2 Da s Goiko David e, davanti a

pagina 3, da si

Vincenza Bo Elvira Filippo

tranne quella d Bruna Antone Appunti per un

via Aminale, 20-22

Antifascismo e movimento operaio a Terni

Anpi provinciale Terni via Sant’Andrea 11 - 05100 TERNI a cura Mantelli tel.die Brunello fax 0744 403215 cell. 3209545767 prefazione di Gianni anpi.terni@gmail.com Perona, Fondazione Memoria della Deportazione nota di Enzo Orlanducci, Presidente Nazionale Anrp (Mursia, Milano 2019, 2 voll., pp. 1186+768)

Acli Terni Ancescao Umbria Sud Anppia Terni Arci Terni Associazione Berlinguer Associazione Demetra Cgil Terni Cisl Terni Coordinamento per la democrazia costituzionale Esedomaniterni Il Pettirosso Libera Progetto Mandela Terni Donne Terni Valley

via Cavour, 28

p.le Antonio Bosco, 3A - 05100 Terni presentazione dell’opera

075 576 3030 Tante isuc.crumbria.it braccia per il Reich! isuc.terni@alumbria.it Il reclutamento di manodopera nell’Italia isuc74

25 APRILE Festa della Liberazione hanno aderito alle iniziative per il 25 aprile Festa della Liberazione

Donna Resistenza. Il contributo delle donne nella brigata garibaldina “Antonio Gramsci”

programma 17 - 13 - 26 aprile 2019 TERNI saluti

Terni Donne intervengono

Bruna Antonelli Storica Marco Venanzi Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea coordina

Alba Cavicchi Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea

Isuc (sede di p.le Antonio 075 576 303 isuc.crumbria isuc.terni@al isuc74

Anpi provinci via Sant’Andr tel. e fax 074 cell. 3209545 anpi.terni@gm


I rumori in condominio!! Avv. Marta PETROCCHI

I rumori in condominio sono una delle maggiori ragioni di contenzioso! Vediamo quali sono i princìpi che regolano la materia. L’art. 844 c.c. è la norma fondamentale: Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso. La giurisprudenza per dare concretezza a tali princìpi ha elaborato il cosiddetto criterio comparativo ritenendo che superino la normale tollerabilità i rumori maggiori o di 3 decibel di notte o di 5 decibel di giorno, il c.d. rumore di fondo. La Cassazione con la sentenza n. 6136/2018 ha poi chiarito che “Il limite di tollerabilità delle immissioni non ha, quindi, carattere assoluto essendo, invece, relativo alla situazione ambientale, variabile secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e spetta a giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità”. La prima cosa che si fa in situazioni di questo tipo è rivolgersi all’amministratore, ma quali sono le sue competenze e le sue responsabilità per i rumori tra vicini di casa? In primo luogo, è necessario verificare cosa prevede il regolamento condominiale. In seguito alla riforma del condominio, entrata in vigore il 18 giugno 2013, i rumori molesti praticati dai condomini fuori dagli orari stabiliti dal regolamento condominiale, possono essere sanzionati dall’amministratore con un’ammenda fino a 200 euro, che può raggiungere quota 800 euro in caso di azione recidiva. L’art. 70 del c.c. dispone: Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a 200 euro

e, in caso di recidiva, fino a euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del Codice. Qualora però il regolamento nulla dica in merito o il rumore riguardi situazioni non altrimenti eliminabili, come ad esempio quelli prodotti da una persona malata, nulla può fare l’amministratore. E bene ricordare che a tutelare i condomini dai rumori molesti interviene anche il codice penale, che nell’articolo 659 intitolato Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone dispone: Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 309. La giurisprudenza è univoca nel ritenere configurato il predetto reato quando i rumori, eccedenti la normale tollerabilità, siano virtualmente in grado di infastidire un numero indeterminato di persone. I rumori, per essere penalmente rilevanti, pertanto, non solo devono arrecare disturbo alla quiete degli occupanti gli appartamenti superiori e/o inferiori, ma devono anche interessare una parte più ragguardevole degli inquilini del condominio. Secondo una recente giurisprudenza una ulteriore forma di tutela può essere offerta dall’applicazione dell’art. 612 bis c.p. L’estensione all’ambito condominiale del reato di stalking, si caratterizza, per la pluralità dei soggetti passivi, si tratta di persone che abitano lo stesso edificio, non conviventi, né appartenenti al medesimo nucleo familiare e ciò in contrasto con l’uso comune del termine stalking che viene utilizzato per definire comportamenti patologici riguardanti la sfera affettiva degli individui posti in essere frequentemente nei confronti delle donne.

“IO M’ARICORDO...” DICÉA PAPÀ Paolo Casali

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“Io m’aricordo ch’ero bbardascittu quanno ggiocào a schicchere a pparmìttu, a bbicchierétte co’ le sbuffecchiàte su qquelle piste a ggèssu disegnate, co’ lu pallone tuttu ‘n bo’ bbistornu e lu bbeccùcciu e la recchiòzza ‘ntornu a dda’ ddu’ cargi su qquillu campìttu e a scazzottàte ‘n quillu viculittu. Io m’aricordo ch’ero ggiuvinìttu lu spiazzu ‘ntornu a mme me stéa strittu c’éo bbisognu ‘n bo’ de ‘n’allargàta ‘gni ggiornu me facéo ’na scarpinàta pe’ annàmme a ffa’ lu bbagnu a Ppiedilucu o ssu ppe’ Ssanzenone ‘n quarche bbucu e cco’ ‘n catorciu de ‘na bicicretta annào da ‘na dorge bbardascetta. Magari a qquilli tembi s’artornàsse” dicéa tuttu nustàrgicu papà

“e cchi cciaéa tembu d’annojàsse e ppe’ nojandri quillu era campa’ fosse pe’ andru pe’ la ggiuvintù ma quillu tempu mica ‘rtorna più! Io m’aricordo che mme so’ sposatu ma non te dico doppo ch’ ho pproàtu io ch’ ho llasciatu ‘n munnu tuttu azzione so’ ‘nnatu po’ a ffini’ su ‘na priggione… non zo’ pputùtu anna’ più a ffa’ bbisbòccia perché a ttu madre è qquillu che je scòccia... me tocca fila’ drittu come ‘n fusu sinnò se mette pure co’ lu musu. Magari a qquilli tempi c’éo ‘rpenzàtu, io forse stéo ancora ‘n bo’ a rruzza’ e mme potéo gode’ più ccilibbàtu” dicéa malinconicu papà... Mi’ madre che lu stéa llì a ssintì’ j’ha dittu “Caru miu... pur’io lu pòzzo di’!”.


VILLA SABRINA

LA QUALITÀ DELL’ASSISTENZA ALLA PERSONA Nella Residenza Villa Sabrina tutto lo staff è impegnato nell’assistenza e nella cura dell’anziano, con l’obiettivo di creare un ambiente familiare, accogliente e amorevole in cui gli ospiti, soprattutto quelli affetti da forme di demenza, possano vivere in serenità e conservare il più possibile le proprie autonomie personali. Gli Ospiti della residenza protetta Villa Sabrina usufruiscono di una qualificata assistenza infermieristica e medica, dell’opportunità di socializzazioni ricreative e culturali; dell’assistenza nello svolgimento delle attività di igiene personale; del servizio di lavanderia e guardaroba che è totalmente interno e non affidato a terzi; dell’assistenza religiosa, se gradita. Su richiesta si possono ottenere i servizi di un podologo e anche del parrucchiere. Sono erogati, proporzionalmente al bisogno, interventi di mobilizzazione e di recupero dell’autonomia psicofisica. Terapia occupazionale e musicoterapia, sono attività che, integrate all’interno del piano di trattamento individuale dell’Ospite,

concorrono a far evolvere positivamente lo stato psicofisico dell’Ospite stesso. Quando il recupero non è quello sperato e gli handicap persistono, la struttura cerca di adeguarsi alle esigenze personali, riducendo al minimo il disorientamento di chi si trova privato della propria autonomia. È proprio in tali condizioni che il personale deve dimostrare l’esperienza e l’inventiva ad adattare strumenti ed attrezzature, nel trovare accorgimenti che consentano all’anziano di compensare, almeno in parte, carenza ed inabilità. Il personale della residenza protetta Villa Sabrina, possiede una grande esperienza acquisita sul campo e tramite specifica preparazione professionale. Gli addetti all’assistenza seguono, infatti, periodici corsi di specializzazione. La direzione si è fatta carico di numerose iniziative di aggiornamento attraverso precisi piani di formazione permanente, sull’approccio delle varie forme di demenza, che facciano acquisire agli operatori sempre più sicurezza e coesione.

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Medicina & Salute

DONNE IN MENOPAUSA La menopausa NON E’ UNA MALATTIA, ma un momento fisiologico della vita della donna che coincide con il termine della sua fertilità e del ciclo mestruale. In genere si verifica tra i 45 e i 55 anni di età, ma non sono rare menopause precoci e tardive.

P

er poter parlare di vera e propria menopausa è necessario attendere almeno un anno dall’ultima mestruazione. Sebbene, secondo le statistiche, l’età media in cui una donna entra in menopausa sia di 51 anni, non è infrequente che la comparsa di almeno una parte dei sintomi menopausali avvenga prima di questa età. L’evento biologico alla base della menopausa e della fine del ciclo mestruale è il netto calo di produzione di estrogeni e progesterone, i due ormoni sessuali femminili, il cui calo determina le manifestazioni e i disturbi psicofisici che caratterizzano questo periodo della vita di ogni donna. Guardando il quadro dei sintomi della menopausa più da vicino possiamo dire che, nel loro insieme, i sintomi della menopausa sono spesso indicati con il termine di “sindrome climaterica”. Ogni donna è diversa dall’altra, per cui non è detto che questi sintomi si presentino tutti insieme e con severa intensità. Generalmente essi consistono in: irregolarità del ciclo mestruale (che si risolve nel momento in cui il ciclo mestruale giunge a una conclusione definitiva), vampate di calore (brevi e improvvise che interessano il volto, il collo e il petto), sudorazioni notturne (connesse alle vampate di calore che si verificano durante la notte), palpitazioni, insonnia (derivante dai cambiamenti ormonali che caratterizzano la menopausa e dalle vampate di calore notturne), ansia, irritabilità, calo dell’umore e facilità all’affatticamento (dipendono in larga misura dall’insonnia), cefalea (secondo alcuni esperti è da ricondursi all’irritabilità e

all’ansia; secondo altri, invece, è da imputarsi agli stessi meccanismi biologici che causano cefalea durante le mestruazioni), calo della libido e del desiderio sessuale (sono due logiche conseguenze del calo degli estrogeni che caratterizza la menopausa). Possono subentrare anche i seguenti sintomi: atrofia vaginale (caratterizzata dall’assottigliamento della parete vaginale interna, frutto di un calo netto degli estrogeni, che provoca: secchezza vaginale, disagio, prurito e bruciore a livello della vagina, e dolore durante i rapporti sessuali), artralgia e dolore muscolare, deficit di memoria e calo della capacità di concentrazione (condizioni passeggere), cambiamenti estetici (quali aumento del peso corporeo, secchezza dei capelli e della cute, riduzione della massa muscolare ecc.). Potrebbero, poi, insorgere patologie quali: osteoporosi (legata all’esaurimento degli estrogeni circolanti, è un sintomo particolarmente tardivo), aumento

DR.SSA GIUSI PORCARO Specialista in Ginecologia ed Ostetricia

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della pressione arteriosa (ipertensione) e conseguente aumento del rischio cardiovascolare e problemi di digestione. La menopausa spesso comporta anche delle ripercussioni psicologiche, soprattutto sul tono dell’umore: menopausa e depressione sono un connubio che interessa molte donne. I dati scientifici ed epidemiologici evidenziano che il rischio di depressione aumenta durante la fase di transizione verso la menopausa e nel periodo successivo. La correlazione tra menopausa e depressione è strettamente legata ai cambiamenti ormonali che caratterizzano questa fase della vita di una donna. Allo stesso tempo, però, anche lo stress e lo spirito con cui si affronta e si vive questo periodo della propria vita possono influenzare l’umore, arrivando anche a intaccare i sottili equilibri biochimici che lo regolano. Per molte donne un’appropriata terapia ormonale, pianificata e monitorata con cura, può migliorare in modo significativo la qualità di vita degli anni postmenopausali.


COME RIACQUISTARE LA BELLEZZA E IL FASCINO DEGLI OCCHI Gli occhi sono una componente essenziale della bellezza e del fascino delle persone e conferiscono al viso gran parte della propria espressività. Sono gli occhi i primi a stabilire un contatto quando le persone si incontrano: esprimono amore, gioia, felicità, dolore, tutta la gamma delle emozioni umane. Uno sguardo appesantito e invecchiato può rappresentare per alcuni causa di costante disagio, in quanto può farli apparire più vecchi, più stanchi e più tristi di quanto realmente si sentano. La blefaroplastica, cioè l’intervento di ringiovanimento della regione periorbitaria, è una delle procedure più perfezionate di tutta la Chirurgia Plastica del viso. L’obiettivo dell’intervento è quello di restituire al volto freschezza e un aspetto giovanile e riposato senza alterare l’espressività PRIMA

caratteristica del paziente, mantenendo la naturalezza e il fascino proprio. La paziente nelle foto è la titolare di un importante Istituto di Bellezza in una nota città turistica ed è una persona elegante ed attenta al proprio aspetto oltre che una professionista del settore. Come si vede nella foto preoperatoria, i suoi tessuti presentavano una considerevole perdita di tono con pelle in eccesso e grinzosità sia sopra che sotto gli occhi; inoltre, la regione centrale del viso appariva svuotata e depressa. Queste alterazioni, che sono caratteristiche del passare degli anni, le conferivano un aspetto triste e stanco. La paziente mi ha riferito che alcune persone le chiedevano se fosse stanca anche quando non lo era affatto, facendola sentire a disagio: era come se ella percepisse che il suo aspetto esteriore non corrispondeva al suo DOPO

reale stato d’animo. Prima dell’intervento ho avuto con la paziente un lungo dialogo analizzando gli aspetti che non le piacevano del proprio viso e le strategie più adatte al suo caso. Ho eseguito quest’operazione in anestesia locale, in day surgery. L’immagine del post-operatorio è una foto che mi ha inviato la paziente circa un mese dopo l’intervento. L’operazione è consistita in una serie di delicate procedure mini-invasive in quanto, spesso, è la combinazione di diverse tecniche a fornire i risultati più naturali. Inizialmente ho riposizionato adeguatamente i tessuti ceduti ed eliminato l’eccesso cutaneo, successivamente ho restituito tono alle aree depresse con autotrapianto di tessuto adiposo. Roberto Uccellini

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Thank you Dr. Uccellini, I’m so satisfied with the results of my procedure… you are an artist! -Marie Louise-

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ECOGRAFIA della MAMMELLA

È una indagine che non utilizza le radiazioni bensì gli ultrasuoni; si associa alla mammografia ed eventualmente anche alla risonanza magnetica per lo studio della ghiandola mammaria e delle sue eventuali alterazioni. Non è sostitutiva della mammografia, soprattutto nelle donne al di sopra dei 40 anni che regolarmente devono effettuare sia la mammografia che l’ecografia per un corretto percorso di prevenzione. L’ecografia è un’indagine molto attendibile per stabilire se una formazione del seno è di tipo cistico (liquido) o solido; è in grado di individuarne le caratteristiche e di stabilire la necessità di un agoaspirato o di un biopsia. Le apparecchiature più innovative, oltre a poter visualizzare anche la vascolarizzazione (cioè il nutrimento dei diversi tessuti) attraverso il Color Doppler, possono anche valutare l'elasticità dei tessuti e quindi dei noduli (Elastosonografia).

Dott.ssa Lorella Fioriti Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura

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AZIENDA OSPEDALIERA S.S.D. RIABILTAZIONE INTENSIVA NEUROLOGICA

U.G.C.A UNITÀ GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE

Responsabile Dr.ssa Maria Assunta Massetti S.S.D. Riabiltazione intensiva Neurologica Azienda Ospedaliera "S. Maria" di Terni

La struttura di Riabilitazione Intensiva Neurologica U.G.C.A (Unità Gravi Cerebrolesioni Acquisite) è dedicata alla cura e alla riabilitazione dei pazienti caratterizzati anche da uno stato di vigilanza ridotta, portatori di tracheotomia e nutrizione artificiale, ma il passaggio in questa area avviene solo quando sono stati superati i problemi relativi alla garanzia della sopravvivenza del paziente ed è possibile un’autonomizzazione dei sistemi di assistenza respiratoria. Sono pazienti che richiedono una elevata assistenza clinica e riabilitativa e, pertanto, questa si colloca come struttura di Alta Specializzazione Riabilitativa come previsto dalle linee guida nazionali, al pari di altre strutture riabilitative regionali con le quali sono condivisi i programmi e i percorsi di cura. I pazienti con grave cerebrolesione acquisita ricoverati nel reparto di Riabilitazione Intensiva Neurologica provengono dai reparti per acuti della nostra Azienda Ospedaliera. La struttura è dotata di 10 posti letto, distribuiti in quattro stanze di degenza, una stanza singola per accogliere pazienti che al momento presentano particolari condizioni cliniche, altre tre stanze con tre posti letto ciascuna. Ogni stanza è dotata di ampio bagno attrezzato. Nel reparto sono presenti due palestre riabilitative e una stanza dedicata alla logopedia. Per grave cerebrolesione acquisita (GCA) si intende un danno cerebrale dovuto a

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trauma cranioencefalico o ad altre cause (anossia cerebrale, emorragia, ecc.), tale da determinare una condizione di coma, più o meno protratto (ma comunque di durata superiore alle 24 ore), e menomazioni sensomotorie, cognitive o comportamentali, che conducono a disabilità. Incidenza per etiologia Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA): traumatica 18% anossica 14% emorragica 32% ischemica 16% infettiva 4% altro 16%.

La Grave Cerebrolesione Acquisita caratterizza quindi un insieme di condizioni di origine diversa che si connotano per il fatto di produrre un danno encefalico severo e generalmente acuto ed improvviso, le cui conseguenze si protraggono nel tempo, determinando la morte o la disabilità temporanea o permanente. Le persone con GCA presentano bisogni complessi di tipo clinico-assistenziale, riabilitativo e sociale. Per rispondere a questi bisogni in modo appropriato, tempestivo e universale, è necessario


SANTA MARIA DI TERNI garantire una presa in carico globale nel momento di massima plasticità cerebrale, quando è massima la potenzialità di recupero, ma è anche fondamentale pianificare con tempestività un successivo percorso diagnostico-terapeuticoassistenziale. La complessità clinica dei pazienti ricoverati richiede una elevata assistenza da parte di diverse professionalità tra di loro integrate (team) che sappiano valutare e affrontare vari aspetti: zz Stato di coscienza zz Capacità di movimento zz Nutrizione ed alimentazione\disfagia zz Assistenza respiratoria zz Problematiche cognitive zz Turbe del comportamento zz Psicologiche zz Difficoltà nel linguaggio zz Oltre ad aspetti di natura internistica e\o chirurgica.

Servizio Fotografico Alberto Mirimao

Nella predisposizione del processo e nel raggiungimento degli esiti (obiettivi) deve essere evidenziato il contributo di ogni singolo operatore del team, valorizzando ogni singola figura professionale. Vista la molteplicità delle figure coinvolte nell’intervento clinico-assistenzialeriabilitativo è indispensabile la organizzazione di briefing del team all’inizio della giornata di lavoro (medico fisiatra, neuropsicologo, infermiere, fisioterapista, logopedista, OSS, psicologo) per favorire lo scambio di informazioni, per coordinare al meglio ed integrare l’intervento dei vari professionisti e per pianificare le informazioni per i familiari e l’addestramento del caregiver. Il coinvolgimento e l‘addestramento del caregiver rappresenta un momento importante del programma terapeutico. Il medico di riferimento fornisce indicazioni sulla condotta in ambito diagnostico, terapeutico e valutativo, mentre agli altri operatori (terapista, logopedista, infermiere) spetta l’addestramento e l’educazione su aspetti specifici dell’intervento riabilitativo e del nursing del paziente fino alla gestione degli eventuali presìdi (catetere, P.E.G., cannula tracheostomica, ecc.). Per facilitare l’addestramento è concessa per ogni paziente l’assistenza della sola persona di riferimento nelle 24 ore, mentre le visite vengono effettuate, non più di due visitatori per paziente, secondo orari stabiliti, in modo da non interferire con i momenti terapeutici. Il fatto di avere a disposizione uno spazio esterno alle stanze di degenza (sala polifunzionale) permette da un lato di svolgere in maniera tranquilla e riservata gli incontri con i familiari, dall’altro rende possibile incontri per la socializzazione (paziente, infermiere, fisioterapista, logopedista, OSS, medico). Il personale che opera nella struttura ha il compito non soltanto di eseguire un'attenta valutazione delle lesioni e delle menomazioni conseguenti al danno cerebrale, di individuare gli obiettivi teoricamente e realisticamente raggiungibili in funzione delle esigenze del paziente e dei suoi familiari e di eseguire un programma riabilitativo, ma anche di programmare il trasferimento del paziente, appena superata la fase di criticità, in strutture di riabilitazione intensiva extraospedaliera. Il reparto di riabilitazione intensiva neurologica è affiancato anche da un’attività ambulatoriale di follow-up per i pazienti dimessi e da un’attività ambulatoriale che

prevede un percorso di cura per quei pazienti che dopo la dimissione dai vari reparti dell’ospedale presentano una condizione di disabilità tale da non richiedere interventi riabilitativi in regime di ricovero. Tale attività, che viene svolta in una struttura al di fuori del corpo centrale, ma sempre all’interno del presidio ospedaliero, prevede un ambulatorio fisiatrico divisionale e la presa in carico riabilitativa dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico alla colonna vertebrale, al seno per patologia oncologica, alla mano per traumatismi maggiori. Presso questa struttura è attiva anche una piscina riabilitativa. All’interno del Centro Salute Donna viene invece svolta attività riabilitativa specialistica per le disfunzioni del pavimento pelvico (incontinenza urinaria).

ÉQUIPE Responsabile Dr.ssa Maria Assunta Massetti Personale medico Dr. C. Piccolini, Neuropsicologo Dr. M. Marchili, Fisiatra internista Riabilitazione Intensiva Neurologica UGCA Personale infermieristico Infermiera Senior S. Tortori Infermieri S. Ottavi, V. Cingoli, P. Andreani, E. Favaretto, G. Costantini, L. Pistone, M. Queraxhiu OSS A. Socci, B. Pastori, F. Viggiano, M. Perlini, M. Ruggeri P.O. Riabilitazione C. Marini Fisioterapisti S. Massoli, D. Oddi, R. Santafè, D. De Santis, L. Neri, M.C. Poscia Logopedista F. Graziani Sezione Ambulatoriale Infermiera C. Mosca Fisioterapisti P. Belli, G. Fabrizi, R. Paci Massoterapista S. Conti Educatori Professionali R. Gobbo, M. Vetturini. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura

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LA PROTESI DI ANCA NEL PAZIENTE GIOVANE

Dott. Vincenzo Buompadre

Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport - Terni Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6, 0744.427262 int.2 - Rieti Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25, 0746.480691 - Foligno Villa Aurora, v. Arno 2, 0742.351405

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L'intervento di sostituzione protesica dell'anca è molto diffuso, la sua tecnica è ben consolidata ed ha un tasso di successo elevato. Andando a vedere nelle casistiche dei pazienti operati emerge che i risultati insoddisfacenti aumentano se la protesi è impiantata in giovane età (< 55-60 anni), se l'anca è displasica, se è affetta da patologie reumatiche, esiti di fratture e se la qualità dell'osso è scadente. La ridotta sopravvivenza di una protesi nei pazienti giovani è legata all'elevata sollecitazione meccanica (soggetti attivi) e a volte a patologie che alterano gravemente la qualità dell'osso e la morfologia ossea (artrite, displasia, morbo di Perthes). La ricerca ha fornito soluzioni alternative per quanto riguarda i materiali ed i disegni protesici che da qualche anno sono in utilizzo e che il tempo ci farà vedere se avranno una maggior sopravvivenza rispetto alle protesi tradizionali. Un tipo di impianto protesico per i pazienti giovani sono le protesi di rivestimento. In queste è conservato il collo e gran parte della testa femorale, che viene rivestita dalla protesi e che è come un guscio metallico di grande dimensioni che scorre su una coppa in metallo. Questo materiale riduce gli attriti

e la produzioni di particelle per usura che sono una delle cause di fallimento della protesi. L'impianto di questo tipo di protesi è possibile solo in anche in cui l’anatomia sia ben conservata e la qualità dell'osso buona. Il vantaggio delle protesi di rivestimento è che al momento della revisione può essere una protesi da primo impianto e non una protesi da revisione molto più invasiva. Non tutti i pazienti sono candidati a questo tipo di trattamento, infatti l'articolazione non deve essere deformata e l'osso di buona qualità. Un'altro tipo di protesi indicato in soggetti giovani o in soggetti con osso di buona qualità è la protesi 'corta', in cui la componente femorale è più piccola rispetto alla protesi tradizionale ed è possibile impiantarla conservando più osso femorale, permettendo nella revisione di impiantare una protesi di primo impianto. Sono fornite di teste di ampio raggio che riducono il rischio di lussazione e danno una sensazione del movimento più simile al fisiologico. Per quanto riguarda le protesi di primo impianto in soggetti giovani possono essere impiantate le non cementate (press fit) standard e le modulari (permettono di personalizzare la protesi in quei pazienti con anatomia molto deformata).

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Medicina & Salute

ESTETICA EVOLUTA L'EVOLUZIONE DELL'ESTETICA

Combatti lo Stress in modo naturale

Oggi come oggi siamo sempre più sottoposti, giornalmente, a tantissimi fattori stressanti, sia di tipo fisico che emozionale. Lo Stress, con il tempo, può cronicizzarsi e divenire un fattore importante e correlato a molti disturbi o patologie come ansia, insonnia, depressione, ulcere, artrite reumatoide, mal di testa, asma, herpess, ipertensione, problematiche cutanee e malattie cardiache. Nasce da qui l’esigenza di contrastare gli stati di stress fin dalla loro prima comparsa, adottando uno stile di vita più sano, basato su di una corretta alimentazione, su attività sportiva e, ove possibile, su pratiche di rilassamento (yoga, meditazione,etc..). Ma tutto questo non sempre è sufficiente ed è qui che la ricerca interviene con nuovi ritrovati che permettono di ritrovare armonia e serenità giornaliera senza ricorrere a cure farmacologiche. CHE COS’È LO STRESS Lo stress è una tensione fisica, psichica e nervosa che si manifesta nell’organismo, in forme più o meno gravi, come risposta patologica agli stimoli negativi dell’ambiente. Si può definire, in maniera semplicistica, come un “campanello di allarme” che ci indica il limite raggiunto dall’equilibrio interno dell’organismo. Esistono due tipi di stress. Lo stress scuto quando si verifica una volta sola e in un lasso di tempo limitato e lo stress cronico quando invece lo stimolo è di lunga durata. Lo stress può essere provocato da tanti FATTORI come, ad esempio, eventi della vita sia belli che brutti, malattie e fattori ambientali e, se trascurato e non debitamente curato, può essere causa di molti problemi di diversa natura tipo L’INSONNIA.

L’ INSONNIA L’insonnia è un “deficit” del sonno di tipo quantitativo perché influisce sul tempo del sonno (non ci fa addormentare alla sera, ci fa risvegliare nel mezzo della notte, ci fa svegliare troppo presto al mattino e ci impedisce di riprendere a dormire) e di tipo qualititavo perché ci fa dormire male e in maniera non riposante. Essa diventa un problema clinico (insonnia cronica) quando si sperimenta tale condizione per tre o più notti per settimana con una conseguente compromissione delle attività giornaliere e quando tali difficoltà a dormire persistono per più di un mese. L’insonnia può essere causata da fattori ambientali, dall’alimentazione, da una cattiva digestione o da problemi di salute (iper o ipotiroidismo, asma, scompensi cardiaci, ulcere, emicranie, artrite, diabete, disturbi renali ed epilessia). Può anche essere correlata ad alcuni disturbi mentali: depressione, personalità ossessivo-compulsiva o schizofrenia.

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Coloriamo lo SPORT “Coloriamo lo sport” è stato il tema dell’incontro con gli studenti dell’IPSIA “Sandro Pertini” di Terni del 9 marzo scorso, tenutosi presso la sala “Sergio Secci”. Lo scopo è stato quello di educare i giovani e gli adulti allo sport “pulito” che rappresenti il mezzo per lo sviluppo sociale e culturale dei giovani e dei meno giovani, nel rispetto del Fair-Play e dell’etica sportiva, nonché della cura del proprio fisico come stile personale di vita, attento agli aspetti sanitari. L’accettazione del risultato, qualunque esso sia, quale educazione contro la violenza negli stadi e l’uso di sostanze dopanti. Accolti dalle allieve dell’IPSIA con l’esposizione degli abiti da loro realizzati, i relatori che si sono alternati nelle loro esposizioni: il Presidente della Lega Nazionale Pro di Calcio Francesco Ghirelli, vero ospite d’onore del Convegno, il Presidente del Panthlon Club Terni Benito Montesi, il Presidente dell’Unione Nazionale Veterani dello Sport Pietro Pallini, l’atleta Paralimpico Fabrizio Pagani, il Presidente dell’UNICEF Provinciale Giancarlo Giovannetti e la rappresentante della Provincia di Terni Tiziana de Angelis.

I lavori del convegno sono stati coordinati dal Dirigente Scolastico Fabrizio Canola e le conclusioni da Giocondo Talamonti, Presidente della Federazione Italiana Amatori Sport per Tutti. Regione, Provincia, Comune, Camera di Commercio, CONI, CIP, Associazione Culturale La Pagina e l’UNLA - Unione Nazionale Lotta Analfabetismo, hanno Patrocinato l’eccellente Convegno, largamente partecipato dagli studenti.

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IPERTENSIONE ARTERIOSA ADESSO SI PUNTA A 130.80

Stando alle nuove linee guida congiunte ESC/ESH (European Society of Cardiology/ European Society of Hypertension) il ricorso ad una polipillola a base di due farmaci potrebbe rivoluzionare la terapia dell’ipertensione arteriosa. Le nuove Linee Guida raccomandano di iniziare il trattamento dell’ipertensione con due farmaci anziché uno, distinguendosi dalle precedenti raccomandazioni che sostenevano un approccio al trattamento dell’ipertensione per gradi (inizio della terapia con un farmaco seguito dall’aggiunta a questo di un secondo o di un terzo farmaco all’occorrenza). È ormai accertato che una delle ragioni principali alla base del cattivo controllo della pressione arteriosa deriva dalla mancata assunzione dei farmaci prescritti da parte dei pazienti. La mancata aderenza alla terapia aumenta con il numero di farmaci prescritti, per cui la somministrazione di due farmaci (o tre se necessario) in una singola polipillola potrebbe migliorare il controllo della pressione arteriosa. Le dimensioni del problema ipertensione Più di un miliardo di persone nel mondo è affetto da ipertensione. Una percentuale di adulti compresa tra il 30 e il 45% risulta affetta da ipertensione, per salire fino a più del 60% negli ultra60enni. L’ipertensione rappresenta, nel mondo, la causa principale di morte prematura, rendendo conto di quasi 10 milioni di decessi nel 2015, 4,5 dei quali dovuti a malattia coronarica e 3,5 ad ictus. L’ipertensione arteriosa rappresenta anche un fattore di rischio principale di insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale, nefropatia cronica, arteriopatia periferica e declino cognitivo. L’ipertensione arteriosa è spesso asintomatica. Tuttavia, le persone con pressione elevata potrebbero andare incontro a cefalea, vista doppia o offuscata, epistassi frequente, difficoltà della respirazione, dolore toracico, anomalie del battito cardiaco, sangue nelle urine, stato confusionale. Le nuove Linee Guida per il trattamento dell’ipertensione raccomandano il ricorso alla terapia farmacologica nei pazienti che, nelle Linee Guida precedenti, erano oggetto solo di interventi correttivi sullo stile di vita. Il riferimento è per quei pazienti con ipertensione lieve-moderata di grado 1 (140–159/90–99 mmHg), comprendente individui di età compresa tra i 65 e gli 80 anni, e di quelli con pressione normale elevata (130–139/85–89 mmHg).

È dunque auspicabile che ci si rivolga al proprio cardiologo se in età compresa tra i 65 e gli 80 anni e se la pressione arteriosa è superiore a 140/90 mm Hg. Le evidenze attualmente disponibili, infatti, suggeriscono che il ricorso alla terapia sia in grado di ridurre il rischio di ictus, di cardiopatie, di nefropatie e retinopatie (organi bersaglio dell’ipertensione). Le Linee Guida ribadiscono che la terapia non dovrebbe essere mai negata o sospesa in base all’età. Nei soggetti ultra80enni che non sono stati ancora sottoposti a trattamento farmacologico, dovrebbe essere iniziata la terapia farmacologica in presenza di valori di pressione sistolica uguali o superiori a 160 mmHg. Gli individui già in trattamento, invece, non dovrebbero sospendere la terapia ad 80 anni, se ben tollerata. I target pressori sono più ridotti rispetto al passato Rispetto alle linee guida precedenti, i target pressori da raggiungere nei pazienti ipertesi sono più bassi. Nello specifico, i target di pressione sistolica da raggiungere sono pari, ora, a 120-129 mmHg nei pazienti al di sotto dei 65 anni di età. Valori pressori al di sotto di 120 mmHg non dovrebbero rappresentare più un target da raggiungere per qualsiasi paziente iperteso in quanto i rischi superano i potenziali benefici. L’importanza dello stile di vita Si raccomanda a tutti i pazienti di condurre uno stile di vita sano, indipendentemente

dai livelli pressori, dal momento che tale misura è in grado di rallentare la necessità di ricorrere alla terapia farmacologica. Tra le misure raccomandate vi sono la restrizione al consumo di alcol e di sale, l’adozione di un regime dietetico salutare, lo svolgimento di attività fisica, il controllo del peso e la cessazione del fumo. In conclusione, possiamo affermare di avere trattamenti efficaci e, teoricamente, in grado di permettere alla quasi totalità dei pazienti (90–95%) di tenere la pressione arteriosa sotto controllo. Nella realtà, invece, solo il 15-20% dei pazienti è in grado di raggiungere i livelli target. La speranza di queste nuove Linee Guida è quella di migliorare questi tassi di controllo della pressione arteriosa, attualmente deludenti, introducendo una strategia di trattamento semplice e, al contempo, più facile da seguire.

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La musica e l’arte di De André al Secci … da una idea di Adriano Bernardini

Quando la musica diventa arte? Ci sono casi eclatanti come quelli di Mozart, Beethoven, Verdi, e tanti altri, ma la musica è sempre espressione culturale, armonia dello spirito, comunicazione di sé. Ci sono persone che si evidenziano in modo prorompente, è questo il caso dei grandi musicisti, e altri che continuano a coltivare il loro profondo amore in silenzio, tenacemente, nell’ombra, per la gioia di quanti profondamente li apprezzano e si arricchiscono del loro dare! Sto parlando di un uomo forse semplice, ma non troppo, di un insegnante precario per 30 anni, poi finalmente assurto al rango di ruolo, di un musicista, bravo, appassionato, che ha dedicato la sua vita ad un’orchestra itinerante che tante feste, tanti paesi e tante sagre ha consacrato! Poi, un giorno, la sua vita è cambiata! È passato di ruolo, ha cercato altre risposte, la sua anima ricerca nutrimento! È a questo punto che la sua arte viene fuori, è a questo punto che Adriano dà il meglio di sé. Non è nel momento in cui, con le vele al vento, la barca solca le onde che si vede il vero timoniere, ma è nel momento della tempesta, quando il mare ti rema contro che devi dar prova delle tue abilità! Ed ecco che l’insegnante diventa maestro, maestro di musica, di vita, di valori, ecco che insegna qualcosa, che nel suono e nel canto corale dei suoi alunni esprime una professionalità ed una profondità d’animo che gli conferiscono un più alto valore! Ecco che l’uomo, il musicista, l’insegnante, il compositore, si fondono in un’unica persona che riscopre i valori veri, il senso della vita! Quest’uomo si chiama Adriano Bernardini e, nel silenzio della sua Quadrelli, piccolo borgo umbro, ha tenacemente coltivato un amore viscerale

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per la sua musica, ha educato tanti ragazzi al canto, ha scritto tante filastrocche e canzoni da riempire un libro intero. Qualcuno su Facebook ha scritto: “Non sei quadrellano se non hai cantato con Adriano”! Quella stessa passione gli fa mettere insieme duecento e più ragazzi ad ogni spettacolo della sua scuola, tutti in silenzio, attenti, interessati, coinvolti nel canto e nella musica. Mentre in classe riusciamo a stento a tenerne a bada trenta, lui ne coordina duecento e più con una organizzazione mentale, un’armonia ed una semplicità che affascinano e producono risultati sempre eccezionali e stupendi! Ma la parte più bella, il messaggio più importante, è quello a cui oggi assistiamo nella creazione di questo spettacolo da lui ideato per celebrare il ventennale della morte di De André che non vuole essere una pretesa di cantare con Faber, piuttosto un atto d’amore, di stima e rispetto verso questo grande artista, la sua arte, la sua poesia, la sua musica! Nel Cantare le sue canzoni, mi sono immedesimato nella considerazione di quei personaggi che costituiscono ormai un ineguagliabile bagaglio artistico della nostra musica! È un dono per chi lo ha cantato ed amato, una celebrazione per colui che nel porre l’attenzione sui ladri, le prostitute, gli offesi gli ultimi della scala sociale, si è rivelato il Boccaccio dei nostri tempi. Il cantautore appassionato di amori e delitti, violenze e rapine, il cantore, il menestrello che, vissuto nel presente, ha raccontato il passato, la cui grandezza è nell’attualità delle sue tematiche che rimarranno un messaggio anche per coloro che non sono ancora nati!

Fabrizio de André tace da 20 anni, ci ha lasciato senza una guida e senza una meta, ma nel corso della preparazione di questo spettacolo la sua voce era ovunque, ogniqualvolta si parlava di umanità di scarto, di declino civile, di caduta dell’etica! In questa società le parole delle sue canzoni pesano sempre di più! Purtroppo però le canzoni non cambiano il mondo; tutt’al più possono sollecitare le coscienze, sensibilizzare, ed è perciò che le sue melodie riescono a farci molto spesso coraggio negli inevitabili passaggi della vita! È per questo che, anche se molto è già stato detto e scritto, è forte il desiderio di riascoltare la sua voce che in fondo racconta la sua vita! Davanti a questa perdita di un’intelligenza, poiché Fabrizio si è solo affacciato al nuovo millennio, possiamo constatare che il suo sguardo lirico, epico, compassionevole, ha saputo cogliere lontano, ci ha aiutato a posare gli occhi e lo spirito sull’inguardabile, sollecitando i nostri pensieri, senza mai però prendere posizione o esprimere giudizi. Servirebbero più artisti, più uomini così, con dubbi e domande, colti e lucidi nell’atavica ricerca di un’avventura, nella perenne questione della verità assoluta, assolutamente distaccata dai media e dalla politica! Con lo spettacolo De André, la voce degli ultimi, vorremmo consegnare al pubblico, attraverso le sue canzoni, l’essenza del suo splendore, perché nulla di lui vada perduto, perché egli continui a vivere anche nel presente, perché sia fonte di ispirazione anche per coloro che non sono ancora nati. Con un severo montaggio di tematiche sono stati accostati anche testi di epoche diverse, che possono creare distonie nel racconto, ma che accrescono il piacere di rincorrere il pensiero di Fabrizio nell’intima essenza del suo processo creativo, dove il tempo si rincorre e dove passato, presente e futuro sono mescolati in una luce indefinita! E, attraverso questa luce si è voluta aprire una finestra sull’inguardabile lavoro di forgiatura che Faber ha effettuato, servendosi talvolta anche di spunti e intuizioni di amici e precursori, di filtro delle parole, sulla memoria, come deposito del suo mondo interiore, cumulo di passioni e ricordi custoditi come amuleti!



Viviamo in un mondo che cambia

L’inquinamento non esiste I

l titolo, palesemente provocatorio, consente di focalizzare l’attenzione su un aspetto fondamentale della nostra esistenza e cioè il modo in cui noi umani percepiamo il mondo che ci circonda e i meccanismi che ne mantengono l’equilibrio dinamico. In particolare ci si riferisce alle conoscenze che abbiamo acquisito fino ad oggi in merito all’interazione che gli organismi viventi instaurano fra di loro e, contemporaneamente, con l’ecosistema. Per la verità, l’attuale rapporto che abbiamo con le dinamiche ambientali sembra suggerire che i nostri progressi nella conoscenza dell’ambiente circostante non abbiano ancora raggiunto livelli considerevoli. La nostra visione continua ad essere caratterizzata da gravi lacune, in special modo a carico della comunità sociale e ciò determina ripercussioni non trascurabili sulla qualità della vita in generale. In più, importanti conseguenze collegate a questa carenza conoscitiva si concretizzano anche nella visione del nostro rapporto di dipendenza dagli altri esseri viventi che, nella realtà, è assai più stretto ed importante di quanto fino ad oggi siamo stati in grado di ritenere. Recenti scoperte nel campo della microbiologia marina, in particolare nello studio di alcuni microrganismi che proliferano numerosi in aree collocate sul fondo degli oceani, hanno messo in evidenza il modo in cui taluni microbi interagiscono strettamente fra di loro nella gestione e sfruttamento delle risorse disponibili nell’ambiente circostante, traendo da questo stato di cose sostentamento vitale. Ciò che salta immediatamente agli occhi da questo studio è la netta sensazione della concreta possibilità che questa sorta di collaborazione possa costituire uno degli elementi chiave che tiene in piedi la biosfera del nostro pianeta. In altre parole, la intima azione combinata mostrata da questi microrganismi potrebbe suggerire il modo standard in base al quale è organizzata

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la vita come la conosciamo; in definitiva la forza che anima la biosfera. Per dirla in termini semplici, è stato rilevato che alcuni microbi fotosintetici nel sintetizzare la giusta quantità di energia vitale attraverso lo sfruttamento della luce solare liberano, come prodotto di scarto, ingenti quantità di carbonio organico. Questo fiume di rifiuti viene prontamente utilizzato da un altro microrganismo marino posto nelle vicinanze che, a sua volta, ne ricava l’energia per vivere. Da qui viene prodotto altro scarto derivato con rilascio di molecole che, nel periodo di assenza del sole e cioè durante la notte, tornano a trasformarsi in una fonte energetica primaria nuovamente per il primo microrganismo. Due tipi di microbi non in competizione l’uno con l’altro ma che “collaborano” traendo reciprocamente sostentamento dalle sostanze di rifiuto prodotte: un membro della coppia si “mangia” il metano che fuoriesce in piccole bollicine dal fondale marino, l’altro membro “respira” i solfati prodotti come rifiuto dal primo rilasciando altre molecole che, sempre il primo, riutilizza in assenza di luce solare. Un’economia che più circolare di così non si può! Un autentico miracolo dell’efficienza dove, praticamente, lo scarto di un microbo è l’inestimabile tesoro di un altro. Una situazione in cui è chiaro che il consumo di nutrienti e la produzione di rifiuti organici determina un legame indissolubile tra due organismi viventi. Ovviamente il fatto che si tratti di organismi microscopici non deve in alcun modo trarci in inganno considerando che una goccia d’acqua della superficie dell’oceano tropicale contiene intorno ad un milione di microbi. E, d’altro canto, basterà guardarsi un po’ intorno, nell’altrettanto vasto macromondo della stessa biosfera, per trovare ulteriori esempi che potremmo ragionevolmente ritenere basati su un meccanismo analogo. Anche nella ridotta “porzione” di mondo da noi più direttamente percepibile sono

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evidenti meccanismi che sembrano basarsi sul medesimo intimo legame reciproco fra organismi viventi e l’ambiente. Uno di questi, certamente non l’unico, ci riguarda particolarmente da vicino e si riferisce alla presenza percentuale in atmosfera dell’ossigeno molecolare, dovuta all’attività biologica delle piante che lo producono come gas di scarto e come risultato del processo di fotosintesi. Riflettendoci bene sembra proprio che tutti gli scarti degli “altri” risultino utili a qualcun altro in un contesto armonioso. E noi umani come ci dovremmo porre di fronte a tali esempi? Probabilmente la cosa migliore sarebbe prenderne spunto, magari per cominciare a ragionare in modo diverso rispetto a quanto fatto finora. Di fatto, l’attività microbica descritta dimostra che l’inquinamento non esiste! Almeno nel modo in cui continuiamo ad intenderlo noi. È vero, noi non siamo milioni di individui per ogni goccia d’acqua marina ma, a conti fatti, abbiamo un peso inimmaginabile nella produzione di scarti, o rifiuti, che vanno a pesare nell’economia della biosfera. In questa ottica è evidente che il “danno” reale lo dobbiamo ricercare non tanto nello scarto in se stesso, ma nelle concentrazioni anomale e fuori misura di sostanze immesse nell’ambiente in grande quantità e, soprattutto, in un tempo troppo breve. Esse vanno a costituire una determinata mole di composti diversi che i meccanismi naturali ricicleranno comunque e senza problemi, ma in un tempo incompatibile con la vita umana. Questa non coincidenza dei tempi noi potremmo anche percepirla come un aspetto drammatico, ma non è certamente questo il problema. Di fatto, nell’ambito del meccanismo in cui è strutturato il sistema Terra se non va bene per noi sicuramente andrà bene per altri. E tanti saluti. Se può essere di consolazione, questo ci può dare un’idea di come le condizioni ambientali si modifichino facendosi man mano più adatte ora per un gruppo ora per un altro.


Dal 1904 il gusto della tradizione

La prima generazione con Elisa, una bella mora, seguono Luigia e Relda, poi Giuliana. Andrea, figlio di Giuliana, vero talento della cucina, rappresenta la quarta generazione. La trattoria, cuore di un'isola felice incastonata nel centro della città, ma rimasta come era agli inizi del Novecento, è adornata da un boschetto di gelsi che fruttano more. Il nome della trattoria non poteva essere dunque che La Mora. Ai primi del secolo scorso nasce come bettola, una frasca, si diceva allora. Poi osteria, rivendita cioè di vino sfuso con cucina, quindi trattoria, oggi tra le più apprezzate per il cibo ottimamente cucinato e per il fatto in casa, come la pasta e i dolci. Apprezzatissimi la cucina alla brace o allo spiedo, le ghiottonerie della tradizione quali faraona alla leccarda, baccalà, lumache, paliata, coratella d’agnello. Paghi soltanto quel che soddisfa lo stomaco; non paghi il sommo piacere, quello del palato. Numerosi sono stati i riconoscimenti acquisiti nel corso degli anni.

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L'Arte di essere fragili La fragilità è all’origine della comprensione dei bisogni e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati. Un umanesimo spinto a conoscere la propria fragilità e a viverla, non a nasconderla come se si trattasse di una debolezza, di uno scarto vergognoso per la voglia di potere, che si basa sulla forza reale e semmai sulle sue protesi. Vergognoso per una logica folle in cui il rispetto equivale a fare paura. Una civiltà dove la tua fragilità dà forza a quella di un altro e ricade su di te promuovendo salute sociale che vuol dire serenità. Serenità, non la felicità effimera di un attimo, ma la condizione continua su cui si possono inserire momenti persino di ebbrezza. La fragilità come fondamento della saggezza capace di riconoscere che la ricchezza del singolo è l’altro da sé, e che da soli non si è nemmeno uomini, ma solo dei misantropi che male hanno interpretato la vita propria e quella dell’insieme sociale. Vittorino ANDREOLI, L’uomo di vetro. La forza della fragilità, Rizzoli 2008 Questa volta i ragazzi si sono confrontati con le “scandalose” parole di Vittorino Andreoli che hanno provocato una riflessione sul valore della fragilità. Tra le tante, proponiamo due riflessioni diverse ma, se vogliamo, complementari. Prof.ssa Annarita Bregliozzi

LE SFERE DELL’ESSERE: LA FRAGILITÀ Conosci te stesso. Questa era la lapidaria sentenza scolpita sui marmi del tempio di Apollo a Delfi, questa fu una delle principali massime del mondo antico a cui si ispirarono per generazioni migliaia e migliaia di filosofi e pensatori. Ma a ben pensarci quanto è ancora attuale una frase del genere? Quanto il conoscere se stessi è fondamentale per trovare una collocazione nel mondo che ci circonda? Potremmo forse sbilanciarci a dire che finché esisterà l’uomo, inteso come essere cosciente e capace di pensare, questa frase possa essere eternamente valida. Ma l’uomo, nella conoscenza di sé, deve esser non solo conscio delle proprie qualità, doti innate geneticamente fornitegli dalla natura, attraverso le quali egli è più propenso a dominare il mondo, ma deve essere in particolar modo capace di conoscere i propri limiti, le proprie debolezze, le proprie fragilità. E in questo forse potremmo estendere la capacità di conoscere se stessi a tutto il genere animale: la tartaruga lenta e goffa si chiude nel suo guscio per evitare il predatore, la gazzella, gracile ma veloce, non cerca lo scontro con il leone, ma fugge da esso. Così lo scandagliare le proprie fragilità è per l’uomo condizione necessaria per comprendere a fondo il suo io e tentare la realizzazione della propria vera felicità, o meglio della propria serenità, come la definirebbe l’Andreoli. E quest’ultima potrà sembrare una frase convintamente affermata senza un consistente fondo di verità, dogmaticamente condivisibile solo per luoghi comuni. Purtroppo però si tratta di uno dei passaggi fondamentali di questo nostro percorso e dunque ci terrei a dimostrarla brevemente chiedendo in prestito alla matematica il procedimento di reductio ad absurdum, una dimostrazione per assurdo, mostrando la contraddittorietà della tesi opposta: non è necessario comprendere le proprie fragilità per essere felici. Ma un uomo che non conosce le proprie debolezze ne sarà sempre vittima, sarà una gazzella che lotta contro un leone, una

tartaruga che non sfrutta il proprio guscio. Si può inoltre esser felici mostrando al suo stesso io una maschera pirandelliana, proponendo a se stessi il feticcio del proprio io e alienandosi totalmente da una propria reale visione autocritica? La risposta sorge spontanea e se il lettore è stato d’accordo con me fino ad ora potrà urlarlo ad alta voce: "Sono uomo e per esser felice devo conoscere le mie fragilità”. L’uomo è d’altro canto quello che Aristotele definì “animale sociale”: viviamo in uno spazio quadrimensionale (per amor del vero quadrimensionale è almeno quello percepito), nel quale non possiamo rimanere fermi nella contemplazione della tridimensionalità della nostra essenza, ma dobbiamo muoverci nel tempo e nel muoverci non potremo astenerci dal relazionarci con il prossimo, con le tridimensionalità altrui. In queste relazioni l’uomo troverà anime più o meno affini alla propria e tenderà a formare popoli, tribù, associazioni, club e in ultima battuta all’interno dei gruppi più piccoli troverà anime con le quali sarà spiritualmente talmente tanto in sintonia da legarsi ad esse in maniera quasi inscindibile: questo legame è il sentimento della filìa, molto simile alla nostra accezione di amicizia, ma comprensiva anche di quello che noi oggi chiamiamo amore. Gli spiriti veramente amici e amanti sono quelli che danno fondamentale rilevanza al tuo bene in quanto essi stessi parzialmente dipendenti da esso. La vera amicizia e il vero amore nascono dunque non solo da una condivisione di valori, pensieri, opinioni e da un’affine elevatezza intellettuale e spirituale, ma soprattutto dalla volontà del bene dell’altro, secondo un modello teorizzato già da Marco Tullio Cicerone nel De Amicitia e nel Simposio da Platone. Di conseguenza prerogativa fondamentale per attuare questo bene sarà la comprensione dell’amico o dell’amato e la speculare apertura di sé per “aiutare ed essere aiutati”, come direbbe il nostro caro Andreoli, a raggiungere il bene di entrambi. È proprio nella sfera amicale e amorosa, dove l’uomo può trovare un porto in cui dirigere i suoi patemi più lancinanti, le sue paure più ossessive e le sue debolezze più gravi,

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che si trova quella “[...] civiltà dove la tua fragilità dà forza a quella di un altro e ricade su di te promuovendo salute sociale che vuol dire serenità”, tanto agognata dall’Andreoli. E proprio in questa sfera amicale e amorosa, al contempo così solida e flessibile in quanto scegliamo i nostri amici e i nostri amanti, troviamo un qualcosa che, per quanto effimero e meno sistematico, ci ricorda molto il Paradiso dantesco o la società comunista marxista: qui si condividono attraverso un motore alimentato a carità ed empatia non solo oggetti concreti come soldi (quante volte abbiamo offerto una cena senza chiedere nulla in cambio) o benefici materiali, ma soprattutto sentimenti, emozioni, sensazioni che rendono l’amicizia e l’amore i luoghi della condivisione e dell’eventuale risoluzione della fragilità. L’uomo non può però vivere eternamente in questa bolla di estatica felicità e reciproca comprensione, sia perché l’amicizia e l’amore sono due sentimenti soggetti ad una grande mutevolezza (non so quanti siano circondati esattamente dalle stesse persone che li circondavano venti anni fa) sia perché la vita ci costringe ad entrare in contatto con anime con le quali siamo discordi, essendo così soggetti a sentimenti come l’odio, l’invidia, il disprezzo: siamo nella complessissima e variegatissima sfera della società. E sarebbe bello trasporre nella sua macrocosmica dimensione i valori del microcosmo dell’amicizia, ma nel fare ciò bisognerebbe presupporre che ogni singolo uomo sia disposto a fare il bene dell’altro e a comprenderne la fragilità senza approfittarsene. Ogni singolo uomo. Nel caso contrario questo bellissimo e utopico modello si rivelerebbe mal funzionante, contraddittorio e destinato ad una tragica implosione: è l’esempio dei numerosi tentativi di applicazione delle teorie comuniste, come quello attuato nel ventesimo secolo dall’Unione Sovietica, sfociato in tragiche situazioni di disparità economica e sociale e di povertà dilagante. A far crollare un sistema siffatto basta un singolo e determinato uomo avido di potere o ricchezze: in ogni rivoluzione attuata nella storia c’è sempre stato un manipolo di uomini che, inneggiando all’uguaglianza, si è infine ritrovato con la pancia piena e il dominio di un popolo affamato. E senza cadere nella specificità dei processi storici, “inquinati” da una moltitudine di cause, andiamo ora, alla maniera dei positivisti, a fare un galileiano esperimento sul comportamento umano. Prendiamo dunque nel nostro laboratorio una mensa frequentata da venti persone, in cui tutti ogni giorno hanno diritto ad un pasto e in cui dunque si preparano ogni giorno venti pasti. All’interno di esso ogni uomo, pur

non essendo amico con l’altro, racconta delle proprie fragilità e le condivide. Questo sistema collasserebbe immediatamente non appena un solo uomo, più meschinamente affamato degli altri, desideri un giorno di appropriarsi con dei raggiri del pasto di un altro, che magari ha raccontato della sua sbadata tendenza a lasciare incustodito il proprio pasto: a quel punto gli altri non sarebbero affatto propensi a concedere ognuno un diciannovesimo del loro pasto, ma mossi piuttosto da un subdolo pastiche di invidia e ammirazione per l’usurpatore inizierebbero essi stessi a combattere tra di loro per accaparrarsi un qualcosa in più. E sarebbe assai più bello che ognuno donasse il proprio, ma purtroppo non avviene quasi mai così: diamo noi per caso anche solo un centesimo a chi viene derubato? Si crea così un sistema in cui, ohimè, prevale la legge del più forte, una costante nelle analisi storiche e sociali a partire dallo storico del quarto secolo avanti Cristo Tucidide, fino ad arrivare al trapper genovese Tedua, passando per filosofi come Hobbes e la sua massima homo homini lupus, “l’uomo è per l’uomo un lupo”. In questa giungla l’uomo combatte con il prossimo per accaparrarsi quanto più può. In questa giungla l’uomo non può, non deve mostrare le proprie debolezze o sarà

immediatamente colpito e danneggiato da un animale più forte: dovrà ringhiare, come fanno i cani quando hanno paura; dovrà vestire una maschera attraverso la quale potrà garantirsi una sopravvivenza e un’esistenza quanto migliore; potrà trovare conforto da questa incessante battaglia solo nella sfera dell’intimità, in cui prima abbiamo parlato. Non c’è spazio per la fragilità, a meno che non si desideri di esser mangiati. È impossibile la civiltà di cui ci parla Andreoli. In questo contesto sono numerose le vie offerte all’uomo buono e fragile, ma in particolare mi affascinano due strade. La prima è l’estrema strada del francescanesimo, in cui si opera totalmente per il bene altrui mostrando tutto il proprio essere e in cui ci si accontenta del minimo indispensabile, essendo però sottoposti a continue angherie e soprusi di ogni genere che solo un uomo dotato di grandissima pazienza potrebbe sopportare. La seconda è quella dell’uomo antico, quello della polis della Grecia arcaica: in questa dopo un continuo di lotte quotidiane contro gli altri membri della società, si ci incontra nell’intimo ambito del simposio in cui, accompagnati da del buon vino e da musica piacevole, si condividono tutti i propri mali e tutte le proprie paure. Domenico Luongo classe III E Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura

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FINZIONE O REALTÀ? A tredici anni e mezzo scelsi scientemente di non essere fragile. Attenzione: non ho detto di aver voluto diventare forte, bensì ho affermato che una bambina, la quale probabilmente non aveva neanche coscienza di cosa implicasse tutto ciò, una mattina guardandosi allo specchio si autoprivò del lusso di essere frangibile. La situazione corrente all’epoca non forniva altre opzioni: vincere il problema con le mie sole forze da un lato o lasciarmi inghiottire dal problema stesso come un buco nero dall’altro. Dopotutto il mondo va così: o mangi o sei mangiato. Giusto? Per quattro anni ho reputato che l’unica maniera per affrontare quella realtà che mi circondava fosse vestire i panni del soldato, addestrato ad essere una macchina insensibile, e sguainare le armi contro chiunque si frapponesse tra me e la mia meta. Fortunatamente, però, la mia psiche ed il mio corpo talvolta si ribellavano. In quante occasioni mi sono ritrovata a far ricadere le palpebre gonfie e pesanti sugli occhi, con le guance ancora calde ed umide, il respiro affannoso ed i singhiozzi strozzati. Mi addormentavo così, ma tranquilli, tassativamente a porta chiusa e a notte inoltrata in maniera tale che nessuno, neppure i miei genitori, potesse sentire ed accorrere in aiuto. Non volevo il principe azzurro che con un colpo di spada fosse pronto a uccidere il drago e a liberarmi dalla torre. Le fiabe mi erano sempre piaciute sì, ma già sapevo che quella delle fiabe è una dimensione fantastica ed io ero calata in una realtà che più reale non poteva essere. Il drago era mio, era dentro di me ed io dovevo essere l’unica a lottare con lui. Sin da piccoli ci abituano a dividere il mondo in vincitori e vinti. Ed il vincente è sempre dipinto come il più bello, il più forte, il più valente. Sembra che l’essere sconfitti sia l’onta peggiore di cui uno si possa macchiare. La vita di ognuno di noi viene misurata in successi e nessuno penserebbe di presentare nel proprio curriculum la serie di battaglie da cui è uscito ferito. Non verresti mai e poi mai preso in considerazione seriamente in quella guerra di tutti contro tutti di cui parlava Hobbes. Perciò tanto vale divenire un robot pronto a sbaragliare la concorrenza. Solo in questo modo, infatti, puoi essere quell’”uno su mille che ce la farà”. Una volta ricaduto tra gli altri novecentonovantanove sei solo l’ennesimo fallito. Allora, però, perché è così difficile diventare delle macchine? Per quale ragione non nasciamo già con un’armatura che ci protegga

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da questo pescecane con le fauci aperte che, come direbbe Verga, ci aspetta affamato? La risposta è talmente banale che tanto spesso ce la dimentichiamo. Succede sempre così: le cose più semplici sono quelle che alla fine, volente o nolente, diamo per scontate perché ci stanno sotto gli occhi tanto a lungo da arrivare a non notarle più. La fragilità è un dato di natura dell’essere umano. Non esiste individuo sulla faccia del pianeta che nasca privo di questa peculiarità. Pensiamo ad esempio ai primi mesi di vita di un piccolo bambino. Quest’ultimo è l’emblema tangibile della fragilità: non può vivere in autonomia, è totalmente dipendente dalle altre persone che ha intorno per muoversi, soddisfare i propri bisogni e, in generale, per sopravvivere. Anche dopo essere cresciuto, comunque, il fanciullo non più infante, il ragazzo o l’adulto che sia, pur potendosi autogestire in un numero ragguardevole di situazioni e pur potendo esaudire da solo le proprie necessità primarie, resta fragile. Una fragilità che, ovviamente, si esprime in maniera diversa a seconda delle differenti fasi della vita di ognuno poiché essa muta e cambia, assumendo sfaccettature sempre più complesse e particolari, in parallelo all’io della persona. Si tratta perciò di una componente inscindibile dell’animo umano, di cui è impossibile liberarsi pur volendo recalcitrare ad essa perché lasciatisi convincere da quella logica, giustamente definita da Vittorino Andreoli folle, vigente nella nostra società. Logica, o meglio illogica, secondo cui fragile equivale a debole, debole equivale

a perdente e, come ho già messo in luce, perdente equivale a “individuo che avrebbe anche potuto fare a meno di scomodarsi per venire al mondo”. In realtà, come afferma lo psichiatra sopracitato in L’uomo di vetro. La forza della fragilità, la fragilità e la debolezza di ognuno sono degli elementi di forza autentica da conoscere ed usare quotidianamente. Una volta presa coscienza della natura di queste componenti del nostro essere, infatti, saremo poi in grado di riconoscerle anche nelle altre persone e potremo, dunque, sfruttarle come porte di connessione con l’intimo di coloro che ci sono accanto. In questo modo quella realtà presentataci come sfondo di guerre tra soldati impegnati a combattere solo per sé battaglie di cui a volte è difficile intravedere un senso potrebbe mostrarsi, invece, come casa di miliardi di individui che percorrono tutti la strada della propria esistenza soli e spauriti fingendo sicurezza senza lasciarsi aiutare dal fratello, altrettanto spaventato, che hanno al loro fianco. Basterebbe solo un pizzico di quella filantropia e sumpatheia tanto agognate da Menandro nel teatro greco e da Terenzio in quello latino per vivere al meglio la propria vita e quella dell’insieme sociale. Tutto considerato, invero, un’esistenza trascorsa da soli, tentando di soffocare un aspetto caratteristico del nostro essere in quanto uomini e cercando di renderci degli automi, non reputo sarebbe una vita felice e sfruttata al meglio. “Tempus fugit” direbbe Virgilio, siamo convinti di volerlo passare a recitare un copione che non è stato scritto per noi? Costanza Maria Morcella, classe III E


Leggendo qua e là, riflettendo e scrivendo

PAOLO CRESCIMBENI

Triste quella società dove i corrotti fanno i moralisti con le persone per bene che non hanno voce per rispondere.

Lo Stato che sperpera risorse ha sempre prodotto folle di evasori. Era talmente distratto che si dimenticò persino di morire.

Su un muro di Roma: Viva l’astensionismo militante.

La colpa è sempre della società.

La carne è debole, l’anima anche.

L’Italia è il bel paese dove il NI suona.

Nessuno tocchi Caino... Abele invece sì.

Non c’è cosa peggiore del vecchio che si maschera da giovane.

Una massima di Tacito dimenticata: In uno stato corrotto vengono emanate molte leggi.

I politici non hanno ancora capito che esiste uno stretto legame tra una giustizia giusta ed una economia florida.

La filosofia di certa burocrazia: Non rimandare mai a domani ciò che può essere fatto dopodomani. Lei ama la vita? Da morire. L’iperbole è il vizio dei mediocri. L’eccessiva tolleranza produce intolleranza. Non dobbiamo dimenticare che l’avanguardia di oggi sarà la retroguardia di domani.

La cosa più bella è la giustizia, la più desiderabile è la salute, la più dolce è aver ciò che si ama. Relatività dei proverbi e degli aforismi Chi lavora si riposa chi va piano arriva tardi chi fa da sé spesso resta disoccupato chi troppo vuole qualcosa ottiene chi va dritto sbatte contro il muro chi si contenta poi schiatta gallina vecchia fa la badante.


Vittorio GRECHI

ANDAVAMO DAL FABBRO S ul finire dell’inverno il contadino accorto controllava le vacche, gli asini e i muli per vedere se i ferri posti a protezione degli zoccoli avevano bisogno di manutenzione. Poteva essere necessario sostituirli con ferri nuovi perché logorati a forza di camminare sui terreni sassosi, oppure potevano aver perso qualche chiodo che bisognava rimettere di nuovo, pena la perdita del ferro nel periodo di maggior lavoro, col rischio di azzoppare il quadrupede proprio quando era più necessaria la sua fatica. Se lo zoccolo era cresciuto troppo nel periodo invernale, bisognava togliere il ferro inchiodato, tagliare lo zoccolo riportandolo a uno spessore consono e poi riposizionare un nuovo ferro e fissarlo con i lunghi chiodi da maniscalco. Stabilito quanti animali avevano bisogno di queste attenzioni, si organizzava il viaggio a piedi in un giorno di pioggia -così da non sprecare un giorno di lavoro nei campicon un numero di aiutanti sufficiente a guidare e controllare il bestiame. La meta era l’officina del fabbro ferraio posta nell’immediata periferia del borgo, raggiungibile dopo una quarantina di minuti di viaggio attraverso i campi, il bosco e poi sulla strada bianca. Sulla strada sassosa il calpestio metallico dei quadrupedi ferrati si mescolava con i colpi ritmati di martello e mazza che venivano da lontano, segno che il fabbro e il ragazzo di bottega erano intenti al loro quotidiano lavoro. Arrivati sul posto, dopo i saluti e i convenevoli, bisognava attendere il proprio turno. Legati gli animali ad appositi sostegni, si ingannava il tempo sbocconcellando una frugale colazione a base di pane e formaggio, oppure informandosi sul costo di quella bella roncola a due lame, detta in dialetto lu runciu, facente parte della vasta

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collezione fabbricata e “firmata” dal bravo artigiano. Nel frattempo si chiacchierava del più e del meno, soprattutto del tempo e della stagione in corso. Appena si liberava il travaglio, ci si faceva entrare una vacca, si legava in modo che non si facesse male e che non facesse male al fabbro e al suo aiutante. Il fabbro era un uomo alto e robusto, fasciato con un grande grembiule di cuoio con la pettorina (lu zinale) che lo riparava dagli schizzi di fuoco quando batteva il ferro rovente sull’incudine per piegarlo ai suoi voleri. Con gesti veloci tagliava e poi strappava i chiodi ricurvi dallo zoccolo dell’animale, togliendo così il ferro piatto, detto la sferra, che si era logorato nei lunghi giorni dell’aratura. A quel punto era necessario ridurre lo spessore dello zoccolo con un apposito strumento tagliente, mentre l’aiutante agiva sul mantice per ravvivare

Il ferro piatto detto in dialetto la sferra (quello della foto) è quello che andava su entrambe le parti dello zoccolo spaccato delle vacche e dei buoi (fessipedi) mentre il classico ferro di cavallo andava bene anche per gli asini e i muli (solipedi).

il fuoco che doveva arroventare un ferro nuovo da montare. Appena pronto, con lunghe tenaglie per non ustionarsi, si prendeva il ferro rovente e si posizionava appoggiandolo sullo zoccolo appena spianato. Immediatamente si sentiva lo sfrigolio dell’unghia che bruciava, spandendo nell’aria un fumo azzurrognolo dall’odore non proprio piacevole, mentre il fabbro infilava i lunghi chiodi a testa quadra, ampia, robusta e antiscivolo che, appena fuoriuscivano lateralmente dallo zoccolo, venivano ripiegati verso il basso per una maggiore tenuta. E tra i muggiti delle vacche, i colpi cadenzati dei martelli sull’incudine e lo scoppiettio del fuoco nella forgia, tornavano alla mente i versi del poeta maremmano… E la fiamma guizza e brilla E sfavilla E rosseggia balda audace, E poi sibila e poi rugge E poi fugge Scoppiettando da la brace.



QUANDO TERNI FECE UN BOTTO FRAGOROSO Adriano MARINENSI

F

acciamo finta che oggi sia il 28 novembre 1962. Certo, tornare indietro di 57 anni ed attualizzare una vicenda assai scabrosa che investì di notorietà non gradita Terni e l'Umbria, è quasi un azzardo. Dunque, siamo quel giorno lì, a Montecitorio e la Camera dei deputati è riunita per discutere di un fatto accaduto all’inizio del mese. Il Presidente di turno informa l’Assemblea che sono all’ordine del giorno numerose Interrogazioni parlamentari, riunite in un solo punto, perché riguardanti lo stesso argomento: il clamoroso ammanco verificatosi nella cassa della Dogana di Terni. Gli interroganti vogliono sapere dal Ministro delle finanze Giuseppe Trabucchi "l'entità delle malversazioni e come possano essere sfuggite all'Amministrazione finanziaria le attività peculatorie tali da alterare addirittura il Bilancio dello Stato”. Insomma, avevano inopinatamente scoperto un buco di quasi un miliardo di lire. Che, all’epoca, era tanta roba. Per capirci meglio, basta dividere la “ricchezza” sottratta per il costo di un appartamento di media dimensione in comune commercio all’epoca del pasticciaccio (intorno agli 8 milioni) e il risultato rivela che, con il “malloppone”, si potevano comperare un centinaio di “quartierini”. Capito bene? Cento! Il maltolto, una pizzicata alla volta, se l’era insaccocciato il signor Direttore dell’Ufficio doganale. Ora, prima di tornare in Parlamento ed ascoltare il Ministro, chiedo scusa per la seguente digressione personale che però bene si inserisce nella narrazione. Nel mese di ottobre 1962, a ridosso quindi dei fatti in oggetto, mi giunse una raccomandata: notificava ch'ero risultato vincitore di un concorso per Ispettore delle Dogane. Mi occorrevano notizie ed io le andai a chiedere proprio a quel signor Direttore di poc’anzi. Fu molto gentile e prodigo di suggerimenti. Mi presentò anche un suo collega della sede principale di Roma, inviato a Terni per la consueta “verifica di cassa.”. Al momento, un anonimo personaggio della vicenda che, di lì

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a poco, diventerà una specie di "Montalbano sono”, scopritore del pataracchio. Infatti, rientrato nella capitale, si prese la briga di fare un riscontro tra le somme riscosse a Terni e quelle versate nella cassa centrale. Pensò tra sé: "Sembra che i conti non tornino.” Come sembra? Non tornavano proprio! Donde la telefonata Roma - Terni: “Caro collega, qui mancano alcuni milioni.” Risposta del birbaccione, che si sentì beccato con il sorcio in bocca: “Fossero solo quelli.”. Oddio, come sarebbe a dire, fossero solo quelli? Di superiore in superiore, la notizia-bomba giunse, veloce come la luce, ai piani alti del Ministero. Avete presente quei temporali estivi, quando all’improvviso un lampo squarcia il cielo e il tuono esplode ratto e fragoroso? Buuuum! Sì, tra Roma e Terni, successe lo stesso putiferio. Il rimbombo percosse, da cima a fondo, lo stivale, informato dai titoli cubitali apparsi su tutti gli organi di informazione, il giorno dopo. Parecchie poltrone capitoline presero a “terticare” e il panico rese insufficienti le toilette di numerosi uffici. Aveva detto il signor Direttore: "Fossero solo quelli?" E quanti, sennò? Tutto il cucuzzaro. Per saperlo, ce lo facciamo dire, in via ufficiale, dal Ministro delle finanze, al quale, quel 28 di novembre, il Presidente della Camera dei Deputati dette facoltà di parlare per rispondere alle interrogazioni in materia. La vistosa sottrazione lui la quantificò così (dagli atti parlamentari): "In base agli accertamenti sin'ora effettuati, risulta la seguente appropriazione indebita: a) della somma di L. 732.035 della quale è stata accertata l'esistenza in cassa al momento dell'ultima verifica effettuata il 5 novembre 1962; sottrazione -volle sottolineare curiosamente il Ministro, nell’aula gremita– che potremmo paragonare a quella degli spiccioli che la cameriera opera dalla borsa della padrona, nel momento in cui sta per essere licenziata.”. E sì, in quanto il bello del resoconto doveva ancora venire.

E venne con la lettera “b) della somma di L. 3.374.755 relativa a tre bollette di importazione rinvenute nell’ufficio; c) della somma di L. 42.486.405 mediante creazione di false quietanze; d) della somma di L. 125.198.000 mediante falsificazione di bollette doganali; e) della somma (attenti al botto n.d.a.) di L. 583.358.887 sottratta in più riprese, dal marzo 1959 all'ottobre 1962 mediante omessa registrazione di bollette di importazione definitiva. La calcolatrice rivela che, messe tutte insieme le entità monetarie parziali facevano niente popò di meno che quasi ottocento milioni, salvo errori ed omissioni ancora da quantificare. In sede processuale, la cifra definitiva fu superiore al miliardo. Dunque, una efficiente e fruttuosa contabilità parallela a totale e segreta disposizione dell'astuto inventore. Contabilità parallela che qualcuno insinuò alimentata solo alcune volte l'anno. Però, alla grande. Infatti, per gentile concessione del signor Direttore, alcuni impiegati dell’ufficio di Terni andavano a godersi il sole gratis sul Terminillo e lui, lasciato a tutto fare e firmare, faceva l’intrigo. Sai com'è, ci provi una volta ad assaggiare la marmellata e non se ne accorge nessuno. Allora ci rifai cavallo, fino a mettere a punto un meccanismo che, nella fattispecie, era diventato perfetto. Così accadde. E il “cavallo” che, probabilmente, per sua natura, era serio e dabbene, fu indotto alla ruberia, dalla briglia sciolta lasciatagli in groppa. Fors’anche dalla mania di primato. Amava il lusso, le compagnie eleganti, la vita allegra e i soldini dello stipendio mensile, che pure non era scarso, bastavano per una settimana al mese. E il signor Dottore si ingegnò per trovarne altri adeguati alla sua bisogna. La mistificazione lasciò numerosi coni d’ombra indecifrati. Curiosamente, un insieme di somme (sgraffignate) fecero una sesquipedale sottrazione. (continua nel numero di maggio)


LA PRIMAVERA DI GRETA Giacomo PORRAZZINI

Se non sapessi che ha una malattia la metterei sotto con la macchina”; questo messaggio “benevolente e materno” è stato rivolto da una nota giornalista italiana a Greta Thunberg, la giovanissima ecologista, seguendo la quale milioni di studenti in tutto il mondo, il 14 marzo, alle soglie della primavera, hanno manifestato contro i responsabili del terribile cambiamento climatico che sta già producendo i suoi effetti nefasti sulla vita del pianeta, sulle nostre vite e su quelle, già ipotecate delle prossime generazioni. Le anime vili e violente che si esibiscono sui social media hanno fatto seguire, nei confronti di Greta, una nuvola nera di insulti e contumelie. Viene spontaneo chiedersi il perché di tanta acredine e di tanta cattiveria verso una ragazzina svedese che sta mettendo in imbarazzo i grandi del mondo. Ci sono certamente i “negazionisti”; quelli che dicono di non credere che le attività umane, seguite alla rivoluzione industriale, stiano mettendo in crisi gli equilibri dell’ecosfera che ci ospita. Alla guida di costoro oggi si è posto, incredibilmente, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, seguito da tutta una folla di petrolieri, di industrialisti “duri e puri”, di speculatori finanziari, di sfruttatori del lavoro precario, di gente, insomma, che ancora crede che sia importante stare con chi si propone di dominare il mondo e non con chi si adopera per salvarlo. Gente che trae da questa situazione profitti facili e ricchezza che si concentra, potere e privilegi. Poi c’è una nuova tipologia umana, figlia di questi tempi difficili: quella dei “cattivisti” per vocazione, degli odiatori che, naturalmente non trovano di meglio che scagliarsi contro chi, come Greta, si fa portatrice di un messaggio di speranza, di impegno solidale, di umanesimo universale, magari di utopia. A ben vedere, la “colpa” di Greta sta nell’aver ripreso e rilanciato, con straordinaria efficacia comunicativa, le analisi e gli appelli, inascoltati, sulla

crisi climatica incombente, di centinaia di scienziati che lavorano per le Nazioni Unite e per molti Stati. Ma prendersela con le treccine infantili di Greta è assai più facile che constrastare le conclusioni scientifiche, convergenti, di tanti e tanti scienziati. La forza particolare del modo in cui la giovane ecologista svedese ha ripreso e rilanciato le conclusioni della scienza, sta nell’aver sottolineato il fattore tempo: “non potete aspettare che noi cresciamo per salvare il mondo; dovete essere voi, adulti di oggi, a farlo”. Ed ancora: “non possiamo accontentarci di impegni, promesse o speranze; vogliamo decisioni, fatti, ora; il tempo è scaduto e la casa comune brucia”. Parole forti quelle di Greta che hanno scosso i potenti del mondo e che hanno colto quel misto di paure, speranze e nuova voglia d’impegno racchiusi nel cuore di tanti giovani e che l’esempio di Greta ha liberato facendolo diventare un grande grido della prossima generazione che chiede a quella attuale di consegnargli un pianeta ed un futuro non compromessi. Le questioni aperte sono ormai ben note. È necessario, nei prossimi dieci anni, ridurre le emissioni dei gas che creano effetto serra e riscaldamento dell’atmosfera e dei mari, cioè anidride carbonica e metano, in modo da contenere l’aumento della temperatura media entro un grado e mezzo. Sopra quel limite, il “sistema Terra” può andare, semplicemente, fuori controllo, con effetti sconosciuti e imprevedibili, come la vicenda dello scioglimento delle calotte polari e del permafrost, accelerati rispetto ad ogni precedente previsione, ha già chiaramente mostrato. Altri problemi non sono meno incombenti e preoccupanti: l’acidificazione degli oceani e l’inquinamento, già insostenibile, da microplastiche; la riduzione dello strato protettivo di ozono; la perdita della biodiversità su cui, sinora, si è retta la vita sul pianeta; l’inquinamento e l’alterazione delle catene alimentari, degli

animali e dell’uomo, l’apertura di varchi a nuove malattie a carattere epidemico. La risposta a un tale intricato e grave complesso di problemi non può ritrovarsi solo in nuove politiche di protezione ambientale. La sfida innovativa è a tutto campo e coinvolge, con l’ambiente, l’economia, la società e le stesse istituzioni; ambiti non più separabili ma da integrare, in modo fecondo, seguendo una logica di sistema. Tutto ciò lo si può riassumere in un nuovo concetto ed in un inedito obiettivo: lo sviluppo sostenibile. Quel grande progetto per il futuro, non lontano, ma prossimo, dell’umanità riassunto, in modo chiaro e mirabile, nell’Agenda 2030 dell’ONU. Un progetto che non chiama in causa solo le scelte delle grandi potenze statali, economiche e tecnologiche, ma chiama all’impegno coerente anche le comunità locali e le singole persone, invitate a ripensare stili di vita e di consumo. Il successo di partecipazione che lo sciopero studentesco per la difesa del clima ha avuto anche a Terni, fa sperare che la comunità locale, sospinta dalla sua gioventù, sappia e voglia produrre un grande sforzo progettuale per dare a Terni una concreta possibilità di nuovo sviluppo, nel segno della innovazione, della socialità e della sostenibilità. Si tratta, in primo luogo, di una vasta azione di crescita culturale e di maggiore consapevolezza sui rischi e le opportunità di questa fase. La scuola potrebbe porsi, con le forze sociali e le istituzioni alla testa di questo cammino che vuole pensare e costruire un domani migliore. In fondo, anche Greta, scioperando, è partita da lì.

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NUOVO TERRORE GLOBALE Pierluigi SERI

Strage di Christchurch : Un’arida stagione bianca

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’attentato compiuto dall’australiano Brenton Terrant a Christchurch, tranquilla cittadina della Nuova Zelanda segna una significativa escalation del terrore globale, dominato altrimenti dal jihadismo islamico. Questa volta balza al primo piano l’avanguardia armata dei sovranisti che, ispirandosi a un Occidente mitico, rilanciano lo scontro di civiltà nella forma violenta, subdola e contraddittoria che di recente ha preso piede nella guerra ai migranti. Una visione che vede da una parte solo il bene, dall’altra solo il male, fra i quali non esiste via di mezzo. Bianchi e neri, noi e loro. Una spaccatura insanabile e il conflitto non ha un’area geografica precisa, ma può scoppiare dovunque e in ogni momento. In questa visione manichea non desta meraviglia che venga data una lettura della storia in chiave esoterica in cui si mettono insieme, come si vede chiaramente nel messaggio folle lanciato dall’attentatore sui social, condottieri cristiani, criminali nazisti e recenti sterminatori. Brenton, profeta del nulla, cita nel suo delirante messaggio, scritto con lucida freddezza prima della carneficina, Il doge di Venezia, Radovan Karadzic, Anders Breivik, Luca Traini, l’attentatore di Macerata, tutti personaggi che appartengono a periodi storico-culturali diversissimi. Il messaggio è chiaro: la difesa ad oltranza del mitico Occidente e la sua cultura, a qualsiasi prezzo, anche con la strage o il genocidio. Un estremismo di destra confluito nel crogiuolo violento del terrore globale. Si rispolverano rune celtiche, svastike ecc., ma non c’è nulla di nostalgico. Esso si richiama ad una intellighenzia, molto aggressiva, che usa il metodo complottista: dietro gli eventi del presente vengono denunciate intenzioni tenebrose, cospirazioni terribili. Ricordate “I Protocolli degli Anziani di Sion” che parlavano di un complotto degli Ebrei di impadronirsi dell’economia mondiale, un falso usato dai nazisti per perseguitarli e sterminarli? Non importa quanto siano attendibili, ma il metodo funziona e fa presa su molti giovani, specie se in cerca di una qualche identità. È il pensiero di Alain de Benoist, padre del sovranismo, e Renaud Camus, teorico del “grand remplacement”. Secondo tali teorie nel mondo ci sarebbe un accordo scellerato tra “finanza globale” e “antirazzismo etico” per eliminare con l’immigrazione il popolo europeo. La teoria di R. Camus della ”grande sostituzione” ovvero dell’invasione programmata dell’Europa è diventata uno dei miti cardine del neofascismo attuale. Sottovalutata, poco seriamente contestata, questa ideologia complottista ha finito per imporsi anche in ambienti diversi da quelli tradizionali della destra. Nel contesto italiano se ne è fatta portavoce una buona parte del movimento leghista che ha ottenuto risultati eclatanti nelle ultime elezioni politiche. Tale ideologia invita alla resistenza etnica e alla globalizzazione, ma bisogna precisare che la religione gioca un ruolo secondario e al fianco della cristianità, vista nel modo più retrivo, compare anche un substrato

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paganeggiante. Il richiamo a simbologie naziste riguarda la forma, ma la sostanza è molto diversa. La vera bandiera di questo sovranismo “militante” non è tanto la “difesa della razza” quanto la difesa del suolo. La radicalizzazione è vista come un vagheggiato ritorno alle radici. Il jihadismo cerca il radicamento in cielo, nel misticismo religioso, l’estrema destra lo cerca abbarbicandosi alla terra. Sporadicamente la rabbia, l’odio vengono canalizzati nella politica tradizionale. Il legame tra suprematisti, sovranisti e neofascisti è molto più saldo di come alcuni vogliono far credere. Esempio: gli slogan di Vanguard America, gruppo di estrema destra a difesa della grande patria bianca, poco differiscono dalle battute contro latinos e musulmani di Trump, che non ha mai condannato a chiare lettere le reiterate violenze dei suprematisti come James Alex Field. Gli estremisti di destra giudicano troppo blande le reazioni della destra istituzionale agli attacchi contro il vecchio continente della lenta invasione dei migranti. Quindi la necessità di una avanguardia armata, la logica dell’attentato stragista inteso come contrattacco, come risposta ad un’aggressione subita. Il terrorista in genere, brigatista, islamista, neofascista che sia, si sente “vittima” di un sistema che giudica sbagliato ed ingiusto, per questo è pronto ad esasperare la lotta, sparando nel mucchio. Il nemico non va sconfitto, deve essere eliminato. Il sovranista armato si proclama sovrano della zona scelta per la sua azione dove esercita una violenza discriminatoria, uccidendo le vittime per ciò che sono e non risparmia nemmeno i bambini perché domani saranno “invasori”, come ha fatto Terrant a Christchurch. L’attentato si presenta come un tentativo di “semplificare” lo scenario globale, radicalizzando lo scontro e forzando la mano alla politica tradizionale. Tale azione ha anche una forza dimostrativa. Il messaggio lanciato da Terrant sulla rete vuole rafforzare l’immagine della patria bianca in pericolo. Quella strage (49 vittime) rappresenta un chiaro messaggio: un Occidente in guerra contro i migranti. Il sovranista armato sa di avere una platea che va allargandosi sempre di più, grazie alla rete dove, in modo pubblicitario, si rivolge all’opinione pubblica cercando di conquistare nuovi spazi di consenso. L’attentato di Christchurch ci pone di fronte a scenari inquietanti. Vi ricordate della “notte della repubblica” negli anni di piombo, quando le BR, i NAP, i NAR, estremisti armati di destra e di sinistra insanguinarono le strade con i loro attentati terroristici, le cui ferite (vedi caso di C. Battisti) non sono ancora rimarginate? Allora l’area interessata era l’Italia, provate ad immaginare cosa succederebbe se gli estremisti d’Occidente e i Jihadisti cominciassero a “rincorrersi” a suon di attentati dove il teatro d’azione è il mondo globalizzato! Le premesse ci sono tutte e vanno affrontate seriamente! Comunque con l’attentato di Trenton si apre per l’Occidente, usando il titolo di un film sul razzismo del 1989, “Un’arida stagione bianca.”


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