elevatori su misura
Numero 174 Aprile 2020
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
#SAREMOMIGLIORI
Fisioterapia e Riabilitazione
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Aprile 2020
SONO SICURA CHE CE LA FAREMO!
L’EPIDEMIA ACCELERA IL FUTURO
L. Santini
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Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni
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DOVE TROVARE La Pagina
Info: 348.2401774 - 333.7391222 info@lapagina.info
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LE CITTÀ SMART
A. Melasecche
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GARDEN THERAPY
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info
ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Marcello Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE Municipio; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo Via Gabelletta; CRDC Comune di Terni; IPERCOOP Via Gramsci; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo V. Frankl.
G. Raspetti
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A. Ratini
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BMP elevatori su misura EC comunicazione & marketing CMT Cooperativa Mobilità Trasporti ARCI La maledizione del fiume F. Patrizi EDILIZIA Collerolletta ‘na camminata carmante P. Casali Consorzio di bonifica Tevere Nera Il regalo di due artisti Ternani HPV TEST cos’è e quando eseguirlo G. Porcaro La sindrome del tunnel carpale V. Buompadre Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni C’è un nemico insidioso alle porte dell’UE A. Marinensi Estetica Evoluta STELLA POLARE AUDIBEL Apparecchi acustici L'Amore Valentiniano G. Raspetti Il "DOPO" G. Porrazzini Rigenerazione G. Talamonti VILLA SABRINA Punto di riferimento per la terza età CASA MIA servizi residenziali Il Fiume catturato E. Squazzini RIELLO Vano Giuliano SIPACE Group In Trincea PL. Seri Oro Petrucci G-L. Petrucci La “BBIÒCCA” V. Grechi ALL FOOD GENESI EFFICIENZA
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SONO SICURA CHE CE LA FAREMO!
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na pausa nelle mie riflessioni su Terni e il territorio: è d’obbligo data la situazione. Ormai non possiamo che parlare del coronavirus: una parola che spaventa, corre veloce di bocca in bocca. Trova nella gente paura, anzi terrore, apprensione, ansia, incertezza, aspettativa, comunque disagio. Domina incontrastata sui video su WhatsApp, su tutti i social. Girano allarmismi, profezie, fake news, complottismi, disperata ricerca di mascherine, guanti e disinfettanti (mai la gente si è lavata come in questi giorni). Poi assalti ai negozi con incetta -razionale o no- di generi alimentari: farina pasta latte lievito patate. Le precauzioni sono d’obbligo, le esagerazioni no. C’è chi sa ironizzare e ti strappa un sorriso con battute ora scherzose e sottili ora pungenti e frizzanti, chi canta dalle finestre e dai balconi coinvolgendo in un coro appassionato altri affacciati ai balconi. C’è chi ha riorganizzato la propria vita in casa con filosofia ed ha la fortuna di avere figli o nipoti con sé, chi è completamente solo; chi deve continuare a lavorare –negli ospedali, nei supermercati, nelle fabbriche- con il pericolo sempre incombente del contagio. C’è soprattutto chi piange -e sono tanti- la fila dei morti: piange non solo la morte della persona cara, ma anche l’ultimo abbraccio negato. In passato sono state tante le epidemie o pandemie: la peste nera che ha devastato l’Europa a metà del ‘300 di cui fu testimone Boccaccio (pestifera mortalità), o quella del 1630 descritta da Manzoni nei Promessi Sposi. In tempi più vicini a noi ricordiamo il flagello della Spagnola che fece ben venticinque milioni di vittime, o l’Asiatica, l’influenza aviaria a metà del ‘900. Ricordiamo ancora la Sars e quella conosciuta come influenza suina diffusesi nei primi anni del 2000, ma controllate rapidamente. Non scordiamo poi il vaiolo, il tifo, il colera, il morbillo, la poliomielite. Ed ora abbiamo il Covid-19. La maggior parte di queste sono state sconfitte, grazie ai vaccini che sono stati messi a punto. Non lo abbiamo ancora per quest’ultima pandemia, ma i ricercatori stanno lavorando alacremente per metterne a punto uno efficace e sicuro. Il coronavirus sarà sicuramente sconfitto: ne sono convinta. In questo momento di isolamento nelle nostre case, il web e i social network, oltre a un’informazione a 360 gradi, sono diventati i principali alleati contro la solitudine. Questa forse è la maggiore differenza con le tragedie del passato: tutti noi connessi in rete veniamo a far parte di una specie di villaggio globale dove si annullano le distanze e si comunicano pensieri, emozioni, preoccupazioni, speranze, condivisioni, abbracci. Stranamente questa tecnologia che molti hanno criticato perché sembra isolare l’individuo e allontanare i contatti tra le persone, diviene quasi l’unico modo per stare uniti e comunicare. Nasce, anzi è nata, una specie di cultura virtuale: molti musei d’Italia e del mondo sono stati messi on line, così le biblioteche. C’è chi ogni sera ci parla di poesia o ci racconta un’opera d’arte, chi
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Loretta SANTINI
recita pièces teatrali e festival e rassegne di ogni genere. Per non parlare della schiera di maestri, professori, studiosi che continuano a parlare con i propri alunni in questa inedita scuola virtuale. Dal coronavirus si guarirà, ma al termine di questo periodo nero -e speriamo che avvenga presto- la nostra vita sarà completamente cambiata, così il lavoro. Inoltre avremo un’economia in ginocchio. Per il momento siamo in guerra (la 3^ guerra mondiale) ma, come nel dopoguerra, dopo le morti e le distruzioni, gli italiani si sono rimboccati le maniche e hanno ricostruito il paese, così faranno anche questa volta. Ne sono sicura. Ora ci troviamo ad apprezzare quello che avevamo e di cui non ci eravamo accorti. Ora abbiamo imparato a rivedere la nostra scala di valori. Ora abbiamo nostalgia di una stretta di mano, di un abbraccio. Ora vorremmo abbracciare la bellezza del mondo. Abbiamo dipinto arcobaleni con la scritta va tutto bene per incoraggiare i nostri piccoli figli e nipoti, abbiamo cantato dai balconi l’inno d’Italia ma anche le canzoni che parlano di speranza e di un cielo azzurro. Abbiamo ripetuto lo slogan “ce la possiamo fare”, pur con l‘angoscia nel cuore e con il pensiero a tutti quei dottori, infermieri, lavoratori che in questo momento, mentre noi stiamo a casa, rimangono sulla breccia. Lo abbiamo ripetuto per darci coraggio, ma con la tristezza incommensurabile dei nostri cari, che stanno sparendo, da soli, in un letto d’ospedale, soprattutto i nostri vecchi, la memoria storica del passato, proprio quelli che portano con sé i ricordi di pregressi cataclismi come quelli della guerra. A chi si lamenta perché non può fare jogging o palestra ricordo che Nelson Mandela per 27 anni in carcere faceva ginnastica e un’ora di corsa sul posto. Vorrei ricordare anche le parole di Anna Frank che dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944, rimase nascosta per non essere catturata dai nazisti: “Io non penso a tutta le miserie, ma a tutta la bellezza che ancora rimane.” E ancora: “Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere felice”.
L’EPIDEMIA accelera il FUTURO Giampiero RASPETTI
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L’arrotino e l’accomoda ombrelli non arrotano né accomodano più. Coltelli affilatissimi e ombrelli di ogni tipo sono oggi in vendita a prezzi ridottissimi: se rotti, si gettano. Il lattaio o il vinaio a domicilio non si ricorda nemmeno cosa siano. Le donne di casa, molte allora, si recavano presso le formette a lavare i panni e, nel frattempo, a vociare, colloquiare, mantenere vivi i rapporti sociali ed umani. Ricordo anche appassionanti appuntamenti quotidiani in libreria per discutere in merito alla moda culturale del momento. Si stava spesso insieme allora, anche nei comizi politici, si parlava, c’era socialità, amicizia, cordialità. Oggi chiacchierate e ciarlatanate si trasmettono appartatamente attraverso i social, addirittura con telefonini privati. I libri li hai in casa, con l’e-book, la lettura elettronica; i film li hai in casa, come le chiacchierate con gli amici che già si facevano, prima dell’epidemia, attraverso lo schermo, del computer o dello smartphone e che, dopo l’attuale, triste congiuntura, subiranno una forte accelerazione. E gli acquisti? Non solo trovi tutto su internet, ma scopri molto di più, sia per varietà che per qualità, e con prezzi spesso molto più bassi. Hai bisogno di medicine? Telefoni al medico di famiglia, al benedetto medico di famiglia, e trovi le ricette presso la farmacia da te indicata. Si può benissimo prevedere che anche le medicine ti saranno portate a casa, su richiesta. Se vuoi puoi disfarti della cucina: per la colazione hai la macchinetta con le cialde, per pranzo e cena puoi ordinare fior di pasti presso rinomati ristoranti e li avrai in casa, all’orario prefissato. Vari tipi di certificazioni, di lezioni, di informazioni sono tutti on line. La scienza, la tecnica, la tecnologia ci hanno
sottratto momenti di socialità, ma, in cambio, ci hanno concesso molto più tempo per seguire inclinazioni, attitudini, passioni, vocazioni, interessi ed hanno potenziato in noi creatività, immaginazione, ingegno. Tutte le Muse sono ormai scese tra di noi rendendoci più liberi di creare, di poterci dedicare a nostre esigenze ideali, sentimentali, immateriali, spirituali. Sono moltissime oggi le persone meno pressate da lavori materiali, ma cresce, in maniera esponenziale, il numero di chi, se un giorno non lavora, quel giorno non mangia. L’epidemia, anticipando il futuro, ci costringerà a diventare uomini veri, non pecore matte. Si parla, ovunque, di smart city, di città intelligente. Certo, ma la prima condizione è che deve trattarsi di città, di una città esistente, che mostri segni vitali, che non si spenga. C’è un gruppo di lavoro e di studio che si confronterà, appena i tempi si faranno più tranquilli, con l’intera cittadinanza, per meglio intenderci sul futuro di Terni. Il problema è serio e percepibile come la luna piena a notte fonda. La città è in crisi, non tanto e solo per le condizioni reali legate al lavoro che diminuisce in maniera allarmante, quanto perché non si sente, da parte di chi dovrebbe, alcun gemito, alcun progetto per individuare linee prospettiche future, per cominciare a lavorare in direzione opportuna. Tutto tace, come se nulla fosse, come se la nostra fosse una città fiorente. E intanto i negozi falliscono, i giovani emigrano, le aziende vanno in rovina, gli uffici chiudono o dislocano. Il gruppo di cui mi onoro far parte confida che saprà offrire orientamenti non solo per l’urbs, l’insieme degli edifici e delle infrastrutture, ma anche per la civitas, la cittadinanza, il diritto ad essere cittadino, e la civilitas, la condizione e la qualità stessa dell’essere cittadino. Si pensa anche che Terni abbia da sempre una immagine eccellente legata al Patrono Valentino e alla nascita, con lui, dei Diritti Umani. Argomenteremo del lavoro, per tutti e, in particolare, per i nostri figli, parleremo di una città che induca i suoi abitanti a nuovi stili di vita, non solo relativamente a lavoro e studio, ma anche a shopping e tempo libero. Una città ove lo spazio pubblico non sia solo quello dei negozi o dei centri commerciali, ma, soprattutto, quello delle strutture dell’intrattenimento, dello stare insieme e di quelle che sapranno orgogliosamente mostrare la straordinaria identità della nostra città. Il futuro ci restituirà i sogni più belli, quelli che da tempo, e adesso in particolare, son fuggiti via. È bene però ricordare: Il futuro non è un frutto che cade dall’albero. Il futuro è l’albero piantato da te.
GARDEN THERAPY
Tanti buoni motivi per prendersi cura delle piante
" Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it
Natura è un altro nome per salute”, diceva alla metà dell’800 H.D. Thoreau, filosofo americano. Migliorare la propria autostima, curare la depressione, aiutare nel movimento e molto altro. Lo sa bene una longeva sovrana, la regina Elisabetta II, più volte immortalata con vanghe e attrezzi da giardino in mano. Oggi si chiama Garden (o Horticultural) Therapy. Curare il giardino, il terrazzo, un orto o anche solo un balconcino, aiuta a “curare” se stessi. Da notare che la “sindrome da deficit di natura” è inserita dal 2009 nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali. Come disciplina scientifica nacque, più o meno per caso, intorno al 1600 in Inghilterra, quando negli ospedali, a chi non poteva pagare le cure ricevute, veniva chiesto di prendersi cura del giardino. Con grande sorpresa dei medici, chi veniva impegnato in tale attività, a parità di patologia, guariva più in fretta rispetto ai pazienti che potevano permettersi di pagare il ricovero senza dover lavorare. La American Horticultural Therapy Association ne ha anche ufficializzato i maggiori vantaggi, che sono
Né balconi, né terrazzi? Nessun problema: il davanzale delle finestre, anche se piccolo, è perfetto per coltivare erbe aromatiche e fiori.
nello specifico: migliorare la propria autostima, combattere la depressione, migliorare le abilità motorie, promuovere l’interazione sociale, stimolare la capacità di risoluzione dei problemi. Tutti possiamo iniziare con il coltivare un orticello, dedicarsi alla cura del giardino, ma anche del proprio terrazzo. Uno spazio verde ben curato è un potente alleato per ritrovare il buonumore, allontanare l’ansia e ottenere una generale sensazione di relax e di benessere, nonché tenere in allenamento l’apparato cardiocircolatorio e bruciare calorie! Se vi ritenete privi del famoso “pollice verde”, non sarà questo a fermarvi, sono numerosi on line i video tutorial o si possono seguire sui social tecnici ed esperti, i guru a cui ispirarsi non mancano mai: tutto si impara, anche l’arte del giardinaggio, e alla fine toccare con mano o assaporare i prodotti del vostro piccolo orto vi regalerà numerose soddisfazioni. Né balconi, né terrazzi? Nessun problema: il davanzale delle finestre, anche se piccolo, è perfetto per coltivare erbe aromatiche e fiori. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: rosmarino, maggiorana, salvia, timo, basilico, tutti profumati, ornamentali e alleati della buona cucina, ma anche gerbere e gerani per un tocco di colore. Via libera al verde anche in ufficio. Se ansia e stress vi attanagliano tra le mura del vostro spazio di lavoro, potrete posizionarvi la pianta che più vi piace. Gli esperti poi dicono che aloe e ficus proteggono da inquinamento e aria viziata e che la dracena è un toccasana per ridurre stress, ansia ed anche la tristezza. Non è difficile e basta anche un budget veramente ridotto: una pianta vicino alla finestra o un bel vaso di fiori sulla scrivania. Se lo spazio è minimo, ma non volete rinunciare al verde, si può optare per un bonsai. Nei giorni che viviamo, quelli di questo infido coronavirus, curare il verde del proprio terrazzo o del proprio davanzale serve a distrarre e trascorrere meglio le ore bloccati in casa. Sperimentiamone in prima persona i benefici. Provare per credere.
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L’ARCI che resiste la trovi in tutta Italia Questa volta la distanza ci può unire Tutti noi, come cittadini italiani, stiamo vivendo una situazione mai accaduta prima. Il numero delle vittime da Coronavirus, insieme al numero dei contagiati, ha spinto il Governo ad emanare normative e provvedimenti che limitano la mobilità dei cittadini e, insieme a quella, la possibilità di vedersi, stare insieme. La socialità, l’animazione dei territori, la missione principale della nostra associazione in questi giorni è quindi fortemente limitata. Ma questo non può voler dire che ci vogliamo arrendere, e abdicare al nostro ruolo, quello di un’associazione culturale che crede nei valori della solidarietà e della diffusione della cultura come fondamentali e necessari per la crescita di ognuno di noi e per il futuro del nostro Paese: stiamo solo aspettando che questa sorta di incubo possa finire e che ci possiamo nuovamente riunire in un abbraccio collettivo di tutti i nostri circoli e di tutta la nostra associazione. Crediamo che, in questi giorni di forzata sospensione, la nostra associazione (e in molti territori lo sta facendo con coraggio e determinazione) possa mettere in campo una sorta di “resistenza” alla passività e alla rassegnazione, attraverso azioni concrete di solidarietà e vicinanza nei confronti dei cittadini, e attraverso l’azione costante di diffusione di cultura, di emozioni e di curiosità. Vogliamo combattere la solitudine, oggi più che mai, e il possibile isolamento in cui le persone si sono venute improvvisamente a trovare. È per questo che è attiva una campagna nazionale dal titolo Resistenza virale – #iorestoacasa #resistenzavirale Vogliamo dar voce a tanta parte del mondo culturale italiano che in questi giorni, attraverso gli strumenti del web, sta regalando la propria creatività e la propria produzione a chi resta responsabilmente a casa. Così come promuovere le tante iniziative di corsi, formazione, protagonismo di singoli messo a disposizione di tanti altri, che in queste ore attraversa i social. Vogliamo dare strumenti ai nostri circoli, attraverso la promozione di buone pratiche che già qualche nostro
circolo ha messo in piedi, per essere e resistere a questo momento di smarrimento. Vogliamo che questo tempo sospeso sia riempito con letture, spettacoli, occasioni di crescita e formazione, usando il web come veicolo accessibile e democratico. Vogliamo riempire i social, troppo spesso usati per parole d’odio e false verità, di pensieri, creatività, riflessioni e visioni del mondo solidali e interessanti. Vogliamo valorizzare le tante iniziative di vicinanza ai cittadini più deboli e fragili che i nostri circoli stanno mettendo in campo. A Terni siamo attivi anche con un servizio di consegna di spesa e medicinali alle persone in difficoltà. Per contattarci scrivi a terni@arci.it oppure consulta la nostra Pagina Facebook ARCI TERNI.
LA MALEDIZIONE DEL FIUME L
Francesco PATRIZI
’Agua Krenak viene imbottigliata dalle acque minerali che sgorgano da una montagna nello stato brasiliano di Minas Gerais, ma la tribù che dà il nome alla bottiglietta non ha accesso alle fonti e sta letteralmente morendo di sete. I Krenak vivevano da anni alle pendici della montagna, quando la dittatura, che nel 1964 prese il potere in Brasile, li spostò lungo le rive del Rio Doce, uno dei fiumi più importanti del paese, venerato dalle tribù indigene come una divinità. Nell’idioma Krenak, l’espressione “Uatu Ererré” significa sia Viva il Grande Fiume che Viva il Grande Padre. Nel 1972, i Krenak fecero un grande torto al fiume: lo dovettero abbandonare a causa di un nuovo trasferimento, questa volta in un riformatorio cittadino. Solo nel 1980 poterono ricongiungersi con le sue acque, ma qualcosa era cambiato, il Grande Padre non era più lo stesso, era offeso; cinque anni fa ha lanciato una maledizione e li ha cacciati via. Il 5 novembre del 2015, presso il villaggio di Bento Rodrigues, il crollo di due dighe e il conseguente collasso del bacino di decantazione delle acque reflue di una miniera di ferro, ha riversato a valle un’ondata di fango tossico contaminato con piombo, mercurio e arsenico che il Rio Doce, a sua volta, ha riversato nell’oceano. La società anglo-australiana Samarco Mineracão SA, una joint venture fra i colossi Vale SA e BHP Billiton, non aveva un piano di evacuazione e sicurezza, non aveva costruito un sistema di barriere per impedire che il fango arrivasse nel fiume e nel mare, nessuna sirena aveva avvertito la popolazione locale, la quale fu blindata per non parlare con la stampa, ma era impossibile nascondere il disastro di quella che è stata la Chernobyl brasiliana; si calcola che non basterà un
secolo per bonificare questa zona vasta quanto la metà dell’Italia. Come se non bastasse, il 25 gennaio 2019 è crollata la diga di Brumadinho, uccidendo 270 persone e causando un altro disastro ambientale. Sotto accusa è ancora la società Vale, insieme alla società tedesca TÜV SÜD che ha falsificato i documenti per attestare la solidità della diga. Circa il 50% delle materie prime utilizzate per produrre auto tedesche vengono dal Brasile e in Europa di questo disastro si è parlato poco. Nessun tribunale si è ancora espresso, sotto accusa sono anche i governi che, negli anni, hanno coperto le irregolarità in materia di tutela ambientale e di sicurezza delle società straniere che si occupano di estrazioni minerarie. Il regista Rogério Corrêa ha raccontato, nel documentario “Krenak” (2018), la vicenda di questa tribù che si è colpevolizzata e sta vivendo la tragedia della perdita del Grande Padre protettore, perché crede che sia il fiume, tradito e trascurato, che non la vuole più lungo le sue sponde. Per fortuna, qualcuno ha convinto 200 rappresentanti dei Krenak a costituirsi parte lesa e a partecipare alla class action contro la società mineraria, insieme a 240mila persone, 24 governi municipali, 11mila imprese e un’arcidiocesi cattolica. Il problema è trovare un tribunale competente ed efficiente, la giustizia brasiliana appare troppo lenta, probabilmente è collusa, la causa potrebbe essere trasferita a Londra, in ballo c’è una richiesta per danni pari a quasi 5 miliardi di euro. Nessun rimborso, per quanto oneroso, potrà però riportare la pace tra questi indigeni e il Grande Padre che li proteggeva. Oggi il loro nome è conosciuto in Brasile grazie a queste bottigliette, ma l’azienda che produce l’Agua Krenak e che sfrutta commercialmente il nome della tribù non ha mai versato un soldo di contributi a questi indigeni. Forse anche questa è una maledizione del Grande Padre.
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‘NA CAMMINATA CARMANTE L’andru ggiornu… quanno ancora se potéa scappa’ libberamente ma co’ qquarche ‘ccortezza… co’ ddu’ amici mia ‘n bo’ ‘ttembati come mme... ‘émo dicisu tutti d’accordu d’anna’ ffa’ ‘na bbella camminata su ppe’ Pperticara... pe’ sgranchìcce le gamme e rrispira’ ‘n bo’ de aria bbòna... lontani da lo smògghe e lu corona vìrusse che cce stéa a ggironzola’ qquappertornu. Io... ce ‘spettamo dimani mmadìna, a le nòve ‘n puntu, propiu llì a lu semàferu de San Roccu... ccucì evitamu tuttu lu trafficu. La madìna doppo... quanno so’ ‘rriàtu... stévono tutti e ddui llì all’incrociu da ‘n bbellu pezzu... li stéo a ssaluta’ dànnoje la mano quanno me tte se so’ scanzati de bbottu e ppe’ ppocu no’ mm’hanno fattu pèrde lu’ ‘quilibbriu... scusateme tantu... j’ho fattu... ‘n cià ‘rpenzào che tocca evita’ lu contattu... e unu… tòcca stacce co’ la bbròcca…e tuttu arzillu t’è ppartitu ‘n tromba e... venéteme dietro ‘n fila ‘ndiana a ’na metràta unu dall’andru… mèjo ddue... aho… j’ho fattu… e ddatte ‘na carmata... ddo’ vai a ppija’ Roma?...e qquill’andru… c’hai raggione… ha dittu ‘na metrata o ddue e ggià c’ha presu ‘na dicina de metri... a mme ‘sta salita ggià me dà ‘llà ‘n pettu... e tte vedo... guarda come stai a ccammina’.. tuttu ‘ngubbitu.... ma che stai a ddi’... è lu cappucciu de ‘sta tuta che mme fa ciàffu… cumunque quanno camminamo cercamo da sta’ dritti come se éssimo magnatu li sticchini... sinnò ce ‘ngubbìmo sempre de più... scì però ‘nnamo più ppianu… me pare che stemo a sbuffa’ ‘n bo’ troppu e mmesà che ppe’ sta’ più ssicuri tòcca distanziàcce de ‘n andru par de metri. Da ‘llu momentu finarmente semo riusciti a ‘rtroa’ ‘n accordu. A lu ritornu t’émo ‘ncontratu ‘na dicina de bbardasci che vvinìvono su… scì a ddistanza “iggènica” tra essi ma tutti sparpajati… ‘llora ho penzatu a vvoce arda… ecco mo’ se mettono ‘n fila ‘ndiana pure quilli… ma mancu pe’ ll’anticammera de lu cervellu… e mmo’ chi ccià più ccervellu lu dée ‘ddopra’… ‘nfatti ce semo scanzati noi senza bbatte ciju… passanno costu costu a la ripa co’ lu rischiu de casca’ de sotto. L’amicu mia… mica me credéo d’ésse ccucì?...‘Sta camminata doppo aécce sgranchìtu le gamme e fattu rispira’ ‘n bo’ d’aria bbòna c’ha fattu diventa’ più ccarmi e ccumprenzìvi!... C’hai raggione… però m’armane ‘n dubbiu… se qquarcunu de nojandri scivolàa… chi je d’éa ‘na mano p’arcojelu!?
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CONSORZIO TEVERE
IL CONSORZIO NON SI FERMA “Malgrado l'emergenza Coronavirus il Consorzio continua a lavorare perché è fondamentale l’attività che svolge sul territorio. L'irrigazione è servizio primario per la filiera agricola come i lavori per la salvaguardia idrogeologica. In questo momento stiamo portando avanti, come da programma i lavori di manutenzione. Vogliamo che tutto proceda per non andare a creare ulteriori problemi in questo particolare periodo di difficoltà che stiamo attraversando”. Queste le parole del presidente del Consorzio di Bonifica Tevere-Nera, Massimo Manni. Come ogni anno, prima dell’avvio della
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stagione irrigua, il Consorzio esegue gli interventi di manutenzione sulla rete di canali di irrigazione a scorrimento nel comprensorio di irrigazione del fiume Nera previo ripurgo e taglio della vegetazione ripariale, utilizzando mezzi e personale consortile al fine di risparmiare sui costi di gestione. Sono in corso i lavori di ripulitura e ripurgo dei tre invasi collinari del distretto “Le Sore” e la realizzazione di un tratto di condotta distributrice per l’estendimento del comprensorio di irrigazione. Altri interventi, eseguiti due volte all’anno, interesseranno il taglio della vegetazione presente sulle
SALA POMPAGGIO - Baschi
DI BONIFICA NERA
strade di servizio e le pertinenze delle aree degli impianti irrigui gestiti dal Consorzio. Interventi di riparazione delle condotte in pvc vengono eseguiti anche nel comprensorio di irrigazione del fiume Tevere così come la realizzazione di nuove linee distributrici. Nell’ambito
MANUTENZIONE INVASI
Orario di apertura al Pubblico Lunedì - Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
degli accordi e protocolli con i Comuni il Consorzio ha, da alcuni anni, sottoscritto con il Comune di Terni un contratto di sponsorizzazione per la manutenzione delle aiuole comunali ubicate presso la Stazione di Terni e lungo la pista ciclabile di via Proietti Divi. Il Consorzio ha siglato, con una società ternana, una convenzione per lo sfruttamento dell’energia prodotta da una mini centrale idroelettrica originata dal salto del canale di irrigazione a scorrimento denominato Cervino che consente un introito medio annuo di euro 25.000. Sempre nel campo dello sfruttamento delle energie da fonti rinnovabili il Consorzio ha avviato da oltre due anni un impianto fotovoltaico da 200 Kw ubicato in comune di Graffignano (Vt) che produce energia elettrica per un incasso annuo di euro 15.000. Dallo scorso anno il Consorzio ho introdotto una tariffa denominata "binomia" per la quale applica al 70 per cento della superficie irrigabile l’indice di beneficio 1,50 e sul restante 30 per cento quello adottato per l’irrigazione a scorrimento pari ad 1,00, questo al fine di abbassare l’importo del tributo a carico degli utenti del servizio irriguo nel bacino del fiume Nera. Guardando al futuro il Consorzio lavora per far sì che la centrale di sollevamento di Baschi, possa fornire,
a breve, acqua per usi irrigui anche su parte di circa 700 ha del comprensorio in destra del fiume Tevere nella Regione Lazio nei Comuni di Castiglione in Teverina e Civitella d’Agliano in provincia di Viterbo. Quest’ultima porzione dell’impianto è stata recentemente ultimata per quanto attiene le opere di adduzione di competenza statale, mentre sono state realizzate gran parte delle opere di distribuzione con stralci esecutivi finanziati in precedenza. Per il sollevamento delle acque dalla cabina di Baschi fino alla vasca denominata “B” in comune di Castiglione in Teverina, il Consorzio ha dovuto progettare ed eseguire importanti infrastrutture stradali di elevata ingegneria. Fra le più importanti la realizzazione di un ponte in acciaio per oltrepassare il fiume Tevere, un sottopasso stradale della ferrovia Orte-Roma, oltre all’attraversamento dell’Autostrada A1 Roma-Firenze con tubazioni di diametro rilevante utilizzando tecniche di ultima generazione senza interferire con le infrastrutture. In questo periodo il Consorzio, oltre a tutti i lavori esterni, assicura anche l’attività amministrativa con l’adozione dello smart working come modalità lavorativa con turnazioni di minima presenza di dipendenti in sede.
RIEMPIMENTO INVASI
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Il regalo di due artisti Ternani
Si tratta di Francesco Morettini e Italo Conti, che hanno realizzato un file con venti sonetti in lingua a tema Coronavirus, con lo scopo di favorire una donazione per fronteggiare il problema. Il file è stato inviato agli ospedali di Terni, Perugia, Bergamo, Brescia, Napoli e attende di essere spedito a tutti gli Enti Italiani che ne facciano richiesta. Ha una durata di 18 minuti, è assolutamente gratuito, esente da diritti d’autore ed affronta i temi più vari: dall’informazione con i sonetti “Io resto a casa”, “Il contagio”, “I sintomi”, alla satira politica con “Politica virale”, “L’ordinanza”, “Il virus padano” a quella di costume, senza dimenticare i ringraziamenti a medici, infermieri e a chi si adopera per la soluzione dell’emergenza. L’augurio dei due artisti è che presto tutti ospitino sui propri siti il file, a beneficio di una più veloce risoluzione della pandemia.
Francesco Morettini, compositore e produttore musicale, più volte direttore d’orchestra al festival di Sanremo ha scritto, in collaborazione con Luca Angelosanti, canzoni per Zero, Mina, Stadio, Marrone, Amoroso, Morandi e molti altri artisti di livello nazionale e internazionale ed ha accompagnato al pianoforte la recitazione dei sonetti. Italo Conti, autore teatrale rappresentato in Italia e all’estero (tradotto per il teatro Iraniano e pubblicato alla Fiera Internazionale del libro di Teheran) nel 2018 scelto a rappresentare l’Italia all’evento Italia Culture Mediterraneo indetto dalla Farnesina, ha scritto i testi dei sonetti. Insieme a Morettini e Angelosanti collabora alla stesura di nuove commedie musicali.
www.aospterni.it/media/donazioni-come-contribuire
Direttore Sanitario
Dott.ssa Lorella
Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
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HPV TEST cos’è e quando eseguirlo
L
’infezione da papilloma virus umano (HPV) è la più diffusa tra le malattie sessualmente trasmissibili (MST). La maggior parte delle persone è portatrice del virus senza saperlo. Siamo a conoscenza di circa 100 tipi diversi di papilloma virus, di cui 13, definiti ad alto rischio, sono correlati in modo stretto con l’insorgenza del tumore del collo dell’utero. Altri tipi di HPV, quelli a basso rischio, sono i responsabili della comparsa delle verruche genitali. Gli studi epidemiologici effettuati finora hanno dimostrato la fortissima associazione tra infezione da HPV ad alto rischio oncogeno (Human Papilloma Virus) e carcinoma della cervice uterina, dovuta alla persistenza del virus. Tale infezione è molto comune tra la popolazione femminile ed è trasmissibile prevalentemente per via sessuale. La maggior parte dei pazienti affetti dal papilloma virus non presenta né sintomi né problemi di salute ad esso collegati: nel 90 per cento dei casi il sistema immunitario distrugge l’HPV naturalmente nel giro di due anni. Una parte della popolazione, tuttavia, non elimina il virus e l’infezione diventa persistente. La sua persistenza, associata ad altri fattori di rischio, favorisce lo sviluppo di lesioni precancerose che, qualora non trattate, possono, nel tempo, evolvere in carcinoma della cervice uterina. L’esecuzione dell’HPV test consente di accertare l’eventuale presenza del virus a livello delle cellule
della cervice. Tecnicamente, l’HPV test consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero, successivamente analizzate per verificare la presenza del DNA del Papillomavirus. Le modalità dell’esecuzione sono analoghe a quelle del Pap-test, dunque si tratta di un esame non doloroso che si può effettuare ambulatorialmente in pochi minuti nel corso di una visita ginecologica. L’American Cancer Society (ACS) e l’American College Obstetricians & Gynecologist hanno recentemente rivisto le linee guida per lo screening della patologia cervicale, includendo, per le donne di età superiore ai 30 anni, la combinazione HPV TEST più pap test come un’alternativa al solo pap test. Come screening primario l’HPV viene eseguito nelle donne con età superiore a 35 anni e qualora negativo viene ripetuto dopo 5 anni. L’HPV test viene consigliato, inoltre, se il risultato del Paptest è anomalo o per eseguire il follow-up di pazienti sottoposte a trattamento per lesioni precancerose della cervice uterina, associate a infezione da HPV. È molto importante sottolineare che un test positivo all’HPV non necessariamente è sinonimo di tumore della cervice uterina. La positività al test consente, però, di individuare quali siano le donne a rischio di sviluppare eventuale displasia della cervice uterina che necessitano di maggiori controlli o che debbano eseguire test di II livello.
DR.SSA GIUSI PORCARO
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Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
STUDIO ANTEO Srl - Via Radice 19 - Terni (0744 300789)
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LA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE La sindrome del tunnel carpale è una patologia dovuta alla compressione e sofferenza del nervo mediano all’interno del canale del carpo, che si trova nella regione volare del palmo della mano. Questo canale è delimitato su tre lati dalle ossa e sul lato superficiale da legamento trasverso del carpo; in questo canale decorre insieme a nove tendini flessori il nervo mediano. La causa più frequente della sindrome è un aumento di pressione all'interno del canale del carpo per un aumento di volume del suo contenuto, come si osserva nella infiammazione della guaina dei tendini "tenosinovite" (da sovraccarico, in corso di patologie tiroidee, artrite reumatoide), per la ritenzione di liquidi durante la gravidanza, a seguito di fratture del polso e carpo o un aumento dello spessore del legamento trasverso del carpo da irritazione cronica. I sintomi sono rappresentati da dolore alla regione volare della mano, da formicolio alla regione volare delle prime 3-4 dita.
Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport
Nelle fasi più avanzate della malattia si può arrivare alla perdita della sensibilità e all'artrofia muscolare della regione tenar (alla base del pollice). La diagnosi viene effettuata sulla base della storia clinica e dell'esame clinico e confermata con l'elettromiografia che ci aiuta a capirne la gravità. Il trattamento nelle fasi iniziali si avvale di: terapia medica, limitazione delle attività manuali che possono averne favorito l'insorgenza, uso di tutori ortopedici, un'infiltrazione di cortisone all'interno del canale. Se la sintomatologia non migliora o la patologia è in fase avanzata trova indicazione
- Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri
www.drvincenzobuompadre.it il trattamento chirurgico che viene effettuato in anestesia locale in day hospital, mediante una piccola incisione al palmo attraverso la quale viene sezionato il legamento trasverso del carpo. Il trattamento fornisce una risoluzione della sintomatologia se si interviene in una fase non troppo avanzata e cronicizzata, altrimenti può lasciare una riduzione della sensibilità e della forza di prensione.
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AZIENDA OSPEDALIERA L’Ospedale Santa Maria di Terni, come tutto il sistema sanitario regionale, si è tempestivamente attivato per affrontare l’emergenza e per sostenere adeguatamente anche situazioni numericamente importanti. Lavori e riorganizzazione proseguono ogni giorno in base all’evoluzione del contesto.
All’Ospedale di Terni sicurezza e umanizzazione nella prima battaglia contro il Covid-19 P
Anche smartphone per videochiamare contro la solitudine dell’isolamento
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er far fronte all’epidemia del nuovo Coronavirus, l’ospedale Santa Maria di Terni, in pochi giorni è stato rivoluzionato per adeguarsi in tempi record ai nuovi bisogni di cura e di sicurezza di utenti e operatori. I lavori e la riorganizzazione proseguono ogni giorno, in base all’evoluzione della situazione. Dall’inizio dell’emergenza, si è lavorato prioritariamente su due livelli: per contenere il rischio di contagio si è adottata una nuova organizzazione dei reparti e dei servizi, con controlli di pre-triage e limitazione e regolamentazione degli accessi dei visitatori; contestualmente, per garantire sicurezza, sono stati predisposti spazi e percorsi diagnostico-terapeutici dedicati alla gestione di pazienti sospetti e positivi al Covid-19, allestendo anche protezioni per operatori sanitari e utenti e un numero congruo di posti letto riservati alle malattie infettive, alla pneumologia e soprattutto alla terapia intensiva, con possibilità di incremento, a seconda delle necessità. Il tutto senza tralasciare gli aspetti legati all’umanizzazione del lavoro dei sanitari e di chi è impegnato in prima linea ad affrontare questa emergenza, e dei pazienti e dei familiari che sono stati scaraventati in un isolamento che impaurisce e aumenta la fragilità. UNO SMARTPHONE CONTRO LA SOLITUDINE DELL’ISOLAMENTO La solitudine dell’isolamento cui sono obbligati i pazienti Covid è forse l’elemento più drammatico dell’emergenza sanitaria in atto, perché rende ancora più difficile e pesante il percorso di cura di chi è malato e fragile. Per questo la direzione dell’Azienda ospedaliera di Terni ha dotato tutte le aree di degenza dedicate all’assistenza di pazienti sospetti o positivi al Covid, per i quali sono previste misure di isolamento respiratorio, di uno smartphone con abilitazione Whatsapp con cui i pazienti ricoverati in pneumologia, clinica di malattie infettive e anche nelle terapie intensive (per chi è in condizioni cliniche tali da poterlo utilizzare), una o due volte al giorno possono entrare in contatto telefonico e video con i propri cari. Gli smartphone vengono gestiti dal personale infermieristico che, nel rispetto delle misure igienico-sanitarie e delle volontà e condizioni cliniche del paziente, durante la giornata danno la possibilità di fare un collegamento di pochi minuti in videochiamata con un familiare a tutti i pazienti Covid. Molti di loro infatti sono anziani e non hanno confidenza con la tecnologia e molti altri sono stati ricoverati
SANTA MARIA DI TERNI in urgenza e non hanno portato con sé telefonini o caricabatterie. Punto di ascolto telefonico per supporto psicologico COVID Per tutta la durata dell’emergenza sanitaria Covid-19, il servizio di Psicologia ospedaliera dell’Azienda Santa Maria di Terni ha messo a disposizione una linea telefonica per offrire sostegno psicologico dedicato in via prioritaria ai familiari dei pazienti ricoverati, ai pazienti in regime di ricovero che ne sentano il bisogno e ai dipendenti direttamente coinvolti nell’assistenza dei pazienti Covid-19. Per parlare con gli psicologi dell’Azienda ospedaliera è possibile contattare il numero 0744-205968 lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 8.30 alle 14, martedì e giovedì dalle ore 8.30 alle 17. Nel rispetto delle raccomandazioni e prescrizioni ministeriali e regionali, tutte le azioni intraprese dall’Azienda hanno perseguito alcuni principali obiettivi: 1. Contenere/ridurre il rischio di contagio da nuovo Coronavirus 2. Aumentare la sicurezza per tutti i pazienti non-Covid e per tutti gli operatori dell’Azienda ospedaliera 3. Migliorare, per quanto possibile, l’accoglienza e la cura dei pazienti Covid positivi che, è bene ricordarlo, prima di essere “rischiosi” per gli altri, sono anzitutto persone malate! PERSONALE INCREMENTATO Si è subito proceduto alla stipula di contratti libero-professionali per aumentare la dotazione organica dei principali reparti interessati. Sono stati pubblicati avvisi, ai sensi del DL 18/2020, per reclutare con decorrenza immediata medici specialisti, medici in quiescenza e medici specializzandi iscritti all’ultimo e penultimo anno di specializzazione. Contestualmente si è iniziato a procedere ad assunzioni a tempo determinato di personale infermieristico, utilizzando la graduatoria vigente, e alla stabilizzazione del personale precario, ai sensi del comma 1 dell’art. 20 del decreto Legislativo n. 75/2017, rivolto a tutti i profili professionali sia della dirigenza che del comparto. CORONAVIRUS, PARTO SICURO ALL’OSPEDALE SANTA MARIA DI TERNI In quanto ospedale di secondo livello l’Azienda ospedaliera di Terni ha un punto nascita cosiddetto “hub” per la gestione dell’alta complessità ed ha elaborato precisi protocolli per l’assistenza alla gestante, alla partoriente e alla puerpera sospetta o positiva al Covid-19 così come al neonato.
In tempi record nell’area di degenza sono state eseguite modifiche strutturali che hanno consentito di creare un’ala completa di isolamento del reparto di ginecologia dedicata alle gestanti Covid-19 positive o sospette non complicate, che è strutturalmente ben distinta dal reparto di ostetricia e roomingin, dove rimane la normale organizzazione, ferme restando le limitazioni disposte per tutti i reparti ospedalieri in questa fase di emergenza. Anche per quanto riguarda il blocco parto è stata allestita una sala parto singola dedicata e una sala operatoria per il taglio cesareo programmato o in emergenza, oltre ad un’area per le prime cure o la rianimazione del neonato per le pazienti Covid-19 positive. In questa area non è naturalmente prevista la presenza del partner o di qualsiasi altra persona di fiducia. Per quanto riguarda la tutela della salute di tutte le altre mamme non sintomatiche per Covid19 e del bambino, il reparto di ostetricia rooming-in ovviamente limita l’accesso ad un solo visitatore per volta e rispetta rigidamente l’orario di visita, così come in tutti gli altri reparti dell’ospedale, ma al partner, qualora sia anche lui asintomatico e abbia superato il test di pre-triage, è consentito accedere al Blocco Parto indossando i necessari presidi di protezione e nel rispetto delle precauzioni indicate dal Ministero della Salute. La riorganizzazione e le numerose limitazioni di accesso introdotte sono indispensabili per la salvaguardia della salute delle mamme, dei neonati, del personale sanitario e della collettività, perché chiunque potrebbe essere veicolo di contagio. A TERNI IL PRIMO INTERVENTO CHIRURGICO IN UMBRIA SU PAZIENTE COVID Il 26 marzo all’Ospedale di Terni le équipe di Ortopedia e di Anestesia e rianimazione hanno operato per la frattura di una caviglia una donna di Città di Castello positiva al Covid-19. Si è trattato del primo intervento in Umbria su un paziente positivo al Covid, ed è stato possibile grazie all’organizzazione e ai protocolli adottati dall’ospedale di Terni per la gestione globale del Coronavirus che
consentono di operare in piena sicurezza anche su pazienti Covid. Il Santa Maria di Terni ha subito garantito anche alle altre strutture la condivisione delle procedure ed eventuale consulenza per consentire di effettuare in loco simili interventi. L’operazione è durata tre ore e mezzo ed ha comportato un grande sforzo da parte di tutti gli operatori coinvolti, che hanno indossato per tutto il tempo tutti i dispositivi di protezione individuali previsti dalle procedure. Ma soprattutto ha dato un segnale importante alla comunità: dimostra che l’ospedale di Terni è in grado di garantire le cure urgenti, con qualità e sicurezza, anche ai pazienti positivi al Covid. I RINGRAZIAMENTI DEL COMMISSARIO STRAORDINARIO ANDREA CASCIARI Ringrazio per la collaborazione i cittadini e i pazienti che, anche di fronte al disagio dovuto alle improvvise restrizioni adottate in ospedale, hanno compreso che ogni misura è stata adottata nell’interesse loro e dei sanitari che si occupano della loro cura e assistenza, dei loro cari e di tutta la comunità. Ma è soprattutto agli operatori dell’ospedale che va il mio personale e sincero ringraziamento. Tutti stanno dimostrando rispetto del proprio lavoro e professione e una dedizione esemplare. Ognuno di loro ha una propria famiglia, fatta da persone anziane e da bambini che li aspettano a casa: anche a questo dobbiamo pensare nel vederli ogni giorno lavorare al servizio della comunità. Ringrazio infine la città di Terni, dagli enti alle aziende, dalle associazioni ai cittadini, per le numerose donazioni che ci sono pervenute e alle quali dedicheremo il giusto spazio prossimamente.
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C’è un nemico insidioso alle porte dell’Unione Europea Adriano MARINENSI
Si tratta del sovranismo populista di stampo italo-ungherese
L
’Unione Europea -in quanto Istituzione comunitariaper talune sue inettitudini di fronte alla crisi sanitaria ed il conseguente stravolgimento degli equilibri socioeconomici già un atto, sta subendo una serie di censure. Molte giustificate, altre meno. Con l’aggravante del comportamento di alcuni Paesi membri (quelli dell’ex impero austro ungarico più Olanda e Finlandia) affatto in linea con gli scopi comunitari per i quali l’Unione fu creata ed esiste. Questa situazione negativa ha ridato fiato alle trombe da sempre su posizioni disfattiste, di nessuna utilità per la soluzione dei problemi che la situazione attuale ci pone di fronte. Dopo la fuga della Gran Bretagna, purtroppo guidata dal “gemello” di Trump (hanno in comune la chioma biondo ribelle e le idee sconclusionate poste sotto la chioma medesima), anche l’Ungheria sta andando per una strada palesemente sbagliata. Il sovranismo del suo conducator ha ormai portato il Paese lontano dai presidi e dai valori della democrazia, verso un modello che sa di dispotismo oligarchico. Un peccato mortale per un popolo che ha conosciuto, non molto tempo addietro, le angherie dello stalinismo. Semmai non bastasse ciò che si legge nella storia del XX secolo, quando i nazionalismi esasperati provocarono due guerre mondiali. Nell’Europa dei valori di libertà, della cultura politica ispirata al pluralismo delle idee, non vi è posto per presenze di segno avverso. E per manichini in orbace. Neppure per il populismo italiano che, approfittando del panico, torna a cavalcare i suoi cavalli di battaglia. Sfornando pure atteggiamenti grotteschi per ciurlare nel manico della eterna propaganda elettorale. Come dire lo stupidario ancorato alla smania di potere. Potrebbe fare da esempio quella comparsata televisiva durante la quale intervistato e intervistatrice (Nonna, che occhi grandi che hai!) si sono esibiti nella recita apocrifa del requiem per i defunti del coronavirus, un uso sguaiato della preghiera simbolo della pietà cristiana. Nel silenzio, purtroppo, delle gerarchie ecclesiastiche. Mentre molto popolo cattolico continua, nell’urna, a far da gregge al pastore, l’apostolo (con l’iniziale minuscola) della fede che lascia donne e bambini in mezzo al mare, in nome della difesa dei sacri confini della patria (la sua e dei suoi sodali, anch’essa con la p minuscola). Nel tribolato mondo della peste moderna, stanno affiorando sempre più le nuove povertà provocate dall’emergenza sanitaria. Nel nostro Paese, ci sono i miserabili del sommerso che hanno perduto il lavoro senza tutele; e persino le passeggiatrici rimaste prive di clienti. Una umanità che pare dica, si può morire di
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coronavirus, pure senza polmonite. E che si continui a morire ogni giorno a tre cifre, ce lo confermano i bollettini di guerra della Protezione civile. Mentre purtroppo in Cina, che sembrava uscita dal tunnel, stanno paventando i rischi della seconda ondata. Negli USA, la task force della Casa bianca indica tra i 100.000 e i 240.000 le vittime che l’epidemia potrebbe provocare: la danza della morte in America, che neppure durante l’ultimo conflitto. Il lugubre vaticinio ha fatto mutare idea persino al Presidente Trump, il più imprudente dei corona scettici. Ora suona l’allarme: “Ogni americano si prepari ai giorni molto duri che ci aspettano.” A Wimbledon, in Inghilterra, il torneo di tennis ininterrottamente giocato dal 1877 (143 anni di storia) è stato annullato: la prestigiosa “insalatiera” l’ha vinta il virus. Siccome ho riportato una notizia di sport, eccone un’altra. Poche righe sul gioco del calcio italico, non il solo purtroppo approdato da decenni nel paese del bengodi, per chi lo pratica e i tanti altri che gli ruotano attorno ad alto livello. C’è in giro per i competenti tavoli ministeriali una relazione (una sorta di grido di dolore) che quantifica i danni provocati dall’epidemia all’industria del pallone in un buco di oltre 200 milioni da aggiungere ai 290 già quantificati sommando i passivi di bilancio preesistenti. Debiti, in buona parte contratti per finanziare i favolosi ingaggi di molti giocatori. La domanda (elementare e per niente originale) che sorge spontanea è questa: Appare democratico ed equo un sistema sociale che consente di elargire compensi sontuosi a chi tira calci al pallone e invece stipendi di poche migliaia di euro al personale sanitario che, nella attuale fattispecie, tenta di salvare la vita ai malati di coronavirus a rischio della propria? Ed ecco la solita chiusura fuori dal contesto. L’argomento però mi urgeva dentro. Per ricordare una ricorrenza anniversaria passata pressoché nel silenzio. Il 2 aprile di 15 anni fa, è tornato alla Casa del Padre -secondo la Sua estrema invocazione- Giovanni Paolo II. Ha vissuto, senza scendere dalla Croce, i patimenti di un male che è riuscito a fiaccare il fisico, non l’ardore dell’Apostolato. Emblematica della sofferenza e del coraggio, la foto che lo ritrae, il volto contratto, quasi abbracciato al Crocifisso, forse per chiedere tregua al dolore. Eletto Papa il 16 ottobre 1978, ha guidato la Chiesa per quasi 40 anni, Lui che era salito sul soglio di Pietro, primo Pontefice non italiano dopo quattro secoli e mezzo. Fu pellegrino nel mondo per più di cento viaggi durante i quali il suo carisma ha entusiasmato milioni di giovani. Il “lupo grigio” Alì Agca gli sparò in Piazza S. Pietro, il 13 maggio 1981. Papa Francesco lo ha proclamato Santo il 27 aprile 2014.
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• I NOSTRI PROGETTI •
L'AMORE VALENTINIANO Giampiero RASPETTI
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In moltissimi redazionali e all’interno del mio libro, I Diritti Umani nascono a Terni per opera di San Valentino, ho tributato i dovuti ringraziamenti al Prof. Edoardo D’angelo, a S. E. Monsignor Vincenzo Paglia, al Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto. Gratitudine dovuta al loro meritorio impegno a favore della conoscenza culturale, non leggendaria né fiabesca, del nostro Patrono Valentino. Oggi devo anche attribuire dovuti ringraziamenti al magazine La Pagina, a me stesso e al Prof. Paolo Renzi. Al magazine perché fedele testimone di tutti gli eventi, relativi al Santo, dal sottoscritto progettati e realizzati; a me stesso perché già nel libro Germogli, editato nel 2010, porto testimonianze nel merito, addirittura risalenti al 1998, cioè circa 10 anni dopo le mie già professate idee sul significato dell’Amore Valentiniano. Ecco un brano di tali affermazioni, San Valentino nel mondo (pagg. 101-102): “Noi vorremmo che molti giovani, di diversa nazionalità e di religioni diverse, in febbraio e a Terni, si scambiassero messaggi culturali, sociali, di solidarietà, d’amore cioè. Per questo, e al fine dell’interscambio culturale ed educativo, abbiamo già intessuto contatti intensi e proficui con uomini di cultura, insegnanti, associazioni, scolaresche delle seguenti nazioni: Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Germania, Inghilterra, Francia, Malta, Norvegia, Spagna, Turchia. Ci proponiamo infatti di realizzare, insieme ai nostri partner, gemellaggi per San Valentino, consistenti in: Individuazione della tematica annuale, di carattere sociale, culturale, educativa, solidale; Lavoro annuale attorno a tale tematica; Incontro in Terni, durante il mese di febbraio, per permettere ai giovani di comunicare le proprie esperienze, illustrare cioè l’azione solidale svolta nel loro Paese e avere l’opportunità di identificare valori comuni con giovani provenienti da paesi diversi nonostante le proprie differenze culturali. … (segue un programma articolato di manifestazioni sociali e culturali di grandissima
rilevanza, niente a che vedere con le ancora attualizzate feste delle mosciarelle e del cioccolato che scende lentino) … Alcune tematiche proposte: assistenza agli anziani, assistenza ai malati terminali, la carcerazione, la libertà di stampa, la scuola, la religione.”. Anticipai dunque allora, di più di 30 anni, quello che adesso è ufficialmente conosciuto, grazie a persone ed Enti sopra menzionati, ma che ancora la volgare insipienza cittadina si ostina a non voler riconoscere. Relativamente alle tematiche da me allora proposte (assistenza agli anziani, assistenza ai malati terminali, la carcerazione, la libertà di stampa, la scuola, la religione) si potrà tranquillamente osservare come tali tematiche corrispondano alle incidenze per cui Valentino è stato ucciso e che hanno segnato, nel mondo, la nascita e la fermentazione dei diritti umani. Vale la pena osservare che tutta questa amorevole solidarietà è ancora viva, nella nostra città, ad opera di Fabrizio Pacifici e della sua Fondazione Aiutiamoli a Vivere, anche lui operante all’interno di un Oratorio, quello della Chiesa di San Giuseppe Liberatore. Per due anni, in febbraio, ho ospitato, senza alcun contributo da parte delle cosiddette autorità cittadine, circa 20 tra professori Universitari e di Licei provenienti da più parti d’Europa, proprio per discutere, con loro sì, in merito al Valentino dei Diritti Umani, mentre noi, in Terni, abbiamo un problema drammaticamente serio: vivere in una città in cui sono assenti i valori culturali, intellettivi, progettuali da parte di chi dovrebbe farlo ed è, proprio per questo, pagato. E così i miei concittadini, che potrebbero vivere nella città più bella e più ricca del mondo, sono ancora costretti a navigare nel mare dell’ignoranza e della sciatteria da altri tollerata, se non incoraggiata. Credo sarebbe opportuno, se davvero teniamo al futuro della nostra città, diventare tutti più seri e responsabili e fare immediato ricorso agli studiosi e non ai pappagalli analfabeti.
• I NOSTRI PROGETTI •
Nel maggio 2003 ho pubblicato, a pagina 7 de La Pagina, un eccellente saggio di Paolo Renzi del quale qui riporto alcuni brani. Stefano di Bisanzio (V sec.), a proposito degli Umbri, ci riporta il seguente passo dello Pseudo-Aristotele: “il loro bestiame genera tre volte all’anno e la loro terra produce più raccolti; anche le loro donne sono particolarmente feconde: raramente partoriscono un solo figlio per volta, più frequentemente hanno parti gemellari di due o di tre figli (Mirabilia, sub voce Ombrikòi)”… Per quanto riguarda gli Umbri del Nera, possiamo esaminare i dati offerti dalle sepolture femminili ternane rinvenute nella necropoli di S. Pietro in Campo all’inizio ed alla fine del secolo scorso, databili tra il VII e la prima metà del VI sec. a.C., nel periodo Orientalizzante ed Arcaico… La peculiarità e la ricchezza di alcune tombe dimostrano come la comunità ternana di epoca Orientalizzante fosse strutturata in classi sociali ben distinte con alto potenziale economico d’acquisto. Nel complesso i corredi recuperati hanno restituito materiali che da una parte testimoniano ancora una volta la peculiarità della “Cultura di Terni”, con forme vascolari e fibule di chiara impronta locale, e dall’altra denunciano rapporti commerciali e culturali piuttosto stretti ed intensi con le principali culture protostoriche contemporanee contermini (falisca, etrusca, capenate, sabina, picena) ... Dunque nel corso dell’Orientalizzante e del primo Arcaismo Terni assume le caratteristiche di un vero e proprio crocevia commerciale: qui vengono importati oggetti di produzione etruscofalisca od addirittura mediterraneoorientale, i quali, insieme allo sfoggio delle armi, sono espressione della classe dominante e della loro ricchezza
derivante dal possesso delle terre da pascolo e da coltivazione, degli animali e dei prodotti da questi ricavati, nonché dal controllo di quelle valli fluviali che costituivano la via privilegiata lungo la quale si svolgevano i rapporti di scambio tra la produzione artigianale di qualità di provenienza tirrenica con i prodotti derivanti dall’allevamento animale (soprattutto ovino) della zona appenninica interna ed adriatica. … Gli Umbri potevano vantare il possesso di terre feconde in grado di nutrire uomini e greggi animali: in tal senso va letta la citazione di Stefano di Bisanzio: come allusione alla prosperità e ricchezza degli Umbri. In particolare, la fecondità dei terreni intorno a Terni è attestata sin dalle prime fonti di epoca romana (campos fertilissimos Italiae, Tac., Ann., I, 79, 2), ed è rimasta tale fino ai resoconti unanimemente concordi in tal senso dei viaggiatori europei del Grand Tour della fine dell’Ottocento, prima della scellerata industrializzazione selvaggia della zona. Nel febbraio 2003 ho pubblicato, a pagina 6, il prezioso scritto di Paolo Renzi in merito a San Valentino di Terni. A riprova che da sempre chi ha un po’ di amore per Terni ed un po’ di cultura avrebbe avuto, da tempo, tutti i dati per sapere e per capire. Riporto qui alcune righe salienti. S. Valentino: tradizione agiografica e dati archeologici. San Valentino è forse il santo più famoso del mondo, certamente il più internazionale, dal momento che il 14 febbraio di ogni anno la sua festa viene celebrata da atei e credenti (cristiani e non) al di là di ogni barriera politica, ideologica, religiosa, generazionale. Come egli sia divenuto un simbolo dell’amore universale è arduo tentare di spiegarlo, e ne tratteremo altrove, ma per
una città che ne rivendica i natali sarebbe intanto opportuno conoscere qual è la dimensione storica del Valentino di Terni… Valentino vescovo di Terni. La più antica testimonianza del culto tributato a S. Valentino a Terni si ha nel Martirologio Geronimiano, databile alla metà del V sec., il cui testo ci è pervenuto in maniera molto corrotta. Il confronto tra le varie tradizioni ha condotto alla seguente restituzione: XVI kal. Mart. Interamne Via Flaminia miliario LXIII natale Valentini. In pratica questo documento ci attesta che il 14 di febbraio presso Interamna (Terni), al miglio LXIII della Via Flaminia, si celebrava il giorno del martirio (dies natalis) di Valentino. Maggiori dati sulle circostanze del martirio ci sono fornite da una passio (racconto di martirio) databile al VI sec. La Passio Valentini episcopi si apre con la presentazione dell’Interamnensis episcopus sanctus Valentinus, priva tuttavia di altre coordinate agiografiche. Il racconto è interessante per l’attestazione dell’esistenza di una chiesa presso Terni dedicata al Santo, evidentemente la stessa basilicam beati Valentini episcopi et martyris ricordata nel Liber pontificalis, celebre biografia medievale di papi, in occasione del famoso incontro tra papa Zaccaria e il re longobardo Liutprando, avvenuto a Terni nel 742… Purtroppo questa importante realtà archeologica cittadina non è affatto conosciuta. I reperti provenienti da S. Valentino giacciono (insieme ad altri preziosi materiali archeologici) da 60 anni accatastati nei depositi comunali… Come abbiamo visto, nella locale tradizione agiografica non esiste alcun legame tra S. Valentino e gli innamorati. Esso nasce nel mondo anglosassone, dove è radicato almeno già nel XIV sec., e da qui passa negli Stati Uniti da dove si diffonde in tutto il mondo dopo la II guerra mondiale. Indipendentemente dalle cause, comunque meritevoli di un’indagine approfondita, è un vero e proprio miracolo che intorno a questa figura dai contorni così indefiniti si sia sviluppato un culto dell’amore a livello universale che fa di S. Valentino il ternano più famoso del pianeta. A maggior ragione è assurdo che a Terni manchi tuttora un valido centro di documentazione storica, archeologica, ed agiografica sulla figura di S. Valentino per indagare, illustrare, valorizzare e tutelare la figura di un Santo che comunque porta il nome di Terni nel mondo.
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IL “DOPO” O
Giacomo PORRAZZINI
ra che si fanno più confortanti i segnali di un rallentamento della corsa sfrenata del Virus, viene più naturale pensare al “dopo”, al se ed al come saremo cambiati, finita l’emergenza. Cerchiamo, cosí, di immaginare a come potranno proporsi i rapporti fra le persone, la socialità e la solidarietà, dopo che abbiamo riscoperto i valori del sentirci comunità coesa, di fronte al pericolo ed al nemico comune, insidioso ed invisibile, penetrato già dentro le porte delle nostre cittadelle. Cerchiamo di capire come potranno riprendere un sentiero di sviluppo, l’economia e il lavoro, dopo il vortice di recessione che inevitabilmente ci colpirà. Cerchiamo di intuire quale possa essere una nuova e rispettosa relazione fra l’umano ed il naturale, dopo che la natura, con uno dei suoi costituenti vitali più elementari, un virus animale che fa il salto di specie, ha ricordato la sua infinita potenza, a noi, quelli dell’Antropocene. Da questa prova epocale, anche per rendere giustizia a tutte le vittime di questa strage, al dolore infinito di tante morti solitarie, allo strazio di tante famiglie senza il conforto di un commiato e, soprattutto per costruire un futuro meno vulnerabile alla comunità umana, dobbiamo essere capaci di uscire diversi da come vi siamo entrati, facendo tesoro del perché vi siamo caduti. Il virus ha colpito i più fragili, per le condizioni di salute, come anziani e malati; ma le sue conseguenze economiche e sociali potrebbero scaricarsi, in modo violento, sui soggetti “socialmente” più fragili, i poveri, i giovani del lavoro precario o nero, i padri e le madri di famiglia che il lavoro lo perdono, con la crisi di tante attività economiche. Il dopo, allora, non potrà che farci affrontare un grande problema sociale, come quello degli strumenti della coesione e della solidarietà sociale, come quello della riduzione secca delle disuguaglianze e di una distribuzione più equa di benessere, lavoro e ricchezza. “Dopo”, non dovrebbe essere più possibile avere cinque milioni di poveri, oltre cento miliardi anno di evasione fiscale e il 10% della popolazione italiana che possiede il 56% della ricchezza privata totale. Ci chiediamo anche se, per uscire dalla crisi, con le misure straordinarie di rilancio dell’economia, europee, nazionali e regionali, si possa continuare a puntare le carte della speranza su un modello produttivo e di consumi giunto ad esaurimento e non si debba, invece, puntare creatività, formazione ed investimenti verso una economia decarbonizzata, bio, green e circolare, capace di utilizzare in modo, socialmente ed ambientalmente, virtuoso l’enorme potenziale delle nuove tecnologie; su un modello di consumi più
Le conseguenze economiche e sociali potrebbero scaricarsi, in modo violento, sui soggetti “socialmente” più fragili.
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sobrio, meno legato al possesso e più all’uso dei beni, per vivere meglio con meno. Le settimane a casa ci dimostrano che ci sono grandi spazi di ripensamento ed innovazione, soprattutto culturali, in tale direzione. Un altro soggetto “fragile" che potrebbe essere colpito duramente non dal virus ma dalla reazione economica e culturale al virus, è il programma strategico, che era in fase di approntamento per promuovere il “green new deal”, ovvero il pacchetto di misure di contrasto alla crisi climatica, a livello europeo e nazionale, nel solco degli obiettivi indicati dall’Agenda 2030 dell’ONU. Il rischio che le misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza economica facciano uscire, dall’Agenda dei governanti, il tema dello sviluppo sostenibile e quindi la nostra “assicurazione” contro i rischi del futuro, è molto forte. Non resta che sperare che la voce della scienza e delle competenze, tornata centrale ed ascoltata, nel vivo della sfida della pandemia, continui ad essere ascoltata dai decisori pubblici e privati anche sul tema fondamentale del ripristino dell’equilibrio climatico. Quella voce che ci sta, autorevolmente, dicendo che la nostra crescita demografica “esponenziale”, i nostri consumi e stili di vita, la distruzione di biodiversità e la riduzione degli spazi naturali, stanno esercitando una pressione così grande sugli habitat delle specie animali, da favorire promiscuità, scambi biologici, ivi compresi i salti di specie dei virus, sempre più frequenti. Cinquanta anni orsono il Pool di scienziati del Club di Roma lanciò un allarme preciso sulla esistenza di limiti alla crescita e sulle conseguenze di una loro forzatura. Non è stato ascoltato e persino oggi vediamo all’opera distruttiva “grandi” negazionisti. Speriamo che una giovanissima Cassandra come Greta questa volta venga ascoltata, anche dentro il frastuono delle voci dell’attuale emergenza sanitaria. Il Club di Roma, oggi, scrive che la prova cui il Covid-19 ci sta sottoponendo sarà solo un “training day”, una semplice giornata di allenamento, rispetto alla prova che sul medio periodo ci attende se non sapremo fermare la crisi climatica. Teniamo orecchi, cuore e mente aperti a questi richiami, mentre pensiamo e lavoriamo al “dopo ed al domani”.
LE CITTÀ SMART
Come cambieranno le città grazie alla tecnologia?
A
nche per chi come me è al dentro dell’elettronica e dell’ICT (Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione) da tutta la vita e ha trasformato una pionieristica giovanile passione in un lavoro vero e proprio, rispondere a questa domanda è senza dubbio molto difficile per due ragioni: la velocità con cui le tecnologie si evolvono, che è ormai quasi esponenziale, e la loro ricaduta e applicazione pratica nel mondo reale, che a differenza anche del passato recente, è ormai quasi immediata. Basti pensare che, anche se fin dai primi anni 90 sono disponibili le principali tecnologie della rete internet e del sistema GPS per la localizzazione, è in meno di un lustro che esse sono passate da infrastrutture appannaggio di tecnici per soluzioni professionali ad architrave di base per servizi consumati da qualsiasi dispositivo cellulare, anche da poche decine di dollari. E tutto questo è già avvenuto, ancora prima della prossime rivoluzioni che già si annunciano epocali: quella del 5G e quella che ci lascerà in eredità il corona virus. Il 5G, infatti, al di là delle criticità sul suo impatto ancora non del tutto chiarite, promette una evoluzione ancora più sconvolgente ampliando la velocità dei dati e il numero di apparati che se ne potranno servire in maniera sempre più intelligente. E d’altro canto la clausura a cui ci sta obbligando questa pandemia ha spinto in pochi giorni un intero paese,
anche piuttosto refrattario, all’adozione forzosa di tecnologie digitali ad ogni livello: dallo smart working per il lavoro d’ufficio fino alla didattica on line per qualsiasi ordine e grado di scuola, fino alla repentina diffusione dei servizi di consegna di qualsiasi bene o servizio basata sempre su piattaforme tecnologiche: ciò di certo non sparirà quando il virus sarà debellato, ma la città dovrà prepararsi e gettare le basi per cavalcarne l’onda e in prospettiva assimilarlo. Naturalmente tutto questo avrà bisogno di progettazione e tempi più lunghi per impattare stabilmente e positivamente sulle città e sulla vita dei cittadini, tanto che ancora oggi, parlando di smart cities (anche questa una definizione di metà anni ‘90), la maggior parte delle persone ha solo una vaga idea di cosa si tratti, o magari pensa a soluzioni applicabili solo a grandissimi contesti urbani (come l’automazione del traffico), e quindi lontani dalla nostra realtà. Ma le tecnologie sono pronte, relativamente a buon mercato, e sempre più incalzanti, e sta agli amministratori delle città elaborare piani coerenti con una direzione ben precisa da imprimere fin d’ora, per trarne un significativo vantaggio per tutti e non farsi travolgere o peggio ancora ignorare dal progresso. La tecnologia non potrà né dovrà essere fine ultimo, ma sarà strumento di incredibile potenza integrato con tutte le altre progettazioni, da quella
urbanistica a quella culturale, da quella sociale a quella ambientale. Pertanto, anche in una realtà piccola come Terni, la tecnologia sarà inevitabilmente la portante su cui dovranno essere costruite, con un processo di innovazione ed adattamento continuo, le soluzioni per contrastare i nostri punti deboli attuali come la mobilità grandemente basata sull’auto privata, la questione ambientale, la gestione dei rifiuti ancora lontana dall’ottimizzazione, la sanità ancora in minima parte erogata sul territorio; e si potrebbe continuare con l’inefficienza dei servizi pubblici e la loro difficoltà di accesso da parte dei cittadini, la scarsa istruzione (digitale e non) ed infine la poca attrattività del territorio: in ultima analisi sarà indispensabile rimettere al centro dell’attenzione il cittadino e i suoi bisogni servendosi degli strumenti che solo la tecnologia ci può fornire, davvero efficaci se guidati da una opportuna pianificazione. Tutto questo promuovendo, grazie alla sempre maggiore capillarità della tecnologia, la partecipazione dei cittadini stessi, includendoli tanto nella progettazione quanto nella realizzazione di un sistema di politiche urbane indirizzate allo sviluppo e al miglioramento della qualità della loro vita, in un vero e proprio progetto condiviso. Tutto questo richiederà tecnici ma anche e soprattutto uomini visionari al comando: siamo pronti?
Alberto RATINI
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RIGENERAZIONE una parola e un’idea per il futuro
L Giocondo TALAMONTI
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a ricetta per crescere può essere riassunta in tre regole: durare, condividere e rigenerare. L’Economia Circolare esprime un’idea di economia che possa “auto-rigenerarsi”, ovvero un sistema economico in cui lo sviluppo è legato ai principì dell’utilizzo di risorse rinnovabili e al limitato consumo di risorse finite con conseguente riduzione dei rifiuti. L’applicazione di tale lettura è demandata alle aziende, in una logica di rinnovamento generale dei processi produttivi e organizzativi. La Rigenerazione Aziendale è il percorso in cui l’impresa dà il via al tutto, non affidandosi solo all’idea di produrre profitto. Rigenerare significa intervenire sulla propria essenza, mettendo a frutto quelle idee di passione, innovazione, qualità, che sono alla base del progetto. Il termine “rigenerazione” è entrato da alcuni anni nel linguaggio delle discipline che si occupano di ambiente aggiungendosi a termini tradizionali di uso urbano come “riqualificazione, ristrutturazione, recupero, restauro”. Una modifica lessicale? No, un concetto nuovo perché rigenerare vuol dire modificare il preesistente, per utilizzarlo in modo diverso. Ma per quale ragione parliamo di rigenerazione? Negli ultimi trecento anni si è verificato il più grande incremento di popolazione nella storia dell’umanità (da circa 800 milioni di persone nel 1750 contiamo attualmente 7.6 miliardi circa). La principale conseguenza è la formazione di immense periferie urbane, nelle quali domina il degrado edilizio e sociale ed è assente qualsiasi traccia di qualità della vita. La questione ambientale ha portato a dover riflettere sul
rapporto tra uomo e ambiente, cosa che durante la rivoluzione industriale non era stata presa in alcuna considerazione. I tre fattori principali dell’ambiente naturale: acqua, aria, suolo sono stati usati, consumati e alterati senza alcuna attenzione, considerando il tutto come un fatto normale e privo di conseguenze. I primi grandi disastri ecologici risalgono agli anni sessanta e sono stati il campanello d’allarme di ciò che sarebbe potuto accadere in futuro. All’inquinamento delle acque e dell’atmosfera e alla distruzione di interi ecosistemi locali, altri macro fenomeni si sono aggiunti per effetto del mancato rispetto dell’ambiente. L’emissione di CO2, il buco dell’Ozono, i cambiamenti climatici, la desertificazione e l’accumulo di rifiuti hanno fatto nascere la consapevolezza di dover intervenire per interrompere il ciclo perverso del deterioramento dell’ambiente -aria, acqua, suolo- e ricostituire il ragionevole equilibrio tra Uomo e Ambiente. Nelle grandi concentrazioni urbane, l’incremento della popolazione ha causato nuovi effetti di inurbamento e consumo ambientale, quali ad esempio: • L’inquinamento • La congestione del traffico • Lo smaltimento dei rifiuti. Fenomeni di degrado che a ben vedere sono riconducibili all’abusivismo, alla speculazione edilizia e alle scelte sbagliate di natura urbanistica e architettonica. Il concetto della rigenerazione urbana strategica per raggiungere uno sviluppo urbano è stato introdotto, nel 2010, con la “Dichiarazione di Toledo” che individua nei seguenti punti le sue caratteristiche: a) più intelligente, con la promozione di un’economia basata sulla conoscenza, l’innovazione e la cultura; b) più sostenibile, grazie ad un uso più oculato ed efficiente delle risorse; c) più inclusivo, con la promozione di un alto tasso di occupazione e la ricerca di coesione sociale e territoriale. Una particolare applicazione dei princìpi, dei metodi e delle tecniche della rigenerazione urbana e ambientale è già stata messa in atto nei casi di aree industriali dismesse. Si tratta di un fenomeno ormai molto diffuso e anche a Terni, città di tradizione industriale, si possono registrare interessanti esperienze (area Bosco, area Siri, area stabilimento di Papigno etc.). La rigenerazione, parola d’ordine del futuro, va oltre il concetto di sostenibilità perché non riguarda solo il non produrre danni, ma anche il far sì che danni precedenti vengano riparati.
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Viviamo in un mondo che cambia
IL FIUME CATTURATO N
Enrico SQUAZZINI
el gergo tecnico una cattura fluviale sta ad indicare l’avvenuta deviazione di un corso d’acqua dal suo tracciato originario. Fenomeni di questo tipo, in generale, possono risultare frequenti in aree della superficie terrestre geologicamente molto attive. Per esempio, laddove è in atto il sollevamento di una catena montuosa. Quindi eccoci qua! Direi che è proprio il nostro caso. Collocati nel bel mezzo di una dorsale montuosa in rapido sollevamento: gli Appennini. In questo straordinario scenario il Fiume Nera, come anche i suoi affluenti, costituiscono un bellissimo esempio di quanto l’intensa fratturazione e dislocazione delle masse rocciose possano, nel caso di un’orogenesi, termine tecnico per il sollevamento di una catena di montagne, influenzare il percorso delle acque incanalate di superficie. Cioè fiumi e torrenti. In base ai dati rilevati sul territorio, ricostruire la storia del nostro fiume consente di far luce su alcuni aspetti importanti inerenti le forme del paesaggio. Ossia la geomorfologia territoriale e il suo legame con la storia geologica passata. In particolare per gli stretti rapporti che intercorrono fra il modellamento delle aree di superficie e le vicissitudini del reticolo idrografico. Le alterne fasi di erosione e di accumulo di detriti da parte di un corso d’acqua, fenomeni alla base del modellamento del paesaggio, da una parte sottostanno al controllo delle dinamiche geologiche e dall’altra a quello delle dinamiche climatiche. Di fatto ne costituiscono la risposta diretta. Si tratta di un complesso intreccio di fenomeni legato al susseguirsi nel tempo di diversi regimi di portata dei corsi d’acqua, in ragione di distinte fasi climatiche distribuite nell’arco di decine di migliaia di anni e al fatto che le medesime acque vengono indotte ad incanalarsi in “direttrici” preferenziali a seconda dell’evoluzione tettonica dell’area. Percorsi man mano creati dall’intersezione delle masse di crosta terrestre dislocate. Questo colossale e continuo lavorìo lascia segni e “geometrie” territoriali più o meno chiari ed evidenti, la cui interpretazione consente di ricostruire gli eventi passati. In tal senso le tracce lasciate dal passaggio del Nera appaiono tali, nella loro evidenza, da costituire un modello del fenomeno di cattura fluviale. Le gigantesche masse rocciose coinvolte suggeriscono un fenomeno di enorme complessità, eppure il meccanismo della cattura fluviale è, nella sostanza, un concetto semplice. Quando gli enormi sforzi di taglio accumulati nelle masse rocciose raggiungono un limite massimo si può verificare una rottura con repentino slittamento di una massa rispetto all’altra. Al di là dell’energia rilasciata nell’immediato, notoriamente in forma di vibrazione sismica, tali slittamenti modificano gli assetti della superficie terrestre potendo creare deformazioni in grado di variare le pendenze o creare nuovi dislivelli. In altri casi si possono creare ostacoli di diversa natura. Le nuove condizioni si ripercuotono sull’andamento del reticolo idrografico per cui un corso d’acqua può essere deviato dal percorso originario o addirittura essere indotto a scorrere nella direzione opposta. Naturalmente sul territorio non “leggiamo” fasi intermedie ma la risultante di diverse fasi che sommano i loro effetti nell’arco del tempo geologico. Le variazioni subite dal Nera nel corso del tempo svelano il volto dinamico delle nostre terre. La loro natura tipica e dal carattere particolarmente irrequieto.
La storia del nostro fiume consente di far luce su alcuni aspetti importanti inerenti le forme del paesaggio
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TEMPO DI SANIFICARE IL CLIMATIZZATORE PER L'USO INVERNALE ED ESTIVO
Respirare aria sana e pulita è importante, soprattutto in questo periodo in cui siamo costretti a soggiornare per parecchie ore negli ambienti chiusi della casa. Forse non lo sai, ma il climatizzatore accumula polvere e batteri ed è importantissimo far effettuare, ai tecnici specializzati, una sanificazione e pulizia professionale per mantenere inalterata proprio la qualità e la salubrità dell’aria che si respira e non mettere a "rischio" la nostra salute.
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IN TRINCEA
I
medici, gli infermieri, i rianimatori escono silenziosi dall’interminabile turno in terapia intensiva dai reparti Covid-19 degli ospedali lombardi. Hanno lo stesso sguardo sbarrato dei soldati italiani dentro le fangose trincee del Carso cento anni fa, lo stesso sguardo stravolto dei minatori sul montacarichi che saliva dall’inferno di Marcinelle. Hanno la stessa faccia ulcerata dei soldati e dei minatori, il viso segnato dall’elastico della mascherina indossata per ore, il fisico stanco per il lavoro lungo ed estenuante, il cuore a pezzi. E’ giustissimo chiamare queste persone, uomini e donne, eroi, ma il loro impegno è quello di sempre. In Lombardia e non solo, si lavorava così anche quando i posti venivano tagliati, il personale collocato a riposo non veniva rimpiazzato, le cure ridotte, i bilanci pure. Questo scenario si ripete a Lodi, Bergamo, Brescia Cremona e stringe di assedio Milano. Scenario che si va estendendo a macchia di leopardo in tutto il Nord, via via al Centro e al Sud, anche a causa del panico scatenato dall’annuncio delle restrizioni da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, provocando un assurdo e pericolosissimo assalto ai treni diretti verso il Meridione. Una guerra vera e propria, peggio di quelle mondiali, stavolta combattuta contro un nemico subdolo ed invisibile, un virus di nome Covid-19 che si annida dovunque, che si cela in un innocente abbraccio, in un bacio appassionato, in una allegra conviviale tra amici o semplicemente con il contatto involontario con uno sconosciuto sul treno, in autobus o per strada. Non è il classico nemico che ti sta di fronte, che ti spara addosso, che puoi vedere e perfino prevenirne le mosse. Una guerra combattuta con mezzi insufficienti, con posti letto che via via che il contagio cresce si riempiono, senza abbastanza respiratori, senza mascherine che ci sarebbero, ma inizialmente sono stati bloccati in magazzini in Germania e Turchia. Ora sembra che la situazione si sia sbloccata, ma gli ospedali continuano ad operare in condizioni al limite del collasso. Nelle corsie, scene da Promessi Sposi, con medici ed infermieri che si aggirano vestiti da astronauti, a metà tra Guerre stellari e i film horror del regista italo-americano Joe Dante. L’Unione Europea per alcune settimane è stata a guardare, quasi volesse vedere come si resiste al virus, una sorta di prova generale per il resto di Europa e l’Italia come cavia. L’alleanza della Nato tace. Qualcuno addirittura ci ha perfino cinicamente irriso sopra come il famoso video (ora giustamente ritirato) di un’emittente francese sulla pizza sputacchiata o addirittura alcune emittenti spagnole ci hanno presentato come untori. Proprio la Spagna che in pochi giorni sta arrivando l’Italia per numero di contagi! Quando però da Bruxelles si è constatato che il virus si diffondeva a macchia d’olio nel resto di Europa e che anche le nazioni considerate
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Pierluigi SERI
“sagge” tipo Francia, Germania, Benelux, non ne erano immuni, allora ha mutato radicalmente atteggiamento. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, si è spinta a dire in italiano: ”In Europa siamo tutti italiani,” annunciando una serie di aiuti al nostro paese. Regalo da non poco dalla Commissione Europea tradizionalmente critica nei nostri confronti. Intanto aumentano i morti e i malati e aumenta anche il numero di medici ed infermieri contagiati. Si contano al momento tra loro 14 decessi e 2635 contagiati, cifra destinata ad aumentare per quando uscirà il presente articolo. I turni, in barba alle limitazioni sindacali, vanno dalle 12 alle 15 ore, poi, arriva finalmente il cambio e, liberato il viso e il corpo dalla stoffa monouso, disinfettate le mani con cura, qualche minuto per aggiornare i colleghi via chat, finalmente a casa, dove anche nel nucleo familiare si mettono, uomini e donne, spontaneamente in quarantena, niente baci, niente abbracci, letto separato, vestiti a parte! Tutto questo per non contagiare i familiari. Il destino tra vita e morte ora è attaccato ai tubi di plastica dell’ossigeno. I reparti di terapia intensiva sono pieni, i respiratori non bastano per tutti e molte volte gli anestesisti e i rianimatori devono scegliere chi intubare e chi no. Una scelta che pesa come un macigno sulla coscienza. Allo stress fisico dovuto a turni massacranti, alla stanchezza si aggiunge quello psicologico ancora più difficile da curare. Molti di loro, passata l’epidemia, avranno bisogno di un supporto psicologico, anzi in certi ospedali è già al lavoro un équipe di psicologi. Devastante è l’isolamento e la solitudine a cui sono costretti i pazienti che dal momento del ricovero non possono incontrare più nessun familiare. Serve a prevenire il contagio. Per chi non ce la fa il giorno del ricovero è l’ultima volta che ha potuto salutare i suoi cari. Muoiono soli. Qualcuno più fortunato ha potuto farlo tramite video-chiamata dal telefonino prestato da una generosa infermiera. Poi le bare caricate su camion militari vengono portate verso i cimiteri, anche fuori provincia, per la sepoltura o la cremazione, spesso senza la presenza dei familiari; non c’è stato tempo di avvertirli. Nonostante ciò il personale ospedaliero continua il suo lavoro umanitario e uno di loro chatta: -Noi però non molliamo, stiamo facendo di tutto e sono orgoglioso della mia squadra!- Un particolare ringraziamento va, oltre al personale ospedaliero, agli inservienti, agli addetti alle ambulanze, alle forze dell’ordine, alle Forze armate, alla Protezione Civile, a tutti i volontari e in particolare a tutti i medici e paramedici che hanno risposto in ottomila all’appello di aiuto lanciato dal Presidente del Consiglio. QUESTA E’ L’ITALIA CHE CI PIACE! Forte, generosa e solidale! ANDRÀ TUTTO BENE!
Grandi musicisti ternani
ORO PETRUCCI Gian-Luca Petrucci
Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma
O
1912-2003
ro
Petrucci
si diplomò presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma sotto la guida di Alberto Veggetti nella rinomata classe che vide suoi compagni di studi Silvio Clerici, Adolfo Longo, Mario Carmignani, tutti futuri docenti dei maggiori Conservatori italiani e “Primi Flauti” delle più prestigiose compagini orchestrali, dal Teatro alla Scala di Milano al Teatro dell’Opera di Roma, dall’orchestra della Rai di Torino a quella di Roma. Iniziata un’intensa attività professionale, subì, a causa degli eventi bellici, una lunga pausa. Al termine della seconda guerra mondiale, ufficiale, decorato al “valor militare”, riprese a Terni una duplice attività sia musicale, facendo parte, fin dalla fondazione, dell’Orchestra Stanislao Falchi, sia tornando alla formazione ricevuta in gioventù alla severa scuola orafa paterna, effettuando, anche in questo campo, una primaria attività creativa. Ripresa negli anni Cinquanta la professione di flautista, svolse gran parte della sua attività, come “Primo Flauto” e successivamente come ottavinista, a Palermo presso l’Orchestra Sinfonica Siciliana, suonando nelle principali capitali europee sotto la direzione di eminenti musicisti quali: Paul Hindemith, Igor Stravinskij, Darius Milhaud, Tullio Serafin, Hermann Scherchen, Wilhelm Kempff, Herbert Albert, Hans Werner Henze, Jean Martinon, Lovro von Matacic, George Barbirolli, Sergiu Celibidache, che gli manifestarono con ampie dichiarazioni la loro stima. La rara coincidenza d’una specializzazione orafa con la particolare conoscenza del flauto diede anche specifici risultati consentendo la realizzazione artigianale di testate di flauto in argento e oro oltre che il recupero, attraverso delicati lavori di restauro, di strumenti di valore storico. Particolarmente interessato alla didattica ha scritto, fra l’altro, un ampio Metodo per lo studio del flauto, dodici “Capricci Esatonali” ed un Metodo completo per lo studio dello staccato. Gran parte di questi lavori
Oro Petrucci “Primo Flauto” dell’Orchestra Sinfonica Siciliana
sono pubblicati dalla casa editrice Zanibon-Ricordi ed hanno ottenuto riconoscimenti internazionali sia in Europa che negli Stati Uniti d’America dove, nel 1984, ottenne a Chicago il Premio per la migliore opera didattica mondiale. La sua opera didattica è stata anche oggetto di una Tesi di laurea il cui titolo è “La metodologia flautistica italiana fra Ottocento e Novecento. Oro Petrucci ha insegnato esclusivamente a tre allievi: al figlio Gian-Luca Petrucci, docente emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, a Giovanni Tardino, professore presso il Conservatorio Licino Refice di Frosinone, a Letizia Carletti, professore presso il Conservatorio Francesco Morlacchi di Perugia. Oro Petrucci comunicò grande attenzione per i valori della tradizione ed ebbe la capacità di creare una profonda comunione d’intenti. Diplomatosi presso lo storico Conservatorio Santa Cecilia di Roma nel 1934 ebbe la soddisfazione, nel 1986, di vedere il figlio suo allievo divenirne Professore. La sorte non gli consentì nel 2005 di assistere al Conservatorio di Roma al diploma, ottenuto con il massimo dei voti e la lode, della nipote Ginevra Petrucci, attualmente Primo Flauto della Chamber Orchestra of New York. Nel segno della memoria, nell’atto del proseguire un cammino con passi e risorse diverse, Oro Petrucci vive nella quotidianità dei suoi epigoni.
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LA “BBIÒCCA”
P Vittorio GRECHI
er i più giovani che conoscono poco il dialetto, la “bbiòcca” non era altro che la chioccia che covava le uova. Una volta non c’era famiglia contadina che non metteva una chioccia di gallina, di oca o di tacchina. C’era chi aveva anche tre pollai distanziati tra di loro: in uno le galline con il gallo, nel secondo le oche con il loro maschio e nel terzo le tacchine con il loro tacchino che, quando uno gli fischiava, apriva la sua ruota e iniziava a gloglottare a ripetizione. Quando le donne degli anni ’50-’60, col capo coperto da grossi fazzolettoni multicolori legati dietro la nuca, andavano a raccogliere le uova nei pollai, dovevano stare attente a non chinare troppo la testa per non essere aggredite dal gallo che si lanciava loro contro starnazzando e con gli artigli pronti a ferirle in viso, scambiandole per concorrenti all’harem. Quei fazzolettoni colorati e il movimento di abbassare il capo venivano scambiati dai pennuti maschi come un invito alla lotta per spodestarli dal loro trono. Questo accadeva anche coi maschi delle oche o delle anatre che, nonostante non fossero armati come il gallo, tentavano di scacciare le intruse a furia di innocue beccate. Il più pericoloso era il tacchino maschio, sia per mole che per aggressività. Quando una gallina veniva trovata a covare nel cesto delle uova e rifiutava di uscirne gonfiando le penne ed emettendo il rauco verso della chioccia, veniva presa, portata in un ambiente tranquillo, isolato dagli altri pennuti e messa in una cesta a fare il suo dovere con sotto un giusto numero di uova, anche non sue. Vicino le si metteva una bacinella con acqua e un’altra con il becchime, costituito in genere da grano o granturco. Abbandonava il nido per pochi minuti al giorno per rifocillarsi e sgranchirsi le zampe poi con estrema
Con l'avvicinarsi alla chioccia in cova si incorreva nelle sue giuste proteste che la facevano gonfiare a dismisura mentre lanciava stridule grida di allarme.
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delicatezza risaliva sopra le uova, le ricopriva allargando ali e penne ed iniziava di nuovo a rigirarle col becco, una ad una, in modo da riscaldarle uniformemente. Osservandola in questo atavico movimento sembrava stesse nuotando al rallentatore mentre invece stava spostando le uova verso il calduccio della sua pelle come fa il pinguino coprendo il suo unico uovo con la calda pelliccia fin sopra le zampe palmate. Con l'avvicinarsi alla chioccia in cova si incorreva nelle sue giuste proteste che la facevano gonfiare a dismisura mentre lanciava stridule grida di allarme. Tra contadini si diceva che una donna incinta era spesso ‘ncitusa (suscettibile) come ‘na bbiòcca. Dopo circa tre settimane i pulcini nascevano rompendo il guscio dell’uovo sotto l’occhio vigile della covatrice e anche con l’aiuto del suo potente becco. Allora si interveniva mettendo in un’altra ciotola pane bagnato con acqua e qualche goccia di vino oppure semola di grano anch’essa bagnata. Dopo la nascita di tutti i pulcini e dopo che si erano asciugati sotto le capaci ali della genitrice, la chioccia scendeva dalla cesta seguita da tutta la figliolanza. Raggiunta la ciotola col cibo adatto ai piccoli, lo assaggiava invitandoli con un particolare verso a fare altrettanto. E così accadeva quando la chioccia trovava un piccolo insetto o un piccolo seme commestibile, una volta che la contadina aveva messo la nidiata in campo aperto. Molte generazioni di umani sono nate e cresciute in ambienti agricoli a contatto con gli animali e con il loro più breve ciclo di vita e hanno imparato a riconoscere i loro richiami. Tutto questo è in gran parte negato ai bambini di oggi. Si cerca di far vedere e trasmettere qualcosa con le fattorie didattiche, ma per chi ha avuto la fortuna di vivere e crescere insieme a questi fantastici pennuti è ben poca cosa. È come quando in casa dei poveri, tanti anni fa, si diceva: “se state buoni, oggi pomeriggio, mamma vi porta a vedere quelli che mangiano il gelato..” Chi vuol intendere, intenda e prenda i provvedimenti del caso.
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