elevatori su misura
Numero 180 Dicembre 2020
Fisioterapia e Riabilitazione
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Buone Feste e Buona Lettura a tutti.
Letterina a Babbo Natale Caro Babbo Natale,
quando girerai per il cielo sulla tua slitta tirata da renne e poi scenderai nei camini delle case per lasciare nel tuo sacco rigonfio i tuoi doni, leggi, ti prego, questa mia letterina. Non desidero profumi, gioielli, vestiti, cellulari per i grandi, né giocattoli o dolciumi per i piccoli. Voglio la salute, la morte del covid-19 e di altre brutte malattie (sì perché il covid ci ha fatto dimenticare problemi ben più gravi, invalidanti e letali). Voglio la compagnia dei miei cari, voglio i loro abbracci e quello degli amici; le cene e le risate in compagnia; le passeggiate per il centro storico o per i centri commerciali a sbirciare le vetrine e magari a comperare una cosa superflua solo perché mi piace; voglio fermarmi per strada o a chiacchierare a ruota libera del più e del meno, o ad ammirare la mia città, magari denunciandone le carenze. Voglio fare le file ammassati nei negozi o agli sportelli bancari e postali. Voglio che i bambini tornino a tirare a pallone nei campetti esultando per il goal e abbracciandosi felici e orgogliosi. Voglio che tutti gli studenti di qualsiasi età tornino a scuola e lavorino in gruppo e si accavallino sui banchi o sulla cattedra per vedere insieme qualcosa che devono imparare. Poi, all’uscita dalla scuola, si diano pacche sulle spalle e si organizzino per giocare insieme. La scuola è elemento fondamentale non
Loretta SANTINI
solo per l’apprendimento e la conoscenza, ma per la socialità, per imparare a relazionarsi con gli altri, per la formazione della propria identità e la propria crescita intellettuale. Voglio che le piazze si rianimino, che i giovani ricomincino a incontrarsi nei pub a bere e mangiare insieme, accettando volentieri anche con un po’ di schiamazzi per strada fino a tardi; che i fidanzatini camminino abbracciati guardandosi negli occhi e scambiandosi baci. Vorrei che gli anziani si ritrovino sulle panchine dei parchi o alla sperella a godersi il sole o nei centri sociali a farsi compagnia, a giocare a carte e a ricordare il loro passato tra un rimpianto, una nostalgia e un sorriso e i nonni -quelli che sono rimasti separati per le restrizioni- potessero riabbracciare i loro nipotini e coccolarli con dolcezza come solo loro sanno fare viziandoli fino all’inverosimile. Basta con il suono delle ambulanze e le lunghe file davanti al pronto soccorso; basta con il dover sentire ancora il numero di contagiati o di morti e le statistiche spesso impietose che attendiamo con la speranza che quell’indice (R0 o Rt) diminuisca. Basta con le estenuanti polemiche sul vaccino, sulla sua validità, sull’opportunità di farlo e non farlo e anche che si smettesse di straparlare e ergersi a giudici di tutto.
Vorrei soprattutto non vedere la fila dei poveri -e sono sempre di più- a cui viene distribuito un piatto caldo perché non hanno più di che vivere. Vorrei una sanità funzionante e funzionale, organizzata, efficiente, lungimirante e, dunque, capace di affrontare i problemi con tempestività ed energia. Vorrei lasciare la solitudine alle spalle e quel senso di impotenza che ti pervade di fronte alla pandemia. Vorrei togliere la mascherina che non fa vedere il mio sorriso e mi costringe a parlare con gli occhi. Babbo Natale, non lasciare che questo virus ci porti via anche il sorriso. Vorrei dimenticare il 2020, un anno sospeso nella vita di tutti noi, ma poiché non si può, vorrei prendere da esso gli insegnamenti sulla vita, su
ciò che conta veramente a partire dalle piccole cose, sulla solidarietà, sul senso civico, sull’attesa, sulla speranza e anche sulla consapevolezza che eravamo felici e non ci abbiamo fatto caso. La notte dell’ultimo dell’anno, in casa solo con i miei affetti più cari, butterò dalla finestra l’anno vecchio e, nel brindare all’anno nuovo, guarderò il cielo per cercare un segno di un futuro migliore e chissà che non vedrò spuntare un arcobaleno anche di notte! Infine, caro Babbo Natale, lascia in ogni casa questi due bigliettini: Anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza. (Lucio Anneo Seneca) Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole. (Victor Hugo)
Dicembre 2020
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni
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La terra degli umani
L. Santini
G. Raspetti
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Terni, lapag. città dell’oro Assistiamo, tanto per gli aspetti mondiali, quanto nella vita quotidiana, a cambiamenti rapidissimi: chi non ha la capacità di interpretare il cambiamento è destinato alla retroguardia politica, sociale ed economica. Interpretare significa detenere la cultura necessaria per saper vedere, saper leggere dentro (intus legere). Cultura e innovazione saranno allora gli elementi fondamentali cui ricorrere perché ci si possa trasformare in un modello di sviluppo adatto ai tempi. Cultura del passato, delle tradizioni, di quanto è precipuo del nostro territorio, ma anche dimestichezza con l’attualità, caratterizzata dalla rivoluzione digitale. Tutto questo comporta un diverso modo di pensare, di relazionarsi tra persone, ma anche, a ben vedere, l’occasione di una nuova, entusiasmante stagione.
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Skill Mismatch
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Terni, la città dell'oro
A. Melasecche
Nel mondo moderno, in cui le informazioni si diffondono in tempo reale, ogni contrada può divenire uno degli infiniti centri dell’universo di Bruniana memoria. E può, se ha la forza della conoscenza, ma se, soprattutto, ha risorse territoriali eccezionali come abbiamo noi, diventare paradigma di un nuovo modello di sviluppo che sappia collegare le tradizioni con la tecnologia.
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Così deve essere per Terni. Perché la nostra Città dell’oro possa assurgere al ruolo di paradigma di una moderna innovazione, bisognerà partire dalla conoscenza approfondita, non rituale né episodica dell’esistente e su tale conoscenza far leva, con perspicacia. La nostra terra dispone di straordinarie bellezze paesaggistiche, storiche, sacrali, enogastronomiche, ambientali e, poiché per svolgere il proprio lavoro si è ovunque collegati, saprà accogliere e rendere concittadine le tante persone che vorranno abitare una terra come la nostra, luogo sacrale e benedetto.
Terni, la città dell’oro - PARTE PRIMA
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info
Letterina a Babbo Natale
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G. Raspetti
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3. BMP elevatori su misura Terni, la città dell’oro 9. PIERA Salute e Bellezza 10. La Siberia si affida al treno di San Luca F. Patrizi 11. CMT Cooperativa Mobilità Trasporti 12. Chi si ferma è perduto ma perde tutto chi non si ferma mai V. Iacobelli 13. Edilizia COLLEROLLETTA 14. Ma quello non è il fiume Nera! E. Squazzini 15. ARCI 16. Maria Bianchini G-L. Petrucci 17. BIOFONTE 17. Quanno è ttroppu è ttroppu P. Casali 18. Prevenzione e Covid L. Fioriti 18. Baby Blues e depressione post-partum G. Porcaro 19. La robotica nella chirurgia protesica del ginocchio V. Buompadre 19. AUDIBEL Apparecchi acustici 20. Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni 22. Scuola 2020: una generazione abbandonata PL. Seri 23. VILLA SABRINA - residenza protetta 24. Ricordo di Bruno Galigani R. Rinaldi 26. La coperta corta G. Porrazzini 28. Colori d'Autunno 2 M. Coronelli 29. LENERGIA 29. SIPACE Group 30. Il fascino dell'Umbria A. Marinensi 31. EC-comunicazione e marketing 34. Ordine delle professioni infermieristiche di Terni 35. Fantastica Polino R. Venanzi 36. "Un qualche onesto divertimento" M. Plini 38. I parenti che fanno scena V. Grechi 39. RIELLO Vano Giuliano 40. Ottica Mari Abbiamo davanti a noi un grandissimo futuro. Iniziamo a lavorare, tutti, in piena sintonia e concordia.
a cura di Giampiero Raspetti
Oggi La Pagina ha bisogno di collaboratori per la direzione editoriale (3482401774) e di sostegno da chi l’ha sempre letta con piacere e da chi si impegna, non solo a parole, per il futuro di Terni (IBAN IT66X0622014407000000000993). Grazie, Giampiero Raspetti.
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La terra degli umani È impossibile essere giusti, se non si è umani. Luc de Clapiers de Vauvenargues
Giampiero RASPETTI
I messaggi pubblicitari televisivi imperversano, anche all’interno di programmi in apparenza strettamente educativi o intrinsecamente socio-politici. Una marea, tra queste informazioni, riguarda oggetti inediti, robe nuove, marchi diversi, con nomi, italiani o non, di aziende sconosciute, provenienti, in buon numero, da luoghi i più disparati del mondo. Si assiste ad uno sconfinato mutamento, non solo delle modalità di vendita, ma anche della varietà e diversità degli oggetti stessi di cui si propone l’acquisto. Un bersagliamento di avvisi promozionali i più eterogenei: merci, consigli, oggetti, pane, pasta, broccoletti, opportunità, provocazioni, telefonie a bizzeffe, energia elettrica a iosa, sbriga faccende e factotum in aiuto… tutto, sempre, comunque, facente capo al reparto affari. Si assiste ad una moderna riapparizione dei ciarlatani (o cerretani, abitanti di Cerreto di Spoleto, città di provenienza, nel medioevo, dei primi venditori ambulanti) che smerciavano paccottiglie ed elisir di lunga vita. Le considerazioni in merito a quanto detto potrebbero essere molto articolate, ma dato saliente è il coinvolgimento diretto delle persone, prima cinque o sei alla volta davanti alla bancarella, adesso cinque o sei milioni alla volta, in TV o on line. Ci si rende allora conto di come si stia allargando a dismisura il piccolo mondo antico, quello della corte, del paesino... fino ad arrivare, oggi, in un battibaleno, al mondo intero. Ora si fa conoscenza (ci si innamora finanche) di persone non si sa bene chi, non si sa bene da dove che, il più delle volte, nascondono tremendi inganni. Intratteniamo rapporti e relazioni in un villaggio che è sempre più globale (globo significa sfera, non superficie piana, come già scoprì, nel VI secolo dell'era non volgare, Pitagora, coniatore anche della parola cosmos (ordinato, pulito, da cui la parola cosmetica, essere in ordine), tradotta poi dai latini in mundus (pulito). E si corrono anche pericoli non lievi, come quelli di poter essere, in molti, per l’effetto dilagante della sostituzione del banco di vendita dei ciarlatani con la piattaforma mondiale delle comunicazioni, preda passiva di tantissimi cialtroni che colpiscono i citrulli e i meno protetti culturalmente ed intellettivamente. Molti semianalfabeti cronici diventano oggi preda di maniaci ignoranti, servi fedeli del terrapiattismo o del negazionismo (non vi dice niente il negazionismo dell’olocausto?), queste nuovissime infettanti religioni. Gente priva infatti del conforto di studi e di cognizioni scientifiche, oggi sempre più numerosa, abbocca a tutto. Le sciocchezze hanno, come mai prima, autostrade per contagiare con balordaggini che entrano direttamente nel ventre, organo strumentale per quello che loro chiamano pensiero. Fa finta di sapere qualcosa, gente che, alla lettura di una pagina scritta, fosse anche del Corriere dei Piccoli, rimane inebetita e preda istantanea di un fortissimo, esiziale, mal di testa. Le sciocchezze, invece, le digerisce subito, perché stazionano per un solo secondo nello
stomaco, calamitate immediatamente dal vorace ventre. Rimane così avvinta e convinta da questa sua pulsione ottentotta e, pur non sapendo spiegare mezza frase di quello che va cianciando, ne perpetua le affermazioni con brutalità animalesca. Si aggiunga la violenza di chi vorrebbe conservare tutto opponendosi con torva reazione alla evoluzione, alla modernità, alla scienza, all’umanità, alla vita stessa. Vieni poi a scoprire che questi supereroi combattono (in Italia e altrove) l’omofobia, ma sono nascostamente froci; si appellano alla famiglia tradizionale e ne hanno svariate, di famiglie; hanno lottato stressantemente e vilmente contro la possibilità di divorziare e ne hanno poi inanellati almeno una manciata, di divorzi. Io li ricordo i tempi dei referendum, quante infami zozzerie sono state vomitate! Ma è sempre stato così! L’astrologo, analfabeta e ingannatore professionista, simula inventando storie senza senso, ferma ai Caldei l’orologio del mondo e riconduce nella notte dei tempi. L’astronomo invece studia, capisce, si sacrifica, rivela verità assolute, ci conduce inarrestabilmente verso il futuro. Gli idioti possono competere solo con violenza organizzata (quella testa non deve funzionare! vi ricorda qualcosa?), mentre gli scienziati competono tra di loro per il bene e il futuro dell’umanità. Non posso non ricordare, allora, altra antica barbarie: l’efferato assassinio di Giordano Bruno, filosofo e frate domenicano che la santa inquisizione, come punizione al suo diabolico dire, caritatevolmente abbrugiò vivo. Ma solo dopo aver sistemato la sua lingua in giova (mordacchia, cioè chiodo ricurvo ficcato nella lingua per impedire di parlare) ed aver pontificato -con tutta l’ipocrisia che questa specie disumana di bipedi è solita usareche di tale tortura la lingua trarrebbe giovamento. La colpa? Avere, nel suo libro De l’infinito, universo et Mondi affermato, anticipando così di molto le conoscenze per noi ormai usuali, che i mondi siano infiniti e che ogni mondo sia infinito e, in esso, ogni luogo sia centro di tutto, proprio perché infinito. La mancanza di un unico centro, quello creato dall’unico dio, scardinava, questo era il motivo vero, tutto l’ordine di potere temporale imposto violentemente dalla chiesa cattolica e, quindi, minacciava il potere effettivo, unica sua finalità. Sempre falsità, ancora ipocrisie! Oggi molte sono le categorie, o forme del conoscere, dileguate o in procinto di sparire. Il recente eclissarsi di alcuni ordini commerciali, sociali e comunicativi scardina soltanto chi non possiede la capacità di capire e di reagire culturalmente. Si ha una sola via di salvazione, quella del perfezionamento della teoria delle idee espressa da Platone: la classe al governo non sia quella concupiscibile (o ventrale, diremmo noi oggi) degli animali, ma quella razionale degli umani, quella cioè che sappia esprimere scienza e coscienza, cultura e umana solidarietà. Auguri vivissimi.
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ATTENZIONE allo SKILL MISMATCH S
Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it
i tratta di un’espressione mutuata dalla lingua inglese che si riferisce alla differenza tra le competenze effettivamente possedute da una persona e quelle che dovrebbe avere per fare bene il proprio lavoro. Situazione per la quale pare che l’Italia detenga un poco invidiabile primato europeo. Lo skills mismatch è dannoso tanto per le imprese quanto per i lavoratori. Ne esistono di due tipologie. Le persone possono essere più competenti di quello che sarebbe necessario. Questo implica che fanno un lavoro che non le fa sentire realizzate e che quasi sicuramente non le motiva, un lavoro che magari serve a mantenersi, in attesa di riuscire ad approdare a ciò per cui hanno studiato. L’11% dei lavoratori italiani si trova in questa situazione, con un conseguente aggravio di costi lato imprese. Le persone però possono essere anche meno competenti del dovuto. In Italia 6 lavoratori su 100 lo sono: non hanno le competenze per fare ciò che dovrebbero fare, con conseguente perdita di produttività. Considerando che la media OCSE è del 3,80%, che la Germania registra l’1,38%, il Giappone il 3,10% e l’Austria l’1,30%, non ce la passiamo bene. Un fenomeno che a livello globale, secondo il report di Boston Consulting Group “Fixing the Global Skills Mismatch”, riguarda 1,3 miliardi di persone, ed è in costante aumento: nel 2030 gli interessati saranno 1,4 miliardi. Quali sono le cause di questo fenomeno? La ragione principale sembra sia da ricercarsi nel sistema formativo. Il mondo del lavoro si è evoluto rapidamente, ma la formazione è rimasta sostanzialmente ferma al secolo scorso. Ovvero ad un’educazione standardizzata che ha l’obiettivo di formare persone che dovrebbero mantenere lo stesso impiego per tutta la vita. Peccato che non funzioni più così: il continuo aggiornamento tecnologico e le trasformazioni del mercato richiedono pensiero flessibile, apprendimento dinamico e continuo e mobilità. Fino a oggi infatti il capitale umano è stato trattato come un qualcosa di uniforme, invece include diverse realtà, basti solo pensare alle varie generazioni che possiamo rintracciare oggi in uno stesso ufficio: i baby boomers, la Generazione X, i Millennials e la GenZ. Ogni gruppo è portatore di interessi, valori, conoscenze, esperienze
Il mondo del lavoro si è evoluto rapidamente, ma la formazione è rimasta sostanzialmente ferma al secolo scorso.
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e ambizioni diverse. Ad esempio, secondo i sondaggi effettuati, la fascia lavorativa più giovane è disposta a rinunciare al 10% dello stipendio per passare meno tempo in ufficio, e solo per il 36% di loro fare carriera è una priorità. C’è poi da considerare che nel breve volgere di due anni, nel non troppo lontano 2022, il 27% dei lavoratori sarà impiegato in mansioni che ancora non esistono! Alcune competenze tecniche diventano obsolete nell’arco di due-cinque anni, mentre nascono nuove professioni che in breve tempo diventano specialistiche. La soluzione contro lo skill mismatch? Più facile a dirsi che a farsi, dato che richiede un impegno sinergico di istituzioni e privati. Con il sistema scuola che dovrebbe esserne il protagonista principale. Sarebbe necessario fornire, ad esempio, agli studenti competenze generiche, che li preparino a diversi possibili futuri occupazionali, lasciando che siano poi le aziende a fornire loro le eventuali competenze tecniche e specifiche. Libera da questo divario di skill, infatti, l’Italia potrebbe ottenere, si stima, un guadagno del 10% nell’efficienza delle allocazioni e un altrettanto netto miglioramento in termini di produttività, per non parlare della maggiore soddisfazione di tutte le persone coinvolte!
La Siberia si affida al treno di San Luca N
Francesco PATRIZI
egli anni ‘60 in Siberia sorsero dal nulla dei piccoli borghi agricoli in seguito ad un progetto nazionale di ridistribuzione della popolazione. La regione conobbe un boom economico grazie alla ricchezza delle sue risorse naturali, poi seguì un lento declino e nel 1991, quando l’Unione Sovietica crollò, questi villaggi iniziarono a spopolarsi, i giovani se ne andavano e chi restava sopravviveva a stento. Oggi il governo russo fatica a garantire i servizi essenziali ai circa 15.000 residenti che ancora vivono lungo la transiberiana. Ad offrire un minimo di assistenza sanitaria, quattro volte l’anno arriva in ogni sperduto paesino il treno di San Luca. Si tratta di un ambulatorio su rotaia finanziato dal governo, composto da due convogli ospedalieri, con un laboratorio per esami e test clinici e un team di medici volontari che fa diagnosi e distribuisce farmaci. Le visite specialistiche vengono solo prescritte, per farle occorre convincere il paziente ad andare nella capitale della regione, Krasnojarsk, che sia d’inverno che d’estate, tra neve e fango, non è facilmente raggiungibile. Il treno prende il nome da un sacerdote medico che lavorava a Krasnojarsk durante la Seconda Guerra Mondiale e, fino al dicembre 2018, una delle carrozze era allestita per celebrare la messa. Il distretto di Krasnojarsk è stato lo scenario di due recenti catastrofi ambientali. La temperatura, che durante l’anno scende a meno 56°, nell’estate 2019 ha raggiunto 30°, lo scioglimento del permafrost ha favorito l’incendio più vasto mai verificatosi nel Circolo Polare Artico, che ha immesso nell’atmosfera tonnellate di CO2. Di fronte all’inerzia del governo, il ministro delle Risorse Naturali e dell’Ambiente ha dichiarato che “gli incendi sono fenomeni naturali
comuni e combatterli è senza senso, a nessuno viene in mente di affondare un iceberg per rendere più tiepida la temperatura in inverno”. Il secondo disastro ambientale è avvenuto il 29 maggio 2020: un serbatoio della centrale termoelettrica di Norilsk ha riversato circa 20.000 tonnellate di gasolio nel fiume Ambarnaya, tingendolo di rosso. L’incidente ha compromesso l’ecosistema siberiano, già messo a dura prova dal riscaldamento globale. Gli effetti sul mare Artico, secondo gli scienziati, saranno irreversibili. Sono poche le notizie trapelate perché Norilsk, che è una delle città più inquinate del mondo, è anche una delle “cinque città chiuse” della Russia, luoghi inaccessibili che ospitano centri di ricerca strategici. Le patologie registrate in queste zone sono dovute alla spirale autodistruttiva in cui è precipitata la Siberia, l’assistenza medica sarà sempre più urgente e non potrà certo contare solo sul treno di San Luca.
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Viviamo in un mondo che cambia
Ma quello non è il FIUME NERA! C
Enrico SQUAZZINI
i sarà capitato un sacco di volte di gettare uno sguardo veloce, magari di lato, con la coda dell’occhio, alla Cascata delle Marmore. Per noi che ci abitiamo più o meno vicino e ci passiamo davanti piuttosto di frequente, è divenuta una realtà non più insolita. Del resto, l’abbiamo vista mille volte, nei suoi aspetti più svariati: aperta o chiusa. Molti di noi, da ragazzi, sono andati a passeggiare lungo i vasconi, addirittura a farci il bagno in compagnia degli amici nei periodi caldi. Quindi ormai la conosciamo molto bene e la consideriamo un qualcosa di acquisito. Quasi, quasi, forse proprio per i trascorsi fanciulleschi, è come se fosse di famiglia e, oramai, non desta più in noi emozione oltre un certo limite. Inoltre, sappiamo tutto di questa meraviglia, della sua storia…Al tempo dei Romani… ”Vedi?, quello è il Fiume Velino che finisce la sua corsa saltando nel Fiume Nera che passa lì sotto”, diremmo con soddisfatta convinzione ad un amico in visita, o ad un parente, oppure ad un nipote… È proprio vero che, a volte, l’apparenza inganna! Ed è proprio il caso dei rapporti che intercorrono fra i due maggiori fiumi che caratterizzano il nostro territorio; quei due corsi d’acqua che ne costituiscono il principale sistema di drenaggio superficiale: il Sistema NeraVelino. La storia di questi due fiumi è straordinariamente complessa, così come lo sono anche i loro reciproci rapporti che, nel corso del tempo, sono cambiati diverse volte. Ciò che è cambiato di più, per entrambi, è il rapporto che essi hanno instaurato, di volta in volta, con la porzione di territorio in cui le loro acque si sono trovate a scorrere. Cosa significa? Significa che un fiume è un’entità estremamente mutabile sul territorio, si modifica in continuazione cambiando incessantemente il suo percorso. È vero, non si nota. Ma soltanto se valutiamo questa faccenda nell’ambito della nostra immediata quotidianità. In pratica, il comportamento di un fiume è dettato, in buona parte, dalla storia geologica del territorio in cui scorre. In certo qual modo, possiamo dire che un fiume, e anche i suoi affluenti, costituiscono l’espressione in superficie delle modificazioni geologiche a cui un territorio è sottoposto nel corso del tempo. Ne deriva che se vogliamo comprendere e ripercorrere le antiche vicissitudini di un territorio una delle possibilità consiste proprio nel ricostruire la storia del fiume che vi scorre. Credetemi, è un’esperienza assolutamente straordinaria, coinvolgente ed emozionante allo stesso tempo. Così come sono emozionanti i risultati che emergono da questo tipo di studi. Come avevate detto? Il Velino si getta nel Nera? Niente affatto signori! Impariamo a guardare con gli occhi giusti e vi accorgerete che, in realtà, la cosa è più semplice. Le evidenze sono tutte lì, distribuite qua e là sul territorio. Queste testimoniano inconfutabilmente che il Velino transitava lì già da un sacco di tempo prima che il Nera cambiasse strada, da dove era, per andare ad unire le sue acque con questo fiume. Dove avvenne questa unione? Nell’area di fronte alla quale, non da sempre, esiste una cascata, che per formarsi ci ha messo un sacco di tempo. Qui il Velino scorreva tranquillo verso la pianura di Terni. Quindi, se vogliamo essere precisi e scientifici, è il Nera che si getta nel Velino! Questo cambia un bel po’ di cose, a cominciare dalla storia, la parte più antica, della Cascata delle Marmore. Credetemi, non è un attacco di follìa, è una storia complessa, ma di un fascino unico ed incredibile.
Se vogliamo essere precisi e scientifici, è il Nera che si getta nel Velino!
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Grandi musicisti ternani
MARIA BIANCHINI
1835-1910
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Gian-Luca Petrucci
Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma
el vasto e complesso mondo della storia della musica, la figura femminile è stata generalmente inquadrata in una sorta di struttura vincolante che consentiva scarse possibilità di affermazione. Le donne musiciste potevano aspirare ad essere esecutori raffinati, piacevoli conferme di talenti, compositori con un pubblico di affettuosi ammiratori nell’ambito del focolare domestico, ma nulla di più intensamente professionale che potesse far crescere la loro qualità e la quantità del lavoro artistico. Ovviamente ciò non ha impedito che in ogni epoca qualche figura femminile ottenesse in maniera netta e pregnante un successo anche al di fuori dell’affollatissimo segmento riguardante il canto. Un caso straordinario per qualità, successo e capacità d’essere a livello del suo formidabile Maestro, fu rappresentato da Maria Bianchini, allieva di Giulio Briccialdi, il maggior flautista dell’Ottocento. La nobildonna Maria Bianchini, nata a Terni da nobile famiglia, fu una flautista di straordinario valore e ciò è ampiamente dimostrato non solo dalla qualità dei suoi studi flautistici e musicali in genere, ma anche dalla considerazione che raccolse fra i suoi contemporanei. Artisti e virtuosi, come il suo Maestro Giulio Briccialdi o il compositore e grande didatta Giusto Severo Pertinace Dacci, le dedicarono brani di grande complessità, ampiezza e valore che furono pubblicati da editori di prima grandezza, i quali diedero graficamente molta importanza alla dedica, a evidente riprova dell’arte della maggiore donna flautista del secondo Ottocento italiano.
The Illustrated Sporting and Dramatic News - Londra, Marzo 1881
Particolare della Fantasia Fantastica per flauto solo di Maria Bianchini
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Maria Bianchini
Molti lavori, specie di carattere didattico, composti da Maria Bianchini, andarono dispersi fra i suoi numerosi allievi e sono al momento irreperibili e quindi riveste particolare importanza il recente ritrovamento, in una biblioteca musicale privata, del virtuosistico brano per flauto solo, curiosamente intitolato Fantasia fantastica sull’Aria Casta Diva tratta dall’opera Norma di Vincenzo Bellini. Estremamente interessante è la costruzione del brano che prevede la trasposizione della tonalità rispetto all’originale e che conduce il flauto ad una conclusione di notevole difficoltà e virtuosismo, ma che lascia anche trasparire l’aderenza della Bianchini alla concezione flautistica briccialdiana e all’utilizzo del modello di flauto ideato dal suo Maestro che rendeva possibili suoni acuti e sovracuti di grande naturalezza e dolcezza. Sull’onda del suo virtuosismo la celebrità di Maria Bianchini crebbe in maniera costante e la portò a esibirsi nelle maggiori città d’Europa ottenendo il successo destinato all’epoca solo alle cantanti d’opera. A Londra, per via della sua notorietà, un notissimo giornale dedicato agli artisti pubblicò una silhouette della sua elegante figura con la didascalia Happy Flute descrivendo inoltre le perfette esecuzioni ascoltate in concerto. Maria Bianchini suonò fino a tarda età e morì a Vienna dove visse svolgendo apprezzatissimi concerti e un’intensa attività di docente.
Quanno è ttroppu è ttroppu L’andru ggiornu, mentre camminào sulu sulittu, t’ho ‘ncrociatu unu che ‘nnàa cantanno tuttu bbeatu ...giranno pe’ Tterni... se qquante ne vidi... era ‘n amicu miu che ‘n vedéo da parecchiu tembu e... ‘nostante la mascherina pe’ lu còvidde ce semo ‘rcunusciuti e io stannoje lontanu ‘na metrata... Ciao bbardasciu... chi ss’arvéde?... e issu... Finacché ciarvedémo è ssignu bbonu!... Come fai a èsse ccucì ‘llegru... e ppo’ ammàppete come te manténi bbene!... Ma no’ lo sai che lo sconténtu fa male a lo sangue... la saluta quann’e cce l’hai tòcca tenella a ccuntu!... Io so’ che anni e mmalanni no’ mmàncono mai... ma a tte mesà che tte fa bbene l’arte de Michelacciu... magnà bée e ji a spassu... Ma che stai a ddi’... ‘ntantu déi sape’ che la sera magno pocu e la madìna me arzo mejo... ppo’ annànno a ddurmi’ a bbonora manno lu medicu ‘n malora... ammàppete come ce téni a la saluta?... e mmo’ che stai a ffa’ qqui la Passeggiata?... e ttu?... io gnènte... stò a rrispira’ ‘n bo’ de aria bbòna... anch’io!... e
‘n quisti momenti critici che andru fai pe’ sta’ ccucì bbene?... e mmo’ bbasta che mme porti jella... magno ‘n saccu de aju e dde cipolla... perché so’ ‘na manosanta pe’ ttuttu e ccucì co’ ll’alitu che m’aritrovo, non me déo prioccupa’ de tené lontanu li cristiani... ce penzono issi da suli... e cche andru fai?... soprattutto me faccio sempre l’affari mii... ccucì campo cent’anni... ‘mpara ‘n bo’ a ffalli ‘nchi tu!? Ccevedémooo... Terni mia, non sì più ttu, non sì più ttu...
Paolo CASALI
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L’emergenza Covid ha sconvolto le nostre abitudini, anche quelle di prevenzione. E proprio mentre ospedali e centri si stavano sforzando di trovare il modo per recuperare il tempo perso, la pandemia torna a rialzare la testa. La diagnosi precoce del tumore alla mammella è un vero salvavita: chi sopravvive alla diagnosi lo deve in massima parte al fatto che il tumore viene scoperto quando le sue dimensioni sono minime ed è più probabile riuscire a sconfiggerlo. Molte donne durante il lock down hanno rinunciato alle visite senologiche, alle mammografie, alle visite di controllo.
ensare p i d lo a g e r atevi il Per Natale f salute e di tornare alla vostra stro seno. o v il e r a ll o r t a con Direttore Sanitario
Dott.ssa Lorella
Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
Baby Blues e Depressione Post-partum La nascita di un bambino è sempre un momento magico per una mamma. Dopo un’attesa di nove mesi puoi finalmente abbracciare il bambino che hai cresciuto dentro di te. È arrivato il momento di fare la mamma a tempo pieno e poter dedicare tutte le tue attenzioni al neonato. Un turbinio di emozioni che da momenti di estrema gioia può condurre a momenti di ansia, pianto e rabbia, fino alla depressione. Dopo il parto, fino all’80% delle neomamme soffre di una lieve forma di tristezza, chiamata “baby blues”, che si presenta dopo 3-4 giorni dal parto e dura circa una settimana. Durante questo periodo si può soffrire di sbalzi d’umore, facilità al pianto, difficoltà di concentrazione e di memoria, ansia, irritabilità. Nella maggior parte dei casi, si tratta di un momento transitorio dovuto ad una reazione fisiologica, in seguito al drastico cambiamento ormonale dovuto al parto. Tuttavia, in alcune donne persiste e si trasforma in una vera e propria depressione. Quest’ultima colpisce il 7-12% delle neomamme e si presenta generalmente tra la 6° e la 12° settimana dopo la nascita del bambino. I sintomi sono sempre quelli del Baby blues, ma di durata e intensità
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decisamente maggiore, accompagnati anche da un senso di vuoto, inadeguatezza e mancanza di autostima che fanno sì che la neomamma non si senta pronta per accudire il bambino. La depressione post-partum si considera una vera e propria patologia e non va sottovalutata. Quando i sintomi persistono molte mamme provano una sensazione di disagio e vergogna ad aprirsi per affrontare il problema semplicemente parlandone, preferendo quindi nasconderlo. È proprio questo l’atteggiamento che si dovrebbe evitare per cercare di prevenire conseguenze peggiori e non rimanere da sole in un momento simile. Se il problema viene trascurato può incidere negativamente non solo sulla vita della mamma, ma anche sulla relazione con il bambino, con il partner e altri familiari. Non appena si avvertono i sintomi è bene consultare uno specialista. Un supporto psicologico da parte dei familiari accompagnato da quello di un esperto farà in modo di affrontare nel migliore dei modi la situazione.
DR.SSA GIUSI PORCARO
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Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
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LA ROBOTICA NELLA CHIRURGIA PROTESICA DEL GINOCCHIO
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e protesi al ginocchio (PTG) sono, tra le procedure ortopediche, quelle più frequentemente eseguite ed è previsto un loro progressivo incremento. Al contempo, però, circa un 20% dei pazienti sottoposti a PTG non è soddisfatto del risultato. Le ragioni non sono spesso note, ma sicuramente, ottenere un buon allineamento dell'impianto protesico con ripristino dell'asse meccanico dell’arto inferiore, contribuisce ad una maggior durata dell’impianto ed ad un miglior risultato. Da oltre dieci anni si è andato diffondendo l'utilizzo della chirurgia computer assistita (robotica) nella chirurgia protesica. Relativamente all’impianto di protesi totale del ginocchio, il robot permette di non aprire il canale midollare femorale riducendo il rischio di embolia gassosa e permette anche di effettuare delle resezioni ossee del femore e della tibia più precise e di ottenere un asse meccanico post-operatorio più accurato. Il robot è di supporto al chirurgo, ma non lo sostituisce. Da alcuni mesi, presso la clinica San Giuseppe di Arezzo dove opero, si è iniziato ad utilizzare un robot per supporto chirurgico all’impianto delle protesi totali di ginocchio.
Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport
- Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri
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AZIENDA OSPEDALIERA S
CAVALCARE LE ONDE DELLA PANDEMIA Consigli psicologici dettati dall’esperienza della Psicologia Ospedaliera dell’Ospedale di Terni
Dott. David LAZZARI Direttore presso UOC Psicologia Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni
Come psicologi ospedalieri assistiamo quotidianamente persone la cui vita viene travolta da eventi inattesi: diagnosi di malattie importanti, incidenti, ricoveri improvvisi, interventi chirurgici in urgenza. L’irrompere del COVID-19 nelle nostre vite, a marzo 2020, ha prodotto un iniziale stato di shock psicologico, di negazione, angoscia, cui abbiamo saputo adattarci con una resilienza che ha riempito tutti di orgoglio. Un po’ come quello che vediamo nelle situazioni di malattia acuta, cui segue una guarigione. La seconda ondata, però, assomiglia di più ad una lungo degenza, in cui non basta stringere i denti, affidarsi all’aiuto dei professionisti, degli esperti. Diventa necessario riorganizzare la nostra vita per un tempo variabile, rinunciare ad alcune abitudini per noi molto importanti ed acquisirne di nuove, talvolta molto ingombranti. Stimola rabbia, frustrazione, diffidenza, paura per il futuro. Ci fa sentire tutta l’importanza della relazione con gli
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altri ma, al contempo, ci lascia soli ed a diretto contatto con le nostre fragilità ... e tutto questo alla vigilia di Festività molto importanti per le nostre tradizioni familiari e culturali. Allora ... tre consigli ... che non provengono dai manuali, ma dall’esperienza clinica ed umana di psicologi ospedalieri che, anche in questo frangente, assistono i nostri pazienti Covid e non-Covid per mantenere alta la fiducia, l’adattabilità, la forza interiore. 1) Costruisci la tua “base sicura”. Fermati un attimo ... proprio ora ... rallenta questa lettura ed identifica quell’ambiente, quel momento della tua giornata o quell’attività che ti fa sentire tranquillo, al sicuro, che ti permette di scaricare le tensioni accumulate. Tanto più è dura la tua giornata, tanto più concediti e proteggi questi momenti. Stacca da tutto il resto. Condividili con le persone che sanno rispettarne il valore. 2) Coltiva le “buone abitudini”. Proteggi la tua salute psicofisica e quella dei tuoi cari. Benché molto “sofisticati”, siamo animali ... e come tutti gli animali abbiamo bisogno di essere fisicamente attivi. Quindi è utile fare attività fisica in modo regolare. Inoltre siamo animali sociali ... ed abbiamo bisogno di relazioni interpersonali. Oggi possiamo mantenere contatti anche a distanza (e per alcuni è l’unica possibilità), ma hai chiesto a chi vive con te come si sente in questi giorni? Glielo hai raccontato a tua volta? Nella relazione con i figli, in tempi di clausura forzata, rispolvera i vecchi giochi da tavola, le carte, i “lavoretti”, il leggere insieme a voce alta ... proponigli con convinzione tutto ciò che ha innanzi tutto per te il sapore delle Feste di quando eri piccolo.
3) Cerca il tuo “buon maestro”. Nei prossimi giorni dovremo superare altri momenti difficili, stare lontani da molti nostri affetti, vivere anche le feste in maniera diversa dal passato. Non sarà così per sempre! Ma questo richiede un gran senso di responsabilità, di altruismo verso le persone più fragili che proteggiamo con il nostro sacrificio ... il nostro senso di responsabilità. Le regole di comportamento che ci hanno prescritto sono importanti ... e lavorando in ospedale lo costatiamo ogni giorno ... ma parlano alla nostra parte razionale ... i buoni esempi che appartengono alla nostra storia vissuta muovono anche la nostra parte emotiva
SANTA MARIA DI TERNI ... quella che fa le scelte in situazioni stressanti ... perciò fermati un attimo ... torna indietro con la memoria ... cerca quella persona che ti ha mostrato con l’esempio come si affrontano le difficoltà della vita, le deprivazioni, i momenti difficili ... è lei che ti indica cosa fare oggi e per chi o per quale motivo farlo. Nell’attesa di un futuro migliore ... è il presente che possiamo migliorare. L’intervento psicologico per la pandemia Covid 19 viaggia su due grandi temi e progetti: l’intervento sui pazienti e familiari e quello sul personale sanitario. Questa seconda ondata, seppur attesa, è stata comunque caratterizzata da peculiarità diverse, soprattutto in relazione al vissuto degli operatori sanitari. Il grande riconoscimento che appellava come “eroi” medici, ma soprattutto infermieri, si è tramutata in un vissuto fortemente ambivalente. Il cambiamento di clima sociale e un maggiore viraggio dell’opinione pubblica su un versante scettico e negazionista ha visto trasformare il ruolo dei sanitari in coloro che ribadiscono la presenza e la pericolosità di un virus troppo spesso
messo in discussione. A questo si aggiunge ovviamente la fatica accumulata nei mesi precedenti. Si è notato pertanto un bisogno degli operatori di rivedere il proprio ruolo professionale anche attraverso il lavoro psicologico. Da settembre 2020 si è registrato un aumento significativo di operatori sanitari che hanno fatto richiesta di intraprendere un percorso di psicoterapia finalizzato proprio all’elaborazione dello stress lavoro correlato. L’intervento psicologico strutturato per gli operatori, già realizzato fino a luglio 2020, è stato pertanto riattivato, anche in questo caso con modalità e tempi diversi. Dal mese di novembre, infatti, sono stati riattivati i gruppi per la “Gestione dello Stress Acuto in Emergenza e prevenzione dei Disturbi Post Traumatici da Stress”. Quattro i reparti interessati: Clinica di Malattie Infettive, Pronto Soccorso, Rianimazione, Aree Covid 1, 2 e 3. L’intervento è rivolto a tutti gli operatori che si trovano ad affrontare l’emergenza in prima linea. L’obiettivo è metabolizzare il carico di stress psicologico lavoro correlato e le
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situazioni potenzialmente traumatiche che rischiano di trasformarsi in Sindrome da Stress Post Traumatico in questa fase dell’emergenza. L’intervento si sviluppa in incontri settimanali senza necessità di prenotazione, nell’orario coincidente con la fine del turno di notte (7,30) e primo turno (14,30) Perché intervenire a fine turno? L’incontro utilizza tecniche di rilassamento, respirazione guidata, ascolto e scarico delle tensioni fisiche ed emotive. Si utilizza cioè una serie di strumenti che permettono il defusing e debriefing ovvero la possibilità di scaricare, subito dopo il turno di lavoro, emozioni negative e tensioni per poter riprendere più serenamente la propria vita e tornare al lavoro con maggiore energia. L’EMDR è la cornice di riferimento teorica anche in questo caso, quale strumento privilegiato e di eccellenza nella gestione dello stress in emergenza. Il Numero di Supporto Psicologico per l’Emergenza Covid 0744 205968 è sempre rimasto attivo. Con orario 8.00/14.00 dal lunedì al venerdì e martedì e giovedì fino alle 17.00 si può contattare uno psicologo per richiedere un supporto telefonico, in videochiamata o prenotare un appuntamento presso il Servizio di Psicologia.
Responsabile Dott. David Lazzari Psicologo Dirigente Dott. Stefano Bartoli Psicologa Dirigente Dott.ssa Roberta Deciantis Psicologa Borsista (Aucc) Dott.ssa Barbara Broccucci Psicologa Borsista Dott.ssa Silvia Leonardelli Psicologa a contratto Covid Dott.ssa Sara Meloni Psicologa a contratto Covid Dott.ssa Silvia Petrini Personale di supporto Bruna Cordiani
Il supporto psicologico telefonico prosegue anche per tutti i pazienti ricoverati in condizione di poter sostenere un colloquio e ai familiari dei pazienti ricoverati presso le terapie intensive. L’obiettivo è garantire una psicoterapia durante la degenza e metabolizzare il vissuto psicologico correlato. In questa seconda ondata il Servizio ha erogato una media di 400 prestazioni settimanali nei confronti di pazienti e familiari.
Servizio fotografico A. Mirimao - Gennaio 2020
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SCUOLA 2020:
una generazione abbandonata
I Pierluigi SERI
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l 20 novembre è stata celebrata la Giornata Internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza. Tutte le autorità politiche e non solo, sono state concordi almeno su un punto: il costo enorme che stanno pagando bambine/i e adolescenti a causa delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia. Tuttavia tali costi continuano a non essere all’ordine del giorno. La classe politica, di governo e non, salvo soliite dichiarazioni astratte, è tutta preoccupata di altre priorità. Indubbiamente i posti di lavoro, le imprese, le attività commerciali, tasse, Iva ecc. sono importantissimi. Non si può però non notare che ci si preoccupi più del recupero della situazione passata che a creare le premesse per un futuro alle nuove generazioni. La controprova è l’assenza della scuola tra le attività e i luoghi della cui riapertura si sta discutendo. Ci si preoccupa marginalmente degli studenti di ogni ordine e grado come soggetti aventi diritto a un risarcimento, anche se non economico, di ciò che hanno perso e stanno perdendo a causa di una scuola a scartamento ridotto e a ritmi intermittenti e per quelli degli istituti secondari solo virtuale. Si sta discutendo come allentare le maglie delle restrizioni per favorire gli acquisti di Natale e la riapertura della stagione sciistica, ma sulla scuola ancora oggi tutto tace! Forse qualche spiraglio ci sarà quando a dicembre uscirà questo articolo. Per ora specie gli istituti superiori sono a didattica a distanza senza alcuna distinzione tra zone rosse, arancioni e gialle. Un fatto è indubbio: col virus dovremo convivere ancora a lungo, nonostante la promessa di vaccini salvifici! L’assenza di una riapertura delle scuole come tema urgente e la mancanza di iniziative per renderla possibile risulta un po' scandalosa. Come nei mesi del lockdown passato gli studenti dai sei ai diciotto anni sono pedine sacrificabili, sacrificabilissime! Chiunque abbia figli o nipoti come lo scrivente che, tra le altre cose, ha insegnato 32 anni nelle scuole superiori, sa bene che il perdurare di tale situazione sta erodendo fiducia e motivazioni, oltre ad aumentare le disuguaglianze tra chi ha un contesto familiare favorevole e chi ne è privo. La didattica a distanza non potrà mai sostituire il contatto umano con l’insegnante e con i compagni. Manca quell’incontro-scontro tra le varie componenti la classe che, per paradossale che sia, ha anche la sua valenza didattica. Le classi invece si sfaldano e molti ragazzi, specie in contesti socio-familiari deboli, stanno attuando un silenzioso e strisciante processo di abbandono. La fiducia con cui molti erano tornati a scuola è stata resa vana più che dalla pandemia,
dalla disattenzione con cui è stata realizzata la riapertura, sebbene presidi, insegnanti e bidelli abbiano profuso molte energie per organizzare spazi, arredi, distanziamento, modalità di entrata e di uscita. Il problema non sono solo spazi e banchi. La lunga chiusura primaverile ed estiva non è stata sfruttata per affrontare la questione degli insegnanti, inclusa la disponibilità dei supplenti e soprattutto il problema dei trasporti. Problema assai spinoso specie nelle grandi città e non solo. Infatti l’affollamento e la promiscuità su tali mezzi rende vani tutti gli sforzi fatti dal personale docente e non docente per assicurare il distanziamento sociale all’interno degli istituti. Si tratta di due questioni di vitale importanza che, se non urgentemente affrontate, continueranno a condizionare, se non addirittura ad impedire, una eventuale riapertura della didattica in presenza. Era prevedibile che la disponibilità di supplenti o di un organico maggiore fosse essenziale in una situazione di pandemia in cui gli insegnanti sono soggetti ad ammalarsi o a stare in quarantena per periodi più o meno lunghi, lasciando scoperte le loro classi. Di conseguenza, molte classi rimangono senza insegnante per settimane oppure sottoposte ad un cambiamento continuo di insegnanti, utilizzando quelli di altre classi che completano il loro orario con qualche ora di supplenza. Tale problema si aggrava nelle medie superiori, nelle zone rosse, dove la didattica è tutta a distanza e le supplenze non sono previste o difficilmente praticabili in modo didatticamente proficuo. Circa il problema spinoso dei trasporti se ne è parlato nei vari tg in modo distratto e superficiale. Non si è sentito più parlare della riorganizzazione di orari e trasporti per evitare l’affollamento durante le ore di punta. Non vi è alcuna garanzia di un tracciamento efficace dei contagi. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di coinvolgere i privati o le ditte che lavoravano con i bus turistici rimaste senza clienti dopo i vari lockdown per far fronte alla mancanza di mezzi pubblici, spesso obsoleti e inefficienti, ma nulla si è fatto all’infuori delle vuote chiacchiere o indignazioni di circostanza nei vari talk show che pullulano nei canali pubblici o privati. Occorre che si dica subito e con chiarezza se si vuole riaprire le scuole dopo Natale e come si intende procedere insieme a Regioni, Comuni, Istituti scolastici, ciascuno nell’ambito delle sue responsabilità, impedendo così che si perda un altro anno di scuola al di là dei soliti vuoti quanto inutili proclami. Un caro saluto a tutti i lettori
SAN TOMMASO Esempi eccezionali che la nostra città offre e che restano inosservati ai più, se non a tutti o quasi. Il campanile di San Tommaso padre, madre e figlia. In realtà trattasi di un brano di spiccato con torre mozza a quattro lati “IL PADRE” esempio di una prima realizzazione interrotta o non sappiamo se demolita e di una sopraelevazione rara, dapprima un normale campanile a vela a due fornici; “LA MADRE” al quale ad angolo è stato aggiunto un secondo piccolo campaniletto ad un solo fornice, sempre a vela: LA FIGLIA. In basso, invece, lungo la parete maggiore, troviamo una moderna fontanella, così moderna che non ha mai funzionato. Opere barbariche di moderni barbari.
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RICORDO di BRUNO GALIGANI di Renato Rinaldi Ricorre, in questi giorni il terzo anniversario della morte di Bruno Galigani. Me ne sono ricordato proprio stamane, mentre, come faccio tutti i giorni, percorrevo il viale dello Stadio. Ecco -ho pensato tra me-: non è vero che i quartieri di Terni, sorti dopo la guerra, siano tutti brutti e venuti su all’insegna della speculazione edilizia: ci sono anche delle cose belle, come, appunto, la zona compresa tra lo stadio e Viale di Porta Sant’Angelo. E proprio mentre facevo queste riflessioni, mi è tornato in mente Bruno Galigani, l’uomo alla cui attività di pubblico amministratore sono legate tante realizzazioni, specie in campo urbanistico. Ricostruzione, piano regolatore generale, piani particolareggiati, costruzione del nuovo stadio, sistemazione viaria della zona a sud-ovest della città e via elencando. Sono tappe fondamentali della trasformazione e dello sviluppo di Terni, che portano la firma di Bruno Galigani. Amministratore fortemente impegnato (per decenni ha ricoperto le cariche di vice sindaco e di assessore ai lavori pubblici) aveva come pochi altri il senso della realtà e la capacità di saper collocare i problemi nella loro giusta dimensione. Ricordo che, durante l’elaborazione del piano regolatore, più di una volta ebbe ad assumere atteggiamenti decisamente critici nei confronti dell’architetto Ridolfi: Galigani infatti non credeva nella Terni di oltre 200 mila abitanti ipotizzata dall’illustre urbanista e riteneva fantasiose e velleitarie certe previsioni che molti di noi (compreso chi scrive queste note di ricordo) davamo come scontate. E i fatti gli hanno dato ragione. Tanto è vero che il piano Ridolfi è stato sottoposto a una profonda revisione, proprio nel senso allora indicato da Galigani. Amministratore impegnato, dunque; e vorrei aggiungere che,
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alla base di quell’ìmpegno, c’era la passione e l’amore che Galigani aveva per Terni. Un amore che era la ragione stessa della sua azione politica, la molla segreta della sua infaticabile attività. Ricordo che in consiglio comunale i suoi interventi non erano mai ispirati a calcoli di tornaconto politico, ma unicamente all’interesse e al bene della città. Un altro aspetto dell’attività di Galigani che mi piace ricordare è la cura che, come assessore ai lavori pubblici, pose nel dotare di verde le zone della città che andavano sorgendo. E questo in un’epoca in cui i problemi ecologici non avevano assunto l’importanza di oggi. Lo ricordo, una sera di tanti anni fa, quando, nel corso di una semplicissima cerimonia -secondo lo stile di allora- si inaugurava la sistemazione a verde di Piazza Dalmazia e di Via Oberdan: guardava con compiacimento gli alberelli appena mesti a dimora, e sembrava pregustare l’aspetto che quegli spazi urbani avrebbero assunto dopo alcuni anni, quando quegli alberi sarebbero cresciuti. E un’altra cosa, infine, vorrei ricordare dell’amico scomparso: la bontà d’animo, la generosità, la lealtà: era impossibile vedere in lui l’avversario politico perché in realtà era soltanto un amico. A questo punto mi sia lecito formulare una proposta: quella cioè di intitolare a Bruno Galigani una strada della città. È una proposta che mi permetto rivolgere agli uomini che risulteranno eletti nella consultazione di domenica prossima. Non dimenticare e onorare chi ha operato per il pubblico bene, è un dovere civile: una testimonianza, oltre tutto, di quella continuità ideale che si deve stabilire tra le generazioni che si avvicendano.
Fu un grande precursore del verde pubblico, in un certo senso fu un uomo del futuro. Nell’augurare che il futuro verde qui evocato sia tale anche per la cittadinanza tutta, affermo che tale futuro vive già nella mente e negli scritti di un folto gruppo di amanti della città, studiosi della sua storia e interpreti delle sue vocazioni che, nel libro appena dato alle stampe, Terni, la città dell’oro, disegnano, presentandola alla pubblica riflessione, la città futura da loro sognata. Ebbene, tale città corrisponde esattamente alla Città verde, o meglio dell’oro verde, di Bruno Galigani, il quale, così come è stato uno dei pilastri della Terni della ricostruzione e dello sviluppo, si appresta a ridiventare uno dei numi tutelari della Terni che sarà. La città ti ringrazia ancora, Bruno. Giampiero Raspetti
Bruno GALIGANI classe 1909 era mio nonno
Bruno GALIGANI
Ogni qualvolta mi si chiede di parlare o scrivere della sua persona, mi si apre il cuore e la memoria viaggia a ritroso attraverso i tanti ricordi di nipote e le innumerevoli testimonianze ascoltate nel corso degli anni, da parte di coloro che lo conobbero e lo amarono profondamente quando egli era in vita. Bruno Galigani, mio nonno, era un uomo dalla forte carica umana e dalla generosità sconfinata. Aveva sempre una parola buona per chi ne avesse bisogno, la sua casa era sempre aperta a tutti. Era un socialista d’altri tempi, lontanissimo dalle brutture degli anni craxiani. Politicamente sostenitore delle Giunte comunali in tutte le attività, il suo nome è legato alla costituzione dell’Azienda Servizi Municipalizzati e fu uno dei protagonisti a sostegno degli operai della acciaieria negli anni 1952-53 durante le lotte contro gli storici licenziamenti. Durante la sua attività di assessore si aprirono grandi arterie viabili come Ponte Allende, Via Alfonsine, Via Aleardi. Amava immensamente la natura, gli alberi, i fiori. Fu un grande precursore del verde pubblico. In un certo senso fu un uomo del futuro.
Negli anni ’70 la sua intelligenza politica e la sua sconfinata passione, lo spinsero ad operare alla rivalutazione dei polmoni verdi di Terni. La cura e il riordino dei giardini della Passeggiata, le grandi strade alberate come via Leopardi, viale dello Stadio, via Borsi. E poi certamente il suo capolavoro: i tre ettari e mezzo del Parco di Cardeto, aperto nell’estate del 1974, senza alcuna inaugurazione, ma dato direttamente in uso ai cittadini ternani, con i primi campi di tennis pubblici della città. Creò una struttura dedicata esclusivamente alla manutenzione dei parchi e del verde. Ogni anno, mi raccontava Mauro Perissinotto suo braccio destro, gli chiedeva: “Mauro, quanti alberi abbiamo piantato l’anno scorso?”, Perissinotto rispondeva -un centinaio- e nonno Bruno replicava: “Bene, allora questo anno ne pianteremo duecento”. Tutti noi oggi ancora viviamo della sua eredità. La più bella pianta di leccio che io abbia mai visto, esattamente quella che si trova alla sinistra guardando il busto di Cornelio Tacito all’inizio di Corso del Popolo, invece di essere abbattuta durante il riordino della Passeggiata, fu, dietro sua volontà, trapiantata e trasferita esattamente dove noi oggi la vediamo e, a distanza di cinquant’anni, ne apprezziamo la magnificenza. Noi nipoti lo adoravamo. Non dimenticherò mai la gioia di ogni Natale, quando la sua casa diventava una sorta di accampamento, perché ci voleva tutti insieme, uniti intorno alla stessa tavola. Quella casa si trasformava in un mondo caotico, di crescita, condito da un’atmosfera densa di magia, fatto di persone allegre
e sorridenti che, insieme ai tanti amici, rendevano quel posto un luogo speciale per tutti noi bambini. In tutto questo non posso dimenticare nonna Elide, figura fondamentale nella vita di nonno Bruno. Elide fu una moglie ideale. Una donna forte, determinata, dolce, ma con carattere. Gli fu sempre al fianco, sia nei momenti belli, quando nonno era un politico apprezzato anche livello nazionale, che nei momenti più brutti della sfibrante malattia che lo portò ad una prematura scomparsa a soli 72 anni. Scomparsa. Credo che scomparsa, sia la parola corretta. Non morte, ma scomparsa. Lui non c’è più da quasi quaranta anni, ma in verità, egli, nella mia vita, è sempre presente. Non tanto perché porto il suo nome, quanto perché le sue opere e la sua figura di uomo e politico sono ricordate ancora oggi, in questi tempi così difficili e per certi versi incomprensibili. Egli è sempre qui. Bello poter dire che mai mi è pesato il suo nome sulle spalle. Questo perché nella sua vita, nonno Bruno, lottò sempre per alti ideali, per le sue idee nel modo di gestire la politica e mai si piegò mettendosi in disparte. Affrontò sempre a viso aperto tutti i suoi avversari con lealtà e rispetto; la sua figura giganteggia ancora oggi. Bruno Galigani classe 1909, era mio nonno. Io, suo nipote, sono orgoglioso di portare il suo stesso nome.
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LA COPERTA CORTA L
Giacomo PORRAZZINI
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’epidemia da COVID si è diffusa in tutto il mondo ed ha colpito, indifferentemente, paesi poveri e paesi ricchi, persone benestanti, vecchi e nuovi poveri, fra i quali ceto medio che ha perso, in questi mesi, lavoro, piccola intrapresa e speranze di futuro. Sembrerebbe, a prima vista, un virus egualitario, ma, a guardar meglio non è così. Recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia, nelle banlieu parigine, evidenziano che le persone più fragili, economicamente e socialmente, sono risultate le più esposte al contagio, alla malattia grave ed alla morte. I gruppi più colpiti sono infatti le minoranze linguistiche ed etniche che vivono nelle periferie o nei centri degradati, in case piccole, sovraffollate e malsane. I colpi subiti non sono solo di carattere sanitario, ma di pesante aggravamento della condizione economica. Parliamo, infatti, di ceti che vivono ai margini della società più affluente e che sopravvivono, spesso, grazie alle briciole che quest’ultima fa cadere dalla sua tavola imbandita, soprattutto dove non esistono o non funzionano sistemi efficienti di Welfare. Se quella tavola, con il blocco delle attività, resta senza vivande e commensali, anche le briciole non cadono più. A questi soggetti tradizionalmente deboli e deprivati si sono aggiunti, con la pandemia e le misure adottate per contrastarla, nuovi gruppi sociali, di lavoro autonomo o precario, precipitati improvvisamente nel pozzo dell’indigenza. Anche a Terni, già nel corso della prima ondata, le benemerite ed ammirevoli Organizzazioni del volontariato sociale, che si sono prodigate nel soccorso ai poveri, hanno potuto osservare l’entità e la gravità di questo fenomeno di impoverimento improvviso che i ristori governativi hanno potuto solo attenuare un poco, ma non eliminare. I racconti di ciò che è accaduto alla mensa Caritas di S.Martino ne sono la testimonianza più fedele; interi nuclei familiari mai visti prima che, per sfamarsi, chiedono aiuto a quel presidio di umanità e di solidarietà straordinario. Il virus e le sue conseguenze, dunque, colpiscono i più fragili ed aggravano le già intellorabili disuguaglianze sociali che c’erano prima del COVID. Qualcosa di simile sta accadendo, nel mondo, anche, per gli effetti sociali della crisi climatica, con lo stravolgimento dei suoi equilibri, soprattutto in alcune aree del mondo più esposte alla siccità ed alla desertificazione, alle alluvioni disastrose, all’innalzamento dei mari lungo le coste e sulle terre basse. Ormai i migranti ambientali sono milioni e superano quelli che debbono lasciare la loro terra per guerre o persecuzioni. Questà è una delle prove più dolorose che testimoniano che il clima “è già cambiato”; non possiamo parlare più di un pericolo ma di una realtà in atto, di una emergenza che è
già tra noi ed incide sulle nostre vite. Gli effetti dei cambiamenti climatici stanno, infatti, accelerando in frequenza ed intensità, anche nel nostro paese. I dati sono inequivocabili in termini di crescita delle temperature medie globali, della concentrazione della CO2, dei fenomeni meteorologici estremi. Abbiamo avuto un Settembre 2020 come il mese più caldo mai registrato. E non è un caso isolato. Anche in Italia, negli ultimi dieci anni, abbiamo subito ondate di calore, bombe d’acqua e alluvioni, trombe d’aria, siccità, incendi, riduzioni dei ghiacciai, erosione delle coste. Se il clima cambia, dovunque, i suoi effetti non sono uguali per tutti. La crisi climatica colpisce tutti, ma non tutti allo stesso modo. Proprio come il Covid-19, mostrando, anche per tale aspetto, l’intreccio che c’è fra insorgenza e diffusione delle pandemie, rottura degli equlibri climatici ed alterazione degli ecosistemi; infatti, gli impatti maggiori sono nei Paesi più poveri del pianeta e tra le fasce più vulnerabili dei Paesi ricchi. Per questi popoli e gruppi sociali la coperta, per ripararsi, si fa
sempre più corta. L’interdipendenza tra i processi climatici e socio-economici richiederebbe una strategia unica di risposta: quella tracciata dall’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. Se si confrontano, infatti, i dati sulla crescita economica con l’andamento delle temperature nel mondo, tra il 1961 e il 2010, è risultato che tra i Paesi più poveri il Pil pro capite si è ridotto tra il 17% e il 31% per effetto del riscaldamento globale. Se, poi, si dividono tutti i Paesi in dieci gruppi in base alla ricchezza, si rileva che tra il primo e l’ultimo gruppo il divario economico oggi è del 25% maggiore di quello che ci sarebbe stato in assenza del riscaldamento globale. Per questo, l’Onu denuncia l’insorgere di un “apartheid climatico” nei confronti dei Paesi più poveri perché la disuguaglianza sociale è destinata ad aumentare assieme alle temperature: “La crisi ambientale potrebbe portare a oltre 120 milioni di indigenti in più entro il 2030 e avere l’impatto più grave nei Paesi più poveri”. Questi dati sono tratti da un
rapporto di Legambiente che descrive, sia la situazione internazionale, sia gli impatti sulla realtà sociale di casa nostra. L’incremento, ad esempio, di eventi climatici estremi in cui si combinano umidità e calore, raddoppiati tra il 1979 e il 2017, ha provocato gravi ripercussioni sulla salute umana. Secondo le più recenti statistiche sanitarie, tra il 2005 e il 2016, in sole 27 città italiane, si possono attribuire alle ondate di calore 23.880 morti, riconducibili soprattutto a problemi respiratori e cardiovascolari. Ma non deve essere sottovalutato l’impatto sui più piccoli: si registra un netto incremento di ricoveri per cause respiratorie nei bambini 0-4 anni in relazione ad aumenti di 4°C della temperatura. L’impatto è maggiore sulle fasce di popolazione più povere che non dispongono di sistemi di raffrescamento. Un effetto del fenomeno della povertà energetica che in Italia riguarda oltre 4 milioni di famiglie, che non dispongono delle risorse economiche per scaldarsi d’inverno e per contrastare le ondate di calore estive. Il rapporto evidenzia, anche come le spese pubbliche
per la riparazione dei danni ambientali e sociali superi di quatto volte la spesa per la prevenzione. Ma è sulle fasce più fragili che si scarica la mancata prevenzione sanitaria ed ambientale. Il fenomeno del mutamento climatico, dovuto soprattutto all’aumemto di temperatura del Pianeta, è già così avanzato che non bastano le pur indispensabili misure di contrasto, ma servono, ormai, anche Piani di adattamento, per la mitigazione degli effetti di equilibri compromessi; Piani che, al momento, ancora mancano nel nostro Paese. Queste misure vanno pensate, soprattutto per tutelare le città, dove si addensa e vive il 66% della popolazione del mondo, in particolare in un paese come l’Italia che è, storicamente, una nazione di città. Occorre saper gestire i nuovi e più gravi rischi idrogeologici, sapendo che la difesa delle città parte dai territori montani più lontani, come dallla riduzione dell’eccesso di impermeabilizzazione dei suoli. Servono politiche attive di risparmio idrico ed energetico, una agricoltura rigenerativa capace di riscoprire l’antica circolarità, nella difesa della biodiversità e nel riuso degli scarti, anche urbani. Sono necessari, soprattutto, programmi coraggiosi ed innovativi di rigenerazione urbana, capaci di mettere a sistema una molteplicità di aspetti e di fattori dello sviluppo sostenibile. Interventi che rendono più sicure, più vivibili, più accoglienti e più resilienti le città, e soprattutto le periferie. Servono politiche attive per l’adattamento. Se è vero che il 37% dei 207 miliardi del Recovery Plan, ovvero 76 miliardi, dovrà essere speso per interventi green e di sviluppo sostenibile, nel prossimo futuro non avremo una carenza di risorse. Speriamo che non vi sia nemmeno una carenza di visione e di volontà dei decisori pubblici e del sistema economico. Ciò che abbiamo compreso è che tali scelte costituiscono uno dei mezzi fondamentali per contrastare anche il male più grave delle nostre società: l’offesa al senso di umanità delle disuguaglianze; quelle che vedono i molti doversi ingegnare per un intero anno per portare a casa quello che altri acquisiscono in un solo giorno. Equlibri climatici ed equilibri sociali, un solo problema, una soluzione ed un impegno comune. Anche questi, oltre le vacanze sciistiche a rischio, potrebbero essere pensieri di Natale, restituendo un senso a questa bella parola.
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Il verde urbano, le produzioni sostenibili, il fascino dell’UMBRIA H
o letto una recente notizia che mi è parsa interessante. Questa: “Cassa Depositi e Prestiti e SNAM hanno avviato una collaborazione per la realizzazione di progetti di riduzione Adriano MARINENSI dell’anidride carbonica in atmosfera, tramite attività di rimboschimento e creazione di aree verdi su terreni della P. A. e degli Enti locali”. L'obiettivo dichiarato è ambizioso e di alto rilievo sociale: piantare tre milioni di alberi entro il 2030. Per combattere l’inquinamento in utile collaborazione con il mondo vegetale. Il tanto apprezzato progresso sostenibile rappresenta il traguardo da raggiungere, anche utilizzando interventi di ripristino ambientale nei territori, interessati da una sciagurata urbanizzazione intensiva. A ettaro lanciato, come nelle piantagioni di mais. S’io fossi il Sindaco di Terni, una chiacchierata con questa brava gente -CDP più SNAM- ce la farei. Senza dire che, in ambito comunale, è passato Attila ed ha fatto scempio di centinaia di pini di grossa taglia. Se tra il nostro mare di cemento (attenti che è armato!) si potesse mettere a dimora qualche rigogliosa isola verde, sarebbe cosa buona e giusta. C'è un'altra scelta virtuosa da fare in una città come Terni: porre estrema attenzione alla cosiddetta economia sostenibile. L'eredità del passato risulta basata su una struttura produttiva assai pesante nell’impatto sul territorio. Non la possiamo cancellare e neppure sostituire. Occorre però inserire nei futuri programmi una forte attenzione alla bioeconomia, magari volgendo lo sguardo verso l’alimentare, l’agricoltura, i settori innovativi e quelle presenze che poco aggrediscono la natura. Nel programmare l’avvenire, facciamoci un pensiero. Anche una intelligente politica di sostegno dei giovani che vi si stanno impegnando, può essere d'impulso per iniziative di avanguardia nel settore della economia rurale. Questa estate, il giornalista e scrittore Corrado Augias ha pubblicato, su un quotidiano nazionale, un articolo a tutta pagina, al centro della quale vi era una grossa immagine della Cascata delle Marmore, dipinta, nel 1767, da Thomas Patch. Augias ha tenuto a precisare, in apertura: “Invio questo articolo dal minuscolo paese umbro di Acqualoreto, in provincia di Terni”. Si tratta di uno dei tanti borghi dove “l’Umbria s'è conservata quasi intatta, anche per questo lungo indugiare su se stessa, piccola com'è racchiusa al centro della penisola". Di sicuro, lui, indugiando in giro per la nostra regione, si sarà reso conto dell’esistenza del florido patrimonio paesaggistico che la caratterizza, quando parla
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di “colline dolcemente degradanti, boschi di castagni o di querce”. Ed elenca Augias molte delle bellezze architettoniche: “Città, cittadine, borghi quasi sempre annidati sulla sommità di una altura o di una rupe. Tutti impreziositi da qualche gioiello d'arte". Ecco appunto, se, insieme alle bellezze elargite all’Umbria da madre natura, “ai boschi di castagni o di querce” (al verde arboreo, insomma), alle architetture spontanee delle passate civiltà, ci mettiamo l'inestimabile patrimonio culturale, custodito nelle Cattedrali, nelle Abbazie, nei musei, nelle pievi e in tanti altri luoghi, la dagherrotipia dell'Umbria si completa di tutte le sue doti e qualità. Ciò che si vede intorno ti suggerisce un impegno primario che ogni cittadino deve assumere: valorizzare le tradizioni, tutelare il creato in ogni forma (in tantissimi luoghi della nostra regione è lo specchio della magnificenza), riportare un po' di campagna verde nelle città, mettere in evidenza la storia e i valori civili mortificati nel groviglio delle cacofonie scomposte e del movimento a scoppio. Quella campagna che sa di aria buona e di silenzi, che, in primavera ti regala il profumo e il colore della ginestra, conserva la genuinità dei sapori agresti. La campagna dove ti viene voglia di rimanere, ma non puoi; non puoi sfuggire alla trappola che l’uomo moderno ha costruito. Quando salivo su per i colli attorno e mi affacciavo dai balconi verdi sulla conca ternana, grigia spesso e dal grigiore nascosta, sono certo che se i miei polmoni avessero avuto gli occhi, si sarebbero buttati giù dal dirupo, pur di non tornare a respirare in pianura. Vige nelle megalopoli, il deserto sociale delle città senz'anima, dell’anonimato di condominio nei colossali dormitori delle brulicanti periferie; vige in mezzo agli alveari impavidi e ossessivi (le palafitte sulla palude dell’incultura urbanistica). Comunque si chiami il Dio d’ogni uomo, l’opera di quel Dio si ritrova, come un capolavoro, lontano da quegli alveari. E allora ti metti a sognare che quella parte di mondo dove vivi (e, anch’essa si è inceppata) venga invasa da dirigenti e governanti locali sagaci, sensibili, coraggiosi, professionalmente colti della materia amministrata. E il provincialismo della politica, a Terni imperante, si scuota dal suo mediocre torpore, oggi aggravato dagli effetti dell’epidemia sanitaria. Che fa paura ed esalta gli egoismi, nemici del progresso sociale. Per ripartire dalla solidarietà. E da un progetto di sviluppo dove -per esempio gli alberi- vengano considerati fondamentali elementi di arredo urbano. Come si suol dire, una risorsa, non un problema da risolvere con lo stile del taglialegna.
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Terni, la città dell 'oro Terni, la città dell’oro
Giampiero ssistiamo, tanto per gli aspettiRASPETTI mondiali, quanto nella vita quotidiana, cambiamenti rapidissimi: chi non ha la capacità di interpretare cambiamento è destinato alla retroguardia politica, sociale ed conomica. Interpretare significa detenere la cultura necessaria per aper vedere, saper leggere dentro (intus legere). Cultura e innovazione aranno allora gli elementi fondamentali cui ricorrere perché ci si ossa trasformare in un modello di sviluppo adatto ai tempi. Giuseppe Cultura Ungaretti, Silenzio el passato, delle tradizioni, di quanto è precipuo del nostro territorio, ma anche dimestichezza con l’attualità, caratterizzata dalla rivoluzione Perché questo libro igitale. Tutto questo comporta un diverso modo di pensare, di La a nostra Italia e i Paesi elazionarsi tra persone, ma anche, ben vedere, l’occasione di unaa noi vicini presentano più addensamenti abitativi in uova, entusiasmante stagione.
Conosco una città che ogni giorno s’empie di sole e tutto è rapito in quel momento.
Terni, la città dell’oro - PARTE PRIMA
città che in campagna. Ovviamente, laddove
el mondo moderno, in cui le informazioni si diffondono in tempo ben vivibile, più persone eale, ogni contrada può divenirela unocampagna degli infinitisia centri dell’universo riescono a viverci. Analizziamo i Bruniana memoria. E può, se ha la forza della conoscenza, ma questi dati: e, soprattutto, ha risorse territoriali eccezionali come abbiamo è, noi, la popolazione non urbana in Francia pari iventare paradigma di un nuovo modello di sviluppo che sappia al 18%, in Spagna al 20%, in Germania al ollegare le tradizioni con la tecnologia.
24%, in Svizzera al 26%, in Italia al 30,5%.
osì deve essere per Terni. Perché la nostra Città dell’oro possa sia dovuto Perché? Affermiamo che questo ssurgere al ruolo di paradigma dialla una moderna innovazione, bisognerà bellezza della nostra terra, una bellezza artire dalla conoscenza approfondita, non rituale né episodica che altre bellissime Nazioni, comprese ell’esistente e su tale conoscenza far leva, con perspicacia. La nostra quelle a noi vicine, hannosacrali, in misura minore. rra dispone di straordinarie bellezze paesaggistiche, storiche, luogo, il nostro, che presenta eccellente nogastronomiche, ambientali e, Un poiché per svolgere il proprio lavoro è ovunque collegati, saprà accogliere e rendere concittadine le tante abitabilità nelle sue terre, in quelle attorno ersone che vorranno abitare unaaiterra come la nostra, luogo sacrale laghi o lungo i fiumi, sulle pianure, sulle benedetto.
montagne, nei centri arroccati sulle dolci bbiamo davanti a noi un grandissimo Iniziamo a lavorare, colline futuro. o lungo le marine, ovunque! utti, in piena sintonia e concordia. Tutto è stupendo, da noi. Facciamo parte (così stabilì Ottaviano Augusto nell’anno settimo dell’era volgare) della VI Regio, l’Umbria, terra che si estende dalla sponda sinistra del Tevere fino a Pisaurum, Pesaro. Questo è il nostro humus, qui le nostre radici, le fastosità più ricercate nel mondo: natura, ambiente, storia, sacralità. E le acque, i sali minerali, i colori, i monti, i laghi, il mare, l’enogastronomia… Non esito ad affermare che la Sexta Regio sia la terra più bella del mondo e che Terni, anche per la sacralità che la investe per beneficio di Valentino, sia una città ricchissima, quella che noi definiamo La città dell’oro. Tali ricchezze cercheremo di delineare, offrendo le nostre riflessioni alla discussione, pubblica e creativa, certi che le tante straordinarie ed esemplari persone di questa città sapranno offrire idee molto più significative delle nostre al fine di organizzare quel futuro di cui Terni ha, ormai, urgenza assoluta. Gli elementi disponibili nel nostro territorio sono maestosi e preziosi. Essi costituiscono la sorgente dei nostri progetti.
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Terni, la città dell’oro
a cura di Giampiero Raspetti
Che fare?
Disponiamo solo di strumenti di provocazione culturale e possiamo fare affidamento unicamente sulla caparbia divulgazione delle idee, su alcune contenute proposte, su schemi di progetti. È innegabile che il vero, autentico problema che incombe su Terni, nonostante una storia culturale gloriosissima che ci illumina fin dagli albori della civiltà, è che la città viva oggi una situazione molto delicata, soprattutto culturalmente. Che fare? Per poter sostenere i progetti che elaboriamo, non abbiamo alcun mezzo, né finanziario né politico, men che meno legato a consorterie varie. Possiamo solo proseguire nella nostra dimensione di educatori e di servitori della città, cercando di motivare alla responsabilità di dover rendere conto, a se stessi e agli altri, delle proprie azioni e di incentivare all’amore per la cultura. Dobbiamo, dunque, fare politica! Sì, perché la politica (oggi molto distante dalla partitica) è solo cultura, spirito del volontariato, amore e analisi del territorio, progetti per esso, ma solo dopo aver identificato e ben capito la sua versatilità, le sue impronte, la sua immagine, il suo genius loci. Senza allora pretendere altro se non il poter suggerire idee, magari far sognare, magari confrontare e unire le sensibilità di chi ama la propria terra, assumiamo l’onere di presentare ipotesi di lavoro, proposte, suggestioni, progetti che intendono essere soprattutto una provocazione culturale per molti nostri concittadini, quei tanti che riflettono, pensano, studiano e che provano amore per la terra in cui vivono.
Nuova immigrazione
Terni, la città dell’oro - PARTE SECONDA
Terni, la città dell’oro
a cura di Giampiero Raspetti
Ringraziamento
La nostra bella città ha molti padri come amministratori. Io ricordo, con affetto e commozione, due miei amatissimi insegnanti al Liceo: il sindaco Mario Sotgiu, austero, rigoroso, coltissimo, fondatore, nel 1956 (insieme al direttore didattico Ernesto Benigni e all’ispettore scolastico Rolando Teofoli), della notissima Casa editrice Thyrus e l’assessore alla cultura Piero Adorno, gentilissimo, educatissimo, coltissimo, direttore d’orchestra, presidente nazionale dell’AGIMUS e autore del libro di testo di storia dell’arte adottato, in pratica, nei licei di tutta Italia. Due educatori che, a differenza di molti altri, poco colti e molto diseducatori, non hanno mai pronunciato, in classe, né una sola parola né un piccolissimo riferimento verso partiti politici. Anche di questo li ringrazio! Dopo il primo duro periodo della ricostruzione, cominciava ad affermarsi, presso i partiti chiamati ad amministrare la città, l’importanza della cultura, per Terni, certo, ma anche per la politica tout court. Iniziava anche, ad opera di un altro grande amministratore, vicesindaco e assessore, Bruno Galigani, l’idea della città alberata, in fiore, verde. Quell’idea che percorrerà, in fil vert, la città futura, quella città cioè che nei nostri due libri studiamo, progettiamo, vagheggiamo, sogniamo. Libri che devono moltissimo ai suddetti grandi amministratori che, dovutamente e sentitamente, ringrazio. PER INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI 3482401774 - 335245716 - 3282112594 Terni, Via De Filis, 12 - info@lapagina.info
Terni, città della futura, aurea, immigrazione Assistiamo, tanto per gli aspetti mondiali, quanto nella vita quotidiana, a cambiamenti rapidissimi: chi non ha la capacità di interpretare il cambiamento è destinato alla retroguardia politica, sociale ed economica. Interpretare significa detenere la cultura necessaria per saper vedere, saper leggere dentro (intus legere). Cultura e innovazione saranno allora gli elementi fondamentali cui ricorrere perché ci si possa trasformare in un modello di sviluppo adatto ai tempi. Cultura del passato, delle tradizioni, di quanto è precipuo del nostro territorio, ma anche dimestichezza con l’attualità, caratterizzata dalla rivoluzione digitale. Tutto questo comporta un diverso modo di pensare, di relazionarsi tra persone, ma anche, a ben vedere, l’occasione di una nuova, entusiasmante stagione. Nel mondo moderno, in cui le informazioni si diffondono in tempo reale, ogni contrada può divenire uno degli infiniti centri dell’universo di Bruniana memoria. E può, se ha la forza della conoscenza, e se, soprattutto, ha risorse territoriali eccezionali come abbiamo noi, diventare paradigma di un nuovo modello di sviluppo che sappia collegare le tradizioni con la tecnologia. Così deve essere per Terni. Perché la nostra Città dell’oro possa assurgere al ruolo di modello di una moderna innovazione, bisognerà partire dalla conoscenza approfondita, non rituale né episodica dell’esistente, e su tale conoscenza far leva, con perspicacia. La nostra terra dispone di straordinarie bellezze paesaggistiche, storiche, sacrali, enogastronomiche, ambientali e, poiché per moltissimi lavori ormai si è ovunque collegati ed equipaggiati, molte persone chiederanno di poter vivere a Terni, che saprà accogliere e rendere concittadini tutti quelli che vorranno risiedere in una terra come la nostra, luogo sacrale e benedetto. Abbiamo davanti a noi un grandissimo futuro. Iniziamo a lavorare, tutti, in piena sintonia e concordia.
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L'INFERMIERE e la SECONDA ONDATA
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uando lo scorso anno l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) designò il 2020 “Anno Mondiale dell’Infermiere”, in concomitanza con il bicentenario della nascita dell’infermiera britannica Florence Nightingale, difficilmente avrebbe potuto immaginare che la scelta si rivelasse così profetica. L’infermiere è, infatti, entrato di diritto in quella schiera di eroi moderni che stanno combattendo in prima linea la “guerra” della pandemia, una sfida dal carattere globale e dagli esiti ancora incerti. In questo contesto, l’Umbria non fa eccezione. Dopo aver giovato di una prima ondata piuttosto “clemente”, il cuore verde d’Italia è stato infatti investito da una seconda ondata ben più violenta, con un’escalation di contagi nelle ultime settimane. Sul fronte sanitario, le misure adottate includono l’incremento dei posti letto nelle terapie intensive e nei reparti Covid, l’attivazione di ulteriori postazioni per eseguire i tamponi nella modalità drive-through, il potenziamento e la riorganizzazione della rete assistenziale territoriale e dell’emergenza, nonché la realizzazione di due ospedali da campo, poichè si attende l’ondata di massima occupazione dei posti letto. Nella realizzazione di questo piano, l’infermiere assume un duplice ruolo chiave: dai reparti degli ospedali ai distretti sanitari, dalle RSA al 118, fino agli istituti penitenziari, fornisce infatti un’assistenza tempestiva, efficace ed equa. Inoltre, svolge una funzione relazionale di sostegno emotivo e psicologico mai così importante come in questo momento dove i pazienti provano un senso di vuoto, di solitudine e di sospensione dei rapporti abitudinari che li legano al mondo e ai propri cari. L’Infermiere è una sorta di ponte tra i due poli, i pazienti da una parte e i familiari dall’altra, tra chi è dentro e chi è fuori, per consentire al malato di capire che fuori c’è chi lo ama e chi si preoccupa per lui. Perché il Covid ci ha tolto anche quei riti di passaggio della vita, come la nascita e la morte. Molti professionisti sanitari, durante lo svolgimento del proprio lavoro, sono esposti ad un alto rischio di contrarre il Covid. Secondo gli ultimi dati forniti dalla FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche), basati sulle rilevazioni e sui rapporti INAIL, sono ad oggi oltre 28.000 i sanitari contagiati, con oltre 50 decessi. L’Opi di Terni sta sostenendo e divulgando la conoscenza del fondo di solidarietà #NoiConGliInfermieri, costituito e promosso dalla FNOPI a sostegno di tutti gli infermieri e delle loro famiglie colpite da Covid-19. Si tratta di una serie di interventi tempestivi e integrativi rispetto a quelli già previsti dalla legge e dai decreti governativi. In poco meno di tre mesi, la
FNOPI ha già erogato oltre 1 milione di euro alle famiglie dei colleghi che hanno perso la loro battaglia contro il virus, e, da pochi giorni l’erogazione dei contributi del fondo #NoiConGliInfermieri (3,5 milioni di euro raccolti nei primi sette mesi) avrà una nuova categoria di beneficiari, ovvero potranno inviare la loro richiesta anche tutti gli infermieri dipendenti che si sono ammalati di Covid-19. Sono settimane molto dure per tutti. Il virus sta causando importanti ricadute sulla comunità, sia sul piano sociologico che su quello psicologico. Vi è uno stravolgimento delle abitudini di vita che costringe l’individuo a vivere da solo, a stare separato dai propri cari e a rinunciare a molti dei propri interessi. In questo contesto, anche la vita degli infermieri ha subito un cambiamento radicale. Anche per loro è praticamente scomparsa la vita familiare, quella vita piena di affetti, di ordine e di progetti per il futuro. Si affrontano quotidianamente situazioni delicate, acuite dalla stanchezza per i lunghi turni di lavoro che si protraggono da diversi mesi. Talvolta, ci si ritrova a dover lavorare da un giorno all’altro, in reparti diversi dal proprio ambito di specializzazione o da quello in cui si lavorava abitualmente, con i conseguenti, inevitabili disagi e la preoccupazione di dover fare i conti con strutture, realtà e strumenti di cui non si ha una quotidiana dimestichezza. Una situazione questa che hanno sperimentato gli infermieri della sala operatoria di Narni e di Terni, chiamati a prestare servizio i primi presso l’Ospedale di Spoleto, e gli altri nella rianimazione del nosocomio ternano e nei reparti Covid. Nonostante l’imprevista situazione, i nostri infermieri si sono rivelati in tutto e per tutto all’altezza della situazione. Quando l’emergenza sarà finita, sarà importante ripensare e riorganizzare le modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria, affinché le sfide del futuro possano essere affrontate con strumenti adeguati e senza il ricorso a soluzioni emergenziali. La pandemia ha evidenziato in maniera inequivocabile la centralità dell’infermiere, una professione sulla quale il sistema sanità dovrà investire sempre di più per continuare ad evolversi in un’ottica di miglioramento qualitativo per rispondere ai bisogni di salute della società moderna in continua trasformazione che esige anche dagli operatori una continua formazione, flessibilità e apertura alle novità. Il futuro che si sta delineando e che come Ordine auspichiamo è di un modello assistenziale sempre più integrato fra ospedale e territorio, che sappia rispondere con appropriatezza ed efficienza ai bisogni assistenziali del paziente critico e cronico, in un contesto di lavoro sempre più multiprofessionale e multidisciplinare.
Ordine Professioni Infermieristiche Terni La magia del Natale entri nei cuori di tutti noi Infermieri e li accenda di solidale amore nei confronti di quanti si affidano alla nostra professionalità. I tempi che in questo momento ci è dato di vivere sono in tutto simili ad un cielo carico di nubi che non accenna al sereno. Con il nostro lavoro, la nostra dedizione, la nostra sensibilità possiamo contribuire a rendere meno scure quelle nuvole, colorandole di speranza. Noi Infermieri possiamo e dobbiamo fare il possibile perché ciò avvenga. Che l’anno che si appresta ad entrare sia testimone concreto di questo nostro comune sentire. A nome dell’intero Ordine delle Professioni Infermieristiche auguro Buon Natale a tutti i colleghi, per lo straordinario impegno profuso durante l’emergenza sanitaria, e alle loro famiglie: un Natale che sia una rinascita alla vita e alla speranza La Presidente Emanuela Ruffinelli
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Fantastica POLINO Remigio VENANZI
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siste un posto dove possiamo trovare oro, ammoniti, reperti vulcanici e rarissimi minerali come le kamafugiti? Esiste poi un luogo dove incontrare grandi alberi di faggio, cerro, acero, castagno e tanti altri ancora? C’è poi un territorio dove trovare more, lamponi, rosa canina, corniolo e bella donna? In questo luogo, se esistesse, potremmo trovare anche funghi e tartufi? E ancora, potremmo trovarci anche erbe di campo e medicamentali? E chissà, in questo posto fantastico, incontreremmo caprioli, cinghiali, istrici, tassi, scoiattoli, volpi e qualche lupo? E, guardando in alto o tra i rami del bosco, ci saranno poiane, gufi, falchi, bianconi, merli, picchio verde e reale, upupa, ghiandaie e l’aquila reale? E poi, l’aria pura e le acque limpide? E in questo posto ci saranno i profumi del bosco e dell’erba dei prati? E i rumori che prevarranno potranno essere le foglie e le ghiande che cadono dagli alberi, il muggito delle mucche o il nitrire dei cavalli e quello dell’acqua sorgiva? E i colori, quali saranno in un posto siffatto? Cambieranno al volgere delle stagioni? Beh, in un posto così in primavera il continuo fiorire degli alberi dovrebbe donare tenui varietà; in estate dovrebbe prevalere il verde degli alberi e dell’erba, in autunno i tramonti dovrebbero lasciare a bocca aperta e le foglie colorarsi dal giallo al rosso fino al marrone e, infine, in questo luogo della nostra fantasia come saranno gli inverni? E sì, qui gli inverni dovrebbero essere colorati del bianco della neve o dalle trasparenze delle “spade di ghiaccio”. Certo, se esistesse, sarebbe un posto fantastico! Ma dove cercarlo? E poi, gli uomini lo
avranno preservato? Troveremmo ancora tutto al proprio posto? Ebbene sì, questo luogo esiste, non occorre andare lontano; dobbiamo salire in cima al monte, nella nostra Valnerina, sul monte La Pelosa. Prima di andare spaziamo un po’ con la nostra fantasia, con pensieri e aspettative: pensiamo alla natura, a come viverla, a come gioire e appagare i nostri sensi; poi, partiamo per un viaggio che ci porterà nei luoghi reconditi del nostro spirito, a trovare in noi un uomo nuovo o semplicemente alla ricerca del bello; di ciò che sa essere “naturalmente bello”. Ora, cosa sta succedendo nella bellezza della montagna di Polino che è poi la montagna di Terni? Il paese sta attraversando un periodo particolare, allo stesso tempo pone problemi e offre nuove opportunità. Sempre più convinti che la strada maestra dei nostri territori sia legata alla valorizzazione ambientale, è in questo ambito che si vanno concentrando le iniziative presenti e future. Progetti già finanziati prevedono la crescita del “Museo dell’Appennino Umbro Sotto Sopra” che verrà completamente ristrutturato; in quest’ambito è prevista una spesa, già finanziata, di circa 40.000,00 euro. Altri 78.000,00 euro verranno spesi per l’adeguamento strutturale della sede museale che, come noto, è all’interno della Rocca Monumentale di Polino. Un ulteriore progetto, finanziato, prevede l’ampliamento del museo nelle sale di
Palazzo Castelli, creando un sistema che lega i contenuti, particolarmente innovativi e con tecnologie all’avanguardia, con il territorio. Il contributo di circa 175.000 euro prevede l’intervento nelle sale museali e in sei siti naturalistici della nostra montagna. Queste implementazioni faranno del nostro museo uno dei centri naturalistici di maggior riferimento; tuttavia, l’interesse principale è quello di ragionare su una metrica che miri a creare un polo non solo museale, ma anche didattico e divulgativo. Alcune iniziative sono già presenti, tanto che all’interno di Palazzo Castelli è già stato allestito il laboratorio geologico che sarà oggetto di crescite interattive nel corso del tempo. In questi giorni, stiamo inoltre formalizzando gli atti per realizzare a Polino il Centro di Educazione Ambientale, su iniziativa e progettualità del Prof.re Giampiero Raspetti. Il Centro mira ad essere pervasivo, a stimolare la curiosità, a far vivere i fenomeni naturalistici; facendo della riflessione, dell’analisi e dello studio i cardini del progetto. Dovrà porsi sul piano del divertito stupore e su quello della curiosità tecnica e scientifica.
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"UN QUALCHE ONESTO DIVERTIMENTO"
È il 1732 quando per la prima volta a Terni si affronta la discussione sull’opportunità di costruire un teatro pubblico. In quell’anno un gruppo di cittadini invita la Sagra Congregazione del Buon Governo a concedere il permesso e l’aiuto economico per costruire un teatro, dove allestire commedie, così necessarie per bene allevare la gioventù e per dare un qualche onesto divertimento a tutto il Popolo nei tempi di Carnevale.
MARCO PLINI
Nel 1994 inizia a collaborare con Massimo Castri lavorando nei principali teatri italiani. Dal 2000 al 2002 è assistente del Direttore al Teatro Stabile di Torino, con delega alla produzione. Debutta come regista nel 2002 con lo spettacolo RISVEGLIO DI PRIMAVERA di F.Wedekind al Teatro Stabile di Torino,cui seguono numerosi spettacoli prodotti da prestigiose istituzioni: Biennale Di Venezia, Emilia Romagna Teatro, Ass. Teatrale Ma Mi Mo, Teatro Metastasio Di Prato Stabile Della Toscana, Teatro Stabile dell’Umbria. Nel 2018 è incaricato per la regia di TURANDOT a Pechino, Coproduzione italo-cinese tra China National Peking Opera Company ed Emilia Romagna Teatro. Dal 2005 è insegnante di ruolo alla Scuola Civica Paolo Grassi di Milano. Inoltre è stato insegnante ai corsi di EMILIA ROMAGNA ALTA FORMAZIONE TEATRO negli anni 2006/07 e 2008/09. Durante gli stessi anni è responsabile per ERT degli incontri internazionali del PROGETTO PROSPERO ed insegna presso TUTKIVAN TEATTERITYON KESKUS di TAMPERE. Inoltre dal 2014 al 2017 ha tenuto laboratori sulla drammaturgia contemporanea presso il DAMS di Torino. Nel 2020 è Direttore della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano.
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U
Inizia così una storia sorprendente, provinciale e al tempo stesso emblematica delle grandi trasformazioni culturali che attraversano l’Italia e l’Europa. Una storia rimessa in ordine per la prima volta: gli spazi, le produzioni, il pubblico, i luoghi. Una città che esiste molto tempo prima dell’avventura industriale e che trova approdi anche nelle dinamiche dell’oggi. Un gorgoglìo sorprendente e tutto da approfondire.
n libro di storia cittadina non rappresenta solo una ricostruzione di eventi che aiuta a conservare una memoria di ciò che siamo stati, è soprattutto la fonte da cui attingere spunti per intuire un futuro possibile che faccia tesoro della natura intrinseca della città. Un futuro fondato, però, non sull’illusione di un ritorno ad una presunta età dell’oro, ma, al contrario, su di un principio di realtà che interpreti la vera vocazione di una città, senza scimmiottare contesti lontani culturalmente dall’essenza stessa della comunità in questione. È questo che stupisce scorrendo le pagine di questo libro, il graduale formarsi di un’idea di Terni dinamica e modernista, attenta alle istanze culturali provenienti dalla sua popolazione, ma anche prudente nel lasciare che l’onesto divertimento non sia solo atto ludico, ma mantenga intatta la sua natura formativa nei confronti di un pubblico che rappresenta la prossima generazione. Certo parliamo di una città, mi riferisco alla Terni dell’800, governata da una élite furiosamente curiosa e determinata a superare, prima la condizione contadina, poi quella provinciale che nelle diverse fasi ha caratterizzato la nostra storia. L’epopea del teatro a Terni ne è la dimostrazione plastica, a partire dal 1732 quando per la prima volta il teatro diventa argomento di pubblica discussione, uscendo quindi definitivamente da quello statuto a doppia faccia, o atto esclusivamente elitario e salottiero, o esibizione da mercato animato da banditi e saltimbanchi. È il segnale di una città che capisce che lo spettacolo dal vivo sta diventando strumento culturale e formativo in linea con la lezione del teatro europeo degli stessi anni. Questo percorso si svilupperà poi per oltre un secolo accompagnando la smisurata crescita della città, ma anche le nuove idee politiche e artistiche che la percorrono. Nascono così l’Anfiteatro Gazzoli e il Teatro Comunale, luoghi adeguati a nuove e specifiche tipologie di spettacolo in voga all’epoca. È obbligatorio, però, fare una piccola riflessione: nell’800 spettacoli come il melodramma o il circo o la prosa borghese erano grandi novità, nuovi linguaggi che oggi definiremmo avanguardie. E questo è il punto cruciale che si evince dal libro, una città con una crescita cinese ha bisogno di dotarsi di luoghi di spettacoli eleganti,
prestigiosi, ma, soprattutto, adeguati al tipo di spettacolo che vi verrà rappresentato. Il metodo è positivista e razionalista al tempo stesso; d'altronde è l’800, la comunità manifesta un bisogno, una precisa richiesta culturale e l’amministrazione risponde, determinando la creazione di opere pubbliche mirate. Il movimento causa-effetto è perfettamente corretto nel metodo ed estremamente contemporaneo nella richiesta di superamento delle forme artistiche precedenti, allo scopo di adeguare lo spettacolo dal vivo alle esigenze di una cittadinanza in continuo rinnovamento. In questo senso è importante vedere anche come s’inneschi la polemica Poletti a proposito del progetto per il teatro comunale e quanto l’idea modernista dell’architetto modenese abbia creato scalpore negli ambienti più retrogradi della città. (Trovo curiosissimo anche lo spirito tipico dei ternani: un tipografo ‘’ce lu sa’’ così tanto da contestare il progetto di uno dei maggiori architetti dell’epoca). Modernismo, contemporaneità quindi prospettiva, questi sono gli effetti che produce nel lettore lo scorrere di queste pagine. Il teatro stesso sembra ottemperare alla sua missione: essere il luogo in cui la città si specchia e vede se stessa. “… aprire il teatro alla città e alle sue nuove realtà. La nostra è una società urbana segnata dalla migrazione. Il nostro teatro è pagato dai cittadini. Sosteniamo quindi che tutte le persone della città e i loro conflitti si debbano trovare sulla scena e in platea e che debbano essere rappresentate le loro storie e i loro punti di vista diversi”.
Queste sono parole contemporanee che sono state pronunciate dal drammaturgo Jens Hillje a proposito del Teatro Gorkij di Berlino, teatro da lui stesso diretto, ma sono parole che avrebbe potuto pronunciare un qualsiasi amministratore comunale dell’epoca in cui i teatri ternani venivano costruiti. Questi luoghi hanno infatti rappresentato un punto di riferimento indispensabile per lo sviluppo culturale, ma anche per l’integrazione tra vecchi e nuovi ternani, che hanno visto sui palcoscenici non solo eroiche vicende, ma anche pulsioni e sentimenti complessi che attraversavano il ventre molle della città. Questa mission politico-culturale è stata sviluppata anche nel ‘900, così i teatri sono stati luoghi esibitivi per le nuove forme artistiche, tipo le serate futuriste, o per i raduni fascisti, è orribile, lo so, deturpare così un teatro, ma quella era l’epoca e quella era la società. Nel dopoguerra poi la ricostruzione della città ha visto la trasformazione dei teatri in cinema-teatro; senza scandalizzare, si può dire che Terni fosse ancora in sella al ‘900 adeguando i luoghi di fruizione di spettacoli alle nuove mode. Contemporaneamente, sull’onda delle nuove istanze avanguardiste, il teatro esce dai suoi luoghi canonici ed entra nelle fabbriche e nei circoli ricreativi. Seguendo la lezione brechtiana, si fa strumento di lotta politica e questo non succedeva solo nella comunistissima Terni degli anni ‘60, ma in tutta Europa. Ecco, tutto questo sembra contenere il ibro, un percorso storico che mostra una faccia della nostra città che, per chi è nato negli anni settanta e ancor più per quelli nati dopo, è una vera sorpresa: una città dinamica e pronta ad accogliere tutti i nuovi impulsi culturali, una città irriconoscibile nella sua indole e nel suo coraggio di scommettere su se stessa. E allora, proprio perché i libri devono fornire prospettive anche quando parlano del passato, sarebbe forse necessario cercare di riappropriarsi del metodo, senza indulgere ai ricordi, ma con un rinnovato atteggiamento materialista, dando nome ai problemi che affliggono la città ed ascoltare o scoprire quali siano le istanze o i bisogni culturali dei cittadini. Rimettere in fila le cose, creare una politica culturale non anestetica o propagandistica, ma che abbia il compito di risvegliare una città che sembra assopita. Marco Plini
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I PARENTI CHE FANNO SCENA A Vittorio GRECHI
lzi la mano chi non ha almeno un parente non troppo vicino, ma nemmeno troppo lontano col quale è in rapporti assolutamente casuali. Potrebbe trattarsi di qualche cugino di secondo grado dei genitori, allontanatosi dal luogo natio per varie ragioni e non ancora abituato all’uso del telefono di casa, visto che la sua capillare diffusione risale agli anni post bellici. In assenza del telefono ci si incontrava alle fiere, alla festa del Patrono, oppure ai matrimoni e ai funerali. Allora era tutto un richiedere informazioni sulla salute dei vecchi zii e sull’età dei bambini che nel frattempo erano cresciuti. “È andato a fare il militare? Ma dove? Uuuh, come passa il tempo! Sembra ieri che portammo la gallina alla madre che aveva appena partorito! E la sorella? Si è sposata? Con chi? Potevate farcelo sapere, così le avremmo fatto un pensierino!”. E via di questo passo, un po’ per il gusto di parlare, un po’ per sapere i fatti degli altri e un po’ anche per aggiornare l’albero genealogico mentale. Fatto è che, negli anni tra il ’70 e l’80 del secolo scorso, una coppia di sposi era scesa in città a fare compere per la vicina nascita del primo bambino. Era un giorno di fine novembre, freddo e piovigginoso, e camminavano stretti sotto l’ombrello badando di stare lontani dagli altri passanti. A un tratto videro venir loro incontro uno di questi parenti, sottobraccio alla moglie, che non avevano più visto né sentito da ben quattro anni, giusto dal tempo del loro matrimonio. La sorpresa di entrambe le coppie fu grande, visto che di tempo dall’ultimo incontro ne era trascorso in abbondanza. Ma la coppia anziana, e in particolare il marito parente, fece una vera sceneggiata, che non aveva niente da invidiare a quelle napoletane dei De
In assenza del telefono ci si incontrava alle fiere, alla festa del Patrono, oppure ai matrimoni e ai funerali.
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Filippo. Manovrando l’ombrello in modo pericoloso (per gli altri) in tutte le direzioni possibili, iniziò a dire, verso la moglie e verso tutti, quanto fossero contenti di averli incontrati e a complimentarsi perché erano una bellissima coppia, giovani ed eleganti, e a informarsi sulla salute dei genitori e a sostenere che morivano dalla voglia di rivederli. A quel punto la giovane sposa aprì il paltò mostrando un avanzato stato di gravidanza. Il parente strabuzzò gli occhi e si esibì in un paio di saltelli conditi da gridolini di gioia, sbracciandosi e abbracciando prima la moglie (“Hai visto Pasquì? È incinta grossa, che Dio la benedica! Quant’è bella!”) poi la futura puerpera e il futuro papà. Poi si fece serio, con atteggiamento burbero e, col dito indice della mano sinistra brandito per aria come una spada, impose categoricamente di essere informato per primo del lieto evento. Rassicurato dalla risposta dei giovani, strinse loro le mani, inviò tanti saluti al cugino e riprese la sua passeggiata. Anche il flusso delle altre persone riprese, dopo essere stato costretto a deviare, vista l’occupazione del marciapiede per l’estemporanea e pericolosa recita con l’ombrello roteante. I due giovani coniugi sorrisero tra loro all’osservazione di quanta falsità poteva nascondersi in una persona. Il lieto evento accadde nella notte del 23 dicembre e il neo papà, nell’attesa di abbracciare moglie e neonato, raggiante di gioia, ma memore della promessa fatta, prese un gettone telefonico e fece il numero del parente. Mentre il telefono squillava a lungo, vide che erano circa le due e trenta. Dopo l’ennesimo squillo, una voce assonata rispose e fu messa al corrente, come da impegno preso, del lieto evento e che tutto si era svolto nel migliore dei modi. L’interlocutore ringraziò bofonchiando un augurio e chiuse la comunicazione. Da quel giorno, anzi da quella notte, non si fece più sentire e nemmeno vedere.