La Pagina Febbraio 2020

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elevatori su misura

Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura

Numero 172 Febbraio 2020

Amate, amate sempre amate voi stessi amate gli altri amate di giorno amate di notte soli o insieme non cessate d’amare. Quando qualcuno vi dirà questo no questo è peccato amate ancora di più insegnando ad amare anche a chi non sa amare. -Giampiero Raspetti-

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Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011


La Politica è cultura

Qualcosa da scoprire

Febbraio 2020

L. Santini

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Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni

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DOVE TROVARE La Pagina

Info: 348.2401774 - 333.7391222 info@lapagina.info

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I Nostri Progetti

F. Patrizi

Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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La città sotto un unico tetto

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info

ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Marcello Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE Municipio; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo Via Gabelletta; CRDC Comune di Terni; IPERCOOP Via Gramsci; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo V. Frankl.

G. Raspetti

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BMP elevatori su misura OTTICA MARI CMT Cooperativa Mobilità Trasporti Tutti a “bagno nella foresta” A. Melasecche MEDICOSCIENZA ARCI Lu mercatìnu de l’antiquariàtu P. Casali AUDIBEL Apparecchi acustici Programma Associazione Culturale La Pagina Intervista a Sandro Alcini Invecchiare con cura A. Crescenzi La lesione del legamento crociato anteriore V. Buompadre Il vero e il falso del tumore al seno L. Fioriti Una buona salute intima G. Porcaro Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni Punto di riferimento per la terza età Villa Sabrina CASA MIA servizi residenziali Estetica Evoluta STELLA POLARE Simone Trebbi Contributo acquisto di parrucche per pazienti oncologici Coro Agape Corrado Pio Luciani Europa al bivio G. Porrazzini Umbria, i tempi della civiltà contadina A. Marinensi SHOAH: Ieri un incubo, oggi paura PL. Seri SIPACE Group RIELLO Vano Giuliano L'antica Umbria E. Squazzini Edilizia Collerolletta Attraverso il mio sguardo E. Grilli Cenni di buon senso urbanistico C. Santulli Alessandro Casagrande G-L. Petrucci Liceo Classico, GIORNO della MEMORIA 2020 Il letamaio V. Grechi ALL FOOD GENESI EFFICIENZA

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C’è sempre qualcosa da scoprire L’armonia delle stratificazioni

G Loretta SANTINI

iravo per Terni, come tante altre volte: guardavo i palazzi, le strade, i monumenti, le torri, le chiese, gli affreschi, tutto quello che avevo osservato e raccontato durante il mio lavoro di ricerca e poi di descrizione della città. Mi sembrava di conoscere tutto: la sua storia, le sue eccellenze, la sua evoluzione. Sbagliavo, perché non si finisce mai di conoscere la città in cui si vive, anzi c’è ancora molto da scoprire. Così mi sono sorpresa a osservare stili, cornicioni modanati e finestre timpanate, decori liberty, balconi e portali a bugnato, stemmi ed iscrizioni, fontanelle, particolari in ferro battuto e ceramica, dettagli architettonici, prospetti arditi, mura e lacerti di torri, resti di scalette e vecchi mardarelli, orti nascosti, vicoletti e piccoli cortili, tratti di opus reticulatum, monumenti di pietra di acciaio di acqua. Mi sono entusiasmata per le austere facciate di palazzi nobiliari, o per la geometrica razionalità degli edifici moderni, spesso curvilinei e in vetro a specchiare il cielo e, ancora, per la monumentalità delle costruzioni del periodo fascista come il Palazzo del Governo con i suoi marmi bianchi e il superbo loggiato. Inoltre le nuove piazze ridefinite là dove un tempo, prima dei bombardamenti, erano dei caseggiati: luoghi come piazza Europa, capace di raccontare una storia tragica disegnando un muro che ricorda quei caseggiati e realizzando una fontana incassata nella pavimentazione a ricordo della bomba che distrusse quello spazio. Ho ammirato il complesso del CAOS, non più relitto dell’ex-Siri -intatto è l’antico ingresso con le aquile poste alla sommità dei pilastri- ma sito di archeologia industriale riqualificato e divenuto luogo di cultura ove si custodiscono i tesori di Terni: quelli del Museo archeologico che racconta la storia antichissima di Terni, testimoniata dalle tombe del popolo dei Naharci che popolarono la piana ternana e quelli della romana

Interamna Nahars, splendido municipio romano. E ancora la Pinacoteca con i tesori di arte antica come la Pala dei Francescani e lo Sposalizio mistico di Santa Caterina di Benozzo Gozzoli o la sezione di arte Moderna e Contemporanea con i capolavori di due grandi artisti ternani come Metelli e De Felice, cui è intitolata la sezione. L’elenco potrebbe continuare perché c’è veramente da stupirsi solo se si ha la curiosità di osservare, di cercare, di continuare a indagare nelle pieghe della città. Quello che soprattutto mi sorprende è questa commistione tra antico e moderno, questa stratificazione di storie nello spazio urbano, questa sovrapposizione e interazione tra forme della tradizione e della contemporaneità. È l’armonia delle stratificazioni. Così mi piace definire questa immagine che Terni rimanda alla mia attenzione. Le possiamo leggere una a una, alcune più visibili, altre meno: sconosciute e solo reperibili al Museo archeologico quelle relative ai primi insediamenti nella conca; già più evidenti quelle di epoca romana (penso all’anfiteatro), ma decisamente leggibile l’impianto della città che, compreso entro le mura e le porte, connotò l’assetto urbano fino alla seconda metà dell’800. Poi la grande espansione urbana all’indomani dell’industrializzazione: poco prima c’era stata l’apertura della Strada Nuova che tagliò la città in linea retta per raggiungere la stazione di recente costruzione (1866), uno squarcio nei palazzi e nel cuore del centro storico. La nuova Terni uscì dalle mura, si espanse a macchia d’olio con quartieri popolari e residenziali, con strade che si incrociavano ad angolo retto e grandi piazze di raccordo. Poi i bombardamenti, ferite enormi nel tessuto urbano, vuoti tragici e irrimediabili. Infine la ricostruzione, il risanamento e, direi, l’abbellimento. Questa commistione di antico e moderno è memoria del passato e progetto del futuro. Il moderno -da pochi compreso e apprezzato- fa da contraltare ai monumenti del passato. L’obelisco di Pomodoro esalta la prospettiva di corso del Popolo e di Palazzo Spada; l’Hyperion di Miniucchi introduce la città moderna, la Torre della Bibliomediateca è una citazione contemporanea nell’antico Palazzo Comunale. Così per altre sculture o architetture che vivono accanto alle torri e alle mura della città medievale. Il fluire del tempo ha lasciato segni indelebili, contesti diversi. L’inserimento di elementi moderni nel tessuto urbano preesistente, non è una diminutio, è un arricchimento, perché il tempo passa, gli stili e le esigenze cambiano e vogliono essere rappresentate. A Terni antico e moderno convivono -e io credo in armonia- lasciando i nostri occhi a volte esterrefatti e increduli, comunque curiosi e, almeno per me, appagati.

Foto di Marco ILARI

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Politica è cultura e progetto Giampiero RASPETTI

“C’è speranza se questo accade al Vho offre ancora risposte e orientamenti validi al disorientamento di tanti insegnanti del nostro tempo: la scuola di oggi è chiamata a rispondere a nuove sfide, i bisogni dei bambini di oggi sono per molti versi differenti da quelli dell’Italia degli anni Cinquanta, eppure uguale è il loro bisogno di autentica felicità. A questo deve mirare una buona scuola”. Mario Lodi

C’è speranza se questo accade al Vho di Mario Lodi (prima edizione 1963) e Lettera a una professoressa di Don Lorenzo Milani (prima edizione 1967) erano libri che leggevo e rileggevo, insieme a tanti altri appassionati lettori, in tempi in cui librerie ed edicole pullulavano di giovani e meno giovani. Non era ancora tempo di apericena né, fortunatamente, di esiziali annunci politici davanti ad un mojito. Allora si era presenti fisicamente quando si faceva politica, gli uni davanti all'altro. Erano anche i tempi dei cosiddetti comizi, per effetto dei quali, subito dopo il loro termine, si iniziava a commentare, a discutere e a ridiscutere. Molti di noi si dilettavano parlando, fino all’ora di cena, di libri, di scrittori, di società e di politica. Aperitivi quasi mai essendo quelli, all’epoca, riservati, saltuariamente, solo a chi non aveva grande interesse per i libri. Cultura e politica erano vissute in maniera seria e consapevole, non come odissea dei nessuno di adesso che balzano fuori, freneticamente ed incessantemente, da ogni schermo, da ogni media, da ogni angolo, da ogni bettola. Le edicole oggi chiudono e nelle librerie difficilmente si fa crocchio per discutere. I libri di Lodi e di Don Milani hanno segnato una svolta nel mondo della educazione

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e della politica. Cominciò allora, ad opera di MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e CIDI (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti), associazioni alle quali mi onoro di aver dato la mia attiva partecipazione, una vera rigenerazione del fare scuola e del fare politica. Si cominciava a parlare di democrazia e di Costituzione anche nella scuola, processo ancora oggi in fieri che stenta ad affermarsi con pienezza. Così come il maestro Lodi pone al centro del processo di insegnamento/apprendimento l’esperienza dei bambini, ora la politica deve riporre al centro l’esperienza dei cittadini, il loro coinvolgimento, la loro voglia di reagire, la loro capacità di fare e di progettare. Proprio come Don Lorenzo ci insegnò che il riposo consiste nel cambiamento di occupazione, nell’alternarsi del fare, purché però sia sempre fare e non giocherellare, ora la politica deve rigenerarsi, distaccarsi totalmente da una partitica spesso solo nefasta e dare inizio al grande capitolo per cui chi ha cultura deve fare, deve produrre, deve incontrarsi e scontrarsi sui progetti, non sulle chiacchiere, a volte oggettivamente oscene. Accosto con molta difficoltà il mio libro I Diritti Umani nascono a Terni per opera di San Valentino, a questi dei due

grandi pensatori, ma mi faccio forte proprio per l'incipit che ho posto nel mio libro, in cui trascrivo la magistrale frase, ignorata per lo più, di Valentino di Terni, il nostro grande Patrono: Fides Christiana non tantum uerbis, sed et operibus demonstratur. Contano le opere. Chi non è in grado di proporre, non fa cultura, non fa politica, chiacchiera e cialtroneggia, all'interno della sua tana, la tanto bramata partitica o politica di parte, spesso quella stessa dei mammasantissima! Ecco allora la nuova politica, che non intende impantanarsi nel mare delle chiacchiere, delle critiche, di chi ha la battutina vincente o di chi ciarlatana meglio. Questa pseudo politica si lasci a chi non ha altre risorse che quelle della demagogia, della sollecitazione a barbari e primordiali istinti. Ci si salva solo nel fare, nell’esperire e poi nel rifare, nel produrre progetti, nel sentirsi, ognuno, artefice del proprio e dell’altrui destino. Non si può più delegare. Che ognuno si senta responsabile e sindaco, colui cioè che assicura legge, giustizia e quieto vivere. Ognuno attento al bene del luogo dove vive e dove cerca possano vivere bene i propri figli, ognuno solerte nel non delegare, agli altri o al fato, o zelante nel voler conoscere profondamente le virtù morali e culturali, non quelle acrobatiche, dei cittadini ai quali assegna la propria, eventuale, delega. Io mi impegno incessantemente e finanziariamente (anche se non potrei permettermelo), in solitudine, senza far parte di partiti o chiese, senza ringraziamento alcuno (se non dalla mia coscienza di uomo), anzi, sembra proprio, spesso, che io dia fastidio nel cercare di unire il territorio e nel far sì che Valentino possa essere conosciuto come Valentino di TERNI e come primo promotore dei diritti umani. Chiunque, studioso e amante della cultura e della storia, sappia, smentendomi, dimostrare scientificamente che gli assunti del mio libro non sono veritieri, sarà subito e per sempre il benvenuto. Aspetto con trepidazione, soprattutto per poter poi consegnare le sue verità, che diventeranno anche mie, in conferenza pubblica, alla intera cittadinanza. Grazie.

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Tutti a “BAGNO NELLA FORESTA” I

Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it

giapponesi lo chiamano shinrin-yoku, ma da noi è conosciuto come forest-bathing e letteralmente significa “bagno nella foresta”. Il governo giapponese ha coniato il termine nei primi anni '80, riconoscendone i benefici sulla salute e destinandovi, addirittura, fondi per la ricerca. Un articolo del 2012 pubblicato su Outside Magazine ha consolidato la popolarità della pratica negli Stati Uniti e oggi resort e parchi naturali offrono passeggiate basate sull’immersione nella natura. In una serie di studi del 2010, gli scienziati giapponesi hanno scoperto che quando le persone passano alcune ore in un ambiente naturale (foreste, parchi, ma anche luoghi con una grande concentrazione di alberi) vi è un aumento della funzione immunitaria (con incremento delle cellule che aiutano a proteggerci dai virus e dal cancro), con associata riduzione del cortisolo, ovvero dell’ormone dello stress, diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. Quindi, si allevia la depressione, si riduce lo stress e ci si sente più vivi. Poi, uno studio europeo ha evidenziato che anche solo vivere in un quartiere pieno di alberi, a parità di altre condizioni, ridurrebbe il tasso di mortalità degli abitanti del 16%. Il merito di questi benefici sarebbe da attribuire ai fitoncidi, i monoterpeni (i principali componenti degli oli essenziali) del legno degli alberi, i quali, oltre a rilasciare speciali sostanze nell’aria per proteggersi dall’infradiciamento e dagli insetti, porterebbero un beneficio diretto agli esseri umani. È infatti innegabile che, stressati ogni giorno dagli impegni di lavoro e familiari, sovraesposti tecnologicamente e

Da qualche anno il forest bathing è praticato anche in Italia dove di certo le foreste e le location green non mancano.

immersi costantemente nell’inquinamento delle nostre città, sia normale sentire il bisogno di immergerci completamente nella natura. Tre giorni di questa pratica danno grandi benefici: 3-4 ore al giorno nel bosco, alternando passeggiate a soste lungo i sentieri, producono effetti che si possono protrarre fino ad un mese. Se non si hanno a disposizione 3 giorni, 5 km in 4 ore producono comunque uno stimolo, seppur più limitato nel tempo, del nostro sistema immunitario con effetti che possono durare fino ad una settimana. Da qualche anno il forest bathing è praticato anche in Italia dove di certo le foreste e le location green non mancano. Molti sono nelle varie regioni i percorsi dedicati a questa rilassante pratica e nuove realizzazioni sono in corso, studiando le caratteristiche biologiche della vegetazione locale. Per i ternani non è necessario andare lontano, ad esempio, la recente riapertura del Parco storico delle Grazie può già soddisfare chi cerca una rapida immersione in un habitat lussureggiante senza andare fuori città. Chi vuole, poi, può entrare nel Parco Naturalistico della Cascata che, entro alcuni mesi, potrà essere raggiunto tramite il nuovo percorso di trekking che dallo Staino porta alla Cascata con scorci mozzafiato sul Nera. La nostra città ha comunque un patrimonio arboreo urbano importante, recentemente “rinvigorito” con oltre mille alberi che dalla prossima primavera potranno sviluppare nuove chiome. Il Progetto Terni Verde 2018-2023 è già in azione con risultati e prospettive interessanti. Sul sito www. terniverde.comune.terni.it è anche possibile donare un albero da dedicare a chi si vuole, un congiunto scomparso o un nipotino appena nato. La ricetta giusta in una città segnata da oltre un secolo di pesante industrializzazione? Insistere nella tutela del patrimonio arboreo, porre a dimora sempre nuove essenze e, nei parchi, che non mancano, dimenticare cellulari, computer, i-pad, lettori digitali, orologi tecnologici e lasciarsi conquistare in pieno dalla bellezza e dalla forza della natura.

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LA CITTÀ SOTTO UN UNICO TETTO I

Francesco PATRIZI

mmaginate di passeggiare per la città in pigiama e di incontrare i vostri vicini in pantofole, è esattamente quello che capita ai cittadini di Whittier, i quali vivono tutti nel Begich Tower Condominium, noto come “the city under one roof”, ovvero la città sotto un unico tetto, un gigantesco casermone di 14 piani comprensivo di ufficio del sindaco, stazione di polizia, ufficio postale, infermeria e minimarket. Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli USA installano una base militare in Alaska per contrastare i giapponesi, la base ospita 42 marines e resta operativa per 20 anni come avamposto anti-sovietico. Per le famiglie dei soldati viene costruito questo edificio di alta ingegneria che ha retto a un terremoto e a uno tsunami con onde alte 13 metri. Quando la base viene trasferita in Groenlandia, alcune famiglie decidono di

restare e accendono un mutuo collettivo per riscattare gli appartamenti. Nasce così questo comune unico al mondo che, ad oggi, conta 217 residenti. Il sergente David Schofield opera all’interno della cittàcondominio ed è al comando di un’unità di 5 poliziotti, le infrazioni sono poche, l’ultimo arresto ha riguardato un inquilino che ha rigato il SUV di una vicina perché il tanfo delle sue renne, che si trovano sotto le sue finestre, gli entrava in casa. Spiega a Marzio G. Mian (Artico. La battaglia per il Grande Nord, Neri Pozza 2018), che le regole a Whittier sono molto rigide, ad esempio è vietato baciarsi nei corridoi o gettare la marijuana (che si può coltivare in casa) nel water, c’è l’obbligo a turno di spalare la neve e di donare tempo ai vicini. Chi abita qui è per scelta una persona al tempo riservata e solidale, qui tutto si fa in comunità e tutti rispettano la privacy degli altri. Ci sono poi i 36 bambini che per andare a scuola senza essere sbranati dagli orsi polari e senza perdersi in una tempesta di neve, percorrono un tunnel sotterraneo. Dello spaccio alimentare si occupa il thailandese Chou Joe Shen, a lui tocca il compito di avvisare il sindaco, al primo piano, quando arrivano i lupi in cambusa. Ci sono mesi in cui la neve arriva al primo piano e nessuno mette il naso fuori, se c’è necessità, si può percorrere un tunnel ad una carreggiata scavato sotto al ghiacciaio dove il senso di marcia cambia ogni ora. D’estate, migliaia di turisti arrivano in nave, sono l’unica risorsa economica di Whittier. Il souvenir più venduto è la t-shirt con la scritta POW (prigionieri di Whittier), anche se qui nessuno si sente recluso, ogni famiglia è qui per scelta, ha le sue ragioni e se le tiene per sé, la riservatezza è la prima regola del posto.

SI EFFETTUANO CORSI DI PITTURA OLIO, ACRILICO, ACQUERELLO e CORSI DI FUMETTO PER BAMBINI

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COME NASCE UN CIRCOLO? “Siamo un gruppo di amici musicisti che vogliono suonare e provare, e invitare altri amici ad ascoltare, ma non sappiamo dove andare”. “Io e i miei amici vogliamo fare qualcosa di concreto per aiutare chi è in difficoltà. Vogliamo provare a impegnarci in prima persona… come possiamo fare?”. “Abbiamo la passione del cinema, vorremmo organizzare delle piccole proiezioni pubbliche e un ciclo di incontri. Ma come si fa a ottenere una sede?” Molte volte abbiamo risposto a queste e a tante altre domande. Ma cos’è un circolo? È un’associazione senza fini di lucro fra persone che vogliono promuovere insieme un’attività culturale, ricreativa, di solidarietà. E come funziona? Come nasce un circolo? Serve l’Atto costitutivo, che è l’atto di nascita dell’associazione, e lo Statuto che è l’insieme delle norme che regolano la vita del circolo, che valgono per tutti i soci. La tessera documenta l’iscrizione del socio al circolo e all’associazione nazionale, consente di partecipare alle iniziative e alle attività del circolo e dell’associazione di riferimento. L’affiliazione è l’atto di iscrizione e di adesione del circolo ad una associazione nazionale, nel cui statuto il circolo stesso si riconosce. L’assemblea è costituita dai soci del circolo, decide il programma annuale, vota il bilancio, elegge il consiglio direttivo. y Il consiglio direttivo predispone e applica il programma, elegge il presidente, esegue il mandato progettuale dell’assemblea. Il Presidente è anche, di norma, il legale rappresentante dell’associazione. y Il programma è l’insieme delle attività e delle iniziative decise dall’assemblea su proposta del consiglio direttivo; la sua realizzazione, al di là di tutte le definizioni giuridiche e teoriche, è ciò che qualifica veramente la natura del circolo. y Il bilancio è il documento che riporta i movimenti relativi alla gestione delle attività, alle spese generali, al tesseramento e presenta all’assemblea dei soci la situazione del rendiconto economico e finanziario obbligatorio per legge dal 1998.

Il socio in regola con il pagamento della quota sociale può partecipare alle attività del circolo; è inoltre facoltà del circolo consentire l’accesso ai soci dell’associazione nazionale cui esso aderisce. Quando non si può aprire un circolo? Un circolo non è un negozio o un bar, ma nasce dall’iniziativa di cittadini che, senza fini di lucro, si associano per sviluppare un comune interesse, quindi non ci sono “padroni” o “soci fondatori” (dotati cioè di diritti particolari). È invece possibile, attraverso le forme consentite dalla legge, lavorare in un circolo e ricavarne un proprio compenso in modo del tutto legittimo. Se crei un’associazione e aderisci all’Arci, troverai sostegno, consulenze, servizi, consigli: y consulenza (legale, fiscale, associativa) e formazione sulla normativa in vigore; y assistenza legale e servizi assicurativi UnipolSai (infortuni, R.C. e tutela legale); y sconti per soci e circoli (convenzioni); y convenzioni con SIAE e SCF (diritto d’autore e diritti connessi); y sostegno alla progettazione di attività culturali e di promozione sociale; y servizi bancari in convenzione con Banca Popolare Etica; y accesso al microcredito (bando di “Concorso per progetti e idee innovative”); y piattaforma di crowdfunding su Produzioni dal Basso (raccolta fondi online). A proposito di servizi, cosa cambia con la riforma del terzo settore? Aderendo ad Arci farai parte di una rete associativa nazionale prevista dal nuovo Codice

del Terzo Settore (D. Lgs 117/2017) che attribuisce importanti funzioni alle reti in termini di semplificazione degli adempimenti per i propri associati (iscrizione al Registro unico, adeguamento statuti, bilanci, relazioni di missione). Si può aderire all’Arci anche se si è già costituiti come associazione autonoma o si fa parte di altre reti? Sì, si può aderire all’Arci anche se si è già operativi. Contatta il Comitato ARCI di Terni e scopri i servizi dedicati, i progetti a rete, le opportunità per gli associati Arci. Insieme al Comitato verificherete la specificità della tua associazione valutando caso per caso come perfezionare la documentazione. E farai parte di un grande progetto associativo. Infatti l’Arci è una associazione di promozione sociale ed ente di terzo settore ai sensi del D.Lgs 117/2017, indipendente e autorevole. Con i suoi oltre 4.000 circoli e associazioni, costituisce un ampio tessuto democratico e di partecipazione. È impegnata nella promozione e nello sviluppo dell’associazionismo come fattore di coesione sociale, come luogo di impegno civile e democratico, di affermazione dei diritti di cittadinanza e di lotta ad ogni forma di esclusione e di discriminazione. I circoli ARCI sono la più grande rete di esperienze culturali di base nel nostro Paese, spazi aperti dove promuovere e produrre cultura, laboratori della creatività giovanile, protagonisti della riqualificazione dei territori con offerte culturali di qualità.

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Lu mercatìnu de l’antiquariàtu Quanno ho vistu che ppe’ Nnatale mi moje éa ‘pparecchiatu co’li piatti, de tutti li culuri, unu diversu dall’andru... j’ho fattu... Va bbè’ che cce sta la crisi ma pussibbile che non ciàvemo ‘n sirvizziu de piatti tutti uguali... che ffigura ce famo!?... e essa... Ma nun capisci gnènte... ccucì è ppiù scìcche e ppo’ so’ ttutti piatti ‘rtistici e ‘ntichi pure!... Da ‘llu momentu, parerà stranu, ho ccapìtu da ddo’ vinìvono tutte ‘ll’andre anticàje che cciànno rimpìtu casa... ‘n cintinaju de piatti co’ li gatti ‘ppiccati su lu muru... trenta madonnùcce... scatolette de carijònne... quaranta caffettiére ssussopre la credenza... spécchjitti che ‘n te cce poli mancu specchia’ perché dice essa che sso’ ‘ntichi... e ttuttu quistu è ccorba de quillu mercatìnu d’antiquariàtu che cce sta, lu secondu sabbatu e ddimenica de ‘gni mese, vicino a Pporta Sant’Angelu. Tuttu è ‘ncuminciatu la prima vòrda che cce semo ‘nnati ‘nzieme... sulu pe’ curiosità... dicéa essa. M’aricordo che ss’è subbitu ‘nnammorata de ‘na sedia... e mme fa... Che ne penzi?... e io... Pe’ mme... a vvedélla... te cce poli scalla’ llà lu camminu... ma mica stànnoce a ssede’ llà ddavanti... ma attizzànnoce lu focu... mancu m’ha cunzideratu ... ‘Lla sedia l’ho vista da ‘n antiquariu che ccostàa ‘n saccu de sòrdi...... facémo ‘n affare a ccompràlla risparambiànno!... J’ho dittu... Però mo’ me tòcca ‘ccommodàlla prima che ccasca a ppézzi. Da quella vòrda, facènnoje ‘ntènne chi ccommannàa, non ce l’ho ppiù portata. Me so’

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ppintìtu... perché pròpiu ‘stu Natale me so’ rrésu cuntu che ttutti li sabbati cià‘nnàa co’ l’amica sua e... l’unione fa’ la fòrza... ècco lu risurdatu. M’ero missu l’animu ‘n pace... e ppròpiu l’andru ggiornu ho ‘ncuntratu lu maritu de l’amica sua ch’è anche amicu mia e ‘na jacchiera tira l’andra semo ‘nnati a pparla’ de lu mercatinu e issu... Zzittu ‘n bo’... non ne pòzzo più de tutti ‘lli sirvìzzi de piatti... vasi vasitti... tazzine... doppi piattini che m’arporta a casa dicènnome che cco’ ttu’ moje hanno cunusciùtu unu che ccià ‘na bbancarèlla e... ssotto bbancu, je fa fa’ ‘n saccu d’affari... tutta robba de l’ottocento e... a essa je bbrìllono pure l’occhi quanno l’arpòrta. Semo furtunati de ‘avécce ddu’ moji ccucì risparambiàtrici e ssoprattuttu... cià dittu bbene che lu mercatinu lu fanno ‘na vòrda a lu mese!... Ciài raggione... però ce dicéa mejo se lu facevono ‘na vòrda l’annu!

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Paolo CASALI


• I NOSTRI PROGETTI •

VOGARE NEL SERRA

Paolo LEONELLI

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erni, oltreché città dell’acciaio, è, ancor prima, città delle acque. Acque del Nera e del Serra oltreché di tanti canali antichissimi, indispensabili per la irrigazione, e recenti, come forze motrici. All’interno della città, se le condizioni del Nera e delle sue sponde appaiono accettabili, anche se qualche interessante progetto vi si potrebbe sviluppare ripristinando l’antica, estiva, godibilità, quelle del torrente Serra risultano inaccettabili presentando, lungo tutto il percorso urbano, uno stato ed un degrado quasi di fogna. Riflettendo su questo stato dei luoghi e al fine di dotare la nostra città di servizi e bellezza si fa la seguente proposta. Realizzazione di una o più paratie che consentano un riempimento del canale, oggi pressoché asciutto, con le acque stesse del Serra o con altre di derivazione. Si renderebbe utilizzabile poi come luogo di sport acquatici quali canoismo e/o attività remiere, con piccole ed adatte imbarcazioni. Questa ludica funzione potrebbe essere arricchita con la realizzazione di piccole oasi di ristoro e di svago, oltreché con solarium. L’intervento avrebbe indubbiamente un impatto ambientale ed estetico di grande rilievo con un impegno economico, invero, davvero irrilevante.

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• I NOSTRI PROGETTI •

MADONNA VALNERINA

Giampiero RASPETTI

Un successo strepitoso

Vedi le cose e dici: perché? Ma io sogno cose mai esistite e dico: perché no?

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Bernard Shaw

a nostra terra è ovunque conosciuta come Cuore Verde d’Italia. È sicuramente Cuore Geografico del Paese, crocevia degli episodi, storici e culturali, più importanti che ne hanno segnato nascita e sviluppo. È Cuore Pulsante: l’umanità dei suoi abitanti e la purezza dei luoghi ne fanno la terra che ha donato al mondo il maggior numero di santi, i quali, a loro volta, hanno fecondato l'essenza spirituale di tutti noi. E Cuore Puro, come la cristallinità delle sue tante acque che arricchiscono una infinità di fiumi, laghi, cascate, fonti, rivoli, ruscelli. E le sue acque minerali e le sue terre, sedimentarie e laviche, che assicurano la più alta concentrazione di sali minerali al mondo. Le nostre sacralità ci inducono ad inviare al mondo intero così tanti messaggi di pace come nessuna altra regione della Terra. Messaggi di pace e relativi ai diritti umani significano anche la serenità nel vivere, la solidarietà, gli agriturismi, la cultura, l’arte, il rispetto per l’ambiente, la vita aggregativa, non competitiva. Tutto ciò trova corrispondenza nella quieta serenità del vivere qui, nella nostra Valnerina, cuore della VI Regio Augustea. Ogni pubblicità, presentata attraverso qualsiasi media, potrà emozionare solo di una inezia rispetto alla totalità delle sensazioni che si provano nello stare dentro a questa meravigliosa terra. Nella VI Regio Umbria, esattamente così la nomina Cesare Augusto nel settimo anno dell’era volgare (7 dC), vi è tutto quello che di fastoso la natura ha saputo dispiegare, una autentica aristocrazia culturale e molto del meglio che l’uomo abbia mai saputo generare.

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Anche in virtù di tali caratteristiche diventa la massima emittente al mondo che irradia messaggi di pace. Inviare messaggi per i diritti umani e per la pace significa altresì vivere sentimenti e valori come serenità, solidarietà, cultura, arte, rispetto per l’ambiente. Presenta poi, la nostra terra, altre straordinarie caratteristiche, in alcune delle quali è prima inter pares, in altre, importantissime, è prima assoluta al mondo. In questo giardino di dovizie, a volte seminascoste, a volte poco valutate, nessuno potrà mai esercitare concorrenza: su queste dobbiamo confidare e puntare. Ecco allora il senso dei miei progetti: grandi eventi, avvinti da tradizione storica e ricchezze ambientali, che ci facciano conoscere per esperienza diretta. Gli eventi dovranno, ovviamente, essere tutti coerenti, armonici, coniugati con l’immagine della regione che dovremo sempre più cristallizzare e far conoscere. Il 5 febbraio dello scorso anno, nell’incontro a Scheggino, ospiti dell’allora sindaca Paola Agapiti Urbani, oggi pregiatissima Assessora in Regione, in presenza di molti sindaci della Valnerina, compreso quello di Spoleto, esposi quanto sopra e aggiunsi l’elenco, e la ragione, di manifestazioni, progetti, concorsi che cominciano adesso a realizzarsi. Il primo: Concorso Madonna Valnerina. Il secondo Valnerina Illustre, l’esposizione cioè delle tematiche culturali, educative, sociali ed imprenditive del più grande ternano di tutti i tempi, Virgilio Alterocca, illustrate, con l’ausilio delle sue cartoline, in ben nove centri del nostro stupendo territorio, da Terni a Vallo di Nera. Di questa ultima manifestazione (1° maggio - 30 settembre 2020) parlerò compiutamente nel prossimo numero de La Pagina, non appena avrò celebrato la premiazione della prima, domenica primo marzo 2020. Si aggiunge a tali eventi il mio libro, I Diritti Umani nascono a Terni per opera di San Valentino, che getta nuova, potentissima, luce sulla vita di un grandissimo Vescovo e migliora, smisuratamente, la conoscenza di un santo di cui è quasi ignorata, nel mondo, l’esistenza della sua città, di nascita e di ministero. Gli studi con collaboratori di altissimo lignaggio culturale (Edoardo D’Angelo, Don Claudio Bosi, Miro Virili, Paolo Leonelli, Loretta Santini, Rosella Mastodonti) hanno evidenziato la possibilità di una nuova Terni e di nuovi, grandi, interessi per il territorio. La conferma, in seno al gruppo, di quanto già asserito e dimostrato dall’architetto Miro Virili, porta ineluttabilmente a poter disegnare ed organizzare, come è già nelle nostre cure, il Cammino con Valentino, cammino che unisce, percorrendo la sponda sinistra del Nera, Terni a San Valentino di Ceselli (Scheggino) per poi inoltrarsi verso il Cammino di Francesco, come già descritto nel numero de La Pagina di gennaio 2020.

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• I NOSTRI PROGETTI •

Il viso di chi rappresenterà, ogni anno, la Valnerina sarà “orribilmente bello” e dovrà suscitare emozioni capaci di evocare la forza e lo spettacolo della Cascata delle Marmore, il silenzio e le suggestioni dei borghi medievali, l’incanto delle acque, la purezza della natura. Nella Terra Sacra di Valentino, Benedetto e Francesco non dovranno insediarsi manifestazioni inadeguate come gare con motore inquinante, casinò per giochi d’azzardo, casinì per cocotte e puttanieri. Da evitare anche le Miss Femmina, i cui attributi fondamentali restano pur sempre quelli esteriori, la misura cioè di petto, fianchi… Questo non perché le misure anatomiche apportino vergogna, ma per il motivo che quando si parla di donna si parla di tutt’altra faccenda. L’etimologia della parola donna si riallaccia senza dubbio al latino domĭna (femminile di dominus), signora, padrona. Si noti che, mentre l’etimologia della parola uomo rimanda al latino humus (da cui i termini umanità e umile), al contrario, quella della parola donna esprime tutta l’importanza ed il potere che ebbe il matriarcato nelle antiche civiltà. La parola femmina, invece, tanto dalla radice sanscrita dha- (allattare), quanto dalla radice sanscrita bhu- (nutrire), rimanda al concetto di fecondità

Eremo di Sant'Antonio di Polino - Affresco rupestre

procreatrice. Nella Valle della ninfa Nera, nella terra dell’humus e dell’umiltà, di Valentino, Benedetto, Francesco e di tante altre grandi sacralità, ci sembra importante dare giusto rilievo e riferimento alla donna, al suo saper fare, al suo agire, a quei tanti elementi di superiorità che ha nei confronti dell’umile uomo. Vogliamo dunque fare biennale riferimento ad un viso di donna libero da misure, temporali ed anatomiche, ma vincolato all’intelligenza e all’amore per la vita di chi, nascendo femmina, ha saputo diventare donna. Unificare, questo nostro meraviglioso lembo di terra significa, dapprima, partire dal riconoscimento più alto e sentito che si possa assegnare alla nostra compagna di vita: cogliere, nel viso di chi rappresenterà ogni due anni la Valnerina, i suoi bagliori, i suoi silenzi, i suoi sapori, la sua musica, l’incanto delle acque. Quella della Valnerina è, per i suoi problemi storici e per le sue inespresse risorse, una “comunità che si cerca” e che prova a costruire un futuro comune. Una grande operazione di identità e di progetto ha bisogno di una icona che ne simboleggi il significato più profondo, con un messaggio che, oltre alla ragione, sappia parlare al cuore, al sentimento, alla fantasia. Madonna Valnerina, nella sua incarnazione reale e pittorica vuol rappresentare simbolicamente la forza generatrice della donna, da sempre percepita, nell’immaginario, come dea madre ed energia creativa della Terra degli umani. Saranno le due Madonne Valnerina (foto e quadro), una sorta di fonte d’ispirazione emotiva ed un segno distintivo di grazia e di bellezza che, evocando i caratteri meravigliosi della Valle della Nera, accompagnerà le sue genti nel percorso di rinascita e di sviluppo lungo il quale sono incamminate. Giacomo Porrazzini

I 30 quadri partecipanti al Concorso provengono da Terni. Soltanto tre foto, delle 240 del concorso fotografico, appartengono ad aspiranti Madonne di Terni, tutte le altre provengono da più parti del nostro Paese. Il successo della manifestazione è straordinario. Le donne effigiate in foto sono molto belle; la giuria si occuperà di valutare la più espressiva e, al contempo, la foto meglio scattata. Di certo però la giuria non potrà premiare le moltissime persone che, partecipando al concorso fotografico hanno (come da loro dichiarato in apprezzatissime telefonate al sottoscritto), voluto esserci proprio per l'idea stessa, per la filosofia, per il progetto che ho chiamato Madonna Valnerina. Quelle persone le "premio" io, dicendo loro della forza che mi hanno dato e mi danno per continuare a battermi per la nostra terra, le nostre Città, i nostri Comuni, le nostre frazioni, contrade, valli, pianure; i campi e le alture, le gobbe e le piane. E per necropoli, templi, città sotterranee, monasteri, abbazie, conventi, castelli, borghi, torri e muraglie: anche tutto questo siamo noi! Basta saperlo. Grazie.

Quadro fuori concorso di Maria Letizia Paiolo

10 febbraio - 1° marzo MOSTRA FOTO E QUADRI 1° Marzo Premiazioni presso Fondazione Aiutiamoli a Vivere Terni, Via XX Settembre 166 MENSILE A DIFFUSIONE GRATUITA DI ATTUALITÀ E CULTURA

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Eternità,

incontri per gli amanti della cultura, del bello, dell’umanità. Insieme perché ... ... abbiamo tutti bisogno di cultura, unica grande speranza ... è bello raccontarci favole vere ... è bello capire la scienza e sentire l’arte ... è bello stare insieme a tutte le età ... è bello fondare e inaugurare la nuova POLITICA. Ti invito a percorrere un po’ di strada insieme a noi. Per l’iscrizione basta un sorriso. Giampiero Raspetti

INCONTRI

AMORE PER COORDINAMENTO

GIOVEDÌ 20/2 16,00 – 16,50 17,00 – 17,50

Noterelle culturali: Iconografia Amorosa Poeti sconosciuto ai più

GIOVEDÌ 5/3 16,00 – 16,50 17,00 – 17,50

La città di Metelli Giulio Briccialdi, il virtuoso tra i virtuosi

Paolo Leonelli Gian-Luca Petrucci

GIOVEDÌ 19/3 16,00 – 16,50 17,00 – 17,50

Curiosità scientifiche Lo Sport è cultura, socialità, salute, turismo

Vittorio Grechi Benito Montesi

GIOVEDÌ 2/4 16,00 – 16,50 17,00 – 17,50

Letture di Classici Il teatro di Alberto Freddi

Lorenzo Segoloni Anna Maria Bartolucci

Anna Maria Bartolucci Marcello Coronelli

In riserva, nei casi di assenza del coordinatore, ci saranno incontri di Latino e Greco quotidiano tenuti da Giampiero Raspetti.

ATTIVITÀ FEBBRAIO 2020

Programma Associazione Culturale La Pagina 13 FEBBRAIO 2020 dalle 16.00 alle 19.00

Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7

I DIRITTI UMANI nella VIA DELLA SETA L’esperienza di due “RAGAZZI” ternani che hanno vissuto nel reale i Diritti Umani come predicati da San Valentino tra i popoli della Via della SETA.

MIRIAM VITIELLO Tutti i Lunedì

Corso di lingua INGLESE dalle ore 18.00 alle 19.30

presenta:

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11 febbraio 2020 h.15:30 Via De Filis, 7 Terni

Mar e Feb ore 15,30 Corso Gratuito BIMBI SICURI

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Feb ore 15,30 Sab Vittorio Grechi Curiosità Scientifiche

BIMBI SICURI E MANOVRE DI DISOSTRUZIONE DELLE VIE AEREE Sicurezza nella gestione quotidiana del bambino con esercitazioni pratiche sul manichino.

PER FINIRE CANTI E FOCACCIA CON I CANTORI DELLA VALNERINA Ingresso libero

I

Corso Gratuito aperto a tutta la popolazione tenuto da Istruttori Certificati

Cantori

della

Valnerina

Associazione Culturale La Pagina

Terni - Via De Filis 7 - Tel. 0744.1963037 - 348.2401774

Associazione Culturale La Pagina Terni, Via De Filis 7

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0744.1963037 393.6504183 348.2401774

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Edilizia Collerolletta una grande famiglia che onora la nostra città

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ell’entrare, per fare acquisti per la realizzazione della Mostra del Concorso Madonna Valnerina, rimango colpito dal numero delle auto e dei camioncini presenti nel cortile, nel piazzale esterno e nelle vie laterali, dal via vai di avventori e di tute blu, dal loro colloquiare, sereno seppur frettoloso, di gente che ha, certamente, pressanti impegni di lavoro. Raggiunto il reparto vendite materiali edili, vengo “servito” da Damiano, un giovane molto gentile che si esprime con un ottimo italiano, quasi a contrastare la durezza delle manifatture e dell’oggettistica esposta. Ascolta e mi serve puntualmente, ma, al contempo, dà anche disposizioni varie agli altri commessi di banco. Pensando che fosse il proprietario, mi sono rivolto a lui come tale. Risponde, però, che lui è un operaio come tutti gli altri. A questo punto, sempre seguendo una mia naturale inclinazione per trovare il buono e il bello e, magari, per esporne alcuni tratti nel mio magazine, domando chi fosse mai il creatore di un ambiente così ricco materialmente ed umanamente. Damiano chiede subito, senza sapere nulla di me e del mio impegno per La Pagina, se io voglia conoscere Sandro Alcini, proprietario e fondatore della Edilizia Collerolletta. Accolgo con vero piacere l’invito e dopo un primissimo incontro, in cui mi basta una sua frase (Grazie dei complimenti, ma se io sono bravo è perché tutti i miei operai sono bravi!) per sentire che dovevo proprio intervistarlo, mi trovo a parlare con Sandro,

per conoscere la sua azienda, la sua maniera di interpretare il lavoro comune, di gestire quell’insieme di persone che mi è subito sembrata una grande famiglia. Nel colloquiare con Sandro, trovo conferma di quello che il mio intuito suggeriva! Sandro è un operaio come tutti gli altri che indossa una tuta uguale a quella di tutti gli altri. È affabile, cortese, sorridente. Risponde alle mie domande con semplicità, ma con molta proprietà linguistica e logica. Ha cinquantacinque anni e lavora, 12 ore al giorno, ogni giorno, da circa quaranta anni. Infatti, dopo aver ottenuto la licenza media ed aver iniziato come meccanico di autocarri presso due ditte, comincia ad impegnarsi nella rivendita di legna da ardere di suo padre. Un primo ampliamento, frutto di lavoro durissimo, lo compie non ancora ventenne, dando avvio anche ad un magazzino edile solo con materiale pesante. Si unisce in matrimonio con Francesca Paris che subito definisce come grande risorsa -senza le donne, afferma, noi non saremmo niente!- non solo per la famiglia, ma proprio per le attività lavorative. Il settore amministrativo è infatti gestito da donne: Emy, la prima ad essere assunta, all’inizio dell’avventura, poi Desiré e Patrizia. Inizialmente privi di basi e di sostegni, i coniugi riescono a passare da un solo collaboratore operaio alla squadra completa di operai ed impiegati di oggi, senza effettuare mai un licenziamento. Questo Sandro lo dice con orgoglio e grande vanto, come se mostrasse un

blasone aristocratico. In realtà il lavoro, la dedizione alla moglie e alla figlia, ma anche ai lavoratori, la sua grande famiglia, rappresentano davvero una insegna nobiliare. Gli operai non sono solo operai, tiene a precisare, ma sono, tutti, anche miei amici. E me ne presenta uno, immediatamente, David Perni, forse, se ho ben capito, quell’uno degli inizi. Precisa poi che i suoi amici ogni 10 del mese ricevono la “paga”, regolare in tutto e per tutto: dovesse servire, dice, magari non mangio io, ma i lavoratori devono avere il loro mensile. Poi mi fa conoscere l’altra gemma di famiglia, la figlia Sonia (che scopro essere la compagna di Damiano), anch’essa quotidianamente al lavoro, sia nella gestione della Sala Esposizione, sia per la preparazione della futura vendita on line. Attualmente la loro Edilizia Collerolletta non è più solo rivendita di legna da ardere e magazzino edile, ma ha ampliato il proprio reparto vendite: finiture per arredo bagno, pavimenti, cucine da interno, infissi, riscaldamento, giardino, porte e finestre, forni, barbecue. Tutto gestito con naturali capacità e umane attenzioni. Spero che quanto scritto possa aggiungere un umile granello di sabbia al mondo del lavoro, che ha necessità di capacità, di educazione e gentilezza. Ma non bastano se non c’è cultura, quella che viene dalla terra, dalla base, dalla legna e dalla pietra, da chi ha lavorato e sudato. Ma anche tutto questo è niente, se non c’è umanità! GR

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INVECCHIARE CON CURA Dott.sa Alessandra

CRESCENZI

Medico chirurgo Medicina estetica

Terni: Servizi Sanitari via C. Battisti 36 - 0744.59513 Rieti: Nuova PAS - via Magliano Sabina 25 - 0746.480691

Quant’è bella giovinezza che si fugge, tuttavia…… Lorenzo De’ Medici il Magnifico

L’eterna giovinezza non si può avere, ma invecchiare bene, con consapevolezza… si può! Gli anni passano e lasciano il segno sul volto sia di uomini sia di donne, ma nel terzo millennio il medico estetico ha molti strumenti per attenuarli. La professionalità, un’accurata anamnesi del volto da trattare, l’utilizzo di materiali di ottima qualità, di fillers riassorbibili, possono fare miracoli. La menopausa, che inevitabilmente arriva, e lo stile di vita che si adotta modificano inesorabilmente l’aspetto del nostro volto. L’invecchiamento cutaneo fa parte del ciclo della vita e come tale va vissuto. L’educazione alimentare, da tradursi

in un’ottima dieta proteica, la disintossicazione del corpo con l’uso di drenanti naturali linfatici, renali, epatici e vascolari facilitano lo smaltimento delle tossine accumulate. L’attività fisica aerobica, continuativa, tutto l’anno per almeno tre volte alla settimana, permette di mantenere la saute psichica e fisica, ma anche quella del volto. L’assottigliamento delle rughe con peelings invernali ed estivi, all’acido mandelico, l’ottimizzazione del colorito e della texture della pelle rendono un volto sciupato di sicuro più luminoso, più fresco. L’idratazione è un altro fattore fondamentale per mantenere l’elasticità cutanea. Un’ottima crema idratante a base di acido glicolico da usare tutto l’anno, l’estate con l’aggiunta di un filtro solare fisico, insieme all’introduzione di almeno un litro di acqua naturale al giorno, frutta e verdura quotidianamente, tutto l’anno, possono fare tanto. Il ruolo del medico estetico allora quale è? È quello di facilitare quanto sopra espresso, ossia idratare dall’interno il

derma con fillers ’’su misura‘’. Oggi ogni volto può giovarsi di un filler a base di acido ialuronico quasi creato su misura. In commercio ci sono ormai da anni acidi ialuronici di ottima qualità, di diverso peso molecolare, fatti per ringiovanire il volto, il collo ed il decoltè nonché le mani, ma anche per sollevare rughe, pieghe e depressioni del volto, per ridisegnare uno zigomo cadente, un profilo del volto irregolare, costruire labbra morbide, in armonia col resto del volto. Non dobbiamo mai dimenticare che ‘estetica’ è sinonimo di ‘armonia’. Zigomi troppi alti, labbra spropositate, guance troppo voluminose rendono un volto disarmonico, quasi caricaturale. Un medico estetico di fiducia, qualificato per fare ciò, con anni di esperienza in ambulatorio e conoscenze scientifiche attuali, può fare dell’ottima medicina estetica e fidelizzare la o il paziente alleggerendo loro il peso degli anni. L’acido ialuronico di sintesi e non di estrazione animale, crosslinkato, in mani esperte può fare miracoli.

L’utilizzo di sostanze permanenti o semipermanenti da iniettare nel volto, dopo un iniziale boom, sono tornati più in sordina per le non rare complicanze anche a distanza di tempo. Un acido ialuronico già addizionato di una bassissima percentuale di anestetico, iniettato nel derma superficiale o più profondo, a seconda dello scopo del trattamento in atto, con ago indolore, di nuova generazione o con microcannula non tagliente ed indolore, può tranquillamente essere definito ‘lifting non chirurgico’ del volto a costi contenuti. Naturalmente la medicina estetica non è solo questo, ma molto di più. Il vostro esperto di fiducia saprà consigliarvi per il meglio. Buona medicina estetica a tutte e a tutti.

La lesione del legamento CROCIATO ANTERIORE del ginocchio L'articolazione del ginocchio è la più grande e complessa dell'arto inferiore; alla sua stabilità contribuiscono numerosi muscoli e numerosi legamenti, tra i quali i legamenti crociati, anteriore e posteriore, costituiscono il fulcro centrale. I legamenti crociati limitano rispettivamente lo spostamento avanti e dietro della tibia rispetto al femore. La lesione del legamento crociato anteriore (Fig. 1) è molto più frequente di quella del posteriore e si realizza per sollecitazioni in rotazione o iperestensione; questi meccanismi traumatici sono frequenti durante la pratica di alcuni sport come il calcio, lo sci, la pallacanestro, la pallavolo ed altri. Una volta lesionato, il legamento crociato anteriore non può guarire spontaneamente, quindi residua un'instabilità articolare soprattutto con la pratica di attività sportive, con i cambi di direzione ed il cammino su terreni irregolari. Tutto questo favorisce la lesione dei menischi, degli altri legamenti e della cartilagine e, conseguentemente, la progressiva usura dell’articolazione. La diagnosi di lesione del legamento crociato anteriore si basa sull'anamnesi che ci permette di capire la modalità del trauma e i sintomi che ha provocato e, soprattutto, su un accurato esame clinico che si avvale di manovre cliniche specifiche che permettono una diagnosi con elevata affidabilità. L'esame strumentale che ci permette di documentare

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la lesione del legamento crociato anteriore e le lesioni ad esso associate è la risonanza magnetica (Fig. 2). Il trattamento della lesione del legamento crociato anteriore è chirurgico nei soggetti giovani, per prevenire una precoce artrosi, ed in quelli meno giovani che hanno cedimenti e dolore. Il trattamento chirurgico consiste nel posizionare al posto del vecchio legamento un tendine o un legamento prelevato dallo stesso paziente. L’intervento viene eseguito sotto controllo artroscopico. Successivamente all’ intervento il paziente effettua un programma riabilitativo che ha lo scopo di recuperare progressivamente l’escursione articolare, la forza muscolare e la coordinazione. La ripresa dell'attività sportiva è in genere possibile tra i quattro e i sei mesi.

Fig. 1

Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport - Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri

www.drvincenzobuompadre.it

Fig. 2

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Il vero e il falso del tumore al seno Sono nove i falsi miti che ancora ruotano attorno a questa neoplasia, una fra le più diffuse patologie femminili.

FALSO Traumi e dolore sono fattori ritenuti responsabili dell’insorgenza di un tumore del seno. Ma si cade in un errore. In genere le forme iniziali non provocano dolore, ma è correlato alle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo mestruale e solo di rado, nello 0,4% dei casi, a lesioni maligne. Lo stesso va detto del dolore traumatico che è spesso la conseguenza (e non l’origine) della scoperta di una lesione in realtà già esistente. A questi fattori si uniscono altre quattro cause di ordine clinico, avvertite pericolose per lo sviluppo del tumore al seno: biopsie, mastopatie e protesi estetiche. La mastopatia fibro-cistica è una

nodularità diffusa in entrambe le mammelle ed è una condizione piuttosto comune, soprattutto fra i 25 e i 45 anni. Non influenzano lo sviluppo nemmeno le protesi estetiche, ma possono rendere maggiormente difficoltosa una diagnosi o l’identificazione di un nodulo. Nessuna preoccupazione per l’agoaspirato: in alcun modo favorisce la diffusione di cellule tumorali, ma al contrario è necessario per arrivare a una corretta definizione della natura della lesione. Non bisogna affidarsi nemmeno ai marcatori CEA e CA 15.3 per la diagnosi precoce in quanto l'aumento è solamente associato quando ormai la patologia è in fase molto avanzata. Senza fondamento anche due fattori di rischio associati ad abitudini personali

e stili di vita: non vi è alcuna evidenza scientifica che l'utilizzo dei deodoranti (o la depilazione ascellare) si correli allo sviluppo di un tumore al seno.

VERO Sono importanti un nuovo nodulo nella mammella o sotto l’ascella, un gonfiore del seno o di una parte di esso, una irritazione della pelle del seno o un arrossamento nella zona capezzolo. Dimensioni e forma del seno o un avvallamento del piano cutaneo o una deformazione del capezzolo sono sintomi da approfondire. Ma falsi (o veri) miti a parte, ciò che sempre si raccomanda è la diagnosi precoce e la prevenzione attraverso l’autopalpazione al seno e regolari screening ecografici e mammografici. Direttore Sanitario

Dott.ssa Lorella

Fioriti

Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria

UNA BUONA SALUTE INTIMA

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a vagina dovrebbe essere una delle parti del corpo con cui ogni donna ha più confidenza. In realtà non è proprio così per moltissime donne. Eppure la vagina è la grande alleata della vita sessuale di ogni donna, vale dunque la pena di conoscerne meglio le caratteristiche, ma soprattutto di sapere quali siano i nemici della sua salute. La vagina è un organo cavo, lungo 7-10 centimetri, più stretto all’ingresso e più largo verso il fondo, è molto elastica poiché deve permettere la penetrazione durante il rapporto sessuale e la discesa del bambino durante il parto. Durante il travaglio succede che i muscoli del pavimento pelvico e i legamenti che la mantengono nella giusta posizione nel basso addome possano perdere tono rendendola meno resistente e quindi più lassa. Questi cambiamenti interferiscono inoltre sulla corretta posizione degli altri organi determinando spiacevoli perdite urinarie.

Importante in questo caso è allenare il pavimento pelvico con esercizi specifici. La vagina è colonizzata da una flora batterica “buona” che la difende dagli attacchi di germi, virus e funghi provenienti dall’esterno. Per mantenerla in equilibrio ed evitare di contrarre fastidiose infezioni, occorre mantenere regolare anche l’intestino con una alimentazione ricca di fibre e povera di cibi raffinati e zuccheri ed evitare un’igiene esagerata delle parti intime. Bisogna prestare anche attenzione a infezioni più subdole che non provocano perdite sospette, ma che sono ugualmente a rischio per il benessere della vagina, soprattutto quelle provocate dai papillomi virus (o Hpv), che si trasmette attraverso i rapporti sessuali non protetti. Oggi è possibile proteggersi dal papilloma virus (responsabile di circa il 99% dei tumori del collo dell’utero) grazie al vaccino che, in Italia, è obbligatorio per tutte le ragazze in età prepuberale.

DR.SSA GIUSI PORCARO

USL UMBRIA 2 – Consultorio Familiare di Orvieto

Specialista in Ginecologia ed Ostetricia

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AZIENDA OSPEDALIERA Struttura Complessa Universitaria

Clinica Dermatologica

Direttore: Prof.ssa Manuela Papini Struttura Complessa Universitaria CLINICA DERMATOLOGICA Azienda Ospedaliera S. Maria di Terni

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a Clinica Dermatologica è presente nell’Ospedale di Terni come struttura complessa a direzione universitaria fin dal 1975, quando il Prof. Paolo Calandra, docente del neonato corso di Medicina e Chirurgia, rilevò e diede nuovo impulso al vecchio presidio dermo-venereologico ospedaliero. Dal novembre 1991 è diretta dalla Prof.ssa Manuela Papini. Compito istituzionale della Clinica Dermatologica è quello di diagnosticare e curare le malattie che interessano la pelle in ogni età della vita e le malattie a trasmissione sessuale. Negli oltre 40 anni di attività della clinica l’assistenza al paziente dermatologico è profondamente cambiata per i grandi progressi che sono stati realizzati nella diagnosi e nel trattamento di molte malattie della pelle. Patologie che un tempo non conoscevano cure efficaci possono oggi essere trattate con successo e i lunghi ricoveri ospedalieri sono divenuti un ricordo del passato. Gran parte delle malattie dermatologiche vengono attualmente gestite in regime ambulatoriale o al massimo in Day Hospital. Gli Ambulatori La dermatologia è una disciplina che spazia dalle infezioni e parassitosi cutanee alle malattie a trasmissione

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sessuale, dalle malattie infiammatorie cutanee (per esempio la psoriasi) a quelle che si inquadrano in importanti patologie sistemiche (per esempio il lupus eritematoso). Il dermatologo è inoltre lo specialista di riferimento per tutte le malattie su base allergica o reattiva che hanno sulla pelle le manifestazioni più rilevanti (per esempio la dermatite atopica, l’orticaria, le reazioni da farmaci) e per i tumori della pelle. Per questo l’attività ambulatoriale è molto articolata. L’Ambulatorio di Dermatologia Generale riceve, tramite prenotazione CUP, tutti i pazienti con problemi dermatologici che non siano stati inviati a specifici ambulatori di secondo livello (per es. quello dermochirurgico o quello allergologico). L’ambulatorio divisionale esegue anche visite per le malattie sessualmente trasmesse, che possono avvalersi, al momento della prenotazione, dei codici RAO di urgenza. L’inserimento di questi codici nell’impegnativa del medico curante permette di essere inseriti con codice U (urgenza da eseguire entro 3 giorni) oppure B (attesa massima 10 giorni). L’Ambulatorio di Dermatologia Allergologica e Professionale esegue quotidianamente visite allergologiche, patch test per le dermatiti da contatto e prick test per le allergie IgE-mediate. Le patologie di più comune osservazione in questo ambulatorio sono l’orticaria cronica, la dermatite atopica, le dermatiti da contatto e le reazioni da farmaci. La Clinica Dermatologica è inoltre un centro di riferimento regionale per la psoriasi e l’ambulatorio dedicato a tale patologia segue pazienti che provengono non solo dal territorio ternano, ma anche dalle aree limitrofe della provincia di Perugia e dal Lazio. La psoriasi colpisce il 3% circa della popolazione umbra e può essere molto invalidante e causare un rilevante deterioramento della qualità di vita. La nostra clinica dispone di tutte le professionalità e le attrezzature per il

trattamento della psoriasi e dell’artrite psoriasica nelle sue varie forme. In particolare, la clinica eroga prestazioni di fototerapia UVB-NB e UVA non solo per la psoriasi, ma anche per molte altre patologie che si giovano di questi trattamenti. L’ambulatorio dedicato di Fototerapia è aperto dal lunedì al venerdì ed è accessibile su richiesta specialistica. Una quota certamente molto rilevante dell’attività della Clinica Dermatologica è quella della struttura semplice di Dermatologia Chirurgica e Oncologica. I tumori della pelle, melanoma e nonmelanoma, ma anche linfomi e altri tipi di neoplasie sono in notevole aumento. L’ambulatorio dermo-chirurgico esegue visite di screening e controllo per i tumori della pelle, mappatura dei nevi in epiluminescenza e in video-dermatoscopia, interventi chirurgici ambulatoriali per l’asportazione di tali lesioni, trattamenti di crioterapia e di terapia fotodinamica. L’ultimo nato degli ambulatori dermatologici è l’Ambulatorio per le Malattie Rare della pelle, per molte delle quali la clinica è centro di riferimento regionale. Questo servizio accetta prenotazioni su richiesta diretta dei pazienti interessati o dei medici che li inviano per sospetto di malattia rara e, una volta accertata la patologia, fornisce la certificazione opportuna per l’esenzione dal ticket. Questo ambulatorio è coordinato in prima persona dalla Prof.ssa Papini e lavora in collaborazione con team multidisciplinari che possono garantire tutte le consulenze specialistiche e gli

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SANTA MARIA DI TERNI accertamenti necessari per la diagnosi e il monitoraggio dei pazienti. Le patologie di più frequente osservazione sono la neurofibromatosi e il lichen sclerosus, ma la struttura è accreditata per molte altre malattie rare, tra le quali la sclerosi tuberosa, le ittiosi, le malattie bollose autoimmuni. Per la diagnostica di queste ultime si esegue anche la capillaroscopia videoregistrata. In questo ambulatorio si fanno confluire inoltre le patologie rare dei capelli (alopecie cicatriziali) e delle unghie. I laboratori interni di Micologia dermatologica e di Immunodermatologia Questi laboratori forniscono un supporto indispensabile alla diagnostica specialistica dermatologica. Il laboratorio di Micologia esegue annualmente oltre 300 esami microscopici e colturali per la ricerca di funghi patogeni in squame, capelli e unghie. Questo tipo di indagine è indispensabile per la corretta identificazione dell’agente patogeno di micosi cutanea, soprattutto delle onicomicosi, che sempre più

frequentemente sono sostenute da funghi di importazione o da funghi opportunisti e possono richiedere trattamenti specifici in relazione al micete in causa. Il laboratorio di immunodermatologia esegue indagini diagnostiche per le malattie bollose autoimmuni, che sono ricomprese nel gruppo delle malattie rare. Attività di prevenzione e sorveglianza La Clinica Dermatologica è impegnata, anche in collaborazione con altre strutture aziendali, in attività di prevenzione e sorveglianza di alcune patologie ad alto impatto per la salute. La principale attività di prevenzione si esplica nei confronti del melanoma maligno e degli altri tumori cutanei. Altre patologie che rientrano nell’attività di prevenzione e sorveglianza sono le reazioni avverse a farmaci e le infezioni e parassitosi cutanee. Nei confronti di queste ultime è attiva anche la collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico di Umbria e Marche per il monitoraggio e la prevenzione delle infezioni cutanee trasmesse da animali.

Attività didattica La Clinica è sede degli insegnamenti di Malattie Cutanee e Veneree per gli studenti del corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e di Dermatologia per il corso di laurea in Scienze Infermieristiche e accoglie studenti, tirocinanti e laureandi, garantendone la formazione professionale e la preparazione delle tesi di laurea.

ÉQUIPE

Personale medico strutturato Prof.ssa Manuela Papini

responsabile S.C. Clinica Dermatologica

Dott. Fabrizio Arcangeli

responsabile S.S. Dermatologia Oncologica e Chirurgica

Dott. Paolo Morelli, Dott. Pier Luigi Bruni, Dott.ssa Michela Cicoletti, Dott.ssa Diletta Neve

Medici in Formazione Specialistica Lorenzo Cassiani

Assegnisti di ricerca

Ylenia Natalini, Ada Russo

Personale infermieristico

Marco Moscatelli, Vania Ottaviani, Viviana Pincini, Romolo Vitiello

Tecnico Laboratorio Fabio Ciliani

Servizio Fotografico Alberto Mirimao

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VILLA SABRINA

Nella struttura di Villa Sabrina Residenza Protetta (autorizzata dalla regione Umbria con delibera n. 11379 del 12/12/2003, accreditata con la Regione Umbria e convenzionata con ASL e Comuni) in un ambiente accogliente e confortevole, lo staff infermieristico e medico dedica tempo e risorse per aiutare l’Ospite, autosufficiente e non, a combattere la solitudine e l’isolamento dovuto all’età ed a vincere il disagio che alcune limitazioni psicofisiche posso creare nella gestione della vita quotidiana. Gli Ospiti sono in genere persone che hanno bisogno di assistenza ed aiuto nelle 24 ore per

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Punto di riferimento per la terza età

avere cura di sé, di riabilitazione e prestazioni sanitarie, nonché di incentivi a svolgere le attività utili al mantenimento ed al recupero delle proprie abilità cognitive, funzionali e motorie. Il personale della residenza protetta Villa Sabrina possiede una grande esperienza acquisita sul campo e mediante specifica preparazione professionale. Gli addetti all’assistenza seguono periodicamente, infatti, corsi di specializzazione per la mansione da svolgere. Vengono intrapresi, all’interno della Residenza, interventi di mobilizzazione e di recupero dell’autonomia psicofisica, terapia occupazionale e musicoterapia, attività che, integrate all’interno del piano di trattamento individuale dell’Ospite, concorrono a far evolvere positivamente il suo stato psicofisico. Quando il recupero non è quello sperato e gli handicap persistono, la struttura cerca di adeguarsi alle esigenze personali, riducendo al minimo il disorientamento di chi si trova

privato della propria autonomia. Il voler erogare servizi di qualità e l’attenzione da sempre rivolta alle necessità degli anziani, ha portato ad un particolare interesse ed impegno nell’assistenza agli anziani affetti dalla malattia di Alzheimer e da altre forme di demenza. È per questo che Villa Sabrina rappresenta il primo Centro in Umbria ad applicare un percorso completo di assistenza non farmacologica per i malati di Alzheimer, attraverso la realizzazione di una Stanza e un Bagno Snoezelen, una metodologia non farmacologica basata sulla multisensorialità. L’obiettivo delle terapie non farmacologiche è la riduzione di alcuni disturbi del comportamento con conseguente riduzione del carico farmacologico e quindi un miglioramento reale della qualità della vita dei pazienti.

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SIMONE TREBBI Simone TREBBI ph.simonetrebbi@gmail.com

“La fotografia è, probabilmente, fra tutte le forme d’arte la più accessibile e la più gratificante. Può registrare volti o avvenimenti oppure narrare una storia. Può sorprendere, divertire ed educare. Può cogliere e comunicare emozioni, documentare qualsiasi dettaglio con rapidità e precisione”. (John Hedgecoe)

Mi avvicino alla fotografia nel 2012 quando mi viene regalata la prima reflex. Inizio fotografando paesaggi poi, quasi per gioco, mi avvicino ad una fabbrica abbandonata e, guardando dentro, vengo magicamente rapito da quel “corpo” ridotto in scheletro da anni di abbandono. Inizia così la mia avventura di Urban Explorer (alias URBEX) e mi accorgo che l’abbandono è ovunque; scopro che quei posti che prima mi erano indifferenti, ora sono pieni di angoli e particolari che raccontano una storia. Gli stessi posti che ieri evitavo di guardare, perché specchio di una società in decadenza, oggi sono diventati fonte d’ispirazione. La curiosità mi ha spinto, nel corso degli anni, ad esplorare altri campi della fotografia, passando dalla street photograpy alla fotografia di moda e da ultimo allo still life con particolare attenzione al FOOD still-life. Ho esposto le mie opere in diverse mostre e, in particolare, ho presentato i miei lavori alle Mostre Collettive Il contemporaneo si svela (Maggio 2015) e Primo Anniversario di un progetto per il contemporaneo (settembre 2015) presso la “Galleria Farini Concept” di Bologna. Vincitore nel 2016 del contest ALMA MATER durante la Maratona Fotografica di Bologna. Nel marzo 2017 fondo l’associazione fotografica Kontrasti con sede a Pesaro per la promozione del movimento fotografico. I miei scatti sono raccolti nelle pagine Facebook Silent Shoot e Simone Trebbi.

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GLI URBEX Gli URBEX, Urban explorer, sono un gruppo di fotografi esploratori alla continua ricerca di luoghi abbandonati. Nelle rovine di vecchie fabbriche in disuso o tra gli scheletri di antichi muri, un tempo solide pareti di salotti in festa, cercano di fermare la vita, nel momento in cui s’è interrotta; di sottrarre all’oblio qualche illusione scintillante. Sulla superficie logora d’un tavolo ancora apparecchiato, in dolorosa attesa di un banchetto mai consumato, cercano tracce e segni. Le loro foto sono istantanee di vite naufragate, di esistenze sospese, di dimenticate laboriosità. Ma, per assurdo, raccontano una poetica vita pulsante. Offrono un riscatto, attraverso la loro arte, una possibilità di futuro. Il passato, per gli URBEX, rappresenta un robusto nutrimento. Il presente, il loro terreno d’azione. Il futuro, la terra da conquistare. Perché il responso del passato è sempre un responso oracolare: solo come sapienti del presente, come architetti del futuro, è possibile comprenderlo.

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CONTRIBUTO A SOSTEGNO DELL’ACQUISTO DI PARRUCCHE A FAVORE DI PAZIENTI ONCOLOGICI IN ATTESA DI RIFINANZIAMENTO REGIONE UMBRIA Legge regionale 28 dicembre 2017, n. 18. Art. 10 (Contributo a sostegno dell’acquisto di parrucche/protesi a favore di pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia) 1. La Regione Umbria riconosce ai pazienti affetti da patologie oncologiche lo stato patologico della perdita dei capelli in conseguenza di trattamenti chemioterapici connessi alle stesse patologie. 2. Ogni paziente oncologico residente in Umbria, affetto da alopecia a seguito di chemioterapia, ha diritto a ottenere dall’azienda unità sanitaria locale di riferimento un contributo di euro 300,00 per l’acquisto di una parrucca/protesi. 3. Per le finalità di cui al presente articolo è autorizzata per l’anno 2018 la spesa di euro 80.000,00.

Per evitare un ritorno all’inciviltà CHIEDIAMO A TUTTI I CITTADINI E A TUTTI GLI AMMINISTRATORI di sensibilizzarsi nei confronti di questo prezioso segno di rispetto della dignità umana e far sì che il sostegno regionale sia rinnovato (come in molte altre regioni Italiane). Si tratta di piccoli gesti capaci, però, di donare speranza! Grazie

Per ricevere maggiori INFORMAZIONI Hair Top Casa della Parrucca - Via Roma, 137 - 05100 Terni scrivere a info@parruccheterni.it o chiamare Cel. 377 2134577

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AZIENDA OSPEDALIERA SANTA MARIA DI TERNI

CORO AGAPE CORRADO PIO LUCIANI

L

’Azienda Ospedaliera S. Maria promuove, sostiene ed incentiva attività non solo di tipo sanitario, ma anche culturali, sociali e ricreative. Nel corso dello scorso anno, il 2019, il Circolo Dopolavoro Sanità ha festeggiato i suoi 50 anni di attività. All’interno di questa associazione è stato creato il Coro Agape con l'obiettivo di riunire persone amanti della musica in generale e del canto in particolare, che si dedichino alla divulgazione della musica, in senso solidale. La scelta del nome Agape vuole chiarire e rispettare il concetto ispiratore di solidarietà, nel senso di condivisione e vicinanza umana. Agape, infatti, è l’equivalente del vocabolo latino caritas. Nel febbraio 2017 il Coro Agape si riunisce per la prima volta, su spinta e volontà particolare del Dott. Corrado Pio Luciani, colui che ha fortemente creduto nel valore spirituale della musica. Stefano Borghetti, responsabile e rappresentante del Circolo Ricreativo Aziendale per le attività del coro, ricorda: “Corrado Pio, un collega prima ed un amico poi, ha proposto questa attività corale con forza e convinzione ed io ho apprezzato molto il suggerimento, sostenendolo a livello dirigenziale. Sono, infatti, convinto del valore della musica e dei suoi effetti sia sulle persone che la eseguono, che su quelle che l’ascoltano. Non solo, pertanto, un effetto rilassante e rasserenante, ma addirittura “terapeutico”. La musica non ha solo la capacità di agire con effetti benefici sul corpo e sulle sue funzioni, ma anche di modificare la psicologia e la sfera più intima della persona, con evidenti miglioramenti. Anche i coristi, come in questo caso, persone dedite nella vita a tutt’altro, sentono gli effetti benefici della musica quando vi si avvicinano. Visto che la realtà in cui ci troviamo è di tipo sanitario, ecco che l’iniziativa viene destinata ai malati, ai loro familiari ed a quanti frequentano l’ospedale, assumendo un chiaro valore solidale. Corrado Pio “reclutava” un congruo numero di persone desiderose di aderire all’iniziativa. Non invitava solo persone conoscitrici della musica o con esperienze musicali; la sua attenzione era rivolta al desiderio di ciascun aspirante di offrire

il proprio impegno nel rallegrare le persone sofferenti, permettendo loro di rasserenarsi per il tempo di un concerto. Inizialmente il coro si riunì in un locale della Chiesa di San Lorenzo, gentilmente messo a disposizione dalla Comunità di Sant’Egidio, nelle persone della Dr.ssa Maria Grazia Proietti e del Dr. Gradoli Claudio, che si vuole ringraziare ulteriormente anche in questa sede. Successivamente, in considerazione del crescente numero di adesioni, le prove del coro furono spostate in un’aula del centro di Formazione Aziendale. La direzione del coro fu affidata alla Soprano Cristina Paolucci, apprezzata cantante di musica lirica presente in numerose manifestazioni sia in Italia che all’estero. Attualmente l’artista svolge attività concertistica da solista, oltre a dedicarsi all’attività di insegnamento nella scuola pubblica e di direzione del coro Agape. Oggi il coro è costituito da circa 30 unità suddivise in 4 sezioni: Bassi, Tenori, Contralti e Soprani che cantano generalmente senza il sostegno della musica strumentale. Tuttavia, nei brani che lo richiedono, l’accompagnamento musicale avviene sia su repertorio sacro che profano a cura del pianista Simone Alicata, che vanta notevole esperienza anche come tastierista con gruppi rock e blues e come compositore e arrangiatore di musiche di scena per numerosi spettacoli teatrali. Il repertorio include prevalentemente brani a carattere religioso (come Ave Verum Corpus di W.A. Mozart), ma anche colonne sonore di film (ricordiamo Gabriel’s Oboe di E. Morricone), musiche tradizionali italiane e non solo, brani di musica pop moderni e contemporanei. Particolare attenzione è stata data ai brani per bambini, per poter intrattenere il giovane pubblico della Pediatria. Il coro si è esibito numerose volte in pubblico, sia all’interno della struttura ospedaliera (nella Cappella tenuta da Padre Angelo Gatto, presso il reparto di Oncologia, presso il reparto di Pediatria), così come nei locali della ASL n.2 di via Bramante; la festa dei Nonni è diventata ormai una tradizione condividerla con gli ospiti della residenza protetta di Collerolletta. Il coro ha tenuto numerosi concerti per beneficenza in tutta la provincia: al Teatro Manini di Narni per il reparto di Oncoematologia, nella Chiesa di San Francesco di Terni per “Una culla per la vita”, presso il Teatro Secci per il 50° anniversario del Circolo Dopolavoro Sanità di Terni a favore dell’associazione “I Pagliacci”; ha preso parte a rassegne di corali presso alcune chiese cittadine (San Valentino, San Cristoforo). Più volte il coro è stato ospite del Comune di Stroncone, così come a Collestatte; una serata del Fat Art Club presso il CAOS è stata dedicata al Coro Agape. Agape, come amore verso l’altro.".

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EUROPA al BIVIO L

Giacomo PORRAZZINI

a nuova Commissione Europea, sotto la Presidenza di Ursula Von der Leyen, si è, giustamente, proposta di far giocare all’Unione Europea un ruolo “geopolitico” cioè un ruolo da protagonista nella difficile realtà del mondo “globale” di oggi. Questa ambizione si è dovuta misurare, in questo periodo, con due eventi internazionali enormi, come l’assassinio del generale iraniano Souleimani, da parte degli USA, che può, ancora, aprire impensabili scenari di guerra mondiale, e come la guerra fra fazioni libiche che, aldilà della fragile e parziale tregua attuale, sta portando quel paese oltre l’orlo di una tremenda guerra civile; mettendo a rischio vite ed interessi italiani grandissimi, a partire da campi petroliferi e oleodotti gestiti dalla nostra ENI. Un tesoro a cui puntano le manovre di Erdogan e Putin e persino quelle di Macron. La conferenza di Berlino, sulla tregua in Libia, sembra avere dato uno stop a queste manovre in Libia. Il Governo italiano chiama l’Unione alle sue responsabilità, ma non può ignorare che i Trattati europei in vigore non prevedono l’attribuzione, da parte degli Stati europei, di una vera politica estera e di una politica di difesa comune in capo alle Istituzioni comunitarie dell’Unione. Non a caso, a Berlino, la protagonista è stata la signora Merkel, non la signora Von der Leyen. Questa carenza ed il ritardo nel porre mano alle necessarie riforme dei Trattati sta facendo pagare all’Europa, al suo ruolo ed ai suoi interessi, nello scenario internazionale, un prezzo enorme e non più sopportabile. Le diverse iniziative dei singoli paesi, anche dei più grandi come

Il Governo italiano chiama l’Unione alle sue responsabilità

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Francia e Germania, non hanno alcun peso reale in un mondo dove, soprattutto per responsabilità del presidente americano Trump, si è andato sostituendo al multilateralismo, basato sulle “armi” della diplomazia e del compromesso e della cooperazione, un modo muscolare ed unilaterale di affrontare le crisi internazionali; un modo che non può che sfociare nel ricorso al confronto militare ed alla violenza, come testimoniano anche le iniziative della Russia di Putin o della Turchia di Erdogan. Credo sia legittimo chiedersi quali siano le ragioni profonde della debolezza strategica europea, sia di visione, sia di concreta capacità d’intervento. Alcuni chiedono che l’Unione si doti rapidamente di due grandi e forti braccia come una politica estera comune ed una difesa comune affidata ad un esercito europeo. La domanda è se queste braccia possano svilupparsi su un corpo fragile (Brexit insegna), che ha come colonna vertebrale solo la moneta comune ed il mercato unico. Quelle braccia capaci di farci stare nel mondo da protagonisti, come europei, ha bisogno anche di altro; di una integrazione politica più forte, con cessione di sovranità nazionali e non di un loro rafforzamento, come ora va di moda; di una politica di bilancio comune (che non si limiti a dare i voti a quelli che devono fare “i compiti a casa”, per ridurre debito e deficit, ma che affronti la sfida inedita dello sviluppo comune e sostenibile); di una politica fiscale comune, che cancelli lo scandalo della concorrenza fiscale tra paesi europei e di veri e propri Paradisi fiscali di cui profittano le grandi multinazionali per non pagare le giuste tasse nei paesi europei dove lucrano profitti. Il percorso di costruzione di una forte identità europea non può limitarsi al richiamo delle fondamentali radici culturali europee (ellenismo, ebraismo, cristianità) ma deve far leva sulle concretezze di una vita economica e sociale condivisa sino in fondo e su un grande progetto di nuovo sviluppo e benessere “giusto” per i popoli ed i cittadini europei; il green new deal, ovvero lo sviluppo sostenibile per l’Europa e per il Pianeta su cui sono impegnati la nuova Commissione ed il Parlamento europei è una grande speranza; ma anche questo sarà un esercizio duro e difficile che un corpo gracile non riuscirebbe a fare. Non è più tempo, come diceva qualcuno, non tanto tempo fa, di “pettinare le bambole”.

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Ci furono una volta, in Umbria, i tempi della civiltà contadina L Adriano MARINENSI

e scuole elementari le ho frequentate a Penna in Teverina, uno dei caratteristici borghi dell’Umbria, poco distante da Amelia, in provincia di Terni. In quell’epoca e, ancor più, in quel luogo, quasi estraneo era il cemento armato e invece assai presenti le architetture spontanee, tipiche degli antichi costumi legati alla ruralità. La dagherrotipia di quella Penna, collocata nel tempo a cavallo della mussoliniana guerra mondiale, me la ricordo così: nella parte vecchia, le case allineate, in una sorta di mutua assistenza edilizia, scure, disadorne, due piani al massimo, con le brevi scale d’accesso e il ballatoio spesso fiorito, non poche affollate da più generazioni. Si entrava nel mezzo attraverso l’arco in cima al quale batteva l’orologio con i numeri romani. In fondo, il belvedere e l’affaccio su una vista stupenda, verso la Valle del Tevere. Quell’orologio scandiva le ore per orientare i ritmi quotidiani. Il resto del tempo era regolato dalle albe e dai tramonti, con il gallo a fare da sveglia. Entro i trimestri delle stagioni, delle mietiture e delle vendemmie, nella buona e nella meno buona sorte, il lavoratore agricolo “programmava” il suo impegno nei campi. Gravosa era la cura delle coltivazioni, del pollaio, della stalla, posta sovente sotto l’abitazione a far da coadiuvante al riscaldamento del camino. Le semine e soprattutto i raccolti, con la speranza che fossero copiosi, pur se spartiti con il padrone della terra in mezzadria. La fatica no, quella era a carico dello zappatore. Principale ausilio del lavoro l’aratro, trainato dal “pio bove” di Carducci. La morte del’asino da soma o della vacca da latte diventava quasi una disgrazia in famiglia. Vigeva “l’autarchia rusticana”: la vigna dava il vino, prima il mosto ricavato pestando l’uva con i piedi e il torchio che -scampanellando in ottobreforniva l’esausto per il “raspato”, lontano parente del vino e cugino stretto dell’aceto. Il campicello procacciava gli ortaggi, gli alberi fornivano la frutta, i minuscoli oliveti l’olio. E i gelsi le foglie per allevare i bachi da seta, con i quali qualcuno tentava di “differenziare” la produzione dell’esiguo reddito. Il timor di Dio stava riposto in una fede genuina, che aggiungeva carattere umano alla comunità e corale partecipazione ad ogni tristezza singola. Il Parroco don Antonio, cercava, a suo modo, di tener desti i sentimenti di fratellanza. Me lo raffiguro ancora, somigliante al manzoniano don Abbondio (coraggio escluso). Sant’uomo, don Antonio, frequentava i suoi fedeli

parrocchiani, dando loro un punto di riferimento non soltanto religioso. Gli altri “personaggi”, meritevoli del buon giorno scappellato, erano le due insegnanti (una sorella della madre mia), il rigoroso maestro, insieme al bottegaio di antica famiglia e ad un paio di blasonati che mai ebbi il gusto d’incontrare, ritirati com’erano nei loro manieri. Festa grande della devozione, la Processione in primavera, quando, con i petali rossi dei papaveri, gialli e verdi della ginestra, si allestiva il pavese. Mi sovviene dei vecchi (ch’erano vecchi quando neppure anziani e senza pensione) che, rubando qualche raggio al sole, se ne stavano seduti sopra la panca di pietra, il sorriso raro e rugoso, il bastone mantenuto tra i piedi: quei veterani della terra parevano personaggi crepuscolari, immagini di un anonimo viale del tramonto. Testimoni smarriti del campare al borgo, dove sovente la saggezza si ritrovava racchiusa nei proverbi e conservata dentro l’archivio dell’esperienza. La falce mieteva il grano e il martello batteva l'incudine: era però il tempo durante il quale, se gli attrezzi del mestiere (falce e martello) li disegnavi insieme, non la passavi liscia. Per le strade sterrate, soltanto carri agricoli; nessun frastuono s’udiva nell’aria ancora tersa e salubre. Il corso scolastico andava dalla classe prima alla quinta, ma non tutti lo completavano per non sottrarre braccia all’agricoltura. Al compagno di banco piaceva il mio pane e cioccolata e a me la sua pizza cotta sotto la cenere: sovente si faceva il baratto, per la soddisfazione di entrambi i palati. Sul “certificato di studi”, rilasciatomi in terza elementare -conservato in cornice al pari della foto, un po’ pagliaccesca, di “figlio della lupa”- ci sono una sequela di voti attestanti la qualifica di ragazzino giudizioso. Per esempio, buono in aritmetica e contabilità; così pure in “lettura espressiva e recitazione”. Fui qualificato addirittura lodevole per “rispetto dell’igiene e cura della persona”. A dirla tutta, un altro buono si nota in pagella, alla voce “lavori donneschi e manuali”. Boh! Si andava in classe con il grembiule nero, il colletto bianco e il fiocco azzurro. A corredo delle aule stavano la lavagna (unico strumento di ausilio didattico) e la stufa rossa di coccio a più ripiani; sulla seduta a due posti, in alto a destra il calamaio, colmo di (dannosissimo) inchiostro. La “struttura sociale” era arcaica e il campare un po’ pesante, però senza le odierne frenesie urbane. All’insegna della pace sociale e della civile convivenza.

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SHOAH: Ieri un incubo,

oggi paura Q Pierluigi SERI

uindici anni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di istituire il Giorno della memoria e la scelta cadde sul 27 gennaio, giorno in cui nel 1945 l’Armata rossa liberò il campo di Auschwitz. Quel lager da allora divenne qualcosa di più di un luogo di morte, di sofferenza, di sterminio. Divenne il simbolo della Shoah che in ebraico significa Tempesta, conosciuto anche come Olocausto che vuol dire sacrificio supremo e che non è certo la traduzione letterale. Non fu la prima macabra scoperta, già nel 1944 i sovietici scoprirono le macerie di Treblinka (900 mila morti). È giusto ricordare che la parola “liberazione”, tanto decantata ai quattro venti, è del tutto inappropriata in quanto nel suddetto lager da liberare restava ben poco. Solo duemila prigionieri, mentre ben 65mila furono in fretta e furia trasferiti dai tedeschi verso altri campi più ad ovest: la cosiddetta Todesmarsche, Marcia della morte in cui perirono 15mila internati. Vorrei porre l’attenzione su alcuni problemi riguardanti modi e conseguenze che trasformarono in simbolo un luogo maledetto. Fu proprio l’ONU, organizzazione di stati sovrani, ad istituire la ricorrenza del 27 gennaio; da quel momento la Shoah è diventata un affare di stato riguardante presidenti, primi ministri, parlamenti. Infatti nel Giorno della memoria ad Auschwitz arriveranno i monarchi di Olanda, Spagna, Svezia. Il 23 gennaio a Gerusalemme è prevista la presenza di oltre quaranta capi di stato. Parleranno i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici della II guerra mondiale, oltre a quelli di Germania ed Israele. Sarà assente il presidente polacco. Motivazione: parlerà Putin, non lui. Tra Russia e Polonia c’è un contenzioso circa le cause di quella guerra. Allora mi domando: che senso ha questo? Ha senso che i politici dicano “mai più” poi vendono armi, facciano guerre, neghino i diritti ai rifugiati? Purtroppo non fa meraviglia che gli stati vogliano impossessarsi della memoria, rivendicando Auschwitz e il simbolo. È una sorta di feticismo che si esprime in commemorazioni più trite e banali, invece viene meno il compito di ricordare, col risultato di provocare un’amnesia collettiva. Viene sbandierata ai quattro venti la pietà della memoria. Questa gara tra stati avviene in quanto nella nostra cultura alla figura del vinto è stata sostituita quella della vittima. Oggi sono proprio gli stati europei ad accampare questa pretesa vittimista. Non bisogna poi dimenticare che il rapporto che i vari stati hanno nei confronti della Shoah è diverso a seconda della storia di ognuno. Esempio: il rapporto che la Germania ha nei confronti dello

Non fa meraviglia che gli stati vogliano impossessarsi della memoria, rivendicando Auschwitz e il simbolo.

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sterminio è molto differente da quello dell’Italia. Esiste un altro tema molto importante, quello della memoria condivisa e memoria divisiva. Si tratta di due cose molto differenti. Condivisione non significa uniformità. La memoria di quanto è accaduto non sarà mai la stessa, per esempio un conto è quella di un protagonista della rivolta del ghetto di Varsavia, un conto è quella di un poliziotto nel ghetto. Le narrazioni dei popoli divergono e divergenti sono gli usi che se ne fanno. La memoria quindi per sua natura è divisiva. C’è differenza tra chi è stato testimone diretto della Shoah e la generazione nata dopo che ne ha solo sentito parlare o studiato sui libri. I testimoni stanno scomparendo, ne rimangono pochi e preziosi, Liliana Segre è uno di questi. È molto difficile trasmettere alle generazioni future il ricordo. Allora torniamo a quanto detto prima: il feticismo della memoria ha provocato un’amnesia collettiva. In Italia, in Germania, in molti paesi dell’Est, l’antisemitismo aumenta, tanto che anche Papa Francesco lo ha duramente condannato nell’udienza del mercoledì. Le cause sono molteplici: poco studio, poca riflessione e carenza di dibattito pubblico. L’ignoranza arrogante della storia è il vero male oscuro dei nostri tempi, la reale radice del pericolo. È stata sempre l’ignoranza delle masse il serbatoio di benzina con cui i dittatori hanno incendiato il mondo! L’altra componente che ha dato man forte all’ignoranza è stata l’indifferenza dei più i quali o per egoismo o per viltà non si sono opposti, hanno semplicemente lasciato fare, girandosi dall’altra parte! Un mio lontano zio, privato della cattedra nel 1938 perché ebreo, era solito dire: In quei giorni non avevo paura della violenza di pochi, ma dell’indifferenza dei più! Spesso si crede che l’antisemitismo sia una forma di razzismo, ma questo semplifica il problema. Si dimentica che l’antisemitismo attinge dall’antiebraismo cristiano. La Shoah non ha spinto a conoscere la storia dell’ebraismo. Ogni anno si organizzano i viaggi della memoria, iniziativa lodevole sotto ogni aspetto, ma c’è il rischio che si punti solo sull’emozione, affievolitasi la quale, tutto venga dimenticato. Invece è importante riflettere e studiare prima e dopo l’esperienza del viaggio. Bene quindi le “pietre di inciampo” che i consiglieri del Comune di Schio, hanno a maggioranza bocciato perché “divisive.” Inciampare nella memoria è necessario. Conservare i ricordi belli ci aiuta a vivere meglio, ma, ogni tanto ricordare le cose orribili è utile perché l’unica cosa che possiamo fare per le vittime, a cui nessuno può ridare la vita, è ricordarsi di loro. Concludendo, la lezione che possiamo trarre dalla Shoah è che non possiamo permettere che migranti anneghino in mare o bambini muoiano nei carrelli degli aerei. Verità e Giustizia per Giulio Regeni

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Viviamo in un mondo che cambia Un Laboratorio di Ricerche per conoscere meglio

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accogliere i dati che consentono l’incremento delle conoscenze di un territorio e delle sue trasformazioni, sempre profonde, che avvengono col trascorrere del tempo è un’attività fondamentale. Quasi sempre questa attività di ricerca permette di portare alla luce aspetti di cui prima non si sospettava l’esistenza. In secondo luogo, la disponibilità di nuovi elementi e testimonianze rende possibile, soprattutto per coloro che ci vivono, conoscere più approfonditamente le caratteristiche del proprio territorio. Spesso si ha la possibilità, per esempio, di calibrare meglio le modalità con cui i paesaggi, gli ambienti e le condizioni climatiche hanno subìto modificazioni nel corso del tempo fino a che si determinassero le condizioni attuali. Quest’ultimo aspetto attualmente tende ad assumere grande rilevanza allorché ci troviamo ad affrontare direttamente, ognuno sul proprio territorio, gli effetti non trascurabili di un riassetto delle dinamiche climatico-ambientali a livello globale. È ormai opinione scientificamente consolidata che tale andamento emerga come conseguenza di una condizione anomala in atto: una modifica repentina degli assetti chimici dell’atmosfera in netto contrasto con gli usuali tempi di reazione ambientale. Questa insolita pressione verso un drastico cambiamento, si concretizza nelle eccessive concentrazioni di alcuni gas derivanti dalle molteplici e frenetiche attività dell’uomo. A ciò si uniscono ulteriori anomale concentrazioni, di analoga provenienza, di altre sostanze sia sulla terraferma che nelle acque superficiali, sia dolci che salate. Questa condizione attuale costituisce un serio e pesante impatto sul funzionamento dell’ecosistema e fonte di importanti disequilibri nella dinamica terrestre. In sostanza abbiamo superato un limite di tollerabilità. Ma il problema più spinoso è che, oltre a costituire un fattore inedito nella storia della Terra a causa della sua entità, questo “sforamento” non è controbilanciato, da parte dei responsabili, da una conoscenza delle dinamiche naturali tale da consentire una benché minima previsione degli accadimenti futuri. Qui risiede l’importanza, e al punto in cui siamo l’urgenza, di una conoscenza profonda della storia naturale del proprio territorio e delle sue dinamiche evolutive. È, infatti, del tutto evidente che in questa “conoscenza locale” si celi la chiave interpretativa dei meccanismi di funzionamento dell’ambiente in generale, oltre che una possibile presa di coscienza individuale del “danno” provocato. Inoltre, va da sé che una migliore comprensione delle dinamiche evolutive del proprio territorio, cioè capire un minimo come funziona, potrebbe ampliare gli orizzonti della comprensione del meccanismo globale fornendo elementi utili ad immaginare gli sviluppi delle dinamiche future. Certamente obiettivi non banali, ma il tempo stringe… A tale scopo, di recente sono state promosse le attività di un laboratorio di ricerche paleoambientali nel cuore della Valnerina, presso l’abitato di Polino. Fra gli obiettivi della struttura vi sarà quello di coordinare tutta una serie di dati, raccolti negli ultimi anni in questo territorio e in aree limitrofe, con altri emersi da indagini recenti sull’evoluzione di questo settore dell’Appennino. Lo scopo principale sarà quello di organizzare una banca dati aggiornata sulle dinamiche evolutive che nel corso del tempo hanno caratterizzato l’area e di promuovere la diffusione e la divulgazione di queste conoscenze in favore delle comunità locali attraverso diversi metodi di comunicazione.

Ci troviamo ad affrontare gli effetti non trascurabili di un riassetto delle dinamiche climatico-ambientali.

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ATTRAVERSO IL MIO SGUARDO Questa nostra terra è meravigliosa, ricca di colori sintesi di un paesaggio unico, che parla ai nostri occhi, attraverso quella bellezza pura, sincera, al tempo stesso affascinante, per quanto semplice e diversificata. Il mio viaggio attraverso sentieri, valli e luoghi ancora incontaminati, parte dal centro della nostra provincia; ci sono elementi che sono la forza di un'ecosistema che ci parla al di là delle parole. Il mio sguardo da fotografo, da esteta, viene rapito molto spesso da quanto questo territorio ci offre, da quanto è sotto i nostri occhi ogni giorno. Siamo davvero fortunati nel vivere immersi in tale contesto, grazie a tutte le tipicità che sono presenti e che lo caratterizzano. Il "mosaico della bellezza" amo raccontarlo attraverso i miei reportage fotografici; molto spesso le parole servono a sottolineare in maniera eccellente i valori, ma ritengo che la forza comunicativa che possiede il mezzo fotografico vada oltre. Non è semplice, per quanto mi riguarda, scegliere, dire che un luogo sia migliore rispetto ad un altro; trovo che il fascino legato a tali bellezze sia frutto ed anima di quell'antico mistero che è nei borghi arroccati tra le dolci colline, delicate e sensuali, così come nella veste di alcune campiture che elegantemente, attraverso stagioni diverse, ci sanno parlare direttamente al cuore.

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Cenni di buon senso

URBANISTICO D

Carlo SANTULLI

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ire “autostrada urbana” è un ossimoro. Le autostrade sono per le auto e sono fuori città. La città dev’essere accessibile ai pedoni, che siano giovani e scattanti, oppure anziani e magari con mobilità ridotta, alle ambulanze, ai bimbi, permettendo loro in certe aree anche di giocare e correre, o di passare sicuri con chi li accompagna, se sono ancora in carrozzina, ai diversamente abili, ed anche ai ciclisti, poi ai motociclisti e, perché no, anche alle auto, dove possibile e ragionevole. Di conseguenza le strade urbane devono essere per tutti. Se c’è un pedone che attende di attraversare sulle strisce bisogna fermarsi, non gli facciamo un piacere, ne ha diritto. Viceversa, se il terreno su cui parcheggiamo l’auto non è di nostra proprietà, non abbiamo nessun diritto di sostarvi gratuitamente, ci può essere concesso, ma anche revocato per particolari necessità, o ci può venir chiesto che paghiamo per starvi. Il fatto che abitiamo o che lavoriamo nei pressi non ha nessuna importanza, a meno che non abbiamo un permesso particolare su quel posto specifico, segnalato esplicitamente, o che sia appunto nostro, nel senso che abbiamo comprato il terreno dove si trova. Sempre più spesso, dato che l’influenza delle auto non si riesce facilmente a limitare, si deve ricorrere a misure draconiane, cioè ad eliminarle del tutto dalla zona più densamente edificata della città, come si fa in tante città europee ed italiane. Questo è incomparabilmente più rigido di programmare una zona a traffico limitato, o ZTL, specie quando impedisce solo l’accesso ad alcune (diciamocelo: non molte) auto. Nella realtà che viviamo, ma alla quale non ci rassegniamo, sarebbe già bello che per esempio all’uscita dalle scuole si lasciasse uno spazio minimo per far passare i bambini che entrano ed escono. Terni appunto: una delle città a più alta densità di auto in Italia, quasi 70 per 100 residenti. Dove, dato che la progettazione urbanistica è stata sempre tesa a far affluire le auto fino in centro, la velocità media è purtroppo alta e gli incidenti, anche mortali, sono stati frequenti: in essi, hanno quasi sempre la peggio pedoni e ciclisti. Scendendo nella pratica, a partire già dall’epoca ormai storica dell’avvento dell’automobile, quindi a cavallo dell’ultima guerra, gli sventramenti che sono stati progettati e poi attuati a Terni, anche per effetto dei danni prodotti dai bombardamenti alleati, avevano come evidente, se non principale, obiettivo quello di portare le auto a ridosso di corso Tacito, penso a piazza del Mercato, via Mancini, via Primo Maggio e Corso del Littorio, oggi del Popolo. Ed oggi, che la cultura condivisa ci porta a cercare di limitare la pressione delle

auto sul centro, scontiamo questo. Poi, più esternamente, ci sono le cosiddette autostrade urbane, dalla direttrice via Ponte Le Cave – viale Borzacchini – viale dello stadio – via Aleardi, a nord del Nera, a quella via Alfonsine – via Di Vittorio – vocabolo Staino – via Centurini, a sud del Nera. Ma ce ne sono altre che intersecano queste due, come la direttrice che passa per ponte Allende, strade molto larghe a più corsie, dove anche in qualche caso, in deroga al codice della strada che stabilisce in 50 km all’ora la velocità massima delle auto in città, si permette una velocità di 60 km all’ora, che quindi significa che bisogna andare almeno a 71 all’ora per rischiare, molto teoricamente finora, di prendere una multa. E si sa che le misure coercitive, che ci toccano nella libertà personale (e la possibilità di disporre dei nostri soldi ne fa parte) a volte servono per ottenere qualche risultato utile a tutti. In ogni caso, serve un cambio di direzione. Al di là di questo, e come contemplato nell’attuale discussione sul PUMS (Piano Urbano di Mobilità Sostenibile), bisogna considerare la difficoltà per il pedone ed il ciclista ad utilizzare le strade al pari delle auto. Ne sono un esempio le piste ciclabili che terminano all’improvviso, senza nessuna ragione apparente, in aree che sono anche molto popolate, dove però la mobilità in bicicletta, ed in certi casi anche pedonale, diventa complessa. Ho in mente l’interruzione in direzione di via Di Vittorio dopo il centro commerciale di Cospea, e l’impossibilità di raggiungere Borgo Rivo con un sicuro percorso in bicicletta, per l’assenza di circa 300 metri di ciclabile venendo da via Bramante. Ancora peggio, su via Ponte Le Cave c’è una fermata dell’autobus, ma è sull’autostrada urbana senza marciapiede. Però volendo si può scendere da lì a via Bramante con delle scalette, sempre se ci si arriva incolumi naturalmente. Nel momento appunto in cui in tanti contesti ci si mobilita per delimitare lo spazio riservato alle auto all’interno delle città, in certi casi escludendole dal contesto urbano e facendole sparire in parcheggi sotterranei (quelli li abbiamo anche noi, come a San Francesco ed a Largo Manni, ma non sono esageratamente usati, c’è spazio…), a Terni discutiamo ancora per l’accesso ad una ZTL che misura circa 15 ettari. Togliendo le aree costruite, quelle verdi e lasciando nelle strade lo spazio per far passare le ambulanze ed i veicoli di servizio, restano non più di 2 ettari, che è lo spazio per più o meno 1500 auto parcheggiate strette strette. Come dicevo all’inizio, in tutto il comune ne abbiamo 70000. Non penso serva aggiungere altro. A proposito: quanti permessi di accesso alla ZTL ci sono?

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Grandi musicisti ternani

Alessandro Casagrande 1922 – 1964

I Gian-Luca Petrucci

Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma

l Novecento, per le arti in genere, è stato il secolo che ha rappresentato un’epoca di grandi fermenti e di polemiche molto intense riguardo al concetto stesso della produzione artistica intesa o come conferma delle acquisizioni del secolo precedente o in forma di ricerca di un nuovo linguaggio espressivo legato a nuove scritture, nuove tematiche e nuovi orizzonti di carattere sociale e politico. Questa premessa è necessaria dovendo parlare di Alessandro Casagrande (Terni 11 Aprile 1922 – Novara, 21 Ottobre 1964) musicista, dalla ferrea formazione tardo romantica, che si trovò a mediare le nuove istanze espressive con la creatività della sua poetica e le esperienze personali. Compositore fin dalla giovanissima età andò maturando con il tempo un suo personale stile che, sia pur aperto alla modernità, restava ben saldamente ancorato all’espressività dell’idea musicale generatrice piuttosto che ai tecnicismi o alle tematiche sociali e politiche. Impegnato nella composizione, nell’insegnamento, nella direzione d’orchestra e nella guida dell’Istituto musicale di Terni rappresentò per anni il punto di riferimento principale per diffusione, studio e sviluppo della musica nella sua città natale. Il suo valore, tuttavia, fu riconosciuto a livello nazionale e internazionale e sue composizioni furono eseguite dai migliori strumentisti, cantanti e danzatori italiani e stranieri. Alcune sue composizioni come Frasi per sette strumenti o A Saffo furono più volte trasmesse dalla Radio Italiana. Importanti Festival nazionali e internazionali presentarono sue composizioni cameristiche e vocali, così come fu straordinario il suo apporto per la musica da balletto alla quale dedicò alcune delle sue migliori

composizioni che furono riconosciute tali in campo internazionale attraverso l’interpretazione della celebre danzatrice Ludmilla Tchérina la quale interpretò all’Opéra di Parigi il balletto, composto da Casagrande, L’Oiseau sacré il 26 Febbraio del 1953 (esattamente 67 anni or sono!). La musica di questo balletto fu poi utilizzata anche nel film La figlia di Mata Hari di coproduzione italo-francese e da allora la fama di Casagrande si diffuse notevolmente in relazione ai numerosi film per cui compose i commenti musicali. Ultimo treno per Pechino, La grande muraglia, Penne nere, Firenze di Dante, Malati d’amore, Pattuglie giubbe rosse, Topkid eroe selvaggio sono alcuni dei lavori per il cinema compiuti con successo e la critica nazionale e internazionale divenne sempre più attenta alle sue composizioni. Purtroppo la sua prematura scomparsa impedì a Casagrande di ascoltare l’esecuzione di alcune sue composizioni sinfoniche e di godere della crescente popolarità. Dopo la scomparsa in pochi anni il suo nome fu dimenticato e solo la benemerita iniziativa di un Concorso Pianistico intitolato a suo nome ha reso possibile il ricordo della sua attività artistica. Il Concorso Casagrande, che si svolge a Terni, è fra i più importanti Concorsi Internazionali di esecuzione pianistica. La qualità dei giurati e dei concorrenti ne ha fatto un appuntamento di classe e qualità. Quella classe, qualità e moralità artistica che caratterizzarono tutta la, purtroppo, breve vita di Alessandro Casagrande. Desidero concludere con un ricordo personale riferito ad un colloquio che ebbi con Goffredo Petrassi (uno dei maggiori compositori italiani del Novecento) che parlando di Alessandro Casagrande mi disse: La sua arte era il profumo della Musica.

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GIORNO della MEMORIA 2020

COME RANE D'INVERNO Corpi di uomini e donne nei lager nazisti Nella mattina del 27 gennaio, presso la Sala Blu di Palazzo Gazzoli, si è svolto il “Giorno della memoria”, curato dal Liceo Classico in collaborazione con il Liceo Musicale. Al centro, l’intensa testimonianza di Ada Marchesini, nipote di Ada Michlstaedter Marchesini, internata nel campo di Fossoli e morta ad Auschwitz. Com’è ormai tradizione, i ragazzi del Liceo Classico hanno proposto un’antologia di testi di scrittura creativa (monologhi, pagine di diario, lettere, interviste…) scritti per l’occasione sul tema: “Come rane d’inverno”. Corpi di uomini e di donne nei lager nazisti. “La scrittura -ha detto Primo Levi, riferendosi alla letteratura della Shoah- è come l’acqua, lenta a infiltrarsi nel corpo di una società refrattaria e indifferente, ma inarrestabile. Ci vogliono anni. Ma i testi che prendono a ragionare sulla Shoah diventano pietre miliari della coscienza civile”. Certo, i testi dei nostri alunni non hanno la dignità storica delle fonti o delle testimonianze né la consistenza intellettuale della grande storiografia e, d’altra parte, l’esperienza individuale della vittima -nella sua esposizione diretta all’orrore- rimane largamente insondabile... Tuttavia, intrecciando i fili della condivisione empatica e dell’argomentazione razionale nell’ordito della conoscenza puntuale degli eventi, com’è proprio della buona scrittura creativa, almeno in ambito storico, questi testi sono l’espressione di un percorso educativo a suo modo esemplare, capace di unire la pietas per i morti con l’attenzione per i vivi. Non a caso, quando scrisse Se questo è un uomo, Primo Levi pensò che valesse la pena raccontare quel che aveva vissuto nel Lager perché “quelle cose erano finite”. Nel 1973, però, aggiunse: “Non sono finite, bisogna parlarne ancora”. La sua affermazione, purtroppo, risuona più attuale che mai. Il tema prescelto – i corpi di uomini e di donne denudati, affamati, percossi, umiliati, violati, sfruttati, in un’opera perversa di svuotamento e di omologazione, nell’intento di ridurli a “rane d’inverno”, come dice Primo Levi nel linguaggio della poesia, o a “post-umani artificiali”, come dice Hannah Arendt nel linguaggio della filosofia - è stato affrontato dai ragazzi impegnando appieno le risorse della propria sensibilità e della propria intelligenza. In primo piano, spesso, il tema della sessualità: abusata, prostituita, discriminata, repressa e anche esplorata nel terreno particolarmente impervio perché insuperabilmente ambiguo della complicità tra vittima e carnefice. Testi davvero notevoli, in cui gli autori (o meglio le autrici, presenti in grande maggioranza) hanno giocato con efficacia al gioco difficile e travagliato ma prezioso di tradurre nell’incendio della memoria collettiva il fuoco di un’esperienza individuale, quella della vittima, che rimane comunque - ribadisco - largamente insondabile nella sua tenebrosa “post-umanità”. Come dice Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz e a Buchenwald: “Solo coloro che vi passarono sanno cosa fu, gli altri non lo sapranno mai”. Accanto al contributo degli studenti del Liceo Classico, va ricordato quello rilevantissimo degli studenti del Liceo Musicale, che si sono impegnati in esecuzioni dal vivo, strumentali e soprattutto vocali: il canto della voce umana, meglio di ogni strumento, può restituire infatti quella tensione pedagogica e quell’impegno civile che il “Giorno della memoria” deve costantemente coltivare, se vuole evitare i rischi del rituale polveroso e dell’imbalsamazione retorica. Proponiamo in questo numero due dei testi di scrittura creativa letti dalle autrici nel corso della manifestazione. Altri due seguiranno nel numero successivo. Prof.ssa Marisa D’Ulizia

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QUANDO COMINCIA IL SILENZIO Cara mamma, non avrei mai pensato che un giorno avrei potuto detestare il silenzio. Ricordo ancora perfettamente quando, appena ritornate a casa dalla santa messa di Pasqua del 1935, esordisti con un “Mila ti prego, canta per me! Odio il silenzio di quella chiesa!”. La me undicenne di allora, sgranando gli occhi, ti aveva presuntuosamente rimproverata, in nome di quella quiete in cui amava scomparire per ore rapita da inutilissimi romanzi romantici. Per me silenzio voleva dire vivere tutte le vite che la mia immaginazione riusciva a desiderare, senza dover temere affanni né imprevisti. Per questo otto anni fa ti ritenni folle, ma oggi ti imploro di perdonarmi per la ramanzina che subisti quel giorno. Del resto non avrei mai potuto immaginare che sarebbe arrivato il campo di sterminio di Auschwitz a mettere in dubbio tutte le mie certezze. Durante il giorno, quando sono con gli altri, riesco sempre ad ingannare il mio pensiero, nascondendomi dietro ad un martellio, ad un sussurro o allo strusciarsi di un qualche tessuto. Ma è quando cala la sera che la mia mente, aiutata dal silenzio del Puff, si interroga sul senso della giornata appena trascorsa, trovando solamente il vuoto. Le cicatrici che mi tormenteranno di più una volta uscita di qui saranno proprio quelle inflittemi dal silenzio e dall’amara consapevolezza che questo lascia sempre dietro di sé. E le dannatissime due ore che passo ogni giorno dentro “la casa delle bambole” sono immobilità pura, talmente lontane dalla vita comune che normalmente dubiterei quasi della loro stessa esistenza. Tuttavia mi trovo ad Auschwitz, dove perfino quattro mura incrostate e inghiottite dal silenzio sono in grado di deturpare delle vite. Ebbene ogni giorno, immobile nella mia silenziosa prigione slavata, vengo raggiunta da una mezza dozzina di uomini per cui non sono altro che un quarto d’ora di salvifica distrazione. Entrano tutti con lo sguardo basso e col passo accorto di chi ha paura di disturbare. Si guardano un po’ intorno, fingendosi più interessati al pressoché inesistente arredamento della stanza che al vero fine della loro visita. Solo alla fine sembrano accorgersi di me. O del mio corpo, almeno: non credo che nessuno di loro mi abbia mai guardato negli occhi. Eppure ormai sembra avvenire tutto con una disumana naturalezza: il rumore secco delle divise luride che cadono a terra, un corpo cagionevole che mi sovrasta, una polverosa ed insicura stretta sui fianchi ed infine gemiti lontani, come se provenissero da qualcun altro. Ormai non ci faccio quasi più caso. Ho dovuto imparare a simularli piuttosto in fretta in

quanto il primo giorno di servizio, i tedeschi mi avvertirono che, se avessi voluto mantenere i “privilegi” legati alla mia occupazione, avrei sempre dovuto esternare piacere. Avevo sempre pensato al sesso come ad un atto talmente totalizzante da condurre l’amante alla più idillica catarsi o al più pietoso conturbamento, in grado di mettere a nudo l’intimità più radicata e vulnerabile di ogni individuo e di proteggerla dall’immensità del mondo. Alla fine però si è rivelato solamente un terrificante quarto d’ora di silenzio in cui la mia coscienza, uscendo fuori dal corpo, si dedicava ad una sorta di perverso autolesionismo intellettuale. Ma di solito il mio senso di impotenza vacilla, da condurmi ai margini dell’autodistruzione, quando le guardie, incaricate di verificare che il rapporto avvenga secondo le regole attraverso uno spioncino, mi smascherano. È sconfortante come, all’interno del campo di Auschwitz, l’uomo sia riuscito a rendere asettico ed intransigente perfino l’amore… O forse è solo colpa della mia ingenuità che ancora adesso, più tenace di quanto mi sarei mai aspettata, non vuole rinunciare a vivere come in uno di quei romanzi rosa che mi compravi da bambina. Nei momenti di silenzio mi chiedo sempre che cosa mi abbia effettivamente spinta a fare questa scelta, così deleteria per la mia sanità mentale, già gravemente lesa dagli orrori della guerra. Mi domando se la vita mi concederà mai un risarcimento per quegli sguardi sadici e spietati che mi feriscono ogni giorno, per quel ventre spoglio dove ogni seme sarà sempre destinato a sfiorire e per quel senso di colpa che divora di continuo i brandelli rimanenti del mio corpo già violato. Sono mesi che annaspo in queste ossessioni senza riuscire a darvi un senso, senza poter trovare pace. Ma poi oggi ho fatto uno di quegli incontri che ti sconvolgono la quotidianità, esattamente come quelli che leggevo nei libri. E se te lo stessi chiedendo no, non ho trovato l’amore all’interno del campo di sterminio di Auschwitz. Ho trovato un senso. Era il mio ultimo incontro della giornata e io non avevo quasi notato l’ingresso di quell’uomo nella stanza se non fosse stato per il fatto che, al contrario degli altri, si era immediatamente precipitato di fronte a me, iniziando a sbottonarsi la camicia con una fretta imperturbabile. Le guardie lo scrutavano con più attenzione del solito, mentre si metteva a cavalcioni su di me. Ma poi un rumore assordante ha timidamente squarciato il silenzio da cui stavo per essere inghiottita ancora un’ennesima volta: “Perdonami” sussurrato al mio orecchio. E poi l’ho visto. Sulla parte sinistra della sua casacca abbandonata per terra, vicino a dove si trova il cuore, capeggiava un logoro triangolo rosa: maschio omosessuale. Copiose lacrime fuoriuscivano dai suoi occhi, riversandosi sul pallido corpo nudo, indugiando su un lembo di pelle scorticato dove in passato doveva esserci tatuato un nome. David o Damian forse, ma non sono riuscita a leggere bene. Per la prima volta da quando sono qui sono riuscita a condividere un’esperienza, anche se violenta, con un’altra persona e questo inaspettato conforto mi ha portato alla consapevolezza risolutiva. Non tutti viviamo per uno scopo, ma ognuno di noi è mosso da un qualche pretesto. E tu, cara mamma, sei il pretesto per cui ho intrapreso questa tenace lotta per la vita, per cui ho rifiutato di arrendermi, per cui ho sacrificato tutto. Perché non so se leggerai questa lettera, se un giorno smetterò di odiare il silenzio o se la guerra finirà mai. Eppure, tra i mille dubbi, c’è una certezza che non mi ha mai abbandonata da quando ho varcato i cancelli di Auschwitz: io ti ritroverò. Giorgia Cecilia - classe III B

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IL LETAMAIO

N

Vittorio GRECHI

elle campagne di una cinquantina di anni fa e oltre, ogni casa contadina aveva il suo bravo letamaio nei pressi della stalla. Si scavava una buca quadrata nel terreno, profonda un paio di metri e larga quattro. Al mattino, dopo aver governato le vacche, si toglieva la paglia sporca con forca di ferro a quattro corna, si caricava la carretta e si versava nella buca. Quando la buca era piena, si continuava a riempire usando una tavola per salirci sopra. A volte, oltre alle feci degli animali potevano essere aggiunte quelle umane, specie se era brutto tempo e se qualche componente della famiglia aveva usato il vaso da notte, lu pitale, per i propri bisogni corporali. Non c’erano gabinetti, né bagni, né acqua corrente nella maggior parte delle case agricole e nessuno passava a raccogliere l’immondizia perché l’immondizia non c’era. Non c’era perché si riciclava tutto di quel poco che poteva essere buttato. Le saltuarie volte che si comprava la pasta, si portava a casa in un cartoccio di carta paglia e la carta si conservava per un successivo uso. Le lattine contenenti tonno, sgombro o acciughe, una volta svuotate, venivano tenute da parte per fare le luminarie per la festa dell’Ascensione, per mettere i chiodi o per conservare i semi delle zucche, dei pomodori o dei fagioli. Gli scarti della frutta e delle verdure servivano per l’alimentazione dei maiali e la plastica non era stata ancora inventata. L’unico problema era costituito dal vetro: quando, raramente, si rompeva un fiasco o un bottiglione, insieme agli improperi rivolti al colpevole, che già di suo se l’era presa con qualche Santo locale, i pezzi migliori e più robusti venivano messi da parte per essere usati

L’immondizia non c’era. Non c’era perché si riciclava tutto.

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come raschiatoio per il legno o per essere murati sopra un muro di recinzione, onde impedire a chiunque di scavalcarlo. I frammenti più piccoli e inutilizzabili venivano buttati nelle fratte di rovi, dove nessuno metteva mai piede. Durante la ritirata dell’esercito tedesco nella seconda guerra mondiale, si era sparsa la voce che i soldati razziavano ogni cosa. Allora una famiglia nascose alcune damigiane di vino all’interno del letamaio, coprendole per bene con il letame. Una damigiana di vino bianco non vi trovò posto e fu messa nella mangiatoia dell’asina, mentre alcuni bottiglioni di vino cotto vennero nascosti in cantina dentro una vecchia botte mezza sfasciata. Dopo alcuni giorni, un nutrito gruppo di tedeschi in ritirata si fermò in quel posto, ordinando alle donne di cucinare al forno gli agnelli che avevano rubato. Nel frattempo, una spiata fece loro scoprire il vino nascosto che fu caricato su un camion. Si salvò solo il vino bianco che, essendo troppo in vista, qualcuno temette fosse avvelenato. Prima di mangiare, uno di loro ordinò a una donna incinta di assaggiare l’arrosto. La donna rifiutò perché aveva le nausee e allora il soldato le puntò il mitra sulla pancia. Intervenne allora un interprete cercando di spiegare la situazione, mentre il tedesco furioso scaricava una raffica di colpi su un mucchio di fascine. Le altre donne, terrorizzate, si misero ad assaggiare il cibo e tutti allora si ingozzarono velocemente aiutandosi con vari bicchieri di vino. Alla fine, uno più ubriaco degli altri, prese un cavallo, lo legò alla vecchia botte in cantina e incominciò a scorrazzare intorno alle case mentre il prezioso vino cotto lasciava una scia a terra uscendo dai bottiglioni in un rumore assordante di vetri rotti. Si racconta che dentro la pancia di quella donna ci fosse l’autore di questo articolo. Ciao mamma Ines, ovunque tu sia.

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CAMPAGNA ANNO SCOLASTICO 2018-19 CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE


L'efficienza energetica è il nostro mestiere ma prima di tutto è il nostro stile di vita!

Questa terra non l'abbiamo ereditata dai nostri padri, l'abbiamo presa in prestito dai nostri figli.

Piazza S. Giovanni Decollato, 1 - TERNI

www.genesiefficienza.it


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