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Numero 182 Febbraio 2021
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Valentino di Terni? Fisioterapia e Riabilitazione
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Febbraio 2021
VALENTINO: un amore che ha percorso i secoli
Chi conosce VALENTINO?
L. Santini
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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3. BMP elevatori su misura 5. OTTICA MARI 8. Studiare la VERA VITA di Valentino R. Mastodonti 9. San Valentino patrono di Terni Don C. Bosi 11. CMT Cooperativa Mobilità Trasporti 12. Nel paese dell'olio di palma F. Patrizi 13. ARCI 14. Cara Greta... E. Squazzini 15. Nessuno si salva da solo PL. Seri 16. L'etica del giovane Briccialdi G-L. Petrucci 17. PIERA Salute e Bellezza 17. Finìmola... pe’ nnun zape’ né llègge né scrìe P. Casali 18. Nuovo mammografo 3d L. Fioriti 19. Cifoplastica percutanea V. Buompadre 19. PAP test o HPV test? G. Porcaro 20. Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni 23. AUDIBEL Apparecchi acustici 23. VILLA SABRINA - residenza protetta 24. Dall'Umbria emigrati solo i ternani M. Scarpellini 25. LENERGIA 28. Quando Terni contadina divenne industriale A. Marinensi 30. Ordine Professioni Infermieristiche Terni 31. RIELLO Vano Giuliano 31. SIPACE Group 32. Un nuovo tipo di educazione V. Iacobellis 34. E questa è Vita G. Raspetti 36. Giorno della memoria 2021 - Liceo Classico 38. La nevicata del '56 V. Grechi 39. Edilizia COLLEROLLETTA 40. PROVISION GRAFICA
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VALENTINO: UN AMORE CHE HA PERCORSO I SECOLI E
Loretta SANTINI
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cco il 14 Febbraio: la festa di San Valentino, la festa dell’amore e degli innamorati, la festa di Terni di cui il santo martire è patrono. Uomini e donne che vivono insieme da uno come da novanta anni, oggi si scambiano un bacio, uno sguardo di dolcezza o bigliettini amorosi -i famosi valentini e valentine di tradizione anglosassone- si donano una rosa o una scatola di cioccolatini. Mi piace che in questo giorno mio marito mi doni una rosa. Mi piace cucinare qualche leccornia ritenuta “afrodisiaca” - servita su una elegante tovaglia con un bel servizio di piatti e bicchieri e magari con luce soffusa, quel tanto che basti per creare un’atmosfera che ricordi che oggi, Festa di San Valentino, è anche la festa degli Innamorati. Lo so benissimo che è una delle tante feste (della mamma, del papà, dei nonni) inventate e studiate appositamente per vendere fiori, cioccolatini, ninnoli e oggetti preziosi. È il “mercato delle feste” sempre più invadente e ossessivo, spesso retorico e sempre più gaudente. Ma è comunque la magia della festa, una tradizione, un momento di socialità, come il Natale e la Pasqua, o la festa patronale e folkloristica o, come un tempo, lo erano le feste della vendemmia e della trebbiatura nella civiltà contadina, che segnavano un tempo di incontro, di vissuto insieme. È la magia che viene da quel misto di sacro e profano che perdura da secoli: il sacro con i suoi riti religiosi e le coppie di fidanzati e sposi che chiedono una benedizione alla loro unione. Il profano con quell’insieme di spettacoli, fiere, bancarelle e incontri festosi che ormai si legano indissolubilmente a qualsiasi evento religioso. Tutto questo ci piace. Ci piace la tradizione di San Valentino patrono degli innamorati, una tradizione ormai che ha permeato il mondo e a cui non ci vogliamo sottrarre. Una tradizione, ricordo, di origini lontanissime: il culto di san Valentino nasce infatti nell’ambito dell’ampio fenomeno di cristianizzazione di feste e riti pagani. In questo caso si tratta dei Lupercalia, festa licenziosa celebrativa della fertilità e dell’accoppiamento che si teneva a Roma alle idi
di febbraio. Fu poi papa Gelasio (496 dC.) a formalizzare nel 14 febbraio la festa di San Valentino cogliendo nel Santo il “riconciliatore” di vicende amorose. La tradizione della festa degli innamorati si sviluppa poi a partire dal Medio Evo mediata dal mondo anglosassone. Ricordo solo a questo proposito che nell’Amleto di Shakespeare così si esprime Ofelia: “Sarà domani San Valentino,/ ci leveremo di buon mattino,/alla finestra tua busserò,/ la Valentina tua diventerò…” Ed è così che “valentini” e “valentine” diventeranno quei i biglietti che gli innamorati si scambiano in occasione della festa del Santo: una tradizione che trova un larghissimo sviluppo e mercato nel XIX sec. grazie all’intuito di Esther Howland che negli USA ne produrrà su larga scala. Detto ciò vorrei volare più alto. Infatti mi piace ancora di più che la città di Terni da più di un secolo identificata come città dell’acciaio, sia ora identificata come “Città dell’Amore universale” e che san Valentino sia il campione di questo Amore. Il nostro caro Valentino, il Santo che proprio a Terni è nato e qui ha le sue spoglie, il Santo che donava una rosa del suo giardino per ricordare a tutti di volersi bene e rispettarsi, proprio da questa città deve lanciare al mondo il suo messaggio e divenire il faro di questo Amore, onnicomprensivo, totale e totalizzante, pieno, incondizionato che significa non solo amare, ma rispettare e dare dignità all’uomo ed anche a tutto ciò che vive intorno a lui e con lui: gli animali, la terra, la natura, l’aria che respiriamo, il cielo, la città. Tutto ciò lo abbiamo ritrovato proprio nel nostro patrono ed anche nelle leggende che accompagnano il suo operato. Esse, come tutti i miti, al di là della narrazione, adombrano sempre un significato profondo che bisogna saper riconoscere. Così è per la leggenda di Sabino e Serapia (un amore contrastato perché lui pagano e lei cristiana) simbolo dell’amore interreligioso e dunque della libertà di religione. La leggenda della rosa che il Vescovo donò a due fidanzati litigiosi diventa il simbolo della comprensione e del rispetto; la leggenda del giardino fiorito da cui il Santo prendeva un fiore perché lo portassero alle loro mamme simboleggia l’affetto tra genitori e figli; la colomba a cui egli chiuso in carcere affida un biglietto (un “valentino” ante litteram) con le chiavi del suo giardino, perché i bambini potessero entrare a giocarci, simboleggia il messaggio di pace. La tradizione non va mai rigettata: anche nelle leggende è possibile leggere messaggi di valore universale! È possibile leggere AMORE!
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Chi CONOSCE VALENTINO? Il cristianesimo ha donato all’umanità, anche grazie al Vescovo Valentino di Terni, opere fondamentali per la nascita e lo sviluppo dei Diritti Umani giacché, fin dalle sue origini, è stato portatore di diritti universali, per la libertà e per l’uguaglianza, solo episodicamente apparsi in precedenza nel mondo classico, greco e latino. La straordinaria dottrina cristiana presenta invece l’uguaglianza come un diritto fondamentale: gli uomini sono uguali perché tutti fratelli in quanto figli dello stesso Padre. Valentino Interamnensis, decapitato nel IV secolo (anno 347 dC) è stato un personaggio potentemente diverso da quello trasmesso dalla tradizione. Il suo culto risale al 496 quando Papa Gelasio I, per porre fine ai Lupercalia (rituale pagano molto licenzioso, celebrativo della fertilità e dell’accoppiamento, che si svolgeva tra il 13 e il 15 febbraio), formalizzò nel 14 febbraio la festa del martire vedendo in lui la figura di riconciliatore di vicende amorose. La tradizione di Valentino protettore degli innamorati si svilupperà poi nel mondo anglosassone, a partire dall’alto Medioevo, dietro impulsi poetici di Geoffrey Chaucer e William Shakespeare in particolare. E così la vita di Valentino, caricata di forti valori simbolici, ha subìto uno snaturamento rispetto alla sua autentica, profonda e consapevole identità di pastore di anime, impegnato, in epoca imperiale romana, in prima linea nella lotta per la affermazione del diritto alla libertà religiosa e del dialogo tra gli esseri umani, a qualsivoglia religione essi appartengano. Valentino di Terni è stato un prelato ed un uomo che ha sacrificato la propria vita per alti ideali di libertà: libertà di religione, ma soprattutto libertà di cultura e di impegno sociale verso i più sfortunati. In altri termini, un campione dei diritti umani ante litteram, ed è così che vorremmo farlo conoscere, liberandolo dalla patina di una culturalizzazione popolare e/o commerciale. Valentino ha espresso in realtà, nel corso della sua vita, il concetto stesso di amore in tutta la sua pienezza: amore ecumenico, amore né solo cristiano, né solo pagano, amore di tutti e per tutti, risultando, per molte ragioni, un cristiano accostabile a San Francesco, il Santo dei Santi. Il nuovo Valentino, dopo gli studi e le ricerche effettuate da illustri latinisti, agiografi e medievalisti tra i più noti al mondo, appare dunque una figura molto diversa da quella comunicata dalla tradizione. San Valentino non è soltanto il Saint Valentine of world, ma, soprattutto, il VALENTINO DI TERNI (proprio come Francesco d’Assisi, Chiara d’Assisi, Benedetto di Norcia, Rita di Cascia…). Il collegamento della vicenda biografica del Patrono di Terni con la struttura valoriale definibile complessivamente dei diritti umani può essere impostata nel modo seguente: accoglienza, solidarietà, salute, libertà d’istruzione e di cultura, libertà religiosa, giustizia. • ACCOGLIENZA: in Terni, cristiani e pagani vivono in maniera perfettamente integrata, tanto che il magistrato romano
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Giampiero RASPETTI
Fonteio chiede tranquillamente e senza conseguenze l’intervento del vescovo Valentino per la guarigione di suo figlio; • SOLIDARIETÀ: Valentino si reca volentieri e gratuitamente ad applicare le sue straordinarie capacità taumaturgiche; • SALUTE: Valentino opera guarigioni da malattie neurologiche (sclerosi, etc.) molto gravi; • LIBERTÀ D’ISTRUZIONE E DI CULTURA: Valentino converte il filosofo Cratone e tutta la sua casa e i suoi allievi: ed è solo a questo punto che il Senato di Roma interviene, decretandone l’arresto; • LIBERTÀ RELIGIOSA: Valentino lotta contro la repressione del cristianesimo operata dallo Stato Romano; • GIUSTIZIA: Valentino viene arrestato e condannato a morte in maniera del tutto illegale. Si è infatti nell’anno 347, dopo l’Editto di Tolleranza di Costantino e Galerio del 313 che rende il cristianesimo tollerato. Ed i magistrati romani (sottoposti ancora alle forze più reazionarie del Senato), dopo l’esecuzione, scappano dal loro ufficio (sanno di aver compiuto un atto ufficialmente illegale)! In questo senso, la figura biografica e storica di Valentino di Terni può perfettamente rappresentare il simbolo della ricerca e della rivendicazione, fino al sacrificio personale, dei diritti umani, portando la vis culturale dell’Europa a contatto con Roma, la patria europea indiscussa del diritto. Noi cittadini ternani, studiosi della vita di Valentino e suoi ferventi cultori, non vorremmo più vedere il nostro Patrono usato solo per la volgare commercializzazione della festa degli innamorati del 14 febbraio, ma sentiamo di doverlo valorizzare alla luce di ben altri valori. Da qui la speranza di mettere in relazione San Valentino con i Diritti Umani fino a pensare di proporre, Interamna et orbi, la città di Terni come Capitale dei Diritti Umani. Pertanto, poiché non esiste ufficialmente, nell’elenco agiografico della religione cattolica alcun Santo protettore dei Diritti Umani e poiché la figura biografica e storica di Valentino rappresenta perfettamente il simbolo della ricerca e della rivendicazione, fino al sacrificio personale, dei diritti umani, noi vorremmo che si ponga la dovuta importanza al Valentino di Terni, riportando le conoscenze di tutti, credenti o non, verso la città di nascita e di apostolato di Valentino, con particolare riferimento alla Basilica dove fu sepolto. Preghiamo dunque affinché una attenzione particolare in merito alla vita vera del santo sia dedicata e rivelata da chi sa donare le buone novelle, facendo sì, così, che Valentino sia riconosciuto come il Santo protettore dei Diritti Umani e contribuendo al contempo a far conoscere Terni come la Città dell’amore per i Diritti Umani. Grazie.
Quanto scritto nella precedente pagina è stato comunicato o inviato, da me e da Don Claudio Bosi, Direttore dell'Ufficio dei Beni Culturali della Diocesi di Terni-Narni-Amelia e del Museo Diocesano, a più persone, all'interno e al di fuori di Terni. Non siamo mai stati degnati di una risposta tranne, da parte di qualche desso, un bofonchiare ridicolo e sbuffante. Tutto ciò mi è sembrato, in un primo momento, stranissimo, al limite del non credibile, ma poi, ampliando, con domande e con osservazioni, la visuale, ho dovuto prendere atto di una realtà tristissima: in città, in particolare, di Valentino e di Terni non interessa niente! Tutto quello che si va chiacchierando in giro è coperto da ipocrisia o è copertura di volgare ignoranza. Attualmente la nostra città è formata da persone senza alcun trasporto storico per l’operaismo, vocazione che non hanno mai avuto, ma che è stata loro imposta. Terni rassomiglia oggi ad un arcipelago in cui gli abitanti stanno perdendo le proprie antiche caratteristiche di: contadino, artigiano, commerciante, ma, soprattutto, di educate e tranquille persone che sanno ospitare gente e popoli stranieri. Stesso discorso per quanto riguarda il legame con il suo santo protettore, un legame, ho potuto verificare, assolutamente di facciata. Ho chiesto infatti a centinaia di cittadini cosa sapessero del loro Vescovo Valentino. Il risultato è stato assurdo, deprimente: solo un sacerdote sapeva molto perché, mi confessò, aveva da poco studiato. Tutti gli altri rispondono: “So quello che sanno gli altri!” e l’intervista si ferma di blocco, dopo il mio: “Cioè?”. Il resto della nostra beneamata città dunque sa niente di niente, dice di onorare il Santo Patrono, ma fa festa, con cioccolatini e mosciarelle, in onore del santo della leggenda anglosassone che, se si studia anche solo un poco, si vedrà come con il vero Valentino di Terni c’entra, in pratica, poco meno di niente. Il nostro Valentino Interamnensis è una figura superba, eccelsa, di gran lunga superiore a quella di riconciliatore di vicende amorose, concesso dalla chiesa nel 496 per opera di Gelasio I. Ho anche chiesto a decine e decine di organizzazioni sedicenti morali, sociali, culturali, di ospitarci per poter diffondere la Valentino novella o, almeno, di confrontare le loro conoscenze con quelle mie e di Don Claudio. Nessuno ha mai accettato. In pratica trattano San Valentino come uno scialbo figuro delle tante pseudo chiese rappresentate ancora all’angolo della città da alcuni porettacci che ripetono sciocchezze senza sapere dimostrare neanche una riga di quello che profferiscono. Ma così è sempre stato, almeno da 2500 anni! Ed è così anche per la cultura, per quell’ansia cioè di sapere, ricercare i fatti, ristabilire la verità, cercare di dire cose sensate e dimostrabili, cercare di impegnarsi per il bene dei propri figli e della città in cui vivono. Solo chiacchiere, ipocrisia, chiacchiere e patacche che ognuno si appiccica da solo. Una persona però si è ribellata a questa incuria di conoscenza. Nel marzo 2012 usciva, a cura di Massimiliano Bassetti ed Enrico Menestò, il libro San Valentino e il suo culto tra medioevo ed età contemporanea: uno status quaestionis (Fondazione Centro Italiano di Studi sull’alto medioevo, Spoleto) che contiene gli Atti delle Giornate di studio tenute in Terni il 9-11 dicembre 2010, giornate volute da S.E. Mons. Vincenzo Paglia che, nella premessa al libro, scrive: “Il progetto di un convegno su San Valentino e il suo culto tra Medioevo ed età contemporanea… era nato, allo stato di progetto, con la scoperta ambizione non solo di fare ordine circa la figura storica del santo e le tradizioni agiografico-cultuali ad esso collegate ab antiquo, ma anche
di rileggere in questa luce il significato che la festa di San Valentino detiene ancora oggi in ogni parte del mondo. Con gli atti delle relazioni ora riuniti in volume, si può dire a ragion veduta che il Convegno ha molto efficacemente raggiunto lo scopo di partenza”. I migliori latinisti, medievalisti ed agiografi del momento erano stati dunque riuniti dall’allora Vescovo di Terni e, attraverso le loro coltissime relazioni, si scoprì e prese forma una figura eccelsa, quella di Valentino di Terni e si venne a conoscere, attestata da pareri unanimi, la sua vita vera. Poi, nonostante il libro (2015) che ha completamente sciolto ogni dubbio, quello dell'esimio Prof. Edoardo D’Angelo, Terni Medievale, La città, I Santi, L’agiografia e quello (2019) di Giampiero Raspetti, I Diritti Umani nascono a Terni per opera di San Valentino, che presenta gli studi di un qualificato numero di studiosi ternani, insieme allo stesso D'Angelo, da allora solo deserto e silenzio! Se Terni non cambierà totalmente la propria maniera caprina di pensare, se, al posto delle critiche rozze e sceme, non si organizza per studiare, per confrontarsi, per affrontare il drammatico futuro che sta per scatenarsi, allora Terni, la città che proprio per i valori addotti dal santo potrebbe essere una delle città più felici e sorridenti al mondo, cadrebbe in rovina totale. Basta dunque con le ipocrisie: se del Santo non si sa niente, del Santo non interessa niente. Poche sono le persone che si impegnano per offrire questo conoscenza storica e scientifica alla nostra città. Hanno scritto molto nei due libri Terni, la città dell’oro, e lo stanno facendo elaborando un terzo libro che presenterà la Terra Promossa, promossa dall’azione culturale di chi ama davvero Terni e il suo Patrono, Valentino di Terni.
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Studiare la VERA VITA di Valentino
U
n gruppo di studiosi, espressione di diverse istanze della comunità ternana, sta lavorando da anni ad una ipotesi progettuale che integri rigore accademico e creatività visionaria, coinvolgimento istituzionale e radicamento nell’associazionismo culturale. Questa feconda alchimia di tensioni spirituali e vocazioni euristiche ha determinato, nel gruppo, il desiderio di aprire la sua dialettica culturale alla città, intesa come stratificazione di tradizioni, sedimentazione di tracce di un passato in fase di dissolvenza, crogiuolo di tensioni del presente, massicciamente investito dalla crisi. Anzi, dalle crisi: quella pandemica, oggi drammaticamente sopraggiunta, che si stratifica su quella, da lungo tempo operante, economico-occupazionale legata alle convulsioni della siderurgia internazionale, con i pesanti riflessi su quella identitaria che ne lacera il tessuto sociale. La complessità del campo di analisi del gruppo si è coagulata intorno a talune tematiche, nella prospettiva di offrire un fattivo contributo alla città, capace di sintonizzare i tasselli della nuova identità che Terni sta, faticosamente da lungo tempo, cercando di costruire. Consapevole che la sintonizzazione non può darsi se non a partire dalle radici storiche, culturali e valoriali che sono solide e stratificate nella città, il gruppo di lavoro, nel complesso labirinto delle aree di crisi, ha individuato un focus che affonda le sue radici nella antica storia cittadina, di cui continua a caratterizzarsi quale permanenza costitutiva. Trattasi di un elemento forte del patrimonio materiale e immateriale della città, largamente identitario dunque, ma che ha urgente bisogno di un processo analitico di ridefinizione, di rimozione delle incrostazioni che lo hanno intrappolato, nei secoli, entro una raffigurazione stereotipata e riduttiva, diffusa -e questo è l’aspetto sorprendente della faccenda- potentemente in tutto il mondo. La figura del vescovo Valentino patrono della città, la cui fama pervade l’universo mondo e di cui ovunque viene enfatizzata
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Rosella MASTODONTI
l’importanza, pur se in un ambito fortemente desacralizzato, costituisce quel focus identitario, pur se preda ormai di processi di commercializzazione e banalizzazione del significato simbolico che ne snaturano non solo la valenza religiosa, ma anche quella etica, valoriale, di cui, invece, la sua biografia è densa. Il san Valentino, insomma, dei cuoricini rossi, dei baci al cioccolato, delle frecce puntate al cuore degli innamorati di tutto il mondo, quella sorta di cupido con faccione sorridente che inonda, nel mese di febbraio, le vetrine di tutti i negozi, da Londra a New York a Tokio fino ad ogni altro angolo del mondo. Persino Terni, teatro della sua azione di vescovo in età paleocristiana, che lo ha scelto come suo patrono, non sfugge a questa consuetudine ed in febbraio lo celebra con manifestazioni ed eventi vari, con i quali il gruppo di lavoro non ha interferito, rispettandoli quali espressioni popolari del culto del ‘Valentino protettore degli innamorati’. La percezione, tuttavia, del vulnus -prodotto a livello mondiale dalla riduzione della figura dell’antico vescovo ad una dimensione totalmente secolarizzata, depauperata della sua valenza storica e travolta dal vortice commerciale- ha, tuttavia, indotto il gruppo a scelte nuove e coraggiose. È maturata, infatti, la convinzione che la tematica valentiniana possa essere iscritta in un universo di significati afferente al concetto di amore, inteso tuttavia come tensione universale verso tutti gli esseri del creato, collocabile nel controluce di un approccio etico e politico alla affermazione dei diritti umani, di cui il vescovo Valentino, in coerenza con quanto le fonti ci testimoniano, sarebbe stato un campione ante litteram, proprio in virtù della sua intensa biografia, fino al culmine del martirio. La trasversalità più significativa implicita nella revisione storica operata dal gruppo è la contiguità valoriale del nostro vescovo con l’altro, grandissimo campione della teologia dell’amore universale, della accoglienza del diverso, della difesa dei diritti umani, del dialogo fra le religioni, dell’amore per la natura e dell’impegno per la pace. Emozionante, indubbiamente, mettere a confronto il Valentino di Terni con il grande Francesco d’Assisi che, molti secoli più tardi, ancora a partire dalle terre umbre, avrebbe lottato strenuamente per quegli stessi valori, in un cammino condotto, per tutto l’arco della vita, fino alle lontane contrade africane. Il gruppo lancia dunque alla città un appello che contiene una sfida intellettuale rivolta a coloro che vogliano condividere l'avventura culturale di un impegno per la trasformazione della identità storica, etica, civile della città. Lavorando tutti insieme ad una diversa, più intensa e documentata consapevolezza del patrimonio identitario di Terni, con attenzione ai significati fondanti impliciti nella figura storica del primo vescovo ternano, riflettendo poi sulle connessioni di essi con il sistema dei valori costitutivi della galassia dei diritti umani ed allargando queste analisi all’Europa ed alla mondialità, potrà rivelarsi non utopico riuscire a connotare Terni, città valentiniana, quale capitale dei diritti umani.
San Valentino patrono di Terni
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ncora una volta ci troviamo a parlare del patrono di Terni, San Valentino. Negli ultimi anni in verità sono stati organizzati ben tre convegni principalmente nati dal desiderio di far luce sulla verità, evidentemente per nulla conosciuta del santo, ma al tempo stesso anche come reazione alla palese banalizzazione dell’uso commerciale sviluppatosi oltremodo in ogni latitudine. Evitiamo di parlare dell’uso consumistico del valore sacrale che si nasconde nell’augurio “buon sanvalentino”! Sono in procinto di pubblicazione gli atti dell’ultimo convegno avvenuto nel 2019. Essi contengono degli studi che partono da criteri di ricerca sul santo nuovi e mai sperimentati. L’esito di queste nuove ricerche ha fatto emergere una personalità, quella di san Valentino, di particolare interesse nonostante sia avvolta da una tenace misteriosità, data dall’insufficienza delle fonti storiche. Nonostante questo elemento di debolezza, i segni tangibili della diffusione del culto tra Roma e Terni sono così forti da delineare la grandezza della sua personalità. Si conta un numero veramente alto di siti rappresentati da chiese o vie con il nome di San Valentino nei territori attraversati dalle due vie consolari, la Flaminia e la Salaria e quelli attraversati dal fiume del Tevere e oltre Terni nella Valnerina e non solo. Possiamo interpretare questa intensa occorrenza della presenza del nome del santo come un’esplosione della fama, dell’importanza e della gloria. Ciò non può che essere avvenuto se non a motivo di qualcosa di veramente grande. Di questo rimane la memoria più importante nelle passiones e tanti spunti da interpretare nelle leggende che sopravvivono le quali, pur prive della scientificità necessaria, testimoniano quel qualcosa di grande e prezioso compiuto dal nostro San Valentino che in parte conosciamo e in parte ignoriamo. La memoria, nel nostro caso, il culto di un uomo ritenuto santo, che si diffonde come un’esplosione è per natura sua il segno della presenza di una persona che nel suo parlare e agire ed essere è stato speciale. Dall’universale motivo per cui il santo è conosciuto ovunque nel mondo, l’amore umano, attraverso l’ausilio delle pur scarse fonti storiche, possiamo far emergere un uomo che dal Vangelo ha imparato a guardare la vita e i propri simili con occhi nuovi, depurati da criteri ancestrali, primitivi e soprattutto inquinati dalla cecità di sovrastrutture antropologiche discriminanti e prive del senso della dignità della vita, del rispetto e dell’amore vero e autentico, che riscontriamo pienamente nella storia dell’uomo del vicino oriente antico,
Don Claudio BOSI
della Grecia, di Roma e purtroppo di ogni epoca e latitudine dell’intera storia dell’umanità fino ai giorni nostri. Il gesto nobile, per cui San Valentino è ricordato prevalentemente, permettere un matrimonio tra due giovani diversi nella cultura e nella religione, impossibile secondo criteri condizionati da leggi irrispettose della libertà e assolutamente prive dell’assoluto e sovrano senso della giustizia, dimostra il coraggio eroico di uomo che, discepolo di Gesù Cristo, rompe schemi convenzionali consolidati che offendono la vita, la dignità di ogni essere vivente per far spazio ad un nuovo modo di relazionarsi, l’attenzione all’altro incondizionata, il rispetto a tutto tondo, della sua libertà di pensiero, della sua dignità nonché della sua preziosità. Atteggiamenti questi che stanno alla base dell’amore cristiano. Su questo alto livello di delicatezza, di giustizia e di amore, secondo il Vangelo, poggiano i diritti umani. Nessuna delle diverse civiltà dei passati millenni ha mai raggiunto il livello più elevato di umanità, nonostante le piramidi, i templi, le arti, le città, la scrittura, la letteratura, i miti, la religione, il diritto, la tecnica, la scienza, la sapienza, la filosofia, la capacità di produrre e lavorare, gli imperi. Solo l’Euanghelion di Gesù Cristo, ovvero l’annuncio buono, nella sua sostanza, non solo bello nel suo presentarsi, ha dato la possibilità all’uomo di raggiungere questo livello alto, perché elevato verso l’esempio di Cristo Signore, caratterizzato dall’attenzione all’altro, il prossimo, che sia vicino o lontano, dal profondo rispetto di esso tale che possiamo parlare di amore. Alla stregua delle antiche e sofisticate civiltà, neanche i lunghi secoli del Medioevo, poi del Rinascimento e ancora dell’epoca Moderna e Contemporanea hanno raggiunto il livello più alto in dignità, sapienza e cultura della vita umana se non quando l’individuo ha fatto e fa la scelta di accogliere e vivere secondo il Vangelo. San Valentino, nato, cresciuto e vissuto al tempo della massima maturità dell’impero romano mette in crisi e fa paura ai notabili dell’Urbe per il suo modo di vivere conforme all’insegnamento di Cristo, in forza del quale compie scelte di amore e di vera giustizia. Dovette così essere eliminato per evitare che fossero smascherate tutte le forme di ingiustizia, di discriminazione, di male in cui l’uomo del tempo, tanto quanto l’uomo di tutti i tempi, era abituato a impostare la vita. La diffusione veloce e ampia della sua memoria dopo il martirio e poi del suo culto, ancora oggi presente e viva, sta a significare il fascino e lo stupore suscitati dalle sue azioni, dalla sua predicazione, dai suoi insegnamenti, speciali perché motivati dalla straordinaria novità dell’amore insegnato da Cristo. Festeggiare la sua memoria come si sta facendo negli ultimi decenni in tantissime parti del globo, da cristiani ma anche da persone che nulla hanno a che vedere con la fede cristiana, ignorando la sua vera identità è da considerare almeno un fatto superficiale, ma anche scorretto fin quasi blasfemo. Sarebbe invece opportuno valorizzare il motivo per cui San Valentino venne eliminato dal contesto della società del suo tempo e al tempo stesso il motivo per cui la sua memoria, molto apprezzata da alcuni si diffonde velocemente da un luogo ad un altro attraverso le persone illuminate dal Vangelo.
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TUTTI I “COLORI” DELL’IDROGENO S
Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it
pesso si parla di idrogeno pensando che tutto l’idrogeno sia uguale, ma non è così. L’idrogeno è abbondante in natura, ma non si trova libero, bensì sempre combinato ad un altro elemento differente con cui forma la molecola; come accade con l’acqua, legato all’ossigeno, o nei composti organici, legato a carbonio e ossigeno, ed ancora negli idrocarburi, legato al carbonio. Questo significa che l’idrogeno è il risultato di un processo produttivo, ad esempio dalla scomposizione dell’acqua, oppure attraverso trasformazioni chimiche a partire da combustibili fossili. Il come fa una grande differenza e da questo ne dipendono i possibili colori. L’idrogeno nero è estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale elettrica a carbone o a petrolio, quindi non proprio ecocompatibile. È grigio più del 90% dell’idrogeno oggi prodotto, principalmente per usi industriali; può essere lo scarto produttivo di una reazione chimica, oppure essere estratto dal metano o da altri idrocarburi, in questo caso l’anidride carbonica che risulta dal processo viene liberata nell’aria. Quest’ultima viene invece catturata e immagazzinata nel caso di idrogeno blu, ottenuto sempre da idrocarburi fossili. L’idrogeno viola viene estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale nucleare, cioè a zero emissione di CO2. L’idrogeno verde si ottiene dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale alimentata da energie rinnovabili, come idroelettrica, solare o fotovoltaica. Come è facile immaginare i costi connessi alla produzione delle diverse tipologie sono molto diversi tra loro e incidono sensibilmente sull’attuale diversa diffusione dell’uno o dall’altro colore. Inoltre l’idrogeno è l’elemento più leggero in natura e ciò comporta una serie di difficoltà aggiuntive sia nel trasporto che nello stoccaggio che potrebbero diventare più agevoli e meno costosi di quanto non lo siano oggi grazie a ricerche in corso. L’idrogeno non è tossico né corrosivo perciò, al contrario dei combustibili fossili, in caso di perdite non inquina. È però un gas infiammabile e quindi nel suo impiego vanno adottate le necessarie misure di sicurezza. A contatto con l’ossigeno o altri elementi può avere reazioni esplosive ma è meno infiammabile della benzina perché richiede temperature più elevate. In caso di perdite la sua leggerezza facilita la rapida dispersione nell’ambiente riducendo il rischio di
L’introduzione prossima a Terni di sei autobus a idrogeno costituisce una novità interessante.
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concentrazioni potenzialmente pericolose e, in caso di combustione accidentale, brucia molto rapidamente con ridotta probabilità di propagazione dell’incendio. Gli usi potenziali sono i più svariati. Va ricordato però che l’idrogeno in quanto tale, non può essere considerato una fonte di energia ma solo un vettore, come l’elettricità, bruciando produce calore e libera in atmosfera solo vapore acqueo e non anidride carbonica. Il calore può essere poi impiegato in applicazioni civili e industriali. Un interessante uso industriale, attualmente ancora in fase di sperimentazione avanzata, è quello che prevede l’impiego di idrogeno, invece di carbone, nei processi siderurgici di produzione di acciaio primario, a partire da minerali a base di ossido di ferro. Le emissioni di particolato, gas serra ed altri inquinanti, associate all’attuale impiego di carbone, verrebbero così del tutto eliminate. Più in generale oggi siamo ancora lontani dalla piena maturità tecnologica e bisogna rendere la produzione competitiva. È chiaro che il cambiamento di paradigma dovrà avvenire attraverso una strategia integrata che dia nel lungo termine priorità dell’idrogeno verde abbattendone i costi e facendolo diventare più competitivo. Nel breve e medio termine l’idrogeno blu, tecnologia già in uso e meno dispendiosa, per quanto siano necessarie installazioni per la cattura dell’anidride carbonica, costituisce una via positivamente percorribile. L’introduzione prossima a Terni di sei autobus a idrogeno costituisce una novità interessante. Positivo il fatto che utilizzino l’idrogeno autoprodotto in eccesso dall’AST (grazie a un efficientamento del processo industriale), e donato gratuitamente per tale scopo, un bell’esempio di economia circolare.
Nel paese dell’OLIO DI PALMA L
Francesco PATRIZI
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o scrittore Aw Tash nasce da genitori cinesi nell’isola di Taiwan nel 1971; a vent’anni si trasferisce a Londra dove intraprende la carriera di giornalista e scrittore. Il suo romanzo “Noi, i sopravvissuti” (Sellerio 2020) è ambientato in Malaysia, il paese che si sviluppa a sud della Thailandia, dove molti cinesi, inclusi i suoi nonni, approdarono in fuga dall’Indonesia in seguito a persecuzioni razziali. Chi sono i sopravvissuti di oggi che emigrano in quelle terre? Aw Tash racconta la nuova ondata cominciata con gli indiani e proseguita con bangladesi e indonesiani, tutti impiegati nella raccolta dell’olio di palma; ultimi ad arrivare i nigeriani e l’etnia birmana dei rohingya. “Si erano imbarcati nel Myanmar meridionale, da un posto chiamato Sittwe. Da lì avevano preso la rotta verso la Thailandia meridionale, tagliando per le isole Andamane e dirigendosi verso il punto in cui la Thailandia si restringe e diventa Malaysia. Non era un viaggio molto lungo. È quasi impossibile impiegarli in lavori pesanti. Erano rohingya. Sai cosa significa? Erano rifugiati, vivevano in una zona di guerra, venivano strappati alle loro case, erano deboli e feriti ancor prima di cominciare il viaggio. Quando vieni da un posto come quello, non è solo il tuo corpo che soffre, è spacciato anche il tuo cervello, e Uzzal (il trafficante bangladese) non sapeva come aiutare gente così”. Il motivo che spinge ad emigrare è raccontato con parole dure. “Lo sapevi che il salario medio dei malaysiani era dieci, anche quindici volte più alto del salario medio dei bangladesi? Perciò ce ne erano in giro così tanti.
Se un operaio bangladese andava a Singapore, guadagnava cinquanta volte quello che guadagnava nel suo paese. 50 volte! Chiunque era disposto a salire su un barcone e beccarsi qualche bastonata se pensava che avrebbe guadagnato tutti quei soldi. Ma la maggior parte finiva qui, perché a Singapore c’erano regole, permessi, tutte quelle rogne impossibili da cambiare”. Il romanzo racconta delle sperdute campagne, delle foreste lontano dalle grandi città, delle zone senza legge dove i trafficanti e i padroni dei campi di olio di palma hanno creato un sistema disumano di impiego della forza lavoro clandestina. “I trafficanti che squarciano la pancia della moglie morta perché il corpo non si gonfi e vada subito a fondo. Migranti talmente deboli che stavano morendo, ma dovevano lo stesso scavare fosse. Per se stessi. Così quando morivano, ai trafficanti bastava spingerli dentro. Nessuna forza per lottare, solo abbastanza forza per morire”. Aw Tash getta una luce inquietante sulla realtà che si cela dietro quell’etichetta che leggiamo spesso sulle confezioni dei prodotti, “senza olio di palma”, avvertenza che non si riferisce ad un olio che può essere dannoso alla salute, ma allo scempio ambientale e allo sfruttamento dei lavoratori che comporta. “La natura è bella quando la guardi da lontano, o da un’auto che ci passa in mezzo con i finestrini alzati. Quando ci devi lavorare all’aperto non ti sembra così bella. Quegli occidentali beati, non sanno cosa significa vita all’aria aperta da queste parti” scrive Tash.
NESSUNO IN STRADA – CIRCOLI RIFUGIO 12 Regioni italiane, 13 città, 16 circoli Arci coinvolti: questi i numeri del progetto ‘Nessuno in Strada – Circoli rifugio’, realizzato da Arci e finanziato con i fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Il progetto nasce da una serie di iniziative di accoglienza, sostegno, mutuo soccorso che già vengono realizzate nei nostri circoli sul territorio e dall’idea che possa nascere una Rete nazionale, con l’aspirazione di crescere per rispondere a quelle esigenze che non trovano risposta nelle istituzioni. Nessuno in Strada – Circoli Rifugio vuole mettere a sistema queste iniziative, legandole alla rete dei servizi già erogati dall’Arci nell’ambito dell’inclusione sociale, offrendo un’accoglienza materiale che sarebbe stata impossibile garantire
durante il lockdown al di fuori del sistema pubblico. Il progetto ha origine nei mesi più bui del 2020, quelli in cui le situazioni di marginalità venivano accentuate dal lockdown e la povertà allargava le sue maglie. Abbiamo voluto costruire un progetto che rispondesse a questa emergenza, rafforzando la rete dei Circoli che avevano già all’attivo delle esperienze di mutuo soccorso, per creare una narrazione che racconti chi vive ai margini della nostra società. A Terni il progetto vede coinvolto il comitato Arci e il Circolo “Jonas Club”. L’accoglienza avverrà attraverso l’attivazione di un appartamento e di spazi gestiti direttamente dal circolo e dal comitato provinciale per persone che non hanno dimora.
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Viviamo in un mondo che cambia
Cara GRETA… S
Enrico SQUAZZINI
ono rimasto profondamente colpito dal coraggio e dalla tenacia che una giovane ragazza è stata capace di mostrare al mondo assumendosi l’onere di lanciare un potente grido di allarme che ponesse l’umanità di fronte alle proprie responsabilità: aver, volutamente, sottovalutato le conseguenze delle proprie azioni sugli equilibri ambientali. Stupore maggiore ho provato per la totale mancanza di considerazione di fronte a quel grido disperato. Anzi, devo dire che questa volta la sensazione è stata diversa, lasciandomi letteralmente raggelato e scandalizzato. Ancor di più, giungendo l’appello da una ragazza così giovane, mi ha fatto anche vergognare della posizione degli adulti. In quel quadro di non curanza ho colto atteggiamenti molto diversi fra loro e provo ancora difficoltà a distinguere il peggiore. Di fatto, ho intravisto indifferenza e presunta superiorità da parte di emeriti stolti così presuntuosi da far pensare seriamente che la tanto decantata intelligenza sia, in realtà, da considerarsi un accidente piuttosto raro. Ma forse ho visto di peggio nei molti finti, e ancor più balordi, atteggiamenti degni dell’essere più ipocrita ed inaffidabile che si può avere la tragica sfortuna di incontrare nel corso della propria esistenza. Penso che, al di là delle sbalorditive quantità di scempiaggini che siamo capaci di rigurgitare, in realtà non siamo ancora in grado di capire troppe cose fondamentali della nostra esistenza. Quelle che potrebbero realmente aiutarci. Forse ci siamo complicati la vita a tal punto da non essere più in grado di sbrogliare la matassa delle ragioni di un’esistenza su questo pianeta. Credo sia emblematico quanto accade nell’attuale contesto della crisi pandemica ove, esasperando un concetto, non distinguiamo la differenza di importanza che corre fra un aperitivo o mantenere perfettamente operativa la fabbrica dell’istruzione e cura delle giovani menti. Non riusciamo ad afferrare che senza la tutela delle nuove generazioni, anche e soprattutto dal lato culturale e dell’istruzione, non abbiamo un domani. Qui risiede il futuro di una specie vivente; è una questione istintiva. Ma questo noi sembriamo averlo dimenticato. Da paleontologo e studioso di antichi contesti ambientali ho avuto modo di ragionare, in più occasioni, su questi temi. I Dinosauri che praticavano vita in branco si spostavano mantenendo i giovani rigorosamente al centro del gruppo, tutelandoli da eventuali aggressioni. Medesimo atteggiamento si riscontra nei mammiferi attuali. Fra i primati superiori vi sono esempi bellissimi di cura dell’insegnamento delle tecniche di sostentamento nei confronti della prole. Mamma Scimpanzé dedica attenzioni quasi commoventi nell’insegnare a costruire lo strumento adatto a catturare le Termiti attraverso un mirabile inganno. Negli antenati a noi più prossimi l’importanza del concetto di discendenza si può leggere anche attraverso l’arte, nella creazione di figure femminili in terracotta, le famose veneri, ove appaiono esasperati gli elementi legati alla maternità. Un chiaro segno, forse indiretto, di consapevolezza dell’importanza dei giovani individui per la continuità. Facendo le dovute proporzioni, ritengo che tali esempi appaiano palesemente in contrasto con gli atteggiamenti di noi primati moderni. Non è certo un buon segnale, tanto meno incoraggiante. Ti faccio i miei sinceri auguri per i tuoi diciotto anni, cara Greta. Ne sono trascorsi circa tre dal tuo esordio nella campagna di sensibilizzazione. In questo arco di tempo non è stato fatto praticamente nulla di quanto era stato promesso. Al contrario di quanto ritengano gli ignobili stolti di cui sopra, tre anni non sono affatto pochi. La situazione è così grave che di tempo a disposizione non credo ne sia rimasto molto.
Senza la tutela delle nuove generazioni, anche e soprattutto dal lato culturale e dell’istruzione, non abbiamo un domani.
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NESSUNO SI SALVA DA SOLO I Pierluigi SERI
l titolo di questo articolo è tratto da quello di un celebre film del 2011 basato sul romanzo della scrittrice Margaret Mazzantini, ma non è del film che voglio parlare. L’ho scelto perché si adatta perfettamente all’argomento che ho intenzione di affrontare. Si tratta di una breve riflessione sull’economia della UE in tempo di covid. Il 21 gennaio la BCE ha lasciato invariata la politica monetaria per verificare se i provvedimenti presi in precedenza fossero sufficienti per contrastare gli effetti negativi dell’ ultima ondata di coronavirus. C’è stato un richiamo ai Paesi che sono in ritardo con la presentazione dei Recovery plans nazionali, spiegando che tale ritardo è potenzialmente dannoso per la ripresa della zona Euro. Allusione anche all’Italia i cui politici, come da copione, sono troppo impegnati in polemiche, liti poltroniere ecc.. per occuparsi di ciò. La cosa invece ci riguarda da vicino. Bisogna garantire in Europa un coordinamento tra politica fiscale e politica monetaria che devono andare di pari passo per sostenere la ripresa. Il motivo principale riguarda il coordinamento delle politiche economiche in un mondo sempre più interdipendente e interconnesso. Nel 2020, annus horribilis, il mondo ha subìto sostanziali cambiamenti che stanno mettendo in crisi il pensiero politico di questi ultimi anni. L’idea di fare da soli in economia, basando la ripresa su sovranismo e neoprotezionismo, si sta mostrando completamente inadeguata per gestire una pandemia causata dall’interdipendenza. Qui si nota un vero paradosso: la pandemia che ha provocato varie forme di isolamento e di distanziamento, ha generato legami sanitari, economici e finanziari del tutto nuovi e molto stretti tra Paesi. Sta venendo fuori un mondo più interconnesso che richiede nuove politiche economiche che necessitano di una forte interconnessione internazionale. Le nuove interdipendenze delle varie economie mondiali hanno natura monetaria e non monetaria.
I legami non-monetari sono: la pandemia, i cambiamenti climatici e le migrazioni. Tra i legami di natura monetaria, i vaccini, la crescita del debito pubblico e i nuovi flussi di commercio. Flussi molto intensi e nuovi che stanno creando un nuovo sistema per cui nessun Paese può fare da solo, isolandosi. L’Europa ha ravvisato la necessità di maggior coordinamento di tutte le aree, secondo quanto è emerso dall’incontro tra Angela Merkel e Emmanuel Macron la scorsa primavera, i quali hanno capito l’importanza del piano inter-europeo per disegnare il Next Generation Eu. Il giorno 20 gennaio il neo presidente USA Joe Biden ha fatto fondamentali aperture a questa nuovo modo di pensare le politiche economiche, dal clima alla pandemia, alla necessità di rilanciare i rapporti con l’Europa, chiudendo definitivamente con la molto discutibile parentesi trumpiana. In questo clima, cambiato sostanzialmente, appare imperdonabile il ritardo di alcuni paesi, tra cui l’Italia, nel presentare a Bruxelles i piani nazionali. Speriamo che il nostro govero ci riuscirà, almeno quando questo articolo uscirà in stampa. In tutti i Paesi il dibattito politico è incentrato intorno alle politiche sanitarie ed economiche a livello nazionale. Bisogna ricordare che l’uscita dalla crisi provocata dalla pandemia dipenderà dall’azione coordinata dei vari Paesi, dal debito, alle vaccinazioni, alla crescita. È innegabile che in certe aree economiche la competizione sia fondamentale, specie nel campo dell’innovazione tecnologica. Molte imprese in questo ambito si sono rinnovate, però, in un insieme che rimane competitivo, necessita un forte coordinamento macro-economico. Fare da soli è stato uno slogan di pura propaganda, ma è un’illusione pericolosa e dispendiosa. Soprattutto superata dai fatti. Sarebbe proprio il colmo dei colmi trovarsi da soli per non essere stati capaci di scrivere per tempo un programma di ripresa! Verità e giustizia per Giulio Regeni
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Grandi musicisti ternani
L’etica del giovane BRICCIALDI LETTERA DI GIULIO BRICCIALDI (1818-1881) Antefatto: Giulio Briccialdi, all’età di 15 anni, viene invitato ad esibirsi a Roma presso la Congregazione dei Professori di Roma (oggi chiamata Accademia Nazionale di Santa Cecilia). Si tratta di esibirsi in occasione della festa per Santa Cecilia, patrona dei musicisti, ed è sostanzialmente l’evento musicale romano di maggior rilevanza dell’anno, organizzato dalla più antica e paludata congregazione di musicisti d’Italia. Appare evidente quale dovesse essere il valore incontestabile di Briccialdi per vedersi proporre una simile occasione. Briccialdi accetta l’invito e il 1° Marzo 1833 scrive:
Gian-Luca Petrucci
Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma
Giulio Briccialdi da giovane
N
el mio archivio privato possiedo una lettera, scritta da un grande virtuoso, futuro protagonista della vita musicale a lui contemporanea. Lo scritto colpisce per la volontà evidente di dimostrare, verso i Maestri, modestia e rispetto non semplicemente formale, ma realmente vissuta nel quadro di una consapevole appartenenza al medesimo ambiente culturale. Un modo, assai attento, per condividere un’evoluzione che traeva linfa vitale dalla tradizione e si poneva in fase dinamica con la deferenza dovuta verso chi si preparava a consegnare loro il testimone. E così, spontaneamente, affiora una riflessione sui cambiamenti odierni avvenuti nel nostro ambiente e sull’evoluzione dei rapporti fra generazioni. Lo scambio fra Maestro e allievo risulta vissuto nel segno del miglioramento di una continuità dell’ingegno, dello stile, della fiera testimonianza di competenze comuni che coniugavano, nelle loro diverse articolazioni, il passato con un presente proiettato verso un futuro a cui il trascorso non solo non era estraneo, ma rappresentava la condizione essenziale per ogni sviluppo. Nella lettera appare straordinario come lo scrivente (Giulio Briccialdi) insista sul valore dello studio come valenza assoluta, così come appare evidente la consapevolezza che la propria giovanile e prorompente carica dovesse essere moderata ed incanalata verso una concentrazione che non escludesse tempi lunghi e finalità finanche modeste. Ai nostri giorni il senso di appartenenza, di rispetto, di considerazione, di nobile affetto verso le matrici generatrici (quali esse siano) appare fortemente compromesso e sempre maggiormente si assiste al rapido consumo dei primari valori che dovrebbero essere suggello inscindibile del patto fra generazioni. Gli allievi si allontanano dai Maestri che vengono utilizzati più che compresi e spesso si assiste a “deliri di onnipotenza” che preludono alla volatilizzazione degli insegnamenti ricevuti. Al termine di questo percorso tutti (intendo Maestri e allievi) rimangono più soli e il testimone delle competenze trasmesse non viene raccolto da una ferrea e giovanile mano, ma scivola via dal pugno di chi lo porgeva. Quando Briccialdi scrisse la lettera sapeva perfettamente di essere migliore del suo Maestro ed aveva la consapevolezza del proprio valore, tuttavia possedeva l’etica morale per riconoscere, rispettare ed ammettere la valenza di chi, fino a quel momento, lo aveva guidato.
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“Stimatissimi Signori, mi chiamo ben fortunato ad essere stato scelto da una quantità di professori per eseguire un concerto in occasione della festa di Santa Cecilia, accetto volentieri la loro proposta, peraltro mi protesto che sarà difficile un buon esito, poiché la mia abilità è tanto limitata che non è affatto bastante per un complesso così scelto. Non manco però di ringraziarli della loro bontà, che mi incoraggiscono a studiare maggiormente onde potere fare qualche progresso nell’avvenire. Il loro servo Giulio Briccialdi
Lettera del 1° Marzo 1833
Finìmola... pe’ nnun zape’ né llègge né scrìe Ero ‘n bbardascìttu... più dde sessant’anni fa... e mm’aricòrdo che ssotto casa mia ce stéa Finìmola ‘n affittu su ‘na stanza, ‘nu sgabbuzzinu e ‘n bagnittu. Era ‘na “signurina” ciùca ciùca, ‘narfabbèta e ‘n bo’ ‘ttembàtella... ch’éa laoratu da Cinturini. Era l’urdima de ‘na dicìna de fiji... lu primu, tantu pe’ ‘ncumincia’, è statu jamatu Primu come agùriu speranno de prosegui’... essa Finìmola... sperànno de smétte. Era ‘na bbòna cristiana e io purtroppu je facéo ‘n saccu de dispétti. Mo’ ‘n arcontu unu... essa stéa sotto lu spiazzu davanti a la porta de casa sua... io da la terrazza ho calatu de sottu ‘n capu de ‘na corda dicénnoje de tenémmelu. So’ nnatu ggiù e sverdu sverdu je l’ho llegata, co’ pparecchi nodi, ‘ntornu a lu stòmmicu... ppo’ de corsa so’ rinnàtu sussopra e co’ ‘ll’andru capu ho ‘ncuminciatu a ttira’... cercànno de staccàlla su. ‘Stu ggiocu è bbèllu quanno è ccurtu... ‘nfatti mi’ padre ha sintìtu li strilli e... ssàrvete celu! ‘N’andra vòrda ‘nvece ho ‘ssistìtu a ‘na scenetta tra essa e ‘na cuggìna de Roma che je dicéa... Noi c’émo ‘n saccu de munumenti, de palazzi... lu fiume Tevere ch’è ‘na meravija... a Tterni che cc’éte?... Pazzàja!... Finìmola j’ha
Paolo CASALI
rispostu a ccìciu... Noi c’émo le Marmore co’ lu Nera e... ‘llu fiume vostru senza ll’ingozzata che je famo fa’... è ‘na pisciatèlla... e essa... Sìnti ‘n bo’... ce si’ vvinùta mai a Rroma?... Sci’... ho vistu lu Culussèu, San Pietru e... ttante andre cose... ’llora’ hai vistu pure la tomba de lu Milite ‘gnotu?... No... ‘émo ggiratu tantu ma a lu cimiteru ‘n ce semo ‘nnati! A ‘llu puntu la parènte... ggiù a sganassàsse da le risate mentre io so’ ‘rmastu seriu seriu... mica pe’ nno’ffènne Finìmola ma sulu perché no’ ll’éo capìta... ppo’ me l’hanno fatta ‘ntènne. Poste Scrìttumme: Pe’ nnun zape’ né lègge né scrìe... co’ ‘lla “pisciatèlla” ‘éa mintuàtu llu “bbattibbeccu poèticu” tra Mmiselli e Bbelli e dde quistu me né so’ rresu cuntu parécchiu tembu dòppo!
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CIFOPLASTICA PERCUTANEA
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e fratture vertebrali da fragilità ossea (Fig.1) avvengono frequentemente in persone in età avanzata e sono spesso la conseguenza di una malattia demineralizzante "osteoporosi". L'incidenza di tali fratture oltre i 75 anni di età è del 21% nel sesso maschile e 35% nel sesso femminile); il trattamento più frequente è quello conservativo, che consiste nel riposo a letto, utilizzo di un busto ortopedico e di farmaci antidolorifici e farmaci antidemineralizzazione ossea. Nei pazienti in cui tale trattamento non risulta efficace per la riduzione del dolore, trova indicazione l’interventio di cifoplastica, che consiste nell’introdurre del cemento osseo radiopaco (polimetilmetacrilato) in una cavità creata nel corpo vertebrale da un palloncino introdotto per via percutanea (Fig.2-Fig.3), permettendo di ridurre il dolore
e ripristinare almeno in parte l’altezza del corpo vertebrale (Fig.4). L’intervento viene usualmente effettuato in anestesia generale e in anestesia locale associata a blanda sedazione; tutta la procedura percutanea è effettuta sotto controllo ampliscopico (radiografico), entrando nel corpo vertebrale attraverso uno o ambedue i peduncoli vertebrali (Fig.3). L'effetto principale è il dolore che scompare o si riduce sensibilmente in oltre l'85% dei casi, e permette di ottenere, inoltre, un parziale ripristino dell'altezza vertebrale nel 90% dei casi ed una parziale correzione della deformità vertebrale (cifosi). L’indicazione principale di questa procedura sono le fratture vertebrali da schiacciamento da osteoporosi recenti (fino a tre mesi). Controindicazioni a questo intervento sono gravi malattie della coagulazione, collasso vertebrale completo, fratture instabili, complicanze neurologiche.
Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport
- Terni 0744.427262 int.2 Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6 - Rieti 0746.480691 Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25 - Viterbo 345.3763073 S. Barbara via dei Buccheri
www.drvincenzobuompadre.it
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
PAP TEST O HPV TEST ? Facciamo un po’ di chiarezza! Il PAP TEST è l’indagine che ha radicalmente riscritto la lotta al tumore del collo dell’utero, il maggior successo in tema di prevenzione oncologica. Inventato dal dottor George Nicholas Papanicolaou, dagli anni ’40 in poi si è diffuso in tutto il mondo salvando centinaia di migliaia di donne. Il PAP TEST è un esame citologico, perché studia le caratteristiche delle cellule prelevate dal collo uterino, cioè la presenza di eventuali alterazioni cellulari che precedono l’insorgenza di un tumore o lesioni tumorali già presenti. Anche in caso di assenza di rapporti sessuali si ritiene che una donna, a partire dai 18-20 anni, debba effettuare questo tipo di esame almeno ogni 3 anni. Le indicazioni più recenti
della comunità scientifica suggeriscono di introdurre dopo i 30 anni anche l’HPV TEST. Il test HPV, come il PAP TEST, consiste nel prelievo di una piccola quantità di cellule dal collo dell’utero che vengono analizzate per verificare la presenza di PAPILLOMAVIRUS, il quale può causare infezioni responsabili dell’insorgere del tumore al collo dell’utero. Il test HPV è più efficace del PAP TEST nel predire la possibilità di sviluppo di lesioni, ma, allo stesso tempo, meno specifico, cioè identifica anche infezioni che potrebbero regredire spontaneamente. Ecco perché l’esame andrebbe riservato alle donne di età superiore ai 30 anni: prima di questa età le infezioni da HPV sono molto frequenti, ma regrediscono spontaneamente in un’alta percentuale di casi e non evolvono quasi mai in tumore.
Le uniche raccomandazioni per eseguire entrambi i test sono di non eseguire l’esame durante il flusso mestruale e nei due giorni precedenti; astenersi dai rapporti sessuali per almeno due giorni; evitare l'uso di deodoranti intimi, prodotti spermicidi, lavande, creme, gel, ovuli o schiume vaginali di qualunque tipo. I due test quindi non si sostituiscono l’uno all’altro, ma, effettuati entrambi, su consiglio del proprio ginecologo di fiducia, possono essere un fondamentale strumento di prevenzione.
DR.SSA GIUSI PORCARO
STUDIO CAPALDI - Via I Maggio 40 - Terni (0744 405187)
Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
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www.latuaginecologa.it
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AZIENDA OSPEDALIERA S
BREAST UNIT Le Breast Unit rappresentano da tempo l’opportunità di cura e assistenza, regolata da specifiche linee guida nazionali, permettendo alla donna di affrontare il tumore al seno con la sicurezza di essere seguita da un team di specialisti dedicati, curata secondo i più alti standard europei e accompagnata nell’intero percorso di malattia. In ogni tappa di tale percorso, dalla diagnosi al follow up, il centro di senologia prevede la presa in carico di tutti i bisogni fisici e psicologici della donna affetta da una patologia complessa come il carcinoma mammario, nelle sue diverse rappresentazioni.
Dott. Alessandro SANGUINETTI Responsabile della BREAST UNIT Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni
L’IMPORTANZA DI ESSERE CURATA IN UNA BREAST UNIT In Italia si ammalano di tumore al seno più di 50 mila donne all’anno. Si tratta della neoplasia più frequente nella popolazione femminile e causa del maggior numero di decessi in tutte le fasce di età. La donna curata nella Breast Unit, in presenza di un’équipe multidisciplinare, ha maggiori possibilità di guarire poiché viene assicurata l’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici e degli interventi, basandosi sulle migliori evidenze scientifiche, garantendo qualità e sicurezza della cura. LA BREAST UNIT DELL’AZIENDA OSPEDALIERA DI TERNI È l’occasione per essere curati al meglio, secondo standard internazionali e da personale altamente specializzato per il carcinoma della mammella. È avere a disposizione una struttura scientificamente organizzata, le cui prestazioni vengono valutate periodicamente e nella quale si assicura l’aggiornamento sia del personale sia della strumentazione utilizzata.
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In essa è assicurata la presenza di chirurghi, radiologi, patologi, oncologi, radioterapisti, infermieri, tecnici di radiologia, fisici medici e data manager che dedicano tutta o la maggior parte della propria attività al trattamento della patologia della mammella e di molte altre figure come: psiconcologo, onco-genetista, chirurgo plastico, fisiatra, fisioterapista e medico nucleare specializzati nella patologia mammaria. Ciò assicura tempestività nella diagnosi e nel trattamento poiché nelle riunioni multidisciplinari settimanali viene discusso collegialmente ogni singolo caso del quale vengono condivise la diagnosi e la strategia terapeutica con indicazioni puntuali per la chirurgia, per la terapia farmacologica, per la radioterapia, per la terapia riabilitativa e per la fase dei controlli. Tale condivisione, produrrà un referto scritto che riassume i dati clinici della paziente e le decisioni e che individua la persona che effettuerà il colloquio con la paziente e la prenderà in carico. CHI ACCEDE ALLA BREAST UNIT? Donne tra i 50 ed i 72 anni senza sintomi e senza familiarità. Per le donne in questa fascia di età, nella quale ricade la maggior parte dei tumori al seno, è attivo il programma di screening della ASL territoriale Umbria 2. In caso di diagnosi positiva o sospetta, la Breast Unit aziendale garantisce l’accesso immediato agli esami diagnostici di secondo livello e la presa in carico della paziente. Donne che non rientrano nei programmi di screening mammografico senza sintomi e senza familiarità. Si tratta di soggetti asintomatici che chiedono una valutazione senologica per verificare la presenza di una eventuale patologia (subclinica) meritevole di diagnosi ed eventuale terapia.
Donne di qualsiasi età con sintomi indicative di un possible tumore al seno. Queste donne possono accedere alla Breast Unit per eseguire una visita senologica approfondita o un esame diagnostico attraverso la richiesta del proprio medico di famiglia. Donne a rischio eredo-familiare per il tumore al seno o all’ovaio. Queste donne possono accedere al percorso di prevenzione e di diagnosi precoce presso la Breast Unit con adeguata richiesta del proprio medico di famiglia. Donne in follow up oncologico (esenzione 048 o indicazione di follow-up nel quesito diagnostico senza entrare nel merito della patologia): hanno diritto di accesso indipendentemente dall’età. Per queste utenti è prevista la prenotazione mediante il raggruppamento oncologico.
SANTA MARIA DI TERNI IL MODELLO STRUTTURALE DELLA BREAST UNIT DI TERNI Quasi tutti i servizi dedicati al tumore al seno: la diagnostica, la chirurgia, l’oncologia medica etc. si trovano accorpati ed integrati nel perimetro della Azienda Ospedaliera. Questo modello facilita le discussioni multidisciplinari per vicinanza fisica e per appartenenza al medesimo contesto aziendale. REPARTO DI RADIOLOGIA SENOLOGICA Avamposto della Breast Unit. Si arriva qui per diversi motivi. Il più comune è dopo aver partecipato allo screening mammografico territoriale. In altri casi, si arriva al reparto per accertamenti (ecografia mammaria, mammografia o altri esami) in seguito a una visita senologica o con richiesta del medico di famiglia. APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO La prima fase è l’approfondimento della diagnosi, attraverso esami di imaging e di radiologia interventistica che si concludono con una diagnosi microistologica integrata dalla caratterizzazione biologica. PRIMO COLLOQUIO CON LA PAZIENTE E PRIMO INCONTRO MULTIDISCIPLINARE Ad informare la paziente della diagnosi e a discutere con lei il piano terapeutico può essere lo specialista senologo, il medico radiologo, il chirurgo o l’oncologo. Durante il colloquio, la paziente riceve
l’indicazione della strategia terapeutica quale risulta dall’incontro multidisciplinare, con una dettagliata descrizione del tipo di intervento chirurgico che dovrà affrontare, eventualmente associato al rimodellamento e alla ricostruzione del seno. Il referto scritto sarà allegato alla cartella clinica. L’ACCETTAZIONE In caso di diagnosi positiva, la Breast Unit predispone la documentazione sanitaria, fornisce il supporto per le pratiche di eventuale esenzione per patologia e avvia la donna al percorso diagnosticoterapeutico, guidandola ed aiutandola per l’accesso ai diversi reparti. Nella nostra realtà un infermiere senologo dedicato resta il punto di riferimento della paziente. Altrettanto importante è il riferimento e la collaborazione delle associazioni di volontariato, che sono fisicamente presenti nel centro. IL REPARTO DI ONCOLOGIA MEDICA O QUELLO DI CHIRURGIA A seconda della situazione clinica e della decisione del Gruppo Multidisciplinare, il percorso continua presso il reparto di oncologia medica o presso quello di chirurgia senologica. In alcuni casi, infatti, viene prescritta una terapia oncologica neoadiuvante prima dell’intervento chirurgico, per esempio per ridurre le dimensioni del tumore. In altri casi, invece, viene programmato direttamente l’intervento chirurgico. La ricostruzione può essere immediata, cioè effettuata durante lo stesso intervento di asportazione del tumore, o può essere effettuata in interventi successivi, a seconda delle caratteristiche del tumore e della paziente, nonché delle sue preferenze. Ogni fase della ricostruzione (che può richiedere
complessivamente diversi mesi) e ogni controllo verrà programmato dall’unità di chirurgia. DIAGNOSI ISTOLOGICA DEFINITIVA E SECONDO INCONTRO MULTIDISCIPLINARE Dopo l’intervento chirurgico, il tessuto tumorale asportato viene analizzato dall’anatomopatologo, che esegue diversi tipi di analisi, comprese quelle molecolari. Quando il referto anatomo-patologico è pronto, l’équipe si riunisce nuovamente per valutare il caso alla luce di tutte le nuove informazioni disponibili. IL SECONDO COLLOQUIO CON LA PAZIENTE La paziente viene informata sulla diagnosi definitiva e su come proseguirà il suo percorso che, nella maggior parte dei casi, comprende la terapia farmacologica e la radioterapia. In questa fase vengono date le indicazioni in merito a quale
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terapia oncologica e/o ormonale verrà prescritta, per quanto tempo, come e con quale cadenza dovrà essere assunta, quali effetti collaterali avrà e come questi potranno essere mitigati affinché abbiano il minor impatto possibile sulla qualità di vita. Lo stesso vale per le eventuali sedute di radioterapia: verrà spiegato su quali zone dovrà essere effettuata, per quante sedute, quali effetti secondari provoca e come si possono ridurre o prevenire. I CONTROLLI DURANTE LE TERAPIE Durante le terapie, le pazienti vengono monitorate per prevenire alcuni importanti effetti secondari. Ad esempio, le terapie ormonali aumentano il rischio di fratture delle ossa e, come anche le chemioterapie, causano disturbi correlati, come la menopausa precoce indotta. Ancora, alcuni farmaci chemioterapici e la radioterapia effettuata sulla parte toracica sinistra comportano un rischio cardiovascolare che deve essere attentamente valutato nelle pazienti con disturbi cardiovascolari pregressi. Durante questi controlli vengono anche programmate le visite e gli esami del seno, e vengono fissati i relativi appuntamenti. LE CURE PALLIATIVE Le pazienti con un carcinoma mammario in stadio avanzato hanno a disposizione un servizio specializzato di cure palliative che collabora con l’équipe multidisciplinare, per assicurare la continuità della cura. ONCOGENETICA Nella Breast Unit è presente un medico genetista esperto di tumori eredo-familiari della mammella e dell’ovaio. RIABILITAZIONE Nella Breast Unit il fisiatra e il fisioterapista sono disponibili per la valutazione della paziente con tumore al seno, sia prima dell’intervento chirurgico sia immediatamente dopo. In caso di complicanze post-operatorie, la Breast Unit garantisce la presa in carico delle donne che devono svolgere le attività riabilitative. PSICONCOLOGIA Nella Breast Unit è prevista ed indispensabile la figura del psiconcologo che è integrato nell’équipe partecipando a tutte le riunioni
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multidisciplinari, coadiuvando il clinico nella comunicazione della diagnosi e prendendo in carico la paziente. INFERMIERI DI SENOLOGIA Nella nostra Breast Unit sono presenti 4 infermieri dedicati a tempo pieno alle attività del centro (2 in ambulatrio senologico e 2 in radiologia), con competenze specifiche nel trattamento del tumore al seno, nella comunicazione e nel counseling. Sono parte dell’équipe multidisciplinare e partecipano alle discussioni settimanali; sono presenti durante i colloqui con le pazienti alle quali vengono comunicati diagnosi e piano terapeutico. L’ ATTIVITÀ DELL’ANNO 2020 Dal 7 Gennaio 2020 al 29 Dicembre 2020, nonostante le riduzioni dell’attività legate alla pandemia COVID-19, nella Breast Unit dell’Azienda Ospedaliera sono state trattate 179 pazienti con cancro della mammella. Dei citati 179 trattamenti, 145 sono stati interventi mammari conservativi di quadrantectomia eseguiti utilizzando tecniche di ONCOPLASTICA per rimodellare la mammella rimanente e fornire alla paziente un miglior risultato a fronte dell’indispensabile radicalità oncologica. Tale intervento necessita sempre di controlli intraoperatori (radiologici e/o anatomopatologici); verificata la chirurgica si procede, nello stesso intervento, alla ricostruzione della mammella residua con tecniche di oncoplastica. Nei restanti 28 casi si è proceduto a mastectomia; 13 pazienti (44%) con determinati requisiti clinici e terapeutici sono state sottoposte a mastectomia e ricostruzione immediata
con impianto protesico prepettorale, monolaterale o bilaterale profilattica nei casi di mutazione (BRCA). Tale metodica ha indubbiamente favorito una precoce ripresa funzionale da parte delle donne e la rapida accettazione della loro immagine.
DIAGNOSTICA SENOLOGICA Dott.ssa Cristina Grippo Dott.ssa Sara Bencivenga ANATOMIA PATOLOGICA Dott.ssa Tiziana Macciò Dott.ssa Simona Francesconi CHIRURGIA della MAMMELLA Dott.PhD. Alessandro Sanguinetti Dott.ssa Marina Vinciguerra CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA Dott.PhD. Stefano Chiummariello MEDICINA NUCLEARE Dott. Fabio Loreti Dott.ssa Roberta Falchi ONCOLOGIA MEDICA Dott. Sergio Bracarda Dott.ssa Jennifer Foglietta Dott.ssa Martina Nunzi Dott.ssa Silvia Sabatini RADIOTERAPIA ONCOLOGICA Dott. Ernesto Maranzano Dott. Fabio Trippa Dott.ssa Paola Anselmo Dott. Fabio Arcidiacono SERV. PSICOLOGIA OSPEDALIERA Dott.ssa Roberta Deciantis CENTRO SALUTE DONNA Personale Infermieristico: I.P. Paola Orfini I.P. Maria Rita Petrucci I.P. Samuela Fortunati I.P. Emanuela Raggi
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È COME SE DALL’INTERA UMBRIA FOSSERO EMIGRATI SOLO I TERNANI Mauro SCARPELLINI
Chi poteva immaginare che a Terni la riduzione di residenti di origine italiana fosse uguale alla riduzione di tutti i residenti nell’intera Regione Umbria ? Sì, proprio così. Nel periodo dal 2005 al 2019 è di 6.578 ternani la riduzione dei residenti di origine italiana nella città. Il dato è frutto di una mia ricerca che dice che il rimpiazzo dei residenti è avvenuto con l’arrivo di 7.539 immigrati di origine straniera. Infatti i residenti sono aumentati proprio della differenza (+ 961) tra questi due numeri. I residenti di origine straniera provengono da 113 paesi, romeni in testa. I dati statistici ufficiali consolidati (all’1.1.2019) informano di un cambiamento demografico silenzioso e netto in corso nella città di Terni, qui riepilogato. ANNO
RESIDENTI TOTALI (A)
RESIDENTI STRANIERI (B)
RESIDENTI STRANIERI IN %
DIFFERENZA TRA (A) e (B)
2005
109.569
5.984
5,46
103.585
31.12.2019
110.530
13.523
12,23
97.007
Perché è accaduto questo ? Perché la città è in crisi e con essa è in crisi il territorio circostante. Sono in crisi l’imprenditoria, il commercio, la macchina pubblica, il turismo, l’equilibrio sociale. L’arco di tempo esaminato è di quattordici anni e il COVID 19 non entra tra le cause perché la mia ricerca si ferma al 2019, volutamente. L’apporto del Centro culturale LA PAGINA in questa difficile fase economica e sociale parte dalla constatazione che è riassunta nella tabellina e si esprime con pubblicazioni che analizzano, documentano, suggeriscono agli attori pubblici e privati del nostro territorio. Sono conosciute le attività produttive che preoccupano in merito alla loro sopravvivenza e al loro contributo disoccupazionale, economico e sociale. La riduzione di residenti dell’ultima colonna -che è la differenza tra i ternani di origine italiana e i ternani di origine straniera- è il risultato dell’azione di più fattori e si concretizza con l’emigrazione definitiva verso altre città italiane e straniere. L’emigrazione indica che le condizioni economiche e sociali non sono soddisfacenti e non offrono prospettive positive. Non è irrilevante il numero di giovani diplomati e laureati che va a cercare lavoro altrove, in Italia e all’estero. Questa realtà ternana va comparata con la realtà di altre città e villaggi di paesi stranieri che non hanno ancora avuto il livello di sviluppo della nostra città e dell’Italia e si scopre che il processo qui descritto ha somiglianze e analogie. L’emigrazione italiana verso gli stati Uniti d’America dopo l’unità d’Italia e poi verso il Canada e l’America latina può essere analizzata -in generale- con criteri non lontani da quelli che possiamo usare per analizzare il fenomeno migratorio dai 113 paesi dai quali provengono i 13.523 residenti ternani di origine straniera. Una conferma indiretta della crisi della nostra città si ricava anche dall’esame dell’afflusso dell’immigrazione romena che è la comunità straniera più numerosa a Terni. I romeni erano 4.761 a fine 2019, oltre il 35 % degli immigrati residenti in città. Terni con i 4.761 immigrati romeni era al quindicesimo posto tra le città italiane per numero di immigrati romeni; ma Terni non è la quindicesima città italiana, è la quarantunesima.
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Lineamotori giugno 2020 OK_linea1 16/06/2020 15:55 Pagina 32
Quindi questa sfasatura è un segnale chiaro che conferma il processo di rimpiazzo demografico in una città in forte crisi e di consistente emigrazione dei propri residenti di origine italiana. Il rimpiazzo avviene in misura più che proporzionale rispetto al rapporto tra residenti e immigrati. Evidentemente la comunità romena in Terni si è collocata in modo tale da fare punto di riferimento ulteriore per i connazionali e si è rafforzata nel numero perché a Terni si è creato lo spazio. La crisi ha creato lo spazio per il rimpiazzo. Attenzione, gli immigrati non vengono a sostituire i nostri giovani cacciandoli dal loro lavoro, ma vengono a coprire i posti vuoti lasciati dal calo di residenti di origine italiana. Lo dicono i numeri e possiamo constatarlo in città. Similmente avvenne per le comunità italiane -organizzate in comunità di provincia e perfino di paese di provenienza, come constatai a Brooklyn anni fa- e come è avvenuto in ogni altra parte americana e australiana nella fase della più consistente emigrazione italiana. C’è un mutamento già avvenuto della realtà economica e sociale della città e il mutamento non si è fermato. L’ascensore sociale -cioè la crescita scolastica e culturale e un miglior lavoro della generazione successiva rispetto alla precedente- si concretizza -per i residenti di origine italiana- non più nel luogo di nascita o nei dintorni, ma con l’andare via dal luogo d’origine. O almeno ci sperano. Quando ciò diventa un fenomeno quantitativamente rilevante -e lo è- la crisi è certificata. Lo è per la ricerca di un lavoro migliore, ma ormai abbiamo sintomi anche di messa in crisi della scolarizzazione e dell’apprendimento.
Il livello economico della città regredisce. Rispetto al 2005 la caduta della ricchezza prodotta nel ternano è intorno al 25%. Non funziona l’ascensore produttivo e, tuttavia, lo spazio immigratorio avviene in un periodo pluriennale di calo del prodotto interno creato nell’area ternana. Anche gli immigrati, bisognosi di avere un reddito, un lavoro, sono disposti a lavorare in mansioni meno qualificate di quelle alle quali potrebbero ambire grazie al loro titolo di studio. Anche per loro l’ascensore sociale si verifica solo se vanno via dal loro paese. Abbiamo una coincidenza di un ciclo che riguarda noi e loro. Il contributo del Centro culturale LA PAGINA vuole stimolare consapevolezza ed interventi delle mani pubblica e privata. Se si conosce il territorio e si sa apprezzare le potenzialità che esso offre è possibile progettare, realizzare, invertire la discesa in corso. Occorre avere una diversa e nuova visione della città e della provincia realizzando idee-progetto coerenti ed efficaci. Avere una visione significa disegnare una ricostruzione dell’habitat nel senso che la vecchia esistenza che si basava sulla presenza di un’industria pesante di base, metallurgica, chimica, militare, non è e non sarà più la base di appoggio della vita civile e della sua crescita. La riconversione va fatta e la crisi attuale può aiutarla perché non si tratta di distruggere cose per sostituirle (con feriti e danni), ma di aggiungere molto a ciò che c’è. Dobbiamo sfidare e battere questa regressione. Chi è disposto a collaborare in ogni campo si faccia avanti.
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ACCOGLIERE PER RINASCERE A
Giacomo PORRAZZINI
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l cuore della discussione, europea ed italiana, sul Recovery Fund c’è un tema di fondo: come trasformare la gravissima crisi attuale, non solo sanitaria e non solo economica e sociale, ma di modello e di sistema, in una opportunità di sviluppo. La sfida è aperta a tutti i livelli, compreso quello della dimensione urbana, della città. Una prova da affrontare e vincere, in particolare, in una realtà come quella ternana, da anni investita da una crisi progressiva della sua piattaforma produttiva, basata sulla grande industria e del suo modello sociale, il cui carattere soffre di modesta diversificazione e di scarsi punti di eccellenza e la cui tenuta è affidata ai trasferimenti monetari dello Stato sociale. Per riuscire in questa impresa inedita e di grandissimo impegno occorre riorganizzare e mobilitare tutte le nostre migliori risorse interne, a partire dai giovani, spesso con alte competenze, oggi tentati dalla fuga verso migliori opportunità. Occorre una visione di economia e società futura, di modello urbano; una visione che non potrà che essere quella di “una città sostenibile”. Dunque un contesto insediativo e produttivo in equlibrio e “pace” con la natura; una città aperta ed inclusiva, colta, solidale, attenta alle attese ed ai bisogni della gioventù. Una città accogliente, come si è trovata ad essere agli albori della sua trasformazione in una piccola Manchester Italiana, quando le sue sorti furono affidate non solo ai capitani d’industria ed al capitale del nuovo Stato, ma soprattutto agli umili forestieri che dalle campagne umbre e laziali a da altre zone del paese venivano ad imparare la fatica siderurgica nel tempio dei forni e del grande maglio. Quei nuovi ternani, mescolati ed integrati con gli indigeni per mezzo della severa solidarietà del lavoro di fabbrica, hanno dato vita alla “Comunità ternana” di cui ora siamo parte. Anche oggi, se si vuole che il processo virtuoso di nuova trasformazione sia rapido, occorrerà attrarre risorse esterne aggiuntive, non solo economiche e finanziarie, ma anche umane; risorse demografiche capaci di ringiovanire e rinsanguare la nostra comunità invecchiata e risorse di competenza, idonee a padroneggiare le nuove discipline sistemiche dello sviluppo sostenibile. La capacità di attrazione della città futura dipende da una pluralità di fattori, fra i quali, prioritari appaiono quelli relativi alla qualità e salubrità dell’ambiente. Terni, città di prima industrializzazione pesante, siderurgica e chimica, deve risalire una ripida china, sotto questo profilo.
La sua immagine, in parte anche a torto, a livello regionale e nazionale è quella di una città significativamente segnata dall’inquinamento atmosferico, sia esso costituito da polveri sottili, da gas tossici e ad effetto serra, da metalli pesanti emessi dal ciclo siderurgico. Sono aperti dubbi sulla incidenza di tale situazione ambientale sulla maggiore Foto di Marcello Coronelli
diffusione di alcune patologie oncologiche o cardiorespiratorie. Per questo, in primo luogo, va evitata l'installazione di ogni fonte emissiva d’inquinanti, per l’aria, le acque ed il suolo. Inoltre Terni, oltre ad essere una città colpita dall’inquinamento industriale, è anche una città climalterante, con le sue emissioni dirette ed indirette di CO2 assai più alte della media regionale e nazionale. Un progetto per la sostenibilità non può non affrontare, di petto, anche questo problema. I progressi compiuti presso la Acciaierie di Viale Brin, con il taglio di 30 mila tonnellate di CO2, (sulle 300 mila emesse direttamente e le 300 mila emesse indirettamente per l’energia
elettrica consumata), appaiono solo un piccolo passo se si guarda agli obiettivi europei di neutralità climatica che puntano ad un taglio del 55%, entro i prossimi dieci anni. Innovazioni tecnologiche più radicali nel ciclo produttivo dell’acciaio, sistemi più efficenti di cattura dei gas serra e del particolato inquinante, progetti su vasta scala di riforestazione, sviluppo forte delle energie alternative aperte alla nuova prospettiva energetica dell’idrogeno verde, di utilizzazione ottimale di tutte le potenzialità dell’idroelettrico, dovrebbero essere i capitoli principali di un grande progetto di riconversione energetica e produttiva. Un progetto che, naturalmente dovrà
far leva sulle nuove frontiere della digitalizzazione, della ricerca, dell’alta formazione, della economia circolare e di quella civile, in un quadro di diversificazione del nostro modello di specializzazione. Anche il funzionamento dell’organismo città dovrà essere strutturato su tali innovazioni, a partire dalla sperimentazione di un modello di Smart City e di Smart Land, capace di far funzionare in modo moderno ed efficiente la città e di favorire la ricucitura fra centro storico e direzionale, le periferie e gli antichi Borghi che impreziosiscono, da sempre, il nostro territorio e che possono tornare ad essere una risorsa insediativa e culturale di prima grandezza per la città aperta ed accogliente a cui pensiamo e per la quale istituzioni e società dovrebbero provare a lavorare insieme, facendosi protagonisti responsabili ed innovativi di un grande progetto di rinascita. La città innovativa e sostenibile, dunque, per vincere la sfida della difficile contemporaneità deve essere una città accogliente; una città che non punta le sue carte solo sugli aspetti, pur essenziali, ambientali ed economicoproduttivi, ma anche su quelli sociali e culturali, su livelli alti di solidarietà e convivenza civile. Non ci basterebbe, perciò, una città dall’aria pulita e dalle acque del Nera tornate limpide, rinaturalizzata dal verde, una “città vetrina”, ricca di decoro urbano da mostrare ai turisti o al contado ed ai piccoli centri circostanti, ma una città della pienezza dei diritti, monda non solo dei rifiuti al bordo dei marciapiedi, ma delle povertà, vecchie e nuove, materiali ed educative, libera dalla cappa vergognosa delle discriminazioni razziali e perciò intrinsecamente più sicura e bella da vivere, nella sua varietà e nella ricchezza delle diversità. Questa è stata Terni, simbolo, con Valentino, della tolleranza e convivenza empatica fra diversi, di un “amore universale” che unifica l’umano; lo è stata, poi, crocevia di passaggi, di scambi e contaminazioni culturali, nei tempi più antichi e difficili; questa è stata con la nascita della città fabbrica e della sua comunità operosa e solidale; questa può tornare ad essere nel tempo della svolta epocale verso la nuova alba possibile, quella della sostenibilità e della riscoperta del nuovo umanesimo urbano che può tornare a far essere la nostra città il luogo dove “l’aria che si respira rende liberi”.
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Quando Terni contadina divenne industriale Q
Questo articolo non ha nessuna pretesa di originalità. Vuole soltanto richiamare alla memoria un tratto cruciale della storia ternana. A beneficio particolare dei giovani che, a Adriano MARINENSI scuola, non ne hanno sentito parlare. A Terni, l’alfabeto dell’industrializzazione comincia con una A (Alterocca), quattro B (Breda, Brin, Bon e Bosco) e due C (Campofregoso e Centurini). A prevalere fu il processo iniziale di formazione e sviluppo della siderurgia. Precisando al capello, andrebbe scritto che -a febbraio 2021- l’Acciaieria di Terni compie 136 anni e mesi undici, essendo nata il 10 marzo 1884. All’anagrafe delle imprese, la titolarono SAFFAT, cioè Società degli Alti Forni Fonderie e Acciaierie di Terni. Un complesso aziendale imponente per quei tempi, con 5 forni, alimentati a gas. Il resto a forza idraulica. E un impegno finanziario altrettanto colossale: 56 milioni di lire. Il nucleo originario fu la fonderia di Cassian Bon che costruiva tubi di ghisa. Chi è Cassian Bon? Un ingegnoso ingegnere, nato a Liegi, in Vallonia, approdato in Italia per costruire, a Roma, la condotta d’acqua per Pio IX. Da Roma, arriva a Perugia, infine a Terni, dove rileva la Fonderia Lucovich ed entra in rapporti con Stefano Breda. Chi è Stefano Breda? Altro ingegnere, italiano di Padova, progettista della linea ferroviaria Venezia-Padova e di ulteriori tratte nella sua regione. Uomo d’affari e politico autorevole, Breda sposta la sua attenzione al settore dell’acciaio e degli armamenti, assai considerato dal Governo dell’epoca. Ed entra nell’affare Terni. Siccome, dice il proverbio, "non c'è due senza tre", l'affare Terni non si sarebbe realizzato senza il terzo uomo. Si chiama Benedetto Brin, manco a farlo apposta, ingegnere pure lui. E soprattutto Ministro della Marina, con Vittorio Emanuele II e Umberto I sul trono d’Italia. Ha conquistato fama per la progettazione delle grandi navi Caio Duilio ed Enrico Dandolo. L’obiettivo ambizioso di Brin comprendeva la costruzione di una nuova azienda che sapesse fabbricare corazze per la Marina. Occorreva installarla lontano dal mare per renderla inattaccabile e possibilmente in territorio dotato di rilevante forza idraulica per muovere le grandi macchine. Per esempio, il territorio intorno a Terni, ricco di salti d’acqua e pressappoco al centro della penisola. È arrivata così la svolta strategica per la nostra regione con la nascita appunto della SAFFAT. Sono loro, le Tre B, i compari di battesimo della siderurgia ternana. Negli ultimi anni dell’800, comincia la trasformazione: industriale, economica, sociale e culturale. Sempre restando all’alfabeto, un altro soggetto di questo processo di cambiamento va citato: si tratta di Antonio Bosco. È un tecnico torinese, ex dipendente della SAFFAT, che si mette in testa di fabbricare inizialmente macchine agricole. Nel 1890, crea le Officine che prendono il suo cognome e diventano presto una presenza importante pure nel campo dell’occupazione. È durata ottanta anni la storia della famiglia Bosco a Terni; sino agli anni ’70 del ‘900, quando l’azienda è passata alla GEPI, per uscire definitivamente di
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scena, dopo il trasferimento nella piana di Narni. Eccolo l’ulteriore protagonista, entrato in scena nella stessa epoca: Alessandro Centurini. Imprenditore e banchiere genovese, nel 1884, arriva a Terni e impianta una azienda per la produzione del tessuto di juta, lo Jutificio, appunto. Vi lavora una classe operaia tutta al femminile (tranne i dirigenti di reparto e il padrone), a differenza della SAFFAT invece tutta al maschile. Cresce nei decenni successivi, diventando una presenza strategica per la città. È gemella del Lanificio Gruber. A testimonianza delle dimensioni operative sono questi dati: nel 1927, lo Jutificio occupa 1500 persone (le centurinare) e dispone di oltre 500 telai per la tessitura. Sarebbe un delitto storico dimenticare Luigi Campofregoso, genovese, Ufficiale di Stato Maggiore dell’Esercito italiano. Ebbe il compito di realizzare, in luogo idoneo, una fabbrica d’armi nazionale. La sua scelta cadde su Terni -lui scrisse- ove era possibile creare adeguata rete energetica per una vasta zona industriale. Lo spiegò in due pubblicazioni, in base alle quali, il Ministro della Guerra decise di costruire, nel sito indicato, l’arsenale italiano. Il Governo ci mise tre milioni e mezzo di lire e il Comune un’area di 60.000 mq. Nacque così, nel 1875, la Fabbrica d’Armi. Ma, torniamo all’inizio dell’alfabeto: alla lettera A di Virgilio Alterocca. Diversamente da tutti gli altri attori dell’epoca, era nato a Terni. Nel testamento si definì “insegnante per vocazione, ma, per i casi della vita, esercente di piccole industrie grafiche”. Quella da lui fondata, nel 1877, il Poligrafico Alterocca, non fu affatto una piccola impresa, perché presto diventò leader in campo nazionale ed internazionale nella produzione delle cartoline
illustrate, prima in bianco e nero, poi a colori. Un successo che ebbe notevole impatto economico e culturale sulla città. Questi i principali protagonisti del passaggio d’epoca. La scena si può definire il derivato di un insediamento urbano di campagna. Prevalevano i poveri di incerto mestiere. Ai quali si aggiunsero, in breve, gli immigrati attratti dalle possibilità di occupazione. Non sempre ben visti e accolti. Così il poeta in vernacolo Furio Miselli: “So’ capitati qui ch’era de notte, come quillu che rubba muru, muru, pe' non fasse vede' perché era scuru, l'untu, le pezze, le fangose (le scarpe) rotte". Tra il 1871 e il 1876, arrivarono a Terni 140 nuove famiglie. Un sussulto non soltanto anagrafico. Per quanto riguarda l'azienda predominante, Alessandro Portelli, nel suo libro "Biografia di una città" racconta: "La supremazia della Soc. Terni sulla società civile è l'asse della trasformazione di Terni in città-fabbrica”. Verranno più tardi le case operaie, i villaggi popolari con la Chiesa e la scuola, gli impianti sportivi, gli spacci aziendali. Una organizzazione coinvolgente che faceva perno nell’azienda siderurgica. A cavallo di quei due secoli (XIX e XX), la trasformazione parve piuttosto una rivoluzione: il contadino divenne metalmeccanico, lo zappatore, battimazza. Con conseguenze rilevanti su un ambiente legato alle tradizioni rurali e familiari, si innestarono nuovi costumi di vita. Insomma, Terni, subì una accelerazione di forte impatto in diversi settori. Mutò celermente anche la conformazione demografica, urbanistica e civile della città. Non c'era più il fattore del proprietario della terra a dettare i tempi del lavoro; c’era il capoccio a fare gli interessi del “padrone delle ferriere”, un orario di fabbrica da rispettare al suono della sirena, una produzione incalzante.
La siccità e il gelo, micidiali per la coltivazione dei campi, cominciarono a far meno paura: il raccolto diventato certo: si chiamava paga, anzi, quindicina. Però, in tempi brevi, vennero meno talune libertà e tal'altre garanzie ambientali sopraffatte dalle ciminiere. Fu progresso industriale che ebbe il suo caro prezzo da pagare. Prezzi che Terni sta ancora pagando in termini di aria pesante, di suolo manomesso dalle discariche, di sonorità elevate. Si tratta di problemi ingombranti e difficili da risolvere in presenza di complessi industriali che, per le produzioni particolari, impattano con l'ambiente circostante. Ed anche perché, quando per loro fu scelta l'ubicazione, la città non stava attorno, attorno alle fabbriche. Ma non si può affermare che il rapporto fabbricacittà, per tali effetti, sia stato affrontato dando la prevalenza alla rigorosa tutela della salute pubblica. Oggi siamo in un’altra dimensione urbana, esistono normative avanzate e un modo diverso di fare industria con il soccorso della tecnologia. Soprattutto delle questioni ambientali abbiamo preso coscienza a livello di opinione pubblica. Esistono sensibilità e parametri di valutazione sconosciuti nel passato che richiedono, a chi amministra il territorio a livello locale, responsabilità pesanti e competenze di alto profilo. Per esempio, in presenza di ineludibili effetti inquinanti, un progetto avanguardista nel settore del verde pubblico e privato potrebbe essere di grande aiuto. A Terni, una convinta attenzione ecologica è richiesta anche alle forze sociali e sindacali, alle componenti economiche, a tutte le presenze culturali, compresa la scuola. E chissà che proprio nel combinato disposto del loro impegno non sia contenuta la equilibrata soluzione del problema.
IL RICORDO DI ENRICO MICHELI A 10 ANNI DALLA SCOMPARSA A gennaio appena trascorso, il 21, sono passati 10 anni da quando Enrico Micheli è morto. E da quando Terni e l'Umbria hanno perso un paladino autorevole. Poco più di 70 anni (era nato nel 1938) vissuti intensamente e per lungo tempo pure da protagonista sulla scena nazionale. È stato Direttore Generale dell'I. R. I., quando l'Ente economico di Stato era la più grande e variegata azienda italiana. Poi, Deputato al Parlamento, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei Governi Prodi, D’Alema e Amato, con la parentesi di Ministro dei Lavori Pubblici. Ha affrontato numerosi problemi dell’Umbria cercando la giusta soluzione: dall’industria allo sviluppo sociale, alla cultura e all'Università. Senza dimenticare lo scrittore di buon successo, autore di 11 romanzi, uno del quali -Le scale del paradiso- gli valse l'inserimento tra i 15 finalisti del Premio Strega. In un momento così favorevole ai colori rosso-verdi, di sicuro i successi della 'Ternana' sarebbero entrati nella quotidianità del supertifoso Enrico Micheli. Nel giorno infausto dei suoi funerali, gli operai dell'Acciaieria, dinnanzi alla Chiesa di San Francesco, esposero un grande striscione con sopra scritto “Grazie Enrico”.
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ORDINE PROFESSIONI INFERMIERISTICHE TERNI
20 FEBBRAIO 2021
“GIORNATA NAZIONALE DEL PERSONALE SANITARIO, SOCIOSANITARIO, SOCIOASSISTENZIALE E DEL VOLONTARIATO” I
l 20 febbraio 2021 sarà celebrata per la prima volta la Giornata Nazionale dedicata ai Professionisti Sanitari, Sociosanitari, Socioassistenziali e del Volontariato, istituita in via definitiva dopo l’approvazione in Commissione Affari Sociali del Senato, con il supporto di tutto il Parlamento. A lanciare la proposta, lo scorso aprile, è stato il regista Ferzan Ozpetek (regista, sceneggiatore e scrittore turco autore di numerosi film), ispirato dal comportamento virtuoso di medici e infermieri, tra cui anche alcuni suoi amici, che partirono dalla capitale italiana per andare a portare aiuto negli ospedali del Nord, fortemente colpiti nella prima ondata epidemica da Covid-19. La data simbolica del 20 febbraio, suggerita al regista da Luciana Littizzetto, è quella in cui Annalisa Malara, anestesista dell’ospedale di Codogno, scoprì che Mattia, il 38enne identificato come “paziente uno” aveva contratto il virus (primo caso italiano non importato). La giornata sarà dedicata al ricordo dei professionisti sanitari che hanno perso la vita nella battaglia contro il Covid-19, ma offrirà anche l’opportunità di esprimere gratitudine e solidarietà verso tutti gli operatori e volontari del Sistema Sanitario Nazionale che si sono trovati in prima linea nella lotta contro il virus, senza mai venir meno ai loro doveri e responsabilità. Sono infermieri, medici, ostetriche, assistenti sociali, farmacisti, ecc. che hanno messo a repentaglio la loro salute per salvare le vite degli altri, per essere di supporto e per cercare di portare soccorso dove ce n’era bisogno. La dedizione, l’impegno e il coraggio del personale sanitario durante questa pandemia devono restare scolpiti nei cuori di tutti. A causa della diffusione del coronavirus, la celebrazione della Giornata Nazionale non includerà, per quest’anno, incontri ed eventi con pubblico, ma soltanto momenti di riflessione e di ricordo. È infatti importante fermarsi a riflettere, almeno una volta
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l’anno, sull’importanza della professione medica e delle professioni sanitarie, che con le loro competenze, peculiari e sinergiche, e il loro capitale umano garantiscono il diritto fondamentale alla salute sancito nell’articolo 32 della Costituzione. Il 2021 sarà inoltre l’anno dell’emissione, in tre milioni di esemplari, di una moneta da 2 euro con l’effige degli operatori sanitari: un segno di riconoscenza per il duro lavoro svolto durante la pandemia, per mantenere vivo il ricordo delle difficili condizioni di lavoro dei primi tempi e per l’impegno emotivo e fisico che, a tutt’oggi, è sostenuto dal personale sanitario. L’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Terni si unisce a tutte le Associazioni e agli Enti che in occasione di questa Giornata celebrano e ringraziano i professionisti sanitari per il loro costante impegno profuso nella cura e assistenza dei malati di Covid-19 e, più in generale, di tutti i malati.
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UN NUOVO TIPO DI EDUCAZIONE
L
e parole di Anna Frank rilette quest’anno durante la celebrazione della giornata della memoria, risuonano in modo diverso e si ammantano di nuovo significato, forse perché per la prima volta nelle nostre vite, più o meno complicate fino a questo momento, ci troviamo a vivere, a causa della pandemia, qualcosa di simile ad una guerra, con tutto il suo funesto bagaglio di malattia, morte, crisi economica, limitazione della libertà personale, disgregazione sociale, crisi politica etc. Ecco allora che parole di speranza, pronunciate durante una delle pagine più buie della nostra storia, da chi, fino all’ultimo minuto della sua esistenza, ancora credeva nell’Amore, risuonano fortemente dentro di me, che, come madre di due bambini di nove anni, non posso permettermi di cedere allo sconforto o alla disperazione, nonostante il periodo infausto in cui ci troviamo a vivere. Mi piacerebbe provare ad immaginare la Nuova Terni, andando a caccia del buono e del bello, che sono certa ancora abitano nel deserto culturale di questa desolata città, la cui economia è stata definitivamente messa in ginocchio dallo scoppio della pandemia. Sono convinta che la nostra città sia piena di individui e di gruppi di persone, che, magari ancora inconsapevolmente, incarnano i fondamenti ed i valori della Nuova Superiore Civiltà: la creatività, l’autonomia e la solidarietà. Mi sembra opportuno dare la priorità al pilastro culturale della nuova civiltà su cui potrà costruirsi tutto il resto. Ricordiamoci infatti che la crisi economica e sociale che stiamo vivendo in questo momento non è che la conseguenza di una ben più risalente crisi culturale, che riguarda la perdita di valori fondanti e aggreganti la nostra comunità. Penso allora che sia nostro preciso compito partire dai bambini e dai ragazzi a cui con la nostra inerzia stiamo negando il futuro, levando loro la possibilità concreta di costruire un mondo migliore. Nel periodo del lockdown totale della scorsa primavera, mi sono trovata, come molti, a lavorare in casa con i bambini che seguivano le lezioni a distanza. È stato per tutti un periodo molto duro. Tuttavia il maggiore tempo a disposizione da trascorrere con i figli mi ha consentito di vedere alcuni aspetti del processo educativo che trascuravo, delegandolo completamente alla scuola. Mi sono resa conto dell’importanza del loro coinvolgimento diretto nel processo di apprendimento e che tutto, qualsiasi esperienza, è un momento educativo e culturale, un’acquisizione di valore, uno step evolutivo. Nella clausura forzata, ci siamo divertiti a scoprire nuovi giochi, creando con l’argilla, esplorando la natura al microscopio, dipingendo, imparando a conoscere gli artisti del passato, ascoltando musica in modo attivo, disegnando e immaginando la forma delle note con i colori… Insomma abbiamo dato via libera a tutta la creatività… In assenza di stimoli esterni ho cercato insieme ai bambini di trovare risorse all’interno e mi sono sorpresa nel notare la loro intraprendenza, il loro entusiasmo, ma soprattutto la loro capacità creativa.
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Valeria IACOBELLIS
“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione”. Anna Frank Diario 15/07/1944 Ed è stato in quel preciso momento che ho compreso l’importanza di introdurre un nuovo tipo di educazione, meno standardizzata ed omologante, anche al di fuori della scuola e quindi meno separata dalla vita reale, che preveda il coinvolgimento attivo e partecipativo di bambini e ragazzi nel processo di apprendimento. Quella che immagino è una vera e propria educazione alla creatività, attraverso un processo di autoapprendimento, in cui l’adulto, in funzione maieutica, dovrà svolgere solo il ruolo di stimolo, di facilitazione nell’acquisizione dei valori e delle nozioni, aiutando a riconoscere e a far emergere capacità e talenti individuali. Così alla fine della scorsa estate ho avuto un’illuminazione: creare un appuntamento fisso settimanale per i bambini che vogliono sperimentare, divertendosi, l’arte della recitazione. Una volta a scuola si faceva ed io ne ho beneficiato. Secondo me oltre ad essere molto divertente è estremamente educativa perché insegna ai bambini a padroneggiare le proprie emozioni, ad acquisire sicurezza e a rapportarsi con gli altri nel modo migliore. Poi da ragazza ho fatto teatro con un gruppo di amici, con cui abbiamo fondato compagnie teatrali amatoriali. È, secondo me, un modo bello e divertente di far giocare i nostri figli facendoli stare insieme e sperimentando nuovi modi di gestire il tempo libero, che non siano la televisione, la playstation e lo smartphone. Quindi ho pensato di organizzare io stessa un corso di recitazione per loro, coinvolgendo oltre ai miei figli anche i loro amici e compagni di scuola. Abbiamo scelto il soggetto del film, scritto insieme il copione, con le battute dei personaggi, assegnato i ruoli, immaginato le scene, raccolto i costumi, scelto le musiche etc. Con le belle giornate quando non c’è scuola nel w.e. usciamo a piccoli gruppi a girare le scene all’aperto, condividendo, in questi tempi così limitanti, la possibilità di fare piccole gite tra genitori e bambini, alla scoperta delle bellezze del nostro territorio, ancora così poco valorizzate, come la Cascata delle Marmore, Sant’Erasmo, il Lago di Piediluco, il Parco Fluviale di San Martino e, quando non è possibile spostarsi molto, anche il nostro meraviglioso parco cittadino della Passeggiata ed il poco valorizzato, ma stupendo, Parco delle Grazie. Quando invece non si può uscire per girare all’aperto, facciamo prove on line utilizzando la piattaforma Meet di Google, in cui perfezioniamo l’interpretazione, la dizione e facciamo anche giochi di improvvisazione. Il tutto con grande partecipazione ed entusiasmo da parte dei bambini, perché oltre al gusto di lavorare insieme per un
obiettivo comune, uscendo dal proprio guscio di isolamento, si scopre l’immenso piacere della socialità, dello stare insieme, della costruzione di autentiche relazioni amicali. L’incontro con il Prof. Raspetti è stato cruciale: insieme abbiamo pensato di far confluire questo mio piccolo esperimento educativo all’interno di un progetto più vasto ed ambizioso che coinvolga la parte più attiva, entusiasta ed operosa della cittadinanza ternana, per organizzare insieme un nuovo processo educativo rivolto prevalentemente ai bambini e ragazzi dai 9 ai 18 anni. Lanciamo pertanto un appello a tutti i genitori e non, disoccupati o pensionati, lavoratori con tempo libero a disposizione e tanto entusiasmo, per organizzare insieme incontri educativi per bambini e ragazzi, nelle più svariate discipline di cui si sia esperti e che potrebbero coinvolgerli. Oltre alla recitazione ed al teatro, si potrebbe estendere il ventaglio di opzioni anche ad altri settori di apprendimento che potrebbero ricomprendere la musica, il cinema, la ceramica, la pittura, la fotografia, le scienze naturali, la filosofia, la matematica, lo sport etc. Un’attività molto interessante potrebbe essere l’organizzazione di uscite didattiche alla scoperta delle bellezze storicoarchitettoniche e paesaggistiche del nostro territorio, così poco valorizzate, per sensibilizzare bambini e ragazzi all’amore per la propria terra. Sarebbe bello coinvolgere nel progetto anche gli ex insegnanti in pensione anche allo scopo di ricreare un legame che si è purtroppo perso nel tempo tra le vecchie e nuove generazioni, in
uno scambio reciproco di conoscenze e abilità. Ad esempio i giovani potrebbero insegnare agli anziani a padroneggiare le nuove tecnologie, uscendo dall’isolamento in cui risultano confinati a causa della rapidissima evoluzione tecnologica degli ultimi anni. Tutto può essere cultura, tutto può essere educazione. Il filo rosso che dovrà unire tutte le attività del progetto sarà necessariamente il differente approccio all’apprendimento, senza divisione di ruoli tra docente e discente, lato attivo e lato passivo dell’apprendimento, in una logica creativa di scambio continuo e costante di conoscenze alimentato da curiosità e passione, come antidoto all’apatia e all’indifferenza generale. La nuova educazione come seme per la creazione di una nuova umanità creativa, autonoma e solidale, in grado di costruire un futuro migliore per tutti. Per cominciare abbiamo a disposizione i locali dell’Associazione Culturale La Pagina e, in considerazione delle restrizioni dettata dalla pandemia, almeno nella fase di avvio, si potrebbe pensare ad incontri on line, anche e soprattutto per sviluppare il progetto, da mettere in atto quando sarà possibile vedersi in presenza con i ragazzi e i loro genitori che vorranno aderire alla nostra iniziativa. Potete inviare una email o contattare telefonicamente la redazione de La Pagina per presentare le Vs candidature e le Vs proposte. Costruiamo insieme la nuova educazione, uniamo le forze per dare speranza alle nuove generazioni di costruire un futuro ed una città migliore per tutti!
Luca e l’armadio magico
Alessandra Vittori
Una bambina, il lockdown e un compito per liberare la fantasia. In questo modo è nato ‘Luca e l’armadio magico’, un libro pieno di magia rivolto ai giovani dai 6 agli 11 anni. La piccola autrice ha solo 8 anni, si chiama Sofia Piacenti e frequenta la terza elementare alla scuola Battisti di Terni. In una situazione particolare come quella che i ragazzi hanno affrontato lo scorso anno, e che continuano a dover sopportare, Sofia ha scoperto la sua passione per la scrittura. Luca è un bambino di nove anni che al tempo del Coronavirus si trova spesso da solo nella sua cameretta. I genitori, occupati con lo smart working, non hanno tempo per giocare con lui così il ragazzo inizia a fantasticare sul suo armadio, inventando sempre nuove storie e avventure. Stretto un forte legame con il suo nuovo amico, Luca si lascia coinvolgere in un lungo viaggio attraverso tre mondi fantastici per scoprire ciò che l’armadio nasconde. Il libro parla di fantasia, sentimenti, sviluppa pensieri positivi e rapporti autentici come l’amicizia. La storia fa capire che spesso non si è soli come sembra ma basta un qualcosa, in questo caso un armadio, per uscire dalla tristezza, per condurci in altre dimensioni di libertà. Dà anche molti consigli: bisogna superare le apparenze, affrontare la vita con tranquillità e intelligenza impegnandosi con coraggio. La stesura del libro è stato un vero e proprio lavoro di squadra. La piccola infatti è stata aiutata anche dalla sorella Sara, appassionata di gialli, che non appena Sofia ha iniziato a scrivere il libro, ha pensato ad arricchire la storia con spunti misteriosi e risvolti inaspettati. Anche la mamma e il papà hanno dato il loro apporto. La mamma Raffaella, insegnante ai Licei Angeloni, ha offerto il supporto linguistico e organizzativo, mentre il papà Gabriele, architetto, ha curato la copertina e alcune illustrazioni. “Luca e l’armadio magico” è scritto con caratteri adatti per le prime letture o per bambini con disturbi specifici dell’apprendimento. È ordinabile in tutte le librerie e online.
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E QUESTA È VITA Inebriante come nettare dionisiaco, melodiosa come lira apolloidea, chiara come acqua di fonte… matematica, vero apprendimento, creazione della mente, misura di vita e d’armonia. G. R. Ho coltivato, appena laureato, l’interesse per la storia della matematica, inoltrandomi nel lato umano della disciplina e riuscendo così a ghermire il senso, il calore, il sapore delle sue scoperte. Più mi appassionavo al suo sviluppo storico, più ne penetravo l’essenza. Tale passione comporta inevitabilmente una conoscenza approfondita dell’etimo, ovvero del significato intimo della parola. Ipotenusa è forse, in assoluto, uno dei vocaboli più noti al mondo, ma quante persone ne conoscono storia e significato? Non moltissime, credo... Ho così rivolto, in totale autonomia -come si dovrebbe sempre fare- i miei interessi culturali allo studio della nascita e dell’evoluzione di idee, parole, radici e storie matematiche presso le antiche civiltà. Si parla di radici poiché l’uomo, non è apparso sulla terra, come ormai noto anche ai sassi, all’improvviso, magari alto, biondo e con gli occhi azzurri... tutt’altro! Anche nel linguaggio l’homo, pur se sapiens, non è nato imparato, come argutamente suggerisce il popolare adagio. Le sue prime biascicanti emissioni vocali si riferivano ad un repertorio di oggetti o di azioni simili che, nel corso dei tempi, si è ampliato, raffinato, consapevolizzato, originando parole con significati omogenei, spesso affini. Ogni suo primo vagito si chiama radice. Lentamente, da ogni radice, che assumeva significati ampi anche se vicini, si è sviluppato un albero con rami e foglie, via via presentando significati sempre più minuti e differenze precise: le nostre parole quotidiane. Sono dette indoeuropee, tali nostre radici, in base alla ipotesi, molto sostanziata, di una lingua originaria comune. Nutro invero notevoli perplessità nel credere ad un Adamo primigenio che, rivolto alla sua costolare Eva, abbia, subito dopo averla adocchiata, inanellato frasi del tipo: Gentile Signora, mi permetta di ossequiarLa e di proporLe di intrattenerci in un sollazzevole oroscopo... o forse preferirebbe indaffararsi in un toccante scambio di opinioni sulla dinamica delle falde tettoniche? Indeciso tra un lavoro, in India, con IBM calcolatori e la cosiddetta missione di insegnante, scelsi quest’ultima, con chiodo fisso, però: cercare, per quanto possibile, di proporre la matematica in modo storico-problematico, perché risultasse di stimolo al pensiero autonomo o potesse comunque essere recepita dallo studente come una sfida alla sua intuizione ed alle personali capacità interpretative ed elaborative, al suo originale modo di costruire il pensiero, di tracciare la sua mappa logica e culturale, in modo compatibile con i suoi tempi e con le sue esperienze. I miei convincimenti mi condussero verso una scuola che non condizionasse, ma fosse in grado di promuovere, nell’allievo, una solida e fiera autodeterminazione. Tra l’educere e l’educare, non ebbi dubbi di sorta. I due verbi,
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Giampiero RASPETTI
che formalmente differiscono solo per una e/a, riguardano entrambi il mondo della educazione, ma i loro significati sono chiaramente divergenti, anzi sottendono modalità e comportamenti diversi e sono apportatori di conseguenze profonde, anche socio-politiche, difficilmente conciliabili. Al loro interno si celano due concezioni opposte dell’essere scuola e dell’avere società. La prima prende in considerazione la parola educazione derivandola dalla maieutica socratica; detto in latino, educere, ex ducere, aiutare cioè il giovane a
tirar fuori, a far nascere le sue idee, a sviluppare in modo autonomo la propria mente. La seconda deriva dal senso di sottomissione, dal libro delle regole, dal latino educare, cioè nutrire, travasare, assorbire quello che viene dettato e versato dall’alto. Poiché l’insegnamento contiene anche queste due opposte maniere di modellare una società, ne deriva che, di norma, pochissimi siano i liberi testimoni educativi, ruolo questo estremamente difficile e delicato, mentre gli istruttori, i ripetitori cioè, quelli sempre rispettosi del potere dominante, che mal s’accorda, in genere, con i valori più nobili dell’uomo, si sprecano! I loro saperi spaziano anche dall’astrologia alla mistica, ma il loro forte è indubbiamente costituito da credulità e memoria, la Grande Sorella. Gli Evaristo Galois invece, logici, divergenti, impertinenti... sono scomodi, scoprono cosa c’è sotto, sono sinceri, non ipocriti e poi, guarda un po’, non credono né a favole né a streghe, sono irriverenti verso l’autoritarismo becero ed emanano, ma solo nei confronti delle persone colte, fascino e carisma autentici! Certo che è più facile studiare e far studiare a memoria, senza alcun vero sudore della mente, al riparo da
ANNA SILVI
logica e da spirito critico. Ripetere a memoria, d’altra parte, è importante perché ci differenzia... dalle lenticchie! Molto più rilassante è la passività, rispetto all’attività; più comodo sostituire le chiacchiere alle azioni, i racconti degli elfi alla ricerca dei fatti, per cui i legionari della sottomissione ed i cultori di privilegi, in folta schiera, si abbarbicano attorno a misteri, centri di potere, lezioni narcotizzanti, pratiche, per la circonvenzione di ingenui e di incapaci, oggi così potenti con l’uso spietato di televisione, playstation e smartphone. Da altra parte, la società dell’educere, ove si forma il responsabile, sempre, delle proprie azioni, coerente e dignitoso, in cui vige la meritocrazia, il pensiero critico e creativo, il dubbio sistematico, la ricerca, il comportamento rivoluzionario... le persone che non delegano, ma pagano di persona. Occorre sviluppare nei giovani il senso della critica, della ricerca, della scoperta di regolarità, di irregolarità; si deve andare incontro alla loro naturale curiosità, altrimenti si procurano gravi danni alle loro menti. E tutto deve essere fatto in allegria, per divertimento, ma soprattutto deve favorire nascita e sviluppo delle loro idee. Apprendere, capire, intus legere, saper vedere, non significa ripetere quello che altri ti dicono di fare, ovvero saper eseguire un calcoletto … significa inventare, scovare le ragioni recondite, sapere dei veti filosofici, religiosi, politici… ed è così che i nostri giovani potranno ghermire il senso, il calore, il sapore delle loro scoperte! Deve, il giovane, essere motivato (il momento ludico è quindi importantissimo!) a capire attraverso i tentativi di soluzione di una situazione problematica. Il primum movens è la curiosità. Essa è conditio sine qua non per vedere prima e risolvere poi problemi. E questo vale per la matematica, per tutte le discipline scientifiche, per la vita stessa. L’approccio alla conoscenza dovrà dunque essere accattivante, intelligente, divertente e comprensibile, motivante appunto. Essere interessati a vivere il fenomeno (di qualsiasi natura: atmosferico, artistico, astronomico, fisico, logico...), a farne parte, è condizione essenziale proprio per il rispetto stesso che si deve alla natura, alle strutture scientifiche e tecnologiche, alla mente. Si deve allora cercare di sviluppare nei giovani il desiderio e la capacità di entrare nel gioco, nel fatto, nel fenomeno, di orientarsi, di documentarsi, di fare le domande, di progettare modelli simulatori, di organizzare le risposte. Soprattutto di gestire, sentirsi protagonisti, verificare, farlo in amicizia, farlo con gioia… Questa pulizia morale ed intellettiva è la stessa che propone Valeria Iacobellis, nelle pagine precedenti, per il suo concetto o modello di educazione. Valeria afferma: “Ed è stato in quel preciso momento che ho compreso l’importanza di introdurre un nuovo tipo di educazione, meno standardizzata ed omologante, anche al di fuori della scuola e quindi meno separata dalla vita reale, che preveda il coinvolgimento attivo e partecipativo di bambini e ragazzi nel processo di apprendimento. Quella che immagino è una vera e propria educazione alla creatività, attraverso un processo di autoapprendimento, in cui l’adulto, in funzione maieutica, dovrà svolgere solo il ruolo di stimolo, di facilitazione nell’acquisizione dei valori e delle nozioni, aiutando a riconoscere e a far emergere capacità e talenti individuali”. E questa è vita… e questa è matematica!
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GIORNO DELLA MEMORIA 2021 I Giusti e i Salvati. Casi dall’Umbria In occasione del Giorno della memoria, pur nelle difficoltà di un anno scolastico complicatissimo perché segnato dalla pandemia, i ragazzi del Liceo Classico di Terni hanno portato avanti con sensibilità e intelligenza la tradizione ormai consolidata di riflessione sulla Shoah, producendo alcuni videoclip con testi di scrittura creativa, immagini e brani musicali. Il tema “I Giusti e i Salvati. Casi dall’Umbria” è stato proposto dall’Isuc (Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea), che ha poi organizzato e coordinato, di concerto con la Regione Umbria, la manifestazione finale in collegamento online (25 gennaio, h. 9.00–11.00), nel corso della quale i videoclip sono stati diffusi.Nei mesi tra il novembre del 1943 e il luglio 1944 ci furono in Umbria decine di persone -spesso religiosi- che salvarono centinaia di Ebrei dalla deportazione nei campi di sterminio, ottenendo il titolo di “Giusti tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, l’istituzione israeliana che a Gerusalemme cura il memoriale della Shoah.
LETTERA-TESTAMENTO DI UNA BISNONNA ALLA NIPOTE Clementina Nartifagni e il marito Agostino Falchetti, di Trevi, ospitarono la famiglia Montalcini durante la persecuzione degli ebrei tra il 1943 e il 1944. Nella lettera-testamento si immagina che la bisnonna Clementina si rivolga alla piccola nipote Lucia, alla quale affida il prezioso compito di custodire la memoria storica del vissuto di quei giorni. Cara Lucia, come sei bella mentre dormi raggomitolata nel tuo letto, quando stringi a te il tuo inseparabile peluche e affondi nel cuscino le guance rosa. Dalla finestra entra la luce della luna che ti accarezza il viso, facendo risaltare i tuoi riccioli d’oro. Ormai è già da un po’ che ti osservo mentre riposi durante la notte. Mi piace osservarti mentre riposi beatamente. Per me è sempre troppo poco il tempo che trascorro insieme a te. Di certo, però, non mi sono mancate le occasioni per raccontarti quelle storie che tanto ti appassionano. Tua madre mi rimprovera sempre perché sostiene che ti distragga dai tuoi impegni, tantoché, più di una volta, siamo salite in soffitta, dove certamente nessuno può disturbarci. Ricordo ancora il male alla schiena e alle gambe provocato dal salire e scendere quella strettissima scala a chiocciola. Non ti nascondo di aver avuto paura di cadere, a volte, ma la tua fervida curiosità per ciò che ti avrei raccontato mi spingeva a sfidare ogni dolore fisico. Così ripercorrevamo insieme i miei racconti: le parole, le emozioni davano vita ai miei ricordi. So bene quanto ti piaccia usare l’immaginazione, infatti la notte non osi interrompere neanche per pochi secondi quel meraviglioso flusso di immagini e di colori che popola i tuoi lunghi sogni. Chissà in quale mondo fantastico ti trovi in questo momento. Devo confessarti che non tutte le mie storie
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Intrecciando i fili della condivisione empatica e dell’argomentazione razionale nell’ordito della conoscenza puntuale degli eventi, com’è proprio della buona scrittura creativa in ambito storico, i ragazzi hanno evocato la figura di Madre Giuseppina Biviglia del Monastero di San Quirico di Assisi, quella di Padre Rufino Nicacci, pure di Assisi, quelle di Agostino Falchetti e Clementina Nartifagni di Trevi… Hanno così sostenuto il tentativo che la scuola ogni anno compie -in occasione del 27 gennaio ma non solodi tradurre la pietas per i morti della Shoah in impegno civile e tensione educativa per i vivi di oggi, sottraendolo al rischio del rituale polveroso e dell’imbalsamazione retorica. I videoclip prodotti dagli studenti del Liceo Classico di Terni, come pure quelli di tutte le altre scuole che hanno partecipato alla manifestazione, saranno pubblicati nel sito dell’ISUC. Si propone qui la lettura di tre testi di scrittura creativa contenuti nei videoclip. Prof. Marisa D’Ulizia
sono frutto della fantasia: di alcune mi permetto di scrivere la trama, in altre inserisco esperienze, incontri, eventi per me importanti e di altre ancora, non ho il coraggio di cambiare neanche il più piccolo dei particolari. Sai, ci sono fatti che non possono essere riferiti altrimenti, di cui vanno conservate gelosamente l’autenticità e la sacralità, affinché chi li ascolta possa comprenderli pienamente per poi tramandarli con cura. Voglio affidarti un compito, così tua madre non dirà che perdi tempo a sognare ad occhi aperti. Voglio che custodisci la storia che sto per raccontarti. Presta molta attenzione. Avevo poco più di quarant’anni, e lo stesso il tuo bisnonno Agostino, quando, un giorno di novembre del lontano ‘43, ci capitò di ospitare una famiglia. Ti starai già domandando come mai la famiglia Montalcini, questo era il loro nome, decise di lasciare la propria casa per venire nella nostra. Forse non ne avevano una? Certo, l’avevano, ma devi sapere che quelli furono anni difficili per tutti a causa della guerra. Sì, guerra, quella brutta parola che, appena la nomino, vuoi che cambi discorso. Non fu un caso se i Montalcini scelsero proprio la nostra abitazione: tra tutte era la più isolata e si trovava in una posizione strategica. A tua nonna, allora piccola come te, raccontai che fuggivano da Roma a causa dei bombardamenti. In realtà li accogliemmo in casa nostra con il dovere di proteggerli non solo dalle bombe, ma anche da chi li perseguitava. I Montalcini erano di origine ebraica e gli ebrei in quegli anni subirono un’ingiusta discriminazione. Venivano accusati di appartenere ad una razza inferiore e di essere un danno per l’umanità. Pertanto, furono destinatari di intolleranza e violenza, perpetrate da quegli uomini che, invece, si ritenevano superiori. È giusto che tu sappia, anche se ti farà male,
che molte persone persero la vita a causa di questa follia. Sono sicura che, quando leggerai questa lettera, in particolare questo punto, qualche lacrima righerà il tuo dolce volto. Ma se ci pensi bene, io ed Agostino siamo riusciti a salvare la famiglia Montalcini dalla brutalità di quegli uomini spietati. Non nascondo di aver avuto molta paura. Fuori dalla stanza dove dormivano, vi era sempre appoggiata alla finestra una scala per fuggire in caso di pericolo. Eppure, quando nel giugno dell’anno successivo la famiglia lasciò la nostra casa, provai tristezza e nostalgia. Non sapevo se li avrei mai più rivisti ed io ero a loro sinceramente affezionata. Dovevano raggiungere la loro casa a S. Marco di Montefalco, poco distante dalla nostra. Una volta giunti là, ci segnalarono l’arrivo con un falò. Noi rispondemmo con l’accensione di un altro falò, felici che tutto fosse andato bene. Questa fu certamente una delle esperienze più profonde e toccanti della mia esistenza. Non fu facile vivere tranquilli in quegli anni agitati. Ero convinta, tuttavia, di contribuire a salvare delle vite innocenti dal vortice di astio e disprezzo che rischiava di inghiottirle via per sempre. Voglio che tu ricordi questa ingiustizia e che denunci qualsiasi forma di male. Non permettere mai alla violenza di prevalere. Ricordati di questa storia, desidero che tu ne comprenda il significato, o, se preferisci, la morale, come quella delle favole che tanto ti piacciono. Si è fatto tardi, sento il freddo entrarmi nelle ossa, e non è buono alla mia veneranda età. Torno a dormire serena, sapendo di averti affidato una preziosa parte della mia vita, consapevole che la porterai sempre con te nel tuo cuore e nella tua memoria. La tua bisnonna Clementina Nartifagni Livia Merati classe III D
LA CUPA SALVEZZA Giuseppina Biviglia (1897-1991) fu badessa del monastero di San Quirico di Assisi. Caro diario, anzi, caro amico (è forse più giusto chiamare così un segreto alleato dei miei pensieri), oggi ti scrivo presto: è l’alba. È l’alba del 27 febbraio del 1944. Se fosse una normale domenica, sarebbe per me nient’altro che il giorno più desiderato e atteso della settimana, il giorno del Signore. Tuttavia, ora, niente è normale e ordinario: quella di oggi è un’irrequieta alba di un anno bisestile e bellicoso. Questa assurda quotidianità, che viviamo in convento da circa un anno e mezzo, può essere definita tale solo per la ricorrente ansia ed il consueto tremolio che assale le mie gambe e quelle delle mie sorelle, oramai ogni giorno. Ieri, prima di dedicarmi alla preghiera ho aperto la porta del convento ad alcuni ebrei, il nuovo incarico che Dio ci ha assegnato. Tutto andava secondo i piani, fin quando non abbiamo sentito bussare violentemente: erano i funzionari della Repubblica Sociale, indirizzati qui da un uomo sorpreso con dei documenti falsi. Il mio cuore palpitava, la fronte era bagnata di un freddo sudore, le labbra tremavano come le gambe, ma dovevo essere forte e farmi coraggio, dovevo proteggere tutte queste povere anime che trovano rifugio presso di noi. Il Signore mi ha teso una mano; all’improvviso ho sentito una forza possedermi; ero disperata, ma ho trovato qualcosa che mi ha spinto a lottare. Le guardie volevano arrestarci, ma ho opposto resistenza, dicendo che non potevo allontanarmi a causa della mia condizione di clausura, che, però, non ha impedito l’ispezione dei funzionari, andata per fortuna a vuoto grazie ai cunicoli sotterranei del convento. Subito dopo, mentre mi addentravo in uno di questi cunicoli per raggiungere il rifugio, ancora con il cuore in gola, ero totalmente assorta nei miei pensieri, quando ho sentito un gemito; ho abbassato lo sguardo di colpo e in un angolino, nascosto e rannicchiato c’era un bambino: Isaia. Mano a mano che mi avvicinavo i suoi occhietti così dolci e pieni di paura mi fissavano; il mio cuore si scaldava sempre di più di un amore smisurato. L’unico pensiero, in quell’istante, era di farlo smettere di piangere, così, porgendogli in dono un piccolo modellino di bicicletta per giocare, ho visto con gioia che sul suo volto si accennava un sorriso. L’ho stretto tra le mie braccia e gli ho sussurrato: “Da grande diventerai buono come Gino”. Così ho trovato il senso del mio impegno
quotidiano. Isaia e tutti i bambini come lui meritano di poter sognare. Finché avrò fiato in corpo pregherò perché il Signore continui ad indirizzarmi e ad illuminare la via della loro salvezza. Spero di poter continuare a scrivere, pregare e vivere nei prossimi giorni. Giuseppina Classe III B
LETTERA A RUFINO NICACCI Salvatore Nicacci (1911-1976) vestì l’abito francescano con il nome di Rufino. Terni, 27 gennaio 2021 Egregio Padre, Quanto costa scegliere di rinunciare a se stessi per il bene degli altri? Si perde il conto, Padre, di quante volte abbia fatto questa scelta. Giovanissimo, infatti, Salvatore veste il saio e diventa Padre Rufino: forse al nome di Salvatore c’era così legato che, pur dopo averlo cambiato, è rimasto Salvatore a tutti gli effetti. Quando la Guerra ormai imperversa, Rufino non ancora trentenne si vede sempre più preoccupato per i suoi confratelli che non sanno cosa mangiare: ma lei, Padre, con quella sua smania di voler fare del bene, riesce a portare sempre qualcosa in tavola. Arriva il 1943, l’Italia firma l’armistizio con gli Alleati, ma diventa teatro della battaglia più di quanto non lo fosse stato negli anni precedenti. Ad Assisi i rifugiati sono sempre di più. Chi si assume il compito di soccorrerli è proprio il convento di San Francesco. A complicare una situazione già complicata, poi, è l’arrivo insistente di ebrei: i tedeschi ne sono alla ricerca come segugi, il rischio per chi prova a
nasconderli è altissimo. Lei, Padre, lo sa bene, ma niente è in grado di far vacillare il suo senso di giustizia. Mi stupisco quando penso agli stratagemmi che ha escogitato in una situazione tanto delicata. Immagino una scena surreale, da poliziesco, in cui, come il più scaltro dei criminali, si ingegna per il piano perfetto. Non mancano, infatti, gli ostacoli, i complici, non mancano i travestimenti e i nascondigli. Veste i rifugiati con il saio perché si mimetizzino tra i francescani, ne sistema altri presso San Quirico convincendo la badessa Giuseppina Biviglia a non iscriverli nei registri del monastero; poiché i nomi dei rifugiati sono troppo riconoscibili, con l’aiuto dell’amico tipografo Luigi Brizi, comincia a stampare documenti falsi non solo per gli ebrei di Assisi, ma anche per Genova e Firenze, raggiunte dal ciclista Gino Bartali. Intreccia prima un rapporto di reciproco rispetto con il colonnellomedico tedesco Valentin Müller, poi con le forze degli Alleati, da cui ottiene con insistenti richieste il riconoscimento di Assisi come città ospedaliera, che sottrae così ai bombardamenti. Per un momento, il piano sembra fallire: i tedeschi dopo un controllo arrestano alcuni degli ospiti di San Quirico. Il monastero viene perlustrato da cima a fondo, ma gli ospiti si nascondono nelle grotte sottostanti, scampando il pericolo. Le forze armate arrestano lei, Padre, ma nemmeno dietro le sbarre perde la sua determinazione. Centinaia, c’è chi dice trecento. Trecento vite salvate dalla forza d’animo di un moderno Fra’ Cristoforo, che tutto si spende per gli altri, mettendo a repentaglio se stesso. Se questo non bastasse a presentarla per l’eroe giusto che è stato, Padre, si potrebbe parlare per ore del suo impegno nel sociale: ha speso il resto della sua vita nel nome della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, perché potessero vivere le proprie differenze nella pace. C’è qualcosa nella sua storia, c’è una scintilla di bene, di amore per gli altri, di forza di volontà, che diventa fiamma e divampa sempre più ardente. Lei, Padre, è un testimone di umanità nel momento meno umano della storia dell’uomo. Da piccolo frate di un piccolo convento si è fatto grande uomo nella storia dei grandi. Lei, Padre, si è reso impronta di indelebile giustizia, quando la giustizia non si sapeva più nemmeno cosa fosse. Oggi voglio ricordare quella scintilla, la scintilla di un giusto salvatore. Matteo, un uomo in cerca di salvezza. Matteo Zelli classe III D
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LA NEVICATA DEL ‘56
P Vittorio GRECHI
rimo pomeriggio dell’ultima domenica del gennaio 1956. Ero andato con mio padre e gli zii a raccogliere le carote in località Li Frattacci di Piediluco. L’aria era ferma, ma in cielo turbinavano stormi di uccelli in quantità mai vista. Principalmente cesene -dette le ciaole- e tordi sasselli –detti cecafelle o rosciole– insieme a passeri, storni, fringuelli e ad altri volatili non identificati. Ogni uccello faceva il suo verso e c’era una mescolanza di suoni fatta di sibili, di fischi, di schiocchi amalgamati dal fruscio di migliaia di ali. Uno di questi stormi si era posato sopra una grande quercia spoglia in cima a una collinetta e la quercia era diventata tutta piena e frusciante, come se si fosse all’improvviso rivestita di foglie scure mosse dal vento. Altri stormi si posavano ondeggiando sui terreni lontani, forse in cerca di cibo o per riposarsi, e dopo poco ripartivano accompagnati dallo stridio di vocalità tipiche della specie. La raccolta delle carote si svolse in fretta perché tutti erano convinti che il tempo fosse in forte peggioramento, annunciato dallo spostamento verso sud dei volatili, ed era opportuno arrivare quanto prima a casa. Infatti, qualche giorno dopo, ci svegliammo sotto una coltre da 30 a 50 cm di neve e tutti gli abitanti della piccola frazione dove abitavamo si dettero da fare con le pale per ripristinare un minimo di viabilità tra le case. Non essendoci telefoni o apparecchi radio, chi doveva andare a lavorare in fabbrica provò a incamminarsi per i campi, ma alla fine fu costretto a desistere e a tornarsene a casa, dopo aver appurato che anche il tram per Terni non poteva circolare. Mio padre fu uno di questi e quando tornò bagnato fradicio aveva pure la febbre. Noi bambini a godere dello spettacolo inconsueto, a tirarci pallate di neve e poi a fare pupazzi con le mani
Ci svegliammo sotto una coltre da 30 a 50 cm di neve e tutti gli abitanti della piccola frazione dove abitavamo si dettero da fare con le pale per ripristinare un minimo di viabilità tra le case.
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intirizzite, mentre le nostre madri minacciavano iniezioni dolorose in caso di febbre. Noi maschietti avevamo tutti le fionde a V di corniolo –lu crugnalecon gli elastici delle camere d’aria delle biciclette legati ad una pezzuola di cuoio dove veniva messo il sasso. Prendere passeri e pettirossi non era difficile perché, affamati e intirizziti dal freddo, cercavano qualcosa da mangiare posandosi dove era stata spalata la neve. Gli ulivi croscianti di bianco pulviscolo venivano visitati da torme di tordi e merli in cerca di qualche chicco di oliva, poi volavano nel bosco dove, sotto ai folti ginepri, la neve non era arrivata e avevano la probabilità di trovare qualche bacca aromatica e anche qualche insetto. Intanto i contadini discutevano se fosse meglio lasciare gli olivi pieni di neve o passare con una pertica per scrollarli e farla cadere a terra. Nell’indecisione, qualcuno ne scrollò la metà, lasciando l’altra metà alla bizzarria del tempo. Invece continuò a nevicare a periodi alterni fin quasi alla metà di marzo e le gelate fecero danni enormi negli uliveti. I prudenti come mio nonno conservavano a ogni stagione l’olio nuovo per l’anno successivo. Dopo qualche giorno incominciammo a trovare qualche uccello morto di fame e di freddo e da grande mi resi conto che in quell’anno ci fu una drastica riduzione di ogni specie di volatile. La gatta Biancaneve contribuì nel suo piccolo alla riduzione del patrimonio avicolo nazionale. Si mimetizzava nella neve accanto al letamaio, che veniva ricoperto di letame caldo ogni mattina, e per questo, oltre che per la fermentazione, era quasi sempre sgombro dalla bianca coltre, tiepido e pieno di moscerini. Tutto ciò attirava passeracei e altri piccoli uccelletti in cerca di tepore e di qualcosa da mangiare. Allora, con balzo che non si può non dire felino, la gatta saltava fuori dal suo nascondiglio e artigliava uno, due, tre passerotti in rapida successione. Dopo questi ripetuti esercizi, seguiti dal lauto pasto, era talmente ingrassata che le era passata la voglia della caccia e aveva quindi optato per i caldi mattoni del camino, che la invogliavano a dormire e a sognare uccelletti starnazzanti tra le sue grinfie.
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