elevatori su misura Numero 161 Gennaio 2019
Fisioterapia e Riabilitazione
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
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È arrivata la Befana Loretta Santini
DISTICI Giampiero Raspetti
Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni
20 I problemi climatico-ambientali Enrico Squazzini
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
DOVE TROVARE La Pagina ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Massimo Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO ; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; IPERCOOP; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo Volfango Frankl.
BMP elevatori su misura........................................pag. Alessandra Favoriti......................................pag. CMT Cooperativa Mobilitá Trasporti......................pag. I big data sono già tra noi A Melasecche. .pag. NET LOGOS .........................................................pag. La migrazione dei granchi rossi
10 ARCI ........................................................................pag. 11
F Patrizi.......................................................................pag.
Reddito di cittadinanza, chi ne ha diritto
M Petrocchi.................................................................pag.
Non tutti li mali vengono pe’ ssòcere
P Casali.......................................................................pag.
24 Chi viene e chi va Giacomo Porrazzini
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18 AVIS .........................................................................pag. 18 Estetica Evoluta STELLA POLARE. ......pag. 19 Programma Ass.Cult. La Pagina. .........pag. 19 Convegno: Chirurgia vascolare...................pag. 21 Abbazia di San Benedetto in fundis....pag. 22 Convegno: Lesioni oro-maxillo-facciale........pag. 23 La notte dell'Europa PL Seri. ........................pag. 26 Terni città progettata C Santulli. .................pag. 27 LICEO CLASSICO...............................................pag. 28 I frati e S. Emidio V Grechi. ..............................pag. 30 RIELLO - VANO GIULIANI............................pag. 31 SIPACE GROUP..................................................pag. 31 ALL FOOD.................................................... pag. 32 V Buompadre..............................................................pag.
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È arrivata la Befana Loretta SANTINI
È arrivata la Befana, quella vecchietta gobba, grinzosa, con il naso adunco, mento sporgente, pochi denti e capelli bianchi. È vestita di stracci: un gonnellone, un grembiule con le tasche e le toppe, un vecchio scialle, un cappello a punta. Viaggia a cavallo di una scopa e porta doni a grandi e piccini. Una vecchietta bonaria? Una strega? Un po’ dell’uno e dell’altro. L’aspetto da vecchia è una rappresentazione simbolica dell’anno passato tanto che –è un’usanza che permane in molti paesi dell’Italia e d’Europa– la si raffigura come un fantoccio che viene bruciato. Un tempo nella calza appesa al camino metteva caramelle, frutta secca, mele, mandarini o i portugal (così erano chiamate le arance): doni della natura carichi del loro tradizionale significato propiziatorio. Portava quaderni e matite per la scuola, qualche biscotto. I maschietti più fortunati avevano una macchinina di latta, un fucile col tappo di sughero, i soldatini di piombo; le bambine una bambola con i vestititi per il cambio, le pentoline e il carillon. A volte nella calza si trovava un libro delle fiabe, quelle di una volta scritte apposta per educare intimorendo: c’era l’orco, l’uomo nero, il lupo cattivo, la strega, la matrigna cattiva. Altri tempi, altro tipo di educazione, altre storie.
Quasi sempre c’era un po’ di carbone o cenere per ricordare al bambino che non era stato buono e incutere timore e rispetto. A volte il carbone era solo quello dolce: un modo per dire: “va be’, sei stato un po’ monello, ma sostanzialmente buono: attento a te”. Con il passare degli anni anche la calza è cambiata: ora è diventata più ricca, piena di giochi e oggetti tecnologici, subendo in questo la spietata concorrenza di Babbo Natale, quel panciuto e corpulento omone con la barba bianca che solca il cielo sulla slitta trainata dalle renne e scende dai camini per portare regali a tutti i bimbi. Per i bambini, nonostante la variazione dei regali, la Befana non ha perso quel senso di mistero e di attesa che era tipico della vigilia quando i piccoli erano ansiosi di vederla arrivare e non volevamo andare a dormire per poterla conoscere. La notte della Befana, sebbene sia stata in gran parte soppiantata da Babbo Natale o Santa Claus per la forte influenza della tradizione americana e dei paesi anglofoni, continua ancora oggi ad essere una notte magica. In realtà da Natale alla Befana tutto il tempo è magico. Già nel Medioevo lo ritenevano tale: un periodo di dodici notti in cui si avverano i sogni più belli, in cui gli animali possono parlare (dice un proverbio: “La notte di Befana nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla”), i defunti tornare tra i propri cari, si realizzano prodigi e meraviglie. E la Befana è la dodicesima notte! Quella cantata da Shakespeare nell’omonima commedia. Quella piena di speranze e progetti. Folklore, tradizioni, credenze, leggende, riti e usanze si incrociano in questa figura che affonda le proprie radici nei lontani riti
propiziatori della natura. Ma allora chi è la Befana: è la vecchietta che si pentì di non aver indicato la strada ai Re Magi per andare da Gesù e che poi, presa dal rimorso, portò dolcetti a tutti i bambini? O la ninfa Egeria che metteva i doni nella calza che il re Numa Pompilio appendeva nella grotta dove ella viveva? O ancora Diana, la dea della luna, che i contadini vedevano volare nel cielo insieme al suo corteo di ninfe per rendere fertili i campi? Ha a che fare con Strenua (da cui deriva il termine strenna – dono), la dea della prosperità che chiudeva un ciclo della vita e ne apriva un altro e le cui celebrazioni avvenivano all’inizio dell’anno e comportavano la consuetudine di scambiarsi doni di buon auspicio? È forse la moglie di Babbo Natale? È un’apparizione, come dice la sua etimologia? Il termine befana viene infatti da bifanìa o befanìa a loro volta derivati dal greco ἐπιφάνει (epifáneia) che ha appunto il significato di manifestazione del divino. Già in epoca romana l’Epifania chiudeva le feste dedicate al dio Saturno. Nella tradizione cristiana l’Epifania è il giorno in cui i Re Magi giunsero nel luogo della natività di Gesù per portargli offerte di oro, incenso e mirra. È anche l’inizio del periodo pasquale, tanto che non solo c’è l’usanza di augurarsi “buona Pasqua” in questo giorno, ma sopravvivono nelle nostre vallate e nei nostri paesi, grazie anche all’opera dei Cantori della Valnerina, le pasquarelle, i canti di questua di antichissima tradizione che celebrano il Natale e l’Epifania e si concludono con frasi augurali e con la richiesta di cibarie. Per tutti noi rimane la simpatica vecchietta che porta un sorriso sul viso dei nostri bimbi.
P.S. A Terni sia Babbo Natale che la Befana sono in linea con l’ordinanza antismog perché usano veicoli non inquinanti con emissioni zero: il primo usa una slitta, la seconda una scopa. Inoltre ambedue possono scendere tranquillamente dai camini perché, per la stessa ordinanza, questi non possono essere accesi. Vorrei pregare i nostri magici e tanto amati portatori di doni di scrivere una lettera (invece che riceverla) agli amministratori comunali per far presente che i cittadini sarebbero molto più lieti di obbedire all’ordinanza se ci fossero controlli severi sulle emissioni degli inceneritori e delle fabbriche che appestano la città, ben evidenti alla vista e all’odorato.
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Alessandra Favoriti
, ternana, medico della Nazionale Femminile di Pallavolo Vice Campione del Mondo 2018
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i sportivi ternani che si distinguono ai massimi livelli dell’agonismo ce ne sono in buon numero: atleti/e, allenatori, dirigenti. Presentiamo adesso una rarità, un medico che è nello staff della squadra nazionale vice campione del mondo 2018 di pallavolo femminile: la Dr.ssa Alessandra Favoriti che, in Giappone, nello scorso settembre, ha vissuto un sogno della vita, insieme a milioni di italiani che hanno seguito le gesta delle meravigliose atlete che hanno sfiorato l’oro, conquistando un magnifico argento mondiale. Una Nazionale che il Presidente della Repubblica Mattarella ha detto costituire un esempio, anche per il comportamento umano che ha coinvolto pure l'intero staff! La giovane Dr.ssa Favoriti, specializzatasi nel 2017 presso l’Università la Sapienza di Roma, Policlinico Umberto I, dove attualmente collabora presso la UOC di Cardiologia Pediatrica nel Servizio di Medicina dello Sport, è ancora una atleta agonisticamente attiva con la squadra della Acqua Azzurra Volley, partecipando alla massima serie regionale della Serie C. Dopo il riconoscimento del Comune di Terni, il 5 novembre, il Panathlon Club di Terni l’ha presentata ai ternani, omaggiandola per questa sua attività di fronte alle autorità del Coni e dell’Assessore allo Sport del Comune di Terni, in occasione della Festa degli Auguri dello scorso 14 dicembre. Alessandra non è nuova nell’ambito internazionale della Pallavolo, perché è in forza alla FIPAV già dal 2015, sempre come medico al seguito delle nazionali giovanili femminili. E così nel 2015 era a Puerto Rico con la Nazionale Under 20 che conquistò un eccellente bronzo mondiale e nel 2017 con la Under 18 in Argentina per conquistare l’oro mondiale. E non basta, perché Alessandra si è anche impegnata nel calcio femminile con la Società Ternana Futsbal Campione d’Italia 2015 e 2018. Insomma una sportiva a tutto tondo e non poteva essere altrimenti come figliola di cotanto padre, Piero Favoriti, giocatore della Ternana Calcio ed oggi, per scelta, allenatore di squadre giovanili che cura con una profonda passione, trasmettendo a piene mani i valori insiti dello sport pulito e l’educazione civile e sociale a giovani e giovanissimi futuri cittadini di Terni!
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DISTICI
Giampiero RASPETTI
Il Presidente augura siano riscoperti i buoni sentimenti. Rapido l’eco del Ministro: Prima quelli degli italiani! Di che segno sei? - mi dice. Segno d’uomo - rispondo. Accattoni ciarlatani disvelano il futuro. Quanti ancora gli scemi che bevono scemenze? Parlano di Terni, senza saperne niente. E promettono di realizzare quel niente! Ama la cultura e dona tutto alla sua città. È ritenuto un vero pericolo pubblico! Non c’è niente di male ad essere felici. Dillo ai ministri di sofferenze e penitenze.
SUL CORSO Due passi in città, durante le Feste. - In strada fumano solo extracomunitari e donne. - Molti giovani indossano pantaloni strappati, ma non ne abbisognano, per sembrare pezzenti. - Incontro un amico: come è invecchiato, lui! Al mercato delle cipolle viene umiliata la cultura. Graduati incolti, amministratori per caso, impongono unilateralmente i prezzi perché vibrano solo per “un tanto al chilo” di protervia e somaraggine, mortificando così le sacre fondamenta.
Hai gli occhi per guardare. Per vedere serve ben altro. Non dire ad uno sciocco di essere tale. Non si noterà la differenza! Il futuro non cade dall’albero. Il futuro è un albero piantato da te. Il mondo intero sia la tua famiglia. Non aver paura di studiare, capire, amare!
CHI SONO? La lavanda mi inebria. Il gelsomino mi stordisce. Il tiglio mi penetra il cuore. Forse sono un fiore.
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I BIG DATA SONO GIÀ TRA NOI… Alessia MELASECCHE
alessia.melasecche@libero.it
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Big Data non sono altro che grandissime quantità di dati, generati sia da parte dei provider, ovvero i fornitori di servizi Internet, sia da parte delle persone, il cui volume, proprio grazie all’evoluzione di Internet, è centuplicato nell’arco degli ultimi due anni. Vengono comunemente misurati nell’ordine di grandezza dei Petabyte e dei Zettabyte. Per dare un’idea della dimensione, se i Megabyte a cui siamo abituati vengono identificati con 106, i Petabyte lo sono con 1015 mentre i Zettabyte con 1021. Spesso l’espressione Big Data viene utilizzata più genericamente per evocare l’utilizzo della tecnologia che di fatto serve a gestirli. Le imprese, infatti, stanno accentuando l’impegno per estrarre valore e conoscenza dalla mole di dati che hanno raccolto con strumenti vari, registrando il comportamento di clienti e consumatori. Negli ultimi anni, sono state sviluppate nuove tecnologie proprio per affrontare i problemi legati alla complessità dei dati su cui lavorare, oltre che al loro volume. Per quanto riguarda la complessità, questa risiede in tre aspetti fondamentali dei dati: la varietà (non più solo testo, ma anche immagini, etc.), la veridicità (nel momento in cui i dati vengono forniti dalle diverse fonti non possiamo più controllarne la provenienza e l’attendibilità) e, infine, la velocità, cioè la necessità di rispondere velocemente
facendo scelte strategiche basate sulla loro elaborazione. Grazie all’utilizzo dei Big Data un’impresa può decidere, in tempi brevissimi, di modificare la propria produzione, capire in quali mercati possa poi investire. Tutte queste informazioni possono pervenire all’azienda non più solo dai dati che è già abituata ad elaborare per le più “tradizionali” politiche di marketing, ma, e soprattutto, dall’integrazione di tali dati interni con quelli esterni che vengono forniti in formato diverso e con grande velocità. L’Osservatorio Big data analytics & business intelligence realizzato dal Politecnico di Milano evidenzia come i Big Data sono stati principalmente impiegati dalle aziende italiane per migliorare il rapporto con il cliente (70%), aumentare le vendite (68%), tagliare il time to market (66%), ampliare l’offerta di nuovi prodotti e servizi e ottimizzare quella attuale per aumentare i margini (entrambi al 64%), ridurre i costi (57%) e cercare nuovi mercati (41%). E cosa ne è venuto fuori? In generale, le imprese testimoniano nella quasi totalità dei casi il maggior coinvolgimento/fidelizzazione del cliente, a cui seguono l’aumento delle vendite (91% dei casi), il calo del time to market (78%), la creazione di nuovi prodotti e servizi (67%), l’aumento dei margini raggiunto con l’ottimizzazione dell’offerta (73%) e il taglio dei costi (56%). Rispetto al passato
sono stati fatti importanti progressi nel formare e reclutare data scientist, ovvero qui professionisti in grado di ricavare informazioni strategiche da enormi quantità di dati allo scopo di aiutare a definire o soddisfare esigenze e obiettivi aziendali. In realtà sono diversi i profili professionali che le aziende hanno già iniziato a richiedere con decisione. Tra queste, oltre ai Big Data Analytics Specialist (30%), troviamo Data Scientist (20%), Data Content & Communication Specialist (17%), Big Data Architect (16%) e Social Mining Specialist (12%). La Big Data Integration, dunque, è la grande sfida che, piaccia o meno, le imprese hanno davanti. Quelle italiane sono pronte? Solo una su cinque li conosce e li utilizza. Va detto, ogni potenziale consumatore entra più o meno consapevolmente con le proprie scelte, i propri gusti, le proprie interviste, in questi enormi contenitori di dati che servono ad orientare le imprese nel promuovere i loro prodotti e produrre con successo. Siamo dei partecipanti più o meno attivi, ma i veri protagonisti sono gli oggetti che usiamo: smartphone, computer, televisioni, caldaie, irrigatori informatizzati, etc., qualsiasi cosa che crei impulsi e sia collegato alla rete, dando origine all’enorme bacino dei Big Data. Quest’ultimi sono un ottimo esempio a dimostrazione che il futuro non è sempre lontano, molto spesso è già presente.
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La migrazione dei granchi rossi Francesco PATRIZI
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gni anno circa 50 milioni di granchi rossi intraprendono un viaggio di migliaia di chilometri per venire a deporre le uova a Christmas Island, nell’Oceano Indiano. L’evento richiama turisti da tutto il mondo. Kakar era un ragazzo di 20 anni quando scoprì questo fenomeno migratorio; era appena diventato una giovane promessa della kick boxe in Pakistan, quando venne rapito dal gruppo malavitoso che gestiva il campionato e che voleva impedirgli di continuare la carriera; riuscì a salvarsi fuggendo prima in Malaysia, poi in Indonesia, con l’obiettivo di raggiungere Christmas Island. L’isola dista appena 300 chilometri dalla costa indonesiana, ma appartiene all’Australia (che dista più di 3.000 chilometri): da lì è possibile chiedere asilo a Sydney. Le imbarcazioni dei migranti non arrivano mai direttamente sulle coste australiane, ma vengono dirottate sulle isole dell’oceano Indiano o dell’oceano Pacifico dove l’Australia gestisce dei centri di accoglienza. La politica australiana, in fatto di immigrazione, è molto restrittiva, per ottenere un permesso di soggiorno l’attesa può durare anche quattro o cinque
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anni e le condizioni di sopravvivenza nei centri di accoglienza sono molto critiche. Proprio per la loro cattiva gestione il paese è stato condannato a risarcire, fino ad oggi, 43 milioni di euro a 1.900 persone, con l’accusa di aver compiuto “una catena di violazioni dei diritti umani”. Una testimonianza, che ha scioccato l’opinione pubblica australiana, è stata fornita dalla trauma counsellor Poh Lin Lee la quale ha passato 17 mesi insieme ai detenuti di Christmas Island; nel documentario The Island ha mostrato le condizioni psico-fisiche in cui versano queste persone. La percezione della solitudine, l’immobilità coatta su una piccola isola, la mancanza di prospettive, sono tutti fattori che hanno portato i detenuti a sviluppare forti disturbi psichici: c’è chi vaga senza meta tutto il giorno, chi ingerisce spray antizanzara, lamette, o quello che trova, nel tentativo di farla finita, chi compie gesti autolesionistici... l’unica soluzione finora trovata è stata quella di somministrare a tutti delle forti dosi di psicofarmaci. Quando il centro di Christmas Island è stato chiuso, Kakar è stato trasferito a Manus, un’isola-stato che si trova a poche miglia della Papua Nuova Guinea,
nell’Oceano Pacifico. Lì l’Australia gestisce un altro centro di accoglienza, che è stato denunciato dalla magistratura papuana per “la violazione del diritto alla libertà”. Quando nel 2018 l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha lanciato l’allarme sanitario per tutti i 1420 detenuti nei centri di accoglienza offshore dell’area del Pacifico, l’Australia ha deciso di chiudere anche il centro di Manus e di ricollocare i 626 detenuti direttamente in Papua Nuova Guinea, ovvero nel paese più povero dell’area economica del Pacifico, dove recentemente ci sono state un’epidemia di poliomielite e una di malaria. Kakar ha sentito brutte storie di chi ci è andato, il paese è il secondo più pericoloso al mondo e la sicurezza dei migranti non è assicurata. A sei anni dalla sua fuga, il giovane pakistano ha ormai dimenticato la kick boxe ed ha scoperto la politica, oggi fa parte di un comitato spontaneo che chiede un trattamento più umano per i migranti. Nel mese di dicembre, migliaia di fotografi si sono recati a Christmas Island per documentare il fenomeno migratorio più spettacolare del mondo, e anche l’unico tollerato, quello dei granchi rossi.
L’appello dell’Arci per il 2019
«Più cultura meno paura» La paura domina il nostro tempo e lo rende cupo. Nasconde la realtà. Ti schiaccia sul presente e ti rende immobile. Ti convince che niente può cambiare. Ti rende più povero e più solo. Chi la usa vuole decidere per te. La paura è un macigno sulla società e sulla vita delle persone. Ma sottrarsi è possibile. E la cultura è uno strumento formidabile per farlo. La cultura distingue le verità dalle bugie. Infonde fiducia e dissipa l’odio. Coltiva le passioni e promuove il confronto. Diffonde uguaglianza e curiosità. Illumina le città e anima i quartieri. Produce benessere e crea occupazione. Rafforza la democrazia e alimenta la partecipazione. Immagina il futuro, anche l’impossibile, e trasforma la società. Conoscenza, ricerca, istruzione pubblica, libri, teatro, musica, cinema, arte, creatività sono risorse fondamentali per
liberarsi delle paure. La loro forza cresce se vivono in luoghi e spazi fisici, dove ci si incontra e si produce collaborazione, condivisione, immaginazione e libertà, confronto e spirito critico. L’Arci, i suoi circoli e associazioni, le case del popolo, rappresentano una rete viva e diffusa che oggi più di ieri si mette a disposizione per costruire una risposta diversa a chi propone un mondo fatto di muri e solitudini. Spazi e luoghi dove ci si incontra e si produce collaborazione e condivisione, immaginazione e libertà, si alimenta confronto e spirito critico. Nei nostri circoli nascono e si realizzano, insieme, socialità, ricreazione, solidarietà e cultura. Libri, teatro, musica, cinema, arte, creatività, saperi, conoscenza per divertirsi e impegnarsi. Per riconoscere e comprendere ragioni e profondità delle paure. Per emanciparsi dalle paure.
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Reddito di cittadinanza, chi ne ha diritto? Avv. Marta PETROCCHI
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l reddito di cittadinanza è un sostegno economico rivolto alle famiglie con un reddito inferiore alla soglia di povertà. Il reddito di queste famiglie verrà integrato fino ad arrivare ad una certa somma, somma che varia in base alla composizione del nucleo familiare. Analogamente, i pensionati dovranno percepire più dell’attuale pensione minima, pari ad 507,00 euro, e, di conseguenza, l’importo mensile della pensione verrà integrato fino a quando l’assegno non raggiungerà l’importo previsto. Hanno diritto al reddito di cittadinanza i cittadini italiani, i cittadini comunitari e gli extracomunitari purché abbiano un permesso soggiorno lungo e siano residenti continuativamente in Italia da almeno 10 anni. Quanto ai requisiti economici l’Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) familiare deve essere inferiore a 9.360,00 euro; il patrimonio immobiliare, esclusa la casa di abitazione, non deve superare i 30.000,00 euro; il patrimonio mobiliare non superiore a 6.000,00 euro; il reddito familiare deve essere inferiore a 6.000,00 euro annui moltiplicati per un parametro collegato al nucleo familiare. Se il richiedente è un single con Isee
pari a zero, avrà diritto a 500,00 euro al mese, oltre 280 euro di contributo affitto se non è proprietario di casa. Ci sono poi agevolazioni per elettricità e gas. L’integrazione al reddito sale in base al numero dei componenti il nucleo familiare. E così sono 600,00 euro con un adulto e un minore; 700,00 euro con un adulto e due minorenni; 800 euro con due adulti e un minorenne; fino ad arrivare a mille euro in caso di due adulti e due minorenni. Il reddito di cittadinanza dura 18 mesi e può essere prorogato per ulteriori 18 mesi dopo la sospensione di un mese. Il beneficiario dovrà accettare almeno una delle tre offerte di lavoro “congrue” proposte nel raggio di 100 km dalla sua residenza nei primi sei mesi di reddito; entro 250 km oltre il sesto mese. Successivamente, sempre che in famiglia non ci siano minori o disabili, il beneficiario dovrà spostarsi ovunque in Italia. In questo caso, potrà percepire il reddito di cittadinanza per altri tre mesi dall’inizio del nuovo lavoro e ciò per alleggerire le spese che inevitabilmente comporta il trasloco in un’altra città. Tutta la procedura dovrà essere gestita dai centri per l’impiego, mentre l’erogazione
è a carico dell’INPS. Le imprese dovranno comunicare i posti vacanti ai centri per l’impiego e alle agenzie per il lavoro e, se assumeranno un disoccupato, potranno avere uno sgravio contributivo da 5 mensilità, 6 per l’assunzione di donne e disoccupati di lunga durata, a 18 mensilità da dividere al 50% con l’Agenzia per il lavoro, se il canale di selezione del personale è privato. A coloro che entro i primi 12 mesi di erogazione del beneficio decidano di intraprendere un’attività lavorativa in proprio è riconosciuto un beneficio addizionale pari a sei mensilità di reddito di cittadinanza, nei limiti di 780,00 euro mensili. È bene tenere presente che la legge stabilisce pene piuttosto severe che vanno dalla reclusione da uno a sei anni, oltre alla decadenza dal beneficio ed al recupero di quanto indebitamente percepito, per chi, con dolo, fornisce dati e notizie non rispondenti al vero, occulta redditi e patrimoni a fini Isee o di dichiarazioni fiscali. In caso di dolo, il reddito di cittadinanza non potrà essere nuovamente richiesto, se non decorsi dieci anni dalla richiesta da cui è scaturita la sanzione. Vedremo cosa accadrà.
NON TUTTI LI MALI VENGONO PE’ SSÒCERE
Paolo Casali
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Tre amici stévono a pparla’ de sòcere... unu... Mi sòcera è ttantu bbrava... la porto co’ mme dappertuttu e rriesce a ‘rtrova’ sempre la strada de casa... quill’andru... je vojo bbene pure io... a mme me piace trattàlla come ‘na stella ccucì la’mmiro da lontano... e scì ciài raggione... j’arfattu lu primu... l’unicu viaggiu de piacere ch’ho fattu è qquanno l’ho ‘ccompagnata all’aroportu... e l’andru...certo ‘n ze po’ stà senza sòcera... me vène a ‘rpenza’ a Adamu... chissà come facéa issu che ‘n ce l’éa! A ‘llu puntu lu terzu che li stéa a ssindi’... aho... ammàppeve se cche linguacce che cc’éte... lo sapete come dicéa Totò? Non tutti li mali vengono pe’ ssòcere! La mia se spezza ‘n quattro pe’ nnoi e ‘nch’io je vòjo tantu bbene... però ‘n appuntu me tòcca fajelu... cià tre ggatti e qquilli pe’ essa so’ mmejo
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de li cristiani. Unu lu tène sembre dentro casa... lu fa durmi’ sopra ‘na sfirzata de cuscini ‘n do’ spessu ce pèrde pure lu ‘quilibbriu... lu fa scappa’ ddu’ minuti contati la madina senza fallu magna’ pe’ ppaura che nn’artorna e ppo’ doppo, mentre ce jacchiera tutta sdurginata, je lava le zzampette... lu spazzola e je da’ ‘na scatoletta de musse de manzu... ‘nu yogurt... ‘mbo’ de carne a ppizzittini e ‘na smannata de crocchette su la ciotoletta... essa dice sulu ‘na vòrda a lu ggiornu... senza cunzidera’ che, appena la svòtano, je la riembe de novu. L’andri ddui stònno llà dde fòri... so’ ‘bbituati a mmagna’ sei vòrde a lu ggiornu... sembre scatolette... crocchette... pizzitti de carne... e ppo’ siccome unu è ppiù lentu a mmagna’... l’imbocca o je li mette da ‘n’andra parte
ma sempre ‘n pusizzioni strateggiche secondu lu traggittu che ppòzzono pija’... co’ lu risurdatu che la robba avanzata... ‘ttira andri gatti compresi li cillitti e li fùrmiconi. Quanno s’è ‘ccorta de quillu “ladruciniu”... nn’ha fattu ‘na mòssa... perché dicéa che tutte le bbestie devono magna’... anzi ha ‘ncuminciatu a scinica’ le crocchette pe’ li cillitti metténnojele sopra lu muricciolu e a qquill’andri propiu vicinu a lu furmicàru. Vistu ‘llu sprecu... io je l’ho ‘ncuminciate a ‘rcòje da per terra e je l’armettéo dentro lu sacchittu da ‘n do’ le pijàa. Lu risurdatu è statu che essa... credènno che ‘lli gatti potéano aécce più ffame j’ha ‘umentatu la dòse e io cuntinuànno ‘mperterritu sperào sulu de non faje subbodorà che ‘lli bbiscuttini dentro ‘llu sacchittu duràono ‘n bo’ troppu.
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Medicina & Salute
Cosa è la Senologia
La senologia è la branca della medicina che studia le malattie della mammella. Propriamente in anatomia per seno si intende il solco posto tra le due salienze mammarie, ma è invalso l'uso di utilizzare questo termine come sinonimo di mammella.
Charles Marie Gros, ritenuto fondatore della senologia, avrebbe gradito che sulla statua, scolpita da Louis-Ernest Barrias, "La Nature se dévoilant", in cui la natura si svela dinanzi alla scienza, fosse inciso: "poiché il seno rappresenta l'immagine e la proiezione della donna nella sua totalità, poiché la cancerologia mammaria è la nutrice di ogni cancerologia in generale, poiché il seno è un testimone e forse una vittima di questa società, la senologia deve essere considerata la più umana delle discipline."
Tutto ciò nell'intento di combattere una malattia che minaccia drammaticamente la vita delle donne. Donne che si potrebbero salvare solo se il cancro venisse diagnosticato per tempo. Una diagnosi precoce, meglio ancora se in fase preclinica, non solo salverebbe la loro vita, ma ne risparmierebbe anche la mammella da interventi mutilanti. Aspetto quest'ultimo di grande significato considerato il ruolo che riveste il seno nella vita di una donna.
La senologia è materia complessa che si è sviluppata particolarmente negli ultimi decenni diventando oggetto di studio di molte branche specialistiche (endocrinologia, radiologia, oncologia, chirurgia, anatomia patologica) mentre prima era di pertinenza quasi esclusivamente della ginecologia in quanto il seno era considerato organo tipicamente femminile. In realtà la mammella è presente anche nel maschio, sia pure in forma rudimentale, ed è soggetta anche nel maschio a varie malattie anche gravi. Questa particolare attenzione rivolta alla mammella da tanti specialisti è dovuta al fatto che essa è particolarmente colpita dal cancro, prima causa di morte per tumore maligno nella popolazione femminile. Le attuali conoscenze in campo oncologico e le esperienze maturate in tanti anni hanno dimostrato che questa malattia così complessa necessita di un approccio multidisciplinare sia nel momento della diagnosi (radiologo e patologo) fino alla scelta terapeutica (chirurgo, radioterapista, oncologo, radioterapista) così da coinvolgere più professionalità. La senologia quindi ha assunto dignità di disciplina "specifica" tanto che nel 1995 il prof. Umberto Veronesi, insieme ad altri autorevoli professionisti, compresi ministro e avvocati, hanno dato luogo alla creazione di molti gruppi di studio, quali la Scuola Italiana di Senologia, di alcune Associazioni come la Forza Operativa Nazionale sul Carcinoma Mammario (FONCAM), la Rivista Attualità in Senologia. Nacque poi la Società Italiana di Senologia.
Dott.ssa Lorella Fioriti
Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
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MEDICINA RIGENERATIVA E CHIRURGIA PLASTICA La medicina rigenerativa è un settore innovativo della scienza medica, in costante sviluppo da almeno dieci anni. La crescita dell’interesse nei confronti di questa disciplina va di pari passo col progresso della ricerca sulle proprietà delle cellule staminali. Le cellule staminali sono presenti in diversi tessuti dell’organismo e si è visto che il tessuto adiposo ne è particolarmente ricco (da un centimetro cubo di tessuto adiposo si ricavano circa 200.000 cellule staminali). I Chirurghi Plastici fin dagli anni 80’ trattano il tessuto adiposo costantemente, sia con la tecnica della lipoaspirazione, sia con il lipofilling, cioè l’autotrapianto di grasso. Questa dimestichezza che noi Chirurghi Plastici abbiamo col tessuto adiposo, ha favorito una collaborazione con gruppi di ricercatori interessati alle proprietà delle staminali presenti nel grasso. L’obiettivo iniziale delle tecniche di lipofilling utilizzate in Chirurgia Plastica era quello di rimpiazzare i deficit volumetrici causati dall’invecchiamento o da malattie, ustioni, traumi. Inizialmente, pensavamo al grasso come a un filler autologo, col tempo, tuttavia, ci siamo resi conto che il tessuto adiposo presenta proprietà aggiuntive assai interessanti che i filler sintetici non hanno, ed è in grado di migliorare la qualità dei tessuti e favorire i processi di guarigione e di
rigenerazione. Tali proprietà sono da attribuire alla presenza delle cellule staminali mesenchimali, che sono elementi plastici, in grado di stimolare la crescita cellulare, la vascolarizzazione e i processi riparativi. Per questo, il lipofilling è oggi impiegato sempre più diffusamente e le indicazioni cliniche si stanno espandendo notevolmente. Si può ricorrere al lipofilling per ridurre le rughe e per correggere solchi e avvallamenti del viso, ridefinire e armonizzare i volumi e i contorni del volto, restituire turgore ed elasticità al dorso delle mani, in generale, per regolarizzare o rimodellare il volume di molte aree del viso e del corpo. Oltre che per contrastare i fenomeni dell’invecchiamento, il lipofilling è stato utilizzato con buoni risultati anche nel trattamento di aree depresse congenite o post-traumatiche, aree cicatriziali, aree ustionate, tessuti atrofici e, in ortopedia, per la riduzione di usura e degenerazione
dei tessuti cartilaginei delle articolazioni. Il potenziale delle cellule staminali è enorme, tuttavia siamo solo all’inizio in questa nuova affascinante era della medicina. In futuro la ricerca ci consentirà di compiere passi da giganti, potendo contrastare efficacemente i fattori dell’invecchiamento, promuovere la rigenerazione tessutale, disporre di tessuti bioingegnerizzati. Inoltre, prescindendo dalle finalità della Chirurgia Plastica, i progressi della ricerca sulle proprietà e le applicazioni delle cellule staminali forniranno opportunità terapeutiche per molte patologie come le malattie degenerative del sistema nervoso, l’Alzheimer, il Parkinson, le miocardiopatie, le retinopatie, le lesioni spinali.
Dr. ROBERTO UCCELLINI SPECIALISTA IN CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA SPECIALISTA IN CHIRURGIA GENERALE
TERNI - Viale della Stazione, 63 ROMA - Via Frattina, 48 LONDRA “The private Clinic” - 98 Harley Street PER APPUNTAMENTI: Office Manager Raffaella Pierbattisti Tel 0744.404329 329.20.06.599 – 329.23.32.450 robertouccellini@gmail.com www.robertouccellini.com
40 settimane di GESTAZIONE: TUTTE LE VISITE DA EFFETTUARE Durante la gravidanza paure, incertezze e domande non mancano: quali sono gli esami di routine? E quante le visite specialistiche e le ecografie da effettuare? PRIMO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA Nel corso del primo trimestre di gravidanza gli esami da svolgere sono volti principalmente ad accertarsi dello stato di salute della donna e del corretto inizio della gravidanza stessa. Al momento della prima visita ginecologica il medico prescrive una serie di visite ed esami (a carico del Sistema sanitario nazionale) come: ESAME DELLE URINE, EMOCROMO, GLUCOSIO, AST, ALT. Non è necessario effettuare l’esame per il VIRUS DELLA ROSOLIA se è documentata l’immunità, né quello per la TOXOPLASMOSI, nello stesso caso. Si effettua poi TPHA (per la sifilide), Test dell’HIV, TEST DI COOMBS INDIRETTO (in caso di donne RH negative, o comunque a rischio di immunizzazione, il test deve essere ripetuto ogni mese), TEST DELLA CLAMIDIA, PAP TEST, URINOCOLTURA. Esiste poi la possibilità di effettuare il TEST COMBINATO che consiste in un prelievo di sangue e in un’ecografia particolare, detta translucenza nucale, che consente di valutare l’eventuale probabilità che il feto presenti alcune anomalie da
indagare con ulteriori approfondimenti. Amniocentesi o villocentesi, infine, se l’esame della translucenza nucale ha dato esito positivo o dubbio alle donne è consigliato l’approfondimento tramite prelievo di liquido amniotico (amniocentesi) o dei villi coriali (villocentesi). Esiste, poi, la possibilità di effettuare dei test non esenti, valutati di volta in volta dal medico, quali CITOMEGALOVIRUS ed ELETTROFORESI DELL’EMOGLOBINA. SECONDO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA Nel corso del secondo trimestre di gravidanza si effettua la seconda ecografia di routine, detta ecografia morfologica, tra la 19^ e la 21^ settimana che serve per
rilevare eventuali malformazioni fetali. Si effettuano, poi, i seguenti esami: GLUCOSIO, ROSOLIA, TOXOPLASMOSI (a meno che non si sia immuni), ESAME DELLE URINE, URINOCOLTURA. È indicato in questo periodo anche un esame non esente, che tuttavia il medico può ritenere necessario prescrivere, cioè la MINICURVA DA CARICO GLICEMICO (utile quando si sospetti una ridotta tolleranza agli zuccheri per familiarità diabetica, precedente ridotta tolleranza, obesità o eccessivo aumento del peso in gravidanza). TERZO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA Si ripetono sostanzialmente gli esami dei trimestri precedenti e si effettua la terza ecografia di routine, detta ECOGRAFIA DI ACCRESCIMENTO. Si effettua generalmente il tampone vaginale e rettale per la ricerca dello STREPTOCOCCO B e l’EEG. DALLA 40^ SETTIMANA DI GRAVIDANZA E OLTRE si effettua l’ESAME DELLE URINE, la CardioTocoGrafia [CTG] e il Controllo del liquido amniotico. DR.SSA GIUSI PORCARO
Specialista in Ginecologia ed Ostetricia USL UMBRIA 2 – Consultorio Familiare di Orvieto STUDIO MEDICO ANTEO – Via Radice 19 – Terni (0744- 300789) COMEDICA - Via Gabelletta, 147 - Terni (0744 241 390)
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AZIENDA OSPEDALIERA STRUTTURA COMPLESSA di
Ortopedia e Traumatologia con l’adozione di percorsi terapeutici ed assistenziali ben definiti grazie anche alla presenza dello specialista orto-geriatra in reparto. L’attività di chirurgia artroscopia e mininvasiva, soprattutto di ginocchio e di spalla, rappresenta inoltre un servizio di alta specializzazione in continua evoluzione per la cura di lesioni per lo più sportive e lavorative; queste vengono solitamente trattate in regime di day surgery e successivamente seguite attraverso un follow-up fisiatrico e fisioterapico riabilitativo ambulatoriale.
Direttore Dott. Latini Struttura Complessa Ortopedia e Traumatologia Azienda Ospedaliera "S. Maria" di Terni
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l reparto di Ortopedia e Traumatologia di Terni si è trasformato sempre di più in una struttura di riferimento per un’area vasta che va dalla bassa Umbria all’alto Lazio per quello che riguarda soprattutto i traumi complessi nella traumatologia della strada e del lavoro, ma anche per il trattamento di patologie degenerative artrosiche e derivanti dai traumi sportivi. L’attività prevede l’assistenza in degenza, l’attività di pronto soccorso h24, l’attività ambulatoriale specialistica e super specialistica, ed un’attività chirurgica giornaliera in crescente aumento proprio per la capacità attrattiva che il polo ortopedico ternano assume, aderendo anche al protocollo nazionale per la gestione operativa delle fratture del femore dell’anziano entro le 48 ore. È sempre più importante infatti delineare un percorso assistenziale del paziente geriatrico con fratture e comorbilità attraverso un approccio integrato multidisciplinare e multi professionale
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Insieme agli interventi traumatologici di routine, si eseguono anche interventi di traumatologia di elevata complessità riguardanti gli arti e il bacino, quali le fratture esposte e le fratture complesse del cingolo pelvico. Centinaia sono infine i pazienti che ogni anno si sottopongono ad interventi di sostituzione protesica (primo impianto) di anca, spalla e ginocchio per la patologia artrosica sempre più presente con l’allungamento dell’età media della vita e della qualità della stessa; si eseguono inoltre interventi di chirurgia
SANTA MARIA DI TERNI protesica di revisione per mobilizzazioni settiche ed asettiche. In regime ambulatoriale si eseguono, in stretta collaborazione con il servizio immunotrasfusionale dell'Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, infiltrazioni di gel piastrinico (P.R.P.) per il trattamento di patologie inserzionali tendinee (epicondilite, epitrocleite, tendinopatia achillea, patologia della cuffia dei rotatori) ed infiltrazioni intra-articolari per patologie artrosiche in fase iniziale. Le prestazioni medie annuali contano circa 1500 interventi chirurgici di cui 350 impianti protesici, 3120 prestazioni di pronto soccorso, 1900 visite ambulatoriali da CUP, 5000 visite ambulatoriali post trattamento.
protesica delle grandi articolazioni, con particolare riferimento all'anca. Sono inoltre in fase di avvio progetti per ottimizzare l’accesso alle prestazioni programmate al fine di ridurre i tempi di attesa, migliorare e aggiornare le strumentazioni e ampliare l’offerta terapeutica così da intercettare quella quota parte di prestazioni che vengono erogate da strutture extraregionali. In programma anche il rafforzamento della sinergie e dell'integrazione con le strutture riabilitative territoriali al fine di migliorare e ottimizzare il percorso post chirurgico dei pazienti ed evitare ritardi e interruzioni in un percorso terapeutico in cui il trattamento chirurgico rappresenta solo una fase, seppure importante.
Per il futuro, oltre a migliorare il comfort alberghiero dei pazienti operati grazie ad una serie di lavori di ristrutturazione già programmati, si intende mantenere e potenziare quelli che sono i punti di forza della struttura e cioè il trattamento della traumatologia maggiore e la chirurgia
Nel complesso l'obiettivo generale condiviso con la direzione aziendale è non soltanto di consolidare i risultati ottenuti, ma aumentare in termini qualitativi e quantitativi le prestazioni nel medio e lungo termine, attraverso analisi mirate delle dinamiche socio sanitarie e una sempre maggiore sinergia tra tutti gli operatori sanitari coinvolti.
ÉQUIPE Direttore: Dr. Sandro Latini Dirigenti medici: Ghassan Bassil, Alessandro Massarini, Fabio Lamperini, Giuseppe Bensi, Dante Tomassini, Alfredo Gillio, Sergio Armillei, Matteo Perrotta, David D’eramo, Giancarlo Aisa Coordinatrice infermieristica: Rita Bartolucci
ANCA
Personale infermieristico degenza: Cucco Marion, Marchegiani Laura, Brunelli Mauro, Proietti Enrico, Spognetta Claudia, Paoni Fabio, Bianchini Tatiana, Coata Roberto, Brizi Fausto, Onofri Laura, Vlad Carmen, Sciaboletta Daniele, Nicolini Francesca, Marzuoli Monica
GINOCCHIO
BACINO
Personale OSS degenza: Ciucci Maila, Sperandei Valentina Personale infermieristico ambulatorio ortopedico: Venturi Gabriella, Vittori Cinzia, Poli Alessandra, Sampaolesi Carla, Paparozzi Alessandra, Ruggiero Carolina Personale OSS ambulatorio ortopedico: Palmerini Tiziana Personale infermieristico Pronto Soccorso Ortopedico: Palmieri Roberto, Salvi Annalisa
INVERSA
Posizione organizzativa sala operatoria: Riccardo Monti Cordinatore infermieristico sala operatoria: Fabrizio Corvi Specialista di sala operatoria: Francesca Ceccarelli Personale infermieristico di Sala operatoria: Dindalini Paolo, Finistauri Fabrizio, Di Pasquale Giuliana, Conti Massimiliano, Angelone Ines, Petacchiola Tommaso, Mostarda Gino, Pantalloni Liana, Benedetti Stefania, Mignacca Guido, Lucidi Vladimiro, Pedacchia Sara.
Servizio Fotografico Alberto Mirimao
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DORSO CURVO DELL’ ADOLESCENZA Dott. Vincenzo Buompadre
Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport - Terni Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6, 0744.427262 int.2 - Rieti Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25, 0746.480691 - Foligno Villa Aurora, v. Arno 2, 0742.351405
www.vincenzobuompadre.com
Con il termine di IPERCIFOSI si intende un aumento patologico della curvatura del rachide dorsale ad apice posteriore che, in media, va tra i 20° e i 40°; quando supera i 40° si parla di DORSO CURVO o “gobba”. Distinguiamo le CIFOSI in: zz POSTURALI: dorso curvo astenico del bambino (paramorfismo), zz CONGENITE (dismorfismo), zz IDIOPATICHE (dimorfismo), zz da OSTEOCONDROSI (Malattia di Scheuermann, dimorfismo). L’ipercifosi posturale è un quadro benigno puramente funzionale, favorita da debolezza muscolare che spesso si associa al piede piatto, al ginocchio valgo, all’ipotonia della parete addominale, alle cosidette “scapole alate”, alla testa e al collo proiettati in avanti. Il vizioso atteggiamento posturale del bambino è perfettamente riducibile. Nell’ipercifosi da dismorfismo sono presenti, invece, alterazioni strutturali del rachide (evidenziate all’esame radiografico). Tra queste la più frequente è la malattia di Scheurmann, che si caratterizza per un disturbo della crescita della parte anteriore del corpo vertebrale con alterazione della matrice cartilaginea e conseguente
assottigliamento dei dischi intervertebrali, cuneizzazione maggiore di 5° di almeno 3 vertebre adiacenti all’apice della curva cifotica. Questa patologia ha un’incidenza tra 1-8% ed è più frequente fra gli 8 e i 16 anni. Colpisce, inoltre, più frequentemente i maschi rispetto alle femmine con rapporto di 3 a 1 e porta allo sviluppo di un DORSO CURVO RIGIDO, con deformità associate quali iperlordosi lombare e cervicale ed è causa di dolore in un terzo dei casi. Le diagnosi di ipercifosi posturale o da dimorfismo sono cliniche e l’esame radiografico evidenzierà nelle forme dismorfiche le alterazioni strutturali . Per il trattamento in tutte le forme di ipercifosi è fondamentale la diagnosi precoce. Nelle forme paramorfiche il trattamento è rappresentato dalla correzione degli atteggiamenti posturali errati, dalla ginnastica medica e dall’ attività fisica. Nella Malattia di Scheuerman è importante la ginnastica medica, nelle forme parzialmente correggibili l’utilizzo di specifici corsetti ortopedici, mentre, nelle forme più gravi e rigide, si rende necessario l’utilizzo di busti gessati in ipercorrezione poi sostituiti da corsetti ortopedici.
QUANTO SANGUE SERVE zz Per un trapianto di rene mediamente occorrono 4 sacche di globuli rossi. zz Per un trapianto di cuore: 10 sacche di globuli rossi, plasma e piastrine con picchi di 30-40. zz Per un trapianto di fegato si possono raggiungere punte di 160-170 sacche di globuli rossi, 290-300 di plasma e 140 di piastrine per interventi particolarmente impegnativi. zz Per un trapianto di midollo osseo: da 50 a 80 sacche di globuli rossi, plasma, piastrine ed immunoglobuline, con picchi di 200-300 sacche per ogni terapia (4-5 mesi prima del trapianto). - Talassemia: una trasfusione ogni 15-20 giorni. INOLTRE zz Sino all’età di 45 anni il consumo medio di sangue, ogni 100.000 persone della stessa classe d’età è pari a circa 2.500 unità/anno. zz Il consumo sale a 6.000 per i cinquantenni. zz Il consumo sale a 10.000 per i sessantacinquenni. zz Il consumo sale a 20.000 per gli ottantenni.
AVIS Terni: Via L.Aminale, 30 - Terni E-mail: avis.terni@libero.it Telefono: 0744400118 - Fax: 0744400118
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Avis Comunale Terni
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La popolazione ultrasettantenne in Umbria, al 1° gennaio 2017, era il 18,7% dell’intera popolazione regionale: cioè pari a 166.320 cittadini. Nonostante i progressi della medicina, delle scienze e della biochimica, l’uomo rimane a tutt’oggi l’unica possibile sorgente di sangue, pertanto: nessun ospedale è in grado di assicurare alcuna terapia trasfusionale senza la preventiva disponibilità dei donatori.
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Programma Associazione Culturale La Pagina L'Associazione Culturale La Pagina ti segnala che puoi contribuire con il 5xmille indicando sul tuo Mod. 730 questo cod. 01484960552 MIRIAM VITIELLO Tutti i Lunedì dalle ore 18.00 alle 19.30
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Mercoledì ore 16.00 Teoria della relatività (I parte)
30 Gennaio
Mercoledì ore 16.00 Teoria della relatività (II parte)
13 Febbraio
Vittorio Grechi
Vittorio Grechi
Vittorio Grechi
25 Gennaio
2 Febbraio
15 Febbraio
Venerdì ore 16.00 TERNI e il suo territorio Storia - Eccellenze - Tradizioni Loretta Santini
Sabato ore 16.00
Presentazione Libro
"UOMINI... ROSE O MELONI?" di Federica Confaloni
l'incontro sarà allietato con un rinfresco
Mercoledì ore 16.00 Curiosità Scientifiche
Venerdì ore 16.00 TERNI e il suo territorio Storia - Eccellenze - Tradizioni Loretta Santini
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 0744.1963037 - 393.6504183 - 348.2401774
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Viviamo in un mondo che cambia
Conoscere il Territorio per affrontare i problemi climatico-ambientali.
Enrico SQUAZZINI Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone
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rmai da un anno all’altro ci viene rinfrescata la memoria in merito al cambiamento climatico in atto. I fenomeni atmosferici, che si registrano attraverso manifestazioni sempre più violente a distanza di così breve tempo, costituiscono una cartina al tornasole delle conseguenze dirette del processo repentino di riscaldamento del pianeta. Allo stesso tempo restituiscono un’immagine chiara della natura dinamica della Terra espressa nell’interscambio energetico fra la geosfera e la biosfera. È proprio di questi giorni l’ennesimo monito degli scienziati dell’ONU che hanno registrato un nuovo record nei valori di concentrazione dei gas serra, che ormai sappiamo essere costituiti principalmente da anidride carbonica e metano. Ebbene, ancora una volta è ufficiale: negli ultimi anni non abbiamo fatto assolutamente nulla. Anzi, non solo non ci siamo minimamente preoccupati della questione, ma ci siamo impegnati perché le condizioni peggiorassero. Complimenti! Siamo davvero organismi biologici intelligenti! Se eventualmente, per pura casualità, qualcuno si interrogasse sulla possibilità di poter fare qualcosa; di tentare almeno di avviare un percorso di conoscenza e di sensibilizzazione al problema, personalmente risponderei che non solo si potrebbe fare molto, ma che il nostro territorio si mostra particolarmente adatto a tale scopo. E questo non è un dettaglio, ma una rara fortuna. Tutti coloro che finora hanno fatto finta che il problema non esistesse, o che per qualche motivo riguardasse solamente “gli altri”, oppure hanno ritenuto di poter iniziare ad occuparsene “a tempo debito” a seconda delle proprie personali esigenze, non solo non hanno capito nulla ma, evidentemente, hanno fatto proprio male i propri conti. In natura non funziona così e non esiste un pulsante che si possa premere per
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cambiare regime secondo i nostri calcoli. Anzi, a dirla tutta, tendiamo a dimenticare sempre il dettaglio più importante: mentre noi abbiamo bisogno della natura, la natura non ha assolutamente alcun bisogno di noi, potendo tranquillamente farne a meno. Ammesso che ormai non sia troppo tardi, ciò che possiamo e dobbiamo fare, oltre all’ovvia riduzione drastica dell’impatto delle nostre attività sull’ambiente, è avviare una titanica opera di conoscenza ed approfondimento delle dinamiche con cui funziona l’ambiente in cui viviamo. Questa deve essere rivolta a tutti, ma specialmente ai più giovani che risultano i più fragili e i più impreparati da questo punto di vista. Il problema principale che abbiamo di fronte è il tempo la cui finestra si restringe sempre di più. In effetti, a parte la diffusa e quasi totale ignoranza che caratterizza oggi la stragrande maggioranza della società civile in merito a queste tematiche, c’è da considerare che una volta resisi conto del reale problema e avviato un tentativo per risolverlo, il sintomo di un miglioramento dello stato generale si potrà avere soltanto nell’arco di qualche decennio. E, se teniamo conto del fatto che di tutto ciò non abbiamo ancora avviato nulla… Da qui si capisce lo stupore degli scienziati di fronte al demente atteggiamento di “orecchie da mercante” che proviene da buona parte dell’umanità. Noi nel nostro piccolo, che non è affatto piccolo, viviamo in un territorio che, molto più di tanti altri, si presta particolarmente ai fini della conoscenza delle dinamiche di funzionamento dell’ambiente. Esso è un contesto piuttosto speciale da questo punto di vista, in grado di mettere a disposizione caratteristiche uniche per capire come funzionano molti meccanismi di evoluzione ambientale. Il settore della “Valnerina ternana”, grazie anche ad una serie di recenti scoperte assolutamente nuove, si è “arricchito” di caratteristiche geologiche
ed evidenze paleoambientali di grande significato. Queste consentono di chiarire, in modo molto particolareggiato, il significato dei cambiamenti climatico-ambientali nel corso del tempo e come questi rimangano impressi nella registrazione naturale. Perché questo è da ritenersi un elemento importante? Perché, di fatto, lo studio degli ecosistemi del passato può costituire la chiave interpretativa per prevedere gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. È ormai opinione largamente condivisa dagli studiosi che le variazioni globali del clima, agendo sulla componente non biologica degli ecosistemi, provochino nel loro insieme profonde modificazioni negli ambienti naturali. Tali modificazioni, che nel passato geologico hanno costituito uno dei motori dell’evoluzione della biosfera, sono destinate a portare alla scomparsa sia di singole specie sia di interi ecosistemi, ma porteranno anche la comparsa di nuovi organismi. Atmosfera, idrosfera, litosfera e biosfera costituiscono, infatti, un sistema aperto integrato, in equilibrio dinamico. Ciò significa che singole modificazioni influenzano l’intero complesso e vengono registrate sia dall’ambiente fisico che dagli esseri viventi. Ne consegue che le variazioni dell’ambiente fisico sono state e sono una componente non trascurabile nel processo di evoluzione della biosfera. Proprio per questi motivi lo studio delle interrelazioni clima/ecosistemi del passato può costituire la corretta chiave di interpretazione per comprendere i meccanismi dei cambiamenti climatici in atto ed anche per prevederne l’impatto a lungo termine sugli ecosistemi. Oggi abbiamo un’occasione unica, una finestra di speranza per un futuro più sostenibile nell’ambito di un mondo che cambia repentinamente. Sarebbe opportuno approfittarne, visto che di occasioni non ne abbiamo a disposizione chissà quante. Anzi, questa potrebbe essere veramente l’unica.
6 crediti ECM
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FEBBRAIO 2019 09.00 - 17.00
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presente e futuro della chirurgia vascolare in Italia
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L’abbazia di San Benedetto in fundis di Stroncone Un gioiello di architettura romanica celato tra le montagne, un bene da riscoprire e tutelare
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ochi sanno che le montagne ternane – quelle che confinano a sud con la Sabina e con la Valle Santa reatina, tra Stroncone, Miranda e Greccio – nascondono da ben oltre mille anni una ricchezza di inestimabile valore, un monumento del monachesimo benedettino di cui poco si parla, nei fatti quasi a voler inconsciamente mantenere quel riserbo, quella “studiata invisibilità” che lo definisce fin dalla lontanissima fondazione. La fondazione dell’abbazia di San Benedetto in fundis non è un episodio storico come tanti altri, poiché conferisce, fin dall’alto medioevo, una spinta di rinnovamento significativa al territorio di Stroncone e ternano, prove ne sono i forti legami tenuti sia con la prima comunità, sia il grande interessamento che ebbe il governo cittadino di Terni per l’acquisizione del controllo dell’abbazia all’inizio del XVI secolo. Volutamente celata in una vallata interna tra Stroncone e Miranda, l’abbazia di San Benedetto in fundis nasce quasi certamente per volontà di un piccolo gruppo di monaci farfensi sfuggito all’inseguimento dei Saraceni, predoni attestati in Sabina nel IX secolo ed estremamente veloci nelle loro incursioni nel centro della penisola, in perenne ricerca di chiese e città, soprattutto di tesori. Il tesoro in effetti c’era. Il corredo donato da Carlo Magno e molto altro ancora custodito a quel tempo nell’abbazia imperiale di Farfa. La quale fu presa d’assedio per questo motivo, per ben sette lunghi anni (890-897), fino a che da parte dei monaci ivi costretti si decise un’ultima, disperata fuga, divisi in tre gruppi, diviso il tesoro. Alcuni si diressero verso Roma, l’abate Pietro I ed altri verso Fermo. Il terzo gruppo, quello che più ci interessa, provò la sortita verso la vicina Rieti fortificata. Ma furono subito inseguiti dagli assedianti che intendevano raggiungere i monaci, i milites, i famigli e, soprattutto, le loro vettovaglie, inconsuete, pesanti, di enorme valore... Neppure la Reate langobarda, ben difesa, resistette all’attacco dei Saraceni, normalmente poco esperti nel superare le fortificazioni. E allora, ipotesi molto ragionevole, solo le montagne sabine che sovrastavano il Lacus Velinus, ovvero la palude costituita dal fiume Velino ampiamente esondato alla fine del IX secolo, si presentarono sul momento come l’ultimo, estremo luogo vicino dove poter far perdere le tracce, trovare la salvezza. I monaci farfensi quindi, molto probabilmente, trovarono rifugio sulle montagne ora stronconesi, nel territorio del gastaldato Teramnano confinante con la Sabina, dove alcuni piccoli centri originari longobardi, nei pressi dell’antica via Salaria, erano parimenti in balìa delle incursioni saracene: i carolingi non avevano truppe nel territorio e la popolazione locale era molto ridotta. Nel nuovo luogo, tra gente certamente ospitale e bisognosa essa stessa di protezione, l’abbazia di S. Benedetto in fundis venne fondata di pari passo, in contemporanea con lo sviluppo di quello che poi diventerà il castello di Stroncone, forse proprio su impulso degli stessi monaci, i quali decisero di fondare un nuovo cenobio in un luogo nascosto, non visibile dalle principali vie di comunicazione (la Salaria in primis), non individuabile ai predoni. Una volta sconfitti i Saraceni nel 915, con il consolidamento del regno carolingio e una relativa pace interna, dal X secolo in poi l’abbazia si sviluppò in modo costante, dimora dell’abate e di un capitolo di monaci, tra i sette e dieci di numero, sulle terre (in fundis) già di proprietà della distrutta Farfa. I documenti riportano un numero sempre maggiore di donazioni, lasciti, concessioni di beni da amministrare, chiese e ulteriori monasteri dipendenti, a loro volta destinatari di beni e terreni, ciò fino almeno al XIII secolo. Le caratteristiche uniche del sito non si fermano alla fondazione e al luogo prescelto. La chiesa, di dimensioni contenute -il luogo è impervio e non pianeggiante- a tre navate con doppia abside, peculiarità che richiamano fortemente, non è un caso, la precedente chiesa dell’abbazia di Farfa (distrutta e poi ricostruita con impianto diverso, 58 anni dopo il sacco saraceno). Gli altri monasteri della zona limitrofa, furono quasi tutti inclusi nelle riforme cistercensi o cluniacensi, per rinnovare lo spirito originario.
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Ma non S. Benedetto in fundis, che rimase indipendente da Farfa, luogo distinto ma collegato in fieri, non subisce la volontà pontificia nel XIII secolo di riformare (e porre sotto il proprio controllo, certo) gli altri monasteri: la realtà benedettina qui è consolidata, mantiene le caratteristiche di autonomia, la sua identità. Quell’autonomia e radicamento con il territorio che si legge anche nei nomi degli abati e dei monaci, praticamente quasi tutti provenienti da Stroncone, un legame con la comunità locale che continua per secoli, per indebolirsi solo in età moderna. Le cause furono tante. Il Sacco di Roma del 1527, la minaccia dei Lanzichenecchi di ritorno nelle valli germaniche (i “nuovi” saraceni, ora però tedeschi...), stanchi, decimati dalla peste, che comunque devastarono con enorme violenza Narni, fronteggiarono Stroncone, poi infine l’intervento di Terni che si pose come intermediario: ma tutto ha un prezzo... Ecco la scomparsa improvvisa della comunità benedettina. La quale aveva avuto in anticipo notizia del pericolo imminente di nuove distruzioni. I monaci lasciano quindi il luogo avìto, ormai privo dello spirito originario, di vocazioni, di beni economici sufficienti, soggetto a commenda secolare. Di nuovo, un luogo insicuro, dal futuro incerto. La fuga allora, ancora, dopo cinquecento anni. Non sappiamo dove si recarono. Ormai è il XVI secolo, il mondo e la società si rinnovavano con grande velocità e guardavano ben oltre quelle montagne, tra Miranda e Stroncone, che furono vera culla di rinascita cinque secoli prima, rinascita non solo per una nuova fondazione benedettina, ma soprattutto a vantaggio delle comunità autoctone e longobarde ivi presenti tra IX e X secolo, tra la Sabina e la civitas ternana: nel Ducato di Spoleto, ai margini dei territori bizantini dove insistevano altre culture, altre genti... Corrado Mazzoli
INCONTRI SUL TEMA
Presso: bct - Biblioteca comunale di Terni
Lunedì 7, 14, 21, 28 Gennaio 2019 ore 17.00 Lunedì 7 gennaio 2019, ore 17.00: La presenza benedettina in Valnerina, Valle Reatina e comprensorio ternano-stronconese (per una contestualizzazione dell’abbazia di San Benedetto in fundis). Lunedì 14 gennaio 2019, ore 17.00: La storia del territorio di Stroncone, Terni e Rieti nel IX-X secolo, durante il periodo di fondazione dell’abbazia di San Benedetto in fundis (Il periodo storico nel territorio del Ducato di Spoleto, gastaldato ternano). Lunedì 21 gennaio 2019, ore 17.00: la storia dell’abbazia di San Benedetto in fundis, con particolare riferimento alla documentazione presente presso l’ASNS – Archivio Storico Notarile di Stroncone (recupero dell’identità, valorizzazione del sito e sue peculiarità). Lunedì 28 gennaio 2019, ore 17.00: Elementi di vita quotidiana collegate all’abbazia di San Benedetto in fundis e a Stroncone nel Medioevo. Sintesi incontri e prospettive future la tutela e il recupero del sito benedettino.
Convegno ECM n.6 crediti
LE LESIONI BENIGNE E MALIGNE DEL DISTRETTO ORO-MAXILLO-FACCIALE PROGRAMMA
TERNI
9 Febbraio
dalle ore 8.00 alle ore 14.00 Hotel Garden Centro Congressi Via Bramante, 4 - TERNI
ore 8.00
Registrazione dei partecipanti
ore 8.30
Apertura dei lavori e saluto delle autorità interverranno il Direttore Generale dell’A.O. Santa Maria di Terni, il Presidente dell’Ordine Provinciale dei Medici ed odontoiatri di Terni e il Presidente di ANDI sez. Terni
ore 8.45
“Neoformazioni maligne del distretto cervico-facciale” - Dr. Santino Rizzo
ore 9.30
“Neoformazioni benigne del distretto cervico-facciale” - Dr. Fabrizio Spallaccia
ore 10.15 “Patologie benigne e maligne dei seni paranasali” - Dr. Antonio Alberto Maria Giunta ore 11.00 coffee break ore 11.30 “Le cisti dei mascellari” - Dr. Francesco Paparo ore 12.15 “Patologia orale” - Dr. Francesco Riva ore 13.00 Discussione e conclusioni ore 13.30 Compilazione Questionario ECM PROVIDER
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
CHI VIENE E CHI VA S
econdo quanto ci raccontano alcuni leader politici e secondo quanto pensano molti italiani, uno dei problemi principali del tempo che viviamo sarebbe la sorte dei (si stima) 500.000 immigrati irregolari, presenti nel nostro paese. Una sorte che oscilla fra due ipotesi estreme: accoglierli tutti e soprattutto integrarli stabilmente nella nostra società ed economia, considerandoli una risorsa, per un paese che invecchia inesorabilmente; oppure, semplicemente, rimandarli tutti a “casa loro”, anche se è bruciata da guerre, dittature e disastri climatici, con la promessa di un aiuto, ma solo e sempre per il domani e a casa loro. Entrambe queste ipotesi, temo, sono destinate ad essere smentite dalla forza delle cose e probabilmente la realtà che ci attende e che attende le persone immigrate sarà un misto di faticosa accoglienza ed integrazione e di altrettanto difficile ritorno, libero o forzato, a casa loro, o di fuga verso altri lidi più accoglienti. Intanto, per evidenti ragioni umanitarie e di sicurezza, sarebbe necessario, con gli altri paesi europei, rimettere mano ad una gestione ordinata degli arrivi, sulla base di quote sostenibili per i paesi di accoglienza; quote programmate, dunque, sulle quali approntare azioni integrate di accoglienza ed integrazione: scuola, formazione, casa, lavoro, distribuzione fra le città e nelle città e nei territori. Probabilmente, una politica, europea del genere sarebbe più efficace e soprattutto più umana, rispetto alle odiose misure di blocco di porti e respingimenti dei disperati dei gommoni o di muri e reticolati di filo spinato sui confini. Sul governo dei grandi flussi migratori di questi anni e di quelli avvenire è, certo, in gioco sicurezza ed equilibrio delle nostre comunità, ma anche, il grado della nostra civiltà e della nostra umanità. Se su questo arretriamo le vittime non saranno solo i migranti respinti, profughi compresi, ma saremo noi stessi, la qualità delle nostre relazioni
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interpersonali e sociali e, forse, il carattere liberale e libertario della nostra stessa democrazia. Dunque, pensiamoci bene, facendo leva sulla ragione e sul coraggio per trovare, con equlibrio, soluzioni nuove a problemi inediti; rispetto ai quali, le semplici chiusure che rispondono alle paure ed alle insicurezze di questa difficile modernità e le risposte affidate “alla pancia “ non ci offriranno soluzioni ma problemi ancor più complicati. L’attenzione, a volte ossessiva, che rivolgiamo al tema della immigrazione ci distrae dal considerare adeguatamente un’altro fenomeno migratorio: quello degli italiani che, sempre più numerosi, lasciano il nostro paese per motivi di studio, di ricerca scientifica e di lavoro. Dal 2008, l’anno d’inizio della crisi, sino al 2017, sono usciti dall’Italia circa 300.000 concittadini, in cerca di miglior fortuna all’estero. Fra di loro un numero assai alto ed in crescita, di anno in anno, di giovani laureati, ma anche di studenti; solo nelle Università tedesche frequentano i corsi, attualmente, circa 9.000 studenti italiani. Poiché a questo crescente flusso in uscita non corrisponde un altrettanto imponente flusso in entrata, dall’estero, di giovani studenti nei nostri atenei e centri di ricerca, v’è da interrogarsi, seriamemte, sulle ragioni di tale emorragia di cervelli in fuga dal “bel paese”. Lo dovrebbe fare la politica tutta, e in particolare chi oggi governa; non sembra che ciò accada. È stato stimato che il valore disperso verso l’estero ( pochi infatti rientrano ) negli ultimi anni sia di quasi 15 miliardi di euro; sommando le spese sostenute dalle famiglie e quelle sostenute dallo Stato, per la formazione di intelligenze e talenti che ci abbandonano. Evidentemente, mentre il nostro sistema formativo ed il nostro sistema sociale, soprattuto le famiglie, sono abbastanza forti da garantire un buon percorso ai giovani per acquisire competenze, il nostro sistema produttivo e la nostra pubblica
Giacomo PORRAZZINI
amministrazione, invece, non sono in grado di utilizzare al meglio tali risorse di cultura e sapere, contribuendo, così, alle difficoltà strutturali del nostro paese. Il risultato è un’Italia che non innova a sufficienza, che non allinea la propria produttività a quella dei paesi più avanzati, che stenta a vivere da protagonista la nuova rivoluzione industriale e tecnologica che è in atto nel mondo. Insomma, nel fare un bilancio fra chi viene (gli immigrati) e chi va (i giovani italiani che espatriano), si dovrebbe tenere conto, anche, dell’aspetto qualitativo delle risorse umane che acquisiamo e di quelle che perdiamo, per capire quale tipo di paese potremo avere nei prossimi anni. Il modello di specializzazione produttiva di un paese ed anche la qualità del suo modello sociale, dipendono, infatti, direttamente, dalla qualità delle risorse umane di cui può disporre. Mentre si deve fare ogni sforzo per migliorare ancora i livelli di istruzione e formazione della nostra scuola ed università, occorre, poi, adoperarsi perché il frutto di questo grande lavoro non venga disperso altrove. Nel futuro prossimo si aprirà il grande tema di un nuovo sviluppo; nuovo in quanto sostenibile, ovvero l’unica crescita che il pianeta e la società umana potranno ancora permettersi. Dovremo affrontare problemi di enorme complessità economica, tecnico-scientifica e sociale; ci sarà da far leva su un salto di cultura, di consapevolezza e di responsabilità verso le generazioni avvenire. Dovremo imparare meglio a gestire la complessità dei problemi e delle relative soluzioni, diffidando delle sirene della facile semplificazione. Abbiamo bisogno di energie giovani e motivate, capaci di misurarsi con il futuro; le energie di chi viene per costruirsi una vita migliore, fra noi e con noi, e le energie e le capacità di chi va via e che dobbiamo saper trattenere; con la promessa di una speranza, con la serietà di un impegno, per un paese migliore.
Quel punto di sintesi tra sviluppo economico e tutela ambientale
Adriano MARINENSI
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o sono convinto che tutte le iniziative (serie) che servano ad attrarre interesse verso il tema della salvaguardia ambientale, siano utili e degne di attenzione. Ne cito una, a titolo d’esempio. Dal 2012, in Italia, si svolge la Settimana del Pianeta Terra. Ha lo scopo di “diffondere il rispetto della natura, la cura del territorio, oltre a sottolineare i rischi ai quali siamo esposti, in conseguenza di una scarsa consapevolezza generale della situazione di degrado, che non risparmia alcun settore di vita. C'è pure l'obbligo di appassionare i giovani alle geoscienze per creare nuovi combattenti nella crociata di liberazione dalle negatività introdotte da un progresso mal governato. Un concetto simile a quello sintetizzato nel titolo di questa breve nota (breve nel confronto con l’ampiezza del problema) credo di averlo già espresso a più riprese. Pure sotto forma di interrogativo, forse banale, però non marginale. La domanda dalla quale partire è: Le esigenze dello sviluppo economico e la salvaguardia delle risorse naturali sono due questioni configgenti, peggio ancora, antagoniste? Se la risposta data dai comportamenti umani continuerà ad essere sì, allora la Terra, nel giro di qualche secolo, è destinata allo sconvolgimento. Per aprire invece la strada ad un futuro che dia certezze, soprattutto ai nostri discendenti, dobbiamo rispondere no. Un NO maiuscolo! Accompagnato da azioni coerenti, concrete e adeguate che eliminino o, quanto meno, riducano il conflitto. Le azioni di coordinamento, tra crescita economica e rispetto dell’ambiente, obbligano i principali Paesi industrializzati a saltar fuori dagli egoismi, celati dietro le intenzioni, vincolandosi invece nella realizzazione di progetti immediatamente esecutivi. Perché il tempo degli incontri, dei convegni e dei rinvii è finito. Il tema ambientale prospetta una serie di valori non più negoziabili. L'inquinamento del suolo, dell'acqua, dell'atmosfera è una negatività che mette in serio pericolo la salute degli esseri umani, l'habitat degli animali e addirittura i retaggi monumentali
della storia. Un grave oltraggio ha subìto il mare: le aggressioni dell’ultima guerra, le isole di plastica, i carichi navali dispersi, l’affondamento fraudolento di materiali tossici e nocivi. L’aria che respiriamo ormai ovunque è diventata fonte di malattie a carattere quasi epidemico. Non è un bel vivere, accompagnato dalle solitudini, dalle scarse solidarietà, dalla “pigrizie” del mondo giovanile. Terni sta nell’alta classifica. Le centraline di rilevamento emettono sovente segnali di pericolo, dovuti ai cosiddetti “sforamenti”, senza provocare adeguati atti amministrativi di contrasto. Manca un disegno organico in grado di andare oltre le proibizioni palliative del traffico limitato. È la testimonianza di carenti sensibilità culturali che hanno finito per omologare una condizione al limite del consentito. La natura si rispetta anche con una politica che faccia da buon esempio e azzeri i rischi di cadere nel vuoto del disimpegno. Con pesanti effetti collaterali sul piano dell’efficienza democratica. Si rispetta gestendo responsabilmente l’intero ciclo industriale ed anche eseguendo con scrupolo, da parte del cittadino, la raccolta differenziata dei rifiuti domestici. È innegabile che la lotta alle povertà, la diffusione dello star bene siano traguardi legati allo sviluppo. Ed elementi di libertà sociale, di espansione democratica. Però, non ad ogni costo. Quando si ottengono in maniera ostile all'integrità ambientale, la qualità dell'esistenza rischia un progressivo scadimento. Con l'uomo, in tal caso, artefice delle sue sfortune. Anni addietro, gli scienziati ipotizzarono un paradosso. Dissero: Se l’uomo, inteso come insieme di esseri viventi, sparisse all’improvviso, la Terra tornerebbe a rifiorire, bonificando se stessa. Se liberato all’istante dai miliardi di individui che lo popolano, il nostro Pianeta tornerebbe a risplendere. Per esempio, il blackout elettrico totale farebbe cessare ogni disturbo acustico e luminoso. Basterebbero pochi mesi per abbattere gli agenti nocivi presenti nell’aria. Le specie animali, oggi in via di estinzione,
tornerebbero a moltiplicarsi. Ancora la scienza: tempo 50 anni, le acque dei fiumi e dei laghi riacquisterebbero la loro originaria potabilità. In 100 anni, i prati e i boschi eccoli riappropriarsi della primordiale dimensione. E, nell’arco di alcuni secoli, del costruito dai palazzinari, rimarrebbero soltanto macerie. L’unica mascalzonata, durevole per qualche millennio, sarebbe il nucleare e le scorie da esso prodotte e nascoste furtivamente, come fa il gatto con le sue porcherie. Tutti questi ed altri effetti positivi per il creato, sarebbero (per assurdo, ovviamente) conseguenza della sparizione dell’uomo. Insomma, il sole tornerebbe a risplendere, dal cielo tutto trasparente, su un “mappamondo” di bell’aspetto. E, il Creatore potrebbe –questo il principale risultato– ridare vita ad un altro genere umano più rispettoso e intelligente. C'è un richiamo, formulato dalla ragione, ormai ineludibile. Non potendosi realizzare questo scenario, diventa d'obbligo ridurre l'impatto tra le attività umane e la natura, compreso l'uso esagerato, talvolta dissipatore, delle materie prime, onde evitare irreversibili danni alle future generazioni. Va mobilitata l’opinione pubblica e parallelamente ridotto il peso ingombrante dei poteri ancorati allo pseudo valore del profitto; che ha fatto confondere la crescita materiale con il progresso, traguardo sostanzialmente diverso e di maggiore contenuto. Tornando, per concludere, al tema posto dall'interrogativo iniziale, il richiamo riguarda ogni uomo di buona volontà: tutti debbono prendere coscienza che, senza quel punto di sintesi permanente sopra indicato, non si riuscirà a ricomporre gli equilibri "squinternati" dalla dissennata rincorsa alla conquista di sempre maggiore benessere che, per di più, ha premiato alcuni a danno di troppi altri rimasti arretrati lungo il percorso. In questa organizzazione del mondo, l'umanità resterà prigioniera di modelli sociali devianti e lontani dalla migliore forma di equità e di giustizia.
LA NOTTE dell’EUROPA Pierluigi SERI
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trasburgo 11 dicembre 2018 ore 19,45 la tranquilla città, sede del parlamento europeo, viene scossa dagli spari esplosi da Cherif Chekatt ventinovenne cittadino francese di origini algerine contro inermi passanti che affollavano il noto mercatino di natale al termine di una normale giornata di lavoro. Immediatamente la Francia ripiomba nell’incubo del terrorismo di matrice islamica rivivendo l’incubo di Charlie Hebdoo e del Bataclan a Parigi (2015) e di Nizza (2016) che avevano sconvolto il paese. Ancora una volta strage di persone inermi e innocenti, una violenza che colpisce tutti indiscriminatamente senza distinzione di età, sesso, nazionalità, religione, razza. Anche stavolta viene versato sangue italiano: il giovane giornalista Antonio Megalizzi viene raggiunto da un proiettile alla testa, mentre passeggia nel mercatino di natale della città; morirà qualche giorno dopo. Sale così a 44 il numero delle vittime italiane all’estero. Nel cuore del Vecchio Continente, poco distante dal Parlamento europeo, tra eurodeputati terrorizzati, bloccati nei ristoranti, negli alberghi, nei corridoi del Parlamento, inizia una notte dell’Europa difficile da far passare nel dolore, nell’impotenza, nella speranza che si alterna alla disperazione, con il pensiero fisso all’assassino ancora in fuga. Una lunga notte che per analogia mi richiama alla memoria una serie televisiva da me seguita con interesse: “La notte della Repubblica” a cura del bravo giornalista Sergio Zavoli comparsa sui teleschermi negli anni 198990 che trattava, manco a farlo apposta, degli anni bui del terrorismo rosso delle B.R., nero di Ordine nuovo, degli opposti estremismi, della strategia della tensione e dei complotti nazionali e internazionali seguiti da una lunga scia di morti, di depistaggi, di menzogne, di mezze verità. Certamente si tratta di un contesto storico, politico e sociale completamente diverso da quello
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attuale, ma l’analogia è rappresentata dalla comparsa del terrorismo che al di là delle diverse motivazioni ideologiche, spara nel mucchio mirando a creare caos, insicurezza, disorientamento. Per tornare all’attentato di Strasburgo esso cade in un momento molto critico per l’Europa che, nonostante abbia assicurato fino ad oggi pace e collaborazione tra i suoi stati, viene messa in crisi dall’insorgere dei movimenti sovranisti, versione terzo millennio dei nazionalismi dello scorso secolo. Infatti negli stessi giorni le principali leadership del Vecchio continente vengono fragorosamente giù tutte insieme. La premier britannica Theresa May, paladina della Brexit, viso arcigno stile M. Tatcher la lady di ferro, è stata accolta alla Camera dei Comuni con ululati, sberleffi, risate. Al culmine della crisi provocata dal voto sulla Brexit del 23.06.2016 il modello Westmister, esempio di democrazia governante in grado di assicurare stabilità e decisioni, affonda tra ritirate, rinvii, voti di fiducia e di sfiducia, dimissioni minacciate, complotti, tradimenti. Al punto che la leader è costretta ad un viaggio fuori programma a Brouxelles per trovare sponda nei membri della UE da cui si vuole separare. Uno scenario che all’osservatore italiano appare familiare, ma in un paese anglosassone abituato ad immaginarsi in modo diverso si trasforma nell’ora più buia nella quale tutto si disgrega dai vecchi partiti alle nazioni che compongono il Regno Unito. Al di là della Manica, un altro astro in declino, il presidente francese Emmanuel Macron, detto Jupiter, è apparso in tv in prima serata per parlare alla nazione dopo un mese di scontri di piazza che hanno visto protagonisti i Gilets jaunes. Immagine di una leadeship fragile, impaurita, una clamorosa retromarcia con l’offerta di un pacchetto di misure da dieci miliardi di euro in cambio della cessazione delle ostilità. Non solo Macron è uscito sconfitto dall’autunno caldo parigino, ma
tutto il movimento europeo che aveva aderito al progetto di riforma dell’Unione cavalcato dall’inquilino dell’Eliseo. Una grande incertezza scuote le leadership europee, compresa la cancelliera Angela Merkel, la solida tetragona che ha annunciato ufficialmente il 29 ottobre la propria uscita di scena nel 2021 dopo che la CDU, suo partito, ha subìto numerose batoste nelle elezioni di vari Lander tedeschi, nonostante ciò è riuscita a far designare per la successione la sua candidata Annegrett Kramp-Karrenbauer. Ma gli avversari interni ed esterni come AfD non aspetteranno il 2021 e daranno sicuramente battaglia. Anche in campo economico la locomotiva tedesca sembra rallentare; in ogni caso un’Europa a trazione franco-tedesca non è più pensabile come fino ad ora ostacolata dai sovranismi che spuntano dovunque. E l’Italia? È l’unico paese che può vantare di avere la fiducia del Parlamento e degli elettori. L’ultimo rapporto Censis però descrive una società in cui avanza il cinismo di massa, la ricerca di un capro espiatorio, il rancore come cattiveria nei confronti dell’altro, sentimenti che PD e altri partiti all’opposizione non sono in grado di intercettare impelagati nel giro vizioso delle polemiche, liti, scissioni, discussioni interminabili sul Congresso, condividendo di fatto la rotta dei governanti europei. Una lunga notte cala sull’Europa sotto lo sguardo apparentemente disinteressato del presidente D. Trump e dello “zar” Putin pronti a riprendersi il primato mondiale non più come USA vs URSS, come comunismo vs anticomunismo, ma unicamente come assolute potenze egemoni. Intanto il 23-26 maggio 2019, data delle elezioni europee, si avvicina. Quale sarà il risultato non è dato sapere, ma la cosa certa è che l’Europa che ne uscirà sarà molto lontana da quello che A. Spinelli e gli altri padri fondatori auspicavano. Buon 2019 a tutti i lettori!
TERNI CITTÀ PROGETTATA Carlo SANTULLI
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orse diamo per scontato che tutte le città siano davvero progettate, o ancora meglio che siano regolate le loro relazioni col territorio circostante. Da quando è nata la città come la conosciamo, cioè intorno alla seconda metà dell’800, aprendo le sue porte, ed in molti casi demolendo le sue mura, verso il contado, od in ogni caso espandendosi fuori di esse, è sorta anche la necessità di regolare questa crescita. Prima di quel momento, la città era significativamente staccata dal territorio circostante ed era conclusa in sé. Con la conseguenza che il territorio vicino alla città era dedicato ad attività agricole e di allevamento, e non molto popolato, ed in certi casi, come nel caso di Roma, anche desolato e pericoloso. Per molto tempo, tuttavia, le sole città che avessero realmente un piano regolatore, che comunque non arrivava molto oltre il cerchio delle mura o dei bastioni, erano quelle davvero grandi, le maggiori città italiane, e questo si limitava a stabilire le zone disponibili per le costruzioni, e quelle da salvaguardare, a volte dando generiche destinazioni d’uso. Ai primi del ‘900, per esempio dal piano di Sanjust di Teulada per Roma (1909), venne in auge la distinzione tra tipologie edilizie, nel caso specifico tra palazzi, villini e giardini, per orientare lo sviluppo della città. In realtà, col tempo, la tipologia che prevalse fu qualcosa di intermedio tra il palazzo ed il villino, la palazzina. Ci sono zone di Roma che sono in effetti un tappeto di palazzine. A Terni la prevalenza della palazzina è limitata ad alcune zone, tipo quella di via Battisti, mentre d’altro canto da città industriale, più vicina a modelli esteri che alla vicina Roma, è stato costruito un buon numero di grattacieli, che rende la vista dall’alto (o, come si dice in inglese, lo “skyline”) della nostra città inconfondibile. Grattacieli tra i quali si affaccia con timida risolutezza la silhouette del campanile del duomo, che, in tempi nei quali queste decisioni erano più intuite che progettate, è collocato in modo da essere visibile da molti luoghi della città, per esempio dalle sponde del Nera dalle parti di ponte Allende, recentemente sistemate in modo da facilitarne la percorribilità a piedi o in bicicletta. D’altronde, i primi palazzi molto alti, legati alla disponibilità del calcestruzzo
armato, cosa che nella città dell’acciaio apparirebbe scontata, sono legati alla fabbrica, tant’è vero che nacquero su viale Brin, i cosiddetti Palazzo Rosa e Grattacielo. L’idea di progettare lo sviluppo, cercando di determinare la futura evoluzione della città, era senz’altro ambiziosa, ed ancora oggi, è una di quelle che creano un brivido di soddisfazione, o di frustrazione, a seconda. A Terni bisogna notare come l’ossatura del piano di Ridolfi e Frankl degli anni ’30, concepito in un’epoca in cui in città delle dimensioni di Terni si andava avanti con semplici “piani di fabbricazione”, che indicavano le aree da costruire e quelle da lasciar libere per altri usi e poco più, sia stata in larga parte rispettata, per esempio lo stadio è stato poi realizzato a fine anni ’60 dove previsto ed è andato a sostituire “La pista” di viale Brin. Non tutto il piano è stato applicato, per esempio si prevedeva una passeggiata panoramica sopra colle dell’Oro (oggi c’è solo una pista ciclabile), una specie di Pincio da cui si poteva guardare la città dall’alto. Non dimentichiamo che certe soluzioni, per esempio certi villini con l’abbaino di viale Borsi o lo stesso affaccio o balconata della passeggiata erano state suggerite dal fatto di poter vedere la conca in lontananza, cosa poi in realtà vanificata, anche se soltanto parzialmente, dalla presenza di nuove costruzioni. Non sono mancati neanche a Terni gli sventramenti, come quello che ha staccato la zona centrata su via Roma con le estreme propaggini del centro storico centrate su via delle Conce, formando Corso del Popolo (che doveva chiamarsi Corso del Littorio), che ha trovato però il suo senso nella bellissima Lancia di Luce al suo termine, prima di imboccare il nuovo ponte sul Nera, e l’altro centrato su via Primo Maggio. A volte, invece di sventramenti, ci sono state delle “aperture”, molto più piene di senso, come quella che consente di vedere San Francesco da Corso Tacito, sostanziata in
largo Villa Glori, dove, speriamo solo per ora, è rimasto un solo pino, ma che rimane un luogo di notevole fascino. Una delle “piaghe” del dopoguerra, soltanto parzialmente giustificata dai bombardamenti, è stata la “sostituzione edilizia”, cioè la ricostruzione con cubatura aumentata di edifici pre-esistenti. Alcuni esempi si sono visti anche di recente qui da noi a Terni, come la demolizione e ricostruzione sotto altra forma del palazzo delle ex-Orsoline con geometrie e colori più “mossi” e vari, cosa che devo dire personalmente non mi dispiace, sarà per la mia avversione per lo scatolare. Di recente tuttavia si è vista la ricostruzione in forme antiche di palazzine degli anni ’20 nelle zone vicine a piazza Dalmazia, prima dell’avvento dello stile “scatolare”, di cui uno dei migliori esempi a Terni è l’ex-albergo Savoia all’angolo di piazza Tacito. Quindi la sostituzione edilizia non è da considerarsi obbligatoria, si può ricostruire in certi casi anche in forme rispettose della costruzione originale, stucchi compresi. Lo si è visto anche nel caso per esempio dell’ex-segheria Bizzoni. Concludo con l'edificio ridolfiano della scuola Leonardo Da Vinci, le cui maioliche dialogano con la vicina chiesa di San Francesco. Il tocco architettonico si vede, e personalmente direi anche la qualità. Che dire? Non tutto è roseo, e per esempio la questione di collegare Borgo Rivo alla città in modo anche ciclo-pedonale e non soltanto con un’anacronistica pseudoautostrada, rimane. E questo rende per esempio un’operazione come quella del Tulipano molto antiquata di per sé, come fosse un motel, ma di dimensioni imponenti, raggiungibile soltanto in auto e collocato praticamente in mezzo alla rotonda. Ma è importante che Terni mantenga la sua caratteristica di città progettata, sulla quale si è accentrato un secolo di dibattiti e di confronti, anche aspro.
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LE SFIDE DELL’OGGI I GIOVANI E L'ARTE CONTEMPORANEA
Al giorno d’oggi musei, palazzi, gallerie e persino cantieri abbandonati vengono allestiti quotidianamente per mostre di arte moderna e contemporanea che giocano un ruolo importante nel nostro immaginario collettivo. Nonostante queste mostre siano molto frequentate dal pubblico odierno, non destano grande stupore nei giovani. Molti ragazzi postano sui social video e fotografie di artisti contemporanei dopo aver visitato le loro mostre, ma non ne comprendono il significato e spesso non ricordano neanche il nome dell’artista. I giovani di oggi non sono in grado di formulare un giudizio estetico sull’arte poiché non riescono a comprenderla in quanto “troppo libera e vaga”. Siamo sicuri che sia davvero colpa dell’arte contemporanea se non vienecompresa? “Il mondo oggettivo è la poesia primitiva e inconscia dello spirito; l’organo universale della filosofia, la chiave di volta del suo edificio, è la filosofia dell’arte”. 1. Dal momento che la conoscenza umana è limitata; la creazione artistica è il metodo più immediato per tendereall’assoluto. La creazione artistica trascende la logica ma, al contempo, interpreta l’assoluto che si manifesta: mette in comunicazione il finito -l’uomo- con qualcosa di infinito. Tuttavia con l’avvento della cultura classica e del progresso scientifico, l’uomo ha iniziato a concettualizzare ogni cosa. Perciò se prima le opere d’arte si auto spiegavano, ora hanno perso la loro immediatezza e l’arte, dunque, è diventata un “sapere” sull’arte. Per questo, infatti, nelle scuole si studia “storia” dell’arte e non l’arte in sé: lo studente, di fronte a un’opera, non è solito meravigliarsi o raggiungere la quarta dimensione, quella del sublime. 2. Kant sosteneva che la natura risvegliasse nell’uomo il sentimento del sublime, questo “dispiacere” provocato dallo scarto tra intelletto e immaginazione. Lo Pseudo Longino, invece, riteneva che fosse proprio l’opera d’arte in sé a destare un tale sentimento nello spettatore. Oggi l’arte provoca ancora tutto questo? Se sì, il giovane pubblico è in grado di percepirlo? Non a caso molti affermano che i giovani hanno perso la capacità di stupirsi. Gli artisti classici si proponevano di rispettare i canoni e le proporzioni matematiche per restituire quel senso di ordine, armonia e perfezione che, rappresentato in un corpo monumentale, doveva riflettersi anche
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Stavolta gli studenti si sono confrontati con due questioni “spinose”: la prima riguarda il rapporto dei giovani con l’arte contemporanea, mentre la seconda concerne la diffusione del modello competitivo che alimenta il gioco d’azzardo. Nel primo caso, siamo partiti dalla lettura di un testo di Annamaria Cottone la quale mette in luce come oggi l’arte contemporanea, così “libera e vaga”, rischi di risultare estranea e incomprensibile ai giovani (rischio peraltro da cui neppure gli adulti possono ritenersi indenni). Nel secondo caso (i cui articoli saranno presenti ne La Pagina di febbraio 2019), abbiamo letto un brano di Donatella Di Cesare che evidenzia come, nella società di oggi, si sia imposto un agonismo pernicioso che spinge a giocare d’azzardo e a rischiare tutto pur di vincere, attraverso la “scorciatoia” terribile che produce, purtroppo, rovina e disperazione. Il confronto con temi scottanti è sempre un’ottima sfida per capire a fondo chi siamo diventati e cosa stiamo facendo. Prof. Fausto Dominici
all’interno dell’uomo. L’arte romantica invece rompeva ogni frontiera che separava uomo, Dio e natura in virtù della divinizzazione dell’uomo che tendeva, in maniera immediata, all’assoluto. Con il verismo, invece, la natura cessava di essere soggetto per diventare motivo: per i veristi tutto era rappresentabile purché ci fosse un motivo per farlo o una denuncia sociale. Gli impressionisti si identificavano come veri e propri cronisti deputati a rappresentare la realtà in maniera nuda e cruda, facendo leva su nuove tecniche pittoriche e studi di ottica. Le correnti artistiche erano differenti, ma ognuna di esse aveva un obiettivo. I giovani dunque faticano a comprendere l’arte contemporanea poiché sembra non seguire uno scopo o voler comunicare un messaggio; pertanto viene accusata di essere fine a se stessa e prodotta solo per logiche di mercato. Il giovane pubblico attacca con vis polemica l’arte contemporanea anche per il fatto che spesso non presenta un’interpretazione allegorica 3. cosa che, invece, era presente nell’arte classica. In virtù della mia esperienza personale posso affermare che ultimamente l’arte sta occupando una posizione marginale rispetto ad altre forme di conoscenza: in ambito scolastico si tende maggiormente a focalizzare l’insegnamento sulle materie di indirizzo e soprattutto su quelle di argomento scientifico e tecnologico. Ogni giorno mi rendo conto che l’arte, pian piano, sta perdendo la sua “artisticità”: non è più qualcosa di esclusivo. Durante le mostre osservo folle di giovani aggirarsi per le gallerie dei musei in cerca di un quadro singolare che faccia da sfondo alla nuova foto da postare su Instagram, accompagnata da un’insulsa didascalia pseudo-poetica. E non mi riferisco specificatamente a un’opera d’arte contemporanea: alludo a qualsiasi corrente o espressione artistica che al giorno d’oggi viene usata banalmente come sfondo fotografico. Il problema dunque, cari lettori, non sta nell’arte contemporanea, ma nei giovani che
hanno perso la sensibilità e lo spirito critico per commentare e comprendere un’opera d’arte. La scuola non ha fornito loro i mezzi necessari per analizzare correttamente un’opera poiché ormai tutto è artefatto e pronto per essere imparato a memoria e ripetuto durante l’interrogazione. È il sistema che non funziona, non l’arte che è poco comprensibile. Sono pochi ormai coloro che si emozionano di fronte a un’opera d’arte. Pertanto, se vogliamo che i giovani acquisiscano le competenze necessarie per formulare un giudizio intelligente sull’arte e tornino a emozionarsi di fronte a una “Bufera di neve” di Turner o a un “Discobolo” di Mirone, è necessario sensibilizzarli e renderli consapevoli che, ancora oggi, è così importante saper comprendere l’arte. Note 1) “Idealismo estetico”, Schelling. 2) Secondo il pensiero filosofico kantiano il sublime è un sentimento che dipende dal giudizio di gusto e nasce dal disaccordo iniziale tra immaginazione e intelletto. 3) Ovvero non soggetta a interpretazioni. Flavia De Angelis.
L’ARTE DI CAPIRE L’ARTE
Nelle scuole superiori italiane, nel 2018, la parola “arte” ha assunto più di un significato. Generalmente, a meno che non si parli di un liceo artistico, ci si riferisce alla “storia dell’arte”: secoli e secoli di opere da ingurgitare una dopo l’altra. E insieme alle nozioni base di luce e colore, a poco a poco lo studente si abitua alle forme perfette, ai canoni di bellezza e alle formule matematiche che si celano dietro di essi. Nei casi più fortunati, lo studente impara che, secondo la storia dell’arte, la bellezza non è soggettiva come tutti gli hanno cercato di far credere nel corso della vita, e sviluppa un gusto estetico che lo aiuta a distinguere la vera opera d’arte da… tutto il resto. Il problema sorge con l’arrivo della contemporaneità, quando tutti i canoni, le forme e le certezze dell’artista si autodistruggono. Improvvisamente, lo studente, intento a visitare una mostra in gita scolastica, invece dei soliti Leonardo e Michelangelo si ritrova davanti dei pezzi di pneumatici dilaniati e gettati a terra, e un proiettore di fronte che mostra interviste a persone sconosciute in una lingua altrettanto sconosciuta. Ed ecco che, in un secondo, lo studente mette a confronto tutto ciò con quello che gli era stato insegnato in precedenza, e con il 99% di probabilità arriva alla più banale, scontata, ma anche più naturale delle conclusioni: “questo sarei stato capace di farlo anch’io”. Una frase che racchiude tutta l’ipocrisia e il pressappochismo di una generazione che vede l’influencer su Instagram come la migliore prospettiva di impiego in assoluto. Dunque il problema non sta nell’opera in sé, ma nello studente che non è in grado né è interessato a capire il significato dell’arte. Se anche quest’ultima fosse un mero oggetto senza alcun significato, lo studente medio di oggi non lo saprebbe, poiché non sarebbe spinto ad informarsi, né si sentirebbe in dovere di farlo. Da qui si arriva alla radice del problema: non è l’arte a «non stupire» o ad essere «troppo libera e vaga»; essa si è solamente adattata ad un periodo storico totalmente differente dai precedenti, che ha sconvolto ogni nozione preesistente in merito all’estetica, e nel quale ogni cosa è progredita e sta progredendo dieci volte più rapidamente rispetto ai secoli scorsi. È piuttosto l’uomo, o meglio il giovane, ad essere troppo superficiale, al punto da non porsi nemmeno più la domanda se ci si debba o meno spingere oltre l’apparenza. L’unico limite dell’arte contemporanea è quello di essere completamente antitetica rispetto al suo periodo di fioritura: richiede
un’attenzione maggiore rispetto alle restanti correnti e un’indagine che va oltre l’insegnamento scolastico; per capire l’arte contemporanea ci vuole, prima di tutto, interesse. E purtroppo la maggior parte dei giovani non ne ha, poiché è bombardata da talmente tanti stimoli e tesi contrastanti che anche lo stesso maturare un’opinione è divenuta un’impresa ardua. È naturale, perciò, in assenza di pareri, rimanere impassibile di fronte a qualcosa che non si comprende; ma di sicuro non ha senso dire “avrei saputo farlo pure io”, senza la base principale per farlo: l’opinione. Massimo Bartolucci III A
I GIOVANI E L’ARTE
La storia, in tutto il suo svolgersi, ha sempre visto l’uomo tessere un rapporto con l’arte così stretto e profondo da catturare l’anima di chi osserva un’opera anche dopo secoli. L’arte nasce laddove c’è l’uomo perché l’arte è vita e, per sua natura e condizione, l’essere umano è dotato di un’ancestrale ragione del cuore, di un frammento di cielo e di infinito che conserva nel profondo di sé, attivo o sopito che sia. Molti giovani oggi ritengono l’arte contemporanea troppo distante dal loro sentire, incapace di muovere la loro anima, priva dell’”interessante per mezzo” manzoniano. Certo è che l’arte oggi sia entrata nella logica del mercato, asservita al dio denaro, ma solo per il mero sostentamento di cui hanno bisogno gli artisti. Anche l’arte, dunque, che se vera sarebbe di incalcolabile valore, viene ridotta ad una banale cifra. Nonostante la mia sicurezza nell’affermare che anche la nuova arte abbia un significato e una sua natura artistica intrinseca, riconosco in me il gran difetto di non saperla apprezzare come dovrei, forse per una mia incapacità a vedere oltre una tela monocromatica o un gabinetto messo all’incontrario. L’arte è quella che a distanza di secoli o millenni riesce a comunicare il desiderio d’infinito del pittore o del poeta, trovando nell’anima dell’osservatore un vuoto da riempire o un angolo buio in cui portare la luce. Come le grotte di Lascaux e la disarmante semplicità dei dipinti al loro interno oppure la notte stellata di Van Gogh e il suo vorticismo che si perde nel cielo notturno. La mancata capacità dell’arte di oggi di farsi largo nell’anima è forse presente per la maggior parte in pittura o in scultura, al contrario della cultura letteraria conservatasi più pura nel tempo. Non per questo le lettere devono, e possono, essere considerate di minore dignità, anzi. Le arti visiva e letteraria hanno uguale importanza da sempre, poiché mirano entrambe al raggiungimento di quel desiderio di infinito che l’uomo conserva nel profondo di sé dalla notte dei tempi. E’ sicuramente un mio limite che non riesco a superare quello di non riuscire a cogliere il bagliore delle stelle dietro una tela sfregiata da una lama. Di fronte ai molti che affermano la superiorità di questa arte su quella passata non posso fare altro se non cercare di capire le loro posizioni. “L’arte contemporanea è grande perché rinnega ciò che è stato, distrugge la classicità e getta un ponte verso nuove frontiere”, dicono dimenticando il vero scopo dell’arte, ovvero quello di essere capita da tutti, di permettere a tutti coloro che lo desiderino di saltare un po’ più in alto e ritrovarsi vicini al cielo. Dunque, che senso ha un’arte dimentica dell’immediatezza e della sincerità, del complesso di Stendhal e della capacità di mozzare il fiato al primo sguardo? Che si faccia un passo indietro per farne poi due avanti; che si guardi l’orizzonte per vedere le stelle maestre allo zenit. L’arte contemporanea va studiata e va capita, ma non presa come unico riferimento né come esempio di arte universale. Guardiamo lontano come il viandante sul mare di nebbia che, cercando l’infinito, dove la vista si perde, lo trova dentro di sé, vicino più che mai. Luca Cappelletti III A Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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I frati e S. Emidio, protettore dai terremoti Vittorio GRECHI
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È passato il terremoto”, ripetevano le persone negli anni ’50-‘60 quando si incontravano per strada o per i campi, come se fosse passata una processione, una carovana di zingari (allora erano chiamati da tutti così) con bighe e cavalli o una corsa di biciclette. Ma nel momento della prima scossa, se accadeva di giorno, era un fuggi fuggi generale: tutti a scendere per strada e a correre per allontanarsi dai muri e a rifugiarsi negli spazi aperti. In queste fughe i contadini erano avvantaggiati rispetto agli abitanti dei paesi e delle città, perché di giorno e col bel tempo erano tutti per i campi a lavorare. Solo le donne che erano in casa a cucinare e qualche vecchio correvano più rischi, anche se le porte delle case erano sempre aperte e bastavano pochi passi per raggiungere la grande aia con i pagliai per stare al sicuro. Accadeva il contrario se invece passava una carovana di zingari. Il primo che li avvistava dava l’allarme a tutto il vicinato. Le donne iniziavano a gridare richiamando i bambini che giocavano a nascondino tra le case e le stalle. Era voce comune che le zingare, vestite di lunghe gonne e con vistosi orecchini, rapivano i bambini e rubavano nelle case tutto quello che capitava loro a tiro, dopo aver ipnotizzato le proprietarie con la scusa di leggere loro la mano. Gli uomini nomadi si limitavano, si fa per dire e per sentito dire, ad acchiappare polli, anatre e agnelli e a rubare qualche bracciata di fieno per i cavalli. Mentre le donne del posto radunavano la prole chiudendosi in casa, gli uomini accorrevano dai campi vicini armati di forche e i cacciatori spiccavano dal gancio in cucina fucile e cartuccera, che erano sempre a portata di mano, sia a caccia aperta che a caccia chiusa. Vista la reazione avversa,
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Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
la carovana riprendeva lentamente il suo nomadismo. Quando invece il terremoto scuoteva le notti d’inverno, i problemi e le paure si moltiplicavano e, quando le scosse e i tremolii si ripetevano, spesso c’era chi si organizzava, appena finito di cenare, spostando i materassi nell’ampia cucina, a piano terra. Si dormiva vestiti e col camino acceso, per cui non tutto il male veniva per nuocere ma la tensione di dover scappare all’improvviso non consentiva un riposo rigeneratore. Però in cucina c’erano anche immagini più rassicuranti. Quando ci si sdraiava sul giaciglio di fortuna, non c’erano sopra il capo le grandi, pesanti e incombenti travi che sorreggevano il tetto della camera da letto, bensì le più leggere pertiche di legno, appese col fil di ferro alle travette del solaio, che sostenevano le “onde” di salsicce e mazzafegati dell’ultimo maiale macellato, messe ad asciugare. E qualcuno, giusto per cercare di sciogliere un po’ la paura, sosteneva che, se fossero rimasti intrappolati in casa, c’era da mangiare per diversi giorni, contando anche la grande madia quasi piena di “coppie” di pane. I più vecchi azzardavano spiegazioni
del fenomeno tellurico attribuendolo alla forte siccità, dato che era passato parecchio tempo senza la giusta pioggia. D’altra parte, i proverbi sembravano confermarlo: “Dio ci salvi dalla polvere di gennaio e dal fango di agosto”, recitavano in coro. Ma qualcuno controbatteva dicendo che il proverbio era relativo alle produzioni agricole e non ai terremoti. Le donne più timorose di Dio erano propense a credere ai ministri del culto che attribuivano il fenomeno alla punizione divina per la malvagità umana. C’era anche chi giurava di aver visto, durante una delle scosse più forti, le travi della casa che sorreggevano il tetto uscire dai fori sui muri dove erano infisse, per poi rientrarvi facendo cadere a terra sassi e calcinacci. Allora tutti ne deducevano che, se le travi riuscivano a ritrovare il proprio foro nel muro, la casa non crollava. Se invece anche una sola trave non ci riusciva, allora crollava tutto seppellendo i suoi abitanti. Perdurando lo sciame sismico con alti e bassi nel tempo era molto probabile, anzi quasi certa, la visita, casolare per casolare, del frate cercatore, munito di una capace bisaccia di raccolta e di un mazzo di santini raffiguranti S. Emidio, patrono di Ascoli Piceno, nonché protettore contro i terremoti. Il bonario frate si informava su come si era manifestato l’evento sismico e sui danni che aveva prodotto, dava una carezza ai bambini, si informava sullo stato di salute di ciascuno e per tutti aveva una buona parola di speranza. Infine proponeva di pregare S. Emidio consegnando un santino dove il Protettore era raffigurato nell’atto di reggere un muro con la mano per impedire al terremoto di farlo cadere in mille pezzi. Il santino protettore veniva infisso con un chiodo alla parete della cucina e allo zelante frate veniva elargita un’elemosina a base di salsicce, uova, un bicchiere di vino e una bottiglia d’olio da portare in convento. Quando il frate usciva per andare nella casa vicina, tutti si sentivano sollevati al pensiero di avere qualcuno in cielo che prometteva, in caso di bisogno, di sostenere le mura di quella casa in cambio solo di ferventi preghiere.
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