elevatori su misura Numero 166 Giugno/Luglio 2019
Fisioterapia e Riabilitazione
Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011
Paolo De Biagi nasce a Pesaro. Consegue la Laurea in Giurisprudenza con votazione 110/110 presso l’Università degli Studi di Urbino. Svolge attività di docente nella scuola primaria dal 1976 al 1981 e, negli anni accademici presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, corso di Scienze Ambientali e Protezione Civile. Numerosissimi sono gli incarichi a lui conferiti, tra i quali quelli di Commissario Straordinario presso vari Comuni nonché della Fondazione Gioacchino Rossini di Pesaro e presso la Fondazione Wanda Di Ferdinando. Inizia il suo servizio in Prefettura a Pesaro, nel 1983.
IL PREFETTO di TERNI Intervista a PAOLO DE BIAGI
Prefetto, cioè praefectus, messo a capo e Sindaco, sun dike, che assicura giustizia. Quali le differenze sostanziali tra i due incarichi, oltre all’esser l’uno nominato, l’altro eletto? Sì, è così. Il prefetto è nominato, calato dall’alto; arriva su un territorio che non conosce e non è investito dalla volontà popolare. Sotto questo punto di vista il sindaco ha prerogative indubbiamente diverse, perché è l’espressione della volontà del popolo, della comunità che lo ha scelto per governare la città. Questa differenza è fondamentale, così come fondamentale è la presenza sul territorio del prefetto quale rappresentante del governo che, oltre ad essere il riferimento della amministrazione statale in provincia, ha la cura e la responsabilità di funzioni specifiche: la sicurezza, la protezione civile, l’immigrazione, la gestione e il controllo dei servizi elettorali, demografici, di stato civile ecc. ed è anche un punto di saldatura tra tutti gli Enti territoriali e lo Stato centrale. Non c’è contrapposizione, anzi deve esserci un’azione di intensa collaborazione tra i due livelli di governo. Altra caratteristica è la posizione di terzietà del prefetto che rappresenta il governo a prescindere dall’orientamento politico che questo esprime e tale posizione lo aiuta sia a mantenere il giusto equilibrio rispetto ai governi locali che possono essere di orientamento politico diverso da quello nazionale, sia a consentire alla comunità locale di avere un punto di riferimento che è al di sopra delle dinamiche politiche locali. Il prefetto può, quindi, svolgere effettivamente un ruolo di garanzia e di tutela delle esigenze e dei diritti dei cittadini senza coinvolgimenti di natura politica. Ho sempre tenuto molto a questa posizione di terzietà che consente di affrontare i vari problemi esclusivamente sulla base dei princìpi di buona amministrazione e dell’interesse della comunità servita. Le chiedo, anche se Lei è Prefetto di Terni da poco tempo, una analisi generale della città. Non ho la pretesa di conoscere approfonditamente Terni, città nella quale lavoro da poco più di un anno, per cui magari rischio di dire cose che poi potrebbero risultare, da un lato banali e, dall’altro, inesatte. Con questa premessa le espongo, comunque, le mie impressioni. Terni è una città accogliente, una comunità nella quale io mi sono trovato bene, e non lo dico per captatio benevolentiae, lo affermo perché ho veramente trovato un calore umano che raramente ho riscontrato nelle altre località in cui ho lavorato. Mi sembra che Terni in questo momento sia alla ricerca di una visione futura definita, mi sembra cioè una città in attesa di acquisire un orientamento deciso per il futuro. Terni possiede una nobiltà industriale e operaia e una 2
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capacità innovativa che l’hanno supportata nell’ultimo secolo e mezzo dall’inizio della sua esplosione produttiva e conseguentemente anche demografica. Solo che oggi queste caratteristiche sembrano non essere più sufficienti e la città ha la necessità di qualcosa verso cui proiettare il proprio futuro. Può essere la stessa industria? Non lo so. L’industria è in difficoltà, come tutto il settore produttivo, ed è in difficoltà anche il modello che ha fatto grande questa città. Siamo in una fase di passaggio, di evoluzione con il peso di una crisi economica pesante che ha colpito tutto il Paese, ma che qui, forse in virtù della vocazione fortemente industriale della città, si è fatta sentire in modo ancor più marcato. Sono convinto che Terni abbia potenzialità importanti: da un lato l’industria che, comunque, anche in un momento di crisi, rimane a mio avviso un presidio saldo ed irrinunciabile, dall’altro una proiezione importante potrebbe fondarsi sul turismo legato alle bellezze che la città è in grado di proporre. Penso a bellezze storiche ed ambientali, a Marmore e a tutte le frazioni che sono intorno a Terni, a Carsulae e a tante altre realtà locali. Tante potenzialità scontano il momento difficile che vede l’Amministrazione comunale costretta a fare i conti con carenze finanziarie che rischiano di condizionare le politiche di sviluppo che ha intenzione di attuare. L’obiettivo resta, comunque, una proiezione futura della città collegata ad un modello di sviluppo innovativo che dia un respiro nuovo e ampio alla comunità locale. I ternani si sentono spesso periferici rispetto a Perugia, lamentano di aver visto chiudersi alcuni importanti presìdi; io ritengo che la collocazione geografica di Terni debba essere non un elemento di debolezza, ma un punto di forza. La capitale è vicina; tante persone lavorano a Roma e continuano a risiedere qui proprio per la qualità della vita che Terni e la sua Provincia sono in grado di offrire e questa vicinanza può essere importante. Terni come periferia di Roma, non certo intesa come quartiere dormitorio della capitale, ma come luogo di cui apprezzare e sfruttare la vivibilità. Tanti personaggi, anche importanti della cultura, della politica, dello sport, hanno una casa in questa Provincia. Lo fanno perché da un lato restano vicini alla grande città e dall’altro cercano un buen retiro, un luogo dove vivere parte del loro tempo, quello della serenità e della socialità. Dobbiamo sentire e sfruttare come una risorsa la vicinanza con la capitale. Quando sono arrivato a Terni la prima impressione che ne ho ricevuto, da un punto di vista culturale, non è stata molto positiva a cominciare dalla indisponibilità (speriamo non per molto ancora) di un teatro. Però ho conosciuto poi tante associazioni, tante persone, ho assistito Foto di G. Napoletti
a tante iniziative che dimostrano che la città ha un substrato culturale importante. Non c’è solo la cultura industriale a Terni che ha connotato un secolo e mezzo della sua vita, perché Terni ha oltre duemila anni di storia e ha un patrimonio culturale antico che va valorizzato e che può costituire un motore per il rilancio. Come declinare queste risorse in progetti e possibilità per il futuro? La soluzione e le scelte spettano -ovviamente- alla città e ai suoi amministratori. Io spero fervidamente e sono convinto che la città ce la farà. A me sembra di vivere in una città abbastanza tranquilla, dal punto di vista della sicurezza. Quale il suo pensiero? La situazione della sicurezza nella città può ritenersi soddisfacente, con un calo del 16% dei reati nell’ultimo quinquennio. Ancora più marcato è il calo dei furti (- 21%) nello stesso periodo. Sono invece in aumento i reati legati all’uso e allo spaccio degli stupefacenti (+ 16% negli ultimi 5 anni) che destano una certa preoccupazione perché coinvolgono una platea giovane e ampia di soggetti. Per prevenire e contrastare il fenomeno, e anche per incidere sulla percezione della sicurezza dei cittadini, operano alacremente le Forze di Polizia con risultati positivi importanti che ritengo siano sotto gli occhi di tutti. Esiste un’ottima collaborazione con l’Amministrazione Comunale e con la Polizia Locale che partecipa allo sforzo. È importante che anche i cittadini assicurino il loro impegno, in termini di rispetto delle regole, di mantenimento del decoro urbano e di tutela dei beni pubblici avendo anche cura di segnalare alle autorità ogni anomalia che possa interessare la sicurezza, al fine di contribuire ad ottenere una città sempre più sicura ed accogliente. Per Cesare Ottaviano Augusto, l’Umbria era la terra a sinistra del fiume Tevere, quella che comprendeva anche Sena Gallica, Fanum e la sua Pisaurum. Un pensiero al proposito. Avendo lavorato a Pesaro ed Ancona credo di conoscere bene le Marche ed ho trovato vari punti di contatto profondi non solo geografici, ma di identità, di humus sostanzialmente, con il territorio che ha per capoluogo la città di Terni. Mare a parte, trovo che i due territori abbiano una conformazione simile, così come trovo che l’operosità, l’orgoglio e l’amore per la propria terra siano i caratteri simili e distintivi delle due terre. Arrivo anche a dire (però questo non lo dica ai marchigiani) che gli umbri hanno una socialità, un calore superiori a quelli dei marchigiani. Nel ternano ho trovato rapporti sempre molto franchi e diretti. Il ternano è persona semplice, nel senso positivo della parola, è spontaneo, diretto e genuino; e questo è un valore importante. Pesaro, la sua città, è anche conosciuta come Città della Bicicletta, per via della vasta rete di piste ciclabili estesa sul suo territorio che la rende prima città in Italia per numero di spostamenti urbani in bici. Può aiutarci, gentile Prefetto, affinché anche la nostra pianeggiante città possa emulare, in questo, Pesaro? So che l’amministrazione comunale di Terni si è già posta il problema e sta elaborando soluzioni in proposito. Credo che sia necessario un passaggio anche culturale, da compiere un po’ alla volta e che, con qualche incentivo, qualche
regolamentazione e qualche infrastruttura (piste ciclabili) potranno ottenersi importanti risultati. In molte vicende di comportamento civile è sempre una questione di tempo, di volontà, di abitudine. In altre città in cui ho lavorato, ricordo -ad esempio- il problema delle deiezioni dei cani non raccolte dai proprietari degli animali. La situazione migliorò attraverso campagne informative e attraverso il valore educativo dell’esempio che penalizza colui che non si adegua e viene esposto alla riprovazione pubblica; ove ciò non sia sufficiente sono senz’altro utili anche le sanzioni. Stessa situazione anche per la raccolta differenziata, nella quale siamo tra i primi in Umbria, che dipende dalla sensibilità del cittadino il quale deve però eseguirla in maniera corretta. Mi risulta infatti che si trovano, non poche volte, nello stesso sacchetto di raccolta, plastica e altri rifiuti insieme all’organico e questo vanifica lo sforzo di tanti. Il mio è un invito a quei pochi cittadini che non seguono esattamente le regole proprie del consesso civile, perché vincano quelle resistenze e quelle pigrizie che ostacolano la soluzione dei problemi comuni. Credo Lei sia anche a conoscenza degli studi recentissimi sulla vita di San Valentino e sulla presenza, in Terni, della più nobile e più conosciuta al mondo Fondazione Aiutiamoli a Vivere, associazione dedita appunto a concretizzare molti diritti umani. Saprà anche dell’esistenza di cittadini che intenderebbero, in onore e in virtù di quanto sacralizzato dal Patrono di Terni e di quanto oggi realizzato dalla Fondazione Aiutiamoli a Vivere, far sì che la città di Terni sia conosciuta universalmente come capitale dei Diritti Umani. Un suo pensiero. Le confesso che ne ho sentito parlare per la prima volta quando lei mi è venuto a trovare, qualche settimana fa. È un fatto interessante che ha un profilo storico e culturale che non conoscevo. Credo che potrebbe essere una prospettiva importante, ovviamente equilibrando e contemperando il sentimento religioso e la verità storica con quella che sarà la proposta anche turistico-commerciale che potrebbe derivare dal progetto stesso. Immagino che non sia un percorso facile, visto che lei vi sta profondendo impegno da moltissimi anni. Le dico la verità però: non so esprimere una valutazione in merito alla verità e al fondamento scientifico, culturale e storico dell’iniziativa. Il progetto è certamente di rilievo. Considerare la Terni di san Valentino come la città mondiale dei diritti umani è veramente un progetto alto: auguro che possa andare felicemente in porto. Un augurio generale, prego. Prima un impegno, per me: quello di fare ciò che è nelle mie possibilità per offrire un contributo utile a Terni. Sono certo che lo stesso impegno sarà assicurato dai ternani. L’augurio (e l’invito) è quello di voler bene a questa città, di aiutare a farla crescere, a migliorarla, a renderla sempre più accogliente, viva ed ospitale e a contribuire al suo sviluppo per costruire un futuro luminoso per la sua comunità. Grazie, esimio Prefetto De Biagi. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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GIUGNO LUGLIO
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2 Intervista al Prefetto Paolo De Biagi Giampiero Raspetti
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Gita in Valnerina: Casteldilago e Ferentillo Loretta Santini
Sindromi neoplastiche ereditarie
L Fioriti........................................................................pag.
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info
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PARTENZA da Terni, Piazzale della Rivoluzione Francese PREZZI: 1 visita 20 € Arrivo a Piediluco 2 visite 35 € 4 visite 65 € Panoramica del lago Arrivo a Buonacquisto Il respiro del Nera PRANZO: antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, Arrivo a Polino acqua, vino. Per caffè e ammazzacaffè devi provvedere tu. Fontana Monumentale, Cava dei fossili, Chiesa di San Michele Arcangelo INFO e PRENOTAZIONI Pranzo presso i locali della Pro Loco di Polino Associazione La Pagina Via de Filis, 7 La Rocca e il Museo Adalberto Sisalli 3337391222 ARRIVO a Terni, Piazzale della Rivoluzione Francese
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Gli esami di ammissione alla scuola media V Grechi............................pag. 32
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Visita Guidata a POLINO
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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi. ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Massimo Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO ; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE Municipio; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo Via Gabelletta; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; IPERCOOP Via Gramsci; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo Volfango Frankl.
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GITA IN VALNERINA Loretta SANTINI
Il 1^ Giugno è stata effettuata la prima gita delle sei preannunciate dalla Ass. Culturale La Pagina: programma intenso, ma grande successo di partecipazione. Di questa gita (Casteldilago, Ceselli, Ferentillo, Scheggino) voglio riportare le impressioni, anzi le emozioni. Innanzi tutto il Nera, protagonista assoluto del paesaggio: Il “Nar” che è stato definito il “solforoso” da Virgilio nell’Eneide e da Ennio negli Annales, ma che verosimilmente riconduce alla radice preindoeuropea nar che significa semplicemente fiume, dunque il fiume per antonomasia. Vengono in mente anche le Nereidi (Nereides viene da naro, scorrere). Sono cioè le divinità del mare figlie di Nereo (νηρὸς-neros, “acqua”). Il Nera dunque, con le sue acque limpidissime, a volte impetuose, spesso calme e trasparenti, scorre ai piedi dei borghi nella valle che da esso prende il nome: la Valnerina. Molti altri sono i toponimi riferiti al fiume: Terni si chiamava Interamna Nahar in onore appunto dei popoli del fiume, i Naharki; quindi Santa Anatolia di Narco, Vallo di Nera, la Val di Narco, Narnia. Poi il verde: boschi a perdita d’occhio, natura lussureggiante negli alti monti e nelle valli profonde. E tra il verde le ripide pareti rocciose, spesso ardite, come ardite sono le torri e le mura, a volte imponenti, che tuttora scendono dai crinali dei monti, memoria storica di centri fortificati sorti a guardia delle vie di comunicazione e della stretta valle fluviale, racconti di lotte tra guelfi e ghibellini o di signori in cerca della supremazia sul territorio o della sua indipendenza. Abbiamo percorso questi borghi antichi, oggi in gran parte ristrutturati dopo le offese dei terremoti passati. Si respira la storia nell’addentrarsi in questo incrocio di stradine acciottolate. Le scalinate si incuneano tra graziose case in pietra calcarea costruite a digradare dal crinale del monte, passano sotto gli archi e i sottopassi e si aprono in piccole piazzette sempre adorne di fiori. Resti di mura, porte e monconi di torri si interpongono tra le case e la roccia viva. E addossate alla roccia sono spesso le chiese, per lo più costruite nella parte alta del paese, ai piedi dei resti dell’antica rocca le cui vestigia parlano ancora della gloria passata. E nelle chiese gli affreschi: un mondo da scoprire. Raccontano di santi, di miracoli,
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di eventi. Ci hanno stupito tutti: l’originalità della rappresentazione della collegiata di Santa Maria a Ferentillo dove nell’arcone delle nicchie i riquadri raccontano episodi della vita del Santo rappresentato in ciascuna di esse; l’abside affrescata dallo Spagna e aiuti della chiesa di San Nicola a Scheggino; il grande arco trionfale della chiesa di San Valentino a Casteldilago con la sua bella Annunciazione ed altri notevoli dipinti. Sì, proprio san Valentino, lo stesso Valentino di Terni a cui sono dedicate ben due edifici religiosi sorti per segnare un confine di pertinenza con Spoleto che sempre aveva dominato su questo territorio. Poi i musei. A cominciare dal Museo della Ceramica di Casteldilago che mette in mostra tutti gli oggetti rinvenuti all’interno di un butto (alcuni curiosi come giocattoli campanellini, fibbie e bottoni), per lo più maioliche di ottima fattura puliti e catalogati dallo studioso inglese Timothy Clifford cui il museo è dedicato. Che dire del Museo del Tartufo a Scheggino che racconta, attraverso una ricca e varia documentazione, la storia della famiglia Urbani, pioniera nella valorizzazione di questo prodotto, protagonista eccellente della tavola? Non abbiamo potuto fare a meno di gustare con gli occhi e sentire il profumo dei tanti prodotti esposti, ma soprattutto di apprezzare il percorso storico che spiega le esperienze relative alla raccolta, alla conservazione, alla trasformazione di quello che viene definito, a ragione, il “diamante nero” della Valnerina. Penso di interpretare il pensiero di molti ricordando l’incontro emozionante con due raccolte che raccontano la nostra storia quotidiana: il Museo etnografico della civiltà preindustriale Casarivoso e Una finestra sul ‘900. La prima realizzata dal compianto Silvano Silvani che, con la sua passione incredibile, in un vecchio mulino ha rimesso insieme tutti gli attrezzi e i
meccanismi relativi alla molitura delle olive, oltre a tutta una serie notevole di strumenti di lavoro della civiltà contadina. La seconda è una collezione privata di Vladimiro Orsi nata anch’essa da una grande passione per le testimonianze della vita quotidiana del ‘900. Oggetti ordinati per genere: dalle penne alle caffettiere, dagli accessori per la caccia ai piatti, dai giocattoli alle tante curiosità di strumenti utili alla vita di ogni giorno. In più una eccellente collezione di libri e stampe antiche. Ricordi del passato, reperti dell’800 e 900: sono sfilati davanti ai nostri occhi i giorni dell’infanzia, i gesti dei nostri nonni, gli usi e costumi di un tempo. Non c’è stata nostalgia: le comodità e i progressi della vita moderna non fanno rimpiangere quegli oggetti, quegli strumenti; ma la suggestione del tuffo indietro, nella tradizione, ha preso il cuore di tutti. La Valnerina è terra di tradizioni: il parziale isolamento di questo territorio dal resto della regione ha creato una sorta di cortina difensiva, non dissimile dalle mura dei castelli che circondano i borghi, ed ha permesso la sopravvivenza di storie, di abitudini, di miti, che fanno parte integrante dell’identità di questa terra. Non è un caso che qui sono nati e operano con successo i Cantori della Valnerina e la Confraternita dei campanari, che perseguono con passione e costanza l’obiettivo di non far dimenticare il grande patrimonio di canti, di suoni, di usanze. Nella visita in questi paesi non dissimili dagli altri della Valnerina, abbiamo riconosciuto nella sua interezza quella che è la chiave di lettura di tutto il territorio: tradizione, spiritualità, natura. Ne abbiamo fatto tesoro e desideriamo che la nostra esperienza, unica e indelebile, sia di stimolo agli altri per andare a conoscere queste perle e vivere le stesse emozioni.
Arraffare l'INFINITO Un sistema S si chiama infinito se è equipotente ad una sua parte propria; nel caso opposto si chiama finito.
Richard Dedekind (1831-1916)
Giampiero RASPETTI
In ogni epoca e presso tutti i popoli del mondo, individui vari, ideatori di una metafisica alquanto tendenziosa e di una trascendenza squisitamente materialista, forti solo di primordiale ignoranza, nella loro lacerante smania di mostrarsi figli prediletti di un essere superiore e nel continuo assillo di apparire suoi servi devoti e legittimi depositari di tutti i suoi voleri (e di tutti i beni acquisiti), hanno generato una personalissima, ma necessaria (per loro), suggestione di infinito, fantasticando e confezionando una realtà tutta loro, altri mondi, altri parapiglia, altre vite, altri Olimpi. Di queste illuminanti folgorazioni creative ce ne sono state decine di migliaia, nel corso della storia. Purtroppo, però, neanche una di queste immaginarie divinità ha resistito, nemmeno un solo secondo, alla morte del loro ultimo fedele: finito l’addetto al sacro, sparito, per sempre, il suo divino suggeritore! Nel crearsi il loro infinito hanno tracciato un tragitto abnorme, al limite del ridicolo. Hanno infatti definito, caratterizzato ed imposto quel loro infinito (come se potessero saperne davvero qualcosa, ometti ultrafiniti come sono stati) ed hanno stabilito, come regola per gli altri, i criteri per poterne e doverne far parte. Avendo cioè come guida e come imperio solo i personali comportamenti e le proprie malattie (fisiche e mentali), hanno imposto il loro uzzolo agli altri, per cui un desso qualsiasi sarà di lì in poi definito probo o reprobo, fedele o infedele, pio o empio, sacro o sacrilego, beato o dannato, puro o impuro, paradisiaco o infernale a seconda dei ghiribizzi mentali di chi guida la pittoresca, ma sgangherata, danza. Ed hanno anche cercato di facilitare la nostra vita: fai come diciamo noi e starai bene, soprattutto non correrai il rischio di essere sgozzato o arso vivo da noi. Quindi: ama come diciamo noi, chi diciamo noi, quando diciamo noi. Tu non hai niente: corpo, anima, volontà, tutto dipende da noi. Tu non sei tuo… sei nostro, sei del nostro buonissimo e santissimo dio! A pensarci bene il fatto che questi dessi siano andati dicendo di sapere cosa vuole il loro dio, dichiarando quindi che hanno rapporti proprio con lui (in quale luogo, poi, costituirà sempre un mistero) è la cosa più inverosimile che si possa immaginare. Un dio che parla con loro! È proprio troppo! Purtroppo, però, ancor oggi il cultore di privilegi è sempre vigile in attesa di cogliere l’occasione di tornare totalmente a galla per poter, di nuovo, incatenare vigliaccamente gli uomini nati liberi e mentalmente sani! Per arraffare l’infinito la procedura è sempre andata dal generale al particolare, senza essere in possesso di conoscenze o prove, come è ovvio, proprio del generale, dell’infinito cioè. Solo invenzioni, suggestioni. Come se l’uomo avesse potuto, mangiar patate, sì, ma solo dopo aver studiato tutta la botanica; giocare con gli amici, sì, ma solo dopo aver analizzato e conosciuto l'intera umanità! Risulta invece, a qualche uomo perverso come me, che prima vengono le cipolle, poi viene il loro studio, prima vengono i compagni di gioco, poi viene, per chi ne è in grado, lo studio humanitatis, che si coniuga poi stupendamente con l'analisi logico-matematica. La scienza, come sappiamo tutti, è metodologicamente atea (il significato della parola atea è: senza fine precostituito), quindi non agisce in vista della dimostrazione di uno scopo
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C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’Infinito. Jorge Luis Borges (1899 - 1986)
prestabilito (come vorrebbero alcuni metafisici, alcuni mistici e tutte le fattucchiere), ma, attraverso il suo unico linguaggio, la matematica, dimostra ampiamente che è dalla conoscenza del particolare, dell’oggetto noto, che nasce e si sviluppa la conoscenza più ampia, generale, di tutte le strutture all’oggetto collegato. La matematica ha, tra i suoi motori, la generalizzazione e l’astrazione, categorie ben serie rispetto alle amenità di chi ha giocato solo con l'astruso. In parole povere, partendo dagli elementi (o oggetti) più semplici possibili, visibili da tutti, la matematica dimostra e illustra con precisione concetti di livello altissimo, come quello di infinito, ad esempio. In merito agli studi scientifici sull'infinito, sulla scia di uomini che hanno rivolto il proprio sapere al bene dell'umanità e non a se stessi o a regalare bubbole, matematici cioè come Democrito, Eudosso, Archimede, Eratostene, Torricelli, Cavalieri, Galilei, Weierstrass, Dedekind (per citarne solo alcuni), un formidabile, basilare quesito se lo pose Georg Cantor (1845-1918): Un quadrato ha tanti punti quanti il suo lato? ed anche, per una dimostrazione più adatta alla scrittura che al disegno: Ci sono più elementi (numeri in questo caso) nell’insieme dei Naturali (1, 2, 3, 4, 5, 6, ...) o in quello dei Pari (2, 4, 6, ...)? Quesiti semplici, comprensibili da tutti (... quasi tutti!), una discussione basata su fatti ed elementi conosciutissimi che, attraverso loro, porta senza forzature e inganni a capire il concetto di infinito e a carpirne significati e conseguenze. L’insieme dei Naturali contiene tutti i numeri naturali, tanto i pari quanto i dispari, mentre l’insieme dei Pari è, come tutti sanno, privo dei numeri dispari. Dunque? Sembrerebbe che l’insieme N contenga più elementi dell’insieme P. È così? A questo punto molti lettori intuiscono la risposta esatta e, poiché sono molte le idee chiarite, io interromperei volentieri il mio dire per dare a tutti il piacere, durante le vacanze estive, di scoprire da soli e di capire bene: sapere cioè tutto sui concetti base di infinito e smetterla di parlarne a vanvera. Un aiutino però può forse servire. Il problema è semplicissimo, nessun bizantinismo, nessuna opera, proditoria, di obbedienza passiva ad un dogma imperante! Nessun: lei non sa chi sono io! Cantor ebbe a dire, inizialmente, di fronte alla soluzione perfetta, non contestabile né mai contestata: lo vedo, ma non ci credo! Infatti, ai vostri occhi apparirà senza ombra di dubbio che l’insieme dei numeri Naturali possegga una quantità di numeri (oggetti) superiore a quella dell’insieme dei Pari. Ma non è così! Se, abbandonando abitudini vetuste di pensiero, sarete in grado di risolvere l’arcano, che tanto misterioso non è, avrete in mano, potrete cioè toccare concetti di particolare e generale, di finito e di infinito, senza ricorrere a cose inventate e senza senso, scoprireste immediatamente che è infinito solo l’insieme che possa essere messo in corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio, il quale, a sua volta, non può che essere infinito. Un infinito genera quindi solo degli infiniti, mai dei finiti! Puoi, adesso, in base alle incontestabili considerazioni dei grandi matematici, anche lasciarti andare a fantasticare di nuovo altri orizzonti, altri spazi, altri infiniti, altri dèi. Spero piaccia anche a te giocare con l'infinito, a fianco di Dedekind, di Borges e di tanti altri!
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PLANTARI SPORTIVI RIEQUILIBRIO POSTURALE TENDINITE METATARSALGIA SPINA CALCANEARE PIEDI DOLOROSI PIEDE DIABETICO
ESAME BAROPODOMETRICO DEL PASSO ESAME DELLA COLONNA FORMETRIC 4D
Il sistema innovativo FORMETRIC 4D permette una misurazione non invasiva per l’analisi della colonna vertebrale e l'analisi della postura. Con questo sistema viene effettuata una rilevazione fotometrica del dorso con il metodo della video-rasterstereografia. I dati elaborati forniscono un preciso modello tridimensionale della superficie del dorso che permette la misurazione e l’analisi della postura senza contatto fisico in modo tridimensionale (3D) e dinamico (4D).
Perché tutti dovremmo avere almeno una pianta in casa e in ufficio:
EFFETTO BIOFILIA Alessia MELASECCHE
alessia.melasecche@libero.it
I
l termine “biofilia”, coniato per la prima volta agli inizi del secolo scorso da Erich Fromm, per descrivere la tendenza psicologica ad essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale, e ulteriormente sviluppato dallo psicologo e professore di Harvard, Edward O. Wilson, significa letteralmente “passione per la vita” e più semplicemente si riferisce all’innata necessità dell’umanità di connettersi con la natura e l’ambiente naturale. I benefici che ci vengono quando trascorriamo del tempo all’aria aperta sono noti e nei boschi è possibile sperimentare appieno l’effetto biofilia. I grandi spazi verdi possono fare una differenza positiva nell’atteggiamento e nello stato mentale, ma quando si lavora non è sempre facile trovare il tempo per uscire. È proprio per questo motivo che il “design biofilico”, che introduce e fonde la natura negli spazi interni, sta diventando una pratica sempre più diffusa. Si sa, anche, che le piante all’interno di uffici e case, non hanno un ruolo solo psicologico ed ornamentale, ma fungono da veri e propri filtri dell’aria che respiriamo e sono un’arma formidabile per assorbire
le onde elettromagnetiche. Alcune piante in particolare hanno la capacità di eliminare completamente dall’aria i cosiddetti composti organici volatili, ossia quell’insieme di sostanze presenti nell’ambiente e responsabili di allergie, disturbi cronici e altre malattie che secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità causano oltre 1,6 milioni di morti ogni anno. Non mancano gli studi scientifici a supporto. Uno studio condotto presso la University of Georgia ha infatti dimostrato che le piante da interno non sono solo in grado di preservare la salute di chi vive negli ambienti in cui esse si trovano, ma hanno anche effetti benefici sulle performance lavorative in quanto contribuiscono a ridurre significativamente i livelli di stress grazie alla loro azione purificante. Alcune hanno proprietà disinquinanti, soprattutto la Tillandsia, definita infatti pianta antiradiazioni. Poi c’è la melissa, che secondo uno studio condotto presso l’University of Ohio, favorisce il buonumore grazie agli oli essenziali presenti nelle sue foglie. Secondo il professore Tove Fjeld avere un po’ di verde al lavoro riduce mal di testa, stanchezza, prurito agli occhi, mal di
gola e fa diminuire l’assenteismo. Marlon Nieuwenhuis, ricercatore in Psicologia presso l’Università di Cardiff, ha riscontrato che la presenza di piante in ufficio aumenta la produttività dei dipendenti del 15%. Uno studio condotto per la NASA ha dimostrato che avere delle piante in ufficio migliora il rapporto con i colleghi e facilita il lavoro di squadra. Secondo gli esperti del settore, il modo più efficace di “incorporare la biofilia” è di usare le piante in un modo non troppo formale e strutturato; dopotutto le disposizioni rigide di piante identiche tra loro non sono molto “naturalistiche”, quindi varietà di forme, dimensioni e persino colore possono fare una grande differenza. Dopo aver analizzato 28 piante ornamentali comuni, i ricercatori ne hanno individuato alcune super-potenti, ottime per purificare l’aria liberandola dalle sostanze volatili inquinanti. Si tratta dell’edera inglese, del fiore di cera e della felce, di qualità addirittura superiore la Tradescantia pallida, considerata un eccellente filtro depuratore. E chi più ne ha, più ne metta!
Aiutiamo a Vivere La Pagina IBAN: IT66X0622014407000000000993
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IL CIMITERO DEI VIVI Francesco PATRIZI
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’è un luogo sacro in Egitto dove sono i defunti a concedere riposo ai viventi: è al-Qarafa, la Città dei Morti. Chi oggi si reca sulla collina sopra al Cairo per pregare sulla tomba dei propri cari, si ritrova in un caos di carretti trainati da asini, animali da cortile che scorrazzano, negozi ricavati nei loculi, sepolcri diventati dei rumorosi caffè dove risuonano preghiere e improperi, fornaci scavate all’interno di antichi mausolei dove si forgiano ampolle e si cuoce il pane, bancarelle del mercato che vendono frutta di stagione mentre continuano ad arrivare le bare e a sfilare le processioni… senza dubbio, la città dei Morti è il cimitero più vissuto del mondo! L’antica necropoli venne edificata sulle colline di al Muqattam dalla tribù yemenita dei Banu Qarafa nel 642 dC, anno della conquista musulmana dell’Egitto. Le tombe erano divise secondo l’appartenenza ai clan e su esse vigilavano i guardiani, fedeli custodi dei tesori che sultani e califfi si portavano gelosamente nell’aldilà; proprio da questa comunità
di sorveglianti nacque il primo nucleo di residenti, a cui si unirono intagliatori di pietre, scavatori di fosse e addetti alla recita dei versetti del Corano. Ai piedi della collina della capitale è sorta una periferia chiamata “Gli immondezzai”, una distesa di povertà e marciume da cui sono fuggiti molti cairoti per cercare posto nel cimitero che si estende per 12 kmq sulla collina. All’ombra delle palme e dentro le urne, tra il viavai degli abusivi, è forse il sonno della morte men duro? Chissà cosa penserebbe Foscolo di questi sepolcri rumorosi dove, secondo alcune stime, impossibili da verificare, abiterebbe uno o forse due milioni di egiziani? Di sicuro, la vita continua a brulicare, c’è chi mette su famiglia, chi litiga, chi si separa, chi ruba e chi muore. Said Atta ha quattro figli e abita nella Città dei Morti dal 1992, anno in cui un terremoto distrusse la sua casa, non fa più il muratore, ora fa il becchino ed ha preso possesso di un’ampia tomba appartenuta ad un ricco califfo vissuto secoli addietro,
una tomba rigorosamente svuotata da guardiani poco devoti chissà quanto tempo prima, costruita con mura solide attorno alle quali ha impiantato un piccolo orto che gli dà poche soddisfazioni. Il giorno delle visite ai defunti, mentre scorre la fila di donne povere pagate per piangere al posto di donne più facoltose, ma avare di lacrime, Seyedda stende un telo davanti alla sua tomba-casa e vende fazzoletti, gomme da masticare, pasticcini, è così che cerca di tirare avanti insieme ai suoi sei figli. La notte si chiude nella tomba, non teme l’ira dei defunti, che mai hanno protestato per questa convivenza, ma i ladri e gli spacciatori che, calate le tenebre, si impossessano della cittadella. Se qualche insonne tende l’orecchio, può ancora sentire i passi di afrit, il fantasma che vaga minaccioso nel cimitero e che viene ricacciato nell’oltretomba dal tamburo che suona le ore del giorno nascente, solo allora il suo alito fetido si dissolve e lascia il posto al profumo dolciastro degli atayef appena sfornati.
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PARKLIFE: un contenitore di iniziative, idee e spettacoli al Parco dei Pini. Parklife è un formati di Arci Terni dedicato esclusivamente al Parco dei Pini di Narni scalo. L’idea nasce dalla voglia di realizzare iniziative ed eventi culturali legate ai temi dell’integrazione e non solo nella suggestiva location del parco (oggi sede di Arci Ragazzi).
Let’s start: 15/20/21 GIUGNO 2019
15 Giugno: una giornata di musica dedicata a tutti nata dalla collaborazione tra Arci Terni e l’associazione Ticchetettà da anni presente sul territorio. Programma delle attività : h 11:00 laboratorio di canto con Dario Muci: il canto polifonico dialettale e narrativo. h 16:00 laboratorio di pizzica con Laura de Ronzo h 17:30 laboratorio di percussioni con Somieh Per info e prenotazioni riguardanti i workshop sopraelencati contattare Erica :333/4564611 h 21:30 Concerto dell’ORCHESTRA DI VIA LEUCA : orchestra multietnica
20 Giugno: GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO: questa, fulcro del palinsesto presentato, sarà una giornata all’insegna della musica e della cultura inerente i temi dell’immigrazione. h 16:30 Laboratorio di danza afro e afrocontemporanea per adulti e bambini con KEBA SECK. h 18:00 esibizione degli allievi della scuola di musica Panpot di Terni e di allievi della scuola di musica “parcoinmusica “ di Narni. h 21:00 hip hop project INTERPLAY h 22:00 AFRICA DJEMBE spettacolo di musica e danza a cura di Keba Seck.
21 Giugno:
FESTA EUROPEA DELLA MUSICA
h 19:30 CORRADO RE cantautore romano h 21:30 FAT THUNDER acoustic rock dj set by ephebia. AREA FOOD & BEVERAGE presente per tutti gli eventi. TUTTI GLI EVENTI SONO AD INGRESSO GRATUITO (workshop esclusi). Programma provvisorio: aggiornamenti su www.arciterni.it
Da Venerdì
5 luglio a Sabato 20 luglio
presso il Museo Diocesano e Capitolare della Diocesi di Terni in Via XI febbraio, n. 4,
cureremo la MOSTRA
ANTOLOGICA DELLE OPERE PITTORICHE DI ENNIO CAPICCI
A TTIFA’ ‘N CE VOJO ANNA’ PIÙ! Domenica è ffesta chi pparte e cchi rresta... ce sta chi ariposa e ppo’ chi sse sposa essènno de pace la carma me piace… ascordànno la radio m’artròo a lo stadio me metto llì a sséde ‘n do’ mèjo se vede… e ppo’ come gnente me guardo la ggente. Pe’ qquantu era carma sintìi ‘na tarma… ma qqui fonno schifu… chi è che ffa tifu!? Te vedo ‘n gran vòtu su ‘n postu remotu… tutti ‘n bo’ ignari… ‘n do’ so’ l’avversari!? Ma ecco furente ‘n’orda de ggente… ch’ ha presu ‘lli posti co’ mmodi scomposti so’ ‘ll’andri tifosi ‘n bo’ tutti focosi… pe’ urdimo a entra’ pe’ ttranquillità. Appena ‘llu fattu li nostri de scattu… s’arzono ‘n piedi e ttu non ce vedi senti sulu a strilla’ li pedardi a scoppia’… finitu lu sunnu cambiatu lu munnu so’ mmossu a vventaju e ttra ‘nu spiraju… te vedo da entra’ le squadre a ggioca’ se sente lu fischiu se vede ‘n cincìschiu… la palla se sposta… è bbòtta e rrisposta ‘n mezzu a la folla che ppare ‘na mmolla… riesco a gguardàlli ma guarda che ffalli quill’albitru arrìschia ma quanno je fischia!?... Lu pubblicu strilla vidìssi che bbilla! J’arpète curnutu più vvòrde a mminutu… e qquillu a mme affiancu tenéa lu bbancu m’artròo compressu so’ ‘n pesce ch’è llessu… paréa da stacce llà mmezzu a ggiocacce come ‘n cojone m’arrìa ‘n cargione… che ddatu a rrinfusa ‘n ce sta chi sse scusa ‘llu dilinquente fa finta de gnente... gniciunu se scarma è ‘rvinuta la carma ma solu pe’ ppocu ch’arvène lu focu... ‘n andru cincischiu lu solitu fischiu de nou m’aricciacca e qquanno s’allacca!?... ‘N’andra bbotta de mano ma mica è ‘n cristiano quillu è ‘na spina… che ddico... ‘na mina!... Lu gòlle non vène e qquillu ‘n ze tène seguenno ‘stu passu je pija ‘n collassu... l’urdimo ‘stante ‘n boatu ‘ssordante la squadra ha segnatu lu fiatu è ‘rtiratu… lu corbu è scampatu… quillu affiancu ha rischiatu! Ma ecco arisbraccia m’arparo la faccia… m’arrìa pe’ ccasu ‘na botta a lu nasu ‘n ce vedo più gnente e qquillu fetente… come ‘n bastasse cuntinua a smaniasse e ppo’ aritrocede e mm’aricciacca lu piede… cuntinuanno a zzomba’ e io a ‘llagrima’ e sso’ ccunvintu furtuna ‘emo vintu!... A ccunclusione quillu sbracione credenno stéo male perch’ero rivale… m’ha dittu…
Paolo Casali
cumpà ‘n te la pija’ è ssulu ‘n giocu ‘éte persu pe’ ppocu!
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Foto di Alberto Mirimao
a n n o d a a n i r M Valne Quella della Valnerina è, per i suoi problemi storici e per le sue inespresse risorse, una “comunità che si cerca” e che prova a costruire un futuro comune. Una grande operazione di identità e di progetto ha bisogno di una icona che ne simboleggi il significato più profondo, con un messaggio che, oltre alla ragione, sappia parlare al cuore, al sentimento, alla fantasia. Madonna Valnerina, nella sua incarnazione reale e pittorica vuol rappresentare simbolicamente la
forza generatrice della donna, da sempre percepita, nell’immaginario, come dea madre ed energia creativa della Terra degli umani. Saranno le due Madonne Valnerina, una sorta di fonte d’ispirazione emotiva ed un segno distintivo di grazia e di bellezza che, evocando i caratteri meravigliosi della Valle della Nera, accompagnerà le sue genti nel percorso di rinascita e di sviluppo lungo il quale sono incamminate.
Giacomo Porrazzini
Madonna Valnerina Il Viso della Valnerina
Il viso di chi, ogni anno, rappresenterà la Valnerina sarà “orribilmente bello” e dovrà suscitare le emozioni che evocano la forza e lo spettacolo della Cascata, il silenzio e le suggestioni dei borghi medievali, l’incanto delle acque, la luminosità del Lago, la purezza della natura.
CONCORSI
A - FOTO DELLA MADONNA VALNERINA Aperto a tutti PREMI 1 – MADONNA VALNERINA VINCENTE 500 € 2 – FOTOGRAFO DELLA MADONNA VINCENTE 500 € B - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA Aperto a tutti PREMI 3 – RITRATTO VINCENTE 500 € C - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA Per S. secondaria di secondo grado PREMI 4 – RITRATTO VINCENTE 200 € in materiale per disegnare D - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA Per S. secondaria di primo grado PREMI 5 – RITRATTO VINCENTE 200 € in materiale per disegnare Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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Casteldilago - Ferentillo - Scheggino
1° giugno 2019
La prima delle 6 visite guidate (eccellenti in tutti i loro aspetti, tutte a 90€, cioè a 15€ ognuna!), nel territorio (per me) più bello del mondo, si è conclusa con grandissima soddisfazione da parte di organizzatori e visitatori. Noi Senatori della città (cioè noi che cerchiamo di educare alla nuova politica, che ci mettiamo a disposizione gratuita di Terni, che paghiamo di tasca nostra per Giampiero Raspetti i progetti che elaboriamo a favore del territorio) effettuiamo politica VERA e la politica vera è puro volontariato, solidarietà umana e, soprattutto, cultura, CULTURA PROGETTUALE, studiare cioè e dare un senso alla città di oggi per farla diventare la sorridente città di domani! Chi ha lana fili, dunque, chi non ha lana torni non saltuariamente a leggere, e a capire, libri e documenti seri! Abbiamo anche visitato e parlato dei due Valentini, quello di Casteldilago e quello di Ceselli, che studiosi rinomatissimi hanno dimostrato essere lo stesso santo, quello cioè PATRONO DI TERNI. Stiamo lavorando, orgogliosamente soli nella nostra città, ma sentitamente e affettuosamente accompagnati da moltissimi sindaci della Valnerina, intorno a vari progetti, in particolare al Cammino di Valentino, che da Terni raggiunge Scheggino, per avvalersi poi anche di una serie di varianti di notevole interesse. Non possiamo più permetterci però di ignorare quasi tutto del nostro santo protettore e di essere rimasti a quanto creato dalla tradizione anglosassone a partire dal 1400. Eminenti studiosi, i più
famosi nel circuito culturale mondiale, hanno dimostrato, anche grazie ad interventi meritori del vescovo Paglia, che il nostro Valentino è stato un UOMO veramente eccezionale tanto che noi stiamo anche studiando tutti i paragoni possibili con Francesco, il santo dei santi! Abbiamo allora tutti il dovere di far conoscere al mondo intero la grandezza del nostro patrono e il progetto di città a lui collegato, ma, prima, occorre saperne almeno qualcosa e non ripetere più le insulse bagatelle che i rappresentanti dei vari partiti politici vanno dicendo su di lui durante le campagne elettorali! Non sanno niente, ma non possono fare a meno di dirlo! Occorre anche sapere che oggi TERNI, la nostra stupenda Terni, presenta al MONDO INTERO Fabrizio, il successore di Valentino. Anche Fabrizio è, in Terni, un quasi illustre sconosciuto... ne parleremo con calma e nei tempi opportuni!). Sento di dover ringraziare una grande quantità di sindaci, quelli che stanno unendosi per la realizzazione di un territorio sostenibile e vivibile (la nostra Terni ne è parte integrante) assumendo come punto di rifermento alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU sullo sviluppo sostenibile e i documenti che compongono lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE, Potsdam 1999). Da tali indirizzi emergono alcuni princìpi di fondo tra i quali risultano di grande rilievo l’inclusività, la sussidiarietà, la sicurezza, la durabilità e la sostenibilità attraverso la determinazione di uno sviluppo territoriale equilibrato, basato su un’organizzazione degli insediamenti di tipo POLICENTRICO, attento agli aspetti identitari e al consumo di suolo. Nell’ultima riunione (Scheggino, gennaio 2019) erano presenti, fisicamente e spiritualmente, una quindicina di Sindaci. Li ringrazio tutti, sentitamente e a nome del nostro territorio e della mia città. Spiace non poter ringraziare altri sindaci, alcuni perché non avvertiti, e questo è dovuto ai limiti di tempo
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che io ho personalmente, data l’ingente quantità di impegni assunti, altri perché, dopo la mia proposta consistente nel mettere tutto il nostro operato a disposizione della amministrazione stessa, hanno troncato all’istante ogni rapporto culturale e progettuale. Oltre a tutti i sindaci, ringrazio un eccellente gruppo di Senatori della città che si impegna per l’elaborazione e la realizzazione di questo progetto ormai politicamente indispensabile: Adalberto Sisalli, Benito Montesi, Carlo Santulli, Claudio Don Bosi, Daniela Cioci, Domenico Cialfi, Enrico Pasquali, Fabrizio Pacifici, Franco Giustinelli, Giacomo Martinelli, Giacomo Porrazzini, Giampaolo Napoletti, Giuseppe Fortunati, Loretta Santini, Miro Virili, Paolo Leonelli, Rosella Mastodonti, Sandro Pascarelli. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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La nostra terra Viaggerete sicuri con:
Mangerete bene con:
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Partenza da Terni, Piazzale della Rivoluzione Francese Ponte del Toro Da Collestatte Piano a Collestatte alto Visita Collestatte Alto San Liberatore: chiesa di Santa Croce Parco della Batteria (veduta della Cascata Marmore) Da Torre Orsina a Terni Pranzo presso Fondazione Aitiamoli a Vivere1 Chiesa del Cimitero, Santa Maria del Monumento Porta Sant’Angelo, le mura, la Passeggiata Corso Cavour - Via XI Febbraio: Arco di via del Leone, Casa di Miselli, Via della Birreria Ore 17,00 - 18,40 Da Via Cavour a piazza della Repubblica. I palazzi nobiliari (solo esterno): Palazzo Alberici, Palazzo Fabrizi, Palazzo Mazzancolli, Palazzo Possenti, Palazzo Sciamanna, il balconcino, Palazzo Cerafogli Ore 18,40 - 19,00 Piazza della Repubblica - Piazza Europa Ore 19,00 Partenza per Piazzale della Rivoluzione Francese Ore 19,10 Arrivo in Piazzale della Rivoluzione Francese
Ore 8,30 Partenza da Terni, Piazzale della Rivoluzione Francese Ore 9,00 Arrivo a Lugnano in Teverina, il Borgo della Domenica, in Piazza S. Maria; Saluto del Sindaco e della Giunta Comunale Ore 9,30 Visita guidata nella Chiesa Collegiata (XII) Ore 10,30 Visita al Borgo Ore 11,00 Visita al Museo Civico1: 1-Sezione Archeologica Villa Romana Poggio Gramignano 2- sezione Grande Guerra 1915/18 Proiezione video sulla villa romana Ore 12,00 Visita a Chiesa e Convento di San Francesco al cui interno è esposta una bellissima pala d’altare della pittrice Grazia Cucco raffigurante la Natività; Visita al chiostro del convento che contiene 20 affreschi seicenteschi sulla vita del Santo di Assisi Ore 12,30 Partenza per Amelia Ore 13,00 Pranzo presso Taverna CRUX BURGI Ore 15,00 Visita al museo Archeologico e pinacoteca “Edilberto Rosa” Ore 15,45 Visita del centro antico con le seguenti tappe: - Palazzo Petrignani, opera dell’architetto Ottavino Mascarino) - Cattedrale e Torre Campanaria (sec XI), Belvedere - Passaggio per via Pereira, facciata della Chiesa di S. Agostino Ore 17,00 Visita alla monumentale cisterna romana di piazza Matteotti Ore 17,30 Visita al teatro del 1783; Via Piacenti, giardini caratteristici Ritorno a porta romana Ore 18,30 Partenza per Terni Ore 19,15 Arrivo in Piazzale della Rivoluzione Francese
14 settembre Ore 8,30 Ore 9,00 Ore 9,30 - 10,00 Ore 10,00 - 11,00 Ore 11,00 - 11,30 Ore 11,30 - 12,30 Ore 12,30 - 13,00 Ore 13,15 Ore 15,00 Ore 15,30 Ore 16,30
PREZZI: 1 visita 2 visite 4 visite zz zz zz zz zz
Sabato 22 giugno Sabato 14 settembre Sabato 5 ottobre Sabato 19 ottobre Sabato 2 novembre
20 € 35 € 65 € POLINO TERNI AMELIA NARNI RIETI
1 Fondazione Aiutiamoli a Vivere, in Via XX Settembre, n. 166 Associazione Culturale La Pagina Fondazione Aiutiamoli a Vivere O.N.G. TernixTerni Anch’io TernixTerni Donna AISTEL APS Nazionale ANCeSCAO UMBRIA SUD Panathlon Club di Terni
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5 ottobre
Supporto culturale e assistenza: Adalberto Sisalli, Alessandro Dimiziani (assessore alla cultura del Comune di Lugnano in Teverina), Benito Montesi, Enrico Pasquali, Giampaolo Napoletti, Giampiero Raspetti, Loretta Santini, Marino Zara (Presidente della Contrada Crux Burgi), Riccardo Passagrilli (addetto culturale al Comune di Amelia), Sandro Pascarelli. 1 L’ingresso al Museo Civico per gruppi è di 2 euro a persona con guida
Centro Studi Storici di Terni CIAV-Centro Iniziative Ambiente Valnerina Incontri Fortunati di Narni Museo Diocesano di Terni I Cantori della Valnerina Pro Loco di Ferentillo Pro Loco di Polino
INFO e PRENOTAZIONI
Associazione La Pagina Via de Filis, 7 Adalberto Sisalli
3337391222
Programma Associazione Culturale La Pagina SETTEMBRE 2019 Ven 13 17,30 - 19,00 Cosa vedremo domani, a cura di Loretta Santini A1 Sab 14 8,30 - 19,00 Visita guidata: TERNI2 B3 Ven 20 18,00 - 23,00 AISTEL APS Nazionale, Associazione Culturale La Pagina: INFO DAY Progettazione Europea Cena A Ven 27 19,00 - 22,00 CC4 Cultural: Loretta Santini Terni è bella Paolo Leonelli Urbanistica a Terni Miriam Vitiello Dall’Inghilterra con amore Giampiero Raspetti Curiosità linguistiche Cabaret: Il canto, la parola... e l'emozione Susanna Salustri accompagnata da Cosimo Brunetti e Marcello Coronelli
OTTOBRE 2019 Ven 04 17,30 - 19,00 Cosa vedremo domani, a cura di Loretta Santini Sab 05 Visita guidata: AMELIA5 Ven 11 17,00 - 18,30 Un fiume di Energia, Aldo Netti e le centrali idroelettriche di A fine Ottocento in Umbria e Lazio6, a cura di Giuseppe Fortunati Mar 15 19,00 - 22,00 CC Cultural: A Vittorio Grechi Curiosità scientifiche Loretta Santini Terni è bella Giampiero Raspetti I popoli nascono tutti da madri illibate Miriam Vitiello Dalla Russia con amore Cabaret: Riccardo Leonelli Ven 18 17,30 - 19,00 Cosa vedremo domani, a cura di Loretta Santini Sab 19 Visita Guidata: NARNI B Ven 25 17,00 - 19,00 AISTEL APS Nazionale, Associazione Culturale La Pagina: Gemellaggi per il territorio. 1 2 3 4 5 6
Presso Associazione Culturale La Pagina, in Via De Filis 7, Terni Vedi pagina a fianco Fondazione Aiutiamoli a Vivere, in Via XX Settembre, n. 166 Conferenze brevi (max 8 minuti): 5€ aperitivo e cena Vedi pagina a fianco Si ricorda il grande contributo allo sviluppo economico industriale che l’Ing. Aldo Netti, figlio di un mugnaio, portò nelle valli del Nera e del Tevere, realizzando il passaggio da una società contadina ad una società industriale.
Associazione Culturale La Pagina - Terni, Via De Filis 7 0744.1963037 - 393.6504183 - 348.2401774
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PUNTO DI RIFERIMENTO PER LA TERZA ETÀ LA STRUTTURA Casa di Riposo Villa Sabrina Residenza Protetta a Terni è una struttura autorizzata dalla Regione dell’Umbria con delibera n° 11379 del 12/12/2003, accreditata con la Regione Umbria ed è convenzionata con ASL e Comuni. Possiede una ricettività di 24 posti letto per ospiti non autosufficienti, adottando i massimi standard di qualità e sicurezza previsti per il tipo di utenza eseguita. L’apertura di Villa Sabrina si deve all’innata volontà di erogare servizi di qualità e la particolare attenzione rivolta da sempre alle necessità della popolazione anziana. Questo ha portato ad un particolare interesse ed impegno nell’assistenza agli anziani affetti da demenze senili e da Alzheimer, e da altre malattie neurodegenerative.
SERVIZIO INFERMIERISTICO E TERAPIA OCCUPAZIONALE Gli ospiti di Villa Sabrina Residenza Protetta usufruiscono di una qualificata assistenza infermieristica, avvalendosi di un servizio alberghiero che comprende vitto, alloggio, riscaldamento, biancheria e pulizie. La struttura offre opportunità di socializzazioni ricreative e culturali, assistenza nello svolgimento delle attività di igiene personale, servizio di lavanderia e guardaroba totalmente interno e non affidato a terzi, assistenza religiosa, se gradita. Una volta ogni 15 giorni, per garantire assistenza spirituale, viene offerta l’opportunità di partecipare alla messa e al supporto del sacerdote. Su richiesta si possono ottenere i servizi di un podologo e anche del parrucchiere. Sono erogati, proporzionalmente al bisogno, interventi di mobilizzazione e di recupero dell’autonomia psicofisica. Terapia occupazionale e musicoterapia, sono attività che, integrate all’interno del piano di trattamento individuale dell’ospite, concorrono, inoltre, a far evolvere positivamente lo stato psicofisico dell’ospite stesso. Quando il recupero non è quello sperato e gli handicap persistono, la struttura cerca di adeguarsi alle esigenze personali, riducendo al minimo il disorientamento di chi si trova privato della propria autonomia. È proprio in tali condizioni che il personale deve offrire l’adeguata assistenza sanitaria e dimostrare inventiva ad adattare strumenti ed attrezzature, nel trovare accorgimenti che consentano all’anziano di compensare, almeno in parte, carenza ed inabilità.
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SINDROMI NEOPLASTICHE EREDITARIE
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tumori sono malattie tipicamente multifattoriali, alla cui insorgenza, cioè, concorrono molte concause, sia di tipo ambientale che genetico. Nella maggior parte dei casi (le cosiddette forme sporadiche, oltre 80% dei casi) l’insorgenza di un tumore in un singolo individuo appare casuale o eventualmente associata all’esposizione a specifici fattori di rischio (per esempio, il fumo di sigaretta o le radiazioni) o a particolari stili di vita (per esempio, le abitudini alimentari, o la sedentarietà). In alcuni casi, tuttavia, una o più tipologie di tumore possono colpire più individui della stessa famiglia (forme familiari). Lo studio approfondito di queste circostanze ha condotto alla identificazione di alterazioni genetiche che possono essere trasmesse di generazione in generazione (cioè ereditate) e che sono fortemente legate alla trasformazione di una cellula normale in una tumorale. Ad oggi, conosciamo un gran numero di sindromi neoplastiche ereditarie, cioè condizioni in cui la ricorrenza familiare di tumore riconosce come causa principale la trasmissione ereditaria di specifiche alterazioni genetiche. ALTERAZIONI GENETICHE E RISCHIO DI TUMORI AL SENO Per quanto riguarda i tumori al seno (ed alle ovaie) circa il 5-10% dei casi è associato ad alterazioni genetiche ereditabili, ed in questi casi, di solito, la malattia si manifesta in più membri della stessa famiglia. Nel 1994/95 sono stati identificati i due principali geni coinvolti nell’ereditarietà dei tumori al seno e alle ovaie: BRCA1 e BRCA2. I dati delle statistiche (metanalisi) più recenti indicano che i portatori di mutazioni di BRCA1 hanno un rischio del 55-65% di sviluppare un tumore al seno entro i 70 anni, mentre le mutazioni di BRCA2 conferiscono un rischio del 45-47%. Inoltre i soggetti portatori di mutazioni di BRCA1 hanno un rischio del 39% di sviluppare un tumore ovarico, mentre per i soggetti con mutazione di BRCA2 questo rischio è del 11-17%. Anche gli uomini portatori di alterazioni
nel gene BRCA2 hanno maggior probabilità di manifestare un tumore della mammella, altrimenti molto raro in questo sesso, e presentano un lieve aumento del rischio di sviluppare un tumore alla prostata. È importante sottolineare che sia uomini che donne portatrici di un gene BRCA alterato, indipendentemente dal manifestarsi o meno della malattia, possono trasmettere la mutazione ai propri figli con una probabilità del 50% per ciascun figlio. PREVENZIONE NEI SOGGETTI PORTATORI DI MUTAZIONI DEI GENI BRCA1/2 In considerazione dell’elevato rischio di ammalare di tumore, i soggetti portatori di mutazioni in BRCA1 e BRCA2 necessitano di adeguate misure di prevenzione. Le misure preventive minime consistono nel monitoraggio periodico dello stato del seno tramite autopalplazione, esame obiettivo da parte di un medico, ecografia, risonanza magnetica nucleare e/o mammografia. È opportuno che questo programma di “sorveglianza” venga eseguito secondo un calendario prestabilito e con una cadenza semestrale/annuale, in centri altamente qualificati nello specifico settore.
Come per la valutazione del rischio individuale, è in ogni caso opportuno che le misure preventive più idonee siano scelte da ciascun soggetto a rischio insieme a un équipe di professionisti competenti nello specifico settore. INDICAZIONI AL TEST GENETICO L’identificazione dei soggetti da sottoporre ad analisi genetica per la predisposizione al tumore della mammella/ovaio richiede una valutazione complessa di diversi parametri, dal momento che la storia familiare solo molto raramente dimostra i chiari segni della trasmissione genetica mendeliana (autosomica dominante).
Dott.ssa Lorella Fioriti Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria
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PUO’ LA CHIRURGIA PLASTICA MIGLIORARE IL NOSTRO BENESSERE EMOTIVO? Nella nostra cultura l’attrattiva fisica è generalmente vista come sinonimo di giovinezza, salute ed energia, qualcosa che può riflettersi in un seno prosperoso e sodo, in labbra carnose e pelle levigata. È ben noto, nella società attuale, che l’attrattiva fisica suscita un’istintiva risposta positiva al punto da influenzare, in determinate circostanze, l’idea che ci facciamo di una persona. Questo fenomeno è descritto come l’effetto alone, per il quale il giudizio globale su una persona è influenzato positivamente dal suo aspetto esteriore. Si tratta tuttavia di un pregiudizio cognitivo. Scegliere di sottoporsi ad una procedura chirurgica per uniformarsi a canoni specifici di bellezza o sulla spinta emotiva di pressioni
esterne è concettualmente sbagliato e non conduce al benessere psicofisico del paziente. Diversi studi condotti per capire i risvolti psicologici di operazioni chirurgiche in campo estetico hanno dimostrato che essere percepiti come attraenti secondo i canoni di bellezza della propria cultura non è così rilevante per la felicità e l’autostima; è invece molto importante la percezione che abbiamo di noi stessi riguardo all’attrattiva nell’aumento dell’autostima e del benessere psicologico. Chi ricorre alla Chirurgia Plastica per migliorare un aspetto specifico della propria figura con aspettative realistiche e facendolo solo per una gratificazione interiore è provato che avrà un riscontro positivo del proprio stato emozionale.
Dunque, se da un lato possiamo rilevare che motivazioni insane, come le pressioni relazionali o il disturbo dismorfofobico, non possono portare a un risultato psicologicamente positivo, a prescindere dal successo della procedura chirurgica, è però vero, e ampiamente dimostrato da numerosi studi scientifici, che la Chirurgia Plastica contribuisce al benessere emotivo, purché sia giustamente motivata e vi sia un atteggiamento salutare nei suoi confronti. Una revisione della letteratura scientifica pubblicata nel 2013 ha dimostrato risvolti positivi della Chirurgia Plastica in numerosi ambiti quali l’ansia, le fobie sociali, l’autostima, l’efficacia, l’autoaffermazione e la sensazione di soddisfazione in generale.
Dr. ROBERTO UCCELLINI SPECIALISTA IN CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA ED ESTETICA SPECIALISTA IN CHIRURGIA GENERALE
TERNI - Viale della Stazione, 63 ROMA - Via Frattina, 48 LONDRA “The private Clinic” - 98 Harley Street PER APPUNTAMENTI: Office Manager Raffaella Pierbattisti Tel 0744.404329 - 329.20.06.599 - 329.23.32.450 robertouccellini@gmail.com
SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO:
cause e rimedi
Acne, capelli grassi, peluria abbondante e ciclo ballerino: possono essere le spie della sindrome dell’ovaio policistico, un disturbo ormonale e metabolico che colpisce circa il 10% delle donne in età fertile. La Pcos deriva da una diminuita sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina, ormone di norma delegato alla regolazione degli zuccheri: si crea cioè un’insulino-resistenza, condizione che manda al massimo l’attività di un enzima (l’epimerasi) in grado di alterare anche l’equilibrio glucidico dell’ovaio. L’ovaio, di conseguenza, produce più ormoni con azione maschile (primo tra tutti il testosterone) che hanno un’influenza negativa sul benessere e la salute di pelle e capelli: da lì i foruncoli, l’eccessiva produzione di sebo e i peli in eccesso. Si riduce inoltre il myo-inositolo responsabile insieme all’Fsh (ormone prodotto dall’ipofisi) della maturazione degli ovociti. Risultato finale: oltre agli indesiderati effetti estetici, anche l’ovulazione va in tilt. Il ciclo può diventare più lungo o mancare del tutto (amenorrea), dando il via a una “anovulazione cronica” che, a lungo andare, può portare alla sterilità.
DR.SSA GIUSI PORCARO Specialista in Ginecologia ed Ostetricia
www.latuaginecologa.it USL UMBRIA 2 – Consultorio Familiare di Orvieto STUDIO MEDICO ANTEO – Via Radice 19 – Terni (0744- 300789) COMEDICA - Via Gabelletta, 147 - Terni (0744 241 390)
La sindrome, chiamata anche Pcos, può essere curata però con rimedi naturali che ridanno al ciclo la sua regolarità evitando che, alla lunga, ci siano conseguenze nella fertilità. La terapia della Pcos consiste nell’adottare un corretto stile di vita: attività fisica e corretta alimentazione. Oggi abbiamo a disposizione anche un integratore contenente i due zuccheri che regolano le funzioni dell’ovaio (il myo-inositolo e il d-chiro inositiolo), mixati in un rapporto di 40 a 1, cioè nella proporzione ideale, quella presente normalmente nel sangue quando non ci sono alterazioni metaboliche. Anche se si tratta di un integratore, è consigliabile assumerlo su indicazione e sotto il controllo del proprio ginecologo, che può monitorare l’andamento delle cure e la risoluzione della sindrome. Quando i problemi estetici sono gravi e persistenti, il medico può valutare se sia il caso di utilizzare in aggiunta all’integratore, la pillola anticoncezionale, indicata soprattutto per chi desidera anche una copertura contraccettiva. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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AZIENDA OSPEDALIERA STRUTTURA COMPLESSA DI
OSTETRICIA E GINECOLOGIA Dipartimento Materno Infantile - OSTETRICIA -
Direttore Dott. Leonardo Borrello Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia Azienda Ospedaliera "S. Maria" di Terni
Dal 28 marzo 2019 la struttura complessa di Ostetricia e Ginecologia è diretta dal dott. Leonardo Borrello, nominato vincitore di avviso pubblico e già direttore facente funzione dall’agosto 2018. La struttura, afferente al dipartimento Maternoinfantile, si è recentemente arricchita di nuovi strumenti per migliorare i percorsi diagnostici e si avvale di un’organizzazione articolata e completa per una presa in carico totale della donna nel suo percorso ostetrico e/o ginecologico, nel rispetto dei valori e della provenienza culturale di ciascuna. L’assistenza alla donna e alla coppia viene offerta in modo multidisciplinare da ginecologi/che, ostetriche, infermieri, anestesisti; gruppo che si confronta periodicamente per migliorare la qualità del percorso assistenziale al fine di garantire una serena esperienza in sicurezza e affidabilità. Anche per tale motivo O.N.D.A, l’Osservatorio Nazionale sulla salute della donna e di genere, ha riconosciuto i 3 Bollini Rosa al reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda ospedaliera di Terni, che rientra nella rosa degli ospedali italiani più “vicini alle donne”.
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Il reparto di Ostetricia è sede di un punto nascita di secondo livello e garantisce assistenza alle gestanti/puerpere provenienti da tutta la provincia di Terni e anche dall’Alto Lazio. Inoltre, è dotato di un reparto di Terapia Intensiva Neonatale (TIN) cui afferiscono sia i neonati pretermine e/o patologici nati in ospedale sia quelli nati in altri punti nascita vicini. Il Percorso Nascita inizia dalla presa in carico della gestante nell’ambulatorio della gravidanza fisiologica e, nei casi di patologia ostetrica, si avvale della collaborazione di altri professionisti, quali diabetologi, endocrinologi, infettivologi e radiologi interventisti. La struttura inoltre è dotata di ambulatori dedicati a diagnosi prenatale, ecografia di II livello, ecocardiografie fetali (con un nuovissimo ecografo di ultima generazione con visione in 3D e 4D), e del servizio di cardiotocografia (controllo del battito cardiaco fetale) a termine di gravidanza. Previa specifica visita anestesiologica e grazie a un servizio di anestesia dedicato, a tutte le gestanti viene offerta h24 la partoanalgesia. Inoltre viene offerta l’opportunità di poter donare o conservare il sangue cordonale, attraverso una raccolta effettuata dopo aver reciso il cordone, che è assolutamente indolore, non invasiva e sicura per la mamma e per il neonato. Ai futuri genitori, compatibilmente con l’attività Assistenziale, è consentito visitare il reparto e le sale parto. Le sale parto sono stanze singole ove è possibile travagliare e partorire applicando le tecniche di gestione del dolore farmacologiche o con metodi naturali, con la possibilità di affrontare il proprio travaglio nelle posizioni libere (sulla palla, in poltrona, in piedi, carponi, ecc.). Durante il travaglio è consentita la presenza di una persona di fiducia della partoriente ed è consentita l’alimentazione. Per quanto riguarda il parto è possibile scegliere di partorire nella posizione che si preferisce (classica, sul fianco, carponi). Prossimamente, inoltre, una delle 3 Sale Parto sarà dotata anche di una vasca per il parto in acqua di ultima generazione, che consentirà alla donna di affrontare la componente dolorosa
sfruttando tutti i benefici dell’acqua. Prima del parto, da oltre vent’anni, non è più prevista l’esecuzione del clistere evacuativo e la rasatura dei peli pubici. Il ricorso all’episiotomia, ove necessaria, avviene nel pieno rispetto delle percentuali indicate dall’OMS. Al momento del parto si promuove il contatto pelle a pelle madre-bambino “skin to skin”, si esegue il taglio del cordone quando smette di pulsare, coinvolgendo anche il papà se lo desidera, e si favorisce l’attaccamento precoce del nuovo nato al seno già in sala parto al fine di sostenere la mamma per un allattamento esclusivo. Se le condizioni di adattamento neonatale lo consentono, il neonato può rimanere accanto alla mamma anche nelle 2 ore successive al parto. Tutti i neo genitori sono presenti al momento del bagnetto e alla visita del Neonatologo, che
SANTA MARIA DI TERNI nell’Azienda ospedaliera di Terni avviene per ogni nuovo nato sia da parto naturale che da taglio cesareo, h24 e 7 giorni su 7. In ostetricia le camere di degenza sono da 2 letti con bagno e consentono di avere i propri figli accanto h24 (rooming in). Tutta l’equipe condivide la scelta di promuovere il parto vaginale rispetto al taglio cesareo (VBAC), cercando di far superare certi allarmismi nel rispetto delle evidenze scientifiche e delle più aggiornate Linee Guida. Per ultimo, ma non meno importante, per tutelare la vita dei neonati e le donne che vivono situazioni di disagio psico-sociale, viene garantito il parto in anonimato con la possibilità da parte della donna di non riconoscere il neonato e di affidarlo alle cure di una famiglia adottiva attraverso il tribunale dei minori.
- GINECOLOGIA Anche in area ginecologica la filosofia è quella di mettere la paziente al centro dei percorsi diagnostico-assistenzali, implementando lo scambio ospedale-territorio per la presa in carico integrata della paziente a 360°. La tradizionale vocazione chirurgica della struttura, con oltre 1000 interventi l’anno, si concretizza con l’offerta di un’ampia
e articolata tipologia di interventi che privilegia sia la chirurgia mininvasiva laparoscopica per patologie ginecologiche benigne (isterectomie, miomectomie, endometriosi anche severe, prolasso genitale) e per patologie maligne (neoplasie uterine dell’endometrio, della cervice o dell’ovaio in stadi iniziali), sia la chirurgia vaginale, tecnica di esclusivo appannaggio della chirurgia ginecologica (per isterectomie anche di uteri voluminosi, prolasso genitale, patologie uro-ginecologiche, correzione funzionale dei difetti della statica pelvica con o senza conservazione dell’utero, correzione della incontinenza urinaria anche con tecnica di colposospensione protesica laparoscopica), tenendo conto delle variabili anatomiche individuali e delle aspettative della paziente. La patologia oncologica viene gestita autonomamente o, in caso di elevata complessità multidisciplinare, anche in cooperazione con i chirurghi generali. La gestione pre e post-operatoria viene coordinata in collaborazione con il dipartimento di Oncologia avvalendosi della Oncologia medica e della Radioterapia. Inoltre, ci sono ambulatori ginecologici dedicati (3° piano) alla prevenzione e alla
diagnosi precoce delle patologie benigne e maligne, prelievi per Pap Test, test per Papilloma Virus, colposcopia, isteroscopia, piccoli interventi di elettrochirurgia per patologie del basso tratto genitale ed ecografie; presso il Centro Salute Donna (1° piano seminterrato) vengono eseguite le visite ginecologiche. Intanto, è stato approntato e rivisto il nuovo piano di ristrutturazione delle aree di degenza e dei locali dedicati alle attività specialistiche di ginecologia, la cui realizzazione inizierà nei prossimi mesi.
ÉQUIPE Direttore: Dr. Borrello Leonardo Ginecologi Dr. Crimi Edoardo, Dr.ssa Ferretti Manila, Dr.ssa Giri Carla, Dr.ssa Graziano Marialida, Dr. Lerro Niccolò, Dr. Morbidoni Dario, Dr.ssa Nenz Maria Chiara, Dr. Petrelli Adriano, Dr.ssa Pucci Francesca, Dr. Provaroni Angelo, Dr. Taticchi Flavio P.O. Dr.ssa Bianco Maria Antonietta Ostetriche Sala Parto Battaglini Chiara, Bellonia Maria Pompea, Brozzetti Katiuscia, Brozzi Roberta, Canalini Krizia, Chiocchia Martina, Cordeschi Lorena, Dicorato Paola, Fainelli Gianna, Falco Maria, Fanti Cristina, Gravagna Matilde, Maisto Francesca, Marchetti Cristina, Martoni Antonella, Pallozzi Luisella Infermieri Sala Parto Angeletti Rosaria, Busatti Anneliese, Cammarota Daniela, Capobianco Cosima, Cruciani Sandra, Quintili Monia, Dei Bianchi Daniela, Gubinelli Mariagiulia, Moscatelli Roberta, Raponi Maria, Riccardi Lucia Reparto Ostetricia Rooming in e Nido Bruschini Nicoletta (Coordinatrice ostetrica), Bettarelli Laura, Carlini Maria Letizia, Ciatti Rita, Federici Alessandra, Grisci Laura, Leandri Carolina, Mencarelli Michela, Mirra Giuliana, Pantalone Laura, Posanzini Sabrina, Rosati Arianna, Rosi Elisa, Santarelli Sabina, Tortoioli Marta, Vittori Elisabetta. Reparto Ginecologia Paterni Lorella (Coordinatrice infermiera), Bianchetti Federica, Bracone Giovanna, Daniele Emanuela, Deflorio Maria Chiara, Feraru Anisoara, Germani Valentina, Marasco Silvia, Martellucci Maurizia, Rosati Elisa. OSS Santori Claudia, Sebastiani Federica, Sequino CinziaTirinzi Silvia, Pompili Fiorella (Ausiliaria) Anestesisti Partoanalgesia Dr.ssa Bizzarri Annalisa, Dr.ssa Casali Marta, Dr. Colasanti Andrea, Dr. De Masi Giuseppe, Dr.ssa Ferialla Silvia, Dr.ssa Testa Gisella.
Servizio Fotografico Alberto Mirimao
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Trattamento dell’ONICOCRIPTOSI o “unghia incarnita” L’ONICOCRIPTOSI, più conosciuta come “unghia incarnita”, è una patologia dell’unghia dell’alluce i cui margini laterali della lamina ungueale penetrano nell’epitelio e nel derma dei solchi ungueali fungendo da corpo estraneo che causa irritazione, infiammazione con dolore e che, nel tempo, può portare alla formazione di un granuloma da corpo estraneo. Questa patologia è più frequente prima dei trenta anni; vari sono i fattori predisponenti e quelli determinanti: • unghia incurvata • patologie e/o alterazioni posturali dell’alluce, delle altre dita del piede o del piede (alluce valgo-varo, alluce iperesteso, piede pronato, esostosi subungueale, deformità posttraumatiche della falange, ematoma subungueale) • calzature improprie (troppo strette e/o corte, troppo tacco, presenza di cuciture che fanno conflitto con l’unghia
• diabete, obesità, eccessiva sudorazione, • taglio errato dell’unghia (troppo corto o con margini troppo arrotondati). I sintomi sono rappresentati da dolore che si accompagna ad arrossamento e gonfiore della cute interessata. Nel tempo si può avere fuoriuscita di sangue e pus, con cattivo odore e, a lungo andare, l’unghia può modificare il colore e può formarsi un granuloma che la copre in parte. Il trattamento nelle prime fasi è conservativo ed importante è l’opera del podologo che, oltre a favorire la risoluzione della flogosi, in alcuni casi può effettuare una “rieducazione ungueale”. Nelle forme più gravi, quando è ormai presente il granuloma, si rende necessario il trattamento chirurgico che, nella gran parte dei casi, è rappresentato dalla resezione del margine laterale dell’unghia interessata e dalla “fenolizzazione” (distruzione) della matrice ungueale laterale. L’intervento, che porta ad ottenere un’unghia un po’ più stretta, non causa danni estetici.
GRUPPO APPARTAMENTO
Dott. Vincenzo Buompadre
Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport - Terni Murri Diagnostica, v. Ciaurro 6, 0744.427262 int.2 - Rieti Nuova Pas, v. Magliano Sabina 25, 0746.480691 - Foligno Villa Aurora, v. Arno 2, 0742.351405
www.vincenzobuompadre.com
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IL CO-HOUSING: LA COABITAZIONE TRA NONNI Il co-housing è qualcosa di più della semplice condivisione di un appartamento: è un antidoto per la solitudine degli anziani, creando uno spazio di coabitazione basato sul sostegno reciproco. L’esperienza del cohousing nasce in Danimarca negli anni ’60 ed oggi è diffuso in tutto il mondo. I vantaggi sono molteplici: la convivenza abbatte i costi, la solitudine ed i rischi legati alla terza età, come le truffe e gli incidenti domestici. La coabitazione tra nonni lascia alle spalle la solitudine, così come i problemi legati alla gestione economica di un appartamento, che molti, ormai, non possono permettersi. Attraverso la convivenza gli anziani possono vivere in un ambiente più stimolante di una casa di riposo e sperimentare un’innovazione dei servizi di cura, grazie all’aiuto reciproco
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che permette di risolvere con facilità alcuni problemi assistenziali non gravi. Gli anziani che vivono insieme chiacchierano, coltivano i propri hobby, raccontano aneddoti della propria gioventù e, soprattutto, si “fanno compagnia”, ascoltati dai più giovani e da quelli che ormai considerano dei veri e propri familiari nonostante non ci sia alcun vincolo di parentela. Che il co-housing funzioni in Europa e anche in alcune zone d’Italia e che sia una valida alternativa è fuori dubbio, ma sarebbe anche opportuno che tutti noi ci impegnassimo a ritagliare un po’ di tempo per la condivisione con gli anziani ai quali va riconosciuto un valore sociale, umano e storico. Perché ciò avvenga bastano piccoli gesti quotidiani e piccole importanti attenzioni ai nostri nonni.
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GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’INFERMIERE 2019 “La sanità non funziona senza infermieri”, è lo slogan scelto dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) per la campagna di comunicazione lanciata in occasione del 12 maggio, data in cui in tutto il mondo si celebra la Giornata Internazionale dell’Infermiere. Parole che fotografano una realtà incontrovertibile e tale da costituire una grande responsabilità per gli Infermieri e, al tempo stesso un segno dei tempi che si evolvono e del valore assunto da questa figura professionale. Ben conoscono questa realtà i professionisti che operano ogni giorno a fianco dei cittadini, per far fronte ai bisogni della loro salute. E fanno ciò nonostante i condizionamenti che il mondo del lavoro subisce in forza di una disumanizzante economia. Il momento migliore per ribadire questa verità è la Giornata Internazionale dell’infermiere che ricorda l'anniversario della nascita di Florence Nightingale, considerata la fondatrice delle moderne Scienze Infermieristiche. Quest’anno, l’Ordine più numeroso d’Italia, con i suoi 450mila iscritti, ha deciso di raccogliere immagini da ogni parte del Paese, per descrivere e promuovere, agli occhi dell’opinione pubblica, gli ambiti nei quali l’infermiere quotidianamente opera e le competenze avanzate che attualmente caratterizzano la professione.
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Molto partecipata è stata la giornata organizzata dall’Ordine degli Infermieri di Terni che ha festeggiato questa ricorrenza presso la Residenza Protetta di Collerolletta, in una sala stracolma, con un evento formativo dal titolo: “Il malato, l’Infermiere, il Caregiver… nella continuità di un percorso assistenziale di competenza e umanizzazione”. Sono stati in molti a portare il saluto agli Infermieri, primo fra tutti il Presidente della struttura Sandro Corsi, il quale, oltre ad aver generosamente offerto la sala ove si è svolto l’evento, ha messo in evidenza l’importanza dell’umanità e della professionalità, elementi indispensabili per una professione che si prende cura della persona. È stata poi la volta del Professor Stefano Brancorsini, presidente del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università degli Studi di Perugia, sede di Terni, che ha sottolineato come la professione negli anni sia cresciuta in modo esponenziale. A seguire, il Professor Paolo Cicchini che, come consigliere comunale, ha portato prima di tutto i saluti del Sindaco Leonardo Latini, per poi evidenziare l’importanza di una professione che ha un punto di forza nel “cuore”, oltre che nella capacità operativa. Poi è stato il giornalista-scrittore Riccardo Cecchelin a mettere sugli scudi i meriti del mondo degli infermieri. “Meritereste di guadagnare molto di più dei calciatori – ha affermato – … loro fanno un gol,
Emanuela Ruffinelli
Marta Rosati
Paolo Cicchini
Giovanna Gori
Graziella Buconi - Isabella Caracciolo
Riccardo Cecchelin
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voi salvate le vite”. L’Avvocato Elena Cardaio (dello studio legale Alunni-Cardaio di Terni) ha elogiato gli infermieri per la loro grande professionalità e disponibilità verso i pazienti. Ad aprire i lavori è stata la vice presidente dell’Ordine, Dott.ssa Serenella Bertini, la quale ha ricordato l’importanza della Giornata Internazionale degli Infermieri, mostrando, attraverso alcune foto, i diversi ambiti di attività degli stessi. Interessanti tutti gli altri interventi, a partire da quello della Presidente dell’Ordine Dott.ssa Emanuela Ruffinelli, che ha reso partecipi i colleghi della recente approvazione del nuovo Codice Deontologico avvenuta il 13 aprile di quest’anno, sottolineando poi l’importanza dell’approccio del Caregiver nella cura: “Non bisogna dimenticare che l’assistenza di una persona affetta da malattia cronica, ovvero di un malato fragile, presuppone un impegno continuo, 24 ore su 24, cambia la vita della famiglia che, a sua volta, non deve essere lasciata sola e, soprattutto, non deve rimanere invisibile”. Hanno dato seguito ai lavori la Dott.ssa Isabella Caracciolo, la Dott.ssa Giovanna Gori e la Dott.ssa Marta Rosati, le quali hanno sottolineato quanto sia impegnativa la presa in carico dei malati ad alta complessità assistenziale, così come l’organizzazione delle cure domiciliari, dovendo in questo caso specifico, riuscire a coniugare i bisogni del malato con le risorse disponibili. Sono stati i familiari caregiver i veri protagonisti dell’evento che, in forza del loro vissuto, hanno reso visibile il loro impegno, tributo d’amore verso i loro cari, toccando i cuori di tutti i presenti: la mamma di Andrea e la moglie di Renzo. Le loro testimonianze hanno evidenziato la grande forza morale e l’immenso amore che le guida verso i loro cari colpiti da malattia; la loro presenza, in questa giornata così importante, ha dimostrato che spesso i miracoli accadono e fanno fare cose tremendamente difficili a chi non se lo sarebbe mai aspettato. Così, all’improvviso, due persone normali si possono trasformare in giganti della solidarietà e dell’aiuto al prossimo. La Giornata Internazionale dell’Infermiere, anche quest’anno ha abbracciato l’arte per ricordare che arte e salute si stringono in un connubio appassionato, dove a vincere è l’uomo, nella sua unicità. Il pomeriggio è stato allietato dalla fisarmonica di Fabio Ceccarelli, dal violino di Gustavo Gasperini, dal pianoforte di Silvia Calzoni e dalla magica tromba e voce di Fabrizio Longaroni. A completare la serata, la bravura e la simpatia contagiosa dell’attore Stefano de Maio, con una toccante interpretazione a ricordo di Angelo Longaroni. A presentare relatori e artisti, con calore e simpatia, sono stati gli studenti del Corso di Laurea in Infermieristica. Un grazie sincero da parte di tutti i rappresentanti dell’Ordine degli Infermieri di Terni alla Dott.ssa Loretta Tenerini, coordinatrice della Residenza Protetta di Collerolletta, per la sensibilità e la disponibilità dimostrata nell’organizzazione dell’evento. La Professione Infermieristica rappresenta una risorsa ingente, determinata, in grado di fare la differenza in termini di qualità dell’assistenza, outcome sanitari e soddisfazione del cittadino. Lo dimostrano numerosi studi scientifici. Ma la volontà non basta. Abbiamo la forza per affrontare il cambiamento, abbiamo le risorse individuali e professionali, quel che occorre a questo punto sono le buone politiche: da buone politiche potranno discendere buone pratiche. foto di Giampaolo Napoletti e Matteo Nardantonio
Roberta Cocco
Sandro Corsi
Serenella Bertini
Stefano de Majo
Fabio Ceccarelli - Fabrizio Longaroni Silvia Calzoni - Gustavo Gasperini Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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Viviamo in un mondo che cambia Enrico SQUAZZINI Centro Ricerche Paleoambientali di Arrone
Rivedere l’antica geografia dell’Umbria L
e testimonianze che inducono ad immaginare un quadro degli antichi assetti ambientali del settore meridionale dell’Umbria, durante il periodo Giurassico dell’era Mesozoica, contrastante per molti aspetti da quello adottato finora, si fanno sempre più numerose. Bisogna dire che la faccenda è andata maturando gradualmente fino a farsi particolarmente interessante tanto dal punto di vista geologico che paleobiologico. I dati, sempre più consistenti, che emergono da un recente filone di indagini condotte sul campo, si legano gli uni agli altri incastrandosi come in un gigantesco puzzle in cui si delinea un’immagine che sembra apparire sempre più chiara e nitida. È così che si va tracciando, passo dopo passo, una geografia varia e complessa caratterizzata da rapporti analoghi a quelli esistenti nelle zone del globo oggi sottoposte ai regimi tropicali. Aree in cui a farla da padrone è la ricca costellazione di fasce di transizione che si frappongono fra l’ambiente marino, inteso in senso stretto e di acque profonde, e le aree tipiche delle terre emerse. Alcune fra le numerose evidenze venute alla luce, complessivamente di natura sedimentologica, geologica e paleobiologica, sono del tipo che, dato il loro carattere intrinseco, tendono a “fare la differenza”. Nel senso che la loro natura ne determina la posizione come vincoli imprescindibili nella definizione dei modelli paleogeografico e paleoambientale. Ulteriore elemento di notevole interesse è il fatto che queste tracce tendono a ripresentarsi, con una certa frequenza, sia in senso orizzontale che verticale. Ossia risultano distribuite in più punti di un determinato areale oltre a mostrare una collocazione in diversi livelli nell’ambito della serie rocciosa stratificata. Questo secondo elemento assume un significato molto particolare suggerendo che tracce analoghe e di medesimo significato ambientale, si ripropongono nel corso dei tempi geologici nello stesso contesto geografico. Insomma, pare ce ne sia già a
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sufficienza per fare veramente la differenza o, per lo meno, per prendere la faccenda sul serio. L’area in cui si stanno concentrando le indagini comprende buona parte della provincia di Terni, coprendo molte decine di chilometri quadrati. Mentre la successione rocciosa, oggetto della ricerca, abbraccia i circa 70 milioni di anni di deposizione marina tipica di queste aree e caratterizzante tutto il periodo Giurassico: a partire da circa 200 milioni di anni fa fino a 135 milioni di anni or sono. Il complesso delle testimonianze finora disponibili è del tutto inedito, fornendo un’immagine del tutto nuova per questo settore dell’Appennino. Di fatto, numerosi livelli rocciosi distribuiti lungo la sequenza calcarea presentano evidenti e ripetute geometrie sedimentarie tipiche. Queste consentono, in modo più che ragionevole, di collocare la deposizione dei termini calcarei all’interno di un modello che molto sembra avere a che fare con le condizioni vigenti nelle piane tidali delle latitudini a clima tropicale. Queste aree particolari oggi costituiscono delle “connessioni lagunari” verso il mare aperto e profondo. Nel loro complesso sistema sono comprese piane sabbiose, fangose e paludose che si trovano emerse durante la bassa marea e allagate dall’acqua durante l’alta marea. È in questi ambienti che risiede la linea di confine in cui si perpetua l’eterna battaglia fra terra e mare. Ambienti di questo tipo, in parte subaerei ed in parte subacquei, comprese le zone di transizione alle acque profonde potrebbero dare ragione della notevole varietà di strutture e condizioni rilevate nel corso delle nostre ricerche. In particolare, alle generalizzate condizioni di basso fondale possono essere riferite non soltanto alcune delle geometrie sedimentarie rilevate e notoriamente tipiche dell’azione diretta della dinamica del moto ondoso ma, in misura assai maggiore, alcuni rilevanti e chiari episodi di bioturbazione. Questi ultimi, per tipologia e collocazione, bene si inseriscono in questo determinato modello paleoambientale. Le notevoli
difficoltà che notoriamente, e da sempre, accompagnano la ricostruzione degli antichi ecosistemi hanno, consapevolmente, condizionato le nostre ricerche. Gli antichi contesti sedimentari furono sottoposti, nel corso di notevoli archi di tempo, alle intense dinamiche geologiche le quali sono state in grado di modificarne profondamente la compagine originaria. Spesso al punto tale che i caratteri di partenza, ormai quasi del tutto obliterati, risultano ben poco riconoscibili. Tali motivi, ritenuti per nulla trascurabili, hanno determinato la scelta di basare l’analisi territoriale su un approccio che permettesse di procedere per gradi. Partendo, in primo luogo, dall’individuazione di tracce che potessero risultare particolarmente significative sia dal punto di vista ecologico che ambientale. Queste dovevano necessariamente assumere il carattere di “evidenze chiave”. Dei vincoli dal carattere imprescindibile e indicazioni di natura il più possibile stringente dal punto di vista del significato ambientale. Evidenze tali da costituire un pacchetto di elementi fortemente distintivi fra un contesto ambientale ed un altro. Una seconda fase delle ricerche avrebbe consentito di elaborare una ricostruzione più dettagliata possibile. Sta di fatto che i risultati, particolarmente incoraggianti, scaturiti già dalle prime fasi di questa analisi territoriale consentono di nutrire ottime speranze per il tentativo di fornire nuovi elementi allo studio e alla conoscenza del nostro territorio. Compresa la definizione sempre più dettagliata del modello paleogeografico di questa parte dell’Umbria. Molti, e piuttosto significativi, sono gli elementi che inducono a ritenere che una rivisitazione in chiave moderna di questo territorio si renda ormai necessaria. In ogni caso, è evidente che l’elaborazione di una mappatura territoriale arricchita dei nuovi dati emersi potrà consentire di definire meglio una situazione finora quanto mai poco chiara.
Europa 2019. Grande assente: la Cultura S
to scrivendo alla vigilia delle tanto attese elezioni europee. Finalmente il 26 maggio i nodi verranno al pettine e quando uscirà a giugno questo articolo, sapremo che volto assumerà quella che da più parti si invoca, si depreca, si osanna come la Nuova Europa. Non ho le facoltà divinatorie della celebre Pizia di Delphi e nemmeno quelle del vate Tiresia per poter dire quale sarà il risultato, ma una cosa è certa: la sua configurazione non sarà certamente quella di prima. Meglio, peggio? Dopo il 26 l’ardua sentenza! L’Europa, dopo la lunga e disastrosa crisi economica del 2008 che ha messo a nudo tutta la fragilità di un progetto di per sé molto valido, ma fondato prevalentemente su basi economiche, è stata sconvolta dalla nascita e dalla progressiva avanzata di movimenti populisti e sovranisti. Tali movimenti hanno attecchito un po’ dovunque, in paesi di debole tradizione democratica, come quelli dell’Europa dell’Est o in altri come l’Italia, la Francia, l’Austria, la Grecia sconvolte nei loro equilibri interni dalla crisi economica. A complicare il quadro c’è sempre la tegola della Brexit con i suoi sviluppi incerti. Nella parte finale del precedente articolo avevamo notato due grandi assenti nella crisi europea: la politica e la cultura. La prima ha praticamente abdicato a favore dell’economia, mentre essa stessa avrebbe dovuto dare le direttive in base alle quali i vari settori, compreso quello economico, dovevano muoversi. Ma nel presente articolo vogliamo occuparci soprattutto della cultura e il motivo lo chiariremo strada facendo. Infatti dopo Mastricht si è caduti nel teorema semplicistico che l’integrazione economica avrebbe promosso e facilitato quella culturale, senza pensare minimamente alle marcate differenze storico culturali delle varie nazioni che compongono l’Europa, alcune delle quali, come quelle dell’Est, venivano da mezzo secolo di dittatura sovietica. Sarebbe stato necessario che Bruxelles, oltre a guardare i conti dei singoli stati, avesse dato maggiore impulso ad iniziative culturali che si facessero promotrici della la formazione di una coscienza europea. Le banche, da che mondo è mondo, fanno i conti, non la cultura! Se i loro caveau sono pieni di opere d’arte è per il loro valore inestimabile, non certo per omaggio agli artisti che le hanno create. È risaputo che la cultura non produce utili, non dà profitti, quindi è molto difficile trovare chi sia disposto ad investire. Invece, se Bruxelles avesse speso un po’ di più sulla cultura, le cose sarebbero andate diversamente, ma nella storia non si mettono i "se"! Questa, a mio modesto parere, è stata la vera falla nell’Unione che, seguendo la disastrosa scia della crisi del 2008, ha spianato la strada ai vari sovranismi e populismi. La recita dei sovranisti di oggi è quella di affermare che tutto il tempo dedicato alla cultura sia tempo perso. Nei loro discorsi mai un ragionamento, una citazione colta, un’idea per legittimare e rafforzare il loro pensiero. Questo mai. La loro idea basilare è che le persone debbano identificarsi con loro. Vogliono che esse si uniformino al loro modo di pensare, senza curiosità e voglia di conoscere di più. Qualsiasi argomentazione è bandita con il pretesto di occuparsi di questioni concrete, di badare ai problemi reali della gente, senza giri di parole o astratti filosofemi. Bisognerebbe chiedere loro: ma non è proprio la cultura quella che
Pierluigi SERI
si è occupata dei problemi reali delle persone e che essi bollano come perdita di tempo? Tale impostazione è apparsa evidente nel comizio tenuto da vari leaders sovranisti europei a Milano in piazza Duomo il 18 maggio scorso. Una cosa è ormai certa: sia i populisti che i sovranisti sono entrambi, pur per motivi diversi, nemici della cultura la quale è per sua definizione critica e proprio per questo la avversano. Essi desiderano che la gente ubbidisca, li segua senza pensare, senza riflettere. Da qui si spiega l’uso abbondante dei mezzi informatici come social, facebook, twitter, selfie, telefonini ecc… che permettono comunicazione immediata veloce che però lascia spazio quasi nullo alla riflessione. È su questa superficialità che si basa la loro presa su vaste frange sociali e che, da questo punto di vista, li rende pericolosi. Tanto più che ora abbiamo una generazione vissuta nel benessere, negli anni della crescita economica che, fortunatamente, non ha vissuto i disagi della guerra e nemmeno gli anni faticosi della Ricostruzione, come il sottoscritto (classe 1946). Una generazione che non può avere tale vissuto, ma nemmeno lo ricorda, addirittura, a volte, o lo ignora del tutto o lo conosce in modo superficiale. Altrimenti basterebbe uno sguardo più attento ad un qualsiasi manuale di storia delle classi superiori per accorgersi dei disastri causati dai nazionalismi esasperati che hanno portato nel secolo scorso a due guerre mondiali. Se le nuove generazioni riflettessero, leggendo quelle pagine, non inneggerebbero agli slogans: Prima gli Italiani!, Fuori gli Immigrati!, Rom di merda! Non arriverebbero addirittura all’assurdo di negare l’Olocausto o Shoà, come fanno alcuni sconsiderati. Perché dunque sono possibili queste assurdità? La risposta è semplice: perché manca un solido substrato culturale. Proprio su questo trovano facile esca sovranisti e populisti che tanto strombazzano non solo in Italia, ma anche in vari paesi di Europa. Voglio chiudere con due fatti esemplari che la dicono lunga su quanto abbiamo detto. Napoli, dopo l’agguato in cui è rimasta ferita la piccola Noemi, c’è stata una grande manifestazione anticamorra. Nel corteo c’era anche il figlio di un noto capo clan che ha rinnegato le scelte del padre. Al cronista del Mattino che gli ha chiesto come si era salvato, ha risposto: -Con la cultura!- ovvero leggendo, riflettendo sui fatti. Secondo esempio. Göteborg (Svezia) una quindicenne svedese vuole diventare l’anti-Greta, la ragazzina leader del movimento ambientalista, ma ammette di non aver letto molto sul tema di cui si occupa Greta, ma comunque vuole opporsi a lei. No comment! La quindicenne dice inoltre di dedicarsi anche al tema caldo dell’immigrazione che, a suo parere, non si può affrontare! Che dire? Vuoto totale! Proprio su un tema oggetto di strumentalizzazioni, condite da balle di tutti i tipi come: Aiutiamoli a casa loro!, Facciamo entrare solo gente che veramente cerca lavoro! I muri, le barriere tinte di nero, i porti chiusi, non servono a nulla per un problema così complesso che richiede di essere affrontato in modo adeguato, non con soluzioni sbrigative e semplicistiche. A tutti i lettori de La Pagina: Buona Estate! Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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GLI ESAMI DI AMMISSIONE ALLA SCUOLA MEDIA Vittorio GRECHI
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a scuola media fu istituita con la riforma Bottai nel 1940. Unificava i primi tre anni del ginnasio, dell’istituto tecnico inferiore e dell’istituto magistrale inferiore, ossia le tre scuole medie inferiori che, all’epoca, consentivano il proseguimento degli studi. Vi si accedeva dopo il superamento dell’esame di licenza elementare e dopo il superamento dell’esame di ammissione. Il latino rimaneva un insegnamento obbligatorio, come nelle suddette tre scuole precedenti. Nel 1950 la licenza media era appannaggio di appena due italiani su dieci. Nel 1963 nacque con un’altra riforma la cosiddetta scuola media unificata. Quindi, verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso, molti se lo ricorderanno, vigeva per il percorso post elementare un rigido doppio canale: da un lato la scuola media, ginnasio dimezzato, con prosecuzione agli studi superiori, e dall’altro l’avviamento professionale (tecnico, commerciale, agricolo) indirizzato al lavoro. A quel ginnasio dimezzato che era la scuola media (con tre annualità di latino e solo due di lingua straniera, senza scienze e senza tecnica) si accedeva dopo un esame di ammissione alla fine della quinta elementare, molto rigido e selettivo. Per fortuna di molti, la scuola professionale si trovava a Terni, raggiungibile dai paesi della Valnerina solo col tram, mentre la scuola media si trovava ad Arrone e raccoglieva gli alunni dei paesi del circondario, come Montefranco, Ferentillo e perfino qualcuno di Piediluco. Mandare bambini così piccoli a Terni era una prospettiva che preoccupava molto gli adulti e questo timore fece sì che alcuni di loro, destinati all’avviamento professionale verso un mestiere, fossero invece indirizzati a proseguire gli studi alla scuola media. Non dobbiamo dimenticare gli abitanti delle frazioni più lontane di ciascun paese, che impiegavano più di un’ora per andare e un’altra ora per tornare, camminando sulle scorciatoie tra campi e boschi. La maggioranza delle famiglie risolveva il problema lontananza facendo smettere la scuola ai propri figli, specie se femmine, o se poco volonterosi. In campagna, e non solo, girava un detto: “meglio un asino vivo che un professore morto”, come se lo studio fosse qualcosa di così gravoso da portare
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a morte certa una elevata percentuale di frequentatori. Invece tra i genitori che la pensavano in modo opposto si era sparsa la voce che era assolutamente necessario mandare i figli a ripetizione da qualche brava insegnante in pensione, onde aumentare le probabilità di accesso alla più vicina scuola media. E così, ascoltate le voci che giravano, si sceglieva l’insegnante che sembrava la migliore e che più si avvicinava al modo di pensare della famiglia. Per i piccoli studenti che abitavano lontano dalla scuola elementare –e ce n’erano parecchi- era una vera faticaccia: bisognava partire da casa con libri, ombrello, merendina e soprattutto portapranzo di alluminio, come un qualsiasi operaio forestale, nel giorno in cui, oltre alla scuola dell’obbligo del mattino, nel pomeriggio c’era la ripetizione ad Arrone in casa dell’altra maestra. Bisognava poi trovare una famiglia di parenti o di amici che ospitassero l’alunno all’ora di pranzo e spesso poteva essere proprio la maestra della pluriclasse che si accollava questo onere, specie se si trattava di un solo ospite e se la sua abitazione si fosse trovata a metà strada tra la casa dell’alunno e la casa della collega. Quindi in quei giorni si pranzava a casa della maestra. La pasta fatta in casa contenuta nel portapranzo, insieme a un pezzo di carne del sugo, veniva versata in una padella e riscaldata sui fornelli mentre cuocevano i rigatoni per i componenti della famiglia. Capitava spesso che il pargolo della maestra preferisse i “picchiettini” che sfrigolavano sulla padella di ferro e allora per accontentarlo si faceva il cambio, con sommo piacere di entrambi, visto che anche l’ospite preferiva cambiare una volta tanto la pasta fatta in casa con la più rara “pasta compra” (pasta comperata al negozio di Generi Alimentari). Una delle due maestre
che facevano le ripetizioni era una donna di polso anche se aveva una spalla ingessata per una caduta. Si racconta che se ne stava seduta in poltrona come fosse un trono e da lì insegnava e riprendeva severamente chi non era attento e chi insisteva a commettere sempre i medesimi errori. L’argomento principe delle lezioni era l’analisi logica e con essa si riempivano i quaderni grandi di quinta elementare, con le righine, che forse qualcuno ricorda. Finiti i corsi e in attesa degli esami, poteva capitare a più di qualcuno di ammalarsi di una delle tante malattie esantematiche come varicella, scarlattina, rosolia e orecchioni. I bambini malati, indeboliti dalla febbre, non erano nelle migliori condizioni fisiche per sostenere gli esami di quinta elementare e poi quelli più temuti dell’ammissione alla scuola media. Le mamme premurose sfoggiavano allora tutte le loro arti per combattere l’inappetenza della prole preparando fumanti zabaioni, ove intingere biscotti fatti in casa o almeno una bella fetta di pane tostato e dorato sui carboni roventi. Per quelli che abitavano lontano c’era anche il problema che non ce la facevano a raggiungere le aule a piedi, debilitati com’erano dalla malattia e dallo stare a letto. Allora si ovviava facendosi prestare dal vicino o dal vecchio zio una piccola biga trainata in genere da un’asina bigia, di quelle che avevano come ornamento una elegante riga più scura attorno al collo. Il mattino degli esami c’era quindi chi arrivava al lento passo del quadrupede, chi sulla canna della bicicletta guidata dal padre e chi a piedi. Era una bella moltitudine variopinta di ragazzine e ragazzini, in prevalenza accompagnati dalle mamme che fremevano più dei figli al pensiero dell’esame, ma che cercavano di nascondere i timori infondendo coraggio e raccomandandosi al Santo prediletto.
Foto di una pluriclasse di periferia ( II- IV- V) nell'anno scolastico 1954-1955
RIVALORIZZAZIONE DEGLI SCARTI Carlo SANTULLI
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on posso parlare male dell’alternanza scuola-lavoro, per quanto mi riguarda. Ho seguito parecchi progetti di scambio con le scuole, per conto dell’università di Camerino, per la quale lavoro. Spesso partiamo dagli scarti, e cerchiamo di fare dei materiali o vedere come estrarne qualcosa di utile, per esempio la cellulosa. Sono scarti quei materiali coi quali abbiamo perso qualunque rapporto, tanto è vero che non li vogliamo intorno a noi. In altre parole, la condizione di scarto non è oggettiva, siamo noi che non sappiamo che farci, magari perché non abbiamo idee. Uno di questi progetti, dal titolo “Waste upcycling”, cioè rivalorizzazione degli scarti, l’abbiamo condotto con studenti del liceo scientifico “Renato Donatelli”, una bellissima esperienza, devo dire, ed è stato premiato alla Camera di Commercio nei giorni scorsi, in una cerimonia in cui si presentava la collezione d’arte presente nel palazzo. Il nostro lavoro, modestamente, col liceo era stato riproporre l’utilizzo di scarti come le bucce d’arancia, la segatura, i fondi di caffè, ecc., aromatizzati in materiali ed oggetti, come maschere, pezzi di una scacchiera, la molecola del metano, le statuine di un presepe, e poi le “inevitabili” ciotoline, che potremmo definire “fai da te”. Anche se non sembrano esserci contatti con la mostra, in realtà anche le nostre piccole sperimentazioni ci riportano indietro ad una cultura dei materiali, che è, come sapete, parte integrante della storia di questa città. Tra i dipinti, alcuni dei quali trovo davvero bellissimi, ospitati nel catalogo “Custodire l’arte”, anch’esso frutto di un percorso di alternanza scuola-lavoro che ha coinvolto il liceo artistico “Orneore Metelli”, ed è a cura della professoressa Maria Laura Moroni, con un intervento del professor Domenico Cialfi, di cui fortunatamente mi sono trovato
ad avere offerta una copia. Non entro nel merito delle singole opere, perché non ne avrei la capacità, però mi piace citare un dipinto murale di Guido Mirimao, “Il lavoro”, che mostra quello che poteva essere negli anni ’50, il dipinto è del 1959, oggi è molto diverso e sarà destinato a cambiare chissà come nei prossimi decenni, è difficile da prevedere. La cosa interessante di quel dipinto, molto evocativo e costruito per giustapposizione, anche mentale, delle varie attività, è per me anche un’altra: il fatto che sia stato realizzato in una tempera di caseina, normalmente realizzata o dagli scarti del latte, ma più facilmente dalle proteine vegetali, quelle presenti in piselli, mais, fagioli e lupini, una scelta che forse all’epoca del “boom” poteva sembrare inattuale, e invece ora è tornata alla ribalta. Questo ci ricorda a mio avviso due cose: come molti materiali e soluzioni che stiamo recuperando oggi, anche a livello di design, riprendono una cultura tradizionale, come la ripresa della galalite, plastica che appunto era basata sulla caseina e fondamentalmente includeva scarti della produzione del latte e di quella del vino. Un’epoca che potremmo definire pre-Moplen, cioè prima del 1954, di quella famosa scritta sul diario di Giulio Natta “Fatto il polipropilene”, che chiudeva un lunghissimo processo storico, infatti l’uomo ha cercato di ottenere un materiale eterno ed indistruttibile per buona parte della storia della tecnologia. La seconda considerazione, più generale, è che lo studio della storia, anche artistica, ci consente davvero di evolvere. Altri dipinti, non a caso, mostrano la passerella Telfer ed il tram Terni-Ferentillo in Valnerina. Due segni che sono scomparsi dal nostro paesaggio, ma che restano appunto nella memoria. Speriamo di conservarla a lungo.
Guido Mirimao “Il lavoro” (1959), foto di Chiara Fantaccione
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Le “armonie civili” per tutelare il senso della vita Adriano MARINENSI
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popoli a regime democratico hanno ormai preso coscienza d’essere governati, in tempo di pace, dalle esigenze di due “sistemi prevalenti”. Quello economico (finanziario e produttivo), l’altro che chiamerei naturale (il creato e l’ambiente di vita). Due “motori” che, dall’avvento dello sviluppo industriale in avanti, spesso si sono trovati in disaccordo su ciò che all'uomo giova e quel che no. Poi, alcuni soggetti, titolari di interessi non condizionati, hanno colto gli aspetti contrastanti a discapito dell'umanità. Però, mentre la teoria si è messa a cercare il paradigma giusto per nuovi modelli guida, la pratica ha preferito circondarsi di tante parole e realizzare pochi fatti. Quindi, uno dei molti temi del dibattito politico-culturale è stato il coordinamento tra le attività di ricerca del benessere e il monitoraggio dei consumi riferiti alle risorse naturali. Di conseguenza, il processo di costruzione di un ambiente adatto a tutti i viventi ed a quelli futuri, doveva necessariamente passare (eccola che torna la parola magica!) attraverso la sostenibilità delle attività umane, per esorcizzare nuove e costruttive armonie. Insomma, un dignitoso armistizio (la pace è ancora lontana) tra le parti in conflitto, rappresenta oggi lo strumento per orientare l’etica politica. Pure l’abuso delle risorse naturali diventa una stortura da correggere. Sentivo Piero Angela riproporre con forza l’obiettivo del risparmio di energia per non gravare sull’uso delle materie prime. Del risparmio non si discorre più da tempo. Invece esso resta tra le fonti energetiche di maggiore importanza. Ed è anche costume saggio, oltre che insegnamento di educazione civica. Sappiamo bene quanto incidente sia, per esempio, in termini di inquinamento, l’utilizzo dei materiali fossili per la produzione della corrente elettrica. Occorre quindi accrescere l’intervento delle energie alternative, potenziare ed affinare il processo tecnologico e ribadire socialmente l’esigenza del risparmio.
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Risparmio che trova i suoi benefici persino nel campo della salute legata alla corretta alimentazione. Dico questo, pur se fuori tema, dopo aver assistito al curioso siparietto televisivo tra una esperta nutrizionista ed uno di quei ristoratori che ti danno da mangiare al solo scopo di lucro (alto lucro per loro, si capisce). La gentile signora stava ammonendo garbatamente l’uditorio sull’abuso del sale, dello zucchero, dei grassi, delle spezie, invitando alla moderazione. Potete immaginare la reazione stizzosa dell’abbondante e goffo uomo dei fornelli. A parer suo, quelle pronunziate dalla dietologa erano tutte male parole. Ma, torniamo all’argomento primario. Si sta ormai affermando, nel settore del traffico, la sostituzione del motore a scoppio con quello elettrico: il primo nocivo per la salute, l’altro ad impatto zero. L’attuale circolazione a scoppio ha un peso rilevante in termini di aggressione ambientale, sia per la produzione dei gas di scarico, sia del rumore. Due negatività che il motore elettrico risolve in maniera pressoché radicale. Per il traffico sarebbe una liberazione tale da restituire all’uomo la qualità di vita urbana conforme alle sue naturali esigenze. Pur se i problemi che assillano le città sono anche d'altro genere. Per esempio, le solitudini di condominio, le carenze amministrative e sanitarie, l’urbanizzazione esasperata. È certo che praticare il principio della sostenibilità comporti dei ripensamenti per quanto riguarda il modello di civiltà industriale sino ad oggi realizzato. Taluni effetti aggressivi sono evidenti proprio nel modo di progettare e concepire gli spazi urbanizzati. Terni può fare da archetipo con le sue fabbriche inserite ormai nel territorio storico, con l’edilizia addossata alle aree produttive, con il peso sociale delle grandi aziende. In termini reali vuol dire strade interne percorse da mezzi pesanti, pericoli per l'incolumità dei cittadini, brutta aria da respirare e conseguente alto indice di
malattie; senza peraltro -almeno da qualche anno e diversi altri ancora- corrispettivi sul piano dell’occupazione. Che comunque non vuol dire possibilità di baratto posti di lavoro – salute. A proposito di occupazione che dà necessario sostentamento, l’OCSE ci dice che proprio l’attuale meccanismo di crescita ha generato, in Europa, molti milioni di cittadini in stato di indigenza. Situazione appesantita dai flussi migratori. E aggiunge l’OCSE che, ugualmente in Europa, migliaia e migliaia di morti sono causate da malattie ambientali. Allora, forse utili sarebbero una migliore distribuzione del lavoro e della ricchezza e il risanamento del territorio, dentro e fuori le città. Oggi si sta entrando sempre più nell'ordine di idee di considerare l'uomo (e le sue attività) non soltanto soggetto perturbatore, ma pure soggetto perturbato dalle conseguenze che gli impatti ambientali provocano sulla sanità e sulla cosiddetta qualità della vita. Nuovo raziocinio delle azioni umane significa anche eliminazione degli sprechi e degli eccessi. Ad esempio, quelli alimentari, divenuti una costante in diversi settori, dal domestico al ristorante. È in stridente contrasto con i bisogni crescenti di ampie fasce di popolazione avvicinatesi ai confini della povertà. Si tratta di situazioni di ingiustizia che oggi trovano tentativi di sanatoria nel volontariato laico e cattolico ed invece dovrebbero far carico preminente sulle strutture pubbliche. Ho messo in fila problemi apparentemente sconnessi che invece hanno tra loro un legame: la solidarietà sociale e l’impegno civico di tutti nella ricerca di soluzione. Hanno per nemici: la decadenza del rapporto umano, l’insufficiente sentimento di mutualità. E pure la pigrizia politica e l’arte decadente della promessologia, praticata da alcuni suoi ambienti, nella sempre affannosa ricerca del voto elettorale espresso senza alcun consenso ideale. Che rappresenta il massimo svilimento della cultura democratica.
Tre capisaldi della DEMOCRAZIA
LIBERAZIONE, LAVORO, EUROPA. A
bbiamo alle spalle tre eventi che chiamano altrettanti pilastri fondativi della nostra democrazia repubblicana e del nostro stare insieme, come comunità italiana; il modo in cui abbiamo vissuto, come paese, questi eventi recentissimi ci può fa capire se e quanto tali pilastri siano solidi. I tre eventi sono: il 25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo; il primo maggio, festa del lavoro; le elezioni del Parlamento europeo. Sul 25 Aprile e sul suo valore fondativo delle libertà democratiche e costituzionali che ci tutelano, si sono dovuti registrare strappi gravi alla trama unitaria della celebrazione di un evento storico che segna, per sempre, un cambio di regime e di fase nella vita dell’Italia e degli italiani; ci ha restituito libertà, dignità ed onore, dopo un ventennio fascista caratterizzato dalla dittatura e dalla perdita di ogni libertà, dalla guerra che ha piagato la vita di una intera generazione e stremato il paese, dalle Leggi razziali che hanno coperto di vergogna il regime mussoliniano e l’Italia, dai treni che dalle nostre città portavano, vilmente, famiglie, anziani, madri e bambini verso l’Olocausto dei campi di sterminio nazisti, dall’alleanza del governo fascista con Hitler, il male assoluto nella storia dell’Umanità. Eppure, persino “servitori” della Repubblica, venendo meno al giuramento prestato davanti al suo Presidente, hanno provato a svilire e banalizzare il significato fondativo del 25 Aprile, riaprendo ferite, e suscitando revanscismi improponibili e altamente divisivi da parte dei “fascisti del terzo millennio” e di coloro che, irresponsabilmente, gli lisciano il pelo. La riposta popolare e democratica a questa deriva pericolosa per la democrazia, vi è stata; le piazze ed i cortei del 25 Aprile sono stati affollati di cittadini fedeli alla Costituzione e difensori dei suoi valori. Tuttavia non si deve pensare che il tentativo di disconnettere il segno distintivo della
nostra Repubblica dal suo atto fondativo, la lotta unitaria di liberazione, sia stato abbandonato. Alta dunque deve restare l’attenzione ed anche l’impegno, sapendo che i nemici più insidiosi della democrazia sono proprio coloro che la deturpano e sviliscono agli occhi di tante persone, con comportamenti pubblici gravi nei quali, al posto della “costituzionale” disciplina ed onore, prevalgono corruzione, clientelismo, incapacità e menzogna. Abbiamo poi festeggiato il primo maggio: festa del lavoro, dopo il quale si apre, purtroppo un grande punto interrogativo. Il lavoro manca, soprattutto a troppi giovani e, in particolare, al Sud; quello che c’è, in buona parte, è aggredito dalla precarietà, dalla perdita dei diritti e della dignità, dalla sottoretribuzione. Eppure l’art. 1 della Costituzione afferma che la Repubblica italiana è “fondata”, con le sue libertà democratiche, proprio sul lavoro. Oltre che sulle debolezze antiche di un modello produttivo nazionale e di un “sistema Italia” arretrato che non riesce a supportare il lavoro e l’impresa, nella grande sfida della globalizzazione dei mercati, occorre interrogarsi sull’impatto disgregativo che sul lavoro hanno le nuove tecnologie, se usate fuori da un paradigma di utilità sociale; dalla robotica all’intelligenza artificiale, passando per la semplice digitalizzazione di tante attività manuali ed intellettuali. Non basta dire più investimenti per più lavoro, perché spesso investimenti in nuove tecnologie, comunque necessari, distruggono il lavoro, se non sono accompagnati da ammortizzatori sociali e misure per la creazione di nuove attività. Inoltre, le nuove attività richiedono forza lavoro con nuove conoscenze culturali e competenze professionali; ma i sistemi di istruzione e formazione fanno fatica a qualificare sia i giovani in cerca di primo impiego, sia chi il lavoro lo perde. Insomma accade che la Repubblica sembra
Giacomo PORRAZZINI
non in grado di onorare l’art. 3 della nostra Costituzione, anche perché il passaggio da sudditi del regime monarchico e fascista alla dignità di cittadini della Repubblica presuppone che i legami comunitari fra le persone si rafforzino reciprocamente, a partire dal patto sociale solidaristico di cui è parte essenziale il patto fiscale basato sulla progressività; inoltre, la sovranità effettiva appartiene al popolo se vengono promosse e garantite tutte le opportunità partecipative nell’azione politica e sociale. Il sistema democratico non ha bisogno di princìpi più o meno illuminati e tanto meno di improvvisati capitani di ventura. L’art. 3, in poche fondamentali righe, riassume un intero programma dell’Istituzione repubblicana che, per sorreggersi in equilibrio, deve avanzare per realizzarsi, essere un corpo vivo che cresce in modo armonico senza lasciare nessuno indietro. Le politiche, le leggi, a partire dalle leggi di bilancio che tracciano strategie pluriennali, dovrebbero sempre essere valutate con il metro dell’art. 3; rimuovono o no gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione delle aspettative delle persone; ne promuovono o no la realizzazione? La Repubblica è costituita non solo dalle Istituzioni centrali e locali, ma, anche, da tutto il grande sistema dei corpi intermedi in cui si organizza la società italiana. Essi, con le istituzioni democratiche sono il nerbo della nostra democrazia. Sull’Europa, la prova elettorale cui sono stati chiamati i cittadini europei non serviva a stabilire quale maggioranza e segno avrebbe avuto il Parlamento e la Commissione dell’Unione, ma se, in futuro, ci sarebbe stata ancora una Comunità europea, come livello più alto della coesione e della sovranità dei suoi popoli nella difficile scena del mondo. Il pericolo di una disgregazione dell’Europa sembra scongiurato; ora occorre riformarla per rilanciarne il messaggio di speranza, per i suoi abitanti e per il Pianeta. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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Santa Maria Madre di Dio, eccoci, noi di Aiutiamoli a Vivere, qui davanti a Te dopo un lungo cammino di sofferenze, fatiche, difficoltà, ma con quella passione e quell’impeto mai sopito di fronte alla purezza di un bambino che chiede soltanto di essere aiutato. Siamo giunti fin qui per consacrare tutte le nostre azioni al Tuo AMORE puro e limpido come una sorgente che non smette di far sgorgare PURO AMORE. Avevamo iniziato con Padre Vincenzo Bella che oggi, vicino a Te, Ti presenterà ognuno di noi e sorriderà del nostro essere ancora, di fronte alle malvagità, quei “FESSACCHIOTTI” che lui ha lasciato qui a compiere quanto aveva immaginato potesse realizzarsi. Ti racconterà che già nel 1991 individuammo il nome Aiutiamoli a Vivere, dopo aver letto quella poesia dedicata a tutti quei bambini che non riuscivamo a salvare attraverso il puro e semplice aiuto umanitario.
Aiutiamoli a Vivere Lasciali morire soffrire. Non intervenire. Aiutiamoli a vivere. Questo ci farà sorridere superare le angustie e le ire, ci aiuterà ad amare, a non disperare. Con piccoli gesti, con aiuti modesti, li conquisterai ed essi si illumineranno e cresceranno in un alone di speranza che premia la tua costanza, il tuo impegno nella lontananza. Vedrai vincere l’essenza sull’ignoranza. Aiutiamoli a vivere, distruggiamo i generatori di morte, costruiamo, coltiviamo la mente. Essa saprà apprezzare e vedrà i propri bambini, non più oppressi da un buio funesto, che predice lutto e pianto mesto, colpiti da una nuova luce intensa e tenace, che libera lo spirito e ti indica con un dito la via da seguire, quella di… Aiutiamoli a vivere. 36
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Poi, perdendo Padre Vincenzo, Sandro Bernardi, Sant’Ermanno, siamo stati costretti a camminare da soli e tutto cominciò a farsi difficile e ad apparire insormontabile. Qualcuno, pensando di utilizzare la propria posizione privilegiata, decise, con menzogne, ipocrisia e zizzanie di cancellare la Fondazione Aiutiamoli a Vivere e creare qualcosa che potesse essere governata con superficialità e con quell’effimera certezza che si possa fare a meno di quella carezza divina che si ascoltava ogni giorno quando tutti comprendevamo che si era soltanto uno strumento nelle mani di Dio che operava attraverso la FAV. Tutto oggi, davanti a Te, torna a compiersi: le scelte, le azioni, i risultati, la crescita della FAV che è tornata a risplendere proprio da quel giorno, quando il Tuo umile servo e frate Minore Conventuale Padre Luigi Faraglia, che non accettava la chiusura del Convento di S. Antonio di Cattolica, chiese di poterlo utilizzare per dare asilo ai bambini bielorussi e restituire così al convento quella capacità di accogliere, curare e donare amore, quell’amore che è la vita stessa dei frati, anche per effetto della costituzione voluta da San Francesco d’Assisi. La risposta, senza pensarci un secondo, fu “AFFARE FATTO” ed oggi Santa Maria Madre di Dio, non solo abbiamo salvato il convento di S. Antonio da Padova di Cattolica, ma stiamo lavorando con Padre Franco Buonamano ed il suo economo Padre Sergio Cognigni per salvare i conventi destinati alla chiusura, riportandoli al loro splendore iniziale, ma, soprattutto, tornando ad utilizzarli come Tu ci hai insegnato, con quella fraternità, amore e disponibilità che rende prezioso il Tuo operato e che, come Tuo dono, consente di vedere risplendere gli occhi di quei bambini malati che tornano a sorridere alla vita e risplendono di luce gioiosa e colma di speranza. Santa Maria Madre di Dio, Aiutaci a conservare la spontaneità iniziale che ci fece vedere negli occhi di quei bambini la speranza di potercela fare, donaci quella forza, quell’impeto e quella passione che ardono nel cuore di chi cerca ed anela la certezza di essere tra le Tue braccia, come un bambino tra le braccia di sua Madre: tutto
il dolore, le sofferenze, il pianto improvvisamente scompaiono perché ti senti coccolato e amato da tua Madre. Ascolta la nostra preghiera per tutti quei bambini che continuano ad ammalarsi e morire nonostante il nostro aiuto e la nostra disponibilità ad accoglierli nelle nostre case. Infondi nelle famiglie italiane quello spirito iniziale che le vide in prima linea nel donare amore a tutti quei bambini colpiti dalle radiazioni di Cernobyl e non persero tempo nell’aprire le proprie case per sperimentare quell’iniziativa di Accoglienza Temporanea Terapeutica che ancora oggi genera speranza, ma che ha bisogno di rinnovata grazia per tornare a far crescere il numero di famiglie pronte ad aprirsi, senza paura, all’amore verso un bambino che chiede soltanto di essere amato. Dona a noi e ai Frati Minori Conventuali della Provincia Italiana di San Francesco che ci accompagnano in questa missione di Accoglienza Temporanea Terapeutica dei bambini e di tutti coloro che avranno bisogno del nostro aiuto, un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal Suo Amore, con una piaga che non si rimargini se non in cielo. Santa Maria Madre di Dio, Ti abbiamo raccontato le emozioni vissute, le forti pressioni, i rimpianti per avere qui davanti a Te, tutti coloro che hanno donato la propria vita per far felice un bambino, ma Tu tutto questo lo sai già, ma per tutti noi è la necessità di farci comprendere ed apprezzare da Te senza aver paura di perdere la comoda sicurezza di una “vita tranquilla”. Consacrare la FAV a Te, Santa Maria Madre di Dio è donare oggi ogni azione della nostra vita nell’ESSERE FAV attraverso l’AMORE per i bambini e per tutti coloro che soffrono per non avere una famiglia, ma anche verso la povertà, la miseria, la precarietà, il dubbio, la certezza e così via come in un crescendo d’AMORE, che urge di essere espresso, non solo nel quotidiano esistere, ma anche consacrandole a Te Santa Maria Madre di Dio perché anche tutti coloro che ci conosceranno possano sapere, partecipare e riconoscersi in ciò che noi siamo: Aiutiamoli a Vivere.
Fondazione Aiutiamoli a VIVERE organizzazione non governativa sede nazionale di Terni Via XX Settembre, 166 - Terni Tel. 0744/279560 - Fax 0744/282460 e-mail: fondaav@tin.it Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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AAA Anatocismo! Avv. Marta PETROCCHI legalepetrocchi@tiscali.it
S
i sente parlare con frequenza di anatocismo, ma che cos’è esattamente e perché può riguardare molti? L’anatocismo si verifica quando si calcolano gli interessi sugli interessi che sono già maturati. Gli interessi così maturati si trasformano in capitale e, a loro volta, producono interesse, che si chiama interesse composto. Come sempre, occorre prestare grande attenzione nei rapporti con la Banca. Quando si ha un conto corrente, ipotesi più frequente, il correntista può utilizzare il credito eventualmente accordato dalla banca con le forme dello scoperto di conto o dell’apertura di credito. In questo caso è bene ricordare che: gli interessi passivi maturati non possono produrre altri interessi; gli interessi passivi e attivi devono essere calcolati con la stessa periodicità; il periodo di conteggio degli interessi non può essere inferiore a un anno; gli interessi passivi, pertanto, sono calcolati al 31 dicembre, ma vanno pagati il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Le banche devono indicare in modo separato gli interessi dal capitale per consentire al cliente di conoscere sempre la somma dovuta a titolo di interessi. Dal 31 dicembre al 1° marzo dell’anno successivo, la banca non può riscuotere il suo credito e non maturano interessi sulla somma dovuta. Durante questo periodo il cliente può valutare il modo migliore per estinguere il debito. È importante sapere che se viene autorizzato l’addebito in conto e il conto è in attivo, gli interessi dovuti si compensano ed il debito si azzera o si riduce. Qualora al 1° marzo, invece, il conto presenti un saldo negativo, la somma dovuta a titolo di interessi si “trasforma” in capitale ed inizia a sua volta a produrre interessi. Il cliente deve esprimere il suo consenso all’addebito in modo espresso e specifico. In ogni caso può revocare sempre l’autorizzazione,
purché prima dell’effettuazione dei singoli addebiti. Il meccanismo dell’addebito in conto è utile se il cliente non ha altro modo di pagare gli interessi passivi, in quanto gli consente di evitare le conseguenze di un inadempimento. Questo meccanismo comporta, giova ripetere, che, in caso di conto con saldo negativo, gli interessi si sommano al capitale e cominciano a produrre altri interessi. Ecco l’anatocismo! Il cliente è libero di non dare l’autorizzazione all’addebito in conto, in questo caso si dovranno pagare gli interessi passivi alla loro scadenza con altre modalità come con il pagamento in contanti o mediante un bonifico da altra banca. Anche quando ha dato l’autorizzazione il cliente può sempre revocarla purché prima dell’addebito degli interessi in conto. È bene sapere che il cliente, se non è soddisfatto del servizio offerto, può sempre ricorrere all’ufficio Reclami della banca che deve rispondere entro 30 giorni. Qualora la risposta non sia soddisfacente o non vi sia stata affatto risposta, il cliente può presentare ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, detto anche ABF. L’ABF è un sistema di risoluzione delle controversie più semplice, rapido ed economico rispetto al ricorso al giudice, ma le sue decisione non sono vincolanti, per cui se la Banca non ottempera spontaneamente è necessario ricorrere al Giudice. Il procedimento si svolge in forma scritta compilando un modulo disponibile sul sito dell’ABF corredato da tutta la documentazione a sostegno della propria posizione. Non è necessario l’intervento di un avvocato. Il cliente che intende segnalare un comportamento asseritamente scorretto da parte di una banca o altra societá finanziaria può anche presentare un esposto alla Banca d’Italia.
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Tra gli alberi in fiore e le piogge scroscianti di questa strana primavera, un'immagine cattura l'attenzione, tra le strade dei paesini umbri e le bacheche cittadine! Le solite sagre, le taverne estive, le orchestre nelle feste di paese e poi Adriano e la bottega dell'arte. Scatta la curiosità: dov'è questa bottega? E cos'è quest'arte? La bottega si trova a Quadrelli, piccolo borgo di Montecastrilli, in via Isonzo 21, e l'arte che si crea è l'arte della musica! Chi è questo Adriano che si cimenta in questa arte? È Adriano Bernardini, un musicista ternano noto nel mondo della musica per tanti spettacoli di successo realizzati, insieme alla sua orchestra, con le scuole. È anche noto per aver scritto tanti testi popolari per il Cantamaggio ternano. Ha inoltre, quest'anno, creato una webradio che propone un modo innovativo per comunicare nuova musica attraverso parole, nuove conoscenze e cultura. Ha dato il suo contributo al pubblico ternano ideando e realizzando, con altri artisti, un evento spettacolo unico a Terni, al teatro Secci, per la celebrazione del ventennale della morte di Fabrizio De Andrè. Due anni fa Adriano ha lasciato la sua orchestra perché era alla ricerca di
altro! La musica itinerante delle sagre e dei paesi era la sua arte, ma non poteva più bastargli. Era alla ricerca di una spiritualità interiore che desse risposte ed espressione al suo essere, alla sua creatività! Dopo un periodo di studio e riflessione, ha cercato musicisti che potessero condividere con lui un modo diverso di fare musica, che cantassero e suonassero insieme a lui in modo innovativo e vivace. Si ripresenta oggi al palcoscenico ternano con la sua bottega e con un repertorio più vasto. Un repertorio che è musica e arte insieme, che propone folklore e tradizione, mixages musicali e rivisitazioni di canzoni celebri, creazioni personali e studio di testi, analisi critica e presentazioni in chiave moderna! Sembrerà strano, ma la bottega dell'arte è tutto questo! Si propone quest'anno nelle feste di paese, ma anche nei teatri ternani per offrire qualcosa di più, smuovere cioè l'attuale livellamento culturale e cercare di dimostrare qualcosa di più profondo! È la crescita di un artista che attraverso le sue opere offre al suo pubblico la possibilità di una maggiore conoscenza, di una cultura più vasta, di una crescita culturale!
CONSORZIO DI BON Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it www.teverenera.it
La Settimana nazionale della Bonifica è stata un successo. Lo dice il presidente Massimo Manni che sottolinea i risultati positivi raggiunti. Il primo, quello di aver rimesso il Consorzio al centro del confronto fra istituzioni per le questioni riguardanti la tutela e la sicurezza del territorio a favore dei cittadini e del tessuto economico. Il secondo, per aver riattivato una forte collaborazione con le associazioni di categoria; il terzo per aver ridisegnato un ruolo del TevereNera nei rapporti e nel dialogo con l’Università, in particolare con Ingegneria a Terni e Agraria a Perugia. Il quarto, per aver visto un’ottima partecipazione dei cittadini agli eventi programmati durante la Settimana. “La Settimana della Bonifica–dichiara il presidente del consorzio TevereNera, Massimo Manni- è stata l’occasione per illustrare le attività del consorzio, gli investimenti fatti e quelli in programma a favore della sicurezza idraulica, dei cittadini, dello sviluppo economico e della tutela del territorio”. I focus hanno riguardato molti settori e argomenti, in particolare sugli impianti che sono destinati alla distribuzione irrigua con condotte a pressione nel comprensorio del fiume Nera. “Si tratta –specifica Manni- di un’area di 1.200 ettari, di cui 1.100 irrigabili, divisa in tre distretti irrigui: “Le Sore”, “Camminate” e “Campo del Duca”. Sempre Manni ricorda il progettato ammodernamento di alcuni impianti per un costo di oltre 2 milioni di euro, finanziati dalla Regione Umbria nell’ambito del Psr 2014-2020. I lavori partiranno il prossimo anno. 40
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IFICA TEVERE NERA Orario di apertura al Pubblico Lunedì - Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
Molto importante è stata l’attenzione posta sul tema dell’acqua e sulla sua gestione sostenibile in rapporto alla crescita demografica e al cambiamento climatico in atto che impone un uso diverso della risorsa anche alle attività agricole. Importante la giornata di venerdì 17 maggio con l’inaugurazione dei lavori sul fiume Nera. Oltre 4 milioni di investimento e una lunghezza di 4 chilometri di argine nell’area di Maratta fino alla confluenza con lo svincolo della superstrada per mettere in sicurezza le aree produttive ed industriali. “Si tratta di un’opera di grande importanza –dice il presidente Manni– che ha lo scopo di tutelare le attività produttive della zona e aumentare i livelli di sicurezza sia per il sistema produttivo che per i cittadini. È inoltre -ha aggiunto– un bell’esempio di collaborazione fra vari enti e soggetti tecnici e istituzionali che in modo virtuoso hanno realizzato un intervento a favore della collettività. Il percorso ricavato sulla parte superiore degli argini –ha infine sottolineato Manni– è anche una parte del tragitto di mobilità dolce che sarà realizzato fra Terni e Narni, valorizzando così quest’area anche dal punto di vista ambientale e del tempo libero”. Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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SE QUESTA È UNA DONNA. Com’è ormai tradizione, anche per il 2019, nel “Giorno della memoria”, i ragazzi del Liceo Classico di Terni hanno proposto un’antologia di testi di scrittura creativa, elaborati per l’occasione: lettere, pagine di diario, monologhi, racconti, poesie… Ancora una volta il tema scelto -“Se questa è una donna. La condizione femminile nella Shoah”- è stato esplorato intrecciando il registro dell’argomentazione razionale con quello della condivisione empatica e dunque coniugando il vero storico (date, fatti e contesti, che devono essere conosciuti in modo accurato e puntuale) con il verosimile psicologico (sensazioni, emozioni e sentimenti delle donne e degli uomini coinvolti nella vicenda storica, che possono essere solo immaginati). Con questo approccio, che non deprime la libertà creativa ma la stimola, ciascuno ha impegnato la propria sensibilità e la propria intelligenza, portando una piccola tessera nuova al mosaico della memoria. Così la pietas per i morti della Shoah può tradursi in impegno civile e tensione educativa per i vivi di oggi, secondo quella istanza di attualizzazione che della memoria pubblica deve costituire l’altro versante. I testi tracciano profili femminili assai diversi: vittime e carnefici, donne e bambine, ebree e non ebree. Ha senso guardare lo sterminio con questa ottica? Le donne rappresentarono oltre la metà delle vittime ebree della Shoah. Le atrocità naziste colpirono le donne ebree sia in quanto ebree che in quanto donne. La loro condizione nei ghetti, nelle strutture di lavoro forzato, nei campi di sterminio era resa particolarmente tragica da una sorta di incongruenza che si annidava nell’ideologia nazista, in cui il principio della diseguaglianza tra i sessi, mutuato dalla cultura borghese contemporanea, si univa a una rottura radicale con quella stessa cultura, incline almeno a risarcire la presunta inferiorità femminile con forme di tutela. È significativo che il lavoro femminile fosse pagato meno di quello maschile negli accordi tra le imprese private e le SS per la “cessione in affitto” di lavoratori internati; che ad AuschwitzBirkenau le baracche della sezione femminile fossero decisamente peggiori di quelle della sezione maschile; che certe procedure nei campi, come la rasatura dei capelli, la disinfestazione e le ispezioni corporali fossero particolarmente umilianti per le donne, assumendo più che per gli uomini significati degradanti e implicazioni sessuali dirette. Così, mentre ribadiva con forza l’inferiorità della donna, il nazismo dissolveva senza residui l’arsenale simbolico ed emotivo che a quella inferiorità, bisognosa di protezione maschile, si era spesso richiamato: maternità, dolcezza, delicatezza, pudore… Basti ricordare i cosiddetti esperimenti medici sulla contraccezione e la fertilità o quelli che intendevano verificare quanto a lungo bambini appena nati, sottratti alle cure delle madri, potessero sopravvivere senza nutrimento. Per tutte quelle costrette a patire nella carne e nello spirito una simile tortura -oltre che essere offese, affamate e percosse, prima di essere avviate alla camera a gas- sembra risuonare con insistenza insopportabile la domanda di Pierre de Marivaux: “Limitati in tutto, come mai lo siamo così poco nel soffrire?”. Liliana Segre, deportata nel Lager femminile di Auschwitz-Birkenau all’età di tredici anni, afferma: “Nel Lager ho sentito con molta forza il pudore violato, il disprezzo dei nazisti maschi verso donne umiliate. Non credo assolutamente che gli uomini provassero la stessa cosa”. ”Qualunque delinquente comune aveva diritto di vita e di morte su noi donne ebree, generatrici di un popolo odioso. E tuttavia noi di questo, allora, non eravamo consapevoli. Sapevamo la sopraffazione, la vergogna, la brutale umiliazione che ci spogliava della nostra umanità, e con essa anche della nostra femminilità”. Di fronte alle vittime si stagliano poi le carnefici, che pure non mancarono, sebbene, ancora in ottemperanza al principio della diseguaglianza tra i sessi, non occupassero mai posti di rilievo nell’organizzazione e gestione dei campi. Qualche testo s’è avventurato anche in questo sentiero tenebroso e scosceso. Insomma, focalizzare la riflessione sulla condizione femminile nella Shoah non banalizza ma arricchisce la comprensione del fenomeno, così come uno studio incentrato su un singolo evento, un singolo personaggio. Anche se atroci e disumani furono i patimenti di tutti, alcune diversità di genere concorsero certamente a inasprirli, come afferma la poetessa Edith Bruck nel libro In difesa del padre: “Nascere per caso / nascere donna / ... / nascere ebrea / è troppo / in una sola vita…“ Prof.sse Marisa D’Ulizia e Loretta Calabrini
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ALLA RICERCA DI LUCIA “Donna, madre, nonna. Non sono mai stata nulla di tutto questo e mai lo potrò essere. Sono morta. Morta a diciassette anni per aver avuto il torto di nascere. Un giorno del 1944 -credo fosse settembre, o forse era ancora agosto… scusate, non posso essere più precisa– il cuore ha smesso di battere dentro quel petto scavato, che aveva perso qualunque fattezza femminile. So che è assurdo, ma a pensarci sorrido. Non lasciatevi ingannare, è un sorriso amaro, che più amaro non si può. Non ho neppure avuto il diritto di conoscere la data esatta in cui ho lasciato questo mondo. Tutto è avvolto da una patina grigia. Lo stesso grigiore che mi ha fagocitata appena scesa da quel carro bestiame nel quale ero stata stipata con mio padre e mio fratello. Varcata la soglia di Birkenau, grigio era il cielo sopra le nostre teste; grigi i pigiami che ci sono stati dati per coprirci; color ghiaccio gli occhi delle kapò che ci guardavano con disgusto. Persino la nostra carnagione aveva perso qualunque sfumatura rosea per lasciar spazio ad un sottotono plumbeo. Sembrava ci volessimo mimetizzare con l’ambiente che ci contornava. Era una lotta quotidiana a risultare più trasparenti possibili. Meno ti notavi, meno eri te stessa, meno eri una persona, più eri un numero, più ti dissociavi da quello che ti accadeva intorno, più speranze avevi di risvegliarti il giorno seguente. Ero arrivata a non voler neanche ricordare chi fosse stata Lucia Modiano. Il pensare a quella ragazza tanto legata al suo amorevole padre Giacobbe e immensamente attaccata al suo fratellino minore Sami mi rendeva dannosamente debole. Mi sforzavo di non portare alla mente la mia bella Rodi, che avevo lasciato illuminata da un magnifico sole estivo, che faceva vibrare il blu intenso del mare ed il verde smeraldo della vegetazione. Tutto del passato così vicino sembrava incommensurabilmente lontano e mi dilaniava. Io ero solo uno dei tanti fantasmi rasati che vagavano nel Lager B del campo di lavoro di Birkenau, che ricevevano 125 grammi di pane ogni ventiquattro ore per sfamarsi e che, almeno una volta durante il loro soggiorno forzato, avevano pianto, singhiozzando in silenzio per non disturbare gli scheletri che dormivano nella stessa baracca. Ero stata così brava da riuscire a divenire una sorta di automa. Lucia non esisteva più e ne ero contenta. Solo questo mi permetteva di andare avanti. Solo l’essere nessuno mi rendeva capace di vivere quella situazione inumana. Una sera, mentre rientravo dal lavoro che mi aveva distrutta, il vento penetrava la sottile trama della
LA CONDIZIONE FEMMINILE NELLA tela e lo sentivo pugnalarmi da tutte le direzioni. Nel tentativo di divincolarmi da quella morsa mi sono mossa di scatto e il mio sguardo è caduto dall’altra parte del filo spinato ad alta tensione. Anche nel Lager A tutto era in movimento. Un movimento però tanto monotono da risultare nell’insieme immobile. Piccole formiche, puntini neri, che erano stati individui, rientravano nelle rispettive baracche per riposare, proprio come me. Tutto andava nel modo in cui doveva andare. Ogni ingranaggio si muoveva al ritmo scandito dai manganelli e dagli urli in lingua tedesca. Sullo sfondo, quei mostri dalle bocche instancabili da cui usciva fumo in qualsiasi ora. Stagliata dal cupo paesaggio emergeva una figura. Era buffa a guardarla: faceva fatica a mettere un piede davanti all’altro, il pigiama troppo grande gli si infilava sotto gli zoccoli e ad ogni passo rischiava di scivolare. Così andava in giro come una marionetta dinoccolata, sgraziata, ma simpatica per quella sua strana postura. Più fissavo quel ragazzo più mi veniva da ridere. Non ridevo da oramai troppo tempo e per una stupidaggine del genere sghignazzavo come una bambina a cui viene fatto il solletico. Improvvisamente, si volta verso di me. Riconosco subito quella testolina tonda tonda: era Sami! Lo saluto con la mano, tentando di attirare la sua attenzione. In quel momento non volevo più essere trasparente. Desideravo che mi vedesse con tutte le mie forze. Con lui potevo essere Lucia. Dovevo essere Lucia. Saranno passati dieci secondi da quando ho iniziato a sbracciare a quando ha capito che ero io. I dieci secondi più lunghi della mia vita. Avevo paura di essere diventata un camaleonte talmente abile da riuscire a non farmi vedere neppure da mio fratello. Temevo che continuasse a camminare senza intuire chi fossi. Ero terrorizzata dal fatto che persino lui si fosse dimenticato di me, insieme al resto del mondo. Invece Sami non mi ha deluso e ha cominciato a mandarmi baci, faceva cenno di volermi abbracciare e stringere a sé, come era nostra abitudine prima di tutto, anzi prima del niente. Per cinque o sei sere ci siamo dati appuntamento allo stesso posto, alla medesima ora. Non potevamo parlarci, ma i gesti e gli sguardi ci bastavano per ricolmare di amore quei cuori che cercavano di toglierci dopo che ci avevano portato via le nostre case, i nostri affetti e la nostra identità. Grazie a lui, negli ultimi giorni della mia breve esistenza sono tornata me stessa. Ero uno scheletro sì, un fantasma nel nulla, di cui probabilmente nessuno si sarebbe ricordato, ma ero Lucia. Forse, se non avessi rivisto Sami, avrei continuato ad essere una macchina. E forse sarei uscita da Birkenau il 27 gennaio del 1945, viva. Però, non sono certa che Lucia sarebbe sopravvissuta.” Costanza Maria Morcella Classe III E
SHOAH
CARA MAMMA Berlino, 27/01/2000 Cara mamma, non so perché io abbia atteso tanto prima di trovare il coraggio di prendere carta e penna e scriverti queste parole, probabilmente perché io e te siamo state sempre troppo brave con gli sguardi ma quasi mai lo siamo state con le parole. Era inevitabile, tu sei sempre stata una donna taciturna: mai una parola fuori posto, mai una risata di troppo, mai una lacrima. Avevi quella compostezza tipica di chi ha sofferto tanto, forse troppo. Io invece sono sempre stata una di slanci, di emozioni o bianche o nere, mai grigie. E tu mi dicevi che forse un giorno avrei capito quanto ti era costata quella compostezza, quanto era difficile essere donna ai nostri giorni. Ti eri arresa. a come biasimarti? Ricordo ancora quel giorno in cui sono tornata a casa dopo una giornata di scuola e ti ho raccontato che ci avevano parlato dell’Olocausto. La tua pelle divenne pallida, i tuoi occhi subito tristi. Quel giorno mi raccontasti odori, suoni e immagini che nessun uomo merita di vivere. Mi raccontasti i pianti dei bambini strappati dalle braccia delle madri, le urla di queste ultime, l’odore acre di morte e terrore. Da quel giorno non ne parlammo mai più, sarebbe stato troppo difficile trovare le parole per descrivere quanto accadde tra quelle mura, ma con la curiosità di un’adolescente cominciai ad addentrarmi in quelle storie, cercando di districare quel gomitolo di storia che aveva coinvolto uomini e donne solo perché ebrei. Lessi di stupri, di esperimenti scientifici, di iniezioni per provocare l’infertilità, di donne che partorivano nei campi e vedevano i propri figli morire tra le loro braccia. Oggi ti ho scritto questa lettera per dirti, mamma, che anche se tu ti sei arresa, io ho cercato di trovare la forza per te. Una settimana fa, mentre ero finalmente a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro, sono stata chiamata in ospedale per un’emergenza: un uomo molto anziano stava per essere portato in pronto soccorso a causa di un incidente stradale ed ero l’unica a poterlo salvare. Non appena lessi la cartella clinica e vidi quel nome mi venne un colpo al cuore. Quel nome così cacofonico, così terribile. Era il nome del tuo carnefice. Dell’uomo che ti aveva privato della gioia di vivere e che ti aveva segnata per sempre. Era il nome del tuo stupratore nel campo. Dare un volto a quel nome aveva reso quel dolore più forte, più insopportabile. Avrei voluto gridare, scappare, ribellarmi, ma rimasi immobile osservando le pareti verdi dell’ospedale. A riportarmi alla realtà furono i pianti di una donna, probabilmente della mia stessa età: seduta e disperata chiedeva informazioni su come stesse suo padre. Quelle lacrime e quei gemiti mi riportarono ai tuoi racconti, mamma. Mi riportarono ai pianti disperati di bambini e donne come te e alle lacrime sommesse degli uomini. Pensai a quanto avrei sofferto io, in quella sala d’attesa, costretta ad aspettare un responso di vita o di morte. Senza possibili vie di mezzo. Quel giorno sono stata messa a dura prova, dovevo scegliere se rispondere all’odio con altro odio e non salvare la vita a quell’uomo, oppure rispondere all’odio con amore e dargli una speranza di salvezza, nonostante ci avesse fatto male, perché il male fatto a te è inevitabilmente anche mio. Quel giorno ho deciso che avrei dovuto liberarti da quella rigida compostezza che ti caratterizzava e che avrei dovuto perdonare per te, che avrei dovuto superare e ho salvato la vita di quell’uomo, con la speranza che questo avrebbe salvato anche me e te. Con amore, Tua figlia Siria Toscano Classe III D Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura
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IL PROFUMO DELLA CIOCCOLATA Mi svegliai di soprassalto. Tutto taceva nella baracca, sebbene il silenzio della notte talvolta venisse interrotto dai sussulti delle altre donne, con le membra indolenzite dall’enorme sforzo del giorno prima. L’aria era soffocante, così mi alzai d’istinto, spinta da un bisogno immediato di trovare uno spazio più aperto e, piuttosto velocemente, scivolai fuori in silenzio, facendo attenzione ad ogni minimo passo per non provocare alcun rumore. Mi sedetti in prossimità dell’ingresso, raccolta su me stessa a guardare il cielo che brulicava di stelle: era una vista magnifica perché l’inquietudine della notte veniva stemperata da quei piccoli lumi splendenti. Subito, come una sorta di scatole cinesi, quell’immagine richiamò una sfilza di altri ricordi della mia vita di prima, che dopo quello che stavo vivendo avevo accantonato in un angolo seminascosto della mia mente... Quella vista era riuscita a scavare tra i ruderi dei miei ricordi e a farmi capire come quella che stavo vivendo, in quel momento, non era la mia vita, ma interruzione della vita e minacciava costantemente di annullare la mia identità. Tra i mille pensieri che scorrevano sulla pellicola della memoria mi soffermai intensamente su uno: mi trovavo a scuola e stavamo leggendo il passo della Bibbia sull’origine del Creato e in quella lezione la nostra insegnante ci aveva spiegato come Dio fosse Buono e Giusto per aver generato tutto quanto esista nel mondo… Avevo smesso di crederci da un bel po’ a questo mucchio di belle parole. A che è servita la Sua bontà calibrata alla cattiveria degli uomini? A che è servita la Sua giustizia se presupponeva la vittoria dell’ingiustizia? Perché tanto è innegabile... Vince sempre lei e il posto in cui mi trovavo ne era la prova più chiara. Ma soprattutto: dov’era Dio in quel posto? Mi arrovellavo su questa domanda a cui non trovavo spiegazione, se non che avesse abbandonato tutti noi, ma… come aveva potuto, noi, così ligi e devoti a Lui? Purtroppo arrivò anche il mio turno: era l’8 luglio 1944 quando dal ghetto di Kovno il treno mi portò al campo di concentramento di Stutthof. Non sapevo quale fosse la mia meta, né che ne sarebbe stato di me, sapevo solo che ero stata completamente dimenticata da Dio. Questa consapevolezza mi ha sempre angustiato e perciò, anche se sapevo che era una cosa futile e stupida, continuavo ad affidarmi a lui, a cercarlo. Tuttavia, ogni cosa che accadeva lì dentro era un punto a svantaggio della mia ricerca, come quando io e le altre donne venivamo radunate ogni mese per essere sottoposte ad una selezione, un tribunale della vita o della morte posto in fondo alla stanza che decretava la sentenza finale: riuscivi ancora a lavorare? Allora dovevi andare a destra; non riuscivi più a lavorare? La tua fila era quella di sinistra. Tutte le volte a compiere questa analisi erano gli occhi di ghiaccio di un dottore ben pasciuto e tronfio, come se si sentisse veramente la forma più evoluta della razza ariana, che penetravano dietro due lenti sottili il mio corpo nudo e menomato, quasi volesse andare oltre la mia pelle, togliermela di dosso, spogliarmi del pudore più di quanto avesse già fatto. Oppure quando ogni giorno mi lavavo la faccia in un secchio d’acqua putrida e dovevo vedere il mio riflesso irriconoscibile: un impasto di sudore e terriccio nascondeva labilmente il pallore di un volto sconvolto e emaciato, occhi incavati in fosse nere che mi invecchiavano di almeno 10 anni, labbra screpolate e piene di piccoli tagli a causa del freddo ma la cosa più terribile di quella visione era la mia testa rasata, completamente nuda… era la cosa che mi faceva
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più male. Anche l’aguzzina che mi aveva tagliato i capelli era una donna e non sapeva forse quanto i capelli sono importanti per una ragazza? E io che amavo nascondere il viso in quella folta chioma, che mi scostavo tutte le volte che provavano a toccarli, come avevo potuto permettere che una kapò commettesse quel sacrilegio? Il mio sentirmi donna se ne era andato via con ogni ricciolo d’oro, falciato brutalmente dalla macchinetta. Il numero cucito sulla palandrana, per quanto fosse solo un numero, era l’unica cosa che mi distingueva dalle altre ragazze, che sentivo veramente mio. Eppure per i soldati noi non eravamo donne, eravamo “stucke”, “pezzi”. “Quanti stucke hai nella tua baracca?”, si chiedevano le guardie tra loro al momento dell’appello… L’unico “beneficio” che ci concedevano era una brodaglia di pane secco e bucce di patate, semifredda, su cui a fine giornata mi avventavo con avidità, ingozzandomi direttamente dal bordo della scodella, attenta a non lasciare nemmeno una briciola, per paura che me la portassero via. C’era qualcosa di animalesco nel modo in cui divoravo quell’unico cibo… ma era proprio questo l’obiettivo dei tedeschi: spogliarti, rasarti, ricoprirti di insulti, privarti completamente della tua umanità per confermare quello che loro pensavano di noi, una sporca razza di animali. Mi guardai attorno: il filo spinato, le tegole di legno delle baracche, i pali della luce, gli indumenti che indossavo. Eppure qualcuno aveva contribuito a costruire questa fabbrica della morte: com’era possibile che ci fossero stati uomini capaci di obbedire agli ordini imposti senza chiedersi a cosa servissero le camere a gas, i forni crematori, le baracche. Non avevano forse voltato la faccia dall’altra parte, immersi nella nebbia della zona grigia? Non si erano forse macchiati di indifferenza, la violenza più grave? La notte con il suo silenzio stava lì, ad ascoltare la mia confessione per una colpa occulta che mi aveva relegato nel campo e, in un pianto tutto taciturno, privo di singulti, sussurrai il riscatto che pretendevo per quella terribile espiazione: “Sono Trudi Birger. Ho 16 anni. Voglio restare viva per risentire il profumo della cioccolata”. Istintivamente alzai la testa verso il cielo e il mio sguardo cadde su una stella che stava di fronte a me e brillava più intensamente delle altre… Dio, sei forse Tu? Ilaria Depretis Classe III B
CARO DIARIO Caro diario, mamma se n’è andata. Ha lasciato la baracca 6 stamattina alle 4:45 come tutte le mattine e non è più tornata. Forse il papà l’ha trovata, forse l’hanno lasciata andare. Le altre donne dicono che andrà tutto bene, che è andata in un posto migliore, che ha smesso di soffrire. Ma anche io vorrei smettere di aver fame. Vorrei avere un maglione, un paio di scarpe della mia misura e vorrei tanto riavere i miei occhiali. Non che ci sia nulla di bello da vedere, anzi. È tutto grigio qui. Le persone, le divise dei comandanti, il filo spinato che ci divide dal mondo. Solo il cielo a volte si permette di essere azzurro. Dello stesso azzurro di quei pomeriggi quando con la nonna andavamo al parco. A volte è persino dello stesso colore della volta sopra la sinagoga di Livorno, il sabato. Eppure quante cose sono cambiate sotto questo cielo. La nonna non l’ho più vista. L’hanno messa in fila da un’altra parte. Non so dove sia andata, magari anche lei ora è in un posto migliore. Tutti i posti sono migliori di qui. Caro diario, ricordo di aver studiato a scuola la “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Se fosse questo un nuovo girone infernale non sarei sorpresa: i lavori che facciamo, i modi con cui ci trattano, tutto fa parte del nostro personale inferno. Non so quale sia stata la nostra colpa. C’è chi dice che il nostro unico peccato sia stato essere nati ebrei nell’epoca sbagliata. Caro diario, oggi ho scoperto un altro lavoro al campo. È una mansione riservata solo alle donne. Noi che abbiamo sempre qualche pezzo in più da poter vendere. L’ho scoperta quando ho rivisto Felicja, un’altra di quelle che erano scomparse. Ma non era svanita, semplicemente era stata destinata ad un’altra baracca. Una baracca speciale però, frequentata anche da uomini. Il suo nuovo inferno era racchiuso tra le quattro pareti di una camera da letto. Ogni tanto qualcuno entrava e piano la uccideva. Pezzo dopo pezzo ha venduto tutto ciò che le rimaneva. Le donne ebree non potevano ricoprire questa mansione speciale, nessun uomo avrebbe mai voluto entrare nel loro letto. Io non correvo questo rischio. A ognuno il suo inferno. Caro diario, Felicja è morta. Ha sfidato il filo spinato ed è rimasta folgorata. Avrà cercato di scappare, sperava di poter raggiungere la città ripercorrendo quei maledetti binari che ci hanno condotto fin qui. Aspettava un bambino sai? O forse una bambina. È per questo che non poteva più svolgere il suo
compito alla baracca degli uomini. Eppure lo sapeva che il filo spinato non lascia scampo. Lo sapeva eccome. Non era la prima volta che qualcuno tentava di varcarlo, sempre con lo stesso risultato. Anche se nessuno osa chiamare l’accaduto con il suo vero nome, tutte hanno capito. Cosa ne sarebbe stato della creatura? Cosa ne sarà di noi? Fino a che punto potremo resistere? Caro diario, anzi… cara me, è difficile scrivere dal di fuori. È difficile scrivere dal dopo. Sono stata una delle poche che è riuscita a varcare una seconda volta quei cancelli infernali. Troppe compagne sono rimaste intrappolate nel girone. Fuori sono cambiate tante cose, dentro è crollato tutto. Anche io sono morta in quella maledetta baracca. La parte di me che è sopravvissuta è più un fantasma che un essere umano in carne ed ossa. Cammino per le strade vuote, buie. Fanno contrasto con questo maledetto cielo… maledetto cielo, mi hai preso tutto. Maledetto odio, che ci ha rinchiuso, ci ha stuprate, torturate, uccise. Maledetti ordini, maledetti comandanti. Maledetta Felicja, che sei morta così presto, che sei morta così. Il segreto era riuscire a resistere fino alla fine del giorno, restare aggrappati a quel brandello di te che ancora ostinatamente abbracciava la vita. Io sono sopravvissuta, mia madre no, la prigioniera
3137 è morta in una camera a gas. Si chiama così il grande edificio di cemento. Mia nonna forse vi è entrata quasi subito. Sto cercando papà e Samuele, spero ci sia ancora qualcuno da trovare. Ora mi chiedono: cosa ti ha salvato? I russi? Gli americani? Dio? Non so se ci sia una risposta a questa domanda. Sicuramente no, ma per un momento ho creduto che la speranza mi avrebbe potuta salvare. La speranza di vivere, di poter uscire. Ma la speranza non è facile da trovare in un campo di concentramento. È rara e si nasconde bene. Devi cercarla attentamente e non devi smettere di farlo, sennò sei perduta. Io l’ho trovata pezzo per pezzo, un po’ nel domani, un po’ nel cielo azzurro, ma soprattutto credo di averla trovata nei volti delle mie compagne. È stato l’aiuto delle altre donne, di quelle forti, coraggiose, di quelle che riuscivano a tenere ancora la testa alta a sottrarmi alla morte. Erano madri, sorelle, figlie, amiche, ma lì non erano altro che numeri, persone senza identità. Proprio loro mi hanno salvato, in tutti i modi in cui una donna può essere salvata. Caro diario, il cielo oggi è celeste. Non c’è più il fumo nero. Oggi riesco a guardarlo senza doverlo odiare. Oggi sono tornata essere umano, donna. Sono io. E sono viva. Virginia Venturi Classe III D
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Galleria
Roberto BELLUCCI
Plenilunio - Acrilico 70x50 cm - 1990
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Geometria - 100x67 cm - 1975
Duo Armonico - Olio su tela 90x110 cm - 1974 Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura
1987-2017 un nuovo vestito per proseguire una storia lunga trent'anni. 2017 Nasce la All Food SPA
CAMPAGNA ANNO SCOLASTICO 2018-19 CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE
Dal 1904 il gusto della tradizione
La prima generazione con Elisa, una bella mora, seguono Luigia e Relda, poi Giuliana. Andrea, figlio di Giuliana, vero talento della cucina, rappresenta la quarta generazione. La trattoria, cuore di un'isola felice incastonata nel centro della città, ma rimasta come era agli inizi del Novecento, è adornata da un boschetto di gelsi che fruttano more. Il nome della trattoria non poteva essere dunque che La Mora. Ai primi del secolo scorso nasce come bettola, una frasca, si diceva allora. Poi osteria, rivendita cioè di vino sfuso con cucina, quindi trattoria, oggi tra le più apprezzate per il cibo ottimamente cucinato e per il fatto in casa, come la pasta e i dolci. Apprezzatissimi la cucina alla brace o allo spiedo, le ghiottonerie della tradizione quali faraona alla leccarda, baccalà, lumache, paliata, coratella d’agnello. Paghi soltanto quel che soddisfa lo stomaco; non paghi il sommo piacere, quello del palato. Numerosi sono stati i riconoscimenti acquisiti nel corso degli anni.
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