La Pagina Maggio 2020

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elevatori su misura

Numero 175 Maggio 2020

Fisioterapia e Riabilitazione

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura

Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011


Maggio 2020

L’ARABA FENICE l’uccello di fuoco

MEGLIO VISIONARIO CHE BEOTA L. Santini

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Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni

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DOVE TROVARE La Pagina

Info: 348.2401774 - 333.7391222 info@lapagina.info

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Il Paradosso dell’IGNORANZA A. Melasecche

G. Porrazzini

Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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IDEE PER UNA CITTÀ SOSTENIBILE

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ACQUASPARTA SUPERCONTI V.le Marconi; AMELIA SUPERCONTI V. Nocicchia; ARRONE Marcello Frattesi, P.zza Garibaldi; ASSISI SUPERCONTI S. Maria degli Angeli; CASTELDILAGO; NARNI SUPERCONTI V. Flaminia Ternana; NARNI SCALO; ORTE SUPERCONTI V. De Dominicis; ORVIETO SUPERCONTI - Strada della Direttissima; RIETI SUPERCONTI La Galleria; SPELLO SUPERCONTI C. Comm. La Chiona; STRONCONE Municipio; TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; CDS Terni - AZIENDA OSPEDALIERA - ASL - V. Tristano di Joannuccio; BCT - Biblioteca Comunale Terni; COOP Fontana di Polo Via Gabelletta; CRDC Comune di Terni; IPERCOOP Via Gramsci; Libreria UBIK ALTEROCCA - C.so Tacito; Sportello del Cittadino - Via Roma; SUPERCONTI CENTRO; SUPERCONTI Centrocesure; SUPERCONTI C.so del Popolo; SUPERCONTI P.zza Dalmazia; SUPERCONTI Ferraris; SUPERCONTI Pronto - P.zza Buozzi; SUPERCONTI Pronto - V. XX Settembre; SUPERCONTI RIVO; SUPERCONTI Turati; RAMOZZI & Friends - Largo V. Frankl.

G. Raspetti

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BMP elevatori su misura CMT Cooperativa Mobilità Trasporti MUSEO di SAN VALENTINO Don C. Bosi L’ILLUMINAZIONE PUBBLICA INTELLIGENTE G. Santini ARCI ANTEO al tempo del Coronavirus L. Fioriti Gravidanza e pandemia G. Porcaro Il dito a scatto V. Buompadre CASA MIA servizi residenziali Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni Ordine delle Professioni Infermieristiche di Terni Nuove consapevolezze E. Squazzini Estetica Evoluta STELLA POLARE AUDIBEL Apparecchi acustici FASE 2: La nevrosi del dopo PL. Seri Emergenza covid: Residenze sempre più protette S. Tini Il ritorno dello ZIO di LIBIA F. Patrizi EDILIZIA Collerolletta Lu covidde dieciannove, li capilli e… P. Casali Partecipare vuol dire prendere parte A. Marinensi EC comunicazione & marketing Nera Marmora G-L. Petrucci RIELLO Vano Giuliano SIPACE Group Il 3 Maggio era S. Croce V. Grechi ALL FOOD GENESI EFFICIENZA

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L’ARABA FENICE l’uccello di fuoco L

Loretta SANTINI

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’araba fenice è quell’uccello leggendario presente in molti miti dei popoli antichi che, dopo la morte, risorge dalle proprie ceneri. Anche se la narrazione varia a seconda del contesto geografico, storico e culturale, resta evidente il significato: essa simboleggia la morte e la resurrezione. Ma c’è qualcosa di più: proprio il fatto che essa “risorga dalle proprie ceneri” indica la capacità di ritornare a vivere facendo leva sulle proprie risorse e sulla propria volontà divenuta più forte di fronte alla tempesta degli eventi. Questo mito dell’araba fenice lo ritengo una metafora per i tempi che stiamo vivendo: dalle ceneri lasciate dal coronavirus possiamo risorgere a nuova vita. Io non so quando potremo tornare a vita normale: sicuramente non sarà facile e ci vorrà molto tempo. Inoltre questa catastrofe pandemica farà ancora molte vittime e, soprattutto, lascerà un’economia a pezzi e un forte aumento della povertà. Il come eravamo sarà impossibile e il domani sarà comunque diverso.

Paradossalmente questa pandemia, questa catastrofe epocale, può diventare l’occasione per ripensare e ridisegnare la nostra vita, i nostri rapporti personali, il nostro lavoro, ritrovare il senso della comunità, ritrovare e sviluppare valori umani come quelli della solidarietà e della convivenza. Si può ridisegnare la nostra città perché divenga più bella, intelligente -si definisce smart- funzionale, efficiente, giusta, sostenibile, rigenerata, razionale e creativa. Si può ridisegnare addirittura il mondo. Risorgere a nuova vita dicevo, come l’araba fenice. Si può. Come? Con quali obiettivi? Sul come dal punto di vista organizzativo si devono impegnare i politici e gli esperti dei vari settori (medicina, scienza, economia, sociologia, operatori culturali) e da loro mi aspetto uno scatto di orgoglio e scelte coraggiose. Ma ognuno di noi deve fare la sua parte e la cultura, la conoscenza devono essere il motore del cambiamento. Se la cultura e la conoscenza non entrano nella filosofia del cambiamento, non ripartono l’economia, il lavoro, la scuola, le relazioni, l’uomo. Lasciando da parte le generalizzazioni, vorrei fare queste considerazioni che riguardano la nostra Terni. Questa è l’occasione per tornare ad essere quella valle incantata che i viaggiatori del Grand Tour descrivevano nei loro diari. È l’occasione per ritrovare la valle di Terni e non la “conca” come spesso viene designata con senso dispregiativo. Quella valle parte integrante della splendida Valnerina che si prolunga fino a Narni e oltre fino a quando il fiume non raggiunge il Tevere. La valle con il suo anfiteatro di monti, con i suoi paesi che occhieggiano tra il verde. La valle ricca di frutti. È una sfida culturale. Quello che ci auspichiamo è una grande operazione culturale che valorizzi le eccellenze (naturalistiche, antropiche, storiche), che sappia rapportarsi con il territorio ed entri in simbiosi con esso, che sappia relazionarsi con la sua campagna -bene prezioso e dimenticato- e con i suoi borghi antichi, perché è in questi antichi e piccoli paesi che si riconosce un diverso stile di vita basato su piccole comunità orgogliose, fattive, collaborative. Anche la città, sebbene estesa di gran lunga più dei borghi, può diventare una rete interconnessa di spazi, di piazze, di quartieri, di luoghi dove la comunità si ritrova, lavora, inventa, studia, vive e si reinventa. Allora ripartiamo e, come l’araba fenice, facciamo risorgere la nostra città e la nostra vita.



• I NOSTRI PROGETTI •

Meglio VISIONARIO che BEOTA Giampiero RASPETTI

Cyril Connolly, critico letterario inglese del secolo scorso, nella sua raccolta di citazioni e aforismi, La tomba inquieta, afferma che nessuna città dovrebbe avere estensione tale da non poter essere attraversata in una sola giornata. Amante della classicità della Grecia e della Roma antiche, la onora pubblicando questa sua opera con lo pseudonimo Palinurus ed offre amplificazione, di fatto, a quanto Aristotele afferma nella sua magistrale Politica, cioè che la misura ideale di una polis (città stato) debba essere tale da far sì che un grido Marco Terenzio Varrone emesso da un suo punto perimetrale sia udito anche in un punto perimetrale opposto: Chi l’araldo se non ha la voce di Stentore? (Libro 7, 4). Lo spazio democratico era dunque, per lo stagirita, quello per cui qualsiasi discussione potesse avvenire alla presenza e con la partecipazione di ogni cittadino (polìtes, cives in latino). In quella città greca, però, non esistevano mezzi di trasporto meccanici, tantomeno a pedali, mentre adesso proprio con questi occorre fare i conti per ridisegnare una supposta città ideale. Mancavano allora anche i mezzi di comunicazione moderni, altro elemento da prendere in seria considerazione quando ci accingiamo ad ipotizzare il futuro di Terni. Ci sono oggi delle strutture (motori remoti, si chiamano) che trasferiscono nelle abitazioni private non solo dibattiti pubblici, ma anche grida, parole, pensieri di chiunque, da qualsiasi parte del mondo siano emessi. Due secoli fa, J.L. Auguste Commerson, nel suo libro di aforismi umoristici Pensées d’un emballeur… in cui imballa pregevoli

La natura divina ci ha dato la campagna, l’arte umana ha costruito le città.

aforismi in risposta alle Massime di un altro eccelso aforista, François de La Rochefoucauld, principe di Marsillac, vissuto due secoli prima, ci regala questa pungente frase: Le città dovrebbero essere costruite in campagna; l’aria lì è più salubre. In realtà lo stesso rapporto cittàcampagna era già stato sollevato dallo stesso Aristotele, per il quale il numero dei cittadini dovrebbe essere proporzionato alla possibilità di sostentamento offerta dal territorio agricolo circostante. Oggi, però, il nutrimento non viene, in genere, solo dai campi cosiddetti a chilometro zero, ma da tutte le parti del mondo, in risposta al fatto di cui occorre avere massima considerazione: non è più il cliente che si reca presso il negozio, ma è il negoziante che bussa alla porta del cliente. I servizi per la città e la città stessa si arricchiscono. Si parla oggi non solo di città smart, con riferimento alle prestazioni intelligenti offerte dalle nuove tecnologie e dai motori remoti, ma anche di città diffusa, intendendo, con questo, l’ampliamento della città, e delle strutture stesse che la identificano, in quella che una volta era la sua corte (greco chortos, da cui il latino hortus, orto). Il cortile più bello al mondo che si conosca è proprio quello della Corona Ternana, con le sue splendide punte: Terni Cesi, Terni Marmore, Terni Piediluco et altera mirabilia. Aristotele afferma (Libro 1, 2) che la polis, formata sì per rendere possibile la vita, in realtà esiste per render possibile una vita felice. Confesso che, particolarmente in questi momenti, anche io vorrei conoscere una città che ogni giorno s’empie di sole, quella che era nel cuore di Giuseppe Ungaretti (Il silenzio), e confido che tutti noi la potremo vivere, ispirandoci anche alle parole di un altro aforista, l’americano Herb Caen, vissuto nel secolo scorso: Una città non si misura da lunghezza e larghezza, ma dall’ampiezza della sua visione e dall’altezza dei suoi sogni. Si cominci, prego, a sognare, io addirittura da visionario (il che è sempre meglio di essere un citrullo) e, come sognatore idealista, presento, mediante progetti miei e dei redattori de La Pagina, quanto è nelle mie corde morali ed intellettive: una città stupenda, perché Terni nella sua storia e nelle sue vene è percorsa da una linfa meravigliosa, identificabile nella Città di San Valentino e dei Diritti Umani, diritti fatti miracolosamente fiorire, per il mondo intero, proprio dal nostro Patrono. A lui Terni, futura città smart e diffusa, saprà dedicare anche tutto il suo centro storico splendente di fiori, di alberi, di prati, di campagna, di rose. Una nuova, prospera città, a misura d’uomo e rifondata per una vita felice.

Una città non vale più di un giardino di rose. José Santos Chocano

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• I NOSTRI PROGETTI •

MUSEO di SAN VALENTINO

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olo alcuni anni fa, una decina circa, in occasione di un convegno storico riguardo al santo patrono di Terni Valentino, fu riaccesa l’attenzione sulle indagini archeologiche relative alla basilica del santo. Costituimmo anche una équipe di persone competenti nei vari ambiti culturali allo scopo di rivitalizzare l’interesse storico per ovviare alla bassezza e alla melensaggine sdolcinate del “san valentino” commerciale che ha dato il via all’augurio ormai convenzionale, ma del tutto anomalo soprattutto dal punto di vista della semantica, “buon sanvalentino”. Per essere ottimisti e lungimiranti, tuttavia, tale recente saluto bene augurante può anche ritenersi strategico nella sua pura natura commerciale, divulgato ovunque attraverso la tecnica pubblicitaria. Se da una parte materializzare e commercializzare un santo è cosa disdicevole, dall’altra nel nostro caso, precisamente per noi ternani, tale diffusione commerciale in ogni dove del pianeta potrebbe essere interpretata come provvidenziale in quanto il nostro Santo Protettore Valentino è divenuto nel giro di pochissimi anni noto a tutti, al di là della razza, della nazionalità, della religione e della cultura. Questa ora è per noi una grande sfida da affrontare affinché l’opportunità, ribadisco provvidenziale, di far giungere in ogni parte del modo la verità sulla figura storica e sul suo valore morale preceda e superi ogni forma di interesse speculativo. Per raggiungere questo obiettivo possiamo solo attingere alle fonti archeologiche, a quelle storiche tra cui importantissime sono quelle liturgiche, a quelle letterarie e a quelle artistiche, che insieme ci svelano le notizie necessarie alla ricerca e allo studio. Per questo motivo negli ultimi dieci anni sono stati organizzati ben due convegni sul santo, ovviamente con taglio diverso, uno nel 2010, i cui atti sono stati pubblicati, e l’altro nel 2019 di cui a breve usciranno gli atti. In questo decennio è stato fatto un certo cammino e sin dall’inizio di esso è emersa l’esigenza di avvalerci dei segni reali della storia che ci appartiene, ovvero delle testimonianze fisiche e visibili restituiteci dalla ricerca, intendendo con ciò prima di tutto i reperti archeologici di Interamna Nahars. Essi, sia quelli che riguardano il sito cimiteriale del colle extra moenia ove sorse la prima basilica dedicata al patrono, su cui insiste l’attuale, sia tutti gli altri relativi agli insediamenti protostorici e poi all’epoca romana, che sono sparsi tra Roma, Ancona, Perugia, Colfiorito e Spoleto. Uno degli argomenti trattati dal gruppo di lavoro cui ho appena accennato fu il progetto di

riportare a Terni tutto ciò che le appartiene di diritto, quello che riguarda la parte legata al patrono, frutto degli scavi degli ultimi quaranta anni del secolo scorso, ma anche tutti gli altri reperti. Trovammo a quel tempo il sostegno significativo della dottoressa Maria Cristina De Angelis, all’epoca Funzionaria di zona della Soprintendenza Archeologica dell’Umbria. Avevamo in progetto di trovare consensi, tra coloro che potevano, e anche il luogo in cui allestire gli spazi museali. Condivideva l’idea un nostro autorevole membro, la dottoressa Claudia Giontella, docente di archeologia presso l’Ateneo di Macerata, ternana anch’essa e purtroppo prematuramente mancata. Siamo tutti certi che il recupero dei reperti favorisca il nascere o il crescere del senso di appartenenza e sviluppi il senso di identità del cittadino. Avere concretamente, ovvero fisicamente tutti i reperti archeologici in città, anzi nel cuore della città, a significare l’origine, il percorso durante il tempo, il divenire della storia dei ternani (interamnenses) e della loro civitas, e allestire il luogo memoriale delle Antichità di Terni, sono certo, ha il potere di significare una sorta di rinascita per la città stessa intesa come comunità di cittadini che rivedono il loro passato e ammirano le loro radici attraverso i segni restituiti dalla storia. Riappropriarsi dei propri “monumenta”, segni che fanno ricordare, riportano alla memoria, educa il cittadino, il suo occhio, il suo pensiero a considerare l’esistenza concreta di una storia lunga e a considerare l’attuale presente o il tempo moderno solo il tratto più giovane di un percorso umano e culturale che ha avuto inizio nella notte dei tempi.

Don Claudio BOSI

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• I NOSTRI PROGETTI •

Giacomo PORRAZZINI

IDEE PER UNA CITTÀ SOSTENIBILE

Questo ti voglio dire ci dovevamo fermare. Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare. Stare dentro le cose. Tutti fuori di noi. Agitare ogni ora – farla fruttare. Ci dovevamo fermare e non ci riuscivamo. Andava fatto insieme. Rallentare la corsa. Ma non ci riuscivamo. Non c’era sforzo umano che ci potesse bloccare......

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e parole di una poetessa, Mariangela Gualtieri, descrivono assai bene ciò che sta alla base dell’attacco del corona virus e della debolezza delle nostre difese sociali; le ragioni che ci hanno precipitato nel pozzo di una pandemia epocale, da cui non sappiamo ancora quando e come sarà possibile uscire. Le risposte vanno trovate a varie dimensioni, globali, nazionali e locali; tra quest’ultime fondamentale è la dimensione urbana, la città. Sono, dunque, da mobilitare e responsabilizzare le comunità locali, per tentare di uscire in avanti dall’emergenza Covid-19, adottando scelte e misure capaci di trasformare in meglio la realtà, non solo sanitaria, ma economica, sociale, culturale ed ambientale di un aggregato urbano. La nuova città, della “nuova normalità” post virus, va pensata dentro l’altra sfida del cambiamento climatico e dovrebbe guardare oltre i confini comunali ereditati dalla storia, per riorganizzare le sue funzioni fondamentali in una dimensione più ampia; quella in cui

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i flussi degli scambi e degli spostamenti fra Comuni configurano l’esistenza di una dimensione integrata della vita economica e sociale e cioè una comunità territoriale composta da più realtà comunali; siano esse, non solo grandi aree metropolitane, ma anche sistemi locali intermedi, come quello Ternano, già individuato da ISTAT, come aggregato di 18 Municipi, per 180.000 abitanti. Tale comunità urbana allargata, che già condivide attività e servizi, non ha una governance comune di tutto ciò, salvo in alcuni settori limitati. Non dispone, inoltre, di una visione condivisa delle esigenze infrastrutturali, su cui basare politiche di relazione economiche con altri territori regionali ed extra regionali. Naturalmente, tali sistemi intercomunali non devono essere autoreferenziali e chiusi verso l’esterno, quanto, piuttosto, un modo più efficace e forte, per le comunità locali, di ottimizzare funzioni e servizi interni e di stare in dimensioni territoriali ed in “sistemi di flussi e di funzioni” regionali e interregionali, ed anche in reti lunghe di cooperazione, nazionali ed internazionali.

Il processo di condivisione di attività, funzioni e servizi comunali, in una dimensione maggiore, senza nuove impalcature burocratiche, richiede un salto nella utilizzazione diffusa delle tecnologie digitali, da parte delle comunità interessate. Un progetto di nuova città, pensata in una dimensione di rete, richiede che si faccia un punto preciso sul grado di infrastrutturazione digitale del territorio e sul grado di diffusione e padronanza sociale delle stesse tecnologie. Su entrambi tali aspetti va elaborato un programma d’implementazione, a partire dalla reale digitalizzazione dei servizi pubblici, la cui fruizione telematica resta parziale e complicata, per i cittadini, impedendo di abbattere incrostazioni ed inefficienze burocratiche. La nuova città non può che essere sostenibile, ovvero disporre di un apparato produttivo compatibile con la tutela dell’ambiente, della salute delle popolazioni e degli stessi equilibri climatici. Le grandi aziende del territorio sono ormai tenute a presentare i “bilanci di sostenibilità”;


• I NOSTRI PROGETTI • tali documenti quadro vanno utilizzati dalle comunità e dalle loro istituzioni locali per verificare se e quanto le grandi industrie locali ed il loro indotto di piccola impresa progrediscono, realmente, verso la sostenibilità dei processi produttivi, verso modelli di economia sostenibile, circolare o green. La sostenibilità non può limitarsi a rendere ecologicamente più virtuosi, tagliando le emissioni inquinanti, i processi produttivi della siderurgia e della chimica, ma deve, anche, puntare ad un modello di specializzazione in cui più forte sia la diversificazione dei settori, con una crescente prevalenza di quelli a basso impatto ambientale. Per affrontare il complesso di tali tematiche, soprattutto, dentro la crisi recessiva acutissima provocata dalla pandemia, è necessario uno sforzo corale

Un passo verso il Futuro di TERNI

di tutti i soggetti portatori d’interessi, nell’ambito economico e sociale del territorio ternano. Per organizzare tale sforzo sarebbe assai utile che tali soggetti stringessero, fra di loro, un “Patto per lo sviluppo sostenibile”, con il quale definire le linee guida di un progetto di nuovo sviluppo, i suoi obiettivi strategici, i livelli d’integrazione fra diversi settori e soggetti, nonché le risorse materiali ed immateriali da trovare e mobilitare. Altro caposaldo della sostenibilità territoriale è quello della mobilità di persone e merci. Lo straordinario miglioramento della qualità dell’aria registrato nelle settimane del lockdown ha confermato la crucialità del traffico fra le concause dell’inquinamento atmosferico. L’iniziativa, anche locale, volta a promuovere un sistema basato sulla mobilità urbana elettrica, sia per lo spostamento di persone sia per la crescente distribuzione capillare delle merci, dovuta all’e-commerce, dovrebbe essere rilanciata con forza, tramite sistemi d’incentivazione, divieti e interventi infrastrutturali come la riduzione delle sezioni stradali; misure indispensabili per fare di Terni una vera città per la ciclo mobilità, tradizionale ed elettrica. Naturalmente, dovrebbe essere, anche verificato quanto dello Smart working, così largamente utilizzato nei mesi caldi dell’emergenza, può essere

consolidato, al fine di diminuire, alla base, le esigenze non essenziali, di mobilità e di pendolarismo casa lavoro. L’uso, su larga base, di veicoli elettrici pone il problema di quali siano le fonti da cui prelevare le ingenti quantità di energia per le batterie. Se fossero fonti fossili il risultato finale sarebbe positivo per la riduzione dell’inquinamento locale, ma non per la difesa del clima. La mobilità elettrica, perciò, pone un tema di sviluppo di fonti alternative per produrre, con sole, vento ed acqua, il fabbisogno di energia necessario, anche, per la nuova mobilità a basso impatto. Un’azienda pubblica come ASM, che già vanta positive esperienze nel campo della produzione di energia pulita e che gestisce la rete elettrica cittadina, potrebbe farsi parte attiva di un grande progetto di sviluppo di campi fotovoltaici e di sistemi di uso razionale e risparmio dell’energia, a partire da tutti gli edifici pubblici del territorio. In tale prospettiva potrebbe essere verificata, con AST, la possibilità di utilizzare gran parte delle superfici coperte presso le Acciaierie, per posizionarvi i pannelli fotovoltaici, senza andare ad occupare superfici verdi od agricole. Una strategia energetica locale capace di impegnare industrie, attività commerciali e direzionali, mobilità e strutture residenziali, si pone perciò come una delle azioni fondamentali per la sostenibilità del nuovo sviluppo. La nuova città può nascere, inoltre, se sarà capace di mobilitare e valorizzare tutte le sue risorse naturalistiche, culturali e sociali del suo territorio e della sua comunità, a partire dai giovani e dalle nuove competenze e dalla loro creatività e, quindi, da scuola ed Università e laboratori d’arte ed artigianato. Ad un modello di sviluppo più articolato e sostenibile non può che corrispondere anche un diverso modello sociale, il cui carattere distintivo siano le competenze abbinate alle innovazioni, il protagonismo giovanile, la solidarietà.

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• I NOSTRI PROGETTI •

L’ILLUMINAZIONE PUB come PRELUDIO ALLA Gianpiero SANTINI

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Una città intelligente, o “smart city”, è una città nella quale sono messe in atto strategie di pianificazione urbanistica volte all’innovazione, con la finalità di elevare la qualità della vita dei cittadini utilizzando al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, in particolare quelle della comunicazione. Per poter intraprendere la strada della rivoluzione tecnologica mirata a implementare una smart city, è necessario partire dalla realizzazione di una rete Wi-Fi distribuita in tutta la città. Al fine di limitare i costi di investimento e di ottenere un risultato di tutto rispetto, è necessario installare moderni pali di illuminazione pubblica “intelligenti” a LED, che contengono dispositivi in grado di trasformare un classico palo utilizzato come corpo illuminante in uno strumento tecnologicamente avanzato, capace di fornire una serie di servizi basilari per la costruzione di una smart city. Innanzitutto questi pali consentono –attraverso appositi sensori (di movimento e crepuscolari)– l’accensione, la modularità o lo spegnimento totale dell’illuminazione in funzione delle condizioni di traffico o di luminosità dell’ambiente circostante; in questo modo si riesce ad ottenere il massimo risparmio sul costo dell’energia elettrica necessaria per l’illuminazione pubblica, risparmio che consente di neutralizzare parzialmente o completamente i costi dell’investimento relativi all’installazione della rete Wi-Fi. I pali intelligenti possono essere dotati dei seguenti dispositivi, che espletano servizi essenziali nella smart city:

• ripetitori Wi-Fi e relativi sistemi di collegamento, che consentono di realizzare una rete Wi-Fi fruibile dalla cittadinanza e dai dispositivi presenti nel palo stesso • telecamere che possono essere utilizzate in sistemi di videosorveglianza urbana utili per la pubblica sicurezza ma anche per eventuale assistenza in situazioni di emergenza • sistemi di controllo del traffico, ma anche di gestione dei parcheggi • stazioni di monitoraggio ambientale e meteorologico e di controllo della qualità dell’aria • dispositivi di rilevazione della posizione e controllo dei movimenti dei trasporti pubblici • colonnine per la ricarica di mezzi elettrici (auto, moto, scooter, biciclette e monopattini) • sistemi per la tracciabilità di persone, animali ed oggetti (utilizzati ad esempio come deterrente contro i furti di biciclette in sharing) • centraline per la comunicazione con veicoli a guida autonoma. Molti di questi dispositivi hanno un’eccellente funzionalità anche quando vengono installati negli impianti semaforici; è facile immaginare pertanto come si possa ottenere con questi strumenti un’elevatissima capillarità di informazioni, le quali, venendo trasmesse in rete ed elaborate per poter essere fruite con i mezzi più opportuni (siti internet, app, social media), possono indubbiamente migliorare i servizi pubblici. Non è da sottovalutare il fatto che tutti i dispositivi sopra descritti possono essere installati anche nelle piste ciclabili, il cui potenziamento è ormai una priorità urbanistica. Uno dei passi successivi da compiere per il completamento di una smart city dovrebbe essere quello di potenziare la mobilità elettrica, sia pubblica che privata, rivolgendo una particolare attenzione alla micro-mobilità (bici elettriche e monopattini). I motivi per cui in città la mobilità elettrica è da preferire alla mobilità a combustione sono molteplici. I mezzi elettrici sono silenziosi (aspetto non di poco conto nel complesso dell’inquinamento acustico cittadino) e non hanno emissioni nocive; è vero che l’energia elettrica immagazzinata nelle batterie è prodotta generalmente da un mix di combustibili e fonti rinnovabili non sempre facile da calcolare, ma è pur vero che si può potenziare la produzione di energia da fonti rinnovabili (in particolare quella fotovoltaica) e conseguentemente spostare quel mix in una direzione più green. Non è utopia pensare di autoprodurre (con


• I NOSTRI PROGETTI •

BBLICA INTELLIGENTE A SMART CITY impianto FV) a casa, nel posto di lavoro o a scuola l’energia necessaria per “ricaricare” il proprio mezzo elettrico. Inoltre, per l’utilizzo per brevi percorrenze l’autonomia di questi mezzi è ormai più che sufficiente. Ma in questa sede si vuole sottolineare prevalentemente l’aspetto tecnologico di cui pressoché tutti questi mezzi sono dotati. Autobus, automobili, motociclette, scooter, biciclette elettriche e monopattini hanno una grossa qualità in comune: sono tutti dotati di batteria elettrica con ampia capacità, la quale pertanto può alimentare i dispositivi tecnologici più disparati anche quando il mezzo è fermo. Combinando la funzionalità di questi apparecchi con la potenzialità della rete pubblica tecnologicamente avanzata descritta prima, si possono ottenere risultati incredibili persino in termini di Wi-Fi

aumento della sicurezza. Basti pensare che il maggior deterrente per l’organismo pubblico o privato nel realizzare uno sharing di e-bike o di micro-mobilità è rappresentato dal rischio di furti e

di atti vandalici. Con la realizzazione completa della smart city, questi rischi si attenuerebbero notevolmente. Tutto questo (e molto altro) potrebbe appartenere anche al futuro di Terni.

LAMPADA A LED

SENSORI

CAMERA

CAMERA

DISPOSITIVI ELETTRICI E SISTEMA DI COMUNICAZIONE

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Il Paradosso dell’IGNORANZA e la Sindrome dell’IMPOSTORE

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Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it

artiamo dalle basi: come studiato a scuola, per Socrate, sapiente è chi sa di non sapere, e questo porterebbe ad accettare la propria ignoranza e ad aprire la mente a nuove conoscenze. Chi invece crede di sapere, è più probabile che si bei della propria condizione. Nessuno possiede la piena conoscenza del sapere, e ciò che conta non è raggiungere la “completa” verità in sé, ma ciò che impariamo nel corso del nostro percorso di ricerca e di miglioramento. Quello che dal 1999 prende il nome di “effetto Dunning-Kruger” si posiziona esattamente all’estremo opposto. La citata sindrome, come presenta Wikipedia, corrisponde ad una “distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in quel campo, mentre, per contro, persone davvero competenti tendono a sminuire o sottovalutare la propria reale competenza. A corollario, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti”. Avete presenti i cosiddetti “leoni da tastiera” contributori netti delle più o meno recenti infodemie? Duning, professore di psicologia sociale alla Cornell University, lesse nel 1996, la storia di McArthur Wheeler, 45enne che era stato riconosciuto, senza difficoltà alcuna, dai testimoni, come il responsabile di ben due colpi in pieno giorno a Pittsburgh, anche le telecamere di sorveglianza lo mostravano a volto scoperto e con tanto di pistola alla mano. Come mai sembrava che non avesse fatto il minimo tentativo per nascondere la propria identità? Perché ricopertosi il volto di succo di limone, era sinceramente convinto che questo gli garantisse l’invisibilità. Si era anche scattato un selfie nel corso dei preparativi con una polaroid, e nella foto lui effettivamente non c’era. Chiaramente con il limone negli occhi non aveva preso bene la mira, ma per McArthur quella era la prova che il succo di limone

Anche i migliori sbagliano, ma in senso opposto, ovvero tendono a sottovalutare le proprie competenze

funzionava! Dunning, con la collaborazione di un suo laureando, Kruger, appunto, si chiese se fosse possibile misurare in qualche modo il livello di competenza che ciascuno crede di avere, da confrontare poi con la reale competenza. I risultati sono stati raggiunti attraverso una serie di studi sul senso dell’umorismo, le abilità grammaticali e logiche, estesi poi ad altri campi. Prendendo in considerazione il 25% del campione che aveva ottenuto i risultati peggiori in ogni prova, emergeva che i soggetti si davano un punteggio di 62, in una scala da 1 a 100, nonostante la loro valutazione reale non superasse i 12 punti. Questo accadeva perché, in molti ambiti, la valutazione della correttezza della risposta di qualcuno richiede la stessa competenza necessaria a scegliere la risposta esatta. Dagli studi di Dunning emerge però un dato speculare: anche i migliori sbagliano, ma in senso opposto, ovvero tendono a sottovalutare le proprie competenze. Il fenomeno è anche conosciuto con il nome di “sindrome dell’impostore” ovvero anche nei casi in cui qualcuno consegua successi e riconoscimenti, questi sono dallo stesso attribuiti a colpi di fortuna, a una particolarmente favorevole combinazione astrale, o a qualcosa di irripetibile; ovvero, i positivi risultati conseguiti non sarebbero in realtà il risultato delle sue abilità e delle sue competenze. Questa sindrome pare colpire soprattutto le donne. Due sociologhe americane, Jessica Collett e Jade Avelis, si sono chieste, ad esempio, come mai così tante donne che intraprendono la carriera universitaria a un certo punto rinuncino alle proprie ambizioni. Non scommettete sulla risposta “per metter su famiglia”, perché perdereste. La ricerca, svolta su 460 studentesse di dottorato, ha rivelato che rinunciano alla carriera perché credono di non essere all’altezza e di non essere arrivate nella loro posizione per merito personale. Più espandiamo le nostre conoscenze, più siamo esposti a ciò che non sappiamo, e questo potrebbe destabilizzare le nostre certezze, la “sindrome dell’impostore” potrebbe esserne una naturale conseguenza, ma attenzione a non farsi prendere la mano!

La Pagina disegna un possibile futuro per il territorio, in stretta osservanza con le risorse culturali ed ambientali presenti nella nostra terra. Con tale proposito iniziai il mio impegno editoriale, esattamente nel gennaio 2003. In questi 17 anni ho impiegato le mie sole, esilissime, risorse finanziarie, ma ancora oggi, tenacemente, insisto nel cercare di far fiorire la consapevolezza di quanta sia la ricchezza in nostro possesso e a quale felice futuro potremmo aspirare. Oggi La Pagina ha bisogno di collaboratori per la direzione editoriale (3482401774) e di sostegno da chi l’ha sempre letta con piacere e da chi si impegna, non solo a parole, per il futuro di Terni (IBAN IT66X0622014407000000000993). Grazie, Giampiero Raspetti.

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ANTEO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS “Noi di Anteo non ci fermiamo e non ci possiamo fermare perché le malattie devono essere combattute e le cure non possono aspettare. Questo è un servizio specificamente dedicato alle donne e a tutte le persone che devono affrontare la malattia”. Se l’emergenza di queste settimane sta riducendo la capacità degli ospedali di effettuare gli screening e la diagnostica fa

convergere la maggior parte del personale medico e infermieristico verso il contrasto contro il Covid 19, noi abbiamo messo a disposizione lo studio per tutte le persone che necessitano di visite tempestive. Il percorso riservato è sicuro perché adottiamo tutte le procedure di sicurezza dai presidi di protezione alla sanificazione ambientale ed al distanziamento come da direttive ministeriali.

Direttore Sanitario

Dott.ssa Lorella

Fioriti

Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria

GRAVIDANZA E PANDEMIA: SI PUÒ NASCERE IN SICUREZZA

Che la nascita di un figlio sia motivo di gioia per i genitori è un dato di fatto, ma in tempi di Coronavirus potrebbe non essere così scontato. Anche la più grande delle emozioni, infatti, può diventare motivo di preoccupazione generando nelle future mamme un forte stress. Sulla maternità ai tempi del Covid-19 è in corso uno studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità con le Società scientifiche dei neonatologi, pediatri, ginecologi, ostetriche e anestesisti rianimatori che stanno raccogliendo tutti i dati, aggiornandoli di volta in volta. Al momento i casi di neonati positivi sono pochi, ma i dubbi restano: come si infettano? C’è il rischio di una trasmissione madre-feto? Il contagio può avvenire anche durante il parto? COME AVVIENE IL CONTAGIO È ancora presto per dirlo. Non è facile stabilire se l’infezione si contragga durante la gestazione o dopo la nascita. Un’ipotesi è che il Coronavirus passi attraverso la placenta come accade con altri virus, ma comunque le donne in gravidanza positive hanno un rischio molto basso di trasmetterlo al feto. PARTO NATURALE O CESAREO? Il taglio cesareo è più sicuro rispetto al parto naturale? In realtà, il gruppo di lavoro coordinato dall’ISS ribadisce che ad oggi non esistono indicazioni a eseguire il taglio cesareo per le donne affette da Covid-19 o presunte tali. La scelta, dunque, dipende sempre dalle condizioni cliniche della donna, dalla

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condizione ostetrica, dall’età gestazionale e dalle condizioni fetali. PARTORIRE IN SICUREZZA Non essendo del tutto chiaro come avvenga il contagio dei neonati, quello che conta è prendere tutte le precauzioni per partorire in sicurezza, così come indicato dal Ministero e dall’ISS. In Italia gli ospedali si sono organizzati con un ‘pre-triage’ all’ingresso, seguendo protocolli e percorsi specifici che consentono ricoveri in sicurezza, prevedendo in alcuni casi ai papà asintomatici e con triage negativo di assistere al parto al fianco della mamma. A DISTANZA, MA SÌ ALL’ALLATTAMENTO Il rapporto tra madre e neonato è molto importante e per questo il Ministero consiglia di privilegiare la “gestione congiunta di madre e neonato, ai fini di facilitare l’interazione e l’avvio dell’allattamento materno”. Se la mamma fosse positiva, allora è bene tenere le distanze dal neonato, ma l’allattamento è comunque consentito poiché ad oggi non sono state trovate tracce del virus nel latte materno. ECOGRAFIE E CONTROLLI Se la gravidanza è a rischio, vengono confermati tutti quelli necessari, ma, per il resto, si cerca di ridurre al minimo il rischio di contagio e molte visite di routine vengono evitate a favore del consulto telefonico. Quando indispensabile, naturalmente, si stabilisce una visita ambulatoriale da effettuare con tutte le precauzioni del caso. Fonte: Ministero della Salute

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IL DITO A SCATTO

È

una patologia infiammatoria dei tendini flessori delle dita della mano che ne ispessisce la guaina (tenosinovite) creando difficoltà allo scorrimento del tendine all'interno delle puleggie di flessione in cui normalmente scorre (stenosi). Nel tempo questo attrito causa dolore e difficoltà a muovere il dito fino a

bloccarsi in flessione e sbloccarsi con uno 'scatto'. Colpisce più frequentemente al pollice soggetti tra i 40 e 60 anni, e i bambini nei primi mesi di vita. La diagnosi è clinica, l'esame ecografico può documentare la patologia. La terapia nelle fasi iniziali prevede uso di tutori in estensione, terapie fisiche, infiltrazione con cortisone. Nelle fasi più avanzate, se la patologia non risponde al trattamento conservativo, si può effettuare un trattamento percutaneo in anestesia locale con un ago senza incisioni per liberare il tendine. Se i trattamenti menzionati non funzionano si rende necessario il trattamento chirurgico, che viene effetuato in pochi minuti, in anestesia locale e, tramite una piccola incisione si provvede ad aprire la puleggia divenuta stenotica.

Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport

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AZIENDA OSPEDALIERA S

Il Laboratorio di BIOLOGIA MOLECOLARE al tempo del CORONAVIRUS Dipartimento di Diagnostica di Laboratorio ed Immunotrasfusionale Direttore: Dott. Augusto Scaccetti

Nel dicembre 2019, in Cina, precisamente nella città di Wuhan (provincia di Hubei) è stata individuata nell’uomo una forma di polmonite atipica sostenuta da un nuovo coronavirus identificato come SARS-CoV-2. I coronavirus sono virus provvisti di capside a singolo filamento di RNA. L’agente eziologico della malattia COVID-19 è stato ritrovato in vari distretti delle vie respiratorie superiori e inferiori come faringe, rinofaringe, espettorato e fluido bronchiale. L’RNA virale è stato riscontrato con frequenza variabile anche nelle feci e nel sangue di pazienti COVID-19. Tuttavia, la possibilità di infezione a partire da questi materiali è al momento controversa. Per la diagnosi di laboratorio di SARS-CoV-2 in un caso sospetto è necessaria una corretta procedura di esecuzione, trasporto e conservazione del campione e l’utilizzo di metodiche molecolari sensibili e specifiche. A seguito della eccezionale emergenza sanitaria determinata dalla diffusione dell’epidemia COVID-19, che vede drammaticamente coinvolta l’Italia, è in atto una azione senza precedenti di raccolta di campioni biologici e dati personali e sanitari della popolazione. Per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 il campione di elezione è un campione delle vie respiratorie che può essere delle alte vie respiratorie (tampone nasale, tampone oro-faringeo, tampone naso-faringeo) e più raramente, ove disponibili, delle basse vie respiratorie (aspirato endo-tracheale o lavaggio bronco-alveolare), che è da preferire nei casi di polmonite per una maggiore concentrazione di virus. Sulle base delle raccomandazioni da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dello European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), la manipolazione dei campioni biologici viene eseguita utilizzando opportuni DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) e ad un livello di biosicurezza 2 (BSL2, che è la caratteristica del laboratorio dell’Azienda ospedaliera di Terni). Dal materiale biologico viene effettuata l’estrazione e la purificazione dell’RNA per la successiva ricerca dell’RNA virale utilizzando una metodica molecolare rapida: Reverse Real-Time PCR (rRT-PCR). I protocolli diagnostici sono quelli suggeriti sul sito dell’OMS. La durata dell’analisi in Real time PCR varia in base agli strumenti utilizzati da 1 a 5 ore. Nel calcolo del tempo necessario per l’esecuzione del test bisogna tenere in considerazione anche il momento di accettazione e preparazione del campione e le fasi di validazione del test e refertazione, questo, essendo influenzato dalla numerosità dei campioni, potrebbe influenzare sensibilmente i tempi di esecuzione. tratto da Rapporto ISS Covid -19

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Questa attività di analisi su virus respiratori è un nuovo filone del Laboratorio di Biologia Molecolare che, nell’ambito del Dipartimento di Diagnostica di Laboratorio ed Immunotrasfusionale, opera nell’Azienda ospedaliera di Terni dagli anni Novanta per la ricerca degli acidi nucleici delle epatiti e dell’HIV. A febbraio 2020 ci è stato chiesto dalla Direzione aziendale di organizzare nel più breve tempo possibile un laboratorio per analizzare i tamponi prelavati in pazienti con sospetto Covid. In collaborazione con l’ufficio tecnico abbiamo così modificato alcuni ambienti della struttura, isolato stanze, impiantato nuovi sistemi di ventilazione. Abbiamo contattato ditte certificate che producevano i reagenti e che avevano disponibili macchine da poterci fornire. Questa è stata la difficoltà più grande perché tante società non avevano disponibilità di materiale. Alla fine abbiamo trovato una società, il cui amministratore delegato per l’Italia è un ternano, che ci ha fornito l’ultimo strumento ricondizionato disponibile ma che processava solo 16 tamponi completando il ciclo in 5-6 ore. Abbiamo quindi iniziato l’attività il 16 marzo analizzando in media tra i 48 e i 64 tamponi al giorno. Dopodiché all’inizio di aprile è stato validato CE un altro sistema che processava 94 tamponi in 3 ore con uno strumento presente nel nostro laboratorio. Abbiamo quindi formato il personale e il 6 aprile abbiamo iniziato a processare


SANTA MARIA DI TERNI 188 tamponi al giorno passando a circa 300 al giorno dal 21 aprile, avendo a disposizione più reagenti. Dal 17 aprile, intanto, avevamo messo in campo un nuovo strumento appena certificato per l’esecuzione rapida dei tamponi, 50 minuti per eseguire il test, purtroppo però esegue solo due campioni alla volta. Ne aspettiamo uno con maggiori capacità di carico. L’attività del Laboratorio è ulteriormente aumentata quando la direzione aziendale ha deciso di fare il tampone prima a tutti i dipendenti e poi a tutti i pazienti già ricoverati nei reparti non Covid e a quelli che si ricoverano, sia con accesso programmato che in urgenza, anche di notte. Per questo dal 24 aprile abbiamo attivato l’apertura del laboratorio h24 e quindi siamo in grado di analizzare le urgenze in qualsiasi momento che ci vengano richieste. Ad oggi il nostro laboratorio ha eseguito complessivamente più di 4.000 tamponi, 3.500 nel mese di aprile. Completare lo screening a tutto il personale e a tutti i pazienti ricoverati, ha consentito, in base alla strategia della

direzione aziendale, di preparare l’ospedale alla ripresa delle attività ordinarie, in vista della fase 2 dell’emergenza, con la certezza che nessun paziente positivo si trovi al di fuori delle aree Covid e nessun operatore rappresenti una inconsapevole fonte di contagio. Non è stato facile trovare personale, distogliendolo da altre attività del Dipartimento, ma siamo riusciti a mettere subito in campo tre biologi e quattro tecnici che si occupano a tempo pieno di esami Covid. Per fortuna la Direzione Aziendale sta da un paio di settimane assumendo a tempo determinato personale sia medico che tecnico dalle graduatorie in essere e con chiamate ex art 1 D.L. 14/2020, per manifestazione di interesse emergenza covid-19. Abbiamo iniziato con tre biologhe e tre tecnici e altri tre o quattro tecnici saranno assunti a fine aprile. Se le ditte ci fornissero materiale in continuità, saremmo in grado di eseguire regolarmente fino a 280-300 campioni al giorno. Il mio ringraziamento grande va agli operatori del laboratorio, che con grande senso di abnegazione e professionalità si sono dedicati a questa attività senza

ÉQUIPE

Il Personale che opera nel Laboratorio di Biologia Molecolare del Dipartimento di Diagnostica di Laboratorio ed Immunotrasfusionale è il seguente:

BIOLOGI: Maria Chiara Medori (con compiti di

organizzazione e predisposizione ordine materiale),

Alessandra Pagnani, Monica Proietti, Caterina Fragomeli. TECNICI DI LABORATORIO: Patrizia Gianferretti, Daniela Cappuccini, Michela Piermarini, Elisa Castellani, Alessandra Stocchi, Chiara Mechelli.

lesinare impegno e dedizione anche in orari notturni e festivi. In questo periodo, infatti, la struttura è stata chiusa solo il giorno di Pasqua. Un altro ringraziamento doveroso ma non scontato va al commissario straordinario Andrea Casciari, che ci è stato sempre vicino e partecipe nelle nostre iniziative, e al dott. Alessandro Mariottini, direttore del Laboratorio Analisi, che è stato sempre presente e attivo nella costruzione di questo progetto. Dott. Augusto Scaccetti

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ORDINE DEL INFERMIERI Emanuela Ruffinelli

Serenella Bertini

Valentina Nobile

Elisa Fortini

Valerio Di Nardo

Emanuela Cimarelli

Michela Malafoglia

Moira Checconi

Marta Belloni

Gastone Petralla

Paolo Sgrigna

Mirko Casciotta

Lorella Bacci

Emanuele Orlandi

Angela Leo

Andrea Del Grande

Loredana Piervisani

Milena Sarubbi

Consiglio Direttivo e Collegio dei Revisori dei Conti

L

a fatalità ha voluto che il ruolo dell’Infermiere fosse al centro della vita di ognuno di noi proprio in questo 2020... anno in cui si celebrano due importanti ricorrenze: l’anno Internazionale dell'Infermiere e dell'Ostetrica proclamato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e il bicentenario della nascita di Florence Nightingale, il 12/05/1820, fondatrice delle scienze infermieristiche moderne. Questa infermiera nel lontano 1854 riuscì a ridurre notevolmente la mortalità dei militari britannici impegnati nella guerra di Crimea (dal 42% al 2%), attraverso interventi di igiene dell’ambiente, della persona e nutrizione e senza avere a disposizione i principali strumenti per la prevenzione del rischio infettivo che oggi noi conosciamo, quali gli antibiotici (Alexander Fleming, 1928), gli antisettici (Joseph Lister, 1865) e la sterilizzazione a vapore (Charles Chamberland, 1884). Oggi come allora ci siamo trovati in una situazione spesso paragonata ad una guerra e senza farmaci per contrastare il nemico. Sono

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tornate di grande attualità tutte le misure di igiene (disciplina sulla quale si basò Flerence Nightingale) per il contenimento dell'epidemia. Purtroppo le tante iniziative che erano previste per festeggiare il bicentenario di Florence Nightingale sono state rinviate a data da destinarsi a causa dell’emergenza sanitaria mondiale dovuta al Covid-19. In questo tempo sospeso, in un Paese ferito da un'emergenza che non ha confini si è evidenziato quanto il contributo degli infermieri sia determinante nel sistema sanitario per salvare vite umane, ma soprattutto il senso profondo della nostra professione e la capacità di "esserci" a qualsiasi latitudine e in qualsiasi avversità sempre accanto a chi soffre. Gli interventi di cura e di assistenza, sia nella fase acuta della malattia che nell'attività educativa e di prevenzione stanno dimostrando che l'assistenza infermieristica è indispensabile e connaturata ai bisogni fondamentali dell'uomo.


LLE PROFESSIONI ISTICHE DI TERNI Questa emergenza ha dato risonanza agli infermieri, oggi visti come eroi, in prima linea a curare e difendere il proprio Paese dalla calamità. Noi infermieri non siamo eroi, ma professionisti che agiscono in modo consapevole, autonomo, deontologico e responsabile; siamo consapevoli di poter e dover dare un contributo decisivo poiché in possesso di una identità che unisce la scienza con i valori, e che il bene di un Paese passa dalle competenti mani di chi lo cura. Il nostro è un lavoro e come tale deve essere riconosciuto, sempre. Perché noi ci siamo sempre, per l’intero arco della giornata, ci siamo oggi a lottare contro il coronavirus, ma ci siamo stati anche a combattere con la meningite, con la TBC, con l’HIV, con HCV, con l’H1N1. Di rischi, nella professione infermieristica, ce ne sono tanti: il nostro lavoro è pieno di insidie. L'emergenza per noi è tutti i giorni, perché ogni giorno entriamo in contatto con persone che hanno problemi di salute e il nostro scopo è aiutarle a superarli. Anche noi abbiamo paura, molta, perché la paura è insita nella nostra professione, ma non possiamo arrenderci di fronte ad essa, non possiamo tirarci indietro. Il sentimento prevalente in questa fase emergenziale Covid è di grande preoccupazione, non solo per noi stessi, ma per i nostri familiari, poiché con la stretta vicinanza ai pazienti, si rischia di essere noi stessi fonte di contagio. Al tempo stesso non si può non avvertire un moltiplicato sentimento di solidarietà nei confronti dei malati che, costretti all'isolamento e, quindi, alla forzata separazione dai loro affetti più cari, trovano solo nel personale sanitario quel calore umano senza il quale ben più triste si rivelerebbe questa parentesi della loro vita. Essere infermiere significa anche sperimentare che la massima espressione del dolore può diventare bellezza in un incontro di sguardi, magari mentre ci si accinge ad intubare, o attraverso il casco di una Cpap o una maschera di protezione dove sono gli occhi a sorridere, sostenere, rassicurare e abbracciare la sofferenza. Il nostro obiettivo è assistere le persone, individuarne le necessità ed essere loro vicini, in questa dolorosa esperienza, e lo stiamo dimostrando: infatti è proprio tra gli infermieri che si riscontra il maggior numero di contagi e, tra questi, c'è chi muore di COVID. “Noi infermieri progettiamo, sperimentiamo, costruiamo e ricostruiamo processi assistenziali, percorsi organizzativi e flussi formativi. Ci impegniamo

inoltre in nuove logiche curative, educative e nella strutturazione di reti relazionali che nel loro insieme danno una risposta ai nuovi bisogni di cura e assistenza scaturiti anche dalla fragilità, dalla dipendenza, dalla cronicità, dal disagio e dalla solitudine nella malattia e nei momenti terminali della vita” dichiara Barbara Mangiacavalli, Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI). È questo il senso profondo della nostra professione, la molla ideale che ci spinge ad agire: prenderci cura dell'altro, senza porre limiti al sacrificio, con la convinzione che curare il prossimo nell'anima e nel corpo ha il significato più alto di un amore per l'umanità intera.

Florence Nightingale (12 maggio 1820 - 13 agosto 1910) opera di Laura Feliziani

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Viviamo in un mondo che cambia

NUOVE CONSAPEVOLEZZE F

Enrico SQUAZZINI

ino ad oggi la visione che l’uomo ha avuto di se stesso sulla Terra si è basata su un paradigma dominante: la presunta superiorità nei confronti del mondo circostante. Principalmente per tale motivo abbiamo basato le nostre azioni, cioè la nostra vita, sul concetto che tutto fosse a nostra disposizione e discrezione. Sfruttamento e gestione ambientale e reperibilità di materie prime sono state, da un certo momento in poi, ritenute attività senza regole. Così, con estrema leggerezza, abbiamo letteralmente ed impunemente violentato le leggi degli equilibri ambientali senza mai curarci un minimo delle possibili conseguenze. Viepiù abbiamo identificato come attività principale della nostra esistenza la folle corsa al profitto economico. Ci siamo perfino elevati al rango di padroni del tempo, giungendo al paradosso che tutti abbiamo un orologio al polso ma “non abbiamo mai tempo per”… Situazione perfetta per un essere vivente che si ritiene, a tutti gli effetti, un gigante invulnerabile convinto che le capacità tecnologiche gli conferiscano mandato di dominare il mondo senza alcuna misura o prescrizione. È però accaduto che, di recente, l’autoproclamatosi “supereroe dei tempi moderni” si sia trovato improvvisamente sbaragliato, dal punto di vista pratico e psicologico, nello scoprire che esiste “qualcuno” che se ne frega altamente della sua tecnologia, delle sue ricchezze, del presunto potere e del sentore di invulnerabilità. “Qualcuno” che, in men che non si dica, gli ha letteralmente sbattuto in faccia tutta la sua reale fragilità di organismo vivente. Appena una manciata di giorni e il più piccolo organismo vivente, da noi ritenuto insignificante date le dimensioni, è stato in grado di imporci una dura lezione di umiltà demolendo il gigantesco castello di carta, inviolabile forziere delle nostre certezze, che eravamo stati in grado di erigere finora. Un virus come ce ne sono tanti sulla Terra da miliardi di anni. Che certamente non redige dichiarazioni di guerra ma che, molto più semplicemente, rivendica come tutti gli altri uno spazio vitale nel panorama evolutivo. Sembra strano porla in questi termini? Pensiamoci bene: covid-19, così lo abbiamo chiamato, è sostanzialmente la risposta diretta alla nostra sconsiderata campagna di invasione degli spazi altrui. Il “salto di specie”, che sembra chissà che, è la modalità con cui da sempre un virus può perpetuare la sua esistenza. Ritengo convintamente che l’improvviso senso di vuoto ed impotenza in tutti noi che scaturisce da questa esperienza possa determinare un punto di svolta, nel bene o nel male. Spero induca anche noi ad un salto ma, in questo caso, che sia di qualità più che di specie. Forse ci consentirà, questa la considero un’opportunità, di ripensare un futuro possibile. Un futuro per l’umanità che sia significativamente diverso da quello prospettato finora. Magari dove anche lo stesso termine “umanità” assume tutt’altro significato; più consono a una delle tante specie biologiche presenti su questo pianeta. Questa nuova e drammatica situazione per la quale non disponiamo di anticorpi, sicuramente del sistema immunitario ma anche di “anticorpi psicologici”, passerà alla storia come un duro colpo, inatteso e traumatico. Ma forse ci indurrà a riflettere profondamente sul significato da attribuire alla nostra esistenza e sui suoi veri valori. Evidentemente dobbiamo imparare ancora molto. Soprattutto che, nonostante le nostre speciali e uniche doti rispetto a tutti gli altri organismi viventi, anche il nostro mondo è fatto maggiormente di “cose” che non si vedono e che dobbiamo preoccuparci di conoscere.

Covid-19 è sostanzialmente la risposta diretta alla nostra sconsiderata campagna di invasione degli spazi altrui.

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FASE 2 LA NEVROSI DEL DOPO Pierluigi SERI

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al 9 marzo quando il Presedente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato il decreto “Io resto a casa” sono passati quasi due mesi. Periodo di isolamento forzato, unica strategia di contenimento del famigerato Covid-19 che sta dilagando in tutto il mondo, in attesa del tanto sperato vaccino. Intanto si avvicina la cosiddetta fase 2 che prevede un graduale allentamento dei provvedimenti restrittivi che hanno costretto milioni di cittadini ad un forzato isolamento. “Andrà tutto bene” è lo slogan ricorrente e ci credo, sono ottimista. Ho fiducia nella scienza e nel senso civico dimostrato dalla maggior parte dei cittadini, tranne la solita odiosissima minoranza dei ben noti “furbetti”. Di meno nella classe politica che neanche in questi momenti di emergenza nazionale ed internazionale riesce a trovare una certa coesione, almeno di facciata, non rinunciando al vizietto di sempre fatto di polemiche strumentali, ripicche e interessi di partito ed elettorali. Che il nostro Paese campi sulle emergenze è un fatto che abbiamo segnalato più volte in vari articoli, ma stavolta si tratta di una pandemia e non ci si scherza. Se il decreto del 9 marzo ci ha costretto ad una lunga reclusione in casa, creando problemi psicologici e di socializzazione, anche la tanto conclamata Fase 2 si annuncia piena di problematiche e di incognite. Che “Tutto tornerà come prima” è una favola metropolitana a cui nemmeno i più sprovveduti credono. Ci aspetta un lungo periodo di transizione in cui le nostre tradizionali abitudini dovranno cambiare radicalmente con le conseguenti ricadute sul piano economico, sociale e psicologico e proprio di questo ultimo aspetto intendiamo parlare. In questi giorni psichiatri e psicologi a più riprese si sono dichiarati preoccupati per la salute mentale dei cittadini. La necessità ineludibile di chiudere tutti in casa per abbassare il numero dei contagi ha implicato un aggravamento per chi soffriva di problemi psicologici perché la reclusione ha tolto le risorse di appoggio che gli mitigano il disagio. In questo senso la preoccupazione maggiore non la danno le diagnosi più gravi che riguardano schizofrenie o disturbi di personalità, in quanto tali pazienti vivono in comunità terapeutiche assistite da personale specializzato. Invece in una persona che vive sola o in una convivenza connotata da alta conflittualità, l’esperienza della reclusione può peggiorarne l’equilibrio psichico. La persona molto ansiosa si sentirà angosciata non solo perché reclusa, ma anche perché privata del contatto umano con le altre persone

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oppure del lavoro che magari è la sua unica fonte di gratificazione. In tali situazioni anche le necessarie informazioni dei media sulla pandemia possono essere causa di un peggioramento di stati di angoscia anche latenti. Sono proprio queste ultime la maggiore fonte di preoccupazione da parte di psicologi e di psicoterapeuti. Però anche la Fase2, quella del reinserimento graduale delle attività lavorative, riserva molti interrogativi. Essa infatti costringerà ad una faticosa e stressante rinuncia alla spontaneità, ad una costante sorveglianza sui propri gesti istintivi. Sappiamo già che non dobbiamo toccarci il volto, stare a distanza di sicurezza e dovremo sempre indossare le mascherine. Dobbiamo entrare in una forma mentis basata sulla diffidenza, sulla distanza dall’altro che è poco connaturata al nostro modo di vivere, visto che l’uomo è un animale sociale, e in particolare a popoli del Sud Europa come Italiani, Francesi, Spagnoli portati per cultura verso l’espansività. Dovremo entrare, speriamo provvisoriamente, in un modo di gestire lo spazio interpersonale che potrebbe essere molto faticoso e far affiorare problematiche latenti. Infine bisogna prendere in considerazione, dal punto di vista psicologico e psichiatrico, anche la tenuta economica del Paese. Più l’emergenza Covid durerà, più dovremo confrontarci con una crisi economica in cui diverse attività commerciali potrebbero non riavviarsi, delle fabbriche chiudere, alcuni imprenditori dichiarare fallimento. Tutto dipenderà da quanto sarà graduale la riapertura e come funzioneranno gli interventi statali a favore delle imprese. La crisi economica del 2008 ci ha fatto vedere che un crollo economico improvviso è sempre accompagnato da un senso di forte disagio, di inadeguatezza, di tradimento della propria identità, con un drammatico strascico di suicidi e di ricoveri alla neuro. Sarebbe necessario pensare ad una serie di interventi che rafforzino il dipartimento di salute mentale, immettendo sul territorio un numero adeguato di psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, tramite concorsi che, come sembra, se ne siano stati fatti pochi. Soprattutto, visto che in tempi di Covid 19 da un lato abbiamo apprezzato il sistema sanitario nazionale, dall’altro abbiamo constatato che esso negli anni è stato falcidiato da tagli, riduzioni del personale, riduzione di fondi per la ricerca, riduzione della spesa pubblica, sarebbe il momento che a tali storture si ponga una volta per tutte rimedio! ANDRÀ TUTTO BENE!


EMERGENZA COVID IN UMBRIA RESIDENZE SEMPRE PIÙ PROTETTE

“Mai come oggi la sicurezza è la nostra priorità, ma quando si parla di anziani in trappola o in pericolo, è bene non fare di tutta l’erba un fascio”. A sottolineare l’importanza di non generalizzare in piena emergenza sanitaria, è la dottoressa Sabrina Tini, amministratrice di Villa Sabrina, residenza protetta per anziani non autosufficienti di Otricoli (Terni), che a fronte dei decessi verificatisi in molte strutture d’Italia ribadisce con fermezza la necessità di valutare caso per caso, gestione per gestione, regione per regione. Ventiquattro ospiti e tredici operatori sanitari in forza al complesso, Villa Sabrina da sempre garantisce un alto livello di sicurezza grazie al personale specializzato ed a procedure interne di controllo di gestione, oltre ai controlli cui viene sottoposta con regolarità da parte delle autorità sanitarie, ma oggi più che mai sente forte il bisogno di rassicurare i propri pazienti e le loro famiglie. Una questione di responsabilità, ma anche di rispetto per l’impegno e la correttezza che l’amministrazione e il personale mettono quotidianamente nel proprio lavoro. “All’inizio di questa emergenza”, spiega l’Amministratrice, “ci siamo spaventati perché, come tutti, ci siamo trovati impreparati afronteggiare senza armi un nemico invisibile, per cui per prima cosa abbiamo cercato di capire le caratteristiche ed i punti critici del questo virus -modalità di contagio e situazioni a rischio- ci siamo immediatamente adoperati per bloccare le visite esterne e per attuare una serie di istruzioni operative e procedure interne tese alla massima messa in sicurezza della struttura”. Con una laurea in farmacia, che in tempo di pandemia si è rivelata utile per individuare le mosse giuste ed operare a tutela della salute, Sabrina Tini ha formato e riorganizzato i propri operatori, dotandoli di tutti i dispositivi di sicurezza necessari, chiedendo a gran voce la collaborazione della ASL Umbria 2 per l’esecuzione di tamponi rapidi per operatori, ospiti e nuovi assunti. “Abbiamo cercato in tutti i modo di attirare l’attenzione dei responsabili della USL Umbria 2 sull’importanza della salubrità delle residenze protette e della necessità di DPI di protezione e, fortunatamente le autorità hanno avvertito l’importanza delle richieste ed hanno collaborato nello screening delle strutture, che sono risultate tutte sane ed integre. Quello che auspichiamo è l’apertura di un dialogo tra Regione-ASL-Residenze Protette, in modo da poter condividere le differenti potenzialità delle strutture dei territori umbri, le procedure da applicare e le check list al fine di garantire il monitoraggio e le misure necessarie per una corretta gestione e per fronteggiare lo spettro del Covid-19.

Sabrina TINI titolare residenza Villa Sabrina

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IL RITORNO dello ZIO DI LIBIA Q

Francesco PATRIZI

uando incontrava qualcuno, gli diceva sempre: “Ammu, mi dai una sigaretta?”, così si era guadagnato quel soprannome, Ammu, cioè “zio”. Il suo vero nome è Ahmed Dabbashi, in gioventù si arrangiava per le strade di Sabratha facendo lavoretti occasionali, “trasportava le cassette della frutta, scaricava i camion e aiutava nei traslochi, insomma un poveraccio a cui non avresti dato un soldo”, racconta un ex vicino di casa all’inviato del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi. Nel giro di poco tempo, Ahmed Dabbashi arriva a trattare con il governo libico e con quello italiano, diventando capo di una banda armata tra le più temute e potenti della Tripolitania. La “Brigata Anis Dabbashi” nasce nel 2014 e gestisce uno dei principali punti di partenza del flusso migratorio verso l’Italia. Ammu lo squattrinato diventa così un ricco trafficante di armi, di petrolio e di esseri umani, su cui pende un mandato di cattura internazionale. Tutto cambia nel febbraio 2017 quando, con la firma del Memorandum of Understanding tra Italia e Libia, a Dabbashi viene riconosciuto il controllo della costa di Sabratha. Nonostante le smentite ufficiali di Palazzo Chigi, Reuters e Associated Press rivelano la sua conversione “da boss degli scafisti a collaboratore di primo piano del governo italiano per il blocco dei flussi migratori”. Il servizio di intelligence della polizia locale di Tripoli rivela al Corriere della Sera «che Dabbashi, per fermare gli sbarchi, avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità

nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Sarraj». D’altra parte, i rapporti con il nostro paese erano già in atto, non è un segreto che il suo clan si occupava della sicurezza della Mellitah Oil&Gas, legata all’Eni. Quando il ministro Minniti promuove l’istituizione dei centri di accoglienza in Libia, il governo di Tripoli “riconverte” i campi di prigionia dove Dabbashi e altri criminali stipano i migranti, estorcendogli denaro e affamandoli fino allo stremo. Di fatto, nulla cambia e il clan continua ad arricchirsi. Fino a quando il generale Haftar dichiara guerra al governo di al-Sarraj, considerato illegittimo, entra a Sabratha e il pluriricercato Ammu viene arrestato per ordine di un generale schierato con l’esercito ribelle. Ad aprile le truppe filo-governative hanno ripreso terreno e, approfittando della pandemia di Covid-19, hanno aperto le carceri sovraffollate liberando 400 detenuti, tra questi Ahmed Dabbashi. Secondo alcuni osservatori, è stata una mossa per riportare in scena pericolosi e sanguinari mercenari utili al governo di al-Serraj. Dabbashi, appena tornato libero, è andato a sgozzare i due figli (17 e 21 anni) del generale che lo ha arrestato, poi ha lanciato un appello per riunire le forze contro i ribelli. Pochi giorni dopo, le milizie filo-Haftar hanno preso Saleh Dabbashi, il fratello di Ahmed. Qualcuno a Roma trema, ora il generale, che più volte abbiamo convocato per fare da paciere e che ci ha sempre accusato di sostenere al-Serraj, ha in mano un uomo che potrebbe rivelare accordi segreti del clan criminale con l’Italia.

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LU COVIDDE DIECIANNOVE, LI CAPILLI E… LU TEMBU CHE PPASSA Da tembu io m’ero ‘ccortu che, ‘gni vòrda che annào da lu bbarbiere, li capilli ch’armanéono pe’ tterra doppo lu tosaggiu erono sembre de meno… issu facéa prima ma lu prézzu armanéa sembre quillu. Me cce so’ mmissu a ppenza’ fittu fittu quanno… èccote lu corona vìrusse…che cco’ lu sennu de mo’ potéa ‘rmane’ llà da ddo’ era vinutu. Pe’ lu Còvidde dieciannòve… FASE 1… parecchi nigozzi l’hanno jusi… compresu lu bbarbiere… se pòle scappa’ sulu se nnicessariu e tòcca mantene’ armeno ‘na metrata de distanza unu dall’andru. Li capilli su la jerica a ddi’ la verità… me stéono ggià a ddistanza de sicurezza però vistu che da ‘ll’andre parti me s’erono ‘llungati ‘n bo’ troppu , me so’ ccumpratu su internètte la macchinetta pe’ ttajalli. Doppo lettu e rilettu le spiegazzioni e vvistu ‘n bo’ de firmàti su ccome addopralla… me so’ mmissu a ssede’ co’ ‘nu ‘sciuttamano su le spalle e ‘nu specchiu pe’ ccontrolla’ mi moje che mme li dovéa taja’. Nn’è cche èrimo tantu pratichi ccucì ‘émo inizziatu, co’ la misura più llunga da 40, a ttaja’ de dietro e dde latu. Essa me dicéa che ‘n ze vedéa l’effettu… ccucì ‘gni passata ce metteva lu pettine più ccurtu…35,30,20,… e mmo’ ce metto lu nove e je dò ‘n’andra ‘rpassata… appena me so’ gguardatu su lu specchiu … e mmo’ che mm’hai cumbinatu?... la bbassetta destra dd’è ‘nnata a ffini’?… e li capilli da ‘sta parte so’ qquaci spariti e la ‘recchia scappa fòri ‘n bo’ troppu!... non vidi che cciài missu lu sei… hai lettu all’incontrariu… e va bbè… mo’ faccio anche de llà ccucì... nn’ho fattu ‘n tembu a ffermalla… e specchiannome de nòu… t’ho vistu che anche l’andra bbassetta era sparita e le ‘recchie mie stevono tutte e ddue ‘n risardu. A ‘llu puntu… persu pe’ ppersu… j’ho fattu fa’ pure lu ritoccu sussopra la capoccia. A la fine essa… ecco fattu…avanti ‘n andru!... Scì… vallu a ccerca’ che lu troi!... Ho sgrullatu lu ‘sciuttamanu e ho arcordu ‘lli ddu’ capilli cascati pe’ tterra e… FASE 2… tuttu quistu che sta succedènno dée facce rinzavi’… ccucì pòle diventa’ prestu reardà la speranza de lo rivìve e dde lo ricresce… che cc’entra co’ li capilli?... è ssembre tembu che ppassa!

Paolo CASALI

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PARTECIPARE vuol dire PRENDERE PARTE

Adriano MARINENSI

S

iamo dentro una cultura democratica che formalmente affida al popolo la gestione della res publica. Ho scritto formalmente perché, di fatto, i cittadini vengono consultati nei momenti elettorali e non più nelle fasi di formazione dei provvedimenti amministrativi. Invece, partecipare vuol dire far parte e il cittadino singolo oppure organizzato, fa parte se gli sono consentite frequenti occasioni di impegno propositivo. Ci sono due condizioni necessarie per rendere il legame utile e di buon livello: la promozione culturale e la diffusione delle informazioni. L’esempio -mi sia consentito– lo traggo da una esperienza che facemmo, in Umbria, a partire dai primi anni ’70 del ‘900, durante la rivoluzione regionalista. I Centri studi “Mattei” di Perugia e “Vanoni” di Terni furono gli strumenti creati proprio per qualificare il processo di partecipazione attraverso iniziative di coinvolgimento generale (la Sala di Via Carrara), affiancate da mezzi di comunicazione come la rivista Quaderni Umbri ed il periodico Agenzia regionale dell’Umbria. Funzionarono da elementi propulsivi per attuare l’idea riformatrice di quello che fu definito il “modo nuovo di fare politica.” Intorno a quelle iniziative si mobilitarono molti giovani. Un esperimento che, debitamente aggiornato, con la tecnologia moderna e l’innovazione culturale, potrebbe ancora funzionare. Fu un momento di democrazia reale. Poi, più avanti arrivò il tempo della controriforma, cioè del ritorno 'forse non pensato, forse involontario' verso la democrazia debole e la voce dell'agorà non ebbe più il dovuto ascolto. La base ed il palazzo tornarono ad essere due mondi separati; s’era affievolita la meditazione corale. Perché, il conservatorismo va d’accordo con la pigrizia intellettuale, orienta verso il giaciglio del potere comodo. Oggi, le decisioni e le scelte sono a soggetto unico: il potere è tornato nelle mani della tecnocrazia ed ha imbalsamato il territorio su posizioni di retroguardia. Occorre un ritorno della politica autorevole e credibile. Quando saremo usciti dalla attuale situazione di emergenza, toccherà ripensare molte cose. Ridare slancio alle strategie di governo locale, marginalizzare le mediocrità, massimizzare

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l'efficienza delle attività pubbliche. Superata la fase del pronto soccorso, saremo chiamati ad affrontare un compito arduo di ricostruzione del sistema regione. Innanzitutto, riavviare i meccanismi produttivi con provvedimenti di sostegno alla piccola e media impresa, all’artigianato, all’agricoltura, al turismo, al terziario, duramente provati dalla sosta forzata e falcidiati nei livelli di occupazione. Parola d’ordine per tutti: lavorare insieme responsabilmente per ripristinare la crescita. Nessuna diserzione ammessa. Avremo l’obbligo di mettere in campo una capacità progettuale di alto profilo, per realizzare la modernità rinnovata, fondata su una visione di qualità della cultura. Ecco perché è utile anche la revisione della cultura democratica che esalti lo spirito di servizio, la cooperazione, la partecipazione. Ci sarà spazio per la professionalità dei giovani -i ragazzi del ’99 del XXI secolo- chiamati alle armi non per combattere, ma per fare da soggetti operativi nello sforzo di ripresa. Meno discoteca, meno movida, più idee e creatività. Alle forze in campo sarà consentito il confronto non le ostilità. Le voci soliste fuori dal coro, di segno qualunquista, non potranno trovare ascolto. I tecnici dovranno far vedere quel che valgono. Un coraggio di tipo imprenditoriale dovremo pretendere dal sistema del credito, liberato da regole ragionieristiche di vecchia maniera. Il mercato avrà bisogno di capitali coraggiosi che sappiano fare da volano e da moltiplicatore dello sviluppo. La situazione impone maggiori rischi a tutti, pure alle Banche. Siamo una piccola città (Terni), in una piccola regione (Umbria) e per riemergere ci vorranno tanto ardimento, tanta perizia e competenza. In prima linea saranno chiamati ad operare gli Enti locali e gli Organismi regionali, con strumenti adeguati all'eccezionalità del momento, all'insegna della rapidità decisionale e ben oltre il confine della ordinaria gestione. Nuovi protagonismi dovremo pretendere dalla classe dirigente pubblica e privata ed ai cittadini, alle Associazioni aprire ampi spazi di azione responsabile. Con l’avvertenza che c'è un solo modo per risolvere le crisi sociali generate dalle vecchie e nuove indigenze: produrre ricchezza e creare occupazione. Sembra l’uovo di Colombo; attualmente invece si presenta come un traguardo difficile da raggiungere. La qualità della cultura politica farà la differenza. Ed anche il sentimento di solidarietà umana. Settantacinque anni fa, gli italiani venivano dalla pochezza, non dal benessere; quelli della mia generazione riconquistarono la libertà; gli altri, che avevano qualche anno in più, rimisero in piedi le insegne democratiche; tutti insieme si strinsero a coorte per riedificare l’Italia in macerie. I problemi di oggi sono diversi, però il compito è parimenti gravoso e chiede finalità unitarie, nel segno del risorgimento dalla depressione. E l’avvento della democrazia nuova.


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NERA MARMORA

Gina Palmucci 1891-1924

Gian-Luca Petrucci

Professore emerito del Conservatorio Santa Cecilia di Roma

G

ina Palmucci, che assumerà il nome d’arte di Nera Marmora in omaggio alla sua città natale, nacque il 3 giugno 1891, figlia di Giulia e Augusto Palmucci, capo personale delle acciaierie di Terni. Studiò brillantemente e dopo aver ottenuto il diploma magistrale iniziò la sua carriera di insegnante alla scuola elementare “Santa Caterina” di Terni, continuando tuttavia a coltivare la sua passione per il canto lirico nonostante i dubbi espressi dai genitori. Il suo cammino professionale nel campo della musica iniziò al Conservatorio Santa Cecilia di Roma sotto la guida del grande baritono Antonio Cotogni (1831-1918) e del celebre soprano Fanny Torresella (1856-1914). Gina seppe utilizzare la lezione di questi grandi Maestri adeguando la sua voce alle istanze richieste sia dagli autori “veristi” che dalle nuove letture delle opere di Bellini, Donizetti, Rossini, Verdi proposte da direttori d’orchestra come Arturo Toscanini (18671957) e Leopoldo Mugnone (1858-1941). Direttori che imposero una corretta lettura dei testi bandendo dai Teatri tutto ciò che non fosse scritto in partitura e utilizzando i cantanti come strumenti di straordinaria duttilità espressiva.

Lapide sul frontone della casa natale di Nera Marmora

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Nel Giugno del 1914 Gina si diplomò e si esibì nello stesso saggio con Beniamino Gigli con il quale, in futuro, avrebbe condiviso il palco dei maggiori Teatri. Gina Palmucci, per tutti ormai Nera Marmora, ebbe un successo immediato e prestissimo giunse a cantare in compagnie teatrali insieme a Enrico Caruso, Tito Schipa, Beniamino Gigli. Nel 1917 compì una memorabile tournée in Sud America con Enrico Caruso e nel 1921, all’apice della notorietà, si esibì al Teatro alla Scala di Milano nell’opera Falstaff con il celebre baritono Mariano Stabile e la direzione di Arturo Toscanini. Nel 1922 fu Violetta nell’opera La Traviata al Teatro La Fenice di Venezia con la direzione di Leopoldo Mugnone. Nel 1923 Nera Marmora, ormai celebre, decide di ritirarsi dalle scene per dedicarsi alla famiglia dopo il matrimonio con Cesare Paparini. Sfortunatamente il 15 Aprile del 1924, pochi giorni dopo essere diventata mamma, Gina Palmucci muore. Nel 1996 è stata posta una lapide in via Barbarasa 9 nella casa dove Nera Marmora nacque. Al di là degli aspetti biografici, dei successi, delle partecipazioni a compagnie di canto di primissima scelta, negli spettacoli realizzati insieme ai maggiori cantanti dell’epoca il più rilevante aspetto dell’arte di Nera Marmora è quello della sua capacità di essere stata un’artista in grado di mettersi al servizio dell’Arte con intelligenza e modestia, contribuendo all’identificazione stilistica del canto del Novecento. I cantanti che collaborarono con successo al nuovo impianto esecutivo furono abili nell’adattare le loro qualità canore a una lettura e interpretazione di maggiore rigore ed efficacia drammatica. La storia dell’interprete Nera Marmora è intimamente collegata a questa ricerca iniziata negli anni di studio con illuminati docenti e proseguita attraverso collaborazioni prestigiose con i più grandi direttori d’orchestra del Novecento.


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IL 3 MAGGIO ERA S. CROCE L Vittorio GRECHI

a Chiesa cattolica, molte Chiese protestanti e la Chiesa ortodossa celebrano la festività liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce, il 14 settembre, anniversario del ritrovamento della vera Croce da parte di Sant’Elena (14 settembre 320), madre dell’imperatore Costantino, e della consacrazione della Chiesa del Santo Sepolcro in Gerusalemme (335). Secondo la tradizione, Sant’Elena avrebbe portato una parte della Croce a Roma, in quella che diventerà la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, mentre una parte rimase a Gerusalemme, trafugata poi dai persiani nel 614. Nei secoli questa festività incluse anche la commemorazione del recupero da parte dell’imperatore Eraclio della Vera Croce dalle mani dei Persiani nel 628. Nell’usanza gallese, a partire dal VII secolo, la festa della Croce si teneva il 3 maggio. Quando le pratiche gallesi e romane si combinarono, la data di settembre assunse il nome ufficiale di Trionfo della Croce nel 1963, ed era usato per commemorare la conquista della Croce dai Persiani, e la data in maggio fu mantenuta come Ritrovamento della Santa Croce. La festività in maggio è stata tolta dal calendario liturgico del rito romano in seguito alle riforme del Missale Romanum operate sotto Giovanni XXIII nel 1960/1962. La tradizione contadina consisteva nel mettere nei campi, il 3 maggio, una croce fatta con le canne o con due bastoncini legati con un vimine, insieme a ramoscelli di ulivo benedetti la domenica delle Palme e alle preghiere per invocare la protezione divina sui raccolti dell’anno in corso. Questo compito era in genere affidato alle donne, specie a quella più anziana della famiglia contadina, custode delle tradizioni religiose tramandate da madre in figlia da millenni. Se il tempo era clemente, cioè se si

La tradizione contadina consisteva nel mettere nei campi il 3 maggio, una croce fatta con le canne, insieme a ramoscelli di ulivo benedetti la domenica delle Palme

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comportava senza eccessi ma nella norma, il raccolto dei frutti della terra sarebbe stato abbondante, con beneficio di ognuno, uomini e animali, senza temere le pericolose carestie. Allora tutti, quando si incontravano nei campi, ringraziavano il Signore per la bella stagione passata. Poteva però accadere, e spesso accadeva, anche se non sempre nella stessa zona, che una grandinata improvvisa distruggesse, insieme alle viti col loro carico acerbo di grappoli, ogni altra coltura che stava crescendo in quei terreni. Considerando l’attaccamento che ogni contadino aveva per il frutto delle sue tante fatiche, ma in particolare per il vino, la grandine nella vigna era temuta come la peste nera. Era quasi metà giugno quando accadde. Dopo alcuni giorni molto caldi il tempo cambiò all’improvviso, il cielo si rannuvolò, si fece buio anche se era quasi mezzogiorno, incominciò a piovere forte mentre tuoni e fulmini riempivano l’aria e la grandine martellante iniziò ad abbattersi sulle piante, straziandone foglie e frutti. Durò pochi minuti e rapidamente come era incominciata cessò. Allora il capo famiglia uscì di casa per accertarsi del danno perché dalle finestre appannate non si vedeva granché. Ne tornò quasi subito portando in mano i tralci spezzati, carichi di grappoli spappolati e, bestemmiando tutti i santi del circondario, li buttò sul pavimento della cucina, invitando la moglie a smetterla con le croci nei campi che non servivano a niente. Mentre la moglie rabbrividiva strabuzzando gli occhi davanti a tanta devastazione, il marito alzò lo sguardo verso il piccolo crocifisso di metallo appeso alla parete sopra la macchina da cucire. Fu un attimo. Balzò verso il muro, lo staccò dal chiodo, si precipitò verso la piccola finestra, la aprì e lo scaraventò con violenza in mezzo ai campi gridandogli di guardare bene i danni che aveva combinato. È tipicamente umano dare sempre la colpa agli altri e fare confusione tra meteorologia, superstizione e divinità.


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