La Pagina Novembre 2020

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elevatori su misura

Numero 179 Novembre 2020

Fisioterapia e Riabilitazione

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura

Zona Fiori, 1 - Terni - Tel. 0744 421523 - 0744 401882 www.galenoriabilitazione.it Dir. San. Dr. Michele A.Martella - Aut. Reg. Umbria DD 7348 del 12/10/2011


Novembre 2020

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni. Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 Tipolitografia: Federici - Terni DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 - info@lapagina.info www.lapagina.info Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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Senicidio, il valore della vita

Pubblico e Privato

L. Santini

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G. Raspetti

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Chi finanzierà l’innovazione?

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la Resistenza dei giornalisti filippini A. Melasecche

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F. Patrizi

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3. BMP elevatori su misura 5. PIERA Salute e Bellezza 9. Edilizia COLLEROLLETTA 11. CMT Cooperativa Mobilità Trasporti 12. L’insostenibile pesantezza dell’essere V. Iacobelli 14. Raccontare una nuova Umbria E. Squazzini 15. ARCI 16. Chirurgia e alta specialità 17. BIOFONTE 17. Memoràndumme P. Casali 18. Prevenzione e Covid L. Fioriti 18. Adolescenza e scoperta della femminilità G. Porcaro 19. La protesi di anca nel paziente giovane V. Buompadre 19. AUDIBEL Apparecchi acustici 20. Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni 22. Ordine delle professioni infermieristiche di Terni 24. Autunno 2020: seconda ondata tra covid e nomask PL. Seri 25. VILLA SABRINA - residenza protetta 26. Consorzio di bonifica Tevere Nera 28. PER TERNI G. Porrazzini - G. Raspetti 32. Una nuova Giovine Italia in tempo di epidemia A. Marinensi 33. LENERGIA 33. SIPACE Group 34. Lettera al Direttore P. F. Georgelin 36. C’era una volta… e ci sarà ancora se… L. Santini 37. RIELLO Vano Giuliano 38. Rrepara piatti, conculine e ombrella… V. Grechi 39. Colori d'autunno M. Coronelli 40. EC-comunicazione e marketing

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SENICIDIO il valore della vita L

Loretta SANTINI

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’emergenza creata dall’epidemia del covid-19 ci costringe a fare delle considerazioni sulla preoccupante quantità di decessi di persone anziane o vecchie, per molte delle quali si è parlato, purtroppo, di senicidio. Il senicidio o geronticidio è l’accompagnamento alla morte (suicidio/omicidio) di persone anziane non ritenute più valide. Presso le tribù degli indiani d’America un vecchio non in grado di badare a sé stesso o divenuto di peso alla comunità per carenza di cibo, si allontanava volontariamente dalla tenda e si lasciava morire in solitudine. In molte culture tribali, sebbene il vecchio fosse un bene da salvaguardare perché rappresentava esperienza, conoscenza, saggezza, quando diveniva un ostacolo alla sopravvivenza della comunità e non era più in salute, o spontaneamente si lasciava morire, o veniva abbandonato, mai ucciso. Questo può sembrare aberrante e disumano, ma in quelle comunità il sacrificio dell’anziano era inteso come un contributo al benessere della collettività che la carenza di risorse metteva a rischio. In molte comunità protostoriche l’uccisione del vecchio -ma anche quella dei bambini- era un rituale con significato purificatorio. Nell’antica Grecia, quando gli Ateniesi assediarono Kea, per mancanza di viveri, gli abitanti dell’isola invitarono i vecchi a bere cicuta.

Di esempi storici se ne possono fare ancora molti, ma ora guardiamo alla tragica situazione attuale. In occasione della recente pandemia di covid, molti Stati, di fronte all’intensificarsi delle terapie intensive e quindi della mancanza di attrezzature sanitarie per curare il malato, hanno dovuto fare una scelta drammatica -un protocollo spesso tacito- di salvare un giovane rispetto all’anziano malato. Si sa di servizi sanitari nazionali che hanno stabilito una sorta di punteggio in base all’età, alle malattie, alla fragilità, all’aspettativa di vita per stabilire se curarlo o no. Si sa di altri che hanno consigliato terapie palliative: si chiama “accompagnamento alla morte” o “eutanasia sociale”; altri ancora, addirittura -e questo è veramente terribile- hanno negato il ricovero o lo sbarramento alle terapie più costose e impegnative. Tutto questo naturalmente -è bene ricordarlo- in mancanza di posti letto. Penso che sia stata una scelta difficilissima, piena di implicazioni morali, addirittura devastante. Di fronte a un giovane che ha solo il covid e a un anziano pieno di patologie gravi, chi avreste salvato? Tutto ciò si capisce, ma è aberrante. È aberrante perché non si è provveduto ad avere un sufficiente numero di posti letto e attrezzature adeguate alla cura. È aberrante perché viene calpestato qualsiasi diritto della persona che sempre deve essere curata e salvata. È aberrante perché si disconosce qualsiasi morale in nome di “mors tua vita mea”. Mi chiedo: quel vecchio lasciato morire è sicuramente uno qualsiasi, un anonimo essere umano. Ma se fosse stato un personaggio importante, o un politico, o un ricco, la scelta sarebbe stata la stessa? Probabilmente no. In questo modo il vecchio vale per quello che ha e che fa e non per quello che è. È questo che è amorale: calpestare e ignorare l’essere umano, unico e irripetibile! Calpestare i diritti umani. Sono perciò indignata per questa situazione conseguente alla pandemia che aumenta le disuguaglianze sociali, che non guarda in faccia a nessuno e lascia morire i più vecchi, i più deboli, i più poveri. Il virus non è democratico, ma non lo è nemmeno l’uomo -lo Stato- quando dovrebbe agire per rimuovere gli ostacoli che dovrebbero rendere una comunità sana, giusta, libera. Concludo, per noi anzianetti, con una poesia di Ungaretti: Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.


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Pubblico e Privato Bellissimo il privato, ma senza tresca con il pubblico

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Giampiero RASPETTI

o Stato, o meglio la città-stato, la Polis di Atene, nasce come fenomeno pubblico. Le cariche amministrative, fatta eccezione per strateghi e tesorieri che dovevano, ovviamente, essere nominati in base a loro caratteristiche d’eccellenza, erano infatti attribuite per sorteggio (con esclusione di donne, stranieri e schiavi) tra tutti i cittadini. Le cariche pubbliche, al tempo di Clistene (Atene, 565492), erano tutte a titolo gratuito; poi Pericle (Atene, 495-429) fece approvare una retribuzione, per il servizio fornito allo Stato, corrispondente alla paga giornaliera di un salariato. Sorteggio e retribuzione delle cariche pubbliche consentirono a tutti di poter partecipare alla vita politica. Trasferito così il potere decisionale al popolo, nasce la democrazia [δημοκρατία (democrazia), da δῆμος, (demos), popolo e κρατία (cratia), potere]. Oggi in Italia le differenze dalla nascita greca sono notevoli, ma si può dire che, in linea di massima, il potere decisionale sia passato dal popolo direttamente investito a rappresentanti del popolo che, però, possono pervenire a tale potere con artifizi non sempre limpidi e democratici. La parte totalmente pubblica sembra infatti ritrarsi: si accede nel mondo della partitica con mezzi non sempre adamantini, come si evince da frequenti cronache relative a illeciti compiuti tanto da fazioni vere e proprie, quanto, singolarmente, da loro proseliti. In più, una discreta componente della politica di parte attuale, si presenta e si fa conoscere come rappresentante del servizio pubblico, mentre si impegna e briga per il potenziamento e la supremazia di interessi privati, pattuendo con il privato intese di reciproco favore. Oggi, si faccia molta attenzione, ci si divide sempre più nella dicotomia più basilare che esista: uomo libero e cultore di privilegi, separandosi spesso in altra, insidiosa, dicotomia: pubblico e privato. Non voglio certo dire che pubblico significhi segnatamente libertà e privato valga invece solo come cultura dei privilegi,

Nell’antica Grecia il lavoro aveva un senso molto diverso da quello odierno. I Greci furono, comunque, i primi a comprendere l’utilità della moneta con valore di scambio come valore reale e non solo convenzionale. Il pagamento per lavori correnti era in oboloj (obolòs, obolo, anche in argento) o nella sua ottava parte, il xalkoj (chalkòs, rame). L’obolo era la sesta parte della draxmh (dracme, dracma, moneta in argento). Salariato è voce latina e significa retribuito con tavolette di sal, sale (la Via Salaria è stata tracciata e realizzata per il trasporto del sale dall’Adriatico). Si parla, in genere, di salario per l’operaio, paga (dal latino pacàre, acquietare e, questo, da pax, pace, quiete, perché il pagamento appaga, soddisfa il creditore -quietanza-) per il bracciante, stipendio (da stips, monetina, elemosina) per l’impiegato, onorario (da honor, onore, è la rimunerazione alle opere d’ingegno) per il professionista, compenso (da cum, insieme e pensare, pesare, dare l’equivalente contraccambio) per prestazioni artistiche e servizi personali di qualsiasi tipo.

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tutt'altro! Ritengo infatti che il privato possa e debba rappresentare tout court l’intelligenza creativa dell’uomo libero. A certe condizioni, però, ça va sans dire! Cerco di spiegarmi, prendendo come esempio 3 categorie che penso debbano essere fondatamente pubbliche, ma che sono appetibilissime per la sfera privata: la politica, la scuola, la sanità. Sanità Lo Stato italiano si fa carico, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), dell’assistenza sanitaria per tutti, basandosi su princìpi fondamentali quali l’uguaglianza e l’equità, sull’erogare cioè la stessa qualità della prestazione per ogni singolo paziente. Su princìpi diversi si esprime il modello sanitario delle Assicurazioni Private di Malattia (APM), per il quale l’assistenza sanitaria viene erogata non dallo Stato, ma da strutture private. Tali strutture trattano inevitabilmente in maniera diversa l’assicurato normale, quello ricco e quello ricchissimo. Inoltre, i cittadini senza assicurazione non vengono assistiti. Non tratto in questa sede gli aspetti positivi e quelli negativi delle due modalità di erogazione dei servizi sanitari. Lascio le considerazioni al lettore ed agli incontri culturali tra esperti di entrambe le parti. A costoro, se lo vorranno, concederò spazio sul mio magazine, per esporre le loro sapienti considerazioni. Ammettiamo però, en passant, che il SSN non assista i pazienti con qualità assoluta, mentre il sistema delle APM tratti molto bene quella parte di pazienti di cui si occupa, escludendo però, come già detto, tutti gli altri. I due sistemi così descritti non sembrano rappresentare il massimo di quella moralità della quale i cittadini, di ogni provenienza e di qualsiasi ceto sociale, abbiano diritto. Per me, e anche per la stessa città che vado ormai da tempo delineando e propugnando, la città di San Valentino (in quanto tale, capitale dei diritti umani), offrire assistenza differenziata è una vera e propria sconcezza. Non da meno è quella sanità pubblica che non sia in grado di offrire prestazioni ai più alti livelli. Mi piace riportare, come esempio, una significativa parte del testo, relativo al giuramento professionale -il Giuramento di Ippocrate reso in maniera moderna-, approvato, il 13 giugno 2014, dal Comitato Centrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: GIURO di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute. Allora, che facciamo? Lo Stato si occupi di perfezionare, fino ai massimi livelli possibili, le prestazioni del servizio pubblico. Il privato abbia spazio libero, ma nessuna sovvenzione dallo Stato. Se poi il privato è così bravo da guadagnare montagne di soldi, ben per lui, ne saremmo tutti davvero felici!


Si scongiuri anche e si dissolva un maledetto e subdolo imbroglio, quello di togliere risorse o far sì che le strutture pubbliche funzionino male per poter incentivare alcuni amichetti di merenda, annidati nelle strutture private! Occorre, per meglio spiegarmi (sorvolando sulla questione che vede adesso presunti legami tra pubblico e privato in Lombardia, rapporti che la magistratura si spera definirà perfettmente), far cenno a quanto è già passato al vaglio della legge, sempre in Lombardia, dove le istituzioni private non sembra che, a volte, abbiano presentato risultati splendidi in virtù di sole forze interne. Non si tratterebbe, in realtà, solo di merende, si veda infatti (è questo uno degli tantisimi esempi) quanti miliardi siano stati concessi dallo Stato (cioè dal pubblico) a istituzioni private: Don Verzè, gli affari in Brasile e le prostitute minorenni (Report, 11/12/2011) - https://www.youtube.com/ watch?v=uxF9UdEd-UE. Si legga anche intorno al plurigovernatore della Lombardia Roberto Formigoni, caritatevolissimo e timoratissimo del suo Dio: L’ex governatore della Lombardia condannato in via definitiva per corruzione nel processo per il crac delle Fondazioni Maugeri e San Raffaele. Lo ha deciso la Cassazione. All’ex presidente della Regione Lombardia è contestata una corruzione fatta di cene, viaggi e gite in barca, divertimenti e anche un acquisto agevolato di una villa in Sardegna. Tutto pagato con i soldi fuoriusciti dalla casse dell’Istituto Maugeri di Pavia e dell’ospedale San Raffaele di Milano. Per questo il pubblico ministero Laura Pedio durante il processo di primo grado ricordò come “70 milioni di euro” erano stati “tolti ai malati per i suoi sollazzi”. Una “serie di utilità” per favorire i due enti lombardi con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici. Penso dunque che la Sanità debba rimanere pubblica per quanto attiene le strutture fondamentali, a partire dal pronto soccorso fino ad arrivare alle grandi patologie. Per le patologie minori, la prevenzione, la riabilitazione e per altri aspetti sanitari intessuti nel sociale, l’attività nel privato è non solo buona, ma addirittura meritoria. Privato, dunque, in questi termini, è bello, bellissimo, ma mai ci sia, sia pur minima, ombra di mafia pubblica, se non altro per garantire e proteggere quei professionisti privati eccezionalmente bravi, presenti in Italia in gran numero. Scuola C’è stato un periodo, in Italia, in cui fiorivano scuole private. Erano i tempi in cui il mio impegno per la moralità condivisa mi portò in rotta di collisione, e quindi a denunciare, con un notissimo Istituto privato di Roma, dipendente direttamente da un longevo e famosissimo uomo politico romano, noto poi alle cronache giudiziarie anche per un processo per contiguità alla mafia da cui è scampato solo per artata decorrenza dei termini, quella decorrenza che solo i ricchi o i potenti possono permettersi! Fui allora costretto a farmi difendere da un avvocato, il senatore Coccia, militante nella sinistra italiana.

Vinsi io, senza se e senza ma. Quale era, in quei tempi, il vile comportamento della politica pubblica nazionale? Non concedere, per vie di legge, i dovuti fondi all’edilizia scolastica pubblica, ragion per cui molti genitori si vedevano costretti a mettersi in fila, per intere giornate e nottate, al fine di iscrivere i propri figli presso le scuole private, visto che quelle pubbliche avevano già da tempo chiuso le iscrizioni per esaurimento posti. Domando: che c’entra tutto questo con la bellezza del privato? Il privato è bello se fa da solo e, da solo, guadagni pure tutte le ricchezze del mondo ed anche di più, ma non ci siano in mezzo intrallazzi vari! Dunque: Lo Stato si occupi di perfezionare, fino ai massimi livelli possibili, le prestazioni del servizio pubblico. Il privato abbia spazio libero, ma nessuna sovvenzione da parte dello Stato. Se il privato, poi, sarà così bravo da guadagnare montagne di soldi, ben per lui, gliene auguro ancora di più! Che le scuole private siano dunque più serie, molto più serie della scuola pubblica (non ci vuole granché visto la situazione denunciata dalle indagini mondiali che ci relegano, puntualmente, negli ultimi posti della graduatoria dei paesi sottosviluppati, quindi non in quella dei paesi in via di sviluppo, né, ovviamente, in quella dei paesi sviluppati!). Sia di grandissima qualità educativa e non sia un diplomificio per il quale potrebbero bastare due giorni di presenza alle presunte lezioni o il solo aprir bocca e bofonchiare qualche scemenza ai cosiddetti esami, svolti in autonomia, per essere promossi o diplomati! Anche in questi casi il privato rischia di affondare e di non essere proprio virtuoso! Politica Politica vuol dire oggi cultura, vuol dire capacità di Progetto, non altro! Tutto quello che non è cultura è tentativo od arte di impossessarsi delle strutture politiche pubbliche per fini privati e per fini, comunque, non previsti dalla Costituzione Italiana. Abbiamo anche assistito alla emanazione parlamentare di leggi definite poi universalmente come leggi ad personam! Si assiste ormai molto spesso a rivendicazioni univoche di fazioni di parte, ognuna legata a vari centri di potere: basta seguire le cronache giudiziarie, nella stampa o nelle tv! I partiti, cioè le strutture della politica di parte, non abbiano sovvenzione alcuna da parte di privati, perché tali soldi sono dati solo per ottenere vantaggi a proprio favore e a sfavore degli altri! La politica italiana rischia di diventare privata proprio quando ci si serve di un partito per difendere interessi di parte o per salvare qualcuno dalla galera. Anche in questo caso il privato cerca di impossessarsi del pubblico. N’est pas? Pubblico (lat. PÙBLICUS, che sta per PUBLÍCUS, PÒP’LICUS contrazione di POPULICUS da PÒPULUS popolo): appartiene a tutto il popolo. Privato (lat. PRIVATUS, da PRIVUS, singolo): riservato ad uno solo.

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CHI FINANZIERÀ L’INNOVAZIONE? È

Alessia MELASECCHE alessia.melasecche@libero.it

proprio questo il titolo dell’edizione 2020 del Global Innovation Index (GII), recentemente pubblicato, che presenta le ultime tendenze dell’innovazione globale e la classifica annuale di 131 economie nel mondo (www.globalinnovationindex.org). Il Global Innovation Index è un riferimento importante e il suo scopo è quello di fornire dati approfonditi sull’innovazione e, a sua volta, dare spunti ai politici, a livello nazionale e sovranazionale, per la valutazione delle prestazioni di ciascun Paese, con l’obiettivo di poter poi prendere decisioni, il più possibile informate, su eventuali nuove politiche da introdurre. Mentre il mondo lotta per far fronte alle implicazioni economiche e sociali della crisi da COVID-19 è più che mai evidente di come l’innovazione, in questo caso principalmente nella ricerca di cure e vaccini, sia la migliore speranza dell’umanità per superare questa fase e guardare avanti. L’attuale pandemia costituisce l’evidenza migliore del fatto che Ricerca e Sviluppo (R&S) e le innovazioni del sistema sanitario non siano un lusso, ma una necessità. L’ampiezza della crisi creata dal COVID-19 ha travolto molti Paesi in un’ondata di susseguenti emergenze. Oggi, ma ancora più negli anni a venire, le risorse finanziarie saranno messe a dura prova. Negli investimenti l’avversione al rischio sarà alta. Di conseguenza sia i Paesi che le aziende troveranno più difficile perseguire investimenti e innovazione. Entrambi però necessari per costruire un futuro sostenibile e inclusivo. Quello che emerge chiaramente dal report 2020 è che la Svizzera rappresenta l’economia più innovativa del mondo, seguita da Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi. L’Italia è 28esima. Quali sono i risultati chiave del Global Innovation Index 2020? La crisi del COVID-19 avrà un impatto sull’innovazione: i leader dei vari Paesi devono agire mentre passano dal contenimento alla ripresa. Il finanziamento dell’innovazione purtroppo diminuisce nell’attuale situazione di crisi, ma la speranza su alcune possibilità future permane. Il panorama dell’innovazione globale sta cambiando: Cina, Vietnam, India e Filippine sono in costante aumento. Per quanto riguarda l’Italia, ovvero con riferimento al

L’attuale pandemia costituisce l’evidenza migliore del fatto che Ricerca e Sviluppo (R&S) e le innovazioni del sistema sanitario non siano un lusso, ma una necessità.

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gruppo “ad alto reddito”, l’innovation performance si conferma essere in linea con il livello di sviluppo del Paese. Le prestazioni di innovazione definite come “stellari” sono state riscontrate nelle economie in via di sviluppo. Persistono divisioni regionali, ma alcune economie ospitano un significativo potenziale di innovazione. Quest'ultima è concentrata a livello di scienza e tecnologia (S&T) in alcune economie ad alto reddito, principalmente in Cina. Per quanto riguarda l’Italia, c’è Milano al 48° posto, confermando la posizione del 2019. È importante ricordare che la maggior parte dei Paesi che hanno scalato i ranghi nei GII nel tempo hanno beneficiato fortemente della loro integrazione nelle catene dei valore globali e nelle reti di innovazione. Cina, Vietnam, India e Filippine ne sono ottimi esempi. Proprio la ricerca congiunta di soluzioni mediche durante la pandemia ha dimostrato quanto possa essere potente la cooperazione. La velocità e l’efficacia di questa collaborazione mostra che le missioni di Ricerca e Sviluppo coordinate a livello internazionale possono contrastare efficacemente la tendenza a un maggiore isolazionismo e affrontare importanti temi sociali, ora e in futuro.


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La Resistenza dei giornalisti filippini A

Francesco PATRIZI

lla vigilia delle elezioni presidenziali filippine del 2016, la giornalista Maria Ressa chiede al candidato Rodrigo Duterte se ha mai ucciso qualcuno, lui risponde “sì, il mese scorso” e aggiunge che, quando sarà eletto, la sua sarà una dittatura, la polizia la sua spina dorsale, la lotta contro la droga il suo mandato. Appena eletto, durante una kermesse, si sente il presidente esortare i partecipanti ad uccidere i loro figli tossici, se ne hanno, perché sono solo causa di sofferenza, “inoltre farete risparmiare tempo alla polizia!”. È tutto mostrato nel documentario We hold the line di Marc Wiese, in programma nella rassegna nazionale Mondovisioni 2020. Da quando Duterte ha lanciato l’Operazione antidroga “Tokhang”, squadroni della morte a volto coperto, senza mandato e senza distintivo, irrompono nelle case private, fanno esecuzioni in mezzo alla strada, sparano a gente inerme; sono agenti di polizia, soldati dell’esercito e sicari privati ingaggiati dal presidente. Dal 2016 al 2019, ci sono state 27.000 uccisioni extragiudiziali, tra queste 122 riguardavano bambini (uno di appena 10 mesi), forse testimoni involontari da eliminare o vittime collaterali. La cifra è stata portata all’attenzione del Consiglio Onu per i diritti umani, dove si è discusso dei risultati della politica di Duterte, che la vice-presidente filippina Leni Robredo ha dichiarato fallimentare: nell’ultimo anno, a fronte di un consumo di 156.000 chili di metanfetamine, il governo ne ha sequestrati circa 1.000; su un traffico di 1.300 miliardi di pesos (22,88 miliardi di euro), ne ha recuperati solo

1,4 miliardi (24,6 milioni di euro). Duterte ha rimosso Robredo dal comitato per la lotta alla droga dopo appena 18 giorni dicendo che non si fidava di lei. Cosa c’è veramente dietro questa politica? Il fatto che un cargo di droga intercettato nel porto di Manila fosse destinato al figlio di Duterte, affiliato alla mafia della Triade Cinese, dà àdito a qualche sospetto. Le inchieste giornalistiche non sono gradite. Durante una conferenza stampa, si sente Duterte dire ai presenti che li farà uccidere uno ad uno: “avete perso le elezioni, dovete solo stare zitti!”. La testata giornalistica on line Rappler denuncia i metodi anticostituzionali del presidente e la direttrice Maria Ressa è stata scelta dal Times come donna dell’anno nel 2018 per la sua strenua battaglia per un’informazione libera. Maria Ressa non cede neanche di fronte alle intimidazioni di Duterte, che contro di lei ha messo in piedi una campagna d’odio sui social network e spicca periodicamente mandati di arresto per calunnia, diffamazione, evasione fiscale, tutti risolti con una notte in cella e rilascio su cauzione. Quando due supporter di Duterte si presentano nella sede della testata, facendo una diretta facebook per mostrare a tutti i volti dei giornalisti, i commenti vanno da “ammazzateli tutti” a “stupratela!” riferito alla direttrice. Su facebook è poi comparso il fotomontaggio di una giornalista dentro una bara. Il 3 luglio 2020 Duterte ha promulgato una legge che consente alla polizia di arrestare senza mandato presunti terroristi e i primi a finire in cella sono stati dei giornalisti. La risposta forte e chiara della redazione The Rappler è “we hold the line”, “restiamo fedeli alla linea”.

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L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA dell’ESSERE

Valeria IACOBELLIS

È buio perché ti stai sforzando troppo. Con leggerezza, bimba, con leggerezza. Impara a fare ogni cosa con leggerezza. Sì, usa la leggerezza nel sentire, anche quando il sentire è profondo. Con leggerezza lascia che le cose accadano, e con leggerezza affrontale. Dunque getta via il tuo bagaglio e procedi. Sei circondata ovunque da sabbie mobili, che ti risucchiano i piedi, che cercano di risucchiarti nella paura, nell’autocommiserazione e nella disperazione. Ecco perché devi camminare con leggerezza. Con leggerezza, tesoro mio. Aldous Huxley - L’isola

L'isola è uno dei più famosi ed apprezzati romanzi di Aldous Huxley. Fu pubblicato nel 1962 e si iscrive nel filone delle utopie. Racconta la storia del giornalista Will Farnaby che si reca nell'Estremo Oriente per conto di un magnate della stampa e del petrolio. Un naufragio lo porta nell’immaginaria isola di Pala, dove verrà a contatto con una popolazione dal carattere gentile e sereno che è riuscita a coniugare la scienza con l'arte. L’isola di Pala, i suoi abitanti e il loro modo di vivere la vita rapiscono tanto questo giornalista avvelenato dai tempi moderni quanto il lettore trascinato, con lui, a fondo nella scoperta. Avevo trovato nella mia navigazione in internet uno stralcio del romanzo sul tema della leggerezza che mi spinse a comprarlo e a leggerlo. Nel lungo periodo del lockdown ho fatto molte riflessioni sul tema della leggerezza e della pesantezza, ripensando al più famoso romanzo di Milan Kundera con rinnovata consapevolezza, anche a seguito della lettura de L'isola di Huxley. Se affrontiamo la combinazione leggerezza-pesantezza in termini razionali, ci rendiamo conto che è uno dei binomi più indecifrabili nella configurazione degli opposti, in cui c’è sempre un positivo e un negativo. Quando si parla di leggerezza e pesantezza non si sa bene quale dei due sia il positivo e quale il negativo. Hanno sicuramente lati positivi entrambi. Per cui è pesante ciò che è duro da sciogliere e problematico, nello stesso tempo però è pesante anche qualcosa a cui attribuiamo un grande significato. Leggero potrebbe essere sinonimo di libero, ma anche superficiale e quindi privo di senso… Infatti i quattro personaggi del romanzo rimangono tutti invischiati in questo binomio, ma nessuno ha la soluzione del problema, nessuno è in equilibrio, né con se stesso, né nella relazione di coppia e

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sono tutte situazioni irrisolte, non evolute, tanto è vero che tutti rimangono imprigionati nei propri schemi comportamentali. Ecco perché secondo me Huxley affronta il tema della leggerezza in un modo diverso, che in questo momento sento di condividere di più, perché quando l’autore immagina quest’isola fantastica, la disegna dalla prospettiva di una civiltà superiore, che ritengo dovrebbe essere l’obiettivo verso cui tendere. Infatti nell’isola di Pala oltre all’evoluzione culturale, c’era stata un’evoluzione psicologica delle persone, che fin da piccole venivano educate alla gestione delle emozioni. Nella civiltà moderna invece siamo del tutto impreparati alla gestione delle emozioni, siamo degli analfabeti sentimentali … Nel dialogo tra il protagonista del romanzo e la bambina, così piccola e così saggia, emergono gli aspetti fondamentali di questa superiore civiltà. Entrambi si stanno recando a trovare la nonna della bambina che sta morendo di tumore e in quell’occasione affrontano il tema della paura della morte. Il protagonista che viene dal mondo moderno, che è terrorizzato dalla morte in una prospettiva nichilistica di orrore essenziale, finalmente incontra la verità di come andrebbe gestita l’emozione e la bambina glielo spiega. Con una semplicità che dice tutto. La paura c’è. Però la bambina, come tutta la popolazione di questa superiore civiltà, ha imparato a gestire la paura. Perché non tutte le parti dell’essere umano hanno paura. In realtà l’unica ad aver paura è la parte egoica… come dice la bambina ha paura solo la piccola signorina ciance che non fa che parlare… quella che ingigantisce… ed è qui la pesantezza. Diversa dal concetto di Kundera. Si tratta infatti di una pesantezza indotta dall’ego, che blocca ed impedisce il fluire dell’energia vitale, che invece si realizza nell’affidamento,


nel vivere nel flusso, attraverso la liberazione del sé profondo. Nella frase impara a fare ogni cosa con leggerezza è racchiuso il profondo significato del romanzo. La protagonista femminile pronuncia queste potentissime parole alla vecchia morente: le stesse parole che lei ha appreso da piccola, perché venivano educati così i bambini in quest’isola fantastica. Si tratta di un’educazione alla leggerezza come ricerca dell’essenza, quindi superamento delle barriere dell’ego e profondo ascolto della voce interiore, che è leggera, perché non ha bisogno di nulla, perché quando la si trova si è in perfetto equilibrio, non si ha bisogno di portare bagagli pesanti e ci si connette con il flusso della vita, in completa accettazione di quanto arriva. Nella civiltà moderna in profonda crisi ideologica e culturale manca proprio questo senso spirituale della vita, come mancanza di accettazione di tutte le vicende umane, di cui la morte fa parte, per profonda incapacità a vivere nel qui e ora, proprio in quanto si vive ingabbiati dentro schemi di parole, pensieri, sovrastrutture, lontani dalla natura e dall’essenza autentica di cosa siamo davvero. Il vero quesito a questo punto è capire perché facciamo tanta fatica a liberarci dal pesante fardello, perché non riusciamo facilmente a liberarci dagli schemi dell’ego… Dal mio personale punto di vista la difficoltà scaturisce dal fatto che l’utilizzo degli schemi egoici produce piacere e attraverso questi stessi schemi abbiamo provato emozioni forti. Oppure, dall’altro versante, abbiamo semplicemente paura che abbandonando gli schemi conosciuti ed il c.d. pilota automatico della coscienza potremmo perdere il controllo della nostra vita e smarrirci. In fondo siamo convinti che siano proprio questi stessi schemi, anche le parole che attribuiamo alle nostre sensazioni e sentimenti, ad avere

un peso. Peso per noi vuol dire importanza. Quindi in estrema sintesi può sembrare che liberandoci dagli schemi, che hanno peso ed importanza, tutto potrebbe sembrare privo di senso. Sicuramente è un salto, un salto nel buio che può far paura… Tuttavia posso dire, per esperienza personale, che quando si è connessi con la propria voce interiore che ci unisce all’energia profonda di cui tutto l’universo è permeato, si riesce a stare bene in un modo diverso, perché si tratta di un’energia che viene da dentro, non è qualcosa che assorbiamo dal mondo esterno per nutrirci… Ci sentiamo nutriti proprio perché siamo connessi e finalmente riusciamo a vivere il presente. In realtà c’è solo il momento presente, non siamo proiettati nel futuro, non abbiamo sentimenti o risentimenti legati alle esperienze passate, viviamo nel qui e ora, nel completo apprezzamento della vita per quello che è e nel riconoscimento della bellezza che c’è sempre, ma che vediamo solo quando siamo connessi e non più intrappolati negli schemi dell’ego. Il binomio pesantezza-leggerezza è un’antinomia insuperabile che tuttavia va accolta ed integrata dentro di sé. Non possiamo prescindere dalla costante ricerca di significato, mossi dal desiderio, ma nello stesso tempo abbiamo bisogno di leggerezza per godere in pieno della bellezza che ci circonda… Alla fine possiamo dire che entrambi i poli devono necessariamente coesistere nella vita di un uomo. Senza pesantezza non c’è il significato, ma la leggerezza è necessaria per lasciare andare le cose quando è tempo che muoiano e aiuta a cogliere la bellezza che è sempre intorno a noi e che spesso non riusciamo a vedere. Come un mantra risuonano dentro di me queste parole dense di significato: La via della bellezza è la via della salvezza.

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Viviamo in un mondo che cambia

Raccontare una nuova UMBRIA S

Enrico SQUAZZINI

iamo di fronte a qualcosa di nuovo. Un cambio di passo. Ciò che si profila all’orizzonte è, molto probabilmente, l’alba di una realtà diversa, basata su una visione del mondo a cui non eravamo preparati. Ma, del resto, prima che le cose accadano come è possibile essere preparati? Bè, questo non è del tutto esatto. Fra le più strabilianti capacità di noi uomini c’è quella di prevedere, almeno in parte, cosa ci si potrebbe parare di fronte nel futuro. Specialmente se ciò che accade dipende direttamente dalle nostre attività…chi vuole intendere…! Per dirla meglio, siamo in grado di valutare quali potrebbero essere le condizioni generali future e quindi intuire cosa è necessario fare in prospettiva. Siamo in grado di capire di quali strumenti occorre munirsi in previsione delle condizioni future e ciò significa che, in parte, il futuro lo plasmiamo noi stessi. Peccato che a questo grande pregio tendiamo a contrapporre uno dei nostri peggiori difetti: una sorta di pigrizia mentale, ed anche qualche altra forma di “pigrizia” che è meglio non specificare. Fatto sta che nel momento in cui si prospettano novità all’orizzonte tendiamo alla chiusura più totale. Arrotolati come i ricci nel nostro piccolo e limitato mondo del momento, stazioniamo in attesa di qualcosa che, già intuiamo nel profondo, non verrà mai. Un atteggiamento che si traduce nel non saper cogliere le occasioni o le opportunità. Eppure quanto bene ci farebbe ampliare gli orizzonti; per tante cose! Dal punto di vista culturale, della valorizzazione dei contesti personali e, di riflesso, del contesto comune. Finanche dal punto di vista del miglioramento delle nostre economie. Fermo restando che tutte queste cose, in una società complessa come la nostra, risultano intimamente connesse fra loro. Oggi, in questo clima di incertezze, tanto per il presente quanto per il futuro, si affaccia un nuovo spunto per ragionare. La nuova immagine che si va profilando dell’Umbria meridionale consiste in una più moderna visione del contesto paesaggistico, delle sue trasformazioni avvenute nel corso del tempo e delle bellezze naturali che ne sono scaturite. La nuova visione emerge da importanti valutazioni scientifiche in corso nel nostro territorio. Esse stanno rivelando nuovi contesti e quindi nuove prospettive che investono direttamente ciò che di meglio abbiamo dal punto di vista paesaggistico-ambientale, come la Valnerina e la Cascata delle Marmore. Chiunque è in grado di intuire che proprio le trasformazioni territoriali del passato ci hanno restituito le condizioni ambientali in cui viviamo oggi. Così come i contesti che noi determiniamo oggi e le modalità con cui vi operiamo condizioneranno profondamente le situazioni future. L’importanza del nuovo bagaglio di conoscenze risiede nel disporre di un’ulteriore occasione per promuovere il nostro territorio, in modo nuovo e con elementi preziosi che si aggiungono a quelli precedenti. In sostanza, un nuovo spunto per valorizzare le proprie bellezze ed unicità territoriali. Coloro che amministrano questo territorio, o che ne gestiscono le attività promozionali, o gestiscono le nostre realtà paesaggistiche e culturali, potrebbero intuire il vantaggio di usufruire delle novità emergenti, potendole trasformare in nuova ricchezza territoriale: culturale, turistico-ambientale, e tutto ciò che ne potrebbe derivare a vantaggio della comunità. Una nuova rotta per il futuro. Il ripristino dell’intera bussola che oggi sembra che abbiamo in parte smarrito.

La nuova immagine che si va profilando dell’Umbria meridionale consiste in una più moderna visione del contesto paesaggistico

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Spiace molto constatare come le misure contenute nel DPCM emanato dal Governo il 24 ottobre presentino una grave miopia. Perché non tengono assolutamente in considerazione il ruolo che i Circoli culturali e ricreativi svolgono nel Paese, la funzione di antidoto alla solitudine e all’impoverimento culturale e materiale di cittadine e cittadini di ogni età e la promozione della cultura e della socialità. Attività queste che negli ultimi mesi abbiamo continuato a svolgere nel pieno rispetto delle regole anti contagio e con grande senso di responsabilità. Siamo ben consapevoli che l’emergenza epidemiologica non sia terminata e siamo consapevoli che la salute è un bene primario. Siamo da sempre consapevoli della responsabilità che occorre per affrontare questo momento storico. Siamo fra le prime organizzazioni nazionali a promuovere momenti formativi sulle misure di prevenzione del contagio, con la convinzione che sia necessario promuovere comunque una socialità responsabile. Siamo pero’ altrettanto convinti che i luoghi di socialità e diffusione della cultura debbano rimanere aperti, tutti nel rispetto dei protocolli, per dare spazi sicuri di vita.

Siamo convinti che cultura, socialità e partecipazione siano elementi essenziali, anche in questa fase, per la coesione sociale, la tenuta democratica e la ripartenza e la crescita dei cittadini del nostro Paese. È possibile avere socialità e diffusione della cultura, anche mantenendo la distanza di sicurezza. La crisi legata alla pandemia ha colpito duramente anche l’associazionismo culturale e di promozione sociale diffuso nel territorio, che ha comunque svolto con grande impegno e fatica un ruolo prezioso nelle attività di prossimità e tenuta delle relazioni sociali. Chiudere senza alternative, se non si è obbligati a stare a casa, può essere più pericoloso di una normalità organizzata, nel momento particolare che stiamo attraversando. E avrebbe conseguenze drammatiche, certamente per la nostra organizzazione, l’ARCI, ma anche per tanti altri soggetti associativi. Ci aspettiamo di non essere ignorati da misure di compensazione dei danni legati a provvedimenti che impongono la sospensione delle attività e che non riguardino le sole attività commerciali, che per gli enti non commerciali sono secondarie per definizione.


CHIRURGIA E ALTA SPECIALITÀ

Il polo specialistico di Terni e il punto sulle nuove tecnologie in ambito Cardio-Toraco-Vascolare

C

on presentazione del Dr. Fiore Ferilli, Direttore del Dipartimento CardioToraco-Vascolare dell’Ospedale di Terni, si è celebrato il convegno ECM dedicato all’alta specialità nel nosocomio ternano, articolato in un ricco programma di interventi e relazioni e accolto con entusiasmo da parte dei partecipanti. L’evento, promosso dal Dr. Fabrizio Armando Ferilli, Responsabile della S.S.D. di Cardioanestesia dell’Ospedale di Terni, ha rappresentato un grande appuntamento per la formazione sanitaria e ha visto la presenza del Sindaco del Comune di Terni Leonardo Latini, del Commissario Straordinario dell’Azienda Ospedaliera Pasquale Chiarelli e del Presidente

dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Terni Giuseppe Donzelli. Focus della giornata l’eccellenza del Dipartimento in oggetto, fiore all’occhiello dell’Ospedale che assicura da anni interventi in elezione ed urgenza potendo usufruire di tutte le metodiche tradizionali e le più moderne procedure mininvasive. “Grazie alla lungimiranza delle Direzioni Aziendali -ha spiegato il Dr. Fiore Ferilli-, possiamo disporre di una Sala Ibrida di ultima generazione (in Italia ne sono attive circa 22), sala operatoria che può consentire, in massima sicurezza per il paziente e per gli operatori, i più moderni interventi sia tradizionali che mininvasivi, non solo per le malattie cardiovascolari,

materia propria del Dipartimento, ma anche per altre specialistiche quali l’Ortopedia, la Neurochirurgia e la gestione del politraumatizzato”. L’evento, organizzato in osservanza ai dettami della normativa vigente per garantire la massima sicurezza dei partecipanti, è stato non solo occasione di confronto, ma vero e proprio momento di divulgazione scientifica che si giova dell’alto tenore di professionalità degli specialisti coinvolti: “È doveroso da parte nostra un ringraziamento alla Direzione Aziendale -ha concluso il Dr. Ferilli- che grazie al continuo aggiornamento ci consente di esprimere le potenzialità che derivano dalla passione che quotidianamente ci anima”. Con il patrocinio di

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TERNI sabato 17 Ottobre 2

Dr. Fiore FERILLI

Direttore del Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare dell’Ospedale di Terni

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MEMORÀNDUMME Me sto prioccupannu... c’ho la capoccia che sta sempre a gguarda’ li sturni e mme scòrdo de tuttu... lu telefoninu no’ lu vojo cunzidera’... tantu pe’ qquillu, come mminimu, ddu’ telefonate ‘gni ggiornu llì ccasa p’artroàllu je le déo sempre fa’. V’arcontu sulu che... quanno laorào, vicino a ccasa, c’annào a ppiedi e ppijavo la macchina sulu quann’era nicissariu. Una de quelle vòrde, scappanno da lu laoru, me so’ ccumbinatu co’ nu scrocchiu d’acqua e a ppiedi co’ ll’ombrellu so’ ‘rriàtu a ccasa tuttu zzuppu fracicu. Lu pomeriggiu me servìa la macchina ma... l’éo lasciata dentro a lu ricintu de la scòla... perandru era sabbatu e ccucì l’ho ‘rpresa lunedì. Ggiustu pe’ ddinne ‘n’andra... l’andru ggiornu so’ nnatu a ppija’ su ‘n nnegozziu ‘na cassetta de frutta... prima de caricalla su la macchina l’ho ppoggiata sopra lu cofanu... arriàtu a ccasa n’artroào più lu portafoju... subbitu so’ rrinnàtu ggiù a ccercallu... non trovànnulu penzào male... mentre arpartìo l’ho vistu ‘ncastratu, sopra lu cofanu miu... che mmarfidàtu! A ‘llu puntu me so’ mmissu a ppenza’ che ttuttu ‘stu rincojonimentu potéa èsse duvùtu a ‘na capocciata ch’éo datu quarche annu prima... ‘n vicinu de casa stéa a‘ccatasta’ la legna pe’ lu camminu trasportànnola co’ ‘na carriòla dentro a nu sgabbuzzinu e siccome pe’ ‘ntracce c’era ‘n riarzu c’èa missu ‘na tàola. Tantu bbene t’ho vistu

llà dde fòri ‘lla carriòla ‘ncustudita carica de legna... ho penzatu de ‘jutallu... ccucì l’ho pijata e cco’ la rincorza so’ salitu su ‘lla tàola. No’ mme so’ ccortu che ddovéo ‘bbassa’ pure la capòccia perché l’entrata era troppu bbassa... so’ ‘rmastu stesu mezzu sturditu a trippa ‘ll’aria e... ‘ngombènzu ‘lla carriola è ‘rriàta a ddistinazzione da sola. Mo’, arpenzannoce mejo, ‘lla bbòtta non po’ ave’ ‘nfluitu su ‘stu ‘ncitrullimentu perché... anche anni ‘ddietro ero ‘nnatu co’ la bicicretta mia ggiù a Tterni ‘n do’ ‘na vorda ce steono li telefuni... la jiudo a cchiave e vvado a ttelefona’. Doppo ‘rmonto su e ‘rriàtu a Piazza del Populu... me so’ ccortu che cc’éo la chiave ‘ncora su ppe’ le mano e stéo sopra ‘na bicicretta nòa nòa... m’è ppresu ‘n corbu... so’ ‘rtornatu ‘ndietro e llà dde fòri c’era unu che ne steva a ddi’ de tutti li culuri e... ppe’ ffurtuna che no’ mm’ha vistu quanno je la pijào. ‘Stu fattu, quanno c’ho ’rpenzatu, m’ha fattu tira’ ‘n suspiru de sollievu... perché ‘ll’inzuccata nn’è vvero che mm’ha peggioratu... so’ ‘rmastu tale e qquale a pprima.

Paolo CASALI

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PREVENZIONE e COVID Q uest'anno le campagne di prevenzione contro il tumore al seno sono più importanti degli altri anni. Da un lato lo tsunami Covid-19 che ha bloccato le attività di prevenzione e le visite, dall’altro il tumore al seno che non smette di colpire anche durante la pandemia. Risultato: “Danni raddoppiati per le donne se il controllo al seno viene ancora rimandato”. Quindi il pericolo è che si arrivi a un aumento dei casi più gravi e della mortalità. Per le donne i danni indiretti di Covid-19 potrebbero essere maggiori di quelli diretti: dopo la pandemia, secondo le previsioni, potremmo diagnosticare più casi di cancro al seno e più tumori avanzati, probabilmente anche inoperabili, con un inevitabile aumento della mortalità. Negli Usa si stimano circa 5 mila morti in più per cancro del seno nei prossimi 10 anni. Ma siamo ancora in tempo per invertire questa tendenza, se le donne spezzano la catena della paura del virus che le tiene lontane da ambulatori e ospedali, per riprendere regolarmente visite ed esami senologici. Da qui l’importanza assoluta di riprendere le attività di prevenzione, diagnosi e cura.

Direttore Sanitario

Dott.ssa Lorella

Fioriti

Specialista in Radiodiagnostica, Ecografia, Mammografia e Tomosintesi Mammaria

ADOLESCENZA e scoperta della FEMMINILITÀ

L’adolescenza è un periodo cruciale della vita soprattutto quando ci si trova di fronte alla scoperta della sessualità. Essa è caratterizzata da complessi cambiamenti fisici e psichici, influenzati da fattori interni ed esterni all’individuo che ne determinano lo sviluppo, con importanti ripercussioni sul benessere, sull’autostima e sul comportamento. Proprio in quanto periodo di transizione dall’infanzia all’età adulta, durante l’adolescenza possono essere attuate azioni e programmi in grado di influenzare positivamente processi decisionali che portino ad evitare rischi per la salute e ad assumere comportamenti e stili di vita protettivi, a breve e a lungo termine, con effetti benefici sulla propria salute, presente e futura. È purtroppo ancora molto comune l’esposizione a fattori di rischio (attività sessuale non protetta). Gli esiti sono le gravidanze indesiderate e un aumento delle malattie sessualmente trasmissibili (MST). Per quanto riguarda le gravidanze, benché le nascite da ragazze minorenni si mantengano abbastanza circoscritte rispetto al numero totale delle nascite, il fenomeno è in aumento in molte

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regioni italiane e tra le teenager italiane rispetto a quelle straniere. Anche le malattie sessualmente trasmissibili sono in continua crescita. I dati disponibili sugli stili di vita delle ragazze adolescenti evidenziano come particolarmente rilevante, su abitudini e comportamenti, l’influenza derivante dall’utilizzo di internet. A volte l’adolescente si trova nella totale confusione, ha molti dubbi riguardo al sesso e non se la sente di parlare con i propri cari, a volte nemmeno con gli amici. In questi casi potrebbe affidarsi troppo ai social network che a volte riportano informazioni distorte. Bisogna ricordarsi che ci sono sempre degli esperti, medici e psicologi, che possono offrire loro consulenza. Avranno l’ascolto e l’aiuto necessario, con discrezione e rispetto della loro privacy.

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LA PROTESI di ANCA nel PAZIENTE GIOVANE

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'intervento di sostituzione protesica dell'anca è molto diffuso, la sua tecnica è ben consolidata ed ha un tasso di successo elevato. Andando a vedere nelle casistiche dei pazienti operati, emerge che i risultati insoddisfacenti aumentano se la protesi è impiantata in giovane età (<55-60 anni), se l'anca è displasica, se è affetta da patologie reumatiche, esiti di fratture e se la qualità dell'osso è scadente. La ridotta sopravvivenza di una protesi nei pazienti giovani è legata all'elevata sollecitazione meccanica (soggetti attivi) e, a volte, a patologie che alterano gravemente la qualità dell'osso e la morfologia ossea (artrite, displasia, morbo di Perthes). La ricerca ha fornito soluzioni alternative per quanto riguarda i materiali ed i disegni protesici che da qualche anno sono in utilizzo e che il tempo ci farà vedere se avranno una maggiore sopravvivenza rispetto alle protesi tradizionali. Un tipo di impianto protesico per i pazienti giovani sono le protesi di rivestimento; in queste è conservato il collo e gran parte della testa femorale, che viene rivestita

dalla protesi che è come un guscio metallico di grande dimensioni che scorre su una coppa in metallo. Questo materiale riduce gli attriti e la produzioni di particelle per usura. Codeste sono una delle cause di fallimento della protesi. L'impianto di questo tipo di protesi è possibile solo per quelle anche in cui l’anatomia sia ben conservata e la qualità dell'osso sia buona. Il vantaggio delle protesi di rivestimento è che, al momento della revisione, può rivelarsi protesi da primo impianto e non molto invasiva. Non tutti i pazienti sono candidati a questo tipo di trattamento, infatti l'articolazione non deve essere deformata e l'osso deve essere di buona qualità. Un altro tipo di protesi indicato in soggetti giovani o in soggetti con

Dott. Vincenzo Buompadre Spec. Ortopedia e Traumatologia Spec. Medicina dello Sport

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www.drvincenzobuompadre.it osso di buona qualità è la protesi corta, in cui la componente femorale è più piccola rispetto alla protesi tradizionale. È possibile impiantarla conservando più osso femorale e permettendo, nella revisione, di impiantare una protesi di primo impianto. Tali protesi sono fornite di teste di ampio raggio che riducono il rischio di lussazione e danno una sensazione di movimento più simile al fisiologico. Per quanto riguarda le protesi di primo impianto in soggetti giovani, possono essere impiantate le non cementate (press fit) standard e le modulari (permettono di personalizzare la protesi in quei pazienti con anatomia molto deformata).

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AZIENDA OSPEDALIERA S

Sempre in prima linea nella lotta contro il Covid Tutte le aziende sanitarie e ospedaliere dell’Umbria stanno lavorando insieme alla Regione per rispondere con tempestività a questa seconda ondata della pandemia che sta registrando, con anticipo rispetto a quanto previsto, un importante aumento di casi Covid in tutto il Paese. In questa nuova fase dell’emergenza la sanità regionale si trova ad affrontare uno sforzo organizzativo enorme, ma in grande parte già programmato, e che può contare sulla esperienza di quanti hanno già affrontato, allora con meno conoscenza e consapevolezza, la gestione della prima ondata della pandemia. L’organizzazione messa a punto in questo periodo, attraverso percorsi separati Covid e non Covid, consente oggi all’ospedale di Terni di continuare a garantire tutte le urgenze-emergenze e la chirurgia oncologica maggiore e/o indifferibile, e si sta cercando di assicurare, in base alla priorità, anche delocalizzandola, buona parte delle normali attività assistenziali, ambulatoriali e chirurgiche. L’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni ha anche il merito di non aver mai smesso di reclutare personale medico e personale delle professioni sanitarie per garantire tanto l’attività assistenziale ordinaria quanto quella relativa alla seconda ondata.

REGOLAMENTAZIONE DEGLI ACCESSI IN OSPEDALE Nel rispetto delle indicazioni nazionali e regionali, da fine ottobre l’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni ha disposto la nuova regolamentazione degli accessi volta a preservare quanto più possibile dai contagi l’ambiente ospedaliero e garantire la massima sicurezza alle persone malate e agli operatori che si occupano della loro accoglienza, assistenza e cura. La portineria centrale sarà l’unico ingresso per pazienti, visitatori e dipendenti con due sole eccezioni: l’ingresso protetto dei pazienti oncologici diretti al reparto e al dayhospital oncologico (porta della sala d’attesa di Oncologia lato nord) e l’ingresso al centro raccolta sangue per i donatori, che resta immodificato. Con effetto immediato sono state pertanto disposte le chiusure degli accessi diretti al Centro Salute Donna e al servizio diabetologico e agli ambulatori urologici al piano seminterrato, del passaggio pedonale presso il parcheggio adiacente a Via VIII Marzo e dell’ingresso per la struttura di Medicina del Lavoro. L’ingresso sarà consentito solo previo triage d’ingresso, cioè registrazione e misurazione della temperatura corporea

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e in assenza di sintomi influenzali o simil-influenzali, con o senza problemi respiratori. Tutti i soggetti autorizzati all’ingresso hanno l’obbligo di segnalare l’eventuale provenienza da paesi esteri o di aver avuto un contatto stretto con dei casi positivi e sono tenuti sempre al rispetto delle precauzioni standard e di tutte le misure di sicurezza previste per il Covid. L’accesso è consentito soltanto ai dipendenti muniti di tesserino per la rilevazione delle presenze; agli utenti e accompagnatori con permesso speciale di invaliditàlimitazioni funzionali, previa esibizione del permesso e della impegnativa e prenotazione della prestazione da effettuare nell’orario dell’appuntamento; agli accompagnatori in caso di dimissioni (che comunicheranno al portiere il nominativo del


SANTA MARIA DI TERNI

sempre il distanziamento sociale, di effettuare l’igiene delle mani, di rispettare le regole disposte a livello regionale e nazionale, che finora si sono rivelati gli unici efficaci strumenti di prevenzione disponibili per la popolazione.

CORRETTO UTILIZZO DEL PRONTO SOCCORSO In questa fase di recrudescenza dell’epidemia, come raccomandato anche dai livelli regionali, è fondamentale far ricorso al Pronto Soccorso, fortemente impegnato nella gestione dell’emergenza, in modo appropriato e corretto. È importante che i cittadini si rechino al Pronto soccorso esclusivamente per urgenze ed emergenze e per problemi non gestibili e risolvibili dai medici, di famiglia o di continuità assistenziale, e non differibili, come gravi traumi, eventi cardiovascolari e altri casi di immediato o potenziale pericolo di vita. paziente dimesso presente negli elenchi giornalieri); a un solo visitatore-familiare alla volta per singolo paziente, previo triage e registrazione; alle assistenze notturne, solo previa esecuzione dell’esame molecolare e registrazione. In ogni caso tutti coloro che possono accedere a reparto vengono registrati secondo la procedura già in atto. Le porte di accesso di ogni reparto dovranno restare sempre chiuse. Tali misure potranno subire integrazioni o modifiche in base all’andamento epidemiologico.

IL RUOLO FONDAMENTALE DEI CITTADINI L’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni ricorda l’importanza di utilizzare sempre correttamente le mascherine, di mantenere

PUNTO DI ASCOLTO TELEFONICO PER SUPPORTO PSICOLOGICO COVID Per tutta la durata dell’emergenza sanitaria Covid-19, il servizio di Psicologia ospedaliera dell’Azienda Santa Maria di Terni ha messo a disposizione una linea telefonica per offrire sostegno psicologico dedicato in via prioritaria ai familiari dei pazienti ricoverati, ai pazienti in regime di ricovero che ne sentano il bisogno e a tutti gli operatori dell’ospedale. Per parlare con gli psicologi dell’Azienda ospedaliera di Terni è possibile contattare il numero 0744-205968 tutti i giorni dalle 8.30 alle 14 e martedì e giovedì fino alle 17.

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ORDINE DEL INFERMIERI L’OPI rinnova i propri Organi

Nel SEGNO dei VALORI della TRADIZIONE… ANDARE INCONTRO al NUOVO ANNO 2020: y Bicentenario della nascita di Florence Nightingale y Anno Internazionale dell’Infermiere e dell’Ostetrica y Anno che vede e continua a vedere gli infermieri in prima linea a gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti – Covid 19 y Anno in cui si rinnovano gli organi degli Ordini Provinciali delle Professioni Infermieristiche. Anche i Professionisti Infermieri della Provincia di Terni sono stati chiamati ad esprimere la loro preferenza, nei giorni 16 – 17 – 18 Ottobre c.a., per dare vita al primo mandato dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche costituito con la legge n. 3 dell’11 gennaio 2018 (Legge Lorenzin), che va a sostituire l’ex Collegio IP.AS.VI. LA NORMA AFFIDA AGLI ORDINI DUE FINALITÀ: Esterna: tutela del cittadino-utente che ha il diritto, come recita la Costituzione italiana, di ricevere prestazioni sanitarie da personale qualificato, in possesso di uno specifico titolo abilitante, senza pendenze rilevanti con la giustizia (art. 32: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti…”). Interna: rivolta agli iscritti all’Albo, che l’Ordine è tenuto a tutelare nella loro professionalità, esercitando il potere disciplinare, contrastando l’abusivismo, vigilando sul rispetto del Codice Deontologico, favorendo la crescita culturale degli iscritti, garantendo l’informazione e offrendo servizi di supporto per un corretto esercizio professionale. Gli Organi previsti dalla nuova normativa sono tre: il Consiglio Direttivo, la Commissione d’Albo per Infermieri, e il Collegio dei Revisori dei Conti. I rappresentanti del Consiglio Direttivo sono: Emanuela Ruffinelli (Presidente), Federica Fraschini (Vice Presidente), Lorella Bacci (Segretaria), Mirko Casciotta (Tesoriere) e, in qualità di Consiglieri, Nicola

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Ambrosino, Stefano Carletti, Mariano De Persio, Michela Malafoglia, Flavia Moretti, Valentina Nobile, Emanuele Orlandi, Melissa Rumore, Carla Sampaolesi, Paolo Sgrigna, Massimo Tascini. I rappresentanti la Commissione d’Albo sono: Isabella Caracciolo (Presidente), Luigia Bonanni (Vice Presidente), Cristiano Stellati (Segretario) e, in qualità di Consiglieri, Marta Belloni, Angela Leo, Francesca Luzzi, Milena Sarubbi. I rappresentanti dei Revisori dei Conti sono: Sonia Pensi, Lacramioara (Lara) Veres (membri effettivi) e Lorenzo Galeazzi (membro supplente). Sono state avviate le procedure per la nomina del Presidente dei Revisori dei Conti come da normativa vigente. L’Ordine degli Infermieri di Terni continuerà a contare sulla sperimentata professionalità dell’impiegata Patrizia Pezzatini. Gli eletti, appartenenti alla lista “Noi con Voi”, sono 25 Professionisti, 10 di loro appartenenti al Consiglio Direttivo e al Collegio dei Revisori uscenti, gli altri 15 sono alla prima esperienza, con tanta voglia di offrire il loro contributo. Un gruppo all’interno del quale passato e presente si fondono per recare nuova linfa vitale alla Professione che ama e onora, con il proprio agire, ogni giorno, tutti i giorni dell’anno. Sono infermieri che operano in strutture sia pubbliche che private, ospedaliere, extraospedaliere, dal mondo clinico al mondo universitario, professionisti giovani e meno giovani che desiderano un Ordine vicino agli iscritti e ai cittadini, con l’impegno di valorizzare tutti i professionisti che quotidianamente operano con serietà e senso del dovere, prendendosi cura e facendosi carico degli assistiti, oggi più che mai per l’emergenza COVID-19. Rischiano la loro salute, facendo conto sulla loro volontà e forza d’animo, vista la carenza di organici e le spesso scarse dotazioni di sicurezza che in questi casi si trasformano in ben più di un allarme! Gli infermieri non lasciano mai soli i


LLE PROFESSIONI ISTICHE DI TERNI CONSIGLIO DIRETTIVO

Ambrosino Nicola

Nobile Valentina

Bacci Lorella

Carletti Stefano

Orlandi Emanuele

Ruffinelli Emanuela

Casciotta Mirko

De Persio Mariano

Rumore Melissa

Fraschini Federica

Sampaolesi Carla

Malafoglia Michela

Sgrigna Paolo

Moretti Flavia

Tascini Massimo

COMMISSIONE ALBO INFERMIERI

Belloni Marta

Bonanni Luigia

Caracciolo Isabella

Stellati Cristiano

Leo Angela

Luzzi Francesca

Sarubbi Milena

COLLEGIO DEI REVISORI

Pensi Sonia

Veres Lacramioara

propri assistiti e con loro instaurano un rapporto che va anche oltre l’attività clinica, forti del proprio Codice Deontologico in cui si stabilisce a chiare lettere che ‘il tempo di relazione è tempo di cura’ e mai come in questo periodo è importante che chi ha paura e chi soffre abbia accanto chi sa come assisterlo. COSÌ SI È ESPRESSO IL GRUPPO: “Il bene comune prima di quello individuale sarà quanto ci prefiggiamo. Ci metteremo da subito al lavoro, per non tradire il nostro mandato e per contribuire fattivamente alla realizzazione del nostro programma,

Galeazzi Lorenzo

pensato nella linea della continuità e dell’innovazione. Ci attendono grandi sfide in un momento non facile e, nell’immediato futuro, ci saranno importanti decisioni da prendere. Avremmo voluto ringraziare tutti i colleghi, per il sostegno ricevuto, con un bell’evento formativo, ma la situazione sanitaria ci impone un grande senso di responsabilità e prudenza al fine di evitare situazioni di contagio per il rispetto doveroso che si deve alla salute di ognuno. Solo tutti insieme con l’insostituibile contributo di ciascuno riusciremo ad aprire nuovi spazi alla nostra Professione”.

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AUTUNNO 2020: seconda ondata tra covid e nomask

I

Pierluigi SERI

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n autunno, come in parecchi si aspettavano, anche senza essere medici, tipo il sottoscritto, il Covid-19 è tornato a far paura con una escalation di contagi che sta colpendo indiscriminatamente tutte le regioni da Nord a Sud, isole comprese. La scorsa primavera aveva colpito il Nord, con un alto tributo in vite umane, sfiorando il Centro e il Sud. Ora, oltre alla già martoriata Lombardia, anche Lazio e Campania si trovano nell’occhio del ciclone e nessuna regione è a zero contagi, compresa la nostra. A Roma, il 10 ottobre, si è svolta una manifestazione dei cosiddetti negazionisti o Nomask, come vengono definiti in ambito internazionale. Un popolo variegato, che si autodefinisce né di destra né di sinistra (slogan che non ha certo portato molto fortuna ai Pentastellati), che respinge, a parole, l’etichetta di negazionisti, che rivendica con forza e a suon di spintoni la pretesa di essere il popolo. La cosa non ci meraviglia affatto visto che l’attuale Presidente del Consiglio si era fregiato in passato del titolo di “avvocato del popolo”. Durante la manifestazione il giornalista Saverio Tommasi di Fanpage è stato insultato e aggredito da alcuni manifestanti, mentre svolgeva il suo lavoro di cronista. Un popolo quello dei Nomask piuttosto confuso e con idee confuse che comprende quelli che negano il covid, ma non negano la Shoah, quelli che negano il covid e i cambiamenti climatici, infine quelli che

negano tutto, Shoah, covid e cambiamenti climatici, in linea perfetta con la tradizione complottista che ha attraversato tutta la storia del secolo scorso. La presenza tra loro di sovranisti, neofascisti ed estremisti di destra la dice lunga della pretestuosa apartiticità del movimento. Ognuno può fare le deduzioni che vuole, ma la cosa merita un po’ più di attenzione, perché quello che chiamiamo negazionismo non è una condizione univoca, ma, se mai, una serie di atteggiamenti e di idee nella cui totalità ci troviamo tutti. Dopo mesi di vita a scartamento ridotto ognuno di noi ha maturato una propria resistenza alla ipotesi del contagio. Alcuni sono convinti che il covid sia una minaccia solo per una fascia ristretta di persone, tipo anziani con patologie pregresse, altri sostengono che il rischio non è alto come ci vogliono far credere, basta solo interpretare i numeri con più obiettività, per altri ancora si tratta solo di stanchezza(!). Le mezze verità amplificate dal desiderio di fare le cose di prima come prima si trasformano facilmente in scetticismo e sottovalutazione, in una sorta di negazionismo più debole, non certo quello irrazionale e irragionevole che si è visto nella manifestazione di Roma. Forse il segreto della seconda ondata sta non solo nella stagione fredda o nelle mutazioni del virus, ma anche nella nostra psicologia. A febbraio a malapena si conoscevano parole come test molecolare, lockdown,


superdiffusore ecc. Oggi, nolenti o volenti, siamo diventati tutti epidemiologi. Abbiamo dovuto per forza ampliare lo spettro delle nostre conoscenze, basta cliccare su un social qualsiasi per accorgersene. Adesso è giunto il momento di aggiungere un nuovo termine: tipping point, ovvero punto di non ritorno, la soglia cioè che separa la crescita lineare dell’epidemia dalla sua crescita esponenziale, in parole povere quando l’epidemia esplode divenendo incontrollabile. È il momento in cui le cose precipitano e potrebbe avvenire in vari modi: il sistema di monitoraggio sotto stress non riesce a seguire troppe linee di trasmissione, gli ospedali non riescono a far fronte ai ricoveri, i tamponi sono troppo lenti rispetto alle richieste, i medici di famiglia sono sovraccarichi, la somma dei positivi diventa un numero ingestibile di malati. Durante questa epidemia ci sono molte soglie che fanno da argine: fino a quando esse reggono il sistema tiene, ma quando l’acqua rompe in un punto, tutto viene allagato. Vi ricordate del famoso esempio della ninfea e il lago, in cui una ninfea cresce progressivamente e in 29 giorni copre metà della superficie del lago, poi la crescita diventa esponenziale e le basta un solo giorno per coprire l’altra metà? C’è anche un esempio più facile: un fiume in piena rappresenta un pericolo sotto controllo se gli argini tengono, ma gli basta trovare una falla che allaga ogni cosa. Il problema principale è che nessuno è in grado di

prevedere quando si avrà il tipping point. Nemmeno il monitoraggio più attento, più sofisticato, sarà in grado di prevederlo. Esso è riconoscibile quando è stato superato. A febbraio è stato superato quando il covid circolava tra noi prima che ce ne accorgessimo. Chi guarda al rapporto tra positivi e tamponi sa di avere un’idea, ma essa rimane vaga. Chi fa un rapporto con i numeri di marzo-aprile fa paragoni inappropriati. Ora il punto di non ritorno è di fronte a noi, non sappiamo se vicino o lontano. Il punto di non ritorno non si trova quando il 100% dei posti letto è occupato. Quando un ospedale ha la metà dei posti occupati da malati covid è già in sofferenza. La nostra sanità è strutturata per operare in condizioni di normalità, non in condizioni di sovraccarico. Il governo decide allora di varare misure restrittive, ma esse non devono essere indiscriminate rispetto al territorio. Bisogna distinguere a seconda delle zone. Se andare in ordine sparso ad aprile era deprecabile, oggi è auspicabile. I danni di una mancata distinzione rischiano di rafforzare forme di resistenza psicologica facendoci scivolare verso forme di negazionismo debole, di scetticismo, rendendoci meno collaborativi. Cosa molto pericolosa che permetterebbe al covid di espandersi a dismisura, con rischi incalcolabili e imprevedibili. Allora anche i lockdown più rigidi saranno inutili. Andrà tutto bene!

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La manutenzione dei corsi d’acqua è un’attività volta ad ottimizzarne la funzionalità e da sempre il Consorzio se ne occupa costantemente. Al momento si sta svolgendo una vasta attività di manutenzione degli alvei dei corsi d’acqua demaniali, ossia corsi d’acqua di origine naturale, sia con maestranze e mezzi propri che mediante appalto ad imprese specializzate. Intervento di manutenzione tipico è la rimozione di alberature già cadute, marcescenti ed/od in precario stato di equilibrio, di potatura e abbattimento.

In

questo momento si sta procedendo a tale attività sul Fiume Nera, il Fiume Tevere, il torrente Tescino, il fosso Copparone, il fosso di Macchia Morta, il torrente Calamone ed il fosso delle Streghe, attivata su segnalazione dei contribuenti consortili. Per analoghi lavori il Consorzio è stato incaricato come Soggetto attuatore dalla Regione Umbria, sul fiume Nera e suoi affluenti nei comuni di Scheggino, S. Anatolia di Narco, Vallo di Nera, Cerreto di Spoleto, Cascia, Preci, Norcia e Monteleone di Spoleto. L’attività è in corso di esecuzione. Anche il fosso di Gabelletta, in Comune di Terni, al momento è interessato dall’attività di rimozione alberature, ma contemporaneamente il corso d’acqua è interessato dall’attività di ripulitura, ossia dalla rimozione della vegetazione, di depositi alluvionali per riprofilare l’alveo garantendo così il miglior deflusso possibile in caso di piena, altro intervento tipico di manutenzione. Anche sul Torrente Serra, in Loc. Giuncano ed in Comune

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Fosso Streghe - Amelia

Fosso Melaci - Arrone

Fosso Gabelletta - Terni

Fosso Toano - Terni


DI BONIFICA NERA di Terni, si sta procedendo all’attività di rimozione delle alberature ed è in programma per l’anno in corso la ripulitura. Si sta procedendo con mezzi e personale consortili alla manutenzione ordinaria del fosso di Stroncone in comune di Terni, nel tratto compreso tra via Antonelli e via Ferrer, del fosso San Lorenzo in comune di Narni, del fosso delle Streghe in comune di Amelia, del fosso Cagnana in comune di Alviano, del fosso Melaci in comune di Arrone. Mediante impresa specializzata è stato possibile provvedere alla manutenzione dei fossi Schiglie e Toano, in comune di Terni, e sono in fase di avviamento quelli sul fosso Vallo, sempre in comune di Terni, e sul fosso Contea in comune di Narni. A seguito delle forti piogge verificatesi nella serata dello scorso 24 ottobre u.s., il Consorzio è prontamente

Orario di apertura al Pubblico Lunedì - Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00

intervenuto per la disostruzione del ponticello che attraversa il fosso Rivo, sulla strada comunale di S. Maria la Rocca; il piccolo ponticello, costituito da 4 tubi di calcestruzzo, si era ostruito a seguito del trasporto, da monte, di materiale vegetale e legnoso; le acque si sono riversate così lungo la strada per poi confluire nel fosso più a valle costituendo un grave pericolo per il transito locale. Gli interventi sono stati ultimati nelle prime ore del giorno successivo. A seguito delle stesse piogge, il Consorzio sta poi operando con mezzi e personale propri per il ripristino di una scogliera spondale sul fosso Calamone in comune di Narni. Sono in programma per l’anno corrente anche interventi di ripristino officiosità idraulica dei fossi Aia di Otricoli, Palaselva e Vallefredda nei comuni di Narni ed Otricoli.

Disostruzione ponticello - Terni

Fosso Schiglie - Terni

Scogliere fosso Cagnana - Alviano

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• PER TERNI •

LE CITTÀ alla PROVA D

Giacomo PORRAZZINI

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a qualche millennio, la storia delle grandi epidemie e la vita delle città sono profondamente intrecciate. Nelle città, infatti, a causa della densità di residenti e della frequenza di contatti, i virus o altri patogeni possono agevolmente diffondere il contagio, portando crisi, malattia e morte. Oggi, non è ancora possibile tracciare un quadro esauriente delle conseguenze che l’impatto del Covid-19 sta avendo sulle città. Possiamo però gia intravederne alcuni segni, premonitori, di trasformazioni difficilmente reversibili. Segni più evidenti nelle città metropolitane, ma affioranti anche nelle medie e nei piccoli borghi anche nei luoghi più remoti. Segni di crisi in alcuni contesti, di nuove opportunità in altri. I centri direzionali delle grandi città sono in parte svuotati, dalla crisi economica e dalla nuova pratica del lavoro a distanza, reso possibile dalle tecnologie e dalla crescente alfabetizzazione digitale. La caduta di tutta una serie di attività economiche ed occupazionali di servizio (bar, ristoranti, pulizie, taxi, ecc...) e la caduta dei valori di mercato degli immobili sono fra le criticità più marcate. I trasporti pubblici, già in affanno nelle gestioni con i viaggiatori ante-Covid, con la riduzione degli utenti che si spostano, ogni giorno, per lavoro o per studio, andranno incontro a nuove e serie difficoltà. La distanza che era un costo da abbattere, ora, con lo Smart working, lo è assai di meno e sembra difficile che, finita la pandemia, si torni al “come eravamo”. La fuga del lavoro dai centri direzionali urbani porta con sé la diaspora dei residenti verso realtà insediative meno dense. Ma, più che le periferie urbane, potrebbero essere gli antichi borghi, con una storia, una identità marcata, una qualità di vita superiore, un naturale distanziamento da contatti non voluti e non necessari, a tornare a svolgere, sorretti dalla connettività e da nuovi valori di vita, un ruolo importante di nuove realtà, micro urbane, attrattive, per residenza e lavoro, sia pure da remoto. Si pensi, nel nostro caso, alle potenzialità degli antichi centri che fanno da corona collinare alla conca ternana, o a quelli della Valnerina. Resta, naturalmente, da capire come può riprodursi, senza soffrirne, in questa nuova organizzazione di spazi e funzioni, la vita culturale che ha nella città la sua culla ed il suo presidio fondamentale. Il Covid e le misure prese dalle autorità per

contrastare il contagio hanno prodotto effetti rilevanti e contraddittori, non solo sulla struttura fisica e funzionale della città, ma anche sulla vita sociale dei centri urbani. Curiosamente, il distanziamento fisico o spaziale e il pericolo incombente di un nemico comune e sconosciuto, hanno prodotto, almeno all’inizio della pandemia, un forte avvicinamento sociale, solidaristico e coesivo, che è servito a confortarci reciprocamente, con i brindisi ed i violini ai balconi e “gli andrà tutto bene” alle finestre e nei sorrisi. Poi, crescendo paura e stanchezza e sfiducia, a fronte della seconda ondata, nelle città, vediamo montare il disincanto, il rancore, l’egoismo di sopravvivenza, persino la rivolta di piazza di chi sente che sta perdendo tutto e non crede all’efficacia delle tutele che lo Stato


• PER TERNI • può realisticamente offrire. Questo è un momento tragico di bilanci dei colpi subiti e di previsioni fosche su ciò che può accadere. Le promesse salvifiche dei grandi programmi europei di recovery, cioè di risanamento e rilancio non bastano a placare, in tanti di noi, l’ansia di una caduta economica, sociale, umana. Le incertezze e le falle nella stessa rete pubblica di tutela sanitaria (tamponi insufficienti, tracciamento i n e f f i c a c e , distanziamento impossibile come nei trasporti urbani) contribuiscono allo sviluppo di pensieri ed atteggiamenti negativi. Tuttavia, proprio dalla storia delle grandi epidemie e pandemie di peste e colera, possiamo ricavare la certezza e, comunque, una sufficiente fiducia nella capacità delle città di reagire e trovare nuovi assetti

fisici e sociali, nuovi equilibri nella convivenza e nel rapporto fra umanità e natura. In tante città europee le epidemie portarono alla realizzazione dei primi ospedali, alla scoperta della prevenzione sanitaria, alla costruzione di servizi igienici e sistemi fognanti, per separare gli agenti patogeni dalla vita delle persone, sino alla distruzione e ricostruzione d’intere parti di città. Ogni crisi, quanto più è profonda, porta con sé delle nuove opportunità. Spetta all’intelligenza umana ed alla volontà sociale di coglierle per costruite un dopo pandemia. Tanto più oggi, quando incombe su tutti e in particolare sulle città, dove vive più del 60 % della popolazione del mondo, la crisi climatica con i suoi effetti devastanti sui fenomeni atmosferici estremi, sulla fragilità accresciuta di strutture insediative ed infrastrutture secolari, sulle migrazioni bibliche da zone divenute invivibili. Occorre saper raccogliere una duplice sfida; quella sanitaria ed economicosociale per una reazione adeguata al virus e quella climatica che mette a rischio gli equilibri della biosfera che ospita la vita umana e le sue forme evolute di civiltà. Le nuove tecnologie possono dare un aiuto decisivo al successo di tale impresa epocale, ma il ruolo fondamentale spetta alla capacità culturale delle comunità umane. Solo la cultura può darci gli strumenti di analisi critica e di visione prospettica per immaginare e costruire un futuro migliore. Alla politica spetta di costruire le volontà e gli strumenti per farlo. Partendo da dove “l’aria che si respira rende liberi”: quella delle nuove città. Il Covid-19, a causa delle competenze in materia sanitaria assegnate alle Regioni, ha oscurato il ruolo delle città; la stessa progettazione nazionale degli interventi per il rilancio e la resilienza, finanziabili con il Recovery Fund europeo, sinora non ha visto il necessario protagonismo dei Comuni. Superata l’emergenza sanitaria, questa marginalità delle comunità urbane dovrà essere superata; la rinascita trasformativa del Paese, capace di tenere insieme innovazione, giustizia sociale e clima, non potrà che partire dalle città. Anche Terni, la nostra città, dovrebbe, senza indugi, iniziare a darsi un progetto di sviluppo sostenibile.

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• PER TERNI •

Città e Campagna La campagna difende la natura, la città l'avversa

Giampiero RASPETTI

La natura divina ci ha dato la campagna, l’arte umana ha costruito le città. Marco Terenzio Varrone, De lingua latina

Antropoj esti zoon malista politikon Uomo è animale per eccellenza politico Aristotele, Politica

L'uomo è solito esprimere giudizi in termini di suddivisione dicotomica, logica questa che può riguardare la religione (diodemonio), l’analisi cartesiana (corpo-mente, destra-sinistra, negativopositivo), la numerazione binaria (off-on, zero-uno), la partitica (Patrizi-Plebei, Guelfi-Ghibellini, Conservatori-Democratici), la politica, quella attuale in particolare (ventre-mente), il comportamento (vigliacco-coraggioso), la guerra (mors tua, vita mea), l’essenza morale (uomo libero-cultore di privilegi). Fu il sommo Pitagora a divulgare nella Magna Grecia, e da lì verso il mondo intero, la dottrina dello zoroastrismo, una delle prime forme argomentative dicotomiche, che pone due princìpi contrapposti in perenne lotta, il principio maschile del bene e della luce e il principio femminile del male e delle tenebre (la misoginia ha radici antiche... si veda, per meglio capire, anche lo studio sui numeri pari e dispari del Pitagora stesso!). Sono poi ricondotti in termini dicotomici (da Porfirio in particolare) le seguenti cinque coppie di contrari: padre luce-madre tenebra, caldo-freddo, secco-umido, leggero-pesante, veloce-lento. Fu Pitagora a stilare la celebre tavola dei dieci Supremi Contrari: limite-illimite, dispari-pari, quadrato-rettangolo, maschio-femmina, uno-molteplice, destro-sinistro, immobile-in moto, dritto-curvo, lucetenebra, bene-male -una prima forma, invero, degli attuali sistemi esperti informatici. Ma dobbiamo all’altrettanto sommo Aristotele una dualità particolarissima, quella che definisce l’uomo come animale soprattutto politico, cioè sociale. Siamo, così afferma, entità duali: una parte si riferisce all’abitante delle selve (zoon), l’altra all’essere che ha necessità di socialità (politicon). Ne consegue che l'anima sociale dell'uomo potrà ben appagarsi all’interno della città (chiamata da lui polis e che noi, a nostra volta, possiamo ben indicare come contenitore di socialità), mentre l’altra sua caratteristica, l’anima selvatica, potrà vivere con soddisfazione nei luoghi agresti. Noi saremmo dunque una felice sintesi di due aspetti, quello sociale e quello agreste-boschivo. Vivrebbero in noi, anche se in misure variabili, tanto il desiderio di città quanto l’amore per la campagna. Credo sia ancora e così!

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Basandoci allora su tale dualità, possiamo riflettere in merito ad un binomio ancora più astratto, quindi superiore e più potente, quello di cultura-natura, non caratterizzato da pura dicotomia (taglio in due, quindi aut aut), come ad esempio morte-vita o on-off, in cui un termine esclude perentoriamente l’altro. Nell’uomo c’è, come ho già detto, tanto l’una parte quanto l’altra, sia la socialità sia lo spirito agreste. Anche cultura e natura sono presenti, tanto nell’uomo di città quanto in quello di campagna. Si osservi però che si è soliti pensare le opere (la cultura) fiorire solo nella città, mai nelle campagne (con eccezione, ovviamente, delle Opere di Esiodo, tutte dal sapore agreste). Ma non è così! Il paesaggio naturale è infatti la più bella opera che l’uomo abbia mai, nei secoli e nei millenni, modellato! E non soltanto modellato, ma anche, e soprattutto, protetto! Altra è la storia, invece, per la città, che, in genere, avversa, mortifica, uccide la natura! I gas che avvelenano tanto la natura quanto i nostri polmoni, vengono tutti dalla città. Occorre allora cambiare, riequilibrare. Occorre proteggere la natura, tutta, soprattutto all’interno delle città! Si pensi allora alla città diffusa intendendo, con questo, l’ampliamento della città e delle strutture stesse che la identificano, in quella che una volta era la sua corte (greco chortos, da cui il latino hortus, orto). Il cortile più bello al mondo che si conosca è proprio quello della Corona Ternana, con le sue splendide punte: Terni Cesi, Terni Marmore, Terni Piediluco, Terni Rocca San Zenone, Terni Collescipoli et altera mirabilia.

Le città dovrebbero essere costruite in campagna; l’aria lì è più salubre. Jean Louis Auguste Commerson

Stanziarsi in campagna per studiare, produrre cultura, riorganizzare l'artigianato, immergersi nell’arte e nella poesia, quasi a far rivivere la mitica Arcadia, sarebbe meraviglioso, ma non basterebbe per riequilibrare: è l’aria di campagna che deve entrare nelle città. Già adesso, per fortuna, alcune persone che vivevano perlopiù in città, danno vita ad un percorso inverso, aiutati anche dalla enorme possibilità offerta dallo smart work e, per altre necessità o incombenze, dalle teleconferenze o dall’avere a disposizione, nel proprio smartphone, tutto quello che serve per operare nel mondo. C’è, sempre più, in molti, un grande amore, difficile da nascondere, quello di prendersi cura di un proprio orticello, di poter gustare qualcosa che sia a metro zero, non a chilometro zero. Anche i cibi trasmigrano da una parte all’altra. Quello che una volta era cibo da contadino (prodotti dell’orto, legumi, erbe e verdura) adesso diventa, nelle città, cibo quasi esclusivo di chi, pur avendo tutto... è molto attento al colesterolo! La necessità è dunque adesso quella di rimodellare le città e donare loro uno sviluppo sostenibile. Questo significa riqualificare l’ambiente, non produrre enormi quantità di rifiuti, poter finalmente respirare, dire addio a vecchi motori per sostituirli con quelli a energia rigenerabile. E poi rimodellare la città: ci siano alberi, fiori, aiuole, orti e giardini. Che non si progettino più abitazioni senza orti urbani e si facciano anche rivivere le antiche piazze delle erbe.


• PER TERNI • Una città non vale più di un giardino di rose. José Santos Chocano

All’interno di questa auspicabile integrazione tra città e campagna, mi chiedo se la nostra città potrà avere un ruolo importante. Rispondo: non solo importante, ma potrà diventare un esempio, eclatante e fondamentale, per il mondo intero, così tante sono le caratteristiche positive che la dotano. Terni è infatti inserita nella sua superba corona di monti; il suo terreno, pianeggiante, è ovunque benedetto da acque e dai suoi tanti sali minerali. Ha dalla sua parte la storia, la natura, l’ambiente, i suoi cieli, i suoi colori. E sacralità, tante, a cominciare dall'essere città aperta, solidale, accogliente già ai tempi di Interamna Nahars, per proseguire con quella acquisita, nel IV secolo, con il suo patrono, Valentino, che disvela, primo al mondo, la necessità del rispetto di alcuni fondamentali diritti umani (il nostro santo dovrebbe essere studiato anche per approfondire forti analogie con Terenzio Afro e con il santo dei santi, Francesco). Una città che saprà integrarsi con la campagna e che realizzerà finalmente la policentricità del suo territorio, una distribuzione cioè decentrata di alcuni servizi. Gli orti urbani, gli orti di comunità, gli orti sui tetti, i boschi verticali renderanno la città più verde, più profumata, più vicina agli esseri umani. Una Terni, dunque, che saprà riscoprire i prodotti della propria terra così tanto amati dai visitatori del Grand Tour.

Una città non si misura da lunghezza e larghezza, ma dall’ampiezza della sua visione e dall’altezza dei suoi sogni. Herb Caen

altri dati: la popolazione non urbana è, in Francia pari al 18%, in Spagna al 20%, in Germania al 24%, in Svizzera al 26%. In Italia, come già detto, al 30,5%. Come mai? Le ragioni potrebbero essere molte, certamente. Rimane però il fatto che se le persone ci vivono, significa che possono, in buona misura, viverci bene. Asserisco allora -siamo al secondo step- che in Italia ci vivono e con buonissima sorte! Affermo altresì che questo sia dovuto alla bellezza della nostra terra, quella bellezza che altre Nazioni, comprese quelle a noi vicine, hanno in misura minore! Un luogo, il nostro, che presenta eccellente abitabilità nelle sue terre, in quelle attorno ai laghi o lungo i fiumi, sulle pianure, sulle montagne, nei centri arroccati sulle dolci colline o lungo le marine, ovunque! Tutto è stupendo, da noi. E questo è il terzo e ultimo step! Chi più di noi?

Iungetur his sexta regio Umbriam conplexa agrumque Gallicum citra Ariminum.

Si aggiunga la sesta regione comprendente l’Umbria e la terra dei Galli al di qua di Rimini. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

L’istogramma, desunto da worldometer (www.worldometers.info), il più grande sito web di raccolta, in tempo reale, di dati, mostra con chiarezza come, negli ultimi 65 anni, la popolazione urbana in Italia sia stata soggetta a crescita considerevole, mentre la popolazione rurale sia andata diminuendo, ma in misura esigua. Per dirla con i numeri: attualmente il 69,5% della popolazione italiana vive nelle città, mentre il 30,5% vive intorno alle città, nelle campagne, nei piccoli centri. Questo dato in sé non sembrerebbe indurre a molte considerazioni, ma, se confrontato con altri dati, evidenzia con chiarezza una piacevolissima verità. Analizziamo allora altre percentuali, sempre desunte dallo stesso worldometer: popolazione non urbana nelle Isole Vergini 4%, nelle Cayman 3%, nell’isola di Bermuda 3%. Come contraltare: Nepal 79%, Etiopia 79%, Burundi 86%. Altri Paesi hanno dati intermedi, ovviamente. Dunque, primo step, in alcuni Paesi la popolazione si addensa in città, in altri si disperde in tutto il territorio, laddove questo consenta una adeguata vivibilità. La nostra Italia e i Paesi a noi vicini presentano addensamenti abitativi più in città che in campagna. Ovviamente, laddove la campagna è più vivibile, più popolazione riesce a viverci. Analizziamo allora questi

Facciamo parte (così stabilì Augusto nell’anno settimo dell’era volgare) della VI Regio, l’Umbria, terra che si estende dalla sponda sinistra del Tevere fino a Pisaurum, Pesaro. Questo è il nostro humus, qui le nostre radici, le fastosità più ricercate nel mondo: natura, ambiente, storia, sacralità. E le acque, i sali minerali, i colori, i monti, i laghi, il mare, l’enogastronomia… Non esito ad affermare, pur se attualmente potrebbe apparire ad alcuni come molto supponente, che la Sexta Regio è la terra più bella del mondo e che Terni, anche per la sacralità di cui è investita per opera di Valentino, è una città ricchissima, da me definita La città dell’oro. Occorre però comunicare tali bellezze e credere nell'immagine futura della nostra città: bisogna saper vedere, intus legere! In particolare, le persone designate alla guida della città ne conoscano la storia, sappiano apprezzare lo scenario stupendo che la contorna, si impegnino non tanto per accomodare pezzi della vecchia città, quanto, soprattutto, per intuire e costruire parti della nuova! Se è vero che abitanti di terre desolate come gli eskimesi dei ghiacci o i beduini dei deserti, sottoposti da sempre a pochissimi stimoli ambientali e paesaggistici, non hanno mai generato artisti, scienziati, musicisti, allora si potrà essere ben certi che gli abitanti della sexta regio, quelli di Terni in particolare, che hanno goduto, sempre, di così tanti stimoli storici, naturali, ambientali, artistici, godano di innate capacità intuitive, logiche, sapienziali, culturali (che occorre però potenziare con il rigore degli studi, scientifici ed umanistici, senza i quali è tutto un vano aggirarsi!). C’è, ovviamente, anche il perfetto beota (i beoti, presso gli Ateniesi, si diceva fossero più stupidi dei loro cani!) che non si accorgerà mai di niente e seguiterà a contrastare storia e uomini di valore! Tolto l'ingombro di tale zavorra, gli altri concittadini, tantissimi, si sentano pure, ne hanno ben ragione, come facenti parte del popolo più creativo e produttivo del mondo e figli di Valentino, tanto da poter veramente dire: La città futura siamo noi!

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Una nuova GIOVINE ITALIA in tempo di epidemia Adriano MARINENSI

T

ra i problemi più difficili da risolvere, oggi uno ce n'è che la saggezza popolare ha riassunto così: Occorre salvare capra e cavoli. Nella circostanza imposta dall'epidemia di nuovo galoppante, la capra sta per la salute pubblica, i cavoli per i pesanti risvolti della crisi economica. Conciliare, a parità di merito, le due tutele si sta dimostrando quasi come l'impossibile quadratura del cerchio. E chi ha il compito di assumere le decisioni in merito, rischia di fare i conti con l'impopolarità e la contestazione. L'impopolarità politica e la contestazione di quanti vedono in pericolo la loro condizione fatta, quasi sempre, di lavoro e sacrifici. Il pericolo aggiuntivo è dare spazio ai mestatori di mestiere, sempre presenti sulle piazze, ed agli usurai della criminalità organizzata. Ci sono notevoli differenze tra il prima e il durante la grande epidemia. Modelli di vita che erano acquisiti e consolidati stanno mostrando preoccupanti fragilità. Nessun coinvolgimento delle fondamenta democratiche del Paese, sia in campo nazionale, sia locale. D'altri mutamenti si tratta. Per esempio, l'equilibrio dei rapporti tra il sociale e il privato, tra i ruoli dello Stato e dell’economia di mercato, sta subendo modifiche tali da rimettere in buona vista pagine storiche del passato da poco, ch’erano finite in totale disuso. Nel settore sanitario, il cittadino si è ritrovato ad avere estremo bisogno, al limite del salvavita, di una protezione al massimo dell’efficienza strutturale ed al limite dell’eroismo individuale degli operatori. In quello sociale, la caduta verticale dei livelli occupazionali ha massimizzato la validità degli interventi di pronto soccorso finanziario. D'ora in avanti ci sarà l'esigenza di riconsiderare il rapporto tra la presenza dello Stato e della componente privata nel delicato processo di sviluppo civile. Perché sarà lo Stato ad avere in mano le rilevanti risorse finanziarie messe a disposizione dalla UE; e le aziende a fare da duplicatore alla produzione della ricchezza e del lavoro, indispensabili per ridare movimento virtuoso ai meccanismi della ripresa. Il mondo imprenditoriale, in ogni dimensione, ha subìto un arretramento che ci ripone di fronte ai pericoli degli anni ’30 del ‘900, quando lo Stato dovette mettere in campo interventi di salvataggio. E nacque l’IRI che aveva proprio nel suo acronimo, il compito della ricostruzione industriale (lo scrivo tra parentesi: i ternani debbono essere orgogliosi di aver dato a questa grande azienda due Direttori generali: prima Antonio Zurzolo, poi Enrico Micheli, successivamente Ministro e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio). C'è attualmente, in Italia, una montagna di denaro dormiente nei forzieri delle Banche, al quale va trovata una destinazione sicura e remunerativa per il risparmiatore e produttiva per la collettività. Purtroppo, molte questioni, solitamente di confronto civile, sono

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diventate di ordine (disordine?) pubblico. Molti obiettivi a medio termine, soprattutto nella gestione del Fondo di guarigione (Recovery Fund) dei malanni nazionali, dipenderanno dalle decisioni del Parlamento e del Governo, dall’armonico protagonismo di tutti gli Enti pubblici (le Regioni in prima fila), delle componenti attive della società, nella nuova programmazione dell’intero sistema. Sarebbe quanto meno antistorico dimenticare le operazioni IRI ed ENI che contribuirono a rimettere in piedi il Paese distrutto dagli eventi bellici. Nella circostanza fu decisiva -al netto degli eccessi- la presenza del cosiddetto Stato imprenditore. Alcune di quelle esperienze, poste in una dimensione aggiornata dei princìpi ispiratori, delle regole operative, degli strumenti tecnici, potrebbero suggerire utili indicazioni. Ribadisco: con meno finanza di pronto soccorso e più interventi di politica economica; perché se i capitali, provenienti dalla UE non saranno produttivi di una solida ripartenza, diventeranno un problema anziché una risorsa. Il nuovo solidarismo europeo dovrà trarre consolidamento proprio dal buon uso delle risorse per superare la grande crisi. Un utilizzo scarsamente produttivo di effetti reali, finirebbe per ridare vigore alla scadente dottrina dei nazionalismi radicali. Che privilegiano collocazioni di retroguardia, di perpetuazione delle differenze sociali, di difesa del conservatorismo pusillanime, a danno dello spirito comunitario e della mutualità internazionale. Ci sono invece da conseguire approdi d’avanguardia come la garanzia del pluralismo culturale, il rispetto della dignità e parità di diritti d'ogni persona, la riqualificazione ambientale, il rinnovamento urbano, il controllo della pressione tecnologica, l’espansione delle energie rinnovabili, la definitiva affermazione dell’economia circolare. Su questi ed altri percorsi innovativi, alcuni conseguenti alla globalizzazione, altri all’emergenza sanitaria, occorre camminare celermente e non attardarsi sulla sterile, permanente caccia al voto. Tutti oggi hanno il dovere di lavorare (quasi, quasi con piglio patriottico) nell’interesse generale del Paese. Il resto è populismo senza arte, né parte.


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i! o N a d V ie n i


Lettera al Direttore Nella terra sacra di Valentino, Benedetto e Francesco non dobbiamo insediare manifestazioni inadeguate come gare con motore inquinante, casinò per giochi d’azzardo, casinì per cocotte e puttanieri. Da evitare anche le Miss femmina, i cui attributi salienti sono, già dalla prima fase, quelli esteriori, la misura cioè di tette, fianchi, glutei ecc ecc. Misure abbondantissime andavano bene per le Veneri del Paleolitico, per i primi simboli cioè indicanti la vita e l’inizio dell’idea di Dea Madre che porterà alle centinaia di Dee Madre, tutte rigorosamente illibate, che hanno creato i vari popoli dell’umanità, proprio al nascere della loro storia. Parlare oggi di misure anatomiche va bene, perché no, ma non coglie l’essenza della donna. Caratterizza piuttosto la femmina: quando si parla di donna si intende tutt’altra faccenda. L’etimologia della parola donna si riallaccia senza dubbio al latino domĭna (femminile di dominus), signora, padrona. Si noti che, mentre l’etimologia della parola uomo rimanda al latino humus (da cui i termini umanità e umile), al contrario, quella della parola donna esprime tutta l’importanza ed il potere che ebbe il matriarcato nelle antiche civiltà. La parola femmina, invece, tanto dalla radice sanscrita dha, allattare, quanto dalla radice sanscrita bhu, nutrire, rimanda allo stesso concetto di fecondità procreatrice. Ad essere precisi e pignoli, questo vale per ogni femmina, per l’oca come per la gallina. Nella Valnerina, terra dell’humus e dell’umiltà, di Benedetto, Francesco, Valentino e di tante altre sacralità, ci sembra molto importante dare giusto rilievo e riferimento alla donna, al suo saper fare, al suo agire, a quei tanti elementi di vera superiorità che essa ha nei confronti dell’umile uomo. Vogliamo dunque fare continuo e biennale riferimento ad un viso di donna libero da cosmesi e da misure, temporali ed anatomiche, ma vincolato all’intelligenza e all’amore per la vita di chi, nascendo femmina, ha saputo diventare donna. Unificare questo nostro meraviglioso lembo di terra, già chiamata sestaregio, significa, in primis, partire dal riconoscimento più alto e sentito che si possa assegnare alla nostra compagna di vita: cogliere nel viso di chi rappresenterà ogni due anni la Valnerina, i suoi bagliori, i suoi silenzi, i suoi sapori, la sua musica, l’incanto Giampiero Raspetti delle acque.

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Distinto Direttore, che bell’argomento quello del Suo articolo “Domina et dominus” letto molto tempo fa. Esso ci riporta ai primi segni della nostra civiltà. Questi vocaboli sono tra ciò che credo i più numerosi derivati di un radicale delle nostre lingue: dám, casa, nel sanscrito dei testi vedici. Quando l’uomo scopriva l’agricoltura, s’insediava in un luogo attiguo ai campi che coltivava. E costruiva una casa permanente, la quale era un segno della sua esistenza. Acquisiva così il diritto di partecipare alle decisioni della comunità. Una testimonianza di tale situazione sta nel censo elettorale, prima del suffragio universale, che concedeva il diritto di voto a chi mostrava un certo livello di ricchezza. Le case più grandi erano un segno di potenza. Già presso i Sumeri, la casa grande era il palazzo del sovrano-prete. Da noi, ci saranno i templi, i palazzi ed i capolavori del genio umano, le cattedrali e le basiliche. Questo primo radicale dám dal vedico passa nel greco dómos e nel latino domus, i cui abitanti sono precisamente, sotto forma derivante, dominus et domina, maestro e maestra di casa. Ma il titolo ricorda il potere assoluto che aveva all’epoca romana antica il pater familìas, come lo rammenta il senso che ha preso nelle nostre lingue il vocabolo despota, dal vedico dám pátih, maestro di casa, nel greco despótês, per dems-pot. E come lo ricorda l’italiano con: dominio, dominazione dominare, dominatore. Poi vengono in derivazione del radicale: donno, donna, Madonna, donnaiolo, donnesco, donnetta, domino, donnina, donzello, donzella, donnicciola, domicilio, domestico, domenica, domenicale, dominicano, duomo e il titolo di considerazione Don. Non ho nessun merito in questa lunga enumerazione che mi è data da un eccellente “Dictionnaire des racines des langues européennes”. Comunque, essa dimostra l’importanza che la creazione della casa, come segno distintivo di esistenza di una persona, con i diritti afferenti, ha preso nella nostra civiltà. Lei fa una buona cosa stimolando la cultura. Or bene le vie della conoscenza sono infinite come quelle del Signore. Prendo il mio caso: per condizioni locali e familiari, mia madre vedova e senza risorse con 4 giovani figli, ho dovuto, dopo le elementari, studiare fuori degli atenei, da solo o con corsi privati. L’inizio della mia scoperta della conoscenza è stato la lettura meravigliata del dizionario di una zia. Nella mia casa di gente bisognosa non c’erano libri. Ho dunque accolto messi modeste sulle strade della mia vita nomade: brevetto d’ufficiale dell’accademia dell’aeronautica militare, titolo di riconoscenza per servizi in Algeria


1956-62 e in un reparto centrale della Difesa 1971-73 e certificato della Scuola pratica degli alti studi della Sorbona in accadico, dopo lo studio dell’arabo in Algeria. Ho pubblicato raccolte di poesie e libretti di storia locale. In particolare, arrivando in Italia nel 1986, ho fatto conoscere, ai lettori di riviste di associazioni letterarie francesi, una trentina di poeti italiani. Ho letto le loro opere e pubblicato, tra 1987 e 2012, articoli sulle loro vita e produzione, cominciando naturalmente da Dante e Petrarca, passando per i Crepuscolari ed i Futuristi, per terminare con Sibilla Aleramo et Dino Campana, le cui tragiche vite mi hanno commosso. Essi hanno vinto la tristezza del loro destino con la ricerca dell’espressione creatrice di bellezza. Continuo a lavorare su qualche progetto, affinché il tempo che mi sarà concesso non venga perduto invano. Leggo con grande interesse La Pagina, i cui articoli mostrano un alto livello di cultura che posso invidiare. Apprezzo in particolare il Suo impegno nel riunire i centri della Valnerina per farne un modello socio-culturale, come apprezzo il Suo affetto per Terni, perché, dopo di essere stato nomade e dopo 34 anni qui, mi considero ternano. Nomade, sì. Dopo 3 rifugi nella mia giovane età, tra cui un orfanotrofio di formazione professionale, ho vissuto, nei posti di funzione e di stage specialistici della mia carriera, in 10 città in Francia e 4 in Africa. Poi, turista per vocazione, ho percorso numerosi paesi in Europa e 3 in America latina. Dunque, ho un tesoro di immagini, in particolare quelle del meraviglioso Perù, percorso da nord a sud, che incantano i miei momenti di sogno. La storia del Tawantinsuyu degli Inca, le “Quattro direzioni”, ci è fortunatamente pervenuta dal racconto del meticcio Garcilaso Inca de la Vega, giacché quelli non avevano la scrittura. Ma avrò certamente scritto troppo qui, come in un canto del cigno, per illustrare la difficoltà per l’uomo qualunque di strappare qualche brandello del sapere universale che molti uomini hanno raccolto per noi. Avevo letto in un Suo articolo il vocabolo greco udor per l’acqua, in scrittura greca udwr. Ma questo vocabolo non può essere trascritto in altri sistemi alfabetici senza l’uso di segni diacritici. Scartando l’alfabeto fonetico internazionale, possiamo

qui pronunciare lo spirito aspro iniziale con /h/, come ha fatto il latino con Hydra e altri vocaboli, e le due vocali, ypsilon (non l’ipsilon del greco ellenistico) e omega, rispettivamente con la /ü/ tedesca e la /ô/ lunga francese. Ma sono tutt’altro che ellenista! Però Lei mette in evidenza il fatto che i sistemi alfabetici tra i gruppi linguistici, e anche tra le lingue d’un gruppo, sono come dei chiostri, i cui segni si corrispondono male tra loro, con altre pronunce e grafie. Così il nome di stato scritto Ciad in italiano sarà Tchad in francese, Chad in inglese e spagnolo, Tschad in tedesco ed avrà in russo la consonante iniziale /tsh/ cirillica. La diversità è la natura del mondo. Ho apprezzato molto il Suo “Meglio visionario che Beota” nel numero di maggio, con la Sua ammirazione per la cultura greca, che condivido. Dobbiamo a questa, con nomi prestigiosi, la nascita della storia, della letteratura, dell’arte e della filosofia, cioè l’avvio della nostra civiltà. E mi è venuto il desiderio di riaprire le Storie, lette alcuni decenni fa. L’affermazione di Aristotele sulla misura ideale di una polis mi riporta in mente, con emozione, il mio piccolo paese di 2.000 abitanti lasciato dopo la guerra, dove tutto si sentiva e si sapeva in una vera convivenza. Ed il rapporto città-campagna rispondeva, a quell’epoca, al discorso di Aristotele: la sua campagna bastava per assicurargli un naturale e sano nutrimento in vegetali, carne, burro, uova. Distinto Direttore, Le auguro di mantenere con successo la Sua energia e la Sua visione nei progetti, come la Sua espressione immaginosa negli scritti. E la prego di accettare tutta la mia considerazione.

Paul François GEORGELIN

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C’ERA una VOLTA… e ci sarà ANCORA SE… C

Loretta SANTINI

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’era una volta la scuola: quella in cui si esultava e ci si abbracciava per un buon risultato, o ci si dava una pacca sulle spalle, una pacca consolatoria o di incoraggiamento in caso di risultato negativo. C’era una volta, ai dieci minuti di ricreazione, lo scambio delle merende, i capannelli e le risate e qualche corsa per il corridoio. C’era, al suono della campanella, l’esultanza di uscire correndo all’aperto, di vociare, di strillare, di fare capannelli tra compagni o, per i maschietti, due tiri a pallone con un cartoccio di giornale e per le femminucce di andare per mano a chiacchierare e ridere tra loro. C’erano le gite in autobus cantando a squarciagola, i giochi in cortile o ai giardini. Per i più grandi c’erano le cene con gli amici, le grandi tavolate con mangiate e bevute in allegria, gli incontri in piazza o al bar per parlare, socializzare, litigare, progettare, parlare di calcio, di donne o di uomini, di vestiti, per amoreggiare, scherzare. C’erano, tra un taglio di capelli, un colore o delle meches, le chiacchierate e le confidenze delle donne dalla parrucchiera, momento di relax e di intervallo dalla routine della vita. E poi l’assalto ai pub, alle discoteche, ai luoghi di ritrovo, alle pizzerie dove, ammassati come sardine, si battevano i boccali di birra in un brindisi rivolto alla vita e magari cantando a squarciagola qualche ritornello con doppi sensi. C’erano le lunghe file agli sportelli delle poste, delle banche o dell’anagrafe, tutti l’uno a ridosso dell’altro, quasi a contendersi lo spazio ristretto e cercare di guadagnare centimetri ritenuti essenziali per fare prima. C’erano le spiagge superaffollate con gli ombrelloni tanto fitti da toccarsi e un mare di gente pigiata come una manifestazione in piazza, stesa al sole su

asciugamani variopinti o pronta a improvvisare un qualche gioco sulla sabbia rovente. C’erano i supermercati e i centri commerciali zeppi di persone pronti ad arraffare dagli scaffali i beni di consumo e al bancone ordinare prosciutto e pane, mentre si parlava con chi ti stava gomito a gomito o si litigava perché qualcuno era passato avanti o magari si pontificava sulle malefatte del governo e dei politici. Sugli spalti degli stadi, variopinti tifosi della propria squadra urlavano, saltavano, imprecavano per il gol mancato o si abbracciavano al momento della rete realizzata. C’erano gli abbracci tra atleti vincenti. Un tempo, soprattutto il sabato e la domenica sera, si andava a fare una vascata per corso Tacito: ci si incontrava con gruppi di amici, ci si abbracciava, si rideva insieme, si raccontavano storie e avventure, si proponevano passeggiate gite incontri, si scambiavano opinioni su tutto, dagli attori ai film, alla moda e alla politica. C’erano una volta matrimoni con centinaia di invitati, tutti pronti a brindare cantare e ballare. Così per le comunioni o i battesimi. Poi c’erano i funerali, quelli in cui ci si poteva tenere stretti in un abbraccio consolatorio dietro alla bara del caro estinto. C’erano strette di mano calorose, baci appassionati, caroselli di persone mano nella mano, incontri ravvicinati con amici e parenti, gioiose feste di compleanno o di laurea. C’era C’era C’era…. Oggi i sorrisi, nascosti dalle mascherine, si leggono solo negli occhi. Oggi ci si dà il gomito o si batte la mano sul cuore in segno di affetto. Oggi si sta almeno a un metro di distanza e ci si saluta da lontano. Una distanza che è quella della prudenza e della paura, ma non quella del cuore. Ci sentiamo snaturati nei nostri affetti, nelle nostre abitudini e lo sono molto di più i bambini privati delle cosa più importanti come la socialità e il gioco. C’era, è vero, ma ci sarà ancora … se saremo attenti al distanziamento, se eviteremo gli assembramenti, se saremo attenti all’igiene delle mani e del corpo, se sapremo rispettare le regole che, pur con tutte le incongruenze e i difetti, sono l’unica possibilità di fermare il mostro.



“Rrepara piatti, conculine e ombrella…” Vittorio GRECHI

Si sentiva gridare in vicinanza dell’abitato, e le donne presenti si affacciavano dalla finestra per vedere chi fosse a gridare così forte. Era un omino piccolo e tondo, grassottello, che camminava piano con un pesante borsone di cuoio a tracolla e con in mano un vistoso ombrello verde, di quelli che usavano i pastori di pecore. Non pioveva e l’ombrello veniva usato come fosse un bastone da passeggio. Erano gli anni ’50 del secolo scorso e, specie nelle campagne, non si buttava via nessun oggetto rotto e quindi divenuto inutilizzabile. Si metteva da parte, aspettando che qualcuno di famiglia, in una giornata di pioggia, trovasse il tempo per vedere se era in grado di aggiustarlo o aspettando che passasse qualcuno in grado di farlo. Specialmente i piatti che venivano usati tutti i giorni correvano il rischio di rompersi scivolando dalle mani callose o per l’urto di un bottiglione pieno di vino appoggiato maldestramente dallo stanco e avvinazzato capofamiglia. Quando si rompeva un piatto, specie quelli da portata belli grandi -le famiglie allora erano composte da parecchie persone, non come oggi- erano pianti della donna e bestemmie se era colpa dell’uomo. Poteva anche essere un misto di pianti e bestemmie se accadeva in presenza della vecchia suocera, già convinta da tempo che i suoi figli avessero sposato delle buone a nulla. Quindi, all’apparire di uno che millantava di essere capace di riparare tutte quelle cose, era un corri corri a cercare i piatti, i recipienti di terracotta e qualche ombrello rotto, per farglieli vedere e combinare il costo delle riparazioni. Quando l’omino raggiunse le prime case, si guardò intorno per scegliere il posto più adatto, riparato dal sole e dalla pioggia. Nel frattempo anche i bambini, incuriositi dalle grida e dal dialetto dello sconosciuto, accorsero per conquistare il posto di osservazione migliore. L’uomo poggiò l’ombrello al muro, si levò il borsone dalle spalle, lo poggiò a terra e allora tutti videro che al posto della mano sinistra aveva una specie di palla di carne senza nessuna traccia di dita. Una bambina a quella vista si mise a piangere e scappò di corsa verso casa, mentre gli altri rimasero a guardare. L’artigiano si sedette sulle scale, tolse da sopra lo sdrucito borsone un mazzo di stecche di ombrello legate con uno spago, le mise da una parte e incominciò a tirare fuori gli strumenti del suo mestiere. C’erano un piccolo trapano, pinze di varie dimensioni, fili di ferro, barattolini contenenti

Erano gli anni ’50 del secolo scorso e, specie nelle campagne, non si buttava via nessun oggetto rotto.

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chissà che, forbici e martelletti che fecero sgranare gli occhi ai bambini vogliosi di toccarli. Intanto si era avvicinata una donna con un piatto fondo rotto esattamente a metà, chiese se era possibile aggiustarlo e quanto sarebbe costato. L’uomo prese il mezzo piatto con la mano destra, se lo mise sulle gambe a ginocchia strette e trattenendolo col braccio sinistro gli accostò l’altra metà per accertarsi che le due parti combaciassero perfettamente, poi disse il prezzo. Ci fu un tira e molla, finché combinarono a poco più di una decina di lire e a qualcosa da mangiare per pranzo. Preparò allora due grappe di ferro da mettere sul fondo del piatto tramite quattro fori da fare col piccolo trapano a mano. Sempre col mezzo piatto sulle gambe, bloccato dal moncone, l’altro messo al sicuro per terra, poggiò la punta del trapano sul piatto, con il mento premette sul manico del trapano per tenerlo fermo mentre con la destra girava lentamente la manovella che faceva avanzare la punta nella ceramica. Ripeté questa operazione tre volte, incollò il piatto e mise le grappe raccomandando alla signora di non usarlo finché la colla non avesse tirato. La donna pagò e gli porse un pezzo di pane e un bicchiere di vino. L’uomo aspettò che se ne andasse, poi rivolto ai bambini disse che si sentiva trattato come un cane, se non fosse stato per il bicchiere di vino.


Colori d’Autunno

Marcello CORONELLI

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