La Pagina Umbria Dicembre 2018

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NUMERO 31 DICEMBRE 2018 - GENNAIO 2019 CULTURA PROGETTUALE & TERRITORIO

Il territorio più bello e più ricco del mondo

GIOVE di OTRICOLI

VI Regio Augustea

LA REGIONE DEL TEVERE, DEL NERA E DELLA VIA FLAMINIA


LA PAGINA UMBRIA Registrazione n. 2/2014, Tribunale di Terni

Direttore responsabile Alberto Mirimao Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 info@lapagina.info lapagina.redazione@gmail.com Redazione Terni,Via Anastasio De Filis, 12 Tipografia Tipolitografia Federici Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO

4. Policentrismo G. Porrazzini 6. Interamnopolis M. Virili 8. Terni Baricentrica C. Santulli 10. Turismo, un grande sogno... S. Bolletta 12. Comune di AMELIA 14. Comune di FERENTILLO 16. Comune di NARNI 20. Elena Carducci ♥ Elena Gigli 22. Comune di OTRICOLI 24. Comune di POLINO 26. Comune di SANT'ANATOLIA DI NARCO 28. Comune di SCHEGGINO 30. Comune di STRONCONE 31. Arrone - La protostoria A. Ascanio 32. Umbria o le Umbrie? R. Stopponi 33. Terni, uno dei tanti Centri della Valnerina 33. Rete Museale 34. Cesi Balcone della Conca Ternana L. Santini 35. Fondazione Aiutiamoli a Vivere F. Pacifici 36. Fra Umbri e Romani P. Renzi 38. VI Regio Umbria G. Raspetti


Umbria misura umana, oasi di pace. Cinque elementi, magicamente fusi: la terra, generata da fuoco eruttivo e da emersione dalle acque, respira profumi primaverili, in ogni stagione. Sali minerali, che marina e lapilli sigillarono con dovizia, immergono l’Umbria in sapori, di ara in ara, diversi. Straordinario l’intreccio di itinerari storici, artistici, naturalistici, spirituali che genera quinta essenza. Necropoli, templi, città sotterranee, monasteri, abbazie, conventi, castelli, borghi, torri e muraglie costituiscono l’irripetibile patrimonio archelogico, artistico, architettonico sedimentato in Umbria da Etruschi e Romani, da Medioevo e Rinascimento. Il caleidoscopio, dominato dal verdeumbria, è arricchito da tenui colori: il rosa pallido, il giallo tufaceo, il miele ambrato, l’azzurro cenerino, il rosso mattone delle sue pietre e dei suoi tufi. Su campi e su alture, su gobbe e su piane, ovunque distesi uliveti e vigneti. Pioppi, querce, salici, ontani, a guardia di fiumi e di rivi ondulati. Una sull’altra le case, arrampicate fino a fortezze feudali. Umbria, tu ostenti, annunci e proclami la pace.

Giampiero Raspetti

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Giacomo Porrazzini

POLICENTRISMO

L’intensa discussione sul policentrismo nello Statuto della Regione Umbria.

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hi ha vissuto, agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, con l’istituzione delle Regioni, la stagione, culturalmente e politicamente, assai stimolante del nuovo regionalismo come modo di organizzarsi delle comunità locali racchiuse nei confini regionali, sia, nei confronti dello Stato centrale, sia, al proprio interno, ricorda, certamente, l’intensa discussione sul policentrismo, la sua traduzione nello Statuto della Regione Umbria, con le attese promettenti che ne seguirono. Si parlò, allora, di regione policentrica e fonte di riequilibrio fra i territori, in favore di quelli svantaggiati, di protagonismo delle città, aldilà delle loro dimensioni, della opportunità di collegarle in una trama reticolare che andava a costituire il tessuto, culturale, economico, sociale ed infrastrutturale della nuova Umbria. Molta acqua, da quegli anni, è passata sotto i ponti e ciascuno può giudicare quanto, di quel disegno, sia stato realizzato, quanti passi in avanti siano stati compiuti e quanti scostamenti si siano verificati rispetto all’obiettivo statutario del policentrismo. Tale obiettivo mirava a valorizzare e mettere in comune, le specifiche risorse di ogni realtà urbana ed a promuovere simili livelli di qualità della vita per i cittadini residenti in ciascuna di loro, sia, che si trattasse dei centri principali, come Perugia e Terni, sia, dei piccoli borghi, come quelli della dorsale appenninica o della Valnerina. Il policentrismo presupponeva anche una inedita capacità delle comunità, e delle relative Istituzioni che le amministrano, di organizzarsi in strutture di cooperazione ed integrazione, come Comprensori, per la pianificazione

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urbanistica, Consorzi ed Aree vaste, per l’organizzazione di servizi fondamentali, Distretti, per le attività produttive, Unità locali, come quelle socio-sanitarie, Comunità intercomunali, come quelle montane. Una ricchezza ed articolazione di forme di aggregazione che ha finito per produrre incertezza nelle competenze e nelle responsabilità, limitata efficienza e costi eccessivi. I tentativi di razionalizzazione che ne sono seguiti, hanno corso il rischio, a volte, di gettare via, con l’acqua sporca, anche il bambino. Ciò è avvenuto, non solo, nella dimensione regionale e provinciale, ma, anche in quella urbana, dove, ad esempio, sono state cancellate, da improvvide normative nazionali, esperienze di grande valore sociale e democratico come le Circoscrizioni e le Delegazioni. Eppure, si trattava di forme organizzative che spingevano al protagonismo civico e all’esercizio dell’autogoverno dal basso, alla sussidiarietà, le comunità di base, offrendo anche una palestra formativa per nuove classi dirigenti locali e leve di sperimentati amministratori. Inoltre, la realtà circoscrizionale e delle Delegazioni, soprattutto relative agli antichi borghi municipali, cancellati in epoca fascista, aveva contribuito a riscoprire ed a valorizzare, dal punto di vista culturale, antichi tesori di tradizioni e risorse territoriali dimenticate. Tradizioni e risorse capaci, anche, di alimentare nuovi circuiti culturali e turistici e di valorizzare locali competenze giovanili. Oggi, il tema della ricerca di nuovi percorsi e compatibilità per lo sviluppo possibile delle


comunità umane ha ripreso grande importanza, a causa dell’affacciarsi di inediti problemi, connessi agli evidenti limiti mostrati dal modello di sviluppo attuale, basato sul consumismo, sulle logiche finanziarie speculative, sull’uso distruttivo delle risorse ambientali, sulla concentrazione delle popolazioni in megalopoli sempre più grandi. L’ONU, recentemente, ha proposto una fondamentale “Agenda”, proiettata all’anno 2030, nella quale sono indicate le direttrici di uno sviluppo “sostenibile”, capace, cioè, di assicurare un futuro alle prossime generazioni. Uno degli obiettivi contenuti in tale documento riguarda, proprio, la valorizzazione del ruolo delle comunità locali nel perseguire, concretamente, sul territorio, le condizioni della sostenibilità, nell’ambito sociale, economico, ambientale. In tal senso, la riscoperta e valorizzazione di spazi di autonomia da parte dei sistemi territoriali locali può offrire grandi opportunità di progresso. Il valore della sostenibilità, infatti, richiede, per essere promosso, la convinta consapevolezza, non solo delle Nazioni e delle grandi forze economiche, ma dei singoli cittadini chiamati a cambiare comportamenti, aspettative e stili di vita. Ciò sarà possibile se le persone escono dalla solitudine e tornano ad organizzare la propria vita sociale, interagendo con gli altri, per realizzare azioni culturali, economiche e sociali coerenti con una visione del vivere insieme e dello sviluppo di più alta qualità umana, sociale ed ambientale. Le singole comunità locali vanno, pertanto, mobilitate affinché si impegnino, con le loro idee e

risorse umane, in progetti di crescita sostenibile e di qualità. Antichi confini amministrativi ed incrostazioni burocratiche e centralistiche non debbono costituire ostacoli insormontabili, per la manifestazione di tale capacità progettuale dal basso. Ad esempio una realtà territoriale omogenea e ricca di grandi risorse naturalistiche e culturali, come la Valnerina, potrebbe essere, superando separazioni provinciali e gelosie politiche e di potere, un formidabile laboratorio per far maturare ed esprimere al meglio, una tale progettualità integrata e di sistema. Lo sviluppo post terremoto dovrebbe avere l’ambizione di sperimentare nuove strade e nuove dimensioni per dare risposte non effimere e assistenzialistiche a quelle popolazioni. Un progetto capace di impegnare tutto il territorio e le comunità che lo vivono e di connettere tutti i campi dello sviluppo, dalla cultura al turismo, quali basi per una economia capace di assicurare benessere e sostenibilità. Un nuovo policentrismo non può limitarsi a vivere sul decentramento di scampoli di potere, ma, deve fondarsi su una dimensione progettuale e sociale autonoma e collegata in una rete di collaborazione e condivisione fra territori e comunità. Sta alla Regione garantire le condizioni di base affinché tale sforzo progettuale possa prodursi, a partire dagli interventi necessari per l’ammodernamento della rete infrastrutturale e dei servizi fondamentali, compresa la realizzazione di un sistema di connessione a banda larga che tolga le comunità ed i borghi locali dall’isolamento nel quale, spesso, ancora, si trovano.

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Miro Virili

INTERAMNOPOLIS

Appunti per il manifesto di una nuova città Sommario:

Parte prima: considerazioni e riflessioni Parte seconda: il modello policentrico Parte terza: il manifesto della nuova città

Tra il 2017 e la prima metà del 2018 nella sede della redazione del mensile La Pagina, in via Anastasio De Filis, un gruppo di persone, provenienti da diversi ambiti ed esperienze professionali e intellettuali, coordinate da Giampiero Raspetti, hanno iniziato a discutere e riflettere sulla nostra città, sul suo territorio e sull’Umbria meridionale. Tra gli altri il gruppo era ed è formato da Don Claudio Bosi (Diocesi di Terni Narni e Amelia), Edoardo D’Angelo (Università di Napoli), Rosella Mastodonti (Insegnante in pensione), Giampiero Raspetti (Redazione La Pagina), Loretta Santini (Insegnante in pensione) e Miro Virili (Centro Studi Storici Terni). Alcune sintesi delle riflessioni che mano a mano venivano elaborate sono state poi pubblicate in diversi numeri del magazine La Pagina.

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Parte prima: considerazioni e riflessioni Le riflessioni ed il confronto sono partite dal dibattito che c’era in quel momento sul declino (Shrinking cities) che stava e sta attraversando la nostra città dall’inizio del nuovo millennio. Una crisi non solo economica e di occupazione, legata al venir meno dell’industria che tanto aveva contribuito a creare la grande Terni del XX secolo, ma anche sociale e ambientale con un effetto di disorientamento e di perdita di identità. Indipendentemente dagli aspetti economici Terni stava ormai perdendo il suo ruolo storico all’interno della Regione Umbria che, come capoluogo di provincia, aveva svolto a partire dagli anni trenta del novecento. Le recenti politiche nazionali e regionali a partire dalla “spending review”, basata sul superamento delle provincie e sulla formazione di “macro regioni”, di fatto hanno portato ad una perdita di funzioni amministrative. Lentamente in nome del risparmio e dell’efficienza a Terni sono state tolte l’ATER, l’ATC (trasformata in Umbria Mobilità), il Provveditorato, l’ARPA, tutte funzioni che sono state trasferite a Perugia. La sede dell’Usl 2 è stata di fatto portata a Foligno, la provincia di Terni è stata trasformata in una associazione di comuni, la stessa Confindustria si è regionalizzata e forse stessa sorte seguirà anche la Camera di Commercio di Terni destinata ad essere unita a quella di Perugia formando la Camera di Commercio dell’Umbria con sede a Perugia. Il tema dell’Università a Terni sembra ormai tramontato e, parallelamente, anche una realtà culturale viva fatta di tante associazioni e riviste che avevano sede a Terni nel tempo hanno cessato la loro attività. Tra queste un’eccellenza di rilievo nazionale come l’ICSIM (Istituto per la Cultura e la Storia di Impresa Franco Momigliano) e un’altra grande eccellenza come l’Istituto Superiore di Studi Musicali Giulio Briccialdi di Terni ha rischiato la chiusura. Di fatto Terni, in questi anni ha perso il controllo di quelli che sono gli elementi essenziali di una città: scuola, cultura, commercio, trasporti, case popolari e ambiente. Terni nel silenzio generale si sta trasformando da capoluogo di provincia in una città e territorio residuale, in una periferia. Questo processo non trova collegamenti diretti con la crisi economica, in quanto è l’intera regione che è in crisi non solo la città di Terni e i dati sul PIL che ci vedono (come regione) agli ultimi posti rispetto alla media nazionale, confermano il peso economico della nostra città rispetto alle altre realtà


regionali e anche l’andamento demografico appare stabile. Quello che sta accadendo a Terni è invece legato all’imporsi di un modello amministrativo di tipo centralistico che vede la regione come una entità unica e omogenea, una regione monocolore come sembra suggerire lo slogan “Umbria verde” (mentre l’Umbria è costituita da mille colori: il verde dei boschi, il blu dell’acqua, il bianco delle pietre, il rosso delle colate d’acciaio, il giallo-ocra dei tetti, ecc...). Si tratta di un modello legato ad una interpretazione distorta di una vecchia visione nata negli anni ottanta sintetizzata nel concetto di “Città Regione”. Sottolineo “distorta” in quanto, quando fu elaborato, tale modello era basato sul policentrismo e il PUT (Piano Urbanistico Territoriale) del 1983 propose anche una struttura policentrica articolata in comprensori corrispondenti alle diverse città che caratterizzavano la regione e lo Statuto Regionale del 1992 riconosceva il policentrismo dell’Umbria. Nel tempo questo concetto ha finito per assimilare l’intera Regione a un’unica città con un centro (Perugia), tanti quartieri e isolati (le altre città e i comuni dell’Umbria) con le superstrade, le altre strade e le linee ferroviarie trasformate in vie e vicoli, con i monti, le colline, le valli e i boschi (gli spazi aperti) letti come grandi parchi urbani. Una “città perfetta” di circa 900.000 abitanti in cui per posizione geografica città come Terni (ma anche altre città come Città di Castello, Gubbio, Norcia ecc...) sono per posizione geografica in periferia. Se poi leggiamo tutto questo nell’ottica della macroregione ToscanaUmbria-Marche allora tutto il sistema dell’Umbria meridionale, ovvero la valle del Nera da Orte a Visso

è un territorio marginale e residuo. Noi non ci riconosciamo all’interno di questo modello e non ci rassegniamo a questa fase di contrazione e di crisi, pertanto ci siamo posti l’obiettivo di proporre una nuova “visione” per iniziare a progettare un futuro diverso da quello di un declino che sembra inevitabile. Ma prima di parlare di prospettive e progetti abbiamo fatto una riflessione su alcuni aspetti della nostra storia e della nostra identità. Proprio perché uno dei sintomi della crisi di una comunità è la perdita di “memoria” collettiva e l’indebolimento della propria identità. Paradossalmente lo stesso processo che a livello regionale sta marginalizzando la città di Terni è accaduto a livello comunale, dove i “centri” esterni alla città le “antiche municipalità” (Collescipoli, Papigno, Piediluco, Collestatte, Torre Orsina e Cesi) comuni autonomi fino al 1927 e accorpati alla città al momento della formazione della nuova Provincia, e gli altri centri come Miranda, Rocca San Zenone e quelli della Valserra, dotati di una loro specifica identità (quindi “centri” non periferia) dopo la chiusura delle circoscrizioni sono stati privati di ogni forma di rappresentanza, le scuole chiuse, i servizi e le attività strategiche, sempre in nome del risparmio e dell’efficienza, sono stati trasferiti a Terni e gli edifici pubblici messi in vendita e lasciati nell’abbandono. Centri importanti ricchi di storia, tradizioni e beni culturali lentamente sono stati marginalizzati e trasformati in periferia e quartieri dormitorio. A questo punto abbiamo iniziato a ragionale sul concetto stesso di città, ancora legato al modello storico della città murata che si contrapponeva alla campagna, rileggendolo non come contrapposizione tra spazio urbano e spazio rurale ma come sistema complesso, come “paesaggio”. Nel nostro modello Terni non è solo “la città” in senso fisico (gli edifici, le strade le piazze, ecc..), l’antica “urbs” dei romani, ma è anche un ecosistema costituito dalla città con il territorio circostante comprensivo della rete degli antichi castelli e borghi un tutt’uno con il mondo naturale (la montagna, i boschi ecc…) dove sopravvivono gli usi civici. Una città equa, vivibile, inclusiva e sostenibile basata sul policentrismo e sul principio di sussidiarietà che è anche e soprattutto “Civitas”, ovvero un sistema di comunità che, all’interno di uno specifico territorio (habitat), si riconoscono in un insieme di atti, di vicende politico-amministrative e si ritrovano in tradizioni, usi, costumi in una parola nella loro “storia”. A questo punto le parole sistema, rete, territorio, paesaggio, memoria e identità sono diventate parole chiave per leggere in modo nuovo non solo Terni ma tutta la complessità del territorio del Nera (e per estensione dell’Umbria) all’interno di una nuova idea di città e territorio basata sul policentrismo che metaforicamente abbiamo chiamato “Interamnopolis”.

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Carlo Santulli

TERNI BARICENTRICA La città dell’acciaio e il bisogno di ferro

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iamo fisicamente al centro dell’Italia e a metà strada, almeno in linea d’aria, tra Tirreno ed Adriatico, quindi baricentrici: Terni è collocata su un’ideale retta tra San Benedetto del Tronto e Civitavecchia. Da appassionato di ferrovie, penso che la comunicazione su ferro sia il futuro. Vediamo qual è la situazione della nostra città a questo proposito. Terni si trova su tre linee ferroviarie, la più nota e trafficata delle quali è la RomaAncona, poi c’è la Ferrovia Centrale Umbra per Sansepolcro e la ferrovia per L’Aquila via Rieti. Vediamo gli estremi di questa retta ideale: il collegamento per San Benedetto non è mai stato completato, in fondo sarebbe bastato far diramare la linea per l’Aquila da Antrodoco ad Ascoli, terminando la cosiddetta Ferrovia Salaria, di cui si parla dal tempo dei Papi, e qualcuno dice che la ferrovia da Roma verso l’Adriatico, la Pio Centrale, fu progettata per uscire a Falconara per via del fatto che Pio IX era di Senigallia. E per Civitavecchia? La linea tra Orte e Civitavecchia fu chiusa da una frana dalle parti di Monteromano nel 1961, doveva essere riaperta, secondo i giornali, in un paio di giorni, ne è passato qualcuno in più, e non si è vista traccia di riapertura, anzi… è stata smantellata e, dopo Capranica, dove incrociava la RomaViterbo, non c’è neanche più il binario. Però a riaprirla ci hanno provato, negli anni ’80 con molta convinzione… ed un centinaio di miliardi di lire dell’epoca. Ma poi tutto si bloccò ancora una volta. Lato sud-ovest, cioè verso Roma, spesso i treni vengono

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instradati sulla linea lenta da Roma Tiburtina ad Orte per l’eccessivo traffico di treni ad alta velocità (AV) che hanno la precedenza, perché arrivano a 250 su quella tratta, mentre i nostri regionali o Intercity sono più lenti, quindi…devono togliersi di mezzo al più presto. Il traffico sarà eccessivo, finché i treni AV da Nord a Sud verranno fatti passare per Termini, impegnando il nodo di Roma per oltre mezz’ora. Aggiungeteci la necessità dei treni Nord-Sud di dover tagliare buona parte del fascio di binari o in arrivo o in partenza da Termini in quanto, avendo alle spalle la stazione, i binari per i treni che vanno a Nord sono a sinistra, e quelli per i treni che vanno a Sud sono a destra, necessità che blocca altri treni. Nel passato, perché i treni per Ancona dessero meno fastidio possibile, venivano fatti partire dal binario 1. Con la crescita del traffico ad alta velocità, questo non bastava più, per cui ora spesso partono ancora più a sinistra, dai binari ubicati alla fine del marciapiede, poi denominati 1 e 2 est, in origine destinati al servizio postale. Siccome il marciapiede di Termini è lungo 600 metri, residuo in un’epoca in cui c’erano convogli anche di oltre 20 carrozze, sono circa 10 minuti a passo veloce. Per chi da Terni va invece verso le Marche, si creano altri problemi. Prima di tutto la ferrovia dopo Terni è prevalentemente a binario unico: il raddoppio della tratta Orte-Falconara, iniziato negli anni ’30 (sic) non è ancora completo. Abbiamo i tratti a doppio binario CampelloFoligno, Fabriano-Albacina e Castelplanio-Falconara e tra


La piccola casa cantoniera in foto che sta a Cardeto, poco lontano dalla convergenza delle tre linee verso la stazione, segna 230 km da… Pescara (nell’800 si chiamava Castellamare Adriatico). poco quello Spoleto-Campello. I benefici tuttavia sono finora modesti, anche perché, oltre ai treni regionali, insistono sulla linea alcuni Intercity e Frecciabianca, il cui effetto appare, allo stato attuale, quello di rallentare tutti gli altri treni per la necessità di effettuare gli incroci, anche in stazioni purtroppo disabilitate come Giuncano, unica “porta” ferroviaria della Valserra, rinomata per il trekking, o Valtopina, subito dopo Foligno. In Umbria ci sono paesi letteralmente tagliati in due dalla ferrovia, come Ponte Parrano per esempio, ma la stazione relativa è stata chiusa. La ferrovia centrale umbra (FCU) è tuttora chiusa in attesa dell’adeguamento e della modernizzazione del sistema di segnalazione e controllo, perché ci sono fondi soltanto per la riapertura nella parte nord, da Perugia a Sansepolcro, e non nel tratto sud, che ci riguarda direttamente. Qui abbiamo vissuto la delusione del minimetrò, un’occasione perduta, se consideriamo il traffico che c’è per esempio da Borgo Rivo e da Gabelletta, le cui fermate abbandonate prima di essere mai usate, ancora ci sono ben presenti. Facile dire che avrebbe avuto pochi utenti: ma le auto, con una media, calcolata… da me, di circa 1,2 persone ciascuna, che circolano su quella specie di circonvallazione interna, che passa per lo stadio, non contengono potenziali viaggiatori? Non sono le uniche stazioni chiuse, però: sulla linea verso L’Aquila hanno dismesso quelle di Stroncone e di Piediluco, tutti possibili sbocchi per il turismo. E la stessa stazione di Marmore, imponente ma poco

utilizzata, concepita ed usata a fine ‘800 per gite verso la cascata, dove il contiguo passaggio a livello viene oggi comandato, per contorti motivi, da… Bari. E quando si blocca, non è semplice risolvere il problema in fretta. Fin qui sono le tre ferrovie che ancora esistono: ma da Terni partiva il tram verso Ferentillo, che fermava in modo molto suggestivo davanti alla Cascata, come dal dipinto di Orneore Metelli. Poco dopo Ferentillo, a Sant’Anatolia, la cui stazione serviva anche Scheggino, la ferrovia Spoleto-Norcia, che ha storicamente rotto l’isolamento di quelle zone, si immetteva nella valle costeggiando la statale. C’è oggi la ciclabile sì, ma è soltanto una povera “pezza” messa alla soppressione, avvenuta nel ’68, quando fallì la società che l’aveva in gestione. E da Norcia, quando la ferrovia fu progettata, doveva arrivare a Visso e da lì a Tolentino, dove doveva immettersi sulla Fabriano-Civitanova, che ancora è felicemente al suo posto ed anzi è stata anche velocizzata un pochino. Perché vi dico queste cose? Perché Terni è al centro d’Italia. E la piccola casa cantoniera in foto che sta a Cardeto, poco lontano dalla convergenza delle tre linee verso la stazione, segna 230 km da…Pescara (nell’800 si chiamava Castellamare Adriatico). Ecco, se anche qualcuna delle cose ferroviarie scritte qui sopra, si dovesse realizzare, perché sognare non costa nulla e lottare non ci spaventa, saremmo un centro ben collegato da tutti i lati. E non mi pare poco, davvero. Vale la pena di provarci: cominciamo a dirlo.

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Stefano Bolletta

Turismo, un grande sogno che non si realizza mai

Perché da noi no?

È difficile dirlo in poche righe ed è altrettanto difficile in poco spazio illustrare nel dettaglio i contenuti di un possibile Piano Strategico per il turismo; ci proviamo con pochi concetti necessariamente schematici.

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ubblico e privato - Il turismo è un settore dell’economia, per poterne parlare occorrerebbero conoscenze e competenze, non necessariamente scolastiche, ma sicuramente politiche; purtroppo tutti ne parlano (anche all’interno delle istituzioni pubbliche), spesso a sproposito, l’ignoranza al governo è stato il problema principale del mancato forte sviluppo turistico della nostra città.Il turismo è l’unico settore dell’economia in cui pubblico e privato sono obbligati ad essere soci: quando un albergatore affitta la sua camera d’albergo in realtà sta vendendo un prodotto (il bene culturale, ambientale o altro che il turista è venuto a visitare) il cui proprietario è quasi sempre il pubblico (principalmente il Comune). Senza quel bene pubblico da vendere l’albergatore non potrebbe svolgere la sua attività. Se il proprietario del prodotto turistico, quindi, non è all’altezza del suo compito il prodotto turistico non si configura, non si organizza, non si promuove e quindi non si vende. La responsabilità principale sta quindi in capo all’Ente pubblico e principalmente al Comune che avrebbe il compito di valorizzare il proprio territorio, stabilendo le strategie necessarie con i relativi piani finanziari. La cultura industrialista, la mancanza di bisogno delle popolazioni (se il mio reddito è garantito dalla fabbrica anche se abito in uno dei borghi più belli d’Italia non avrò bisogno di affittare il mio appartamento inutilizzato a scopo turistico …), l’inadeguatezza delle classi dirigenti che ci hanno governato, che non sapendo ammettere la propria ignoranza in materia hanno preferito condannarci ad anni di colpevole ritardo; questi i motivi principali del ritardo nello sviluppo turistico della nostra città. Piano strategico - Non si è mai visto un settore economico che si sviluppi senza un piano, una strategia; eppure l’ultimo documento programmatico di cui si ha memoria al Comune di Terni è quello dell’Assessore Pileri, più di quindici anni fa, poi ci ha provato il sottoscritto (7/8 anni fa) da Presidente della Circoscrizione EST, la quale ha approvato un Piano Strategico con tanto di Delibera (ma ovviamente nessuno in Comune si è nemmeno preso la

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briga di leggerlo ed è rimasto nei cassetti). L’unica proposta che si sta utilizzando di quel piano è il brand name (Le Terre di San Valentino) registrato presso l’ufficio brevetti della Camera di Commercio dal sottoscritto. Il Piano strategico è un piano complesso che si realizza nel corso degli anni, è una strategia fatta di piani attuativi, che prevede l’utilizzo di risorse pubbliche ed è uno strumento indispensabile per incentivare e coordinare gli investimenti privati. Il Piano Strategico non è semplicemente, come molti erroneamente pensano, un semplice piano di promozione del territorio: non è sufficiente pubblicizzare quello che c’è, occorre progettare nuovi prodotti e servizi. Il Piano strategico per il turismo può essere articolato nei seguenti punti: • Definizione del territorio a più alta vocazione turistica del Comune (Carsulae, Cesi, Valdiserra, Valnerina, Marmore, Piediluco, Miranda, Collescipoli...). • Definizione di nuovi e molteplici prodotti turistici (nel piano della Circoscrizione EST ne individuammo almeno una ventina, ma ovviamente questo è un campo di continua sperimentazione). Non basta avere risorse naturali o storiche, bisogna organizzarne la fruizione con attività e servizi, bisogna creare prodotti vendibili. • Definizione di aree di progettazione complessa (Papigno, navigabilità vie d’acqua, parco dei laghi, turismo della Terra in Valnerina, Parco tematico Uomo, acqua, energia...). • Definizione dei piani particolareggiati zona per zona per la creazione dei servizi necessari al funzionamento dei nuovi prodotti. • Piano per lo sviluppo di recettività extra alberghiera: rifugi di montagna e abitazioni private. • Piano di marketing articolato per mercati rispetto ai singoli prodotti, attivazione delle agenzie ternane di incoming… (queste devono svolgere un ruolo fondamentale). • Riarticolazione di servizi e progetti di qualità per il miglioramento del piano integrato d’area: piano per la viabilità


dolce, turismo accessibile … • Definizione del sistema dei servizi di accoglienza (uffici stradali, tourist point…). • Definizione del sistema della cartellonistica turistica e della segnaletica stradale. • Centro di formazione: creazione di nuove professioni turistiche necessarie al funzionamento dei nuovi prodotti e servizi. • Piano di formazione permanente per gli operatori commerciali del territorio turistico. • Piano di finanziamento articolato su tre direttrici di spesa (creazione di nuovi prodotti e servizi, piano di marketing, cura e manutenzione dei territori turistici); il problema finanziario è il più semplice da risolvere. • Definizione del programma degli appalti per la creazione e la gestione dei nuovi prodotti e servizi collegati. • Definizione degli strumenti di governance istituzionale per evitare che ognuno vada per la propria strada. • Piano di alleanze territoriali con i territori limitrofi (Narnese, Monti Martani, Alta Valnerina, Spoletino, Valle Santa Reatina) necessarie per sviluppare molti dei nuovi prodotti ipotizzati. • Sistema di convenzioni per l’attivazione permanente degli stakeholder. Certamente un piano complesso, che però si può attuare completamente nel corso di una consiliatura; a patto di saperlo progettare e a patto di conoscere bene il nostro territorio e le sue potenzialità. Concetto di centro città e città policentrica - Quando si entra nel merito della progettazione, ci sia accorge che il concetto di “centro" città cambia... Se si vuole sviluppare il turismo a Terni il “centro" non è corso Tacito ma è il sistema montano, con i suoi borghi, le sue valli, i suoi fiumi e i suoi laghi … e qui si tratta già di fare una specie di rivoluzione culturale. Ci si accorge che funziona meglio un concetto di città policentrica, in cui la periferia diventa centro perché è la risorsa primaria, più attraente; perché dobbiamo vendere cultura, storia, tipicità tradizioni … perché occorre metter a sistema saperi e sapori. Democrazia partecipata/stakeholder - Ci si accorge che per progettare e costruire nuovi prodotti turistici occorrono le competenze e le conoscenze di tanti cittadini, associazioni, pro loco, soggetti che dovrebbero diventare attori protagonisti della

nuova città del turismo (i cosiddetti stakeholder), mentre oggi li releghiamo a ruolo di comparse. Le comunità locali, della nostra montagna dei nostri borghi, devono diventare i protagonisti del nuovo sviluppo, il turismo vive nel territorio in mezzo alla gente (non è una fabbrica chiusa fra quattro mura) e le comunità devono diventare protagoniste della progettazione e della gestione. Allora scopriamo che abbiamo bisogno (per sviluppare questo settore dell’economia) oltre che di bravi amministratori pubblici e di bravi imprenditori, di una cosa che si chiama democrazia partecipata, governo partecipato della cosa pubblica … un’altra mezza rivoluzione culturale e politica. Sistema di alleanze/nuovo ruolo territoriale della città - Ci si accorge che per creare e far funzionare molti prodotti turistici occorre una continuità territoriale che va oltre i confini comunali, provinciali, regionali (un turista che passeggia su un sentiero per trekking non si accorge se cambia Provincia …). Ci si accorge allora che lo sviluppo del turismo ci costringe a cimentarsi (ben oltre la retorica delle “direttrici stradali") con un nuovo ruolo territoriale della nostra città; che ha bisogno di allearsi con altri comuni, con altre Province e Regioni. Ci si accorge che le infrastrutture, le strade, le ferrovie non sono mai un fine dello sviluppo ma semmai un mezzo per mettere a sistema i progetti di sviluppo e farli funzionare, e che insieme al turismo potremmo parlare della sanità, dell’università, del ciclo dei rifiuti e di un sistema di economia circolare … in rapporto ad un nuovo sistema territoriale vasto da costruire fra i territori confinanti: Terni, reatino e viterbese... Si capisce allora che la battaglia puramente campanilista con Perugia è roba superata… e qui la rivoluzione culturale e politica è completa. Visone di città - Ci si accorge, in sostanza, che governare una città significa avere dei sogni in comune, significa avere una visione di futuro; chi ci ha governato negli ultimi anni non ne ha avuto, ed ho paura (spero di sbagliare) che quelli che li hanno sostituiti non siano migliori. Per sicurezza sarebbe bene che cominciassimo ad organizzarci per il futuro, per portare finalmente al governo della città una nuova generazione d’idee … chi non conosce la propria città non la sa governare; attraverso lo studio e la progettazione si può preparare una nuova classe dirigente. Ovviamente nessun rimpianto per il passato, solo fame di futuro.


Comune di AMELIA AMELIA TREMILA ANNI DI STORIA Laura Pernazza Sindaco di Amelia AMELIA PERLA DELL’UMBRIA Saluto con particolare apprezzamento la nuova iniziativa editoriale che prende forma in questo primo numero del bimestrale della rivista “La Pagina Umbria” a cura del Prof. Giampiero Raspetti. Le comunità locali costituiscono oggi l’ultimo baluardo a difesa di valori quali la partecipazione attiva alla vita democratica e la condivisione di progettualità utili al miglioramento della qualità della vita. In un contesto socio economico, forse il più difficile dalla fine della seconda guerra mondiale per la complessità delle problematiche ad esso correlate, ritrovare i valori propri dei nostri centri abitati, fatti di tradizioni secolari, recupero del lato più umano dell’esistenza vede il governo territori al centro di precise scelte politiche strategiche. Nei piccoli e medi centri della nostra Umbria tutto ciò è particolarmente tangibile ed oggi, accanto ai problemi legati allo spopolamento dei centri storici, alla mancanza di risposte occupazionali adeguate per i giovani, ci troviamo anche di fronte a nuove opportunità e nuove sfide.Amelia, l’antica Ameria romana e prima ancora l’Amer città degli Umbri e tra i primi centri italici intende raccogliere queste sfide. Il patrimonio storico artistico ed archeologico di cui noi siamo umili custodi e che abbiamo l’onere o l’onore di trasmettere alle future generazioni può certamente, unitamente alle bellezze paesaggistiche ed ambientali e alle produzioni tipiche, essere un volano ed un’opportunità per una crescita sostenibile del territorio. Ma solo attraverso una consapevolezza di essere parte di un patrimonio diffuso fatto di realtà territoriali che interagiscono come parti di una stesso meraviglioso mosaico che potremo fare “sistema” e dare risposte ad un mondo che cambia velocemente e che ha smesso di farsi domande. Mi auguro che questa nuova rivista possa essere un veicolo ulteriore per sentirci partecipi e più consapevoli delle nostre potenzialità e dell’importanza di confrontarci come parte attiva e propositiva di una medesima rete.

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AMELIA TREMILA ANNI DI STORIA Parlare di una città come Amelia oggi, nell’era digitale, dominata talvolta da un flusso frenetico, spesso incontrollato, di notizie ed immagini , significa necessariamente ritornare all’essenza delle cose a partire dal suo passato. Il suo percorso, lungo tremila anni, è costituito da un microcosmo fatto da vicende, personaggi, pietre, luoghi, tradizioni, leggende, ma anche mestieri, saperi, profumi e sapori ancora straordinariamente presenti. Passeggiare nel centro storico è come sfogliare un libro di storia dell'arte. Ogni pietra, ogni vicolo, ogni architettura, ci racconta una storia millenaria: i mosaici delle domus romane, l'ampio ricorso ai rimpiego negli edifici, i portali. Qui le stagioni del Medioevo si fondono con lo splendido Rinascimento amerino caratterizzato di palazzi particolarmente importanti come Palazzo Farrattini (Antonio da Sangallo il Giovane), palazzo Petrignani ( Ottaviano Mascarino) , palazzo Nacci, palazzo Clementini, palazzo Cansacchi, palazzo Boccarini, palazzo Venturelli e dai numerosi e caratteristici cicli di affreschi, e con il barocco. Alle vicende quotidiane del popolo, fissate negli antichi Statuti e nelle Riformanze, conservate nel prezioso archivio storico, si aggiungono quelle delle importanti famiglie nobili e patrizie, strettamente legate a Roma, nonché quelle di illuminati uomini di Chiesa, come il vescovo Antonio Maria Graziani. Vicende che hanno elevato questo centro dell'Umbria meridionale ad una dimensione europea, il cui vissuto antico è ancora oggi autentico e percepibile. Per un viaggiatore qualunque, Ameria, distesa su un colle in posizione amena,

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doveva apparire già dal IV sec. A. C. come una città inespugnabile, circondata dalle magnifiche mura poligonali, che ancora oggi la cingono e la caratterizzano. Fiera, ma mai austera e spigolosa, la città accoglie il visitatore dominata sullo sfondo da una splendido paesaggio verdeggiante. A distanza di 2500 anni quelle tracce rituali si ritrovano evidenti nella necropoli scoperta nel 2001 appena fuori dalla cinta muraria. Gli antichi amerini ci parlano soprattutto attraverso i magnifici corredi funerari costituiti da bronzi, specchi, ceramiche, alabastra e oggetti preziosi, testimonianza di un ceto agiato fortemente proteso verso le popolazioni allora dominanti nel Mediterraneo, ed oggi conservati nel museo archeologico della Città.

Statua di Germanico Cesare Museo Civico Archeologico “E. Rosa” ph Sergio Coppi


Panorama Amelia acropoli tramonto ph Mario Proietti

Secondo una tradizione attestata nell’opera dell’erudito Catone il Vecchio, Ameria sarebbe stata fondata dall'eroe eponimo Amiro nell'anno 1134 a.C., 963 anni prima della guerra dei Romani contro il re di Macedonia Perseo. Probabilmente esteso in origine nella parte più alta del colle, a partire dal III secolo la Città strinse rapporti ufficiali con Roma: una realtà politica che si affacciava con grandi potenzialità espansive all'orizzonte dei territori Umbri e Falisci. Dopo il 90 a.C., con la trasformazione del centro federato, Amelia, si trasforma in un fiorente municipio Romano con edifici e terme di cui ancora oggi sono evidenti importanti resti. Appena fuori la città doveva sorgere il campus, un’area cioè destinata agli esercizi fisici e all’addestramento militare della gioventù locale. La necropoli dell’ex consorzio agrario e l’area sacra di Pantanelli ci raccontano di una popolazione aristocratica e di stretti rapporti con l’area fallisca e l’Etruria, ma le cui vicende devono essere ancora completamente svelate. La campagna (Ager Amerinus) si caratterizza per le numerose ville e per le importanti fornaci per la produzione di laterizi. Una strada di origini più antiche la unisce a Roma innestandosi alla Cassia: è la via Amerina citata anche da Cicerone nella sua famosa orazione Pro Sexto Roscio Amerino. Difeso nell'80 a.C. da Marco Tullio Cicerone, il processo si concluse con il successo del celebre oratore e scrittore e l'assoluzione di Roscio Amerino. Nel VI secolo la via sarà parte integrante e sostanziale di quella stretta fascia territoriale ricompresa oggi tra le regioni Lazio, Umbria e Marche creata per collegare Roma a Ravenna e nota come Corridoio Bizantino. Oggi è ancora percorsa nel suo tracciato moderno, intriso di storia, dai pellegrini che giungono a Roma.

Autori latini come Catone, Columella, Plinio, Varrone, citano Ameria nota allora come oggi, per le pregiate produzioni agricole di vino, olio, fichi. E mentre Virgilio nelle Georgiche ricorda la maestria degli amerini nella lavorazione della vite "atque Amerina parant lentae retinacula viti", tra i mestieri artigiani dell'antichità si caratterizza ad Amelia quello del canestraio. A questo proposito Catone raccomanda fra l'attrezzatura agricola in dotazione di un fondo di 100 iugeri coltivato a vigneto, una quantità di venti corbulae amerinae. Le carbulae prodotte ad Ameria erano cesti di forma particolare e intrecciate con il salice tipico del luogo ritenuto, insieme con il greco e il gallico, tra le varietà più pregiate e talmente importante da essere citato nella letteratura. Il museo archeologico, ubicato nel complesso di San Francesco, fornisce un panorama cronologicamente completo della storia di Amelia. Al nucleo originario di epigrafi ed elementi architettonici raccolti negli scavi della città e del suburbio nei primi decenni dell’Ottocento, sono stati aggiunti nel tempo numerosi reperti, sia provenienti da collezioni private, sia rinvenuti durante recenti campagne di scavo. Ma è la magnifica statua bronzea di Germanico (I sec. d.C.), alta oltre due metri, l’elemento qualificante del museo amerino. Del celebre condottiero romano, il cui bimillenario della morte ricorre nel 2019, ce ne occuperemo tuttavia in un prossimo articolo. Riccardo Passagrilli Responsabile del Settore Cultura del Comune di Amelia

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Comune di FERENTILLO

Paolo Silveri Sindaco di Ferentillo

Con molto piacere colgo questa preziosa occasione, data a me e al Comune che rappresento dall’amico Giampiero Raspetti, per valorizzare quello che, a detta di molti, sia uno dei territori più turisticamente interessanti dell’Umbria e allo stesso tempo però meno pubblicizzati a livello nazionale e internazionale: la Valnerina Ternana. Questa scarsa promozione sistematica è dovuta al fatto che, oltre ad essere la Valnerina divisa in due dalle provincie di Terni e Perugia, ha perduto negli ultimi anni la rilevanza di quegli enti territoriali che erano il Parco Fluviale del Nera, la Comunità Montana e infine la stessa Provincia, che sarebbero stati oggi di grande aiuto nella promozione di tutto il territorio. Auspichiamo che nel breve futuro ci siano azioni congiunte e mirate per ridare a quest’area il giusto valore che da sempre la contraddistingue e che i due centri maggiori dell’Umbria inizino a pensare ad un territorio più vasto da valorizzare oltre al semplice centro storico cittadino. L’Umbria è una tra le regioni d’Italia in assoluto più belle e per essere vincente nelle sue politiche deve promuoversi nella sua totalità senza escludere nessuno.

Ferentillo... alla “Riscoperta” delle Tradizioni Popolari e dei suoi Borghi Sono ormai parecchi anni che il Comune di Ferentillo, grazie alle sue associazioni principali, ha come obiettivo principale quello della riscoperta delle tradizioni popolari e dei suoi borghi, vero patrimonio culturale e antropologico della Valnerina, sia materiale che immateriale. È per questi motivi che da circa 3 anni vengono organizzati eventi, a cadenza mensile, proprio per valorizzare queste antiche tradizioni e feste popolari. I due format di eventi già avviati prendono il nome di Valnerina per tutti, organizzato dalla Pro Loco di Ferentillo e Passeggiando nei Borghi di Ferentillo, organizzato dall’Ass. “Visit Ferentillo”. Questi eventi hanno come scopo quello di portare a conoscenza del grande pubblico le tante meraviglie che il territorio ferentillese racchiude nei suoi 18 castelli/borghi. Ogni borgo ha un suo patrono (Terria ha San Lorenzo, Gabbio ha San Vincenzo, ecc...) e per quest’occasione si realizzano, oltre ai rituali religiosi, delle piccole feste fra i pochi abitanti del posto che si ritrovano una volta l’anno proprio per quell’occasione. Le due associazioni hanno voluto così sfruttare il giorno del patrono di ogni borgo per inserire all’interno della giornata delle visite guidate, eventi musicali, conferenze storico-antropologiche, degustazioni di prodotti tipici e altre attività inerenti al borgo ove si svolge di volta in volta la manifestazione. L’attività che ha riscosso

maggior successo è stata senz’altro l’approfondimento storico-antropologico proprio sulla tradizione popolare e sulla storia dei Santi Patroni. Piccoli rituali e segni perpetuati dalla notte dei tempi che possono essere spiegati solo grazie allo studio delle religioni antiche e delle pratiche ancestrali. Sia adulti che giovani si sono ritrovati in tantissimi per le conferenze tenute dal Prof. Mario Polia, che con i sui decennali studi ha conservato tutti i racconti della Valnerina e le relative tradizioni. Altro grande lavoro è stato compiuto dal Gruppo “I Cantori della Valnerina”, che con la loro raccolta di canti popolari hanno dato il via alla riscoperta di tradizione ormai scomparse. Nel terzo anno di questi eventi, dopo la collaborazione con la Fondazione Carit e la Regione Umbria, entra in scena anche il Cedrav (Centro per la Documentazione e la Ricerca Antropologica in Valnerina) che vedendo la grandiosa risposta di pubblico ha deciso di contribuire alla realizzazione, sia materialmente con un finanziamento, che immaterialmente avviando l’iter di inserimento del Comune di Ferentillo all’interno dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica. Il calendario degli eventi per il 2019 verrà reso pubblico nei primi giorni dell’anno e sicuramente ci saranno nuove occasioni per far scoprire i borghi di Ferentillo alle tantissime persone che parteciperanno.


Pro Loco di Ferentillo Natale fra ale Rocche a Ferentillo

Sarà un Natale da favola quello che Ferentillo si appresta a festeggiare, con tanti eventi che hanno preso il via sabato 8 dicembre con la fiera mercato “Valnerina in Vetrina” e che si concluderanno, come avviene ormai ogni anno, con il volo della Befana dal campanile nel giorno dell’Epifania. Saranno tante le iniziative e dislocate lungo tutte le vie del paese: le Fiere, i Canti di Natale, le nuove luminarie, gli spettacoli teatrali, la classica tombolata di Santo Stefano e tanto altro ancora. Una grande festa che avrà come fulcro la cultura e la tradizione, come ci racconta il presidente della Pro Loco di Ferentillo Emilio Rosati: Un “Natale fra le Rocche” per grandi e piccini, pieno di cultura e giochi che ricordino sempre le nostre tradizioni. Tra i tanti eventi in programma non mancano i tradizionali presepi artistici, con doppia inaugurazione, prima al Precetto il 18 dicembre, con il Presepe delle Mummie, e poi a Matterella il 24 dicembre con il Presepe Artistico “Animato” della chiesa di Santa Maria. Il giorno di Santo Stefano inizierà con la tradizionale Fiera al borgo di Precetto, poi nel pomeriggio (ore 17:00, chiesa di S. Maria) lo spettacolo teatrale “Natale di Francesco” con Stefano de Majo e Ensemble di fiati “G. Fantini” diretti dal

Maestro Luca Panico, per concludersi poi con la Tombolata di Santo Stefano e i suoi preziosi premi. Cultura e tradizioni saranno portate a spasso per le vie del paese con i canti della “Pasquarella” a cura del Gruppo “I Cantori della Valnerina” che rallegreranno tutte le famiglie ferentillesi con i loro stornelli natalizi. Il giorno dell’Epifania, a conclusione del programma, sarà pieno di eventi e attività a partire dalla mattina con la passeggiata sul “Sentiero dei Presepi”, organizzata dal CAI di Terni “Sez. Sergio Zavka” e giunta ormai alla 19a edizione, mentre sempre nella mattinata si svolgerà per la prima volta in Valnerina la 36a Ed. della “Corsa della Befana”, una corsa amatoriale organizzata dalla Amatori Podistica di Terni che toccherrà i 3 comuni della Valnerina ternana passando lungo la Greenways del Nera tra Montefranco, Arrone e Ferentillo. A chiudere gli eventi natalizi sarà, come tradizione vuole, la Befana volante, in collaborazione con il Gruppo Speleo del C.A.I. “I Pipistrelli”, che nel pomeriggio del 6 gennaio si calerà dal campanile di Santa Maria regalando un sogno e tanti dolciumi ai bambini radunati nella piazza del paese. Un Natale per tutti, per grandi e piccini, sia di Ferentillo e se vorrete... di qualsiasi altra parte del mondo. Buone Feste a Tutti!!!

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Comune di NARNI GRAND TOUR

nella valle del Nera Lorenzo Lucarelli Assessore al Turismo e alla Cultura

Cogliamo con piacere l’invito della Associazione Culturale La Pagina, per questa interessante iniziativa, che permette di fare sistema a livello regionale, creando i presupposti per la creazione di nuovi progetti che arricchiscano la proposta dei nuovi viaggiatori del Grand Tour. Dal ponte d’Augusto al ponte medioevale, da San Cassiano agli altri capolavori dei grandi plenaristi che visitarono Narni, stiamo lavorando per sviluppare un settore turistico e culturale di grande fascino e dal marcato potenziale attrattivo e suggestivo, facendo riferimento ai protagonisti del Grand Tour che visitarono Narni, la vallata del Nera fino a Terni e la Cascata delle Marmore. Una Esperienza storica che scava nelle radici del nostro Genius Loci. Ringraziamo l’ing. Giuseppe Fortunati e il dottor Roberto Nini, per aver creduto in tale iniziativa e per aver lavorato per gettare le basi per ulteriori sviluppi di questa rete di conoscenze e piacevoli opportunità, messe in campo per la prima edizione del Terni Falls Festival. Su questo segmento puntiamo molto, in collaborazione con le altre località aderenti al progetto, per restituire al visitatore di oggi le sensazioni e le atmosfere di ieri, quelle che poterono apprezzare i grandi pittori e i grandi scrittori che attraversarono la nostra terra. Se scelsero di immortalarla in dipinti e scritti, è segno evidente che il fascino della valle del Nera, della sua natura e dei suoi monumenti era qualcosa di straordinario. Per questo ciò che vogliamo fare è partire da tali testimonianze e allargare le possibilità e l’offerta a disposizione del turista, per aumentare arrivi e presenze sul territorio anche con un turismo esperienziale che non si fermi alla pura visita, ma scavi nelle radici e nella storia dei nostri luoghi. Nei giorni scorsi tra Terni e Narni è stato presentato il primo evento relativo al Grand Tour. Su Narni abbiamo individuato, per le prossime edizioni, alcuni punti chiave che sono il centro storico, Le Gole del Nera, San Cassiano, il Ponte d’Augusto ed altre sorprese. Grazie a La Pagina per averci fornito lo spazio sulla sua prima edizione Regionale.

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Progetto di valorizzazione del territorio della VALNERINA attraverso gli scritti e le opere letterarie del Grand Tour. Con questo progetto si propone di riscoprire il territorio di Terni, Narni e Valnerina con una serie di eventi culturali legati al fascino della Cascata delle Marmore ed il ponte di Augusto, ovvero le grandi attrazione capaci, attraverso i secoli, di richiamare in Umbria viaggiatori da ogni parte del mondo. È lunghissima la lista dei famosi personaggi della scienza, della letteratura, della politica, della pittura e della musica che sono transitati ed hanno soggiornato a Terni o a Narni. Il termine Grand Tour ha fatto la sua comparsa sulla guida “The Voyage of Italy” di Richard Lassels, edita nel 1670. In particolare, tra Terni e Narni, si fermarono e parlarono del nostro territorio: il marchese De Sade, von Goethe padre e figlio, William Turner, Hans Christian Andersen, Camille Corot, Gioberti, Gregorovius. Molte le donne che ci parlano della nostra città, da Anna Miller a Margaret Symounds oltre a Olave M. Potter con il suo A Little Pilgrimage in Italy e Lina Waterfield che fu tra le fondatrici del British Institute of Florence. Ma si parlerà anche degli alberghi e delle locande ove sostarono i viaggiatori e le direttrici di viaggio che


dal 1700 al 1900 portarono prima in carrozza e con piccole lettighe, poi con il treno a vapore, migliaia di viaggiatori che immortalarono con i loro scritti e i loro disegni e quadri, non solo del ponte di Augusto e la Cascata delle Marmore, ma tutto il nostro territorio. Particolare menzione va poi data per i viaggiatori che durante e dopo la rivoluzione francese ci fecero visita; molti architetti militari tra gli inizi del 1800 ed il 1814 passarono per le nostre città e lasciarono appunti di viaggio, disegni e quadri che ora sono custoditi al museo del Louvre a Parigi e nei migliori musei e gallerie artistiche di tutto il mondo. Quindi non solo Corot e i pittori famosi tra Grand Tour e plenaristi, ma tantissimi diari di viaggio e libri che illustrano il Viaggio in Italia di cui il Ponte di Augusto e la Cascata delle Marmore sono solo il punto di partenza. La valle del Nera con le nuove piste ciclabili tra le gole del fiume, i cammini del Cai (Club Alpino Italiano), ora arricchiti e segnalati con mappe e cartellonistica, potranno essere direttrici privilegiate per questi percorsi a piedi, ma anche a cavallo o con piccole carrozze.

Non dimentichiamo poi le grandi viaggiatrici inglesi e le prime femministe che furono famose per i loro diari poi riportate magistralmente in chiave comica da Enrico Montesano con i suoi personaggi di “Salvatore che mi piace a tutte le ore” e il celebre tormentone della signora inglese che diceva “Molto pittoresco!!!”. L’idea degli organizzatori, riuniti nell’ambito dell’associazione culturale Porto di Narni, approdo d’Europa, aperto a molte associazione e a privati cittadini che, insieme alle scuole, hanno aderito al progetto, è proprio quella di sviluppare cultura e promozione del territorio, valorizzando ogni anno una di queste celeberrime figure. In particolare, il 2018 è l’anno in cui ricorre il bicentenario dal passaggio dalla Cascata delle Marmore dei coniugi Mary Shelley e Percy Bysshe Shelley, che giunsero ad ammirarla il giorno 18 novembre 1818, lasciando poi suggestive testimonianze nei loro diari. Il 2018 è infatti pure l’anno in cui ricorre il bicentenario della pubblicazione di Frankenstein, ovvero il celeberrimo romanzo gotico che fece la fortuna di Mary Shelley come autrice. La più nota opera di Mary Shelley è Frankenstein, o il moderno Prometeo, scritto nel 1818. L’idea del romanzo risale al 1816, quando Mary Shelley era in vacanza a Bellerive, nei pressi di Ginevra, in compagnia di suo marito, della sorellastra Claire Clairmont e del loro comune amico Lord Byron, che aveva avuto una relazione con Claire. Dopo il grande successo della prima edizione del Terni Falls Festival, stiamo organizzando la prossima edizione del 2019, che farà scoprire, a turisti e residenti, molti altri luoghi ed opere del Grand Tour, che, tra letteratura musica ed arte, hanno portato e potrebbero tornare a portare, viaggiatori e turisti da tutto il mondo. Giuseppe Fortunati

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Comune di NARNI STORIA DI NARNI Quando i romani nel 299 a.C. giunsero sotto le mura del centro umbro di Nequinum compresero immediatamente che il sito era di fondamentale importanza strategica, tanto che si affrettarono a conquistarlo e sostituirlo con la colonia di Narnia, dal Nahar, il fiume Nera. La città assunse una notevole importanza dopo la costruzione della via Flaminia nel 220 a.C., che l’imperatore Augusto migliorò realizzando, tra gli altri, il grande ponte che prese il suo nome. L’imponente opera d’ingegneria fu ritratta dai più importanti artisti europei tra il XVII e il XIX secolo, come Jean Baptiste Camille Corot, che nel 1826 realizzò un famoso dipinto, esposto oggi al Louvre, uno degli stupendi scorci del nostro territorio in mostra nei più famosi musei del mondo (www.plenaristi.it). Sempre ai romani dobbiamo l’acquedotto della Formina, attribuito a Marco Cocceio Nerva, nonno dell’imperatore, di origini narnesi, curator aquarum a Roma. Lungo 13 chilometri, conserva due interessanti ponti, ponte Vecchio e ponte Cardona, vicino al quale si trova il Centro Geografico dell’Italia contemporanea. Le invasioni dei Goti, Visigoti e Longobardi cancellarono le prestigiose vestigia realizzate in età imperiale. Dopo una fase di transizione, durante la quale i benedettini furono i protagonisti con l’egemonia dell’imperiale abbazia di Farfa, che controllava vaste estensioni di terreno agricolo, nel XII secolo iniziò un fiorente periodo economico. Furono costruite le chiese più importanti: la cattedrale di San Giovenale, la nuova Santa Maria Maggiore (attuale San Domenico), Santa Maria Impensole e le chiese rurali di Santa Maria di Visciano (attuale Santa Pudenziana), San Martino di Taizzano e Sant’Angelo in Massa. Le mura della città romana, seppur in parte rifatte, non erano più in grado di contenere il sempre maggior numero di abitanti che cominciarono a edificare nella collina prospiciente, al di là dell’ampio vallone di difesa. Nacque così il rione medievale sulla pendice della collina, che nella metà del trecento ospiterà la rocca. Il fossato, in oltre un secolo, venne colmato, proteggendo con delle volte la vasca di raccolta dell’acqua portata dalla Formina che, a causa dell’ostruzione calcarea delle tubazioni romane in piombo, arrivava per caduta in quello che verrà chiamato Lacus, termine dal quale derivò il nome della costruenda piazza, ossia piazza del Lago (attuale piazza Garibaldi). Nello stesso periodo, sopra al vecchio Foro romano, nacque

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la Platea Major, oggi piazza dei Priori e sui preesistenti edifici vennero eretti il Palazzo dei Priori e quello Comunale, che sfruttò tre possenti torri. La città fu così divisa in terzieri, Santa Maria a nord, Mezule al centro e Fraporta a sud; saranno loro, il giorno del patrono San Giovenale, a contendersi l’anello d’argento con una gara che dal 1969 ispirerà anche l’edizione moderna della Corsa all’Anello. Nel ‘300 Narni, con il restauro della Formina, riporterà l’acqua all’interno delle proprie mura, costruendo tre magnifiche fontane; soltanto quella di Piazza dei Priori è rimasta intatta mentre quella di Piazza Garibaldi fu rifatta nel XVI secolo e l’ultima, detta del Troio, andò distrutta. Il territorio comunale, pur sotto il diretto controllo del papa, si estendeva su una vasta area, a testimonianza della capacità economica del suo tessuto produttivo, che poteva sostenere i frequenti scontri armati con i comuni vicini per il dominio territoriale, in particolar modo Terni per il possesso del paese strategico di Miranda.


Lo stesso XIV secolo vedrà la costruzione di tre grandi conventi ad opera dei domenicani, dei francescani e degli agostiniani. Negli stessi anni il papa ristabilì il proprio potere temporale facendo costruire, dal cardinale Albornoz, la possente rocca ma sono anche gli anni della peste nera che decimerà la popolazione italiana ed europea. La ripresa economica e demografica si manifesterà nel ‘400 con la decorazione di numerose chiese, grazie alle sapienti mani di pittori famosi, dal Maestro di Narni a Benozzo Gozzoli, a Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio. Sono gli anni della nascita delle compagnie di ventura, una delle più famose guidata dal condottiero Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, figlio di un ricco produttore di funi in canapa. L’ascesa s’interromperà bruscamente nel 1527 quando le truppe dei Lanzichenecchi, dopo aver saccheggiato Roma, cinsero d’assedio la città perché non si era sottomessa al loro passaggio, mettendola a ferro e fuoco, distruggendo l’archivio comunale e decimando la popolazione. Nuovamente Narni provò a risollevarsi. Il papa, per mantenere un controllo capillare della popolazione ed evitare fermenti contrari alla morale della chiesa, istituì il Sant’Uffizio o Inquisizione romana, che dal 1551 fino al 1860 ebbe sede nei sotterranei del convento domenicano di Santa Maria Maggiore, oggi San Domenico. Saranno i francesi di Napoleone a portare una ventata di libertà, ma l’illusione durò poco e fu fortemente osteggiata dalla nobiltà locale che vedeva venir meno le sue prerogative. Il sogno cullato per secoli di liberarsi dal giogo papale si avvererà il 20 settembre 1860 quando le truppe piemontesi conquisteranno la Rocca annettendo Narni nello stato sabaudo che da lì a poco sarebbe diventato Regno d’Italia. Alla fine dell’ottocento si trasformò il tessuto produttivo con l’impianto di industrie, allettate dalla forza motrice generata dall’acqua del fiume Nera, la stessa acqua che muoverà le turbine progettate dall’ingegner Netti nel 1892, producendo la prima energia elettrica pulita. Inizierà un periodo d’oro per Narni e il suo territorio che, grazie all’industria, vedrà una crescita demografica continua e la riconversione della popolazione da agricola a operaia. Intorno alla stazione ferroviaria e alle industrie nascerà l’abitato di Narni Scalo. Le prime difficoltà si manifesteranno con la globalizzazione che, a partire dagli ultimi decenni del XX secolo, sposterà molte produzioni all’estero, creando una forte sofferenza nel tessuto sociale, ammortizzata in parte dalle pensioni degli operai usciti dalla fabbriche prima della grande crisi industriale. La riconversione, ancora in atto, punta sull’Università di Perugia, che ha decentrato un importante corso di laurea in Scienze dell’Investigazione e la Sicurezza portando centinaia di studenti, di tutte le regioni italiane, ad animare il tessuto cittadino, ma soprattutto si sta investendo sulla valorizzazione turistica del territorio, con la promozione dei suoi principali attrattori, dalla Narni Sotterranea alla Rocca, dal Museo Civico all’area naturalistica della Gola del Nera. Una spinta importante per diffondere il nome della città l’ha sicuramente data il volume e la serie cinematografica nota come “Cronache di Narnia” che ha acceso l’interesse di milioni di persone nel mondo curiose di sapere da cosa fosse stato ispirato lo scrittore anglo irlandese C. S. Lewis (www.narnia.it e www. narniainitaly.com). Roberto Nini CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO

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Elena Carducci

SAN GEMINI A

llontanandosi dalla modernità delle voghe e dalla frenesia asmatica dei respiri di città, adagiato in cima ad un lieve pendio che torreggia i seni erbosi delle colline umbre, quanto il baluginio antropico della vicina Terni, San Gemini, entro mura arroccate e spesse, disvela nel suo ventre la serena grandezza del borgo, ed il vento rombante che si infrange sulla pietra possente, ci sussurra, silente, un nome antico: Casventum. Ma la vita preurbana esala il suo afflato e precede ogni argine di tempo. Essa sfuma immemore, nel colore agreste della solare ginestra, indugia sulle docili greggi nello sguardo del pastore silvano e l’ardita mano che coglie i frutti della campagna, al risuono metallico del’età bronzo, e si ricompone, si riveste di vezzi, nel turbinìo ardito dei secoli, si riordina nella simmetria armonica del foro romano: Carsulae è sorta, e la Storia muoverà i passi ineffabili lungo le sue vie, al risuon di “gradus” avanzeranno le legioni di Vespasiano, sostanti sotto i suoi tetti. Ma la progressione inesorabile d’istanti incrinerà il fasto dell’urbe umbra, e l’arteria Flaminia che irrora la città di ricchezze e volti esotici, estinguerà il suo profluvio. Con un lungo tremito, la terra, atterrita dall’incedere ansante dei Goti, sovvertirà l’ordine, e tenderà le fila di una nuova trama: un agglomerato di vite, forse, si diramerà oltre il funesto dramma della natura e dell’uomo, si cingerà in comunità, ergendo il castellum a propria dimora: “Casventum”, sussurrerà il roboare del vento infranto sulla nuda pietra. Ed ecco il giungere del siriaco Yemin, un santo in armi, ad elargire scudo e nome, egida del volgo pagano che partecipa all’azione creatrice del divino, nel prodotto, nel calcolo, nell’attività umana che affranca, nel verbo che si fa atto. San Gemini risponderà al titolo di “Libero Comune”. L’identità fra spiritualità e tradizione risiede nella commistione simbolica di comunità e comune, di edificazione civica e

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sacrale. L’abbazia di San Nicolò, fra le fronde odorose di un verde squisitamente umbro, si staglia, scura e cinerea di rustica materia, sigla del dissidio romanico, nel ventre chiaro di una vegetazione che la cinge e la riama, e ci designa la prima pietra posita dell’ecclesia cittadina: nell’atto di fondazione dell’abbazia, del 1036, la prima testimonianza identitaria del borgo è stilata dal nero inchiostro. Da porta Burgi entro vie torrite e strette, sprona il cavallo il priore fino a Palazzo Vecchio, e la sua Torre Esperia, effigie franca. La pietra levigata dei gradini eternamente intatti, ci predica lo strusciare setoso delle vesti bordate, le pitture e gli stemmi degli interni raccontano di una mescidanza di vita agreste e nobiliare, testimoni esanimi di un’inerzia di natura, spettatrici di tante sedimentazioni di vita. In un pietrifico abbraccio cittadino si protende la piazza principale, ampia terrazza sull’io: è la piazza all’Italiana, piazza San Francesco, il fulcro della vita raccolta e solare del Comune. Nel suo bar ospita il mattutino rituale sacrale della lettura del giornale, la telecronaca della partita di calcio, la sera, risuona in sottofondo, coperta da voci rauche e sonore, e dai gesti loquaci degli spettatori avvolti in sciarpe e berretti, talvolta gettati, in un impeto. È la piazza del silenzio iperesteso nello sguardo indaffarato e sano, di anziani troneggianti su panchine predilette, in un dialogo con il luogo, di mutua benevolenza, sotteso è il liquido fruscio di acqua che sgorga dall’ampia fontana, fonte di fama moderna per la sua mineralità. Schiamazzi energici dissigillano discontinuamente il vuoto sonoro della serenità, che si riempie della dirompente vivacità dei bambini all’uscita di scuola, dei saluti scanzonati della tabaccaia e del fornaio, che s’agitano con fervore, rompendo l’eterogeneità di linee in un afflato d’emozione. La solenne ritualità della domenica, in un effluvio di mormorii che ingorgano il portale dell’alta chiesa di San Francesco, si innalzano percorrendo vividi i sesti acuti, fino a disperdersi fra i tetti fumanti per i pranzi famigliari, che attendono alle tavole imbandite. Il vecchio ed il nuovo si affrontano in un divenire vivifico, la coscienza spirituale si fa coscienza storica, nasce, nel 1974, la Giostra dell’Arme: lo scontro equestre, nutrito di policromatico folclore, fra Rocca, e Piazza. Conflitto di costume, di rutilante bellezza sincronica, di cangiante stupore, dell’ottundente sonorità dei tamburi, del calpestio atono di zoccoli, di sospensione e tensione d’impressioni, galoppante confronto fra secoli su destrieri bardati di storia, collante vivifico di tempo e spazio, conflato in un unico fervido ente: San Gemini.


Elena Gigli

STRONCONE L’ora del tramonto/ di un giorno qualsiasi/ in un anno qualsiasi. Il mio posto, Stroncone

S

in da bambina ho sempre adorato osservare il tramonto da luoghi nascosti, unici, posti in prima fila in quel magnifico teatro che conosco persino negli angoli più reconditi e che ho imparato a chiamare CASA. Ogni sera va in scena lo stesso spettacolo, lo stesso ma mai identico. Ed è solo a quest’ora che tutto assume sembianze delicatamente magiche, rare, uniche. E la bellezza si palesa. Il convento di S. Francesco si erge nella vallata come solitario guardiano che silenzioso scruta il suo paese disegnato da luci e ombre. Nel frattempo, il suono solenne delle campane di S. Nicolò scandisce l’ultima ora di luce e le imponenti mura del paese accolgono anche chi, per ultimo, intraprende la strada verso casa. Passo dopo passo ci si accorge come ogni angolo del borgo emani storia, una storia di tradizioni, di beati, santi, nobili, notai, eserciti, frati, pazienti amanuensi artefici dei Corali, codici unici al mondo, papi, giovani, bambini, uomini e donne, anime segnate dal tempo che nelle giornate estive prendono vita grazie a quegli abitanti che, per devozione o semplicemente per gioco, ne vestono i panni. E la loro storia diventa la nostra, la mia. L’ultimo raggio del giorno impreziosisce le piccole vie, testimoni di voci e giochi di bambini, di incontri casuali, di primi baci, di primi litigi, di ricordi indelebili, anche i miei. Ma è proprio tra finestre curiose, ampie piazze e storiche fontane

che le pietre si fanno cornice. Gli occhi si perdono in panorami mozzafiato, dove la natura si fa spazio tra articolati sentieri attraversati ogni giorno da devoti pellegrini o inconsapevoli avventurieri, percorsi dell’anima avvolti da un magico alone di pace lasciato da chi, per la prima volta, li ha solcati, vissuti, S. Francesco. Il sole si abbandona alla sua discesa tra le montagne facendo calare il buio, e proprio mentre il cielo fa comparire le sue sfavillanti gemme e l’aria si fa più fredda, mi fermo a pensare. Penso a quante volte ho sentito questo luogo troppo stretto e sono partita. Penso a quanti viaggi, luoghi e persone. Entusiasti biglietti di andata e trepidanti biglietti di ritorno, per tornare qui nell’unico posto in cui l’anima trova riposo, CASA.

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Comune di OTRICOLI Otricoli e la sua storia millenaria Nico Nunzi Vice Sindaco di Otricoli

Adagiato sul colle che domina la valle del Tevere lungo la via Flaminia, Otricoli è un borgo umbro con una storia millenaria come testimoniano le vestigia dell’anfiteatro, il teatro, le terme e tanti altri monumenti che oggi sono visibili nel Parco Archeologico di Ocriculum. Farvi un giro vuol dire vivere quell’Umbria dipinta di vigneti e uliveti immergendosi in quei sapori unici che solo la tradizione locale può offrire.

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Nella punta meridionale dell’Umbria, dove l’antica via Flaminia apriva le porte a Roma, si trova un piccolo centro posto su un’altura da cui domina la valle del Tevere: Otricoli. L’attuale città medievale e moderna, edificata sulla stessa collina occupata dal centro preromano, conserva all’interno di cinta murarie altomedievali, edifici e monumenti di epoche storiche anche molto lontane tra loro come la Collegiata S. Maria Assunta, la Chiesa di S. Salvatore, i portici del Borgo e l’Antiquarium Comunale. Il centro abitato sovrasta la valle dove si

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ergeva l’antica Ocriculum. Il Parco Archeologico di Ocriculum (www.ocriculum.it) rappresenta per le sue dimensioni (circa 36 ettari), per lo stato di conservazione dei suoi monumenti e per la ricchezza dei materiali rinvenuti durante gli scavi come la celebre raffigurazione di Giove o i mosaici pavimentali conservati ai Musei Vaticani, uno dei siti archeologici più importanti del centro Italia. I monumenti funerari, il teatro, le grandi sostruzioni, le terme, l’anfiteatro, il ninfeo, il pilone monumentale dell’arco d’ingresso e il tratto dell’Antica


Via Flaminia sono i più importanti ritrovamenti inseriti in un paesaggio naturale unico accarezzato dalle acque del Tevere. Proprio la Via Flaminia rappresenta una delle più straordinarie testimonianze del nostro passato con la sua secolare e tangibile presenza. Un elemento di forte connessione tra luoghi e genti, creando e rafforzando quel legame identitario che rende unito un territorio e aggrega le comunità. Da non perdere per chi vorrà venirci a trovare: - OCRICULUM A.D. 168 (www.ocriculumad168.it) ultimo fine weekend di maggio - GIORNATE MEDIOEVALI (www.giornatemedioevali.it) terzo weekend di luglio - OTRICOLI MUSIC FESTIVAL (www.otricolimusicfestival.it) secondo weekend di settembre.

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Comune di POLINO La fontana monumentale, la rocca e la nuova piazza Remigio Venanzi Sindaco di Polino

POLINO L’IRRAGGIUNGIBILE “… Oltre alle prede, arsero case, e con quelle fin gli abitatori. Si conobbe tardi quanto sconsigliatamente era stato edificato quel Castello in quel sito aspro e remoto…” così veniva descritto Polino poco dopo l’anno mille. Terra di confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli con la presenza della dogana di Salto del Cieco e la zona mistica dell’Eremo di Sant’Antonio, insieme alla presenza di un buon numero di grotti, favorivano la sosta e il pernottamento dei viandanti. Non solo frontiera: soldati, briganti, semplici viandanti e pellegrini, poi cercatori d’oro e funzionari vaticani, frati e abitanti del romitorio dell’eremo di Sant’Antonio, si aggirarono per secoli a Polino. Luoghi nel luogo! Questo è quel piccolo chilometro quadrato che accoglie la dogana, l’Eremo, l’oro, il romitorio, la strada dei briganti e la frontiera e racchiude i luoghi dell’anima e dello spirito, delle sensazioni e delle emozioni. L’incontro del cammino francescano nella povertà assoluta sembra scontrarsi con la ricerca dell’oro e dell’opulenza nel suo territorio; anche questo accadeva nel ‘700 a Polino, frontiera dell’oro e della misticità. Il percorso ideale ci conduce alla rocca, alla fontana monumentale, nei luoghi mistici e alla scoperta delle infinite bellezze naturalistiche.

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La fontana di Polino, elemento identitario del paese, costituisce un monumento architettonico, unico nel panorama umbro, del quale tutti i polinesi vanno fieri. La fontana monumentale di Polino, posta sulla piazza principale, è stata fatta costruire da Giulio Castelli, signore di Polino, nell’anno 1615; architettonicamente è formata da una lastra che ne costituisce il prospetto tripartito con due ordini di lesene ed è caratterizzata da tre vasche aggettanti. Sulla sommità è posta la statua di Giovanna sorella di re Ladislao D’Angiò di Napoli che sembrerebbe aver restituito i titoli nobiliari a certo Galeotto Castelli nel 1400. Tutta la fontana è ornata da statue di ottima fattura. Lo stile architettonico è tipico del manierismo, mancando ogni motivo di profondità. Non si conosce l’autore, tuttavia la si può accostare allo stile seguito a Roma nella seconda metà del secolo XVI; analogie sono nella fontana degli Ammannati com’era nel 1555 a Villa Giulia; l’uso degli obelischi fu introdotto nel ‘500 da Antonio da Sangallo il Giovane

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che ritroviamo anche nella fontana dei Fiumi di Villa Lante e che sovrastano il marforio. Altri esempi sono nella fontana del Mosè di Domenico Fontana; tra tutte quella che più somigliava alla fontana di Polino era eretta nel largo di Montecitorio, disegnata dal Volterra e demolita nel XVIII secolo. Le due torri laterali che si ergono sopra le spirali rappresentano il simbolo del benefattore e/o signore del posto. Il simbolismo della fontana di Polino è tipico dell’arte cinquecentesca: obelischi, torri, cornici, trabeazione, lesene, figure mitologiche e mito-umane. Nella lapide centrale il richiamo al Marchese Castelli e lo stemma araldico sono tipici del periodo. La grande statua del marforio è presente in molte altre fontane di Roma; quello di Polino è sdraiato e tiene un otre dal quale sgorga l’acqua. I materiali usati per la costruzione sono tutti estratti dalle cave di Polino. Ritroviamo le pietre bianche del posto utilizzate per scolpire tutti gli elementi architettonici e decorativi, con la sola eccezione del vascone centrale che è poggiato su un podio costruito


con grandi pietre squadrate dai bordi arrotondati; il vascone e il podio sono realizzati con la pietra rosso ammonitico di Polino. Di particolare fattura, questa vasca centrale è stata ricavata da alcuni blocchi di grandi dimensioni. Dalle notizie e fonti d’archivio non è stato possibile risalire all’architetto che ha disegnato la fontana, tanto meno agli scultori che hanno eseguito l’opera. Le ipotesi elaborate portano a presumere che vi abbiano lavorato scultori e intagliatori provenienti da Roma e che, in quei secoli, erano comunque soliti lavorare anche in Umbria. L’architetto progettista potrebbe essere stato Giovanni Fontana che fu presente a Terni per progettare la regolamentazione del fiume Velino e che, durante il suo soggiorno, può aver conosciuto o essere stato ospite dei signori Castelli. L’architetto lavorò, in Roma, alla costruzione di diverse fontane, con elementi simili a quella di Polino come la presenza delle torri. Insieme alla rocca è il segno identitario di Polino. Per secoli ha fornito acqua potabile che le donne del paese approvvigionavano con le caratteristiche “conche”. Le acque di scolo alimentano tuttora gli adiacenti lavatoi pubblici. Il contesto monumentale della fontana di Polino si arricchisce oggi con la nuova piazza che è nata da un’idea che ha coniugato diversi aspetti: sociali, architettonici, scelta dei materiali e recupero ambientale. La piazza costituisce oggi un tutt’uno con la fontana; il quadro d’insieme dona armonia e forma e restituisce a pieno il concetto di “bellezza”. La linearità delle forme, i materiali utilizzati e i colori sono in piena continuità. Polino è pietra, è in questa che trova storia e forza. Dalle sue pietre nascono la maestosa rocca, le case e la fontana monumentale: nel pensare la nuova piazza si è partiti da questo concetto; utilizzare “le pietre di Polino per la piazza di Polino”.

La nostra pietra più pregiata e unica è quella “rosso ammonitico” che presenta una elevata presenza di ammoniti. Questo è il materiale utilizzato per la realizzazione. Le sinergie messe in campo hanno permesso di elaborare un progetto complessivo di miglioramento ambientale e naturalistico attraverso la messa in sicurezza di un sito in frana e il recupero dei materiali dispersi che costituivano evidente pericolo e danno ambientale, con l’utilizzo dei materiali autoctoni a chilometro zero. La nuova piazza è realizzata con basoli di pietra rosso ammonitico che presentano frequenti inserti di ammoniti. Il colore varia dal bianco/rosa fino al rosso e muta sensibilmente con la pioggia, tanto da far diventare la piazza un pavimento lucido in grado di riflettere le immagini e nelle serate autunnali i colori dei bei tramonti. Nel periodo natalizio ospita un grande albero di Natale e ne riflette i colori e le luci donando un’armonia di vera festa. Al centro della piazza è stata realizzata, stilizzata, una grande ammonite sviluppata con la formula matematica della proporzione aurea. Un importante complemento della piazza e della fontana è stato realizzato nella parte tra la stessa fontana e il Municipio. I materiali utilizzati sono i medesimi e la realizzazione di alcune aiuole ha permesso l’alloggiamento di uno dei cippi di confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, recuperato alla disponibilità pubblica, dopo che per lunghi decenni era stato nel possesso di un privato. Il cippo riporta incisi le chiavi decussate del Vaticano, il giglio napoletano, l’anno 1847 di posa e il numero progressivo del cippo. A Polino, la piazza ha sempre rappresentato un importante punto di aggregazione; oggi è chiusa al traffico e le persone possono beneficiarne in piena tranquillità.

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Comune di SANT'ANATOLIA DI NARCO Il Comune Tullio Fibraroli Sindaco del comune di Sant’Anatolia di Narco

SANT’ANATOLIA DI NARCO, UN BORGO MEDIEVALE TRA PASSATO E FUTURO. Porto i miei saluti al magazine La Pagina Umbria, a cura del Prof. Giampiero Raspetti, e ringrazio per lo spazio che ci è stato concesso per parlare del Comune di Sant’Anatolia di Narco. Il comune di cui sono portavoce è una piccola realtà insediativa che si trova in Valnerina, una realtà territoriale in cui la mano dell’uomo ha costruito piccoli villaggi e borghi, incastonati sui pendii dei suoi monti, nel pieno rispetto dell’ambiente. Una valle in cui il tempo sembra essersi fermato a qualche decennio fa, nella quale ancora non è arrivata la vita frenetica delle grandi realtà insediative; un luogo in cui mi piacerebbe vivessero anche i miei figli. Eppure questo non basta a fermare quel fenomeno di spopolamento che spinge soprattutto le nuove generazioni ad abbandonare i loro paesi di origine. Da sindaco, oltre che da genitore, ho sempre sostenuto quelle azioni di promozione territoriale volte a incentivare attività economiche e turistiche che potessero dare lavoro ai nostri giovani. Certamente la strada è ancora lunga, ma uno sguardo al prossimo futuro fa ben sperare proprio osservando quanto fatto negli ultimi anni. Sant’Anatolia di Narco era un comune di cui pochissime persone conoscevano l’esistenza. Circa venti anni fa l’apertura del traforo di Forca di Cerro ha sicuramente dato una scossa alla viabilità, accorciando le distanze tra la valle del Nera e il resto dell’Umbria. Il Comune, posizionato al centro della Valnerina e favorito dalla vicinanza con le principali vie di comunicazioni, oggi sta sviluppando in maniera considerevole anche la zona artigianale e commerciale con l’insediamento di nuove attività produttive. Sempre in un’ottica di sviluppo del paese, non sono state tralasciate azioni finalizzate alla promozione del turismo. Ne è un esempio il Museo della Canapa, inaugurato nel 2008, il cui obiettivo era inizialmente quello di conservare oggetti e memorie provenienti dal passato. Questo museo è oggi visitato da gruppi provenienti da tutto il mondo, ha avuto tirocinanti provenienti da molte regioni d’Italia e dall’estero ed ha portato avanti progetti regionali e nazionali. Sicuramente l’opera congiunta tra l’istituzione pubblica e il Museo ha fatto conoscere il mio comune al di fuori della sola Valnerina e, in un’ottica di sviluppo futuro, mi piace citare questo esempio come buona pratica da seguire per incentivare il turismo, offrire posti di lavoro e mettere in pratica azioni concrete per evitare lo spopolamento delle nostre zone.

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Il comune di Sant’Anatolia di Narco sorge in Umbria al centro dell’area geografica denominata Valnerina, un territorio connotato da una forte peculiarità storica, paesaggistica e ambientale che ha sviluppato una vocazione di turismo lento collegato al patrimonio ambientale, culturale, storico e etnografico, oltre che dei prodotti enogastronomici tipici quali salumi e formaggi, tartufo, trota fario e zafferano. La valle deve il suo nome a un importante elemento di interesse naturalistico: il fiume Nera, bene paesaggistico che rappresenta l’elemento unificatore dell’intera valle e di tutti i borghi che sorgono sulle pendici che lo costeggiano. Oggi al Fiume Nera sono collegate anche attività di natura economica, come quelle sportive quali rafting e pesca, così come nei decenni passati le sue acque erano sfruttate per la coltivazione delle zone pianeggianti della valle. La memoria delle attività del passato si conserva non solo nei ricordi ma anche nei toponimi; a Sant’Anatolia ancora oggi i terreni di fondovalle sono chiamati “le canapine”. Questo nome, infatti, richiama alla memoria un tempo non troppo lontano, quando ogni famiglia vicino al fiume aveva il suo piccolo terreno coltivato a canapa. Tradizioni e memorie legate a questa pianta e al suo utilizzo per il tessile e il cordame hanno dato vita al Museo della Canapa, Antenna dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, aperto nel 2008 all’interno del Cinquecentesco Palazzo Municipale. Questo museo ha svolto


un’intensa attività di ricerca etnografica indirizzata principalmente al recupero di un sapere tradizionale come quello collegato alla tessitura, nonché di pratiche e competenze ad essa collegate. La conservazione del Sapere e del Saper Fare proveniente del passato, un tempo alla base dell’economia di carattere famigliare, può essere oggi riattualizzata per costituire nuove forme di occupazione. Il comune di Sant’Anatolia di Narco è stato, soprattutto negli ultimi anni, al centro di azioni mirate al mantenimento non solo del patrimonio immateriale, ma anche della bellezza paesaggistica del suo territorio. L’ambiente circostante, infatti, conserva ancora oggi il fascino delle aree rurali, dove la scarsa densità di popolazione diventa un punto di forza per la conservazione dei beni naturalistici e paesaggistici. Le azioni, tuttavia, più importanti sono state improntate sulla riqualificazione delle tessuto storico esistente e dei centri storici minori. In particolare sono stati portati avanti interventi mirati al restauro e alla conservazione dei beni architettonici delle aree abitative, che hanno contribuito a mantenere in vita il fascino dei suoi borghi, ma anche a rinnovare l’interesse turistico del luogo. Il comune di Sant’Anatolia è inserito anche all’interno del Parco Geologico della Valnerina con alcuni siti

di notevole interesse geologico come il Piano delle Melette o parte della cosiddetta Valcasana. A livello artistico numerose chiese, dislocate su tutto il territorio, conservano al loro interno affreschi attribuiti a importanti pittori. Ne sono un esempio la chiesa di San Michele Arcangelo a Gavelli, che presenta nell’abside un ciclo di affreschi perfettamente conservato e attribuito a Giovanni di Pietro detto lo Spagna; le chiese di Santa Maria delle Grazie e di Santa Cristina a Caso, quest’ultima chiamata anche la “chiesa delle zitelle” per l’usanza, diffusa tra le donne nubili, di chiedere alla santa la grazia di trovare marito; la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Sant’Anatolia di Narco con il dipinto attribuito al Maestro di Eggi. Si ricorda, infine, la suggestiva Abbazia dei Santi Felice e Mauro, costruita accanto al fiume Nera e ai piedi della frazione di Castel San Felice. Il bassorilievo che decora la facciata della chiesa, in stile romanico, racconta la leggenda della miracolosa uccisione del drago che infestava i terreni lungo il fiume Nera, avvenuta grazie all’intervento dei due monaci eremiti da cui prende il nome chiesa stessa. Sant’Anatolia di Narco conserva, inoltre, anche uno dei caselli che un tempo appartenevano alla ex-ferrovia Spoleto-Norcia, il cui tracciato oggi è stato ripristinato e trasformato in un percorso per la mobilità dolce.

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Comune di SCHEGGINO SCHEGGINO la perla della VALNERINA

Paola Agabiti Sindaco di Scheggino

Da quasi cinque anni ormai ho l'onore di essere Sindaco di Scheggino, un piccolo borgo nel cuore della Valnerina, immerso nella natura, dove benessere, storia, cultura e buona tavola sono elementi fondamentali. Meta di tanti visitatori in estate grazie al suo clima fresco e alle tante occasioni di sport e natura all’aria aperta, in inverno Scheggino si avvolge di un fascino del tutto particolare, grazie alle decorazioni tipiche natalizie, che esaltano ancora di più la sua bellezza architettonica e le sue piccole vie, rendendo il paesaggio nel suo complesso un luogo incantato. Molte ed interessanti, perché permeate di storia ed incastonate nel verde delle colline umbre, sono le nostre frazioni: San Valentino, Ceselli, Pontuglia, Monte San Vito e Civitella, pregiati borghi in cui è

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possibile scoprire chiese ricche di affreschi ed altri gioielli artistici inaspettati. Ma Scheggino è anche una tappa di primo livello nel circuito eno - gastronomico tipico umbro, con le sue specialità culinarie, prime tra tutte quelle legate al tartufo nero, al quale il borgo ha dedicato addirittura un museo, ed alla trota, che vive le acque del fiume Nera che attraversano il centro storico del borgo, creando un suggestivo connubio tra natura ed architettura locale. Acqua, terra, natura, storia, cultura e buona tavola fanno di Scheggino un’autentica perla della Valnerina, dove è possibile trascorrere un elegante e gustoso week end natalizio, alla scoperta delle tante iniziative culturali e di intrattenimento tipiche di questo periodo. Vero e proprio gioiello di Scheggino è la chiesa di San Nicola, santo patrono del piccolo comune, incastonata all’interno del borgo. L’edificio risale al XII secolo ed all’interno vanta la presenza nell’abside di affreschi attribuiti a Giovanni di Pietro, detto Lo Spagna, ed alla sua cerchia. Inizialmente dipendente dai benedettini di Sassovivo, divenne pieve nel 1446. Fu ampliata e restaurata nella forma attuale dalla corporazione dei maestri muratori lombardi tra il 1509 ed il 1521. L’ingresso della chiesa è preceduto

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La piccola casa cantoniera in foto che sta a Cardeto, poco lontano dalla convergenza delle tre linee verso laAdriatico).

da un ampio portico. “Lascia ogni preoccupazione se entri per pregare” si legge sull’architrave. L’interno, a tre navate, presenta nell’abside affreschi attribuibili alla cerchia di Giovanni detto Lo Spagna, un’Incoronazione di Maria tra Santi e un Presepio. L’Incoronazione della Vergine è stato fatto su imitazione del duomo di Spoleto, da cui Scheggino era affiliata poiché entrambe guelfe. Proprio per questo la sua storia narra di ripetuti assalti da parte dei ghibellini. Il più noto, relativo al 1522, è ancora rievocato ai giorni d’oggi il 23 luglio con la “Festa delle Donne”: mentre gli uomini erano in montagna intenti nei lavori dei boschi e nella mietitura, Scheggino fu assediata da una spedizione punitiva organizzata dai comuni limitrofi e la difesa fu sostenuta

unicamente dalle donne che si scagliarono contro gli aggressori con qualsiasi mezzo, lanciando oltre le pietre anche le pentole, e ciò fu sufficiente a respingere gli attacchi degli assedianti salvando così il paese. Insomma Scheggino è anche il borgo delle donne! Ma Scheggino ha l'ambizione di proporsi anche come collante per l’intera Valnerina e per la promozione unitaria del suo paesaggio, riscoprendo luoghi unici ed incantati. Dal territorio ternano a Norcia e Preci, lungo il corso del fiume Nera, Scheggino è baricentrica di una valle caratterizzata da una natura incontaminata, piccoli e meravigliosi borghi e tracce storiche tra le più importanti non solo d’Italia, ma d’Europa. Vi aspettiamo a Scheggino!

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Comune di STRONCONE Il MUSEO DEI CORALI MINIATI Luigi Dionisi Vice Sindaco di Stoncone

Tutela dei piccoli borghi Da Vicesindaco di un Comune con meno di 5.000 anime non posso che plaudire all’iniziativa lanciata da questa rivista e dal suo direttore, la valorizzazione dei piccoli borghi, scrigni di arte e cultura che possono sicuramente essere il volano per il rilancio economico di questo Paese, puntando su quelle ricchezze che secoli di storia ci hanno lasciato in custodia. In questi ultimi anni di crisi economica, invece, la politica ha tentato di svuotare queste piccole realtà, bloccando gli investimenti, riducendo i servizi, cercando di accorpare più territori, snaturandone così l’identità, inseguendo solo il miraggio dell’equilibrio di bilancio, disinteressandosi del ritorno economico che invero queste realtà territoriali possono esprimere se supportate adeguatamente. I piccoli borghi sono territori a misura d’uomo, vi è socialità sia per i giovani che per gli anziani, ci si conosce un pò tutti e ciò facilita le relazioni, mantenendo viva la fiducia verso il prossimo, senza distinzioni! Ben venga il policentrismo, ma per attuarlo bisogna iniziare a ragionare senza confini mentali, accantonando il proprio “orticello” e lavorando per un interesse generale, con progetti condivisi che mettano a sistema tutte le bellezze di cui il nostro territorio e ricco.

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Il territorio di Stroncone, trovandosi su una delle Vie di pellegrinaggio tra le più popolari, la Via di Francesco, che dal Santuario de La Verna porta a Roma, è ricco di storia e arte, perché ha accolto, nei secoli, genti e culture che hanno lasciato il segno del loro passaggio. L’arte sacra è sicuramente quella che, più di ogni altra, ha caratterizzato la nostra società e contraddistinto la nostra cultura, il Palazzo comunale di Stroncone è custode di un magnifico esempio di questo tipo di arte, un gioiello di inestimabile interesse, i Corali miniati del XIV sec. Nove codici liturgico-musicali di grande formato, su pergamena, arricchiti da miniature di grandissimo valore artistico, provenienti dalla Chiesa collegiata di San Michele Arcangelo e dalla Chiesa di San Nicola di Stroncone. Il loro valore è certamente multidisciplinare e fonte di preziose informazioni, che interessano il campo della musica, dell’arte e della storia. Fino ad oggi i Corali non erano valorizzati come dovuto, in quanto custoditi all’interno della stanza del Sindaco e visibili solo su appuntamento o in occasione di manifestazioni ed eventi. Dato il loro ampio interesse storico, culturale e religioso, si è pensato perciò di realizzare uno spazio dedicato che ne esaltasse il valore, un luogo degno, dove i Corali potessero essere a disposizione di

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tutti, come lo deve essere la cultura. Grazie ad un finanziamento del GAL Ternano si è potuti intervenire per adeguare la ex Chiesa della Madonna del Gonfalone, adattandola ad accogliere i preziosi manoscritti. Posta in Piazza della Torre, nella parte nord del centro storico, la Chiesa prende il nome dal fatto che anticamente il gonfalone comunale veniva custodito al suo interno, in quanto, per la sua elevata posizione, non si prestava a facili attacchi da parte dei nemici. L’interno è caratterizzato dall’altare maggiore, dedicato alla Madonna, decorato con stucchi dorati dei fratelli Stronconesi Cristoforo e Gregorio Grimani. Ai lati dell’altare si trovano i dipinti di S. Giorgio e S. Biagio, opere di Giuseppe Bastiani da Macerata (1612). La cappella di destra custodiva un tempo il bossolo dei Priori, in quanto i Priori venivano in questa chiesa ad ascoltare la messa la prima domenica successiva alla loro elezione. All’intero del Museo dei Corali, oltre ad ammirare i manoscritti e la bellezza dell’ambiente che li custodisce, il visitatore potrà usufruire di una guida multimediale, realizzata grazie al finanziamento della Fondazione CARIT, che gli consentirà di poter sfogliare digitalmente i volumi ed ascoltare il canto in essi contenuto.


ARRONE - LA PROTOSTORIA Volendo descrivere luoghi ed eventi che riguardano la storia del Castello di Arrone, antico nucleo abitato, non si può prescindere dalle caratteristiche di questo territorio né sulle, più o meno sparute, presenze dei soggetti che vi erano insediati. Abbiamo molto conforto nel delineare una terra non molto ospitale, soprattutto nella parte del piano, invasa da larghi acquitrini dovuti sia alla presenza di un fiume, il Nera, ricco di acque molto più abbondanti di quelle attuali, spesso rese turbolente ed esondanti nei periodi dell’anno quando più frequenti erano le precipitazioni, sia dal reflusso, verso il nord della valle, delle acque del fiume Velino che, dall’alto della piana reatina, si immettevano con veemenza nel sottostante alveo del fiume Nera. Gli acquitrini o i veri e propri laghetti che ne nascevano rendevano scarsamente percorribile e coltivabile un terreno così infido. In effetti, le poche vie di comunicazione che risalivano la valle, si inerpicavano sui fianchi o in cima alle colline in prossimità sia della riva destra, sia della riva sinistra. Tali “mulattiere” lambivano i pochi insediamenti sparsi, sempre sulle colline, che raccoglievano piccole comunità, le quali coltivavano piccoli fazzoletti di terra scarsamente sufficienti a fornire il necessario per vivere, sempre integrato da allevamenti di pochi animali e dalla caccia alla selvaggina stanziale. In relazione a questo, si possono osservare ancora oggi numerose tracce di insediamenti di epoca pre-romana e romana nei pressi dei quali sono stati ritrovati oggetti di sicuro pregio e interesse. Ci riferiamo al rinvenimento di numerosi “bronzetti” dalle forme antropomorfe, sulla cima del monte che sovrasta Arrone, dove insisteva una antichissima zona votiva, oltre a rinvenimenti di vario tipo come una testa marmorea di una divinità non identificata e ad altri reperti (di cui abbiamo testimonianza verbale della Famiglia Arroni) relativi ad elementi marmorei con iscrizioni in latino o ad oggetti sempre

marmorei come ad es. una conchiglia (tipo quella della Shell) di discrete dimensioni. Ma anche ai resti (nella zona di Tripozzo) di un antico frantoio oleario di epoca imperiale, costruito forse nei pressi di un’antica villa romana e, sempre in quei pressi, resti di muri in opus reticulatum. Questo stesso tipo di manufatto si può ancora osservare nel Vocabolo Nasciolo, nei pressi di Arrone, o anche i resti di una serie di pietre squadrate e allineate ai piedi del Vocabolo Colleporto, poste a un metro circa di altezza dal piano di campagna, che potrebbero far pensare ad un piccolo punto di approdo, forse nei pressi di un’antica costruzione di epoca romana, della quale alcune testimonianze verbali affermavano di aver visto, in mezzo a grandi siepi di rovi, un pavimento con piccole “mattonellette” (che fosse un mosaico?) e ancora muri in opus reticulatum. Oltre a ciò, non possiamo dimenticare l’insediamento di un piccolo borgo antico chiamato Petano che esisteva sulle colline, poco distante da Tripozzo, che ora non esiste più, ma di cui, pur con grande difficoltà, se ne può trovare qualche debole traccia. Di questo modesto agglomerato, forse sorto proprio agli inizi del Medioevo, se ne parla nel Codice Pelosius e nelle Rationes Decimarum, che trattano delle antichissime pievanie della zona, ma viene illustrato anche dagli affreschi che compaiono nei soffitti dei vasti corridoi dei Musei Vaticani, allorché “Iohannes et Cornelius Bleu”, su ordine del cardinale Fausto Poli, ai tempi di papa Urbano VIII, illustrano il territorio del Ducato di Spoleto. Al termine di questa premessa arriviamo alla fine del IX secolo intorno all’880, quando numerose fonti collocano l’inizio della storia del borgo di Arrone, verso il quale, con grande probabilità e, gradualmente nel tempo, confluiscono parti delle popolazioni limitrofe, le quali trovano la vita all’ombra della potente Famiglia Arroni, una vita più sicura e forse la possibilità di un sostentamento più certo. Ascani Alberto

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Roberto Stopponi

L’Umbria o le Umbrie? ovvero alla ricerca dell’Umbria. Mi scuso con i lettori per questo titolo bislacco, ma, veramente, dopo anni che, sotto la sollecitazione di ottimi voluni sulla Regione Umbria -dalla collezione einaudiana a quella laterziana, a quella dell’U.T.E.T-, leggo sui caratteri generali e sulla storia dell’Umbria, la sensazione che si ricava è che non si siano ancora chiariti alcuni problemi di fondo sulla identità della nostra Regione. “Cercare di ricostruire i caratteri della Regione Umbria è certo operazione ardua e sotto certi aspetti forse quasi deviante: l’attuale confine regionale, infatti, è semplice frutto di una serie di dettami amministrativi che hanno teso a dare omogeneità a una pluralità di territori che, nel corso della loro storia, erano stati a più riprese sottoposti a spinte centrifughe verso le aree circostanti”. Ed ancora: “Anche l’utilizzazione dell’arco cronologico dall’Unità ad oggi potrebbe apparire come forzatura storiografica ed editoriale. Se infatti è corretto parlare di Umbria quale entità amministrativa a partire dal 1860 -pur con le ulteriori modificazioni del 1923 e del 1927-, va indubbiamente subito chiarito che i caratteri di quest’area, per la loro poliedricità, richiedono un’analisi plurisecolare per essere correttamente percepiti". (Alberto Grohmann, Umbria: un’entità

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amministrativa o una costruzione mentale?). Già i confini della Regione infatti sono molto discontinui. Ad Est le zone di confine tra loro non seguono l’andamento idrografico né quello tettonico. Infatti il confine tra Marche ed Umbria è contrassegnato da avanzamenti marchigiani come si vede a Fossato di Vico. A Nord e ad Ovest il confine taglia l'alto Tevere, lasciando alla Toscana alcune zone come anche accade al sud per i confini con il Lazio a Otricoli e Magliano Sabina. Il fatto è che il problema è sorto all’origine in età romana quando Roma, nel III secolo, invade le popolazioni della Italia Centrale, vale a dire Etruschi e Umbri, distinti e separati tra di loro. La vittoria di Sentino nel 295 a.C. è emblematica della volontà di Roma di procedere ad un superamento di divisioni che non avevavano ragione di esistere a fronte della irresistibile affermazione di Roma e alla sua volontà di unificazione. La disfatta del Trasimeno da parte di Annibale non modifica la volontà di mantenere il precedente dualismo umbro-etrusco. Intanto però città di ristrutturazione romana furono Tifernum, Iguvium, Perusia, Assisium, Spoletium, Tuder. Aree paludose furonono prosciugate, nuovi percorsi stradali furono tracciati come la via Flaminia e quella Amerina. Tutto questo stato di cose portò di fatto Augusto Ottaviano a creare una entità politico-territoriale amministrativa con la Sexta Regio che comprendeva il territorio a oriente del Tevere, che si dilatava dal Nera all’Adriatico, ma escludeva Norcia, mentre si estendeva fino a Otricoli includendo il Casentino, oggi toscano e l’Ager Gallicus tra Rimini e Ancona. Successivamente, sulla fine del III secolo d.C. con Diocleziano scompare addirittura il nome di Umbria a vantaggio del termine Flaminia e Picenum. È la struttura della storia europea del periodo tardo-antico ed alto medioevale ad imprimere agli eventi una direzione nuova. Le affermazioni di realtà politiche tra V e XI sec, vale a dire l’asse Rimini-Roma, chiamato “corridoio bizantino”, poi progressivamente il Ducato Longobardo di Spoleto e soprattutto lo Stato Pontificio, con attorno una miriade di territori con potere feudale, oscurano la necessità di parlare di un territorio cha aveva la conformazione dell’Umbria. I cartografi e geografi rinascimentali con il termine Umbria intenderanno ancora il Ducato di Spoleto con l’altra legazione corrispondente il Territorio Perugino. Possiamo dire che fino alla fine del XVIII secolo continuerà ad avere fortuna la sinonimia Umbria-Ducato di Spoleto. Nella prossima uscita de La Pagina Umbria seguirà una breve, ma interessante storia della Idea dell’Umbria fino ai nostri giorni.


TERNI, UNO DEI TANTI CENTRI DELLA VALNERINA Interamna Nahars (poi Teramna, poi Terani, oggi Terni) nasce come città tra i fiumi (Nera e Serra) per diventare il più grande centro abitato lambito dal fiume Nera, a guardia della Valnerina stessa. Nel suo territorio si trovano alcune mirabilia, generate proprio dalle acque: la Cascata delle Marmore, il Lago di Piediluco e le tante preziose fonti di acque minerali. La stessa Società degli Alti Forni e Fonderie di Terni (SAFFAT, oggi AST) nasce per le acque disponibili in abbondanza. Terni è al centro di terre sedimentarie (emerse) contornate da terre eruttive, con conseguente abbondanza e varietà di sali minerali, presenti in concentrazioni tra le più significative rinvenibili in natura. I prodotti della terra sono, da sempre,

eccellenti e conosciutissimi. Ne hanno infatti parlato molti autori classici e molti viaggiatori in visita nella nostra terra. Ma la nostra Terni non è solo la città visitata e ammirata dai viaggiatori del Gran Tour (artisti, uomini di cultura, rampolli dell'aristocrazia europea), ma è, da sempre, luogo di integrazione sociale e culturale. Il suo patrono, san Valentino, è stato uno dei primi, se non il primo, grandi uomini a lottare e ad immolarsi per la difesa dei diritti umani. Prestigiosa la tradizione delle lotte per la difesa del lavoro, lotte che hanno nutrito e arricchito i sentimenti di solidarietà umana che da sempre contraddistinguono la città di Terni, parte importantissima dei sentimenti di solidarietà e di pace di cui l’Umbria è prima al mondo.

Rete Museale

Florio, il Metelli della poesia, ha donato a me e alla Associazione Culturale La Pagina gran parte delle sue collezioni e dei suoi libri, in particolare il suo amatissimo "Museo del calzolaio". Noi desideriamo soltanto che le opere e la vita del nostro caro ciabattino siano quanto più possibile conosciute. A tal fine e per cominciare ad unire sotto forme, anche le più diverse, il territorio che ci interessa, siamo disponibili ad impreziosire, cedendo la collezione stessa del ciabattino, quel Centro che ci darà migliori garanzie di alloggiamento, allestimento, esposizione

turistica. Siamo anche in grado, forti della collaborazione di professionisti della scienza, divulgatori scientifici, professori universitari e ricercatori, di realizzare, nei Centri che volessero ospitarci, laboratori scientifici per lo studio della terra, dell'acqua, dell'aria, del fuoco. I quattro elementi proprio nella nostra terra possono essere analizzati con il massimo della utilità conoscitiva. Sappiamo come ospitare, per seminari di studio, scolaresche e turisti provenienti da ogni parte del mondo.

Possiamo educare giovani divulgatori della scienza, abitanti nei vari Centri della nostra Regio, affinché sappiano, un domani, svolgere tale professione nei luoghi di presenza del laboratorio scientifico Apriti Cielo. Aspettiamo comunicazioni, da parte dei Sindaci di ogni Centro, relativi agli orari dei Musei aperti nel territorio di loro competenza per pubblicare, il prossimo numero, un elenco di tali luoghi importanti per visite turistiche. Tutto questo costa poco, pochissimo: solo il tempo di incontrarci o di un Amen!

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Pro Loco di CESI Cesi Balcone della conca Ternana Lorella Santini Presidente Pro Loco

Cesi il “balcone della conca ternana”, piccola città d’arte, aria fresca e pulita, una storia illustre, i resti imponenti degli antichi popoli italici e le superbe testimonianze della città che fu capitale delle Terre Arnolfe, il fascino del borgo medievale, l’arte di palazzi nobiliari e chiese, la bellezza della natura e una montagna tutta da vivere.

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Cesi è un belvedere naturale affacciato sulla pianura di Terni e sull’anfiteatro di monti che circondano la città. Il borgo, immerso in un mare di ulivi, sorge sul crinale del monte Torre Maggiore distribuito a mezza costa con strade parallele intersecate da stradine, scalinate e piazzette, archi e sottarchi. John Milton nel Paradiso perduto così la descrive: “La prima veduta del cielo è quella delle mura ornate di torri d’opale e di merli”. Infatti prevale l’aspetto medievale di forte impatto visivo con resti dell’antica rocca, di mura, torrioni e porte medievali. La cittadina ha origini antichissime: abitata fin dalla preistoria, presenta notevoli testimonianze di epoca preromana e romana. Infatti tra Carsulae e Cesi si estende un grande parco archeologico di enorme importanza. Sul monte Torre Maggiore sorgono due templi del VI e del II sec. a.C., i luoghi di culto di maggiore interesse dell’Umbria meridionale. Mura

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possenti caratterizzano l’arce fortificato -forse l’antica Clusiulum supra Interamna citata da Plinio il Giovane- sul monte Sant’Erasmo. Altrettanto possenti quelle di Sant’Onofrio e di strada della Pittura dove è visibile un fallo a bassorilievo, simbolo apotropaico. Reperti carsulani sono inseriti nel portale dell’ex chiesa di Sant’Andrea, nella chiesa di Santa Maria de’ Fora e nella chiesa di San Michele Arcangelo. Ma è nel Medioevo che Cesi afferma il suo massimo splendore diventando capitale delle Terre Arnolfe a partire dal X sec. Fu l’imperatore Ottone I che nel 962 concesse questo suo possedimento alla famiglia degli Arnolfi. Cesi così divenne un borgo fortificato: la rocca che un tempo sorgeva dove oggi si eleva la chiesa benedettina di Sant’Erasmo, fu di tale importanza strategica da essere difesa dai templari di nomina papale. Di questa rocca restano alcune torri tuttora visibili sul crinale della montagna. Sorsero altresì prestigiosi palazzi nobiliari come il palazzo Cittadini Cesi, appartenuto alla famiglia del duca Federico fondatore dell’Accademia dei Lincei. Tra gli altri edifici di pregio ricordiamo il Palazzo Spada-Stocchi, il Pressio-Colonnese, il Contelori. Molte le chiese (un tempo ne contava 30) tra cui spiccano la chiesa di San Michele Arcangelo (eretta nel 1080),

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una dedicata a Sant’Agnese (1613) e la collegiata di Santa Maria Assunta (1515) che custodisce la preziosa pala del Maestro di Cesi del 1308. Il paese è sovrastato dal monte Eolo. Deve il suo nome al dio dei venti, il quale secondo Virgilio, dimorava nelle viscere della montagna attraversate da grotte e cunicoli, con forti getti di aria, sia in inverno che in estate. La Grotta Eolia, la più famosa e studiata, è caratterizzata da formazioni carsiche. Ad essa si accede da Palazzo Stocchi. Una “montagna incantata” quella di Cesi, (descritta da Anne Miller come legata da “catene adamantine”), un terrazzo naturale che spazia su panorami mozzafiato e sulla volta celeste, che è possibile scrutare grazie all’Osservatorio astronomico. Inoltre ospita un ambiente naturalistico di pregio. “L’aria è di tutta perfettione” come afferma lo storico Contelori ed è ricca di boschi di querce, lecci e faggi. Una montagna protagonista e tutta da scoprire: è il luogo ideale per attività all’aria aperta. Oltre alle passeggiate e al trekking, si possono praticare altre attività come il parapendio, l’arrampicata sportiva, la mountain bike, la 4×4. Storia, arte, cultura e natura: Cesi è tutto questo. Vi aspetta! Pro Loco Cesi: Loretta Santini – Lorenzo Ferrante


Fabrizio Pacifici

Fondazione

AIUTIAMOLI A VIVERE O.N.G. A Giampiero Raspetti Dopo anni, dove ognuno di noi ha continuato ad amare e sperare, seguendo percorsi diversi, di concretizzare il sogno di far diventare Terni capitale dei diritti umani, ho avuto modo di rincontrarti e di riscoprire che quel sogno continua ad animare il nostro cammino. Per quel che mi riguarda lo spontaneismo iniziale di quei volontari ternani che si misero all’opera per aiutare le popolazioni colpite dal disastro nucleare di Chernobyl (26/04/1986) e che contribuì a creare nel 1992, con Padre Vincenzo Bella dei Frati Minori Conventuali della Provincia Umbra, le condizioni per la costruzione della Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” ONG continua e non dà segni di cedimento. Oggi la Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” ONG opera volontariamente nella Repubblica di Belarus, ma il suo modello organizzativo costituito dalla contemporanea organizzazione di soggiorni e progettualità di cooperazione, formazione, sostegno e promozione dell’educazione ha promosso il nuovo sviluppo in altri paesi come il Brasile, il Congo, la Palestina, l’Ecuador e l’Albania, ottenendo l’autorizzazione del Ministero degli Esteri a operare come Organizzazione Non Governativa. La sede nazionale a Terni con il suo personale e il centro studi “Leonardo” hanno reso possibile tale capacità organizzativa con il proprio ruolo guida di capacità professionale e soprattutto il riconoscimento oggettivo nazionale di aver saputo ascoltare, programmare e risolvere qualsiasi problema posto dalle famiglie, i comitati e tutti i soggetti della rete associativa coinvolti (N° 150 comitati distribuiti in tutto il territorio nazionale) in questa straordinaria esperienza di lavoro quotidiano rivolto a tutti i bambini accolti in ospitalità temporanea e perfino adottati. Una Sede Nazionale a Terni sempre più “Casa dell’Accoglienza dei minori, dei comitati e delle famiglie italiane” con un ruolo non imposto dall’alto, ma ottenuto attraverso i risultati concreti e riconosciuto in ogni ambiente, sia esso circoscritto nell’ambito organizzativo appartenente alla FAV (comitati, famiglie, volontari) sia esso di livello istituzionale (Ministeri italiani ed esteri, Regioni e Comuni).

ORGANIZZAZIONE NON GOVERNATIVA SEDE NAZIONALE DI TERNI Via XX Settembre, 166 - Terni Tel. 0744/279560 – Fax 0744/282460 e-mail: fondaav@tin.it

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Paolo Renzi

Fra UMBRI e ROMANI I primi 1500 anni della storia di Terni

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el periodo compreso fra il X e il IV sec. a.C. la Valle di Terni è abitata da un’etnia protostorica di matrice umbra la cui maggiore testimonianza è l’immensa necropoli rinvenuta in occasione della costruzione della Fabbrica d’Armi prima (1875) e delle Acciaierie poi (1884). Il sepolcreto era costituito in origine da migliaia di tombe databili principalmente fra la fine dell’Età del Bronzo e la Prima Età del Ferro (XIX sec. a.C.), con sporadiche attestazioni successive che scendono fino al IV secolo. Si deve all’interessamento di Luigi Lanzi, Regio Ispettore ai Monumenti e Scavi, se nei decenni a cavallo del 1900 furono condotte alcune campagne archeologiche che consentirono lo scavo e lo studio scientifico di almeno qualche centinaio di tombe, laddove tutte le altre andarono distrutte. In un livello stratigrafico inferiore alla necropoli vennero individuati i resti di un abitato molto antecedente, costituito da fondi di capanne assegnabili al passaggio fra Eneolitico ed Età del Bronzo. Un altro settore di necropoli fu scoperto ai primi del Novecento, in occasione dell’urbanizzazione della zona tra Piazza Tacito e la Stazione ferroviaria, in particolare durante la costruzione degli stabilimenti di Virgilio Alterocca, amico di Lanzi, il quale promosse una nuova campagna archeologica. Nella stessa area, nuovi scavi effettuati fra il 1996 e il 2000

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hanno consentito ulteriori rinvenimenti del medesimo sepolcreto: il centinaio di tombe complessivamente scoperto in quest’area è databile nel periodo Orientalizzante, tra la metà del VII e la metà del VI secolo a.C. Un insediamento abitato coevo a questa fase era sicuramente nel centro storico dell’attuale Terni, laddove in più punti negli ultimi decenni sono stati ritrovati resti di fondi di capanne databili tra VIII e VII sec. a.C. In tal senso è altamente significativa la tradizione storiografica locale di età tiberiana, attestata da un’epigrafe databile al 32 d.C., che indica la data di fondazione della città nel 672/673 a.C. Le tombe delle necropoli ternane, soprattutto in questa fase più recente, mostrano una popolazione numerosa e socialmente stratificata: in diversi casi sono provviste di corredi piuttosto ricchi, vari ed abbondanti, espressione di un certo livello di ricchezza raggiunta sia tramite l’esercizio dell’allevamento e dell’agricoltura, sia grazie agli intensi e continui scambi commerciali e culturali derivanti dalla pratica della transumanza. Nella valle ternana infatti, almeno dall’Età del Bronzo, convergono importanti percorsi di transumanza sviluppatisi lungo le valli fluviali che trovano origine nei massicci dell’Appennino centrale e il loro sbocco nel litorale tirrenico della Maremma laziale; il corso del Nera, attraverso il contermine corso del Chienti, era parte di

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un collegamento naturale tra il versante adriatico e quello tirrenico della penisola italiana, di cui Terni era baricentrica. All’inizio dell’Età del Ferro sono databili i tre ripostigli rinvenuti nei pressi di Piediluco tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo: tre ricchi depositi di centinaia di oggetti bronzei, comprendenti anche preziosi oggetti di importazione dal Vicino Oriente, indice delle notevoli possibilità di tesaurizzazione raggiunte da una locale comunità protostorica organizzata in un sistema insediativo intorno ad un lago dal bacino assai più ampio di quello attuale. Un altro insediamento abitato di origine protostorica è localizzabile sopra ad alcuni terrazzamenti artificiali presso l’attuale Cesi, alle cui falde fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo è stata individuata una necropoli databile fra IX e VI sec. a.C., sormontata dalla possente arce di S. Erasmo, fortificata con muri in opera poligonale di incerta cronologia, rioccupata e riconvertita funzionalmente in epoca romana. Nella vetta del soprastante Monte Torre Maggiore insiste un santuario frequentato almeno dal VI sec. a.C., poi monumentalizzato in età romana repubblicana, probabile punto di riferimento di tutta quella comunità protostorica locale che prendeva nome dal fiume che alimentava la vallata sottostante: l’antico Nahar, attuale Nera, il cui nome indicava la presenza di acque


sulfuree nel suo corso. Il popolo dei Naharci è testimoniato nelle famose Tavole di Gubbio, sette manufatti bronzei con lunghe iscrizioni nell’antica lingua degli Umbri, la cui redazione materiale risale al II-I sec. a.C., ma preservanti formule rituali probabilmente antecedenti di qualche secolo. Nel III sec. a.C., dopo avere espugnato (299 a.C.) la munita città umbra di Nequinum ed avere insediato la colonia latina di Narnia (attuale Narni), i Romani occupano la valle ternana, in significativa concomitanza con la conquista della Sabina interna da parte di Manio Curio Dentato (290 a.C.). I conquistatori mettono immediatamente in atto una serie di interventi di grande impatto sul territorio, quali la realizzazione (intorno al 272 a.C.) del cavo curiano della Cascata delle Marmore, attraverso il quale bonificano gran parte della pianura reatina e la rendono coltivabile, favorendo l’insediamento di cittadini romani come coloni viritani, con conseguente regimentazione idrica anche della sottostante pianura ternana. Proprio al III sec. a.C. va riferita la realizzazione della cinta muraria della Terni romana, significativamente denominata Interamna Nahartium, toponimo derivante dalla combinazione del dato topografico (città edificata “tra le acque”, in una sorta di penisola individuata dal percorso del Nera e da quello primitivo del torrente Serra) e di quello storico (la presenza del popolo umbro dei Naharti). Tali mura sono state edificate in opera quadrata nella tipica “pietra sponga” travertinosa locale: unendo il tratto maggiormente conservato, visibile come sostruzione dei giardini

pubblici della Passeggiata, con altri lacerti individuati soprattutto nel secolo scorso, è possibile ricostruire il perimetro di un poligono irregolare con uno sviluppo di ca. 2,5 km che racchiude un’area di ca. 35 ettari. Al suo interno resti di basolato stradale consentono di individuare alcuni isolati ortogonali delle dimensioni di ca. 70 metri di lato, il cui asse principale di riferimento è costituito dal corso della Via Flaminia, che attraversa longitudinalmente l’impianto urbano. Negli ultimi 30 anni alcuni interventi di scavo nel centro storico cittadino -avvenuti sotto il controllo della Soprintendenzahanno consentito di rinvenire numerose testimonianze di importanti edifici romani: in prossimità di Via XI febbraio significativi elementi dell’antico teatro di età augustea; al di sotto di Palazzo Gazzoli i resti di un ampio complesso termale di prima età imperiale; alle spalle dell’ex Palazzo delle Poste le fondamenta di un edificio absidato di età augustea (forse la basilica) che si affacciava sull’antico foro; nell’area dell’ex Palazzo di Sanità in Via Beccaria resti di strutture edilizie risalenti al II sec. a.C., colmate con una notevole quantità di ceramica per essere trasformate in una domus in età augustea e quindi in una fullonica (lavanderia) nel III sec. d.C.; a queste scoperte recenti va aggiunta almeno la domus con peristilio e terme di I sec. a.C. individuata già all’inizio del Novecento al di sotto della chiesa di S. Salvatore. Un vero e proprio intervento programmato di scavo scientifico è avvenuto (19992005) all’interno dell’anfiteatro, il più importante monumento romano della

città (dimensioni dell’ellisse: 97,5 x 73 m), in parte riutilizzato per la costruzione del Palazzo vescovile e della Chiesa del Carmine, consentendo di rilevare gran parte delle strutture di fondazione rimaste sino ad allora interrate. Terni in epoca romana dimostra di essere un municipium piuttosto fiorente, collocata in una posizione topografica assai felice: la feracità della valle alluvionale del Nera è testimoniata dalle fonti classiche, laddove Tacito afferma che a Terni sono i campi più fertili d’Italia e Plinio il Vecchio riporta che qui il fieno viene falciato quattro volte all’anno, mentre il commercio è favorito dall’essere situata lungo il ramo orientale, quello più antico, realizzato nel 220 a.C., della Via Flaminia, la quale metteva in comunicazione Roma con l’Italia settentrionale e il Mare Adriatico. Dopo la caduta dell’Impero Romano seguono per la città alcuni secoli di declino, soprattutto durante il periodo altomedioevale. A partire dalla fine del Cinquecento, grazie anche ad un maggiore stabilità politica, Terni viene concordemente delineata come una cittadina di modeste dimensioni inserita in un territorio irriguo estremamente fertile. I viaggiatori colti del Grand Tour che a partire dal XVII secolo e fino agli albori dell’Ottocento transitano lungo la Via Flaminia alla volta di Roma spesso descrivono la pianura ternana come una sorta di Valle dell’Eden: in particolare la Cascata delle Marmore e le rovine del Ponte d’Augusto a Narni, preziose eredità della cultura tecnica romana, sono siti irrinunciabili da visitare e fanno del comprensorio ternano una meta turistica privilegiata, assai ben prima di Assisi, di Perugia e di altre città dell’Umbria. Ma alla precoce vocazione turistica si sostituirà alla fine dell’Ottocento una prematura vocazione industriale, e qui per Terni e il suo territorio inizia un’altra storia, purtroppo in gran parte irrispettosa e anzi distruttiva di quel florido ambiente naturale celebrato per secoli. In realtà inizia soltanto un’altra parte della sua vicenda storica ultramillenaria, ma per molto tempo durante il secolo scorso le varie amministrazioni civiche succedutesi al governo della città hanno voluto forzatamente imporre una visione “moderna” di Terni, cercando di far credere ai suoi cittadini che non avesse una storia precedente o, quantomeno, che non avesse una storia degna di essere ricordata.

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T E R N I


Giampiero Raspetti

VI Regio Umbria Dolce Umbria

T E R N I

Non ho seguito le orme di San Francesco, bensì quelle di San Giotto; ma, alla fine, mi ha accolto la terra più leggiadra di tutte, con le cittadine più pulite e più graziose di tutte. Oh, Betlemme, il tuo nome è Spello o Trevi - Spoleto o Narni? Io dico, o benedette colline, che su ognuna di voi anche a dio sarebbe piaciuto nascere. E ancora non ho detto il nome di tutte, e nemmeno so come si chiamino i paesini, i casolari e i castelletti sul cocuzzolo delle tondeggianti colline. Il dio umbro creò la pianura perché vi crescessero vigne, pioppi e poggi, perché vi crescessero boschetti inanellati, cipressi e casolari, e colli, perché vi crescessero città con mura etrusche, casette gotiche ed enormi fortezze romaniche. Il dio umbro, poi, ebbe un meraviglioso azzurro per il cielo e un colore ancora più bello, con cui tinteggiò le lontananze e le montagne. Perciò l’Umbria è così miracolosamente azzurra, la più azzurra di tutte le terre. Karel Čapek, Fogli italiani

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Amo Terni, la mia città, ma non ho alcuna difficoltà a sentirmi cittadino di tutti i centri che costellano il territorio per il quale culturalmente (quindi politicamente) mi impegno. Credo fermamente che occorra fare, tutti, un passo in avanti: non essere cioè più arroccati solo sulle bellezze e sul conseguente amore per il proprio quartiere o frazione o paesino, ma sentirsi tutti figli della terra a Est del fiume Tevere che già Cesare Ottaviano Augusto chiamava VI Regio, Umbria, differenziandola dalla VII, la terra a Ovest, chiamata Etruria. Penso che dovremmo provare tutti ad uscire dal nostro particolarismo, sindaci in testa, per profondere il nostro impegno in uno scenario ampio, quello visto e sentito dai viaggiatori del Grand Tour e dai moderni turisti e viaggiatori. Il concetto di “gerarchia urbana” che attiene alle dimensioni delle città, considerandole separatamente tra di loro, sta, a causa della mobilità (di merci e persone) e della diffusione delle tecnologie della informazione e della comunicazione, volgendo al termine. Ora si lavora bene, con occhio rivolto al mondo intero, anche in piccole città, in paesini, in contrade, in eremi. Il monocentrismo appare chiaramente usurato e sorpassato. Personalmente, con il magazine La Pagina Umbria (più propriamente La Pagina della Regio VI di Cesare Ottaviano Augusto) sono fermamente intenzionato a profondere impegno per il potenziamento di una importante rete conoscitiva e progettuale relativa alla cultura ed al turismo. Ritengo che la cultura sia la base di tutto. Aspetto allora che uomini di cultura, ispirati alle più diverse sensibilità partitiche, vogliano essere anch’essi presenti, al fine di poter, tutti, confrontare tranquillamente le personali idee e stimolare nuove e moderne peripezie di pensiero. Sono certo che persone desiderose di esprimere le proprie idealità anche al di fuori dell’agone elettorale si trovino ovunque, pronti a partecipare. La politica è l’arte di risolvere i problemi dei cittadini, ma per risolvere problemi occorre saper produrre progetti risolutivi. Per elaborare progetti significativi c’è bisogno di intelligenza, cultura e conoscenza del territorio nel quale di opera. Cultura universale, non solo umanistica, ma, per la comprensione e la realizzazione di progetti, soprattutto cultura scientifica, all’altezza dei tempi. L'agone politicoamministrativo induce a volte alla contrapposizione in merito a ideologie, favorendo così lo sviluppo di parole e concetti fumosi e generici, programmi sempre noiosamente uguali, salvo encomiabili eccezioni. Noi, nel nostro piccolo, promuoviamo da tempo la conoscenza delle grandi ricchezze sulle quali e attorno alle quali costruire il futuro. Da tempo invitiamo amanti della

CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO


cultura ed associazioni ad unirsi. Per molto tempo ancora lo faremo, nella cocciuta speranza che chi amministra i cittadini o gestisce fondazioni atte alla promozione del territorio, cominci a sapere qualcosa della sua storia e della conseguente possibilità di progettare nuovi, felici e rosei futuri. Chi ha lana, dunque, non esiterà a filare. Un mio progetto, il Centro di Educazione Ambientale per la Valnerina, richiestomi dalla Provincia di Terni per l’ex convento di Santa Illuminata in Ferentillo, data non meno di 20 anni. Ora ha ampliato, nella stesura progettuale, il suo perimetro contenutistico con apporti di geologi e paleontologi. È diventato Laboratorio Apriti Cielo, la scienza a cielo aperto ove si potrebbero studiare fenomeni relativi a terra, acqua, aria, fuoco, con esperimenti e realtà concrete che non possono essere realizzati o osservati negli usuali laboratori scientifici scolastici. È tempo di toccarla con mano la scienza, naturalmente! Nella valle del Nera si può fare! Non c’è territorio al mondo, io credo, in cui sia così possibile e fruttuoso compiere di tali conoscenze scientifiche. La sismologia trova qui la possibilità di forte interpretazione geologica delle principali cause dei terremoti, qui la terra è, ahimè, sensibile e fragile come poche altre. La paleontologia ci ha già dato, ad opera di ricercatori bravissimi, apprezzabilissimi risultati. Il nostro territorio è poi l’autentico trionfo delle acque e delle coltivazioni. L’aria pura e profumata si accompagna ad uno dei cieli più azzurri del mondo. Lo testimoniano Karel Čapek, i tanti turisti ed anche gli osservatori astronomici di Polino, Santa Lucia di Stroncone, Sant’Erasmo di Cesi, grandi punti di riferimento per il laboratorio Apriti Cielo per quanto riguarda il fuoco delle stelle. Ah, se alcuni sindaci si mettessero con noi, seduti attorno ad un tavolo (è già avvenuto altre volte, ricordate?), allora sì che potremmo progettare e realizzare, in 10, quello che potrebbe valere, non 10 né 100, ma 1000 o 10.000! Già ne I Giochi della Valnerina ho cercato, per due anni, di unire alcuni paesi e alcune città. Ed ho istituito gare tra studenti, con la collaborazione attenta e significativa dell’Arch. Gabriele

Ferracci e di molti suoi colleghi: gare di pittura, di fotografia, di poesia tutte tese a rappresentare le bellezze della nostra terra. E pensavamo, insieme agli studenti, ad una terra unica, la Valnerina, senza curarci di essere, al momento, in un paesino o in un altro, in una città o in quella vicina! Ricordo ancora con quanto diletto cercai di promuovere un concorso semplicissimo da svolgere (con una piccolissima collaborazione da parte dei sindaci): l’elezione annuale di Madonna Valnerina, concorso lontanissimo da quelli consunti e penosi per "miss femmina". Ho sempre pensato alla espressione del volto, di una bambina o di una donna, giovane, anziana o vecchia che sia. Il suo volto, senza cosmetica, naturale come la Valnerina! Costerebbe niente, ma renderebbe tantissimo! Sono mondialista, poi europeista, poi italiano, poi umbro. Oggi, con il cuore e con la mente, sono in tutti i centri della VI Regio Augustea, quindi sono ternano, ma anche amerino, narnese, ferentillese, schegginese... Questa Regio, come indica anche l'Istat, ne La nuova geografia dei sistemi locali, ha grande possibilità perché dotata di ingente potenzialità. C'è dunque da rimboccarsi le maniche e cominciare a sviluppare un territorio che non solo da me, ma da molti ormai, è ritenuto il più bello e il più ricco del mondo! Le esposizioni dei beni materiali ed immateriali (quel che già c'è e quello che sapremo inventare, tutto quello che ogni Comune presenterà su queste pagine) favoriranno, a molti di noi, amministratori o semplici amanti della cultura e del territorio, nuove, intelligenti manifestazioni da intuire, generare, ampliare, realizzare insieme. E questo è il primum movens, il compito che mi sono assegnato in quanto cittadino, cioè Senatore della città.

ISTAT

Istituto Nazionale di Statistica LA NUOVA GEOGRAFIA DEI SISTEMI LOCALI

La potenzialità del patrimonio del secondo gruppo (terre in grigio nella foto in alto), i cui sistemi locali sono caratterizzati da valori elevati per la consistenza del patrimonio culturale e paesaggistico, ma in cui è carente la componente formativa e produttiva e che potrebbero compiere un “salto di qualità” se riuscissero a promuovere una crescita anche nella dimensione imprenditoriale.

Prima di tutto, però, occorrono capacità (NdR) e conoscenza.

CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO

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T E R N I


MUSEO DEL TARTUFO URBANI IN MEMORIA DI PAOLO URBANI

PERUGIA UMBRIA


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