La Pagina Umbria Ottobre 2016

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Giochi della

Valnerina

Numero 24 Ottobre 2016 Mensile a diffusione gratuita di attualità e cultura

Foto Alessandro De Angelis

Abbiamo bisogno di persone che riescano a sognare cose mai esistite. John Keennedy

• Civile • Lavoro • Famiglia

Corso del Popolo n. 26 - Terni

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Siamo tutti diversamente abili

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Giampiero Raspetti

13 LA PAGINA UMBRIA Mensile di attualità e cultura Registrazione n. 2/2014, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis 12 Tipografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Alberto Mirimao Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 348.2401774 info@lapagina.info lapagina.redazione@gmail.com Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

Paolo D’Aloja, un sogno chiamato Piediluco

I Giochi della Valnerina Assaciazione La Pagina

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Stefano Lupi

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La lingua di Adamo II° Paul François Georgelin

Il Terremoto di Messina Pierluigi Seri

Il piano ANBI contro il rischio idrogeologico

Consorzio bonifica Tevere Nera...................pag. 14

Vite parallele: personaggi a confronto

Liceo Classico.......................................................pag.

DOVE TROVARE LA PAGINA

TERNI Associazione La Pagina - Via De Filis; AZIENDA OSPEDALIERA Santa Maria; ASL - V. Tristano di Joannuccio; CRDC Comune di Terni; INPS - V.le della Stazione; Libreria ALTEROCCA - C.so Tacito; Innumerevoli negozi del centro città e della periferia di Terni e tutti i paesini e i borghi intorno alla città.

Programma

Ass. Culturale La Pagina.................................pag.

16 19

VIPARO................................................................pag. 23

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Corso Tacito, 29 - 05100 Terni Tel. 0744 409201 - Fax 0744 437602 Email: libreria.alterocca@gmail.com

Farmacia CASCELLI...............................pag. 24


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Siamo tutti diversamente abili Giampiero Raspetti

Quella che racconto è una bella favola, anzi è l’inizio di una bellissima storia che cercheremo di sviluppare e far fiorire anno dopo anno. Mi riferisco a I Giochi della Valnerina, giochi per tutti, da giocare insieme, sia voi cosiddetti normodotati, sia noi cosiddetti diversamente abili. Vi presento intanto la cumitia (nome del dialetto ternano dal sapore miselliano), un insieme portentoso di intelligenze, di conoscenze, di energie, di abnegazione, di capacità realizzative di cui, credetemi, non si ha l’eguale se non nelle migliori associazioni del volontariato. Anche noi, non maggiaioli ma giocaroli, svolgiamo volontariato a favore della nostra città e del nostro territorio e, ovviamente, paghiamo tutto di persona, ma almeno non siamo maleaccompagnati. Il volontario, si sa, non è renumerato, non perché non vale nulla, ma perché quel che fa è di inestimabile valore. Il volontario è umile, colto, cittadino tra i cittadini e non entrerà mai nelle mire delle altissime sfere. L’elenco delle persone, organizzatori, collaboratori, amici è interminabile, non basterebbe l’intera pagina. Non posso comunque tacere alcuni nomi. Solo i nomi, sia perché ci basta riconoscerci tra di noi, sia perché nessuno è minimamente interessato ad arrampicate partitiche, anzi, siamo certi di essere tra i pochi ad impegnarci correttamente nella politica, nel suo vero, nobile significato e quindi totalmente lontani dai giochi della partitica. Riteniamo infatti che politica, problema, progetto siano parole identiche, addirittura le stesse, nei significati correnti, nella semantica, nella etimologia. Come dire: non fa politica, ma si nutre di partitica, chi non ha la piena conoscenza del suo territorio e della sua storia, non sa progettare e quindi non risolve i problemi dei cittadini. La cumitia, allora: Chiara, Cristiana, Nicolò, Gabriele, Stefano, Benito, Giacomo, Enrico, Adalberto, Francesco, Alessandra, Miro, Danilo, Rino. Vi ringrazio, a nome della città e del territorio. Ci chiedono: ma dove avete trovato le risorse economiche per realizzare eventi di simile portata? Non possiamo non rispondere: l’abbiamo trovate tra noi, organizzatori, collaboratori e amici. Ringrazio tutti. Io personalmente ho contribuito in maniera sostanziosa. L’ho fatto con orgoglio e con gioia infinita, perché chi ama davvero i propri concittadini, dà soltanto, mai prende. Se è vero, come ammonisce Voltaire, che ogni uomo è responsabile di tutto il bene che non ha fatto, ebbene, io, credendo o illudendomi di essere uomo, voglio essere il meno responsabile possibile. E così le tre giornate sono fiorite. Ve le racconto con le foto che trovate all’interno, Foto Alessandro De Angelis una piccola parte delle foto

in nostro possesso. Vorrei farvi gioire mostrandovele tutte, ma La Pagina Umbria costa, moltissimo, e il mio portafogli è orribilmente sgonfio. Dalle foto vedete le attività svolte, i giocosi momenti. Non vedete la fitta rete di relazioni che si stanno sviluppando per far sì che ogni anno, da aprile a luglio, si possano celebrare i giochi in tutta la Valnerina, da Castelsantangelo sul Nera ad Orte, con la presenza finalmente della città di Terni, da persone disattente ritenuta fuori della Valnerina, mentre la nostra Interamna Nahars è semplicemente il più grande e storicamente famoso insediamento proprio sul fiume Nera e dal Nera prende il nome. Di tutto vi informerò puntualmente. Due i simboli dei Giochi. Uno, la maratoneta Ruth Chemitok, che ha annunciato proprio nel corso della Cerimonia di Apertura de I Giochi (a Piediluco) che riceverà il prestigioso riconoscimento Pierre de Coubertin World Fair Play Trophy il 15 ottobre a Budapest. Il riconoscimento le è stato assegnato dietro proposta del Panathlon Club di Terni. L’altro, il ternano Gabriele Scorsolini, sedicenne ipovedente che ha suonato, durante la Cerimonia di Chiusura (a Ferentillo), l’inno della Valnerina, da lui composto. Gabriele, seguito in particolare da Chiara Mari e Paolo Petasecca Donati, si allena per conquistare le vette dell’Himalaya. Per questo motivo Stefano Lupi ha organizzato, per noi e per il Coni di Terni, un incontro presso il Comune di Ferentillo (foto in prima pagina e qui accanto) per la consegna a Gabriele della bandiera de I Giochi, bandiera che lo accompagnerà ovunque, sia per rappresentare la nostra preziosa terra al mondo intero, sia quando mostrerà tangibilmente il coraggio da leone che lo pervade. È anche, e soprattutto, così che Terni e la Valnerina travalicano, con successo ed enorme ritorno d’immagine, i confini angusti che ancora siamo costretti a vivere. Seguiteci. Tra poco assisterete ancora alle celebrazioni da noi volute (insieme a nostri corrispondenti di 8 nazioni estere, al Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, al Centro per gli Studi dell’Alto Medioevo di Spoleto e a tanti altri), di Terni, città di San Valentino, capitale dei diritti umani. Lo sanno ormai in tanti e in tanti luoghi, speriamo che anche qui qualcuno se ne accorga!


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I Giochi della Valnerina

Ăˆ stata anche LA FESTA DEGLI STUDENTI Hanno vivacizzato ed onorato la manifestazione, insieme a tanti, l'Istituto Tecnologico di Terni, l'Istituto Comprensivo di Arrone, Ferentillo, Montefranco, il Liceo Artistico e il Liceo Classico di Terni. Molte foto relative a momenti giocosi degli studenti saranno pubblicate nei prossimi numeri.

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OSTERIA

dello SPORTELLO Tel. 347.6233904

Via dello Sportello, 2 - 05031 Casteldilago - Arrone (TR)


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Foto di:

Giampaolo Napoletti Alessandro De Angelis Filippo Terenzi

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Paolo D’Aloja, un sogno chiamato Piediluco Il canottaggio azzurro costruito in punta di remi

Il canottaggio moderno nasce in Inghilterra. Re Enrico VIII, allarmato dagli incidenti causati dall’eccessivo numero dei vogatori, decise che occorreva una particolare autorizzazione (una specie di patente nautica dell’epoca) per poter remare. Al tempo circolavano sul Tamigi più di 3200 vogatori, muniti di regolare licenza, tra i quali un numero sempre crescente di studenti. Parallelamente all’accresciuta abilità dei vogatori, si sviluppò in Inghilterra la passione per le regate a livello agonistico. All’inizio del 17° secolo transitavano non meno di 40.000 battellieri. Tutto ciò creò inevitabilmente un clima di competizione che diede origine alle prime vere regate di canottaggio. Ai primi dell’Ottocento, sulla spinta appassionata degli studenti universitari, cominciarono a sorgere in Inghilterra i primi club di canottaggio. L’Italia si affacciò sulla scena remiera solo nella seconda metà del 19° secolo, in netto ritardo rispetto all’ Inghilterra ed agli altri Paesi europei. La città che raccolse e diffuse in Italia la pratica del canottaggio fu Torino, anche se la prima società fondata fu la toscana Canottieri Limite (1861). Gli studenti universitari italiani, sull’esempio dei loro colleghi inglesi e francesi, diedero un contributo notevole alla diffusione di questo sport. La prima edizione dei Campionati nazionali si tenne a Stresa nel 1889. Dopo la Prima Guerra mondiale, il canottaggio italiano riprese la sua attività: nel 1919 si disputò il 26° Campionato nazionale. Nel secondo dopoguerra il movimento sportivo del canottaggio ebbe un rinnovato vigore. Nel 1981 la svolta: il presidente della FIC Paolo d’Aloja (dal 1976 al 1985) portò in Italia il tecnico norvegese Thor Nilsen, con il quale nel decennio 1981-90 si raggiunsero ottimi risultati sportivi e podi importanti. Intanto, a Castellammare di Stabia, un giovane medico ed ex canottiere, Giuseppe La Mura, allenava sul mare i due nipoti Giuseppe e Carmine Abbagnale, con i quali scrisse poi, una delle pagine più belle della storia del canottaggio italiano. Pochi anni prima prende forma

la felice intuizione del presidente d’Aloja: la costruzione del centro nazionale di canottaggio a Piediluco, nato nel 1977 dalla collaborazione fra il CONI, la FIC, la Regione Umbria, l’Amministrazione provinciale ed il Comune di Terni. Oggi chi arriva al Centro di Preparazione Olimpica della Federazione a Piediluco, trova una struttura remiera accogliente e funzionale, conosciuta in tutto il mondo. L’impianto, semplice e razionale, progettato da Franco Bovo, figlio di Mario, tra i più stimati allenatori italiani di canottaggio, ha un’architettura integrata felicemente con il paesaggio circostante. Costruito sulla sponda nord-est dell’omonimo lago, il centro occupa un’area di circa 23.500 metri quadrati. Le acque del lago, solitamente tranquille e riparate dai venti, permettono in tutti i mesi dell’anno il regolare svolgimento degli allenamenti e delle regate. Il Centro di Piediluco ha meritato negli anni il riconoscimento da parte degli organismi remieri internazionali: nel 1980 ha ospitato con successo la Coppa delle Nazioni riservata ai canottieri under 23 e nel 1982 il Campionato juniores della Federazione internazionale di canottaggio (FISA); dal 1985 è sede del ‘Memorial Paolo d’Aloja’, una manifestazione nata per ricordare lo scomparso presidente della FIC (al quale lo stesso Centro è intitolato) che si svolge annualmente in primavera come regata di apertura del calendario remiero internazionale. Insostituibile punto di riferimento di tutta l’attività del canottaggio azzurro, Piediluco ha contribuito ai successi sportivi dei nostri atleti. L’impianto è provvisto di attrezzature specifiche per il canottaggio: sala per i remoergometri (strumenti che simulano il movimento della voga consentendo l’allenamento in qualsiasi

situazione meteorologica), palestra, sala per le valutazioni fisiologiche, sale massaggi, pronto soccorso, sauna, deposito per circa 80 imbarcazioni ecc. La FIC nel 1982 realizza l’idea comune, nata dall’allora presidente d’Aloja e dal direttore tecnico Nilsen, di un College per vogatori studenti. Tra i tanti giovani atleti che hanno frequentato il College, alcuni hanno vinto medaglie olimpiche e mondiali nelle categorie seniores, juniores e pesi leggeri. Ricordiamo campioni come Davide Tizzano (oro olimpico nel 4 di coppia a Seul 1988 e oro olimpico nel doppio ad Atlanta 1996, più volte campione mondiale junior e senior), Alessio Sartori (oro olimpico a Sydney 2000, pluricampione del mondo junior e senior) e Simone Raineri, anch’egli medaglia d’oro a Sydney alla guida del 4 di coppia. Negli anni 1982-83 e 1983-84 ha funzionato a Piediluco anche un College femminile. Un sincero ringraziamento al presidente Paolo d’Aloja, uomo dalle forti idee e capace di radicali decisioni. La comunità ternana deve molto a questo dirigente sportivo moderno e lungimirante, che ritenne opportuno e doveroso rivedere radicalmente la programmazione federale, puntando sul lago di Piediluco. A noi il compito di mantenere e migliorare il centro remiero che ci ha lasciato, ricordando con azioni concrete la memoria di un grande presidente, prematuramente scomparso. Sarebbe ora che una via della città di Terni fosse dedicata a Paolo d’Aloja. Dott. Stefano Lupi Delegato Coni Terni

Paolo D'Aloja


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CONSORZIO DI BON Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it

IL PRESIDENTE FRANCESCO VINCENZI: AL MINISTRO GALLETTI PRESENTIAMO PROGETTI DEFINITIVI ED ESECUTIVI. SIAMO PRONTI AD APRIRE I CANTIERI! L’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio ed Acque Irrigue), nel presentare a Roma, presso la Presidenza del Consiglio, il Rapporto per la Riduzione del Rischio Idrogeologico “Manutenzione Italia 2016 – Azioni per l’Italia sicura”, indica al Governo progetti concreti per la cura e la tutela del territorio. Questo contributo tende a realizzare un programma di manutenzione e prevenzione del dissesto idrogeologico sul territorio italiano ed è da considerarsi la più importante opera pubblica di cui il Paese ha bisogno. Nell’apprezzare il profondo cambiamento verificatosi con la scelta del Governo di privilegiare la prevenzione rispetto all’intervento in emergenza, l’ANBI sollecita ulteriori scelte, tenendo conto del contributo progettuale dei consorzi di bonifica e del ruolo da essi svolto per la riduzione del rischio idrogeologico. Francesco Vincenzi, Presidente ANBI, su queste tematiche ha introdotto i lavori per la presentazione del report, presente il

IL PIANO ANBI CONTRO IL Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti e Massimo Gargano (Direttore Generale ANBI). Il ministro ha ribadito come, in materia di prevenzione idrogeologica, il problema non sia la disponibilità di risorse, quanto la capacità di spesa. Ha aggiunto inoltre che il Piano di progetti definitivi, redatto dall’ANBI, è non solo un esempio da imitare, ma soprattutto un patrimonio da cui attingere. “Dobbiamo aprire i cantieri!”ha sottolineato Galletti. Sono 3.574 gli interventi, articolati per regione, previsti dal Piano ANBI per la Riduzione del Rischio Idrogeologico. Parliamo di progetti definitivi ed esecutivi (occorre solo il finanziamento) per un investimento complessivo di circa 8.006 milioni di euro, capaci di attivare oltre 50.000 posti di lavoro. L’ANBI auspica che di tali indicazioni si possa tener conto nella prossima Legge di Stabilità. Stimare il valore della sicurezza non è possibile, ma il costo del dissesto idrogeologico certamente sì: 2,5 miliardi di euro all’anno. Il Piano ANBI prevede perlopiù manutenzioni straordinarie di opere idrauliche ed il ripristino di fenomeni di dissesto geologico nei comprensori di bonifica. Ad essi si affianca la costante azione di manutenzione ordinaria svolta dai Consorzi. Secondo i dati del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il 9,8% del territorio nazionale è costituito da aree ad elevata criticità idrogeologica; si tratta dell’82% dei comuni, dove si stimano a rischio 6.250 scuole, 550 strutture sanitarie, circa 500.000 aziende (agricole comprese), 1.200.000 edifici residenziali e non. Il totale dei comuni italiani interessati da aree con pericolosità da frana e/o idraulica risultano pertanto 7.145, pari all’88,3%, mentre i comuni non

Chioano

interessati da tali aree risultano solamente 947. La popolazione italiana a rischio frane è 5.624.402 abitanti (1.224.000 abitanti nelle aree a maggiore pericolosità), le imprese a rischio sono 362.369 (79.530 nelle aree a maggiore pericolosità), 34.651 sono i beni culturali a rischio (10.335 nelle aree a maggiore pericolosità). La popolazione a rischio alluvioni è di 9.039.990 abitanti (di cui 5.922.922 a pericolosità media ed elevata), le imprese a rischio sono 879.364 (di cui 576.535 a pericolosità media ed elevata), i beni culturali a rischio sono 40.454. L’intensa urbanizzazione, sviluppatasi senza tenere in considerazione le aree fragili dal punto di vista idrogeologico (alluvioni, frane, dissesti), il contemporaneo abbandono delle aree collinari e montane da parte della popolazione e delle attività agricole, i cambiamenti climatici hanno acuito la fragilità del territorio. Nonostante un importante rallentamento negli ultimi anni, il consumo di suolo in Italia continua a crescere: tra il 2013 e il 2015, sono stati cementificati altri 250 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 35 ettari al giorno. I dati della rete di monitoraggio mostrano come, a livello nazionale, il suolo consumato sia passato dal 2,7% degli anni ’50 al 7% per il 2015: in termini assoluti, si stima che il consumo di suolo abbia intaccato ormai circa 2.110.000 ettari del nostro territorio. L’adeguamento delle opere di bonifica idraulica è quindi condizione fondamentale per la sicurezza territoriale, necessaria non solo all’esercizio dell’agricoltura, ma indispensabile per qualunque attività economica. Se non vi è stabilità del suolo non si realizzano investimenti per Infrastrutture. “Il nostro

Carcarello


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IFICA TEVERE NERA RISCHIO IDROGEOLOGICO

Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00

Fosso La Para nel Comune di Lugnano in Teverina L’intervento di manutenzione è stato eseguito nel mese di Agosto ed è consistito nel taglio e triturazione della vegetazione ostruente la sezione (spini, cannucciole, arbusti, ecc.) e nel ripurgo del fondo dai materiali trinciati. La lunghezza dell’intervento, eseguito sotto la loc. Mori, è pari a circa 1 km. Fosso Carcarello nel Comune di Otricoli La manutenzione del fosso Carcarello sotto la loc. Baucchelle in comune di Otricoli è la prosecuzione dell’intervento effettuato precedentemente dal Consorzio nel 2014. I lavori hanno riguardato la pulizia del fosso dalla fitta vegetazione infestante che impediva lo smaltimento delle acque, la leggera risagomatura della sezione e la rimozione di alcune alberature

Leonessa

Piano – ha commentato Francesco Vincenzi, Presidente dell’ Anbi, è la risposta concreta all’invito del Ministro dell’Ambiente, Galletti, ad aprire cantieri contro il dissesto idrogeologico”. In linea con questa impostazione il Consorzio di Bonifica Tevere Nera il cui Presidente Massimo Manni ne illustra l’attività riguardante le recenti manutenzioni eseguite: Fossi di Gabelletta e Schiglie in loc. Gabelletta di Terni E’ in itinere l’attività di manutenzione eseguita dal Consorzio Tevere Nera sul fosso di Gabelletta, nel tratto compreso tra la confluenza con il torrente Tarquinio e la loc. Fontana Vagoti, per complessivi 1,5 km. Verrà effettuato il taglio della vegetazione interna, la pulizia del fondo e la rimozione di tutte le alberature e ramaglia cadute all’interno della sezione di deflusso. A seguire verrà effettuata la pulizia del fosso Schiglie nel tratto compreso tra la confluenza con il Tarquinio e la ex ferrovia Centrale Umbra, per circa 1,8 km. Fosso di Leonessa nel Comune di Terni, loc. Piediluco Sono da poco terminati i lavori di pulizia del fosso di Leonessa in comune di Terni, loc. Ara Marina di Piediluco. Il tratto ripulito interessa il lago di Piediluco fino al confine regionale (circa 750 ml.). Gli interventi sono consistiti essenzialmente nel taglio della bassa vegetazione che ostruisce la sezione

idraulica ed una leggera risagomatura in corrispondenza della confluenza sul lago stesso. Fosso Sanguinaro nel Comune di Narni Si sta effettuando la pulizia del fosso nel tratto sotto la loc. Collevaglione. Gli interventi riguardano: la rimozione di una notevole quantità di materiale vegetale, una leggera risagomatura della sezione e la realizzazione di un breve tratto di scogliera in alveo. Fosso Pozzarighe nel Comune di Amelia E’ da poco terminato l’intervento. I lavori sono consistiti nella rimozione delle alberature cadute all’interno, nel ripristino di erosioni spondali con grossi massi in pietra, nella pulizia dell’alveo e nel taglio della bassa e media vegetazione. Il tratto oggetto d’intervento è quello a monte della strada dell’Aquilano per circa 1,5 km.

La Para

Fosso di Chioano in comune di Todi E’ terminato l’intervento sul fosso di Chioano in comune di Todi, affluente del torrente Rio posto in corrispondenza dello svincolo per Todi-S.Damiano. I lavori, eseguiti direttamente dal Consorzio in Amministrazione diretta, sono consistiti nel taglio e triturazione della bassa vegetazione cresciuta in alveo, nella leggera risagomatura della sezione idraulica e nella realizzazione di un breve tratto di scogliera in corrispondenza di un vivaio posto a margine. Il tratto oggetto d’intervento è stato di circa 1 km. Strada vicinale delle Sore in comune di Stroncone Nell’ambito dell’Accordo sottoscritto tra il Consorzio ed il Comune di Stroncone, si è proceduto alla sistemazione del fondo stradale di un tratto della strada vicinale delle Sore. In corrispondenza dei tratti più ripidi è stato effettuato un getto di calcestruzzo armato con rete elettrosaldata che, di fatto, ha migliorato il transito locale nella vasta zona agricola del luogo. La spesa dei lavori, eseguiti tramite appalto, verrà divisa equamente tra il Consorzio ed il Comune.


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“VITE PARALLELE: PERS Il Concorso per le scuole dell’AICC invita alla

Ogni anno è un’emozione. L’attesa trepida di aprire le buste e leggere, finalmente, gli elaborati dei giovani scrittori/artisti si rinnova puntualmente ogni settembre da anni. E ogni anno sorprende. Sorprende leggere storie, poesie, monologhi, interviste ispirati a personaggi, episodi di classici di ogni tempo. Dal “classico dei classici”, l’Odissea, alla Divina Commedia, all’Orlando Furioso, fino alle Mille e una notte o addirittura al genere fantasy, più recente ma non meno appassionante, de Lo hobbit… le infinite storie diventano reagente per nuove narrazioni, parodie, rielaborazioni… in un gioco di specchi senza fine, che è la letteratura. Un luogo dell’anima dove si impara a vivere. Dove si diventa grandi. Prof.ssa Annarita Bregliozzi Presidente Associazione Italiana di Cultura Classica - Terni Pubblichiamo i lavori che si sono aggiudicati il primo premio delle tre sezioni: per la Scuola secondaria di primo grado la vittoria è andata alla giovanissima Gisella Celentano, dell’I.C. “A. De Filis” di Terni, che ha scritto un racconto ispirato a “Lo Hobbit” di Tolkien; per il biennio della scuola secondaria Per un qualche curioso caso, un mattino di molto tempo fa, nella quiete del mondo, quando c’era meno rumore e più verde, e gli hobbit erano ancora numerosi e prosperi, e Bilbo Baggins stava sulla porta dopo colazione fumando un’enorme pipa di legno che gli arrivava fin quasi alle pelose dita dei piedi (accuratamente spazzolate), ecco arrivare Gandalf. Gandalf! Se di lui aveste sentito solo un quarto di quello che ho sentito io, e anch’io ho sentito ben poco di tutto quello che c’è da sentire, vi aspettereste subito una qualche storia fuor del comune. Storie e avventure spuntavano fuori da ogni parte, dovunque egli andasse, e del tipo più straordinario. (J.R.R. Tolkien, Lo hobbit)

LO HOBBIT

Un silenzio dorato avvolgeva lo stregone mentre si dirigeva a passo lento verso la casa di Bilbo. La sua figura spiccava alta, fine e saggia, il volto allungato era serio e solenne, ma lasciava trasparire la stanchezza dell’uomo, aveva una barba lunga e candida, ben curata e tenuta in perfetto ordine. Lo hobbit, accortosi dell’arrivo del mago e conoscendone la natura avventurosa e inquieta, alzò appena lo sguardo, fingendosi indifferente e sperando che la meta del famigerato Gandalf non fosse proprio la sua dimora. Ma fu presto deluso, lo scintillio dei suoi occhi cinerini si posò implacabile su di lui: “Buongiorno Bilbo Baggins, non è più d’uso dalle vostre parti, salutare un ospite al suo arrivo?”. “Mi scuso per la mia imperdonabile distrazione, stavo ragionando su come salvare dall’imminente gelata le gemme della mia vigna! Ma accomodati Gandalf, te ne prego!”. Lo hobbit scortò l’anziano ospite nella sua dimora. Essa, pur essendo sotterranea, era ben riscaldata e arredata con gusto: la fioca e calda luce le donava un’atmosfera di quiete, due belle poltrone erano poste l’una davanti all’altra, al centro della stanza, divise da un piccolo tavolino di legno pregiato. Sul tavolo, era in bella mostra un raffinato vassoio d’argento, al muro era appoggiata una grande credenza ricolma di ogni tipo di leccornia, più in basso, erano accuratamente riposte bellissime tazze, delicati bicchierini da liquore e piatti dai sofisticati decori che facevano tutti evidentemente parte della preziosa collezione dello hobbit. Bilbo prese dalla credenza un paio delle sue più fini porcellane e vi versò del tè fumante e profumato. Dopo essersi ampiamente rifocillato, lo stregone lo ringraziò e uscì con lui sulla veranda. Bilbo gli offrì del tabacco e una pipa, i due presero a fumare in silenzio, ma ad un tratto il fumo che

di secondo grado la migliore è stata Virginia Venturi, che ha dato voce al dramma di una delle sirene, mentre per il triennio il primo posto se lo è aggiudicato Francesco Pambianco con una riscrittura rap dell’episodio dantesco di Paolo e Francesca, entrambi del Liceo Classico “Tacito” di Terni. Complimenti ai vincitori e ai loro docenti! La traccia comune era la seguente: Prendendo spunto da uno dei seguenti passi tratti da grandi classici della letteratura, continua tu la storia, immaginando un seguito in modo creativo e personale, pur tenendo conto dei contenuti dell’opera citata, del pensiero dell’autore e/o del tema, anche con riferimenti ad altre opere o ad autori antichi e/o moderni. Puoi scrivere un racconto, un dialogo/ sceneggiatura teatrale, una poesia, ma anche realizzare un radiodramma, un cortometraggio o un’altra forma di espressione (es. fumetto), anche con l’uso delle moderne tecnologie. Scegli se mantenerti coerente con il tono e lo stile dell’autore, oppure se attualizzarlo o, addirittura, parodiarlo... fuoriusciva dalla pipa di Gandalf cominciò ad assumere strane forme; c’erano figure grosse e minacciose che sembravano sprigionare una forza immensa e brutale, si trattava dei troll, ma ce n’erano anche di esili, aggraziate e leggiadre come solo gli elfi possono essere. Bilbo vide poi il fumo assumere ancora la forma di giganti dalle lunghe mazze pronte a colpire, di fate piccole e dispettose e, infine, di un nemico oscuro e potente, in grado di sconfiggere anche il più temuto degli stregoni! Quelle immagini spaventarono a morte lo hobbit che si era rannicchiato il più lontano possibile dai brutti scherzi di quella pipa nefasta! Ma il fumo continuava ad assumere le sembianze delle più diverse creature, ad un ritmo sempre più vorticoso, Gandalf sembrava divertito dalla paura del compagno e non accennava a smettere il suo gioco crudele! Poi parlò e disse: ”Temo, caro amico, che il prossimo anno non potrai gustare il tuo ottimo vino!”. Lo hobbit sempre più inquieto chiese: “Cosa intende maestro Gandalf ?”. L’altro rispose con sicurezza: “Intendo che quando arriverà la gelata tu non sarai più qui!”. Allora l’altro, balbettante, sapendo che stava per cacciarsi in un guaio facendo quella domanda, chiese concitato: “Come mai? Cosa intende? Perché non dovrei essere qui? E cosa erano quelle immagini nel fumo?”. “Vedi, caro Bilbo, è iniziato tutto qualche mese fa, quando sono andato a fare visita ad un mio caro amico nel regno degli elfi, mi sono recato nella sua dimora, situata nella biblioteca di corte. Egli era il custode della biblioteca ed era un uomo dalle infinite conoscenze, ero andato a fargli visita perché mi aveva parlato di un grave problema che incombeva su tutti noi. Non ne aveva fatto ancora parola con nessuno, ero il primo a cui lo confidava... si trattava di una profezia funesta per il futuro destino del mondo. Le popolazioni, accecate da un insano odio, si sarebbero scontrate a morte, fino a totale distruzione, a meno che un erede dei Tuc non riuscisse a dimostrare loro, in tempi non sospetti, la necessità che gli uni hanno degli altri! Bilbo, che al solo pensiero di partire, visitare terre sconosciute e vivere un’avventura si sentiva venir meno, prese ad accampare scuse di ogni genere, facendo addirittura finta di non conoscere i Tuc. Al che Gandalf sornione esclamò: “Non conosci dunque il cognome di tua madre?”. Bilbo non aveva più scuse, Belladonna Tuc era sua madre e non poteva certo negarlo, visto che lo stregone Gandalf sembrava sapere di lui più cose di quante ne sapesse egli stesso! Così l’anziano, lasciando il povero Bilbo balbettante e incredulo, si congedò dicendo: “Ci vedremo qui stasera, verranno anche alcuni “amici”!”


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ONAGGI A CONFRONTO” - VII EDIZIONE scrittura creativa alla scuola dei classici di ieri e di oggi. Al tramonto lo hobbit sentì bussare alla porta, andò ad aprire aspettandosi di trovare Gandalf con il suo amico, invece vide una schiera di nani dalle facce furbe e sorridenti e dalle barbe svolazzanti, si trattava di: Dwalin e Balin, di Kili e Fili di Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin. Più tardi arrivarono anche Bifur, Bofur, Bombur e Thorin. Ben presto Bilbo si trovò la casa invasa da una miriade di nani banchettanti e in vena di declamare versi. Gli fu chiaro di non avere scampo e, come Gandalf chiarì loro, l’indomani alle prime luci dell’alba si sarebbero messi in viaggio. Ma per dove? Questa era la faccenda su cui il mago dei maghi continuava a fare il misterioso. Quando ormai litri di vino erano scorsi, pizze di formaggio e chili di insalata di pollo consumati, decine di versi cantati, Gandalf impose il silenzio e declamò: Tornerà l’inverno a farsi dello hobbit scherno, ma dai nani sarà salvata la vite arricciolata. Dell’elfo la bellezza non basterà a salvare la sola saggezza. Sarà la forza del bruto a far pentire il più astuto e delle fate la leggerezza a illuminare delle altre genti la fierezza. Bilbo guardava Gandalf con espressione di disperata rassegnazione, egli con fare solenne aggiunse, infine, che solo il viaggio avrebbe fatto luce sulle sue parole, viaggio che sarebbe iniziato di lì a qualche ora. Così, poco dopo, il casalingo e pacato Bilbo, si ritrovò insieme ad una banda di nani festaioli e ad un mago, che in pochi minuti era riuscito a rivoluzionare la sua vita tranquilla e a renderla un’avventura. Stava partendo per chissà dove! Non credeva neanche lui a quello che stava succedendo! Anche i nani ebbero presto prova della “scarsa inclinazione” dello hobbit per viaggi e avventure, infatti egli diede loro filo da torcere con lamentele di ogni genere: la prima fu per il cavallo, i suoi enormi piedi non entravano nelle piccole staffe, che alla fine furono allargate dai pazienti nani; una volta in sella, Bilbo dichiarò che essa era per lui, abituato alle sue morbide poltrone, troppo scomoda, poi gli venne freddo, fame, sonno ... insomma, a fine giornata, i nani erano esausti, e Bilbo non faceva altro che pensare malinconico e nostalgico alla sua bella casetta sotterranea. Dopo giorni e giorni di cammino, la strana combriccola giunse sul limitare di un fitto bosco. Bilbo, curioso anche se impaurito, si addentrò, c’era qualcosa che lo spingeva all’interno di quella foresta, e aveva sete di scoprire cosa contenesse! Non fu deluso perché ben presto scorse inciso sul tronco di un albero la seguente iscrizione: Basta indugiare è l’ora buona per osare! Leggendo quelle parole Bilbo si sentì ardere da un nuovo sentimento, da un immane coraggio che non aveva mai provato, sentì che poteva far in modo che la profezia non si avverasse, lui era il prescelto, lui avrebbe trionfato! Così si avvicinò e subito sentì una voce saggia e profonda che sembrava provenire dall’albero stesso: “Sepolti in un cratere oscuro e profondo, i semi dell’odio avvelenano il mondo. Un campione di ogni razza dovrai con te portare e insieme a loro a lungo viaggiare. Finché il bene non dia i suoi frutti e i semi dell’odio siano distrutti”. Questo disse la quercia a Bilbo chiarendogli tutto, ora sapeva cosa fare. In fretta radunò un rappresentante di ogni razza: un’elfa dai lunghi capelli corvini così bella da oscurare tutti gli altri, Nafarii, una fata graziosa e leggera, Giugafa, un orco difficile da domare, Pruntus, un troll dalla forza bruta e dall’intelligenza non altrettanto sviluppata, e infine Thorin il capo dei nani. Bilbo prontamente ordinò ai compagni di dividersi in due squadre: Thorin e Giugafa e Nafarii insieme a Pruntus. I quattro avrebbero perlustrato le due strade opposte che costeggiavano la foresta alla ricerca dei semi e si sarebbero incontrati al guado, dove la vegetazione si diradava. Inizialmente il viaggio fu duro per le due coppie. “Guarda un po’ che mi tocca fare, io così bella e aggraziata, costretta a stare in coppia con un simile bruto!” disse indignata la fata; il nano dal canto suo si affrettò a mugugnare : “Ma stai un po’ zitta fatina dei miei stivali di camoscio, la tua voce mi trapana

i timpani!”. “L’unica cosa che dovrebbe farti star male è il fatto di essere un nano! Voi non sapete far altro che risolvere le questioni brutalmente, siete un popolo rozzo e incivile!”. “La nobiltà e la classe non ci serve a noi altri! Noi siamo un popolo che si guadagna da vivere col sudore della fronte cara mia!”. Ma mentre il nano adirato sputava sentenze, scivolò e ruzzolò qualche metro più sotto. Si rialzò e cercò di muoversi, il panico lo assalì quando si accorse che non gli era possibile. Era finito nelle sabbie mobili. La fata, pur non essendo particolarmente legata al nano, si precipitò a soccorrerlo, il fragile vestito le si strappò tutto, le scarpette si rovinarono, si graffiò il suo viso delicato, ma con estremo sforzo riuscì a tirare fuori dai guai il nano in pericolo. Intanto, mentre quei due cominciavano a fraternizzare, l’elfa e il bruto troll affrontavano con grande difficoltà il viaggio. Si era infatti presentato loro innanzi un mostro che, sbarrandogli la strada, ruggiva loro finché dalla sua bocca uscirono tali parole: “Se voi passar volete, il mio indovinello risolvete o qui in eterno rimarrete”. Nafarii sicura di se stessa chiese di porre il quesito. Il mostro allora domandò: “Dove si trova la chiave che apre tutte le porte, e di tutte le razze il segreto conosce?”. L’elfa fu ingannata dalla sua presunzione, nella sua dimora, il palazzo degli elfi, era infatti nascosta una chiave, da loro forgiata, il cui nome era : La Strada. Senza dubbi lei proferì il nome della magica chiave, ma sbagliò. Accecata dal suo senso di superiorità, non aveva pensato che la risoluzione dell’indovinello potesse non appartenere agli elfi. Aveva ormai perso la speranza quando sentì il compagno troll mugugnare una parola: l...lib,..bro ...libo... libro sacro! Il mostro sorpreso, ma mai quanto l’elfa, rispose: ”Sì, il libro sacro che contiene i segreti di ogni razza, il libro dei destini…” e con ciò si dileguò. Le due coppie arrivarono dunque al posto stabilito, Bilbo era già lì ad aspettarli.


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18 Lo hobbit si accorse subito che qualcosa era cambiato tra i suoi compagni. I loro sguardi non erano più torbidi e maldisposti, ma languidi e felici. Raccontarono le loro peripezie, ammettendo, però, che non avevano trovato traccia dei semi di cui erano in cerca. Bilbo rise di cuore: “Voi dite? Oh ragazzi miei, i semi dell’odio sono stati da voi trovati e distrutti! Essi erano nei vostri cuori, alimentati dal pregiudizio e dalla presunzione essi vi avvelenavano, e voi li avete annientati! Su di noi, compagni miei, la notte scenderà tranquilla e insieme al mondo anche la mia vita, infine, sarà salva...” CELENTANO GISELLA Classe 2^ A – Scuola Media Statale “De Filis” – Terni Motivazione del premio: L’elaborato, che racconta una nuova avventura per lo hobbit, alla ricerca della pace e fraternità tra gli uomini, si distingue per la vivacità espositiva e per le scelte opportune e coerenti con il testo narrativo.

LE SIRENE...

“Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,
e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce. Nessuno mai è passato di qui con la nera nave
senza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele, ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose. Perché conosciamo le pene che nella Troade vasta soffrirono Argivi e Troiani per volontà degli dèi: conosciamo quello che accadde sulla terra ferace”. Così dissero, cantando con bella voce: e il mio cuore voleva ascoltare e ordinai ai compagni di sciogliermi, facendo segno cogli occhi: ma essi curvi remavano...” (Odissea, XII, 184 sgg.) Ah, le parole di Odisseo… l’eroe greco! Egli narra di un canto fatale, di un’astuzia abile, di un’altra sfida alla sorte. Ma per me non è così; per me quello fu il primo giorno di morte e la prima causa di tutti i mali. Non più oramai la mia voce canta. Non più i viandanti sono ammaliati dalla nostra voce. Passano tranquilli ed osservano, quasi divertiti dalla nostra impotenza. Noi, ora inutili, beffate, deboli, noi che prima eravamo il terrore di tanti marinai, ora siamo diventate oggetto di risa, scherno e sarcasmo. Le leggende narravano di noi come delle terribili assassine, come paurosi e mitici esseri che rivelavano misteriosi segreti, epici racconti di genti lontane e terre sconosciute. Attiravamo i naviganti con la nostra voce, bella, ammaliante … fatale. Li affascinavamo con le nostre parole e le nostre promesse, li seducevamo con i nostri volti, giovani, seducenti, irresistibili; ora invece li divertiamo emettendo i nostri versi acuti e striduli. Cosa siamo diventate! Come! Ah! Fu proprio quell’uomo tanto intelligente e curioso quanto crudele ed egoista a portare le mitiche sirene verso la loro rovina. Ricordo di aver sentito la sua nave avvicinarsi. Tagliava il mare calmo, piatto, silenzioso. Il cielo era azzurro, libero da nubi ed il sole splendeva sopra i compagni di Odisseo, ma loro non lo potevano scorgere perché immersi in una fitta nebbia che li introduceva al nostro regno. Io lo osservavo da lontano mentre le mie sorelle andavano avanti per prime. Mi colpì subito la sua figura, alta ed imponente, ma ancor di più notai i suoi occhi, vispi, vivaci, sospettosi e terribilmente curiosi. Dopo capii quanto quella curiosità lo trascinasse verso imprese impossibili e rischiose, e lo rendesse sempre avido di conoscenza e sapere. D’ altronde, la sete di conoscenza è una delle tante cose che accomuna voi esseri umani, sempre bramosi di sapere, sempre alla ricerca di qualcosa che non c’è e, pur di ampliare e soddisfare questo bisogno, sareste disposti a tutto, anche a farvi legare all’albero di una nave, sfidando il Fato e rischiando la vita di fronte ad esseri mostruosi e spietati. Fece così Odisseo, preso dalla tanta smania di conoscenza. Venne a noi, cercammo di trascinarlo verso gli abissi, ma quello, bloccato com’ era, non poté liberarsi, e velocemente i fidi compagni condussero la nave lontano da noi. Si dimenava, scalciava, urlava, riuscivo quasi a percepire il suo enorme desiderio di sapere, di capire le nostre parole. Si protendeva con tutto il suo corpo verso di noi, ci rivolgeva orecchie e mente, ci porgeva tutto il suo cuore. Non era tanto affascinato dai nostri visi, ma era stato sedotto dalle nostre promesse. Tutte le nostre vittime, prima di scendere agli inferi a causa nostra, mostravano un simile comportamento, ma, forse presagendo il futuro, forse per un avvertimento divino, quell’uomo mi apparve diverso. Fu il primo uomo ad uscire dalla nostra nebbia vivo, intatto, consapevole di

tutte le nostre parole. Dapprima pensammo ad un evento isolato. Non ne parlammo più. Era umiliante, la nostra prima sconfitta. Eppure mi rimanevano impressi quei vispi occhi e non li potevo pensare neanche per un secondo: vuoti, freddi, chiusi. Cominciai a pensare a tutti quegli uomini morti, quelle vite ormai perdute per sempre… pensai alla nostra crudeltà, quella stessa crudeltà che le mie sorelle chiamavano istinto di sopravvivenza. Dicevano che, se li avessimo lasciati in pace, gli uomini si sarebbero approfittati della nostra generosità, bontà, debolezza, sopraffacendoci. Ci doveva essere un altro modo, una via per la convivenza. Ma mi sbagliavo. Ora rimpiango quei tempi in cui eravamo temute da tutti. Le voci delle sorelle si erano indebolite poiché nessun orecchio era più proteso all’ascolto ed erano divenute fastidiose, acute, stridenti. I loro visi si erano imbruttiti e invecchiati a causa dell’assenza di occhi che le ammirassero. Erano vulnerabili, e gli uomini se ne erano accorti. Solamente io non ero mutata. Mi tenevano in vita i suoi occhi, anzi quello che avevo visto nei suoi occhi. Riuscivo ancora a nutrirmi della sua infinita curiosità, volontà, del suo inesauribile desiderio … Ah uomo fatale, ci portasti alla rovina! Eppure tutti continuano a ricordare noi come dei mostri e lui come l’eroe. Lui che si fece trasportare dalle sue debolezze. Lui che sfidò la sorte. Lui che, trascinato da tanta cupidigia, stava per finire negli abissi del mare. Istintivo e debole il suo animo. E noi sirene, oramai scomparse, viviamo nelle storie e nelle leggende degli uomini che continueranno a lodare il forte eroe e a gioire della sconfitta di noi mostri. VENTURI VIRGINIA - Classe 1^ D – Liceo Ginnasio “G. C. Tacito” – Terni Motivazione del premio: L’originalità della storia risiede nel ribaltamento della prospettiva: non più Ulisse al centro della narrazione, ma una voce femminile, una delle Sirene che, ripensando all’incontro con l’eroe, è costretta ad ammettere la propria sconfitta, che è anche la caduta di un mito. Alla tradizionale voce suadente ed ammaliante è subentrato un verso acuto e stridulo che non incanta più nessuno.

L'ottimo elaborato di Francesco Pambianco sarà pubblicato nel numero di novembre


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Programma ASSOCIAZIONE Giovedì 20 OTTOBRE 2016 ore 17.00 a cura di Vittorio Grechi L'ULIVO E L'OLIO (I parte)

Giovedì 10 NOVEMBRE 2016 ore 17.00 a cura di Vittorio Grechi L'ULIVO E L'OLIO (II parte)

Martedì 25 OTTOBRE 2016 ore 17.00 a cura di Loretta Santini UMBRI ED ETRUSCHI in provincia di Terni

Giovedì 17 NOVEMBRE 2016 ore 17.00 a cura di Giampiero Raspetti MATEMATICA Impossibile non capirla 2

Giovedì 27 OTTOBRE 2016 ore 17.00 a cura di Giampiero Raspetti MATEMATICA Impossibile non capirla 1

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Italia Terremotata

(parte I)

IL TERREMOTO DI MESSINA Pierluigi Seri

Nell’articolo di Settembre ci siamo occupati del terremoto del 24 agosto che ha duramente colpito una zona a confine tra Lazio, Umbria, Marche, causando morte e distruzione. Interi paesi come Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto sono stati quasi cancellati, danni gravissimi anche a Norcia e Castelluccio. Dopo la triste cerimonia dei funerali delle vittime, ecco presentarsi puntuale il calvario dei superstiti che nel giro di una manciata di secondi hanno perso tutto: familiari, casa, ricordi, affetti. Ecco spuntare le tendopoli, i ricoveri provvisori in alberghi della costa adriatica, la corsa contro il tempo per allestire i moduli di alloggio con l’inverno ormai alle porte che in quelle zone montane è piuttosto rigido. Mi domando che ne sarà di questa gente quando i riflettori dei media si spegneranno per lasciare posto ad altri eventi drammatici? Già c’è un primo segnale: la notizia sul terremoto non occupa più da qualche tempo i titoli di testa dei vari tg! Ma da tutti i politici il solito coro unanime: Non vi dimenticheremo! Sarà vero? Beh a questo scopo mi propongo di scrivere una serie di articoli aventi come oggetto una brevissima storia sui terremoti che hanno funestato il Bel Paese. Questo ovviamente non per girare il coltello nella piaga (secondo un’efficace espressione popolare) ma con l’unico scopo di risvegliare la memoria dei lettori su una serie di catastrofi che hanno interessato la nostra nazione con una tragica ricorrenza ciclica, consapevole del fatto che per capire il presente bisogna guardare al passato. In breve nella storia troviamo un’ottima chiave di lettura per il presente… il futuro ha radici antiche. Iniziamo con il Terremoto Calabro-Siculo conosciuto meglio col nome di Terremoto di Messina. Si tratta della più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime e del disastro naturale più grave che abbia colpito il territorio italiano in tempi storici, al punto da essere ricordato come il “Terremoto” per antonomasia. Sono le ore 5.21 del 28 dicembre del 1908 quando gli addetti dell’osservatorio Ximeniano di Firenze videro i sismografi all’improvviso impazzire e annotarono: “le ampiezze dei tracciati sono così grandi che non sono entrate nei cilindri, misurano oltre 40 cm. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”. Essi però con gli strumenti di allora riuscirono solo a stabilire che il sisma era avvenuto in Italia, ma non precisamente in quale luogo. L’epicentro fu poi localizzato nello stretto di Messina, area ad elevata sismicità colpita almeno da 8 eventi con magnitudo superiore a 6 in epoca storica. I due centri più colpiti furono Messina 147.589 abitanti nel 1901 dove i morti furono 80.000 e Reggio Calabria 77.761 abitanti con 45.000 morti; entrambe le città erano già state distrutte completamente dal sisma del 1783. Un terribile sisma di magnitudo 7.10, XI grado scala Mercalli causò la distruzione quasi completa di Messina e Reggio e di altri centri minori, cogliendo gli abitanti nel sonno. Tutte le vie di comunicazione, strade,

ferrovie, linee telegrafiche, telefoniche ed elettriche, le tranvie per Giampilieri e Barcellona furono interrotte, causando ritardi nella diffusione di notizie e di conseguenza nell’arrivo dei soccorsi. A Messina divamparono per giorni numerosi incendi provocati dalle fughe di gas dalle tubazioni interrotte che aggiunsero distruzione alla distruzione. A rendere ancora più drammatica la situazione fu un violento maremoto che colpì le coste dello stretto con onde alte dai 6-12 metri che spazzò via folle di superstiti che si erano riversati sulla riva del mare alla ricerca di una ingannevole protezione. Molte persone scampate ai crolli e agli incendi, affogarono trascinate al largo dalla furia delle acque. Le attrezzature dei porti di Messina e Reggio furono gravemente danneggiate. A Reggio interi tratti della ferrovia furono inghiottiti dal mare al punto che i primi soccorsi arrivarono a piedi oppure via mare. Gran parte degli edifici pubblici furono distrutti, crollarono la caserma Mezzacapo con 600 vittime e l’ospedale con soli 29 superstiti su 230 ricoverati. Il sisma non risparmiò nessuno. Rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, borghesi e proletari, autorità civili e militari. A Messina morirono il questore Caruso, il gen. Cotta, tre deputati tra cui l’on Fulci ex ministro e la metà del consiglio comunale. Perirono tre quarti degli agenti di polizia, di 200 finanzieri rimasero vivi 41, nel crollo dell’Ospedale Civico ci furono 11 superstiti su 230 tra pazienti, medici, infermieri. Gaetano Salvemini docente di storia nell’ateneo messinese, storico di fama nazionale, fu l’unico superstite della famiglia. Nel crollo perirono la moglie, cinque figli e la sorella. Il sindaco Gaetano D’Arrigo Ramondini, preso dal panico, si rese irreperibile per un giorno, motivo per cui venne destituito dal re in persona, giunto in città il 30. La gravità della situazione non fu subito recepita dagli organi di governo a causa delle linee interrotte e delle solite pastoie burocratiche. Le decisioni sull’organizzazione dei primi soccorsi vennero prese a bordo dell’incrociatore Piemonte, il cui comandante Passino era rimasto vittima dei crolli insieme alla famiglia. Le torpediniere della Regia marina alla fonda nel porto siculo si trasformarono in ospedali e i marinai provvidero ai soccorsi e all’ordine pubblico. Una di esse, la Spica, riuscì a prendere il mare


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21 e da Marina di Nicotera inviò un drammatico dispaccio a Roma con la richiesta di aiuti urgenti, dispaccio che inspiegabilmente impiegò quattro ore prima di essere letto da chi di dovere! Ore preziose che avrebbero potuto salvare la vita a centinaia di persone. A Roma ancora nel pomeriggio del 28 si avevano scarse notizie, i giornali parlavano vagamente di “alcuni morti in Calabria per un terremoto”! Solo nella tarda serata fu recepita la gravità della situazione. Si riunì d’urgenza il consiglio dei ministri presieduto da Giovanni Giolitti che emanò le prime direttive del governo. Solo il giorno 30 il Corriere della sera titolò: ORA DI STRAZIO E DI MORTE. In Sicilia intanto le prime a muoversi furono le unità straniere presenti in zona. Una squadra navale russa di 6 navi raggiunse per prima il porto all’alba del 29 e l’ammiraglio Ponomarev fece approntare i primi soccorsi, prestando opera di ordine pubblico contro l’odioso fenomeno dello sciacallaggio, attivo fin dalle prime ore. Ci furono esecuzioni sommarie, violenza che si aggiunse a quella della natura. Arrivò anche una squadra navale inglese di 6 navi a cui si affiancarono altre unità tedesche spagnole e greche. Le navi italiane arrivarono il 30, ancorandosi in terza fila, fatto che poi scatenò roventi polemiche. In mezzo a tanto sfacelo fu ammirevole la collaborazione internazionale che si realizzò spontaneamente e all’immediato in una gara di solidarietà. I marinai e i soldati improvvisatisi soccorritori strapparono alla morte 17.000 persone, un migliaio di essi persero la vita durante le operazioni. Le unità navali di varia nazionalità rimasero in zona o come ospedali o per la movimentazione dei profughi in altre città o per trasportare uomini e mezzi di soccorso. Aiuti vennero inviati dallo Stato, dal Vaticano, dalla Croce Rossa, dai Cavalieri di Malta e da vari Capi di Stato. Da varie province partirono squadre di volontari, operai e tecnici per portare aiuto. Anche le Ferrovie dello Stato inviarono del personale, tra essi il capostazione Gaetano Quasimodo, padre di Salvatore poeta e premio Nobel che lo ricordò nella poesia “Al Padre”. Non mancarono però episodi vergognosi come il mercato nero e lo sciacallaggio di cui si resero colpevoli anche i soccorritori. Scoppiarono li a poco inevitabili polemiche soprattutto da parte della stampa. La testata il Tempo accusò i comandi militari di incapacità nel gestire i soccorsi, di confusione burocratica e ritardi nella distribuzione delle risorse. Anche la Regia Marina venne accusata di inefficienza rispetto alla funzionalità dimostrata dalle squadre navali straniere. Le opposizioni insorsero accusando il governo di aver preso provvedimenti finanziari inadeguati come l’inasprimento delle tasse (CLASSICO!). Altre polemiche ci furono per i lavori di ricostruzione avviati con lentezza, tra cavilli burocratici, senza rispettare troppo i criteri antisismici. La popolazione venne ospitata in baraccopoli di legno, realizzate in tempi lunghi e tale provvisorietà durò diversi decenni. Una parte di esse sono tuttora abitate dai discendenti dei superstiti!

Questo è quanto accadde 108 anni fa, ma sono già evidenti alcune caratteristiche che saranno tipiche di altre emergenze del paese delle emergenze: le due Italie, quella generosa e altruista dei volontari e delle associazioni e quella egoista e cinica degli speculatori spregiudicati e degli sciacalli. Uno Stato spesso lontano dalle reali esigenze del Paese, preoccupato più dei propri giochi di potere che delle necessità del cittadino. Una serie di polemiche anche giuste ma a volte pretestuose. Una burocrazia soffocante ed elefantiaca che intralcia la realizzazione di opere più che esserne garante. La storia purtroppo non è finita qui… siamo solo all’inizio… alla prossima puntata cari lettori!


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Paul François Georgelin

L

a costituzione delle lingue è stata, senza dubbio, il più grande compito che l'uomo avesse fatto. Ci è voluto uno sforzo continuo in ogni comunità, durante centinaia di secoli. Ma in seguito a divergenze nella denominazione di concetti, da una famiglia o da una tribù all'altra, i primi idiomi si sono diversificati in continuazione, al ritmo della separazione dei gruppi umani, per formare le famiglie linguistiche che conosciamo oggi. La grammatica delle diverse lingue, con una molteplicità di declinazioni dei sostantivi e di classi dei verbi, è un esempio particolare della difficoltà. L'attribuzione del genere ne è un altro. La relazione tra le frasi, all'inizio, era senza dubbio di tipo coordinativo. I linguisti hanno, in particolare, ricostruito un proto-indoeuropeo con parole monosillabiche. Le lingue germaniche, per esempio, richiamano uno stato antico, con radicali monosillabici sui quali si costruiscono parole composte e derivate. Se consideriamo l'islandese che, con il gotico, rimane un eccellente testimone dell'antico germanico, vediamo l'enorme epurazione operata dall'inglese, che ha eliminato quasi tutti i segni morfologici nominali e verbali, diventando una lingua perfettamente analitica. Altre lingue indoeuropee occidentali hanno seguito nei sostantivi e le lingue scandinave continentali anche nei verbi. Ciò ci dimostra che l'evoluzione delle lingue va generalmente nel senso della semplificazione. E, in conseguenza, che la lingua cosidetta di Adamo non era per niente semplice. Le diverse civiltà hanno sviluppato diversi sistemi grammaticali. L'indoeuropeo e il camito-semitico hanno formato un sistema desinenziale, nel quale la desinenza dei sostantivi indicava, nelle forme antiche, il numero, il genere e la funzione nella frase. Quella dei verbi indicava la persona, il numero, il modo e il tempo, più il genere nelle lingue semitiche. Le lingue uralo-altaïche, come l'ungherese, il finlandese, l'estone, il samojese e le lingue turco-mongoliche, le lingue elamo-dravidiche -in una delle quali si leggevano forse i segni ideopittografici di Mohenjo-Daro del III millennio a.C.- e le lingue amerindie hanno conservato un sistema agglutinante nel quale i rapporti grammaticali utilizzano un grande numero di suffissi che si giustappongono ai sostantivi e ai verbi, ciascuno indicando un solo aspetto grammaticale del vocabolo. Le lingue isolanti, come il cinese, il birmano e il tibetano hanno segni monosillabici senza nessuna indicazione morfologica. Le due prime famiglie qui sopra hanno sviluppato la nozione di genere grammaticale. Ma l'indoeuropeo l'ha fatto in due fasi, come mostra la terza declinazione del greco e del latino, formatasi prima delle

due prime. La fase iniziale è stata quella di una distinzione dei sostantivi tra esseri vivi e materia inerte: così il primo gruppo non usa nessuna distinzione grammaticale maschile-femminile, mentre il secondo ha una forma di neutro che sarà allargata alle altre declinazioni. Questo neutro mostra una declinazione ridotta, come se fosse l'albore dei sistemi desinenziali. La mancanza d'indicazione del genere sessuale è illustrata dall'uso di due sostantivi differenti per il maschile e il femminile di persone e animali. In latino: homo-mulier, pater-mater, frater-soror, bos-vacca, ariespecora, ecc. E ugualmente in greco per alcune coppie. Poi nascerà una distinzione di genere grammaticale nel primo gruppo, in cui verranno introdotti altri sostantivi secondo un sistema di analogie animiste. Le declinazioni posteriori, come sappiamo, nasceranno dunque con i tre generi. Nelle nostre lingue indoeuropee moderne, una precisione verrà introdotta, per gli esseri non individuati grammaticalmente, con l'aggiunta di pronomi personali, come in inglese, o di altri vocaboli indicando il sesso. Le lingue agglutinanti e isolanti, che non conoscono il genere, devono utilizzare lo stesso modo. L'uso del plurale subisce anche qualche restrizione: il cinese, che ne ha il carattere, non lo usa praticamente mai; altre lingue non ne vedono la necessità dopo un aggettivo numerale. I verbi, molto probabilmente, conoscevano una sola forma iniziale, come in cinese, in cui il verbo ha l'unica forma dell'infinito, che è un sostantivo e qualche volta anche un aggettivo, e di cui la persona e il numero nella coniugazione, e anche il tempo e il modo, vengono indicati da un segno distinto di pronome personale, di sostantivo o di avverbio secondo le lingue. Nel latino, c'è un legame di tipo generativo tra molti aggettivi o participi presenti, indicando uno stato nella loro forma neutro-plurale, e sostantivi astratti femminili singolari della prima declinazione

in -ia, indicando una qualità corrispondente: prudens (al plurale neutro) - prudentia, audax-audacia, ferox-ferocia, ecc. Sembra che il genere neutro iniziale definisse i concetti come se fossero visti in gruppi. Ce n'è l'indicazione in greco antico, dove un sostantivo neutro plurale governa un verbo al singolare. L'arabo e le lingue celtiche brittoniche hanno ancora un sostantivo detto collettivo che, seguito dal verbo al singolare, è un radicale al quale vengono aggiunte le desinenze del singolare e del plurale secondo il caso. Così il russo ha sostantivi maschili singolari che formano un plurale neutro con indicazione di collettivo. L'italiano fa lo stesso con sostantivi maschili il cui plurale è femminile, ma con una desinenza che è quella del neutro latino, genere che non ha. L'inglese ha conservato la memoria di un antico uso, con il sostantivo invariabile "sheep", pecora, la visione collettiva di questo tipico gregge. E nelle lingue scandinave, alcuni sostantivi neutri non cambiano al nominativo plurale. Queste considerazioni ci mostrano le numerose vie seguite dalle lingue nella loro lunga strada. Adessso, il numero delle lingue parlate nel mondo è vicino a 7.000, secondo i criteri adottati dai diversi linguisti: idiomi nazionali, regionali e locali, dialetti non scritti, gerghi. Una lingua nazionale non è altro che un idioma regionale: o imposto dal potere, come il francese dall'ordinanza di VillersCotterêts promulgata da Francesco I nel 1539; o adottato da una letterratura prestigiosa come in Italia il fiorentino usato da Dante, dal Petrarca e dal Boccacio; o dal contatto con altre lingue come l'aramaico, lingua di carovanieri adottata nella Palestina antica. L'uso delle lingue spagnola, portoghese, inglese e francese adottate in America ed in Africa è dovuto alla colonizzazione. Gli idiomi apparentati a una lingua nazionale non sono una corruzione di questa, ma il risultato di un'evoluzione separata da un tronco originale, il latino per i nostri idiomi romanzi.




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