il più bello e il più ricco del mondo
FOTO DI MARCO ILARI
NUMERO 33 NOVEMBRE - DICEMBRE 2019 CULTURA PROGETTUALE & TERRITORIO
IL NOSTRO TERRITORIO
TERRA SACRA
AMBIENTE LUCENTE
ENERGIA RINNOVABILE
LA PAGINA UMBRIA Registrazione n. 2/2014, Tribunale di Terni
Direttore responsabile Alberto Mirimao Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafica e impaginazione Francesco Stufara Editrice Projecta di Giampiero Raspetti 3482401774 info@lapagina.info lapagina.redazione@gmail.com Redazione Terni,Via Anastasio De Filis, 12 Tipografia Tipolitografia Federici Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.
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3.
Madonna Valnerina
4.
Genius loci
6.
Progetti per il territorio
8.
Policentrismo e rete di città
G. Porrazzini
11.
Policentrismo ed area vasta
F. Giustinelli
14.
Interamnapolis
16.
Appunti di viaggio di una pendolare
R. Isidori
18.
L'auto elettrica e le fonti rinnovabili
G. Santini
20.
Umbria: regione in transizione
22.
Vincere una lotteria
24.
San Francesco
28.
La fontana di Piazza Tacito
30.
Acciaio
32.
GENESI
G. Raspetti G. Porrazzini L. Santini G. Raspetti
M. Virili
M.L. Aloisi C. Santulli G. Fortunati P. Leonelli A. Marinensi
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CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO
a n n o d a a n i r M Valne 2020
Il Viso della Valnerina
Il viso di chi rappresenterà, ogni anno, la Valnerina sarà “orribilmente bello” e dovrà suscitare le emozioni che evocano la forza e lo spettacolo della Cascata, il silenzio e le suggestioni dei borghi medievali, l’incanto delle acque, la purezza della natura.
CONCORSI
Nella Terra Sacra di Valentino, Benedetto e Francesco non devono insediarsi manifestazioni inadeguate come gare con motore inquinante, casinò per giochi d'azzardo, casinì per cocotte e puttanieri. Da evitare anche le Miss femmina, i cui attributi fondamentali restano pur sempre quelli esteriori, la misura cioè di petto, fianchi ecc; questo non perché le misure anatomiche apportino vergogna, ma per il motivo che quando si parla di donna si parla di tutt'altra faccenda. L'etimologia della parola donna si riallaccia senza dubbio al latino domĭna (femminile di dominus), signora, padrona. Si noti che, mentre l'etimologia della parola uomo rimanda al latino humus (da cui i termini umanità e umile), al contrario, quella della parola donna esprime tutta l'importanza ed il potere che ebbe il matriarcato nelle antiche civiltà. La parola femmina, invece, tanto dalla radice sanscrita dha- (allattare), quanto dalla radice sanscrita bhu(nutrire), rimanda allo stesso concetto di fecondità procreatrice. Nella Valle della ninfa Nera, nella terra dell'humus e dell'umiltà, di Valentino, Benedetto, Francesco e di tante altre grandi sacralità, ci sembra importante dare giusto rilievo e riferimento alla donna, al suo saper fare, al suo agire, a quei tanti elementi di superiorità che ha nei confronti dell'umile uomo. Vogliamo dunque fare biennale riferimento ad un viso di donna libero da cosmesi e da misure, temporali ed anatomiche, ma vincolato all'intelligenza e all'amore per la vita di chi, nascendo femmina, ha saputo diventare donna. Unificare, questo nostro meraviglioso lembo di terra significa, dapprima, partire dal riconoscimento più alto e sentito che si possa assegnare alla nostra compagna di vita: cogliere, nel viso di chi rappresenterà ogni due anni la Valnerina, i suoi bagliori, i suoi silenzi, i suoi sapori, la sua musica, l'incanto delle acque. Giampiero Raspetti
Quella della Valnerina è, per i suoi problemi storici e per le sue inespresse risorse, una “comunità che si cerca” e che prova a costruire un futuro comune. Una grande operazione di identità e di progetto ha bisogno di una icona che ne simboleggi il significato più profondo, con un messaggio che, oltre alla ragione, sappia parlare al cuore, al sentimento, alla fantasia. Madonna Valnerina, nella sua incarnazione reale e pittorica vuol rappresentare simbolicamente la forza generatrice della donna, da sempre percepita, nell’immaginario, come dea madre ed energia creativa della Terra degli umani. Saranno le due Madonne Valnerina, una sorta di fonte d’ispirazione emotiva ed un segno distintivo di grazia e di bellezza che, evocando i caratteri meravigliosi della Valle della Nera, accompagnerà le sue genti nel percorso di rinascita e di sviluppo lungo il quale sono incamminate. Giacomo Porrazzini
A - FOTO DELLA MADONNA VALNERINA PREMI 1 – MADONNA VALNERINA VINCENTE 2 – FOTOGRAFO DELLA MADONNA VINCENTE
Aperto a tutti
B - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA PREMI 3 – RITRATTO VINCENTE C - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA PREMI 4 – RITRATTO VINCENTE
Aperto a tutti
500 € 500 €
500 € Per S. secondaria di secondo grado 200 € in materiale per disegnare
D - RITRATTO PITTORICO DELLA MADONNA VALNERINA Per S. secondaria di primo grado PREMI 5 – RITRATTO VINCENTE 200 € in materiale per disegnare
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CULTURA PROGETTUALE E TERRITORIO
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Loretta Santini
GENIUS LOCI
Un territorio, una città, un quartiere Un territorio, una città, un quartiere: storie, identità che si incrociano, si differenziano, si riuniscono, si integrano.
L
a peculiarità di un territorio è data da un insieme di componenti che, sempre, lo rendono unico e identificabile. Il complesso di queste componenti costituisce la sua cultura -potremmo dire la sua memoria storica- e ne determinano l’identità. Un’identità molteplice, varia: essa si allarga, si differenzia nel tempo e nello spazio, man mano che dal locale si espande verso l’esterno, ove vengono inglobate altre identità, altre culture. Conoscere il territorio o la città o il quartiere significa, pertanto, individuare tali componenti, riconoscere che esse non sono statiche, bensì dinamiche e trasversali, poiché sono costituite da una trama di saperi tradizionali e nuovi che si integrano tra loro. Significa evidenziarne le interconnessioni, mettere in relazione tra loro gli eventi e riconoscere i riflessi, direi le impronte, che nel tempo essi hanno lasciato sul territorio e sulla civiltà, conferendo ad esso un’identità ben precisa. Questa identità molteplice riguarda in primis Terni. Mi guardo intorno e vedo una città in gran parte moderna, espansa a macchia d’olio, con vie a maglie ortogonali che si allargano al di là dell’antico centro storico, quello che un tempo era racchiuso entro una cerchia di mura con residui di antiche torri che raccontano la loro storia centenaria. La fabbrica ha stravolto quel nucleo antico. La cesura dell’industrializzazione della città e del territorio ha cambiato profondamente il volto di Terni dal punto di vista sociale, economico e soprattutto urbanistico: la fabbrica è stata il motore della grande espansione urbana perché sono sorti, per lo più spontaneamente, nuovi quartieri al di fuori di quelle mura, per ovviare alla pressante richiesta di abitazioni
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al momento dell’immigrazione degli operai e delle maestranze a partire dalla seconda metà dell’800. Quartieri che tuttora mantengono un profilo ben individuabile: quelli operai come Sant’Agnese, Borgo Bovio, San Giovanni o quelli più signorili come Città Giardino, o quelli modernissimi come Villaggio Matteotti sviluppatosi intorno a un nucleo più antico di impronta popolare. Quartieri come satelliti di una città che non solo ne hanno dilatato l’impianto urbanistico, ma hanno creato nuove entità ben distinte dagli antichi rioni cittadini del centro storico. Ecco allora una città dall’identità plurima -due città: quella esistente fino a metà del’800 e quella che viviamo oggi- e univoca al tempo stesso perché le due città sono l’una la continuità dell’altra e ambedue concorrono a formare quell’identità multiforme e varia di cui abbiamo parlato all’inizio. Infatti l’insieme di eventi e di trasformazioni che si sono succeduti nei secoli ha comunque configurato un’immagine ben riconoscibile. La ternanità di cui tante volte si parla –spesso contestata- è qualcosa che si è trasformata, ridefinita e direi rifondata rispetto a quella preindustriale a partire dalle seconde e terze generazioni: è la figlia di quella forte immigrazione dai paesi e dalle regioni vicine a seguito della rivoluzione industriale. Ma Terni non è una città isolata nella sua ampia pianura: essa è parte integrante dei colli e dei monti vicini, della Valnerina, della regione, dei tanti borghi con la loro diversità culturale. Borghi sull’acqua, sulle rocce, nelle valli e sui monti: luoghi diversi nella loro conformazione, nella loro storia, nel loro sviluppo.
Piccoli comuni come città storiche -Narni, Stroncone o i borghi della Valnerina-, piccoli paesi come Cesi, Collescipoli, Collestatte, Papigno, Piediluco, Stroncone e Torre Orsina, un tempo autonomi e poi inseriti dal 1927 nel comune di Terni: tutti centri storici dove si è sedimentata la complessità e la ricchezza di un patrimonio storico-culturale che li ha resi ben identificabili e unici. Terre di tradizioni antiche, di canti popolari, di feste patronali, di specialità gastronomiche. Terre di spiritualità: abbazie benedettine, santuari francescani, edicole dedicate alla Madonna, santi patronali in onore dei quali si allestiscono riti religiosi, sagre, mercati, feste folcloriche. Ogni paese ha una sua ricca e grande storia, ha le sue mura e le sue torri, oltre ai resti di rocche o palazzi nobiliari del signorotto da cui sono stati governati. Paesi spesso in lotta tra loro, orgogliosi della propria identità, della propria autonomia. Una storia antica di cui oggi si può trovare traccia nei campanilismi o negli sfottò che spesso vengono indirizzati al paese limitrofo. Folclore, memoria di avvenimenti lontani. C’è un paesaggio straordinario che li unisce e li separa, ma sicuramente li esalta. Un paesaggio fatto di colori intensi: quello del verde variegato e ricco di sfumature dei boschi che si estendono sui rilevi appenninici, sulle gole del Nera, sulle sommità dei monti Martani; c’è il verde argenteo degli ulivi; c’è quello lussureggiante nei pressi della Cascata delle Marmore grazie alla forte percentuale di umidità. C’è l’azzurro limpido delle acque del Nera, del Velino, del lago di Piediluco o il bianco spumeggiante e fragoroso della Cascata delle Marmore. Acqua fonte di vita: Terni, l’antica Interamna, la “città tra le acque” prese vita dall’acqua e dalla sua pianura ubertosa. E dall’acqua hanno preso vita anche le fabbriche grazie alla forza idraulica che da essa si poteva trarre. Intorno all’acqua sono nate leggende come quella del thyrus che infestava la piana ternana e del drago sconfitto dai santi guerrieri Felice e Mauro, ambedue un modo per descrivere le bonifiche del territorio; la leggenda più toccante è quella del pastorello Velino che innamorato della ninfa Nera si gettò dalla rupe dando luogo alla Cascata delle Marmore.
Tanti luoghi, tanti borghi integrati nel paesaggio, custodi gelosi della propria storia, della propria tradizione, di quei beni culturali materiali e immateriali che sono alla base dell’identità di ciascuno e lontani dalla globalizzazione che sembra aver permeato tanti centri urbani. Bisogna conoscere e ritrovare il loro genius loci (l’anima del luogo) potremmo dire, inteso nel suo significato più ampio e quasi sacrale (il nume tutelare del luogo), cioè quell’insieme di caratteristiche ambientali, urbanistiche, sociali, artistiche, architettoniche, comportamentali che riguardano un monte, un bosco, un fiume, una campagna o una città. Bisogna ritrovare il significato originario del “genius” (dal latino “gignere” creare, generare), il cosiddetto milieu, quindi riscoprire le origini gli eventi i caratteri, che sono l’essenza, l’identità -o le identità- di un luogo, riconoscere l’unicità e la preziosità dello stesso, ma anche le innumerevoli connessioni e, come viaggiatori curiosi, predisporsi a intraprendere quel percorso tra arte, archeologia, natura, tradizioni, eventi, gastronomia, un patrimonio di saperi che si sono sedimentati nei secoli e che configurano la multiforme fisionomia di un territorio e di una comunità, il suo patrimonio culturale, un vero e proprio museo diffuso e, soprattutto, la sua mutevole, ma indelebile bellezza.
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PROGETTI PER IL TERRITORIO Giampiero Raspetti La peculiarità di un territorio è data da un insieme di componenti che, sempre, lo rendono unico e identificabile. Il complesso di queste componenti costituisce la sua cultura -potremmo dire la sua memoria storica- e ne determinano l’identità. Un’identità molteplice, varia: essa si allarga, si differenzia nel tempo e nello spazio, man mano che dal locale si espande verso l’esterno, ove vengono inglobate altre identità, altre culture. Conoscere il territorio o la città o il quartiere significa, pertanto, individuare tali componenti, riconoscere che esse non sono statiche,bensì dinamiche e trasversali, poiché sono costituite da una trama di saperi tradizionali e nuovi che si integrano tra loro. Significa evidenziarne le interconnessioni, mettere in relazione tra loro gli eventi e riconoscere i riflessi, direi le “impronte”, che nel tempo essi hanno lasciato sul territorio e sulla civiltà, conferendo ad esso un’identità ben precisa. Bisogna conoscere e ritrovare il loro genius loci (l’anima del luogo) potremmo dire, inteso nel suo significato più ampio e quasi sacrale (il nume tutelare del luogo), cioè quell’insieme di caratteristiche ambientali, urbanistiche, sociali, artistiche, architettoniche, comportamentali che riguardano un monte, un bosco, un fiume, una campagna o una città. Loretta Santini
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Leggiamo, di fianco, quanto presente nelle profonde, ma semplici, riflessioni, pubblicate nelle due pagine precedenti, della insigne Prof.ssa Loretta Santini. Niente da chiosare, niente da aggiungere, c’è solo da proseguire nella direzione da lei indicata! Noi però (non uso qui il pluralis maiestatis) abbiamo solo strumenti di provocazione culturale, non altro! Possiamo quindi fare affidamento solo sulla caparbia divulgazione delle idee, su alcune contenute proposte, su schemi di progetti. È innegabile che il vero, autentico problema che incombe sul nostro Paese, nonostante una storia culturale gloriosissima che ci genera e ci illumina fin dagli albori della civiltà, è che esso si trovi oggi in situazione disperata proprio per la sopravvenuta assenza di cultura in grandissima parte dei cittadini. Faccio riferimento a tutte le analisi compiutamente effettuate (da almeno sessanta anni) dalla comunità mondiale (UNESCO, IEA, PISA...) confermanti, ogni due anni, che la nostra Italia, a partire da poco dopo la fine dell’ultima guerra mondiale, non avanza mai (proprio mai!), nella graduatoria mondiale di capacità di lettura critica di un testo, oltre che in quelle per conoscenza matematica e per abilità logica, ma rimane sempre, inesorabilmente, agli ultimissimi posti della terza ed ultima graduatoria, quella dei Paesi sottosviluppati, mentre nelle prime due graduatorie, quelle dei Paesi sviluppati e dei Paesi in via di sviluppo, risultano elencate quasi tutte le altre nazioni del mondo, tutte ben più feconde ed organizzate, come cultura generale e particolare, della nostra. È tempo allora che la politica, indirizzatrice e generatrice di comportamenti, dell'ethos greco e del mos latino, sia vissuta ed interpretata solo da persone di specchiata cultura che abbiano, oltre a tutti gli altri requisiti per poter amministrare beni comuni, conoscenza della storia, delle risorse e della versatilità della propria comunità. A Terni, nonostante i tanti veri professionisti della cultura che conosco o quelli della cui amicizia mi onoro (intellettuali che vivono la politica, non la politica di parte, la partitica cioè), a dispetto delle formidabili espressioni culturali presenti negli articoli (in particolare quelli di tanti giovani studenti del Liceo Classico Tacito) che potete leggere ogni mese nel mio magazine La Pagina, veleggia una ignoranza crassa, proveniente anche dai tanti laureati per caso che scrivono ancora sta o da o qua con l’accento. Questo male, oggi endemico, fa del cittadino medio ternano una persona da colonizzare, comprendendo in questa vituperevole e subdola operazione anche quanto attiene alla partitica amministrativa. Che fare? Per poter sostenere i progetti che elaboro o che raccolgo, non ho alcun mezzo, né finanziario né politico. Men che meno in quanto legato (neanche con pistola alla tempia!) a consorterie di ogni genere, pullulanti ormai come vile raccolta di cultori di privilegi. Posso soltanto proseguire nella mia dimensione di educatore cercando di motivare alla reponsabilità di dover rendere conto, a se stessi e agli altri, delle proprie azioni e all’amore per la cultura, proprio come ero solito fare nel corso del mio insegnamento al Liceo Classico ove non assegnavo compiti o regole da assumere a memoria, per forgiare eventualmente degli idioti, ma cercavo di provocare, nei miei discenti, la stilla che li portasse ad immaginare e a crearsi una propria, personalissima, mappa culturale. Facevo davvero politica, quella e solo quella che dovrebbero fare tutti gli insegnanti, perché la politica è nemica, anzi ne è il contrario, della partitica, questa sì ormai vergognosamente avversa all’educazione, scolastica e generale. Ancora oggi mi pregio di vivere la politica, lontanissimo dal cercare di arraffare qua e là con la scusa dell'appartenenza partitica, non certo quella dei tanti mercenari e dei molti cultori di privilegi, interessati solo al denaro, che sempre più strangolano il tessuto sociale e culturale. Sì, perché la politica è solo cultura, spirito del volontariato, amore e analisi del territorio, progetti per esso, ma solo dopo aver identificato e ben capito la sua versatilità, le sue impronte, la sua anima, la sua immagine, il suo genius loci. Senza pretendere allora altro che il poter suggerire qualche idea, magari far sognare, magari unirsi alla sensibilità di chi ama la propria terra, con l’azione generosa della solidarietà e della gratuità, assumo l’onere di presentare, per Terni, come per
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l’intero territorio, la VI Regio cioè, le nostre proposte progetto, tutte pensate all’interno del genius loci di ogni singola situazione. Sono costretto a far questo perché fesserie cosmiche, ridicole manifestazioni messe in atto dai geniacci locali (valide, anzi invalide, tanto per Terni quanto per Poggio Lavarino o per Poggio Bustone) che, in genere, nulla hanno a che vedere con la nostra storia, incombono continuamente e funestamente sulla nostra povera città, contribuendo a farne un paesino ju lu puzzu vicino a Narni o a Spoleto. Abbiamo prodotto e raccogliamo, io e l’Arch. Paolo Leonelli (Studio LeonelliStruzzi), ipotesi di lavoro, idee, proposte, suggestioni, progetti che intendono essere soprattutto una provocazione culturale per tanti nostri concittadini, quelli che riflettono, pensano, studiano e che hanno amore per la terra in cui vivono. Ne elenco, per brevità, solo una trentina: 1. Il Cielo e la Terra 2. Centro di Educazione Ambientale della Valnerina 3. Albero delle adozioni 4. Piazza dei popoli 5. Il Cammino di San Francesco 6. Natale di Stelle 7. Mascheriamo il Carnevale 8. Festa della Primavera (Cantamaggio) 9. Terni, città di San Valentino, capitale dei diritti umani 10. Cammino con Valentino 11. Bosco d’Amore 12. Tempio di Carpini 13. Terni Pasticciona 14. Giochi della Valnerina 15. Parcheggi Silos: Ospedale di Terni 16. Pedalare nel Tevere 17. Pista ciclabile Terni - Cascata delle Marmore 18. Apriti Cielo: studio di terra, aria, acqua, fuoco 19. Madonna Valnerina 20. Percorso lungo la Valnerina per l’esposizione di tutte le 8000 cartoline di Virgilio Alterocca 21. Papigno, la città dei giovani, dell’artigianato e della scienza 22. Baleniamo? 23. Piazza della Repubblica 24. Palazzo Spada 25. Ferrovia Spoleto-Norcia 26. Navigare nel Serra 27. Piazza Tacito 28. Piazza San Francesco 29. Cascata delle Marmore aperta notte e giorno 30. Centinaia di incontri culturali e di conferenze con i concittadini. Io sono costituzionalmente inadeguato per l'assunzione di ruoli amministrativi ufficiali e, forse, proprio per questo sono uno dei pochi in città che operi davvero politicamente. Però, ogni sedicente idoneo dovrebbe, come minimo, aver già dimostrato, prima di mettersi in fila per pietire tozzi di pane o incarichi luculenti, di aver disinteressatamente elaborato e proposto un proprio lavoro o un suo pensiero o un suo evento a favore della città e dell'intera comunità. Si astengano allora dalla politica (ça va sans dire) e dagli interessi partitici: analfabeti, arraffoni, boriosi, buoni a nulla, corrotti e corruttori, facenti finta, mascalzoni, presuntuosi, voltagabbane... e quelli che nella loro banale ma spocchiosa esistenza hanno saputo rappresentare, quasi sempre malissimo, solo se stessi e che, raggruppati in milizie sempre più numerose, affollano la compagine politica-amministrativa. Un mondo politico ripulito da personaggi senza valore o nocivi è l'unico che, con qualche probabilità, potrebbe rappresentare, in un domani non proprio dietro l'angolo, una intrepida speranza per la rinascita dell'amore per la cultura e, di conseguenza, per la prosperità del nostro amato Paese e del nostro amatissimo Territorio.
Baleniamo?
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Giacomo Porrazzini
POLICENTRISMO E RETE DI CITTÀ come sistema politico, istituzionale ed economico sociale
Una nuova riflessione sul policentrismo, come sistema politico, istituzionale ed economico sociale, su cui organizzare la vita di comunità locali residenti in sistemi territoriali ed urbani di area vasta, con conseguente revisione dell’allocazione ottimale delle funzioni istituzionali e delle risorse economiche, non può prescindere dal contesto storico in cui si svolge e dalle finalità che intende perseguire. Dovrebbe esservi ampia condivisione sul fatto che l’attuale contesto storico sia caratterizzato, da un lato, da inedite criticità economiche, sociali ed ambientali e, dall’altro lato, dallo sforzo eccezionale volto a trattarle e superarle tutte insieme, entro un paradigma unitario di sostenibilità dello sviluppo; un paradigma complesso, quanto necessario, che può essere posto a base delle finalità fondamentali dell’agire umano, nel passaggio di era (dall’Olocene all’Antropocene) nel quale siamo presi. La finestra temporale per una correzione di rotta, rispetto agli sconvolgimenti climatici, ambientali e sociali, provocati dal sistema economico dominante e dai valori mercatistici che lo ispirano, si sta chiudendo; la reazione della civiltà umana ai suoi stessi errori non può procedere soltanto dall’alto (gli Stati, i governanti, le grandi potenze economiche globali) verso il basso (le comunità locali, i singoli cittadini, i consumatori, le future generazioni); tale reazione deve sorgere e svilupparsi, contemporaneamente, nelle due direzioni. Ciò che è necessario, infatti, è uno sforzo corale e contestuale a tutti i livelli di responsabilità, con una forte carica trasformatrice. Una risposta anche individuale alla sfida della
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sostenibilità richiede che l’agire del singolo sia circondato e sostenuto da un clima di cooperazione e fiducia nei confronti di altri componenti del corpo sociale; cioè, dalla ragionevole convinzione che ciascuno faccia la sua parte. La cooperazione costituisce, al tempo stesso, una forma alta di solidarietà, ma anche un sistema amichevole per esercitare, da parte di ciascuno il controllo collaborativo sull’altro, oltre che una scuola di apprendimento e miglioramento delle capacità per ciascuno. Tutto ciò è possibile se tra gli individui, i nuclei familiari ed i diversi ceti sociali si sviluppa, pienamente, un senso di appartenenza alla stessa comunità e la volontà di percorrere un cammino insieme. Non una comunità chiusa ed arroccata su se stessa a difesa di vantaggi reali o presunti, ma, aperta ed inclusiva, capace di focalizzare i tratti della sua identità sulla realizzazione di un progetto positivo, basato sulla sostenibilità dello sviluppo e sulla partecipazione di tutti ai suoi benefici e nuove opportunità. Se le comunità locali, direttamente come attori sociali e, indirettamente, con i rispettivi livelli di governo locale, si misurano concretamente con la sfida complessa di un nuovo modo di pensare e fare sviluppo, tanto più saranno in grado di esprimere capacità di valutazione e partecipazione attiva alle scelte politiche nazionali sulle stesse tematiche, consolidando, così, il principio democratico della sovranità popolare e quello funzionale della sussidiarietà. Questo approccio, “bottom up”, peraltro, risale alla convenzione di Århus, un accordo multilaterale in materia ambientale sotto gli
auspici della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Europa (UNECE), che è entrato in vigore nel 2001, e di cui l’UE e tutti i suoi Stati membri sono parti contraenti. Esso garantisce ai cittadini tre diritti: la partecipazione del pubblico ai processi decisionali in materia ambientale, l’accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche (ad esempio sullo stato dell’ambiente o della salute umana, se da esso influenzata) e il diritto all’accesso alla giustizia, qualora gli altri due diritti siano stati violati. Ora, seguendo le indicazioni preziose dell’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, si tratta di estendere e praticare tali diritti democratici, espressione di un sistema liberale avanzato, dai temi strettamente ambientali a quelli più ampi che vanno a comporre il paradigma della sostenibilità: oltre l’ambiente con i suoi limiti ed esigenze di tutela rivolte alle future generazioni, l’economia con la sfida innovativa della compatibilità, la società con le sue disuguaglianze da combattere e le istituzioni da ripensare, per sottrarre il loro impianto democratico all’attacco cui, oggi, sono esposte: i ben noti quattro pilastri dello sviluppo sostenibile. Sulla base di tali assunti, un progetto strategico, europeo e nazionale, per lo sviluppo sostenibile non può che strutturarsi nella sommatoria e nella sintesi di una molteplicità di progetti ed azioni locali, delle comunità di base. Naturalmente, ad una scala diversa, sono ugualmente indispensabili grandi scelte economiche, energetiche, sociali ed ambientali ai livelli nazionale ed internazionale; tuttavia senza il concorso di diffuse e coerenti azioni locali quelle scelte macro si
rivelerebbero insufficienti a determinare, in tempi brevi, la svolta necessaria. Un nuovo protagonismo delle comunità locali, da favorire con lungimiranti politiche di policentrismo e decentramento, sia da parte dello Stato che delle Regioni, sia da parte delle municipalità di maggiore dimensione, si carica, pertanto, di un grande significato generale, come quello di produrre azioni capaci di invertire la tendenza alla degradazione irreversibile della biosfera che ci ospita. L’Umbria, come Regione e comunità, era nata, cinquanta anni fa, con una forte ispirazione ideale e politica imperniata su una struttura policentrica connessa a rete: l’Umbria rete di città. Poi, nel tempo, tale visione si è andata offuscando, con il prevalere di scelte di concentrazione sempre più estesa e pervasiva sul capoluogo regionale e con la perdita di presidi direzionali di importanti entità funzionali (Banche, Ferrovie, Poste, ... ) sottratte allo stesso territorio regionale da processi di concentrazione nazionale. La concentrazione su Perugia di molte funzioni appartenute a Terni, in quanto capoluogo di provincia, non sono state, solo, il frutto di discutibili scelte politiche ed istituzionali regionali, ma anche il risultato di autonome decisioni di una serie di soggetti economici, sociali, di agenzie funzionali, di apparati statali e parastatali; la responsabilità della politica regionale è di non aver saputo o voluto contrastarle o, almeno bilanciarle con una propria strategia policentrica. Al contrario, abbiamo assistito alla cancellazione di istituti ed agenzie di valore regionale basate nel territorio ternano: dal Centro
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multimediale all’Istituto ISRIM sui materiali speciali, dal Parco Scientifico e Tecnologico all’Istituto ICSIM sulla storia d’impresa, per non parlare della riduzione e permanente fragilità della presenza universitaria o delle incertezze che permangono sulla Camera di Commercio. La perdita, per Terni, è stata particolarmente grave in quanto si trattava di entità culturali ed operative, strettamente funzionali all’affermazione di nuovi percorsi e motori per lo sviluppo di una città che, pur non potendo e non volendo rinunciare alla sua impronta storica di città della grande industria siderurgica e chimica, ne sente tutta l’insufficienza e la parzialità rispetto alla domanda di lavoro e benessere insoddisfatta, alle trasformazioni culturali ed alle aspettative di vita e di futuro che attraversano la gioventù ternana. Oggi, si tratta di rilanciare, contemporaneamente, percorsi dello sviluppo e del lavoro in nuovi settori insieme ad un grande processo d’innovazione della manifattura siderurgica e chimica; per entrambi tali due campi storici, nel segno della circolarità dei processi produttivi e, dunque, della sostenibilità: una grande e moderna acciaieria a forno elettrico, se si utilizzano le migliori pratiche internazionali, sia per il pretrattamento dei rottami metallici riciclati, sia per l’ottimizzazione degli imponenti consumi energetici, sia e soprattutto per il trattamento delle emissioni di fumi e polveri e dei reflui liquidi e solidi, compresa la climalterante CO2, può ridurre drasticamente il suo impatto ambientale storico sulla città di Terni; una chimica che ricostruisca il suo asse fondamentale sulla biochimica e sulla piena adozione di modelli produttivi circolari, come hanno iniziato a fare Novamont a Terni e Tarkett a Narni, può costituire una presenza industriale preziosa ed innovativa per il lavoro, la ricerca scientifica e tecnologica e la compatibilità ambientale; in tale quadro, appare incomprensibile lo spostamento da Terni a Perugia del “Cluster” delle imprese umbre della biochimica. Questi processi d’innovazione della grande industria nel segno della circolarità e della sostenibilità, estendendosi anche alle piccole e medie imprese dell’indotto, possono costituire i pilastri di un nuovo centro manifatturiero moderno di valore nazionale. Non vi è e non vi deve essere, pertanto, alcuna alternatività fra innovazione della grande industria storica e costruzione di inedite piste economiche capaci di riscoprire risorse naturalistiche e storico
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culturali sottoutilizzate del nostro territorio e di agganciare Terni al treno dell’attuale nuova rivoluzione industriale, come si era iniziato a fare con il progetto, incomprensibilmente insabbiato, della Smart City Terni-Narni. Questa visione integrata e sistemica del nuovo sviluppo può rendere più agevole e realizzabile un grande progetto economico, ambientale e sociale che veda protagoniste tutte le diciotto municipalità che, con Terni, costituiscono il Sistema urbano locale intermedio del Ternano; una rete territoriale dove vivono ed operano 180.000 persone. Si tratta di una vasta “comunità” di cittadini che deve acquisire la consapevolezza di essere tale, così come Terni deve riscoprire il ruolo e la responsabilità di esserne “centro sistema”; secondo i dati rilevati da ISTAT, sulla consistenza e direzione degli spostamenti e dei flussi di mobilità, tale comunità di persone condivide situazioni di lavoro, fruizione di servizi socio-sanitari e di istruzione superiore, unitamente ad un sistema infrastrutturale e di servizi territoriali di base. Tuttavia, tali abitanti non condividono, oggi, una visione ed un progetto comune di sviluppo, tanto più dopo la travagliata vicenda del depotenziamento delle Province. Per un progetto del genere, ove le diciotto municipalità decidessero di darselo, sono necessarie alcune scelte strategiche di fondo sulla finalità (lo sviluppo sostenibile) e sulla struttura portante, anche istituzionale, della rete di città; scelte di fondo capaci di riorientare la stessa programmazione regionale e promuovere la massima valorizzazione delle capacità di progetto, d’inventiva e d’iniziativa di ciascuna di tali realtà comunali, con l’obiettivo di valorizzarne le specifiche risorse e vocazioni. Tale schema può essere replicato anche nel rapporto fra Centro e Quartieri e Delegazioni periferiche della città perno del sistema: Terni. In tale prospettiva, un nuovo policentrismo basato su un progetto comune ed articolato di sviluppo, caratterizzato dall’obiettivo epocale della sostenibilità ambientale, economica e sociale, non si pone più soltanto come una fra le scelte possibili, ma come una necessità del tempo in cui siamo; un tempo difficile ed esaltante da vivere, del quale vanno scongiurati i rischi estremi che prospetta e colte tutte le opportunità positive che contiene, se si opera senza essere schiacciati sul presente ma animati dalla volontà di costruire, insieme, un futuro migliore.
Franco Giustinelli
POLICENTRISMO ed area vasta I
due risorse per lo sviluppo
n una regione piccola ma dalla forte identità culturale, qual è l’Umbria, il policentrismo, più che un’opportunità legata a una visione contingente dello sviluppo economico e sociale, è, prima di tutto, il basamento sul quale poggia la sua storia o, se vogliamo, il lascito di secoli e secoli del nostro essere comunità. È dunque sorprendente, per molti aspetti, doverlo riscoprire di volta in volta e, in situazioni come quella propostaci da La Pagina, per una spinta che sorge dal basso, da una miriade di associazioni di impegno e volontariato civile, che paradossalmente finiscono col contrapporsi alle istituzioni, alle quali, non di rado, quest’aspetto sfugge. Pensiamo all’Allegoria del buon governo di Ambrogio Lorenzetti; lì c’è l’ideale rappresentazione di un modo di vita nel Medioevo del Centro d’Italia; pensiamo ai tanti campanili dell’Umbria, che sono anch’essi un’espressione, con le dovute differenze, di queste radici comuni. Quel policentrismo, di fatto, si manifestava nella presenza di una serie di centri dotati di un potere attrattivo nei confronti dei territori circostanti, anche se non sempre c’erano buoni rapporti tra di loro. In altre parole, lì c’era la sostanza del pluralismo umbro che, per molti aspetti, ancora permane nelle forme di una rivalità tra le città maggiori e in una molteplicità di manifestazioni che danno l’idea di un insieme pieno di colori e di sapori.
Oggi la parola “policentrismo” ha ovviamente un significato in parte diverso, più legato all’evoluzione della democrazia politica ed economica. Nel 1970 con l’istituzione della Regione e dopo la grande battaglia per il piano di sviluppo, nei primi atti politici di rilievo del nuovo ente, come lo Statuto e le linee di indirizzo della pianificazione urbanistica, si affermava l’obiettivo di una crescita armonica di ogni parte dell’Umbria, attraverso scelte di riequilibrio e di pari opportunità nell’accesso ai servizi fondamentali: scuola e università, ospedali e distretti sanitari, pubblica amministrazione, cultura e ricerca, sport e tempo libero. In tale ottica era decisiva l’organizzazione della mobilità, intesa come complementarietà tra gomma e ferro, all’interno di un bacino da percorrersi in limiti temporali non eccedenti l’ora. A questo punto il policentrismo doveva necessariamente tradursi in modelli territoriali di area vasta, con un esplicito riferimento a forme di partecipazione e di democrazia diretta. Nascevano i comprensori nel numero di dodici, ognuno dei quali era aggregato a un proprio “capoluogo”, non a caso individuato secondo la già ricordata scala preesistente nel Medioevo. Ogni comprensorio, a sua volta, era articolato in più momenti, e cioè organi di gestione, per l’economia e l’urbanistica, i beni culturali e il sociale.
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A questi 36 soggetti finirono con il sommarsi, poi, le aziende di promozione turistica e, successivamente, con la legge di riforma sanitaria, le Unità Sanitarie Locali. In tal modo il duplice obiettivo della partecipazione diffusa e della riorganizzazione dei servizi a dimensione di area vasta rischiava di scadere in una sorta di labirinto inestricabile, tanto più che quel modello finiva col confliggere coi poteri delle Province e dei Comuni eletti direttamente dai cittadini, e non con votazioni di secondo grado. Sin dall’inizio, dunque, le difficoltà si manifestarono in tutta la loro evidenza, tanto più che alcuni comprensori -vedi Perugia- non si costituirono nemmeno, mentre altri videro la luce solo per poche materie. Né miglior sorte ebbero diversi tentativi di semplificazione del disegno e di nuovi accorpamenti. Alla fine l’intero marchingegno istituzionale venne smontato, prevalendo una linea di maggiore adesione alla natura e alle competenze dei diversi soggetti. Province e Comuni, anche per effetto di Leggi nazionali, come la 142 del 1990, divennero titolari di ulteriori deleghe, spesso anche senza la necessaria copertura finanziaria. Tra queste, quanto a rilevanza, si segnalarono, quelle per i piani di coordinamento paesaggistico alle Province; e per i consorzi finalizzati alla gestione di particolari servizi, come la distribuzione di acqua potabile, i trasporti urbani e lo smaltimento dei rifiuti solidi, ai Comuni. Per il turismo si pervenne alla creazione di un’azienda unica per tutta la Regione mentre per la sanità se ne crearono due. In termini concreti si può dire che l’obiettivo di una maggiore efficienza dell’intero sistema, sicuramente conseguito almeno in parte, è stato pagato con un minor tasso di democrazia, sia nella programmazione delle scelte che nei controlli. Su tutto ha fatto leva la crescente pressione delle esigenze di bilancio, che di fatto ha impedito la realizzazione di un armonico assetto delle politiche di sviluppo a dimensione di area vasta e delle loro ricadute a vantaggio dei cittadini. Un recente studio dell’ISTAT ha affrontato il tema della configurazione ottimale dei sistemi urbani in tutte le regioni italiane. Per l’Umbria, tra gli altri, viene puntualizzato anche l’ambito territoriale che ricade su Terni: si tratta di diciotto comuni per una popolazione di 180.000 abitanti, dalla Valnerina al Narnese-Amerino e Sangemini-Acquasparta. Tale, dunque, per l’Istituto di Statistica è l’area vasta ove programmare e organizzare al meglio le scelte nei diversi campi. Sulla questione c’è una storia che merita di essere raccontata. Tra la fine del 1972 e gli inizi del 1973 il Comune di Terni -Sindaco Dante Sotgiu e assessore all’urbanistica chi scrive- prese l’iniziativa della formazione di un piano intercomunale, previsto dalla Legge del 1942. Si trattava di armonizzare le previsioni, spesso non
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coincidenti nelle zone di confine, tra i diversi piani regolatori e, soprattutto, di proporre una filosofia unitaria dello sviluppo dell’intero comprensorio. In breve tempo la proposta raccolse l’adesione di tutti i consigli comunali -coincidenti con quelli oggi indicati dall’ISTAT- e del consiglio provinciale, come elemento unificante delle diverse esigenze. Quindi fu inoltrata domanda di autorizzazione a procedere alla Regione, divenuta da poco titolare della relativa potestà. Lì all’interno della rappresentanza ternana, si aprì un dibattito che, visto a quasi cinquant’anni di distanza, ha del surreale. Più che sul merito dell’iniziativa, da parte di alcuni consiglieri, sia di maggioranza che di opposizione, ci si concentrò “su quello che c’era sotto”. E sotto non poteva esserci che un disegno “egemonico” di Terni, che da pochi anni aveva superato i centomila abitanti, sul territorio restante. Terni, in altre parole, fu accusata di aspirare a divenire una megalopoli, per la qual cosa il comprensorio largo, già immaginato e definito dalla Regione, era bene che fosse diviso in due, con l’aggiunta di un’ulteriore aggregazione -il cosiddetto comprensorio di riequilibrio Narni-Amelia”- da interporre tra il capoluogo provinciale e Orvieto. Ovviamente non se ne fece nulla e tutti, come prima, continuarono a fare da soli, felici e contenti. A questo punto, dopo mezzo secolo da quella vicenda, in un mondo totalmente cambiato e a fronte di istituzioni alquanto logorate, ha ancora senso continuare a ragionare di policentrismo e area vasta, come ci viene sollecitato da La Pagina? Si consideri, inoltre, che per l’improvvida decisione di separare,
nel 1927, la Valnerina, da sempre gravitante su Terni, in due province, il tema è reso più complicato dalla sovrapposizione di competenze, che potrebbe essere superata solo con scelte programmatiche unificanti da parte della Regione. In concreto potrebbe essere ripreso e aggiornato un importante documento, sempre degli anni Settanta, il Progetto pilota per la rivitalizzazione dei centri storici della dorsale appenninica, tanto più che nel frattempo l’area è stata investita da tre terremoti distruttivi. Sarebbe una decisione di grande significato culturale, economico e sociale, nel quadro della ricostruzione in atto, che è destinata a durare per vari anni. Tuttavia, al di là dell’ipotesi richiamata, è sul modus operandi che dobbiamo concentrarci, avendo presente una sinergia tra beni paesaggistici, risorse naturali e realizzazioni dell’uomo. Madonna Valnerina, come la chiama Giampiero Raspetti, è uno scrigno pieno di bellezze, di spiritualità e, perchè no?, di eccellenze gastronomiche. Da una relazione ancora più stringente con la Cascata delle Marmore, che già intercetta una parte rilevante del flusso turistico della regione, potrebbe ricavare, ma anche offrire, ulteriori vantaggi, quanto a durata dei soggiorni. Per la Cascata è urgente però rilanciare il progetto, ormai da troppo tempo chiuso in un cassetto, che ne chiede il riconoscimento quale “Patrimonio dell’umanità”, da parte dell’UNESCO. Sempre in quella zona dovrebbe essere sciolto definitivamente il nodo dell’utilizzazione dell’ex stabilimento del Carburo, a Papigno, ove tra l’altro insistono beni straordinari di archeologia industriale, come la vecchia centrale elettrica VelinoPennarossa e la cosiddetta Sala Cloud. Un museo dell’energia troverebbe in quel punto, riqualificato per l’accoglienza e l’ospitalità ai turisti, la sua sede naturale. Gli esempi potrebbero continuare a lungo, anche perchè ci troviamo in un luogo emblematico di quel Grand Tour che tra il Seicento e l’Ottocento affascinò tanti intellettuali, come Goethe, Byron, Corot. Luogo emblematico della modernizzazione
italiana, nel passaggio dalla società agricola a quella dell’industria, e al tempo stesso, caso pressoché unico in Europa per la presenza contemporanea delle produzioni di energia idroelettrica, siderurgiche, meccaniche, chimiche, tessili, dell’editoria. C’è dunque una grande storia da riprendere e rilanciare, in un’ottica di sviluppo, da San Valentino a Carsulae, dall’Albornoz alla Città di Ridolfi, dopo le devastazioni belliche. Si pensi solo alla potenza di richiamo che potrebbero avere, in un’ottica di interconnessioni, il Museo delle Armi e quello della Cartolina Alterocca, con le loro eccezionali dimensioni. In conclusione potremmo dire che policentrismo ed area vasta sono due facce della stessa medaglia, tanto più se considerati nella specificità della fruizione culturale, ambientale e turistica. Naturalmente dobbiamo essere consapevoli di quanto la realtà, a partire da quella dell’economia in generale, sia più complessa. Ci sono infatti autorevoli voci che ormai parlano apertamente di fine dell’industria e di declino irreversibile per Terni; di fallimento e impraticabilità delle esperienze più innovative fin qui tentate: il centro multimediale, il cinema a Papigno, l’Università. In altri casi, come quelli legati al mercato dell’acciaio, i problemi hanno dimensioni europei e mondiali. Senza dubbio c’è molto da fare, a cominciare dal ruolo di Terni in Umbria o in quella che sarà la futura macroregione; ci sono le grandi incompiute, sia stradali che ferroviarie, l’informatizzazione da completare e l’università da consolidare; la fuga dei giovani da arrestare, le “reti” da potenziare. Sono i compiti non lievi della politica e dell’economia, dalla cui soluzione dipenderà molto del futuro di una città e di un territorio. Già nel passato, anche recente, Terni ha mostrato di saper superare prove ancor più difficili. Auguriamoci che anche questa volta, con l’impegno di tutti, possa dare conferma della sua coesione e determinazione.
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Miro Virili
Il manifesto per una nuova città:
INTERAMNAPOLIS
la città policentrica della valle del Nera Lo slogan “Umbria verde”, male si addice al carattere poliedrico di una regione dove il verde sposa il cristallino delle acque e le stagioni danzano con i colori e dove i monti e le alture arse lambiscono l’azzurro cobalto del cielo. […] [L’Umbria] è il lascito delle generazioni passate, l’esempio di come la concretezza del lavoro e della preghiera si siano unite alla bellezza e come la bellezza sia assorta a spiritualità, dando vita a una molteplicità di forme e di espressioni -anche culturali e linguistiche- che neppure la lunga stagione del governo pontificio è riuscita a rendere uniforme. Questa è la ricchezza dell’Umbria, meglio delle Umbrie: la pluralità del luogo; la capacità di aver saputo coniugare le diverse matrici della storia in unico corpo sociale. Una ricchezza contenuta in un fazzoletto di terra che è sintesi della sua capacità di essere, allo stesso tempo, eretica e osservante. Mino Lorusso, 2017 Il saio e la lince
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A
ppunti per costruire un documento finale che racchiude le idee di fondo del progetto per una nuova città, 10 punti con slogan semplici e chiari che possano rimanere in mente e essere trasmessi a tutti! Di seguito, a solo scopo esemplificativo, alcuni punti tratti dai miei contributi pubblicati su La Pagina ai quali ho aggiunto alcuni punti ripresi dal manifesto per una smart land. 1. Terni non è solo “la città” in senso fisico (gli edifici, le strade le piazze, ecc..), ma è anche un sistema di comunità che, all’interno di uno specifico territorio (habitat), si riconoscono in un insieme di atti, di vicende politicoamministrative e si ritrovano in tradizioni, usi, costumi in una parola nella loro storia. 2. Noi vogliamo riscoprire la nostra vera identità a partire da quella dell’Umbria che sta proprio nella differenza, nella particolarità delle tante identità delle singole città della Regione. Queste differenze non sono una debolezza ma un punto di forza; la diversità culturale non è un indicatore negativo, ma, all’opposto, un valore da difendere e sviluppare, cosi come nell’ambiente naturale è un valore la biodiversità. 3. Noi proponiamo il modello dell’Umbria come una “regione di città, di comuni e di comunità”. Un modello insediativo policentrico fondato sul “sistema delle reti di città” che costituisce la parte strutturante dell’intelaiatura territoriale e identitaria della regione Umbria. Dobbiamo andare oltre il bipolarismo umbro tra Terni e Perugia, che oggi dopo l’abrogazione di fatto delle province rischia di diventare nuovamente un centralismo o un accentramento regionale, a scapito del policentrismo che storicamente ha caratterizzato la nostra regione. SÌ all’Umbria delle reti di città; SÌ all’Umbria policentrica dallo sviluppo equilibrato e sostenibile dove si vive bene; SÌ all’Umbria con Regione di Città, Comuni e Comunità.
4. La nuova Terni deve essere una città e un territorio sostenibile e vivibile assumendo come punto di rifermento alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU sullo sviluppo sostenibile, e i documenti che compongono lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE, Postdam 1999), che si orientano verso alcuni principi di fondo tra i quali risultano di grande rilievo l’inclusività, la sicurezza, la durabilità e la sostenibilità attraverso la determinazione di uno sviluppo territoriale equilibrato, basato
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un’organizzazione degli insediamenti di tipo Policentrico, attento agli aspetti identitari e al consumo di suolo. 5. La nuova Terni deve essere una città e un territorio intelligente (Smart land), in rete con le altre città della valle del Nera e del Velino (Narni, Amelia, Rieti e Norcia) e nello stesso tempo essere un comune policentrico, fatto dalle tante identità delle diverse città che si sono succedute nel tempo che si intrecciano con le identità delle antiche municipalità (i suoi “castelli”), con il suo spazio rurale e la sua “montagna” dove ancora oggi sono gli usi civici delle comunità (Domini Collettivi, Comunanze ecc..). 6. Terni è fatta di tante identità che rendono ogni luogo particolare e degno di essere raccontato e che fanno di Terni una città con elevato indice di diversità culturale. Conoscere, salvaguardare e restaurare la memoria di una parte, significa rafforzare l’identità della nostra città e contribuire a portare materiale e risorse per costruire la nuova Terni del XXI secolo. 7. Tante identità che rendono ogni luogo particolare e degno di essere raccontato e che fanno di Terni e della Valnerina una città e un territorio con elevato indice di “diversità culturale” (Dichiarazione universale dell’UNESCO sulla diversità culturale, Parigi 2001). 8. NO alla visione di Terni città senza cultura, dove non ci siano istituzioni culturali, scientifiche e universitarie; NO alla Terni quartiere esclusivamente produttivo e dormitorio di un centro culturale ubicato altrove, sede di università e istituzioni scientifiche ed artistiche. SÌ a una Terni capitale della cultura Europea con proprie e autonome istituzioni culturali, artistiche e scientifiche di tipo moderno e in rete con l’Europa e con il mondo. SÌ a una nuova architettura amministrativa che veda Terni e la valle del Nera non come Umbria meridionale ma Terra di mezzo, porta dell’Umbria, nodo e cerniera verso la realtà metropolitana di Roma e verso quegli ambiti di Rieti e Viterbo affini per collocazione geografica e di interessi. 9. Dobbiamo identificare, tutelare, proteggere e promuovere le espressioni di quelle identità plurime che contraddistinguono il nostro territorio e le aree culturali storicamente determinate allo scopo di evitare il rischio di omologazione culturale e della conseguente scomparsa delle differenze tra le culture (Convenzione UNESCO per la protezione e la promozione delle espressioni della diversità culturale 20/10/2005); 10. Dobbiamo salvaguardare i beni culturali immateriali che costituiscono il patrimonio delle nostre comunità particolarmente vulnerabile del processo identitario culturale (Convenzione UNESCO per la Salvaguardia dei Beni Culturali Immateriali 17/10/2003) con particolare riferimento alla nostra storia e alle nostre tradizioni (Corsa all’Anello, Giostra dell’Arme, Festa delle Acque, Cantamaggio ecc..), agli antichi patroni (San Valentino, San Francesco, San Giovenale, Santa Firmina, Santa Barbara, ecc…), alle antiche leggende (Il drago meglio il Thyrus, il grifo, la ninfa Nerina e il pastore Velino, ecc…) e alle nostre diverse culture (montagna, acqua, agricola, industriale, ecc…).
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Roberta Isidori
APPUNTI DI VIAGGIO DI UNA PENDOLARE Q
uattro anni fa ho deciso di lasciare la professione di avvocato e di accettare l’incarico di segretario comunale: precario ed incerto il lavoro autonomo, privo di tutele e di garanzie, più rassicurante il lavoro pubblico, soprattutto per chi ha scelto di avere una famiglia e dei figli. Ancora troppo ampio il divario che c’è nel nostro Paese tra il lavoro pubblico e quello privato e ancor di più tra il lavoro autonomo e quello dipendente, una vera disuguaglianza sociale. Così ogni giorno lascio la mia amata città di Narni e percorro circa quaranta chilometri per raggiungere tre tra i più piccoli comuni dell’Umbria: Scheggino, Sant’Anatolia di Narco e Vallo di Nera. Lungo la strada della Valnerina, oltrepasso la magnifica maestosa Cascata delle Marmore e seguo la mia guida, il fiume Nera, che mi accompagna scorrendo adagio alla mia destra, attraversando campi e pietre, borghi e campagne. Oltrepasso Arrone, Montefranco, Ferentillo, le frazioni di Sambucheto, Macenano e Ceselli, fino ad arrivare a Scheggino. Giungo in questo piccolissimo meraviglioso borgo, che ormai cinque anni fa seppe incantarmi, raccolto, composto ai piedi della montagna come un piccolo presepe adagiato sull’acqua. Il fiume lo attraversa e lo lambisce, con acque limpide abitate da alghe e da trote e navigate da oche e germani. Il centro storico stupisce con le sue viuzze articolate e ben tenute, costellate da tanti scrigni preziosi: la chiesa di S. Nicola, la torre, la bella architettura; e poi la Valcasana, le frazioni, i sentieri, già noti a S. Francesco e, a quanto pare, a S. Valentino, celebrato nella omonima chiesa. Curioso scoprire che questa terra, feconda di meravigliosi frutti, è da tempo immemore considerata Il Paese delle Donne, in memoria di coloro che nel 1522 difesero il castello di Scheggino dagli attacchi di chi voleva sopraffarlo, approfittando dell’assenza degli uomini, impegnati nel lavoro nei campi. Davvero un
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privilegio lavorare in questi luoghi e ritrovarvi ogni giorno un angolo di bellezza che ti solleva e ti rinfranca l’anima. Proseguendo il mio viaggio da pendolare mi conduce a Sant’Anatolia di Narco, terra antica e verdissima, con le sue bellissime chiese con i preziosi affreschi, incastonate nei piccoli borghi montani; le sue bellissime frazioni di Caso e Gavelli, a un passo dal cielo, in una natura davvero ancora potente e incontaminata; le tradizioni virtuose di un tempo, custodite e rivitalizzate all’interno del suo caratteristico, originale, Museo della Canapa, Antenna dell’Eco museo della Dorsale appenninica della Valnerina, il borgo di Castel S. Felice con la imponente Abbazia dei Santi Felice e Mauro, legata a leggende di draghi colpevoli di infestare la valle e sconfitti dai due santi. L’atmosfera che si respira qui, a margine del fiume Nera, attraversato dal bel ponte medievale, recentemente restituito agli antichi splendori, è quasi esoterica: la natura, la leggenda e il misticismo si mescolano in una alchimia capace di impressionare chi ha l’avventura di farne esperienza. Percorro la Valle del Nera circondata dalle imponenti montagne che si ergono sopra il fiume, così rigogliose e ingombranti, ai margini della mia strada; avverto la loro presenza divenuta ormai quasi rassicurante, come quella di due grandi braccia che ti avvolgono e sembrano volerti proteggere; eppure, questa terra ha spesso mostrato la sua fragilità: ha conosciuto frane
e terremoti tutt’altro che rassicuranti, riuscendo tuttavia a reagire sempre con grande dignità e capacità di riorganizzarsi, difendendo la propria storia e la propria vita. Ultima tappa del mio cammino è Vallo di Nera, borgo–gioiello che ha saputo custodire ogni sua pietra. Il paese–castello, di cui due anni fa abbiamo festeggiato l’ottocentesimo compleanno, facendo memoria del giorno in cui la città di Spoleto concesse la nascita del comune. Un borgo che ha saputo narrare le sue tradizioni attraverso la quella orale, conservata simbolicamente nella Casa dei Racconti, che raccoglie le più note vallanate, aneddoti spesso ironici e fantasiosi, che restituiscono in rima, nel dialetto locale, le più antiche tradizioni e storie popolari. Bellissime le tre chiese romaniche, poste all’interno del paese, veri e propri tesori artistici del territorio: la chiesa di S. Giovanni Battista, la chiesa di Santa Maria Assunta e la chiesa di Santa Caterina. Mi piace il mio lavoro, mi sono subito appassionata a queste piccole municipalità, al loro territorio, alle loro identità, alle tradizioni di una gente che ho presto apprezzato per la semplicità ed autenticità. Ho scoperto risorse naturalistiche di rara bellezza, pezzi di storia di una terra in fondo non troppo lontana e ho conosciuto amministratori che, con grande dedizione e generosità, dedicano gran parte della propria vita a prendersi cura delle loro comunità, difendendone l’identità e creando nuove opportunità di sviluppo, che allontanino il rischio più grande e sempre più temuto: lo spopolamento. Infondo credo sia soltanto questo che ci renda davvero cittadini: il prenderci cura di un territorio, di una comunità, l’adoperarci per custodirlo, difenderlo, amarlo; riscoprirne le tradizioni e conservarle nella memoria, per non disperderne il valore e la ricchezza. Ciò indipendentemente dal passaporto che si possiede. Ho sempre pensato che nascere in un Paese, averne la cittadinanza, non ci dia alcun diritto di pensare che questo Paese ci appartenga, autorizzandoci a decidere chi possa o non possa stabilirvisi, né ritengo giusto che la vita di una persona possa essere segnata semplicemente dal fatto di essere nata in un luogo sbagliato, senza futuro … Ciò che ci rende degni di vivere in un territorio è altro: è appunto amare, custodire e difendere questo territorio, saperlo valorizzare e migliorare nei servizi e nelle
opportunità, senza stravolgerne i tratti caratteristici. Queste piccole grandi realtà che rendono unico il nostro territorio rappresentano un potenziale enorme per la comunità regionale e devono essere assolutamente preservate e custodite. Credo che tutto questo abbia molto a che fare con il concetto di Policentrismo che ho letto in queste pagine de La Pagina Umbria. Non campanilismo sterile che fa il paio con chiusura ed isolamento, ma pari dignità dei territori che compongono la nostra regione, territori che, con le loro peculiarità e diversità arricchiscono e rendono unica l’Umbria. Molti strumenti sono stati messi in campo in questi anni, da ultimo, quello della Strategia delle Aree Interne, in cui è stata inserita la Valnerina, che si pone l’obiettivo di creare le condizioni per un adeguamento dei servizi sociali, sanitari, dell’istruzione, delle infrastrutture e dei trasporti, tale da rendere queste terre assolutamente vivibili e con uno standard di qualità della vita tale da renderle attrattive e ospitali non solo per i turisti, ma anche per chi sceglie di viverci ogni giorno, di crescervi i propri figli, nella consapevolezza di offrire loro un patrimonio di vita unico, che merita di essere conservato e tramandato. Sicuramente c’è molto da fare, la sfida è ardua e per nulla scontata, ma credo nella gente che vi si dedica ogni giorno, con un lavoro importante e con tanta passione. Credo anche (o almeno spero, forse con un po’ di folle e sano utopismo) che il mondo stia invertendo la propria marcia: vediamo proprio in questi giorni folle oceaniche di giovanissimi che affollano le piazze del mondo occidentale con un movimento, quello di Friday For Future, creato dalla giovane svedese Greta Thumberg, che reclama il rispetto dell’ambiente e la salvaguardia del pianeta, recuperando stili di vita e abitudini quotidiane in grado di recuperare un rapporto con la natura sano e virtuoso. E allora mi piace credere che ci sia un futuro possibile anche per le tante nostre comunità locali, ricche di storia e di natura, che ci distinguono e contraddistinguono come Regione e come Paese.
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L’AUTO ELETTRICA e le FONTI RINNOVABILI
un matrimonio perfetto
In questo periodo c’è una grande curiosità attorno alla mobilità elettrica e, contestualmente, vi sono alcune perplessità da parte degli utenti, probabilmente derivanti da una scarsa informazione in merito alle enormi potenzialità che possiede la ricarica domestica dell’auto, coniugata o meno all’installazione privata di Fonti Energetiche Rinnovabili (FER). Si ritiene quindi doveroso fare un po’ di chiarezza e fornire delle informazioni specifiche. Innanzitutto occorre avere ben presente che, in via generale, le auto elettriche possono essere ricaricate in qualsiasi ubicazione dove sia presente un contatore di energia elettrica; ovviamente si deve considerare che i terminali dei cavi di ricarica delle auto debbono essere connessi a delle prese che vengono dette comunemente wallbox (letteralmente “scatole a parete”). Chiunque sia in possesso, quindi, di qualsiasi tipologia di abitazione privata indipendente, come ad esempio una villetta o un casale, oppure abbia la disponibilità di un garage o di un magazzino dotato di allaccio di energia elettrica, ha senza alcun dubbio la possibilità di ricaricare un’auto elettrica. È però indispensabile che chiunque abbia questa possibilità valuti quale deve essere il corretto dimensionamento della wallbox; questo lo si calcola in funzione dell’utilizzo che si fa quotidianamente dell’automobile. Va da sé che qualora il mezzo venga usato per lunghi viaggi, la ricarica presso la propria abitazione non sia più sufficiente a garantire il rifornimento del mezzo e che si debba ricorrere a colonnine pubbliche. A questo proposito è importante sapere che in Italia in questo momento sono state installate più di 9.000 colonnine di ricarica pubbliche, e ne è già programmato un fortissimo incremento per i prossimi anni. Allo scopo di prendere dimestichezza con i concetti che stanno alla base della scelta di un’auto elettrica è opportuno ricordare e tener sempre a mente due grandezze fondamentali, ossia la potenza (che si misura in kW) e l’energia (che si misura in kWh). Le colonnine di ricarica sono classificate in base alla potenza di ricarica (kW). Le batterie delle auto sono classificate in base
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Gianpiero Santini
all’energia che possono immagazzinare (kWh). Il calcolo è piuttosto semplice: per caricare 24 kWh in una batteria con una colonnina di ricarica domestica da 3 kW (che è praticamente la taglia minima) si impiegano 8 ore (una notte). Con una vettura utilitaria, tenendo un’andatura media, è possibile percorrere circa 7 km con 1 kWh, per cui con una ricarica di 8 h si effettuano ben 170 km! Logicamente i quantitativi di energia ricaricata a parità di tempo si raddoppiano se si utilizza una colonnina da 6 kW anziché da 3 kW. In questo caso, con 8 ore si caricano 48 kWh e la potenzialità di percorrenza sale quindi a 340 km circa. Merita precisare, del resto, che le vetture medie attualmente in commercio hanno capacità
di batteria che supera i 50 kWh. Ovviamente si deve tenere in dovuta considerazione il fatto che la potenza impegnata del contratto di energia elettrica con cui è allacciata la wallbox debba essere superiore alla potenza della colonnina stessa. Orbene, dai calcoli illustrati sopra, risulta palese che, nel caso in cui l’auto venga utilizzata quotidianamente e nel week end per coprire medie percorrenze, è più che sufficiente avere una colonnina di ricarica a casa e non si ha bisogno di una colonnina di ricarica pubblica. Ma i vantaggi potrebbero andare oltre. Se si è tra i fortunati che hanno a disposizione un tetto autonomo e indipendente, esiste la possibilità di installare un impianto fotovoltaico (FV) con il quale produrre energia elettrica che verrà utilizzata per ricaricare anche l’auto elettrica. Per ottenere questo risultato, però, sarà opportuno installare anche una batteria di accumulo, cosicché sarà possibile instaurare il seguente ciclo: GIORNO – FV produce, l’energia viene accumulata NOTTE – L’energia viene trasmessa all’auto. Dunque, dall’attenta analisi dei calcoli riferibili all’auto elettrica rispetto a quelli di una vettura a combustibile tradizionale, si ritiene che non vi siano dubbi in merito alla convenienza: basti pensare che, ad un prezzo medio dell’energia di 0,35 €/kWh, utilizzando i dati sopracitati il costo medio per percorrere 100 km è di soli 5 euro! Nel caso in cui addirittura si installi un impianto FV, il rifornimento risulterà essere gratuito dal momento in cui il costo dell’impianto sarà stato ammortizzato: in una situazione tipo, tenendo in considerazione l’attuale incentivo della detrazione fiscale pari al 50%, il periodo di ammortamento degli impianti è calcolabile in 3-4 anni, ma si può ulteriormente ridurre nel caso in cui l’energia prodotta dall’impianto sia utilizzata quasi integralmente per l’auto. Analoghi ragionamenti possono comunque essere presi in considerazione anche da un condominio: in tal caso si possono installare colonnine di ricarica, impianti fotovoltaici e di accumulo condominiali, con notevoli benefici per tutti i condòmini che usufruiscano della ricarica proveniente da FER. In conclusione, l’abbinamento tra FER e auto elettrica rappresenta il matrimonio perfetto nell’ottica della sostenibilità ambientale dei trasporti, perché coniuga tutti quei fattori positivi propri della mobilità elettrica –tra cui l’elevato rendimento di questo tipo di motore e la manutenzione pressoché nulla di questi mezzi– con la possibilità, attraverso le FER, di produrre energia totalmente da fonti rinnovabili, traguardando quindi l’orizzonte delle emissioni zero senza rinunciare a comfort e prestazioni.
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Maria Laura Aloisi
UMBRIA: regione in transizione C
on il prossimo ciclo di programmazione (2021-2027) dei finanziamenti Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale), gli enti locali potranno contare in totale su 4,5 miliardi di finanziamenti, di cui per la prima volta 1,5 destinato alle zone interne e in particolar modo ai piccoli comuni. Il metodo di assegnazione dei fondi è ancora in gran parte basato sul PIL pro capite, ma sono stati aggiunti nuovi criteri come disoccupazione giovanile, basso livello di istruzione, cambiamenti climatici nonché accoglienza e integrazione dei migranti, al fine di rispecchiare più fedelmente la realtà.
Nella classifica delle 300 regioni europee per Pil pro-capite a parità di potere d’acquisto, la regione Umbria retrocede passando da regione sviluppata a regione in transizione. Con la modifica dei criteri per la classificazione, la categoria delle regioni in transizione si è allargata fino a comprendere tutte quelle con un Pil procapite tra il 75 e il 100% della media Ue, mentre fino ad oggi la forchetta era 75-90%. Tuttavia, la sola regione rientrata formalmente in questa modifica è la regione Marche, mentre per l’Umbria lo
La ricerca di progetti fattibili per la produzione e la distribuzione di energia intelligente e naturalmente la collocazione del turismo all’interno di una strategia di sviluppo più ampia e integrata che superi la mera promozione di eventi e che punti a massimizzare e rendere duraturi i risultati.
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slittamento è dovuto verosimilmente al perdurare degli effetti della crisi economica. La scelta di ampliare il range di riferimento da parte dell’UE nasce dalla volontà di allargare il novero delle regioni beneficiarie liberando maggiori risorse da destinare agli interventi di primaria importanza. Per quanto concerne la nostra regione, beneficiaria in tal senso, sono stati avviati già dal mese di giugno scorso gli incontri per la definizione delle priorità e dei relativi obiettivi specifici, affrontati su cinque “tavoli tematici” corrispondenti agli obiettivi principali degli investimenti UE per il periodo 2021-2027: • un’Europa più intelligente mediante l’innovazione, la digitalizzazione, la trasformazione economica e il sostegno alle piccole e medie imprese; • un’Europa più verde e priva di emissioni di carbonio grazie all’attuazione dell’accordo di Parigi e agli investimenti nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta contro i cambiamenti climatici; • un’Europa più connessa, dotata di reti di trasporto e digitali strategiche; • un’Europa più sociale, che raggiunga risultati concreti riguardo al pilastro europeo dei diritti sociali e sostenga l’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze professionali, l’inclusione sociale e un equo accesso alla sanità; • un’Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, rurali e costiere e delle iniziative locali.
Maggiori risorse per l’Umbria dunque, ma anche alcune importanti semplificazioni nella gestione, nei controlli e nell’attuazione dei regolamenti. Fin qui un quadro piuttosto positivo e ricco di opportunità, reso ancora più interessante dallo sblocco di ulteriori fondi nazionali (circa 40 milioni) per l’associazionismo comunale. Stando alle relazioni prodotte dalla Regione Umbria in seguito agli incontri partenariali fino ad oggi svolti, in relazione ai cinque temi proposti, negli ultimi anni molto è stato fatto ed in questo senso i piccoli comuni hanno dato prova di grande impegno e lungimiranza nell’individuare temi e strumenti efficaci per l’attuazione dei programmi sul territorio regionale. Restano però sul campo alcune criticità. Quella legata all’innovazione digitale, che necessita ancora di una alfabetizzazione digitale funzionale che consenta l’accesso ai servizi a tutte le fasce d’età; l’adeguamento e il miglioramento della rete viaria che integri la mobilità alternativa sostenibile; la ricerca di progetti fattibili per la produzione e la distribuzione di energia intelligente e naturalmente la collocazione del turismo all’interno di una strategia di sviluppo più ampia e integrata che superi la mera promozione di eventi e che punti a massimizzare e rendere duraturi i risultati. Queste sfide importanti e urgenti necessitano di un nuovo approccio, che moltiplichi le opportunità e le potenzialità di un territorio, come quello umbro, vocato al turismo sostenibile, sorretto da una
solida base culturale, storica e di tradizioni. È fondamentale la conoscenza del territorio, le cui potenzialità e peculiarità costituiscono una ricchezza che può essere spesa e al tempo stesso protetta e tutelata. Occorrono azioni mirate, anche con piccoli interventi, che abbiano però la capacità di produrre quel “ripple effect” (effetto onda) che amplifichi i risultati e inneschi nuove iniziative. La vera transizione dovrebbe consistere in una nuova visione del futuro, disegnata e condivisa dai piccoli comuni, area per area. Specifica e dettagliata, perché nota, vissuta e sofferta nella consapevolezza delle difficoltà di un territorio che si spopola e perde risorse, idee, creatività. La progettazione condivisa rappresenta la soluzione non solo per le difficoltà operative dei piccoli comuni, ma anche per quelle legate alla ricerca di soluzioni innovative ed efficaci, specifiche e funzionali ad un determinato territorio.
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Carlo Santulli
VINCERE UNA LOTTERIA PER IL NOSTRO TERRITORIO Il baricentro del nostro paese si sta gradatamente spostando verso le grandi città
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on ho mai nascosto la nostra fortuna ad avere tante bellissime scuole, nonostante tutte le difficoltà e la scarsità di risorse. La scuola può incidere positivamente sul territorio, può anzi tenere in piedi quasi da sola una piccola comunità, un paese come quelli della Valnerina, malgrado le loro dimensioni ridotte ed il loro spopolamento, soltanto parzialmente controbilanciato dalla presenza di iniziative turistiche e culturali. Prima della pausa estiva, mi è capitato di assistere ad una bellissima rappresentazione alla scuola primaria di Montefranco. La storia non era nuova, ma è una di quelle se vogliamo eterne. Una famiglia di montefrancani vince la lotteria. E dove va chi vince la lotteria? Beh, a Milano: più precisamente in una suite di un hotel a cinque stelle lusso. Dopo una serie di vicende divertenti, la famiglia dilapida più o meno tutto, o quasi, e torna alla sua vita in Valnerina, per scoprire che in fondo non ha da invidiare per certi aspetti, per esempio l’umanità ed il contatto con la natura, con quella della grande metropoli. Al di là dei momenti comici, e senz’altro nell’intenzione delle maestre, qualche spunto di riflessione c’era: il baricentro del nostro paese si sta gradatamente sempre più spostando verso le grandi città, non tanto la popolazione, perché ormai delle grandi migrazioni interne del dopoguerra si è perso il ricordo, ma paradossalmente i servizi. Con la scusa della maggior efficienza, si cerca di concentrare sempre più tutto in grandi strutture.
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Che poi... efficienza. Si tratta più correttamente di trasferimento di risorse: se l’ospedale si allontana da dove vivono le persone, allora aumenteranno i costi per il primo soccorso con le ambulanze, oppure saranno trasferiti verso familiari ed amici che dovranno portare fisicamente (cioè molto spesso...in auto) la persona per farla curare. È lo stesso problema che si lamenta dall’altra parte dell’Appennino: molto retorico parlare di ripopolamento, se poi chiudiamo i punti nascita ed una donna che sta avendo le contrazioni del parto deve percorrere decine di chilometri per far nascere il suo bambino. Questo sembra molto efficiente ai manager, che non a caso sono quasi sempre uomini, però senz’altro non aiuta le partorienti. In effetti oggi si dà per scontato di avere a disposizione un’automobile e qualcuno patentato che sia in condizione di guidarla: questo non vale soltanto per la Valnerina, ma un po’ per tutte le nostre zone interne. Mezzi pubblici pochi e distribuiti in modo poco uniforme sul territorio. Ciò che esisteva ed aveva una maggiore capacità di carico, come tranvie e ferrovie locali, sparito da lungo tempo. Servizi a chiamata oppure taxi collettivi, che hanno la possibilità per un costo modesto di ricucire il territorio, non decollano, a differenza che in altre zone d’Europa: questione di mentalità, forse, ma anche mancanza di efficaci incentivi e marketing. Certo, dal punto di vista turistico, si sta per esempio lentamente realizzando il collegamento attraverso pista ciclabile con la Cascata, e le bici in certi casi
si possono portare sugli autobus di linea. È già qualcosa. Ma rimane il fatto che il territorio interno è sempre più scollato e l’accesso a servizi essenziali, come scuole e sanità, sempre più complicato. Per non parlare del pendolarismo, che è un’opzione non sempre praticabile, anche per la non facile percorribilità delle strade, specialmente man mano che ci si avvicina verso Norcia. Dobbiamo rassegnarci allo spopolamento? Io spero di no. Prepararci ad uno scenario diverso, sicuramente sì. Con l’invecchiamento medio della popolazione, anche considerando l’arrivo crescente di persone non nate in Italia, e la denatalità, a proposito della quale non va dimenticata la chiusura di molti punti nascita di piccoli ospedali, per mantenere l’autonomia di movimento delle persone non si potrà dipendere dall’automobile privata, magari di proprietà. Ci sono anche considerazioni ambientali, legate alle difficoltà create dal disassemblare (se volete: smontare), e smaltire i veicoli a fine vita, i cosiddetti ELV (End of Life Vehicles), che faranno propendere gradatamente per delegare lo smaltimento stesso ai produttori. Questo farà sì che ci saranno sempre più veicoli in leasing, se volete in affitto all’occorrenza, o appunto noleggiati a richiesta, ma naturalmente in condizioni molto migliori di quanto non siano mediamente ora, il che avrà anche vantaggi sull’affidabilità. Perché le auto occupano anche molto spazio, specie in paesi dell’interno dove di per sé ce n’è già poco, quindi meglio avere soltanto quelle che effettivamente si usano al momento, il parcheggio dev’essere breve. Al di là di questi sviluppi, che vedremo presumibilmente molto presto, è chiaro che la rete di servizi per l’interno andrà ridisegnata e sì, avremo Internet anche nei luoghi più sperduti, dove ora nessun cellulare prende, ma potrebbe non bastare, bisogna fare rete anche fisicamente, facendo in modo che certi servizi diventino redditizi in
modo da produrre anche lavoro, e questo è un fatto di organizzazione. La filiera dell’agro-alimentare per esempio ha bisogno di una serie di lavoratori specializzati che si estendono in una gamma vastissima, dal veterinario al potatore allo...chef, per fare degli esempi. Ma c’è ovviamente molto di più. E per non spopolarli, dobbiamo puntare sulla personalità dei luoghi: non c’è un piccolo borgo in Italia ed ovviamente anche nella nostra zona che non abbia qualcosa da visitare che rappresenti a suo modo un unicum. In questo, la cultura e, sì, anche la scuola e, perché no, l’università possono aiutare a fornire quelle competenze utili al territorio in modo mirato alle sue necessità. So che dirlo sembra un po’ una...fuga in avanti, in un momento in cui sembra non si faccia altro che tagliare in questi settori. Ma io sono per esempio per la riapertura di tutte le tranvie e le ferrovie dismesse, ed anche per riproporre il minimetrò ternano, per iniziare, almeno a Borgo Rivo, dove vive circa un terzo di tutta la popolazione del comune di Terni. Basterebbe diserbare intorno al binario ed esercitare la tratta Borgo Rivo – Terni a meno di 50 km all’ora, cosa che la legge consente, anche senza le modifiche alla tratta richieste per la sicurezza. Questo comunque porterebbe le persone in stazione, per esempio per prendere la coincidenza per Roma, in cinque minuti. Quanto ci mettete in auto? Il servizio potrebbe essere esercitato “a spola” (con un unico treno, costituito anche da una o due carrozze) con del materiale diesel come le 663 che vedete circolare sulla linea per L’Aquila. Niente di lussuoso, ma funzionerebbe. In attesa di ulteriori sviluppi e della riapertura totale della tratta. Anche perché molto presto, com’è giusto e mi spiace se non la vedete così, il parcheggio in stazione sarà a pagamento. D’altronde, il diritto gratuito a parcheggiare la propria auto su suolo pubblico non esiste, anche se finora c’è stata tolleranza anche su questo, ma è un residuo del passato.
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Giuseppe Fortunati
SAN FRANCESCO
nelle terre del fiume Nera nella “Corona Ternana”
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a terra che dalla Valnerina, passando per Terni e Narni si lega ad Amelia, Stroncone, San Gemini, Calvi per arrivare fino al Tevere, riserva tante sorprese e tante gemme da scoprire per coloro che hanno occhi attenti. Ogni chiesetta, ogni collina ci parlano di San Francesco e del suo passaggio in queste terre, i tanti affreschi disseminati nel territorio ci raccontano una storia antica e bellissima, fatta di amore per il creato e ci fanno ricordare come l’Umbria sia da sempre terra di Santi e di Poeti. Questa terra è policentrica ed unita da tante radici; Francesco, con il suo messaggio ha fortemente contribuito a renderla quella che è. Si potrebbero visitare queste terre col solo intento di riscoprire questo messaggio, con percorsi dedicati, tra natura ed arte. Ben cinque sono i percorsi francescani che si posso effettuare soggiornando e riflettendo lungo questi cammini. Suggeriamo anche di vagare con occhio attento nelle nostre terre e scoprire nuove perle, tra le chiese di Arrone, Ferentillo, Stroncone, Piediluco, Narni, Calvi, lo Speco e tutte le gemme della corona Ternana. Tanti sono i segni di questo passaggio, dai molti affreschi dedicati a Francesco, alle immagini dei Santi e delle Sante dell’ordine Francescano tra cui brilla santa Chiara, ma esistono anche molte immagini dedicate a santi minori che solo la nostra terra ha, come il santo Ansano che nel 1400 fu tanto rappresentato nelle nostre terre, con uno stranissimo attributo, quello di avere potere taumaturgico per curare cuore, polmoni e fegato. Molti si rivolgevano a lui per curare tali malattie e solo la controriforma ed il concilio di Trento soppresse tale culto, ma centinaia di immagini restano nelle nostre chiese a testimoniare questa nostra peculiarità. Tale particolare conoscenza si lega anche a Norcia ed alla sua scuola famosa nel
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mondo per le conoscenze chirurgiche, apprezzate da re e potenti. Altro personaggio importante fu San Bernardino da Siena. Il suo famoso logo del sole a dodici punte con la scritta YHS (contrazione del nome greco di Gesù, ᾿Ιησοῦς) si trova in moltissime case e chiese del nostro territorio. Si potrebbe fare un percorso alla ricerca di tale simbolo e scopriremmo che ogni paesino della nostra terra ha sugli architravi dei palazzi, oltre che nelle chiese questo elemento di devozione che forse pochi si sono soffermati ad osservare. Solo a Narni una mia piccola ricerca ha portato a scoprirne oltre cinquanta, nelle sue varianti, ma tutti i paesi della corona Ternana ne serbano tantissimi, provate a guardare con attenzione ed anche voi ne
scoprirete nei luoghi più impensati. San Bernardino da Siena, non solo riformò l'ordine francescano, ma predicò contro l'usura e contro il prestito degli ebrei, gettando le basi per i monti di pietà ed il prestito al consumo, base del futuro sistema bancario che poi vide in Barnaba Manassei uno dei maggiori esponenti a Terni e nell’Umbria. A ben vedere anche tanti quadri ed affreschi raccontano tali storie, come ad esempio la pala del Ghirlandaio a Narni e nelle molte città umbre in cui fu replicata. Essa reca la gloria dell'ordine Francescano con al centro San Francesco e vicino San Bernardino da Siena, ma troviamo anche santo Antonio ed i martiri francescani del Marocco con ben visibile il segno del loro martirio, con sulla testa delle chiare tracce di sangue. Ma tanti altri pittori, da Benozzo Gozzoli ed i suoi allievi allo Spagna e i suoi seguaci, rappresentano in molti modi San Francesco e le sue opere, a dimostrazione della forza religiosa ed il grande potere morale e politico che questo ordine religioso ebbe nelle nostre zone. Proprio qui nacquero i protomartiri Francescani. Nell’antico abitato di Calvi, nei pressi di Narni, il giovane Berardo divenne frate minore e fu destinato da Francesco insieme con altri cinque frati alla predicazione nella Spagna musulmana. Erano frate Pietro di Sangemini, Accurzio di Aguzzo, nei pressi di Stroncone, fra Adiuto di Narni, fra Ottone di Stroncone. Insieme a loro era fra Vitale anch’egli del contado narnese. Nel 1219 Francesco approntò una spedizione missionaria alla volta del Marocco, con l’intento di convertire i musulmani dell’Africa. I membri della spedizione comprendevano tre sacerdoti, Berardo, Pietro e Ottone e due fratelli laici, Adiuto e Accursio; essi transitarono anche a Coimbra e provocarono una forte impressione su Fernando, un giovane Agostiniano.
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Giunti in Africa, i cinque furono decapitati poco dopo il loro inizio dell’evangelizzazione. I loro corpi furono riportati a Coimbra pochi mesi dopo. Antonio riferì in seguito che il martirio di questi fratelli francescani, costituì per lui la spinta decisiva all’ingresso nell’ordine del santo d’Assisi, nel settembre 1220. Quindi la missione e la totale disponibilità fino alla morte, furono probabilmente le spinte interiori che lo portarono al francescanesimo. Egli, volendo sottolineare maggiormente questo netto mutamento di vita, decise di cambiare il suo nome di battesimo: da Fernando in Antonio, in onore del monaco orientale a cui era dedicato il romitorio di Olivais di Coimbra dove vivevano i primi francescani portoghesi e che Fernando aveva da poco tempo conosciuto. Antonio poi venne in Italia dove conobbe san Francesco e predicò per esso, divenendo santo Antonio da Padova. Il Santo giullare giunse per la prima volta nell’avito castello di Narni nel 1209-1210, dopo aver incontrato, a Roma, papa Innocenzo III ed aver ottenuto, dallo stesso, l’approvazione orale della “Regola”. Riferiscono le fonti: «Ebbri di letizia, i “Penitenti di Assisi”, congedatisi dal Pontefice, ripresero la via del ritorno. A quei tempi, due erano le vie che da Roma avvicinavano alla lussureggiante Valle spoletana: la Via Flaminia e la Via fluviale. La seconda era rappresentata dai fiumi Tevere e Nera, a ridosso della quale (riva sinistra), scorreva parallelo il tratturo delle transumanze che, in poco più di due giorni, dalla Città Eterna, faceva giungere al borgo di Narni. Prerogativa della mite compagnia di frati era quella di predicare non solo nelle piazze delle città, in cui era sempre presente l'autorità ecclesiastica, ma soprattutto nelle campagne, nei centri rurali: gli antichi pagi, ove erano ancora largamente praticati i riti e le credenze dell'antica religione pagana. La Via delle transumanze toccava un gran numero di pagi; fu questo il percorso scelto da Francesco ed i suoi fratres. Da Roma ad Orte a bordo di una sandala (tipica imbarcazione fluviale, così denominata per il particolare fondo piatto), quindi, dopo una durevole permanenza (quindici giorni) nei pressi di una cappellina romanica immersa nell'amena campagna ortana, il gioioso drappello di Minoriti giunse nel castello di Montoro. Da Montoro, i Penitenti di Assisi, incantati dall’orrida bellezza della stretta del Nera, costituita dalle rocce strapiombanti del monte Maggiore da una parte e da quelle del monte Santacroce dall’altra, entrarono nelle viuzze di Narni, non prima, probabilmente, di essersi rifocillati alla mensa benedettina della vetusta abbazia di S. Cassiano. A Narni, frate Francesco, probabilmente dopo essersi posto sul punto più in vista della principale piazza del castello, predicò. Narra lo Iacobilli: Predicando San Francesco nella provincia dell'Umbria con grandissimo spirito, e fervore; e operando molti miracoli, il Beato Stefano nobile narnese avendo un giorno udito predicare, e fare molte penitenze e miracoli; compunto grandemente, e illuminato dallo Spirito Santo, abbandonò quanto aveva, e seguì esso Serafico Padre, ponendosi sotto la sua obbedienza; e fu da lui l’anno mille duecento dieci vestito del suo abito dell’Ordine Minore; e fu uno de 72, discepoli, e dei primi, dopo li dodici compagni di esso Santo (P. Rossi, Francesco d'Assisi e la Valle ternana, 1997). Francesco d'Assisi, tornerà a Narni: nel 1213, invitato dal vescovo Ugolino, dopo un fruttuosissimo viaggio apostolico compiuto a Terni, Collescipoli, Stroncone, S. Urbano, Calvi, il Santo assisiate, prima di raggiungere Amelia e Sangemini, pervenne a Narni, accolto con entusiasmo dal vescovo Ugolino (tormentato per il lievitare, nella sua diocesi, della filosofia catara). Era, presumibilmente, il febbraio del 1213. Narrano le cronache: «Nel 1213, la predicazione di S. Francesco a Narni durò vari giorni, e fu accompagnata da due miracoli» (N. Cavanna, Umbria francescana, 1910); riferisce il Celano: «(...) l'uomo di Dio Francesco, recatosi a Narni, vi rimase parecchi giorni. Uno della città, di nome Pietro, stava in letto paralizzato e da cinque mesi privo dell'uso di tutte la membra, così che non poteva punto alzarsi, e nemmeno muoversi un poco,
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riuscendo solo -mentre non poteva servirsi né dei piedi, né delle mani, né del capo- a muovere la lingua e aprire gli occhi. Or costui, sentendo che era giunto a Narni san Francesco, fece dire al vescovo della città che in nome della misericordia divina, si degnasse mandargli il servo dell'Altissimo, perchè nutriva fiducia di essere liberato dalla sua infermità per la vista e la presenza del Santo. E veramente avvenne che, come il beato Francesco gli fu presso e tracciò un segno di croce su di lui dalla testa ai piedi, subito cessò il male e gli tornò la salute». Inoltre: «Nell'istesso tempo che S. Francesco dimorava a Narni, una femmina di detta terra aveva affatto perduta la vista. Il Santo allora la benedisse, e la povera donna riebbe a un tratto la desiderata luce. A tali prodigi la devozione del vescovo e del popolo verso il Serafico Patriarca si accrebbe talmente, che lo pregarono affinché anche nella loro terra avesse presa una casuccia per sua dimora. Il Santo allora, volendo appagare il pio desiderio dei buoni narnesi, si ritirò nella parte più solitaria della città, ed ivi eresse un piccolo convento per sé e per i suoi frati. La fabbrica iniziata dal Poverello di Assisi, rimase in piedi per circa duecento anni, e pare che sorgesse dove al presente si trova la chiesa di S. Francesco, bel monumento del secolo XIV». Concludendo, vi invitiamo a passeggiare con calma tra le nostre terre, per riscoprire il messaggio francescano e le tante perle che ha lasciato sul suo cammino nella Corona Ternana, come la definisce, al posto di conca ternana, il Prof. Giampiero Raspetti. Invitiamo tutti a ricordare il 16 gennaio 2020 gli ottocento anni dal martirio dei Protomartiri francescani della valle del fiume Nera, che sono stati ricordati anche di recente da papa Francesco nel suo viaggio in Marocco con un bel filmato visibile in internet su https://youtu.be/F3LwYuMkGyw Per approfondimenti sui temi trattati in questo articolo, vi invitiamo a leggere in internet: http://www.narnia.it/martiri.htm https://www.camminoprotomartiri.it/ http://www.narnia.it/ansano.htm http://www.narnia.it/bernardino.html https://www.viadifrancesco.it/ Cammini Francescani
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Paolo Leonelli
La Fontana di PIAZZA TACITO Brevi considerazioni La Piazza Tacito è uno spazio della nostra città che ha subìto, a partire dall’800, sostanziali modifiche funzionali ed estetiche, documentate da una infinita carrellata fotografica. Ultimamente invero la situazione è del tutto anomala per non dire caotica, specie se si considera il ruolo e la godibilità
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della bella fontana dell’architetto Mario Ridolfi. Negli anni recenti, ed anche oggi, si opera con innovazioni: parcheggio sotterraneo, restauri e arredi urbani, rirestauri e riarredi urbani, senza mai tener conto dell’intero spazio e quindi senza un progetto unitario, in sostanza
senza assolutamente una idea di Piazza. Considerato lo stato di fatto e la situazione davvero compromessa, si propone un piccolo intervento che consenta almeno una parziale godibilità della fontana e un maggior ordine dei flussi veicolari, tramite una rotatoria che permetterebbe anche di togliere il pesante ingombro delle auto parcheggiate. In sostanza una doppia seduta protetta, nel semicerchio nord, ed una verde rotatoria in sostituzione del parcheggio centrale. L’altezza del manufatto, di due sole sedute ed una protezione in vetro, risulta tale da non limitare la vista e la godibilità del famoso calamaro.
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Adriano Marinensi
“Acciaio”, un film
documento di vita vissuta in Umbria
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orse perché quel vecchio film, visto molto tempo addietro, era stato girato nella grande fabbrica ternana e al centro della rappresentazione c'era la mia città, ch'ebbi appena il tempo di scorgere dal vivo; forse, perciò mi parve, anziché la solita pellicola di stampo melodrammatico, un documento di vita com’era allora, negli anni ’30 del ‘900. La fonderia d’allora, il lavoro d’allora, fatica e sudore, la condizione sociale che rivela, sullo schermo, le facce pesanti, tristi e mute della gente di periferia, le strade sterrate, le esistenze grevi e tribolate. Il film si intitola "Acciaio", il copione scritto da Luigi Pirandello, che visitò lo stabilimento umbro per cogliere l’ispirazione; il regista Walter Ruttmann, un tedesco, scelto su indicazione del duce per omaggiare il camerata nazista; Mario Soldati alla sceneggiatura. Protagonista femminile, una diva di spicco, Isa Pola, definita dalla critica “attrice dal fascino intrigante”. Ed anche di caratura nobiliare, all’anagrafe chiamata Maria Luisa Betti di Montesano. La storia, a dire il vero, non è un granché. Narra la vicenda amorosa di due amici e compagni di lavoro, in Acciaieria, Mario e Pietro (interpretato, quest’ultimo, dal "siderurgico" nostrano Vittorio Bellaccini). C'è un bersagliere ciclista, Mario, che torna dal militare desideroso di prendere in moglie la fidanzata Gina. Che però, in sua assenza, s'è legata a Pietro. Alla rivelazione, i due fraterni amici diventano rivali in amore, con relative scene di gelosia. Accade un incidente sul lavoro e un lingotto d'acciaio investe Pietro che muore. Mario non ne ha alcuna colpa, ma il paese è piccolo e la gente mormora di lui. La vox populi gli addebita parte della responsabilità per via di quel risentimento passionale. La trama mostra qualche intreccio e complicazione in più, senza accreditare "Acciaio" tra i capolavori di un cinema, solo da poco tempo (si era nel 1933), passato dal muto al sonoro. Il sonoro, nell’occasione, registrato all’interno dei reparti, divenne la "sinfonia delle macchine". È scritto che il film piacque alla
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critica, un po’ meno al pubblico. A me è piaciuto, l'ho accennato all'inizio, per la vetrina di immagini d'epoca che vi ho colto. Mi ha raccontato, senza alcun diaframma di maniera, la vita (e la morte) nella fabbrica di allora. Mi ha mostrato un ambiente di lavoro che, agli occhi di oggi, sembra risalire ai primordi dell’industrializzazione. Quando l’uomo era l’operaio e basta; la fabbrica una sorta di antro dei Ciclopi, il ferro e il fuoco, la polvere e il rumore. Un vivere a mezzadria tra l’officina e la casa, dove l’azienda si prendeva la parte maggiore del tempo e migliore di te. Una comunità con insieme valori sociali e morali tramandati dalla tradizione. Dietro le quinte del film, mi parve di vedere Charlie Chaplin con il suo "Tempi moderni", la satira della macchina che sovrasta l’uomo. Per aver fermato quelle dagherrotipie a testimonianza di una vetusta filosofia del lavoro, "Acciaio" credo meriti attenzione. C'è documentata la "colata" guidata dall’uomo e non dalla tecnologia, le lamiere impilate a braccia con l’ausilio di grandi tenaglie, il "tondino" per cemento armato che usciva incandescente, mentre il Maglio grande plasmava i madornali manufatti e gli uomini attorno a lui sembravano pigmei. Alza, abbassa, sposta, tutto faceva l’operaio con i pochi strumenti di allora. L’igiene non era affatto il fiore all’occhiello dell’organizzazione aziendale. Neppure la sicurezza. Insomma, l’Acciaieria arcaica dove si respiravano polveri affatto sottili; le tutele sindacali ancora in embrione. Emblematico è il volto del capo squadra, il quale, non essendo più in perfetta efficienza fisica (la salute sua l’ha regalata all’azienda) viene invitato dal signor Direttore a togliere il disturbo. Non è più un "fattore attivo della produzione" e quindi di scarsa utilità. La logica era questa. Scandiva pure i ritmi dell’esistenza civile e dei rapporti sociali, l’Acciaieria; modellava gli usi e i costumi attorno al muro di cinta. Attorno al muro, stavano molte case per la comodità di chi le abitava
ed anche perché la "grande madre" preferiva avere i suoi figli vicini. Gli altri venuti un po’ più da lontano, arrivavano trasportati dalle "corse operaie". I restanti a pedale. Quasi un esodo biblico, ad ogni turno, lungo il Viale Brin, la sirena a sollecitare la puntualità di lavoratori e biciclette poi appese ai ganci delle rastrelliere a ruota in su. Durante il fugace intervallo del ristoro, a conforto di alcuni, arrivavano solerti le "portapranzare", mogli e madri, prevalentemente di nero abbigliate, quasi in lutto perenne. I luoghi di vita quotidiana non offrivano adeguato conforto. L’edilizia di periferia succinta e non di rado senile. Interi quartieri sovrappopolati e pure con un po’ di miseria. Le ville dei ricchi, alcune sontuose, nascoste nell’ambiente verde dei colli. L’esistenza della plebe di paese trascorreva tra la fabbrica e il piccolo orto coltivato per soddisfare le esigenze familiari e integrare il salario elargito ogni due settimane (la "quindicina"). Chi si serviva degli spacci aziendali, trovava le "trattenute" in busta paga. Al resto ci pensava il regime, con il dopolavoro, le adunate in uniforme, gli insegnamenti patriottici, l’addestramento "premilitare". Figura bizzarra quella del balilla col moschetto fin da fanciullo. Ci costrinsero, con l’inganno, a barattare la libertà con la sicurezza, l’ordine, la disciplina, il valore del credere, obbedire e combattere. Poi, si sa come siamo andati a finire. A finire sotto le bombe che di Terni fecero una città fantasma.
Con "Acciaio" siamo nel tempo quando l’Acciaieria stava diventando "Soc. Terni" non soltanto per l’industria, ma anche per l’elettricità. Le prime centrali idroelettriche erano entrate in funzione, dando il via alla costituzione dell’enorme patrimonio di impianti ad energia pulita che ha illuminato mezza Italia. Patrimonio sontuoso, fatto confluire (1962 – nazionalizzazione) nell’ENEL. Un danno enorme recato allo sviluppo dell’Umbria. E pure una decisione assurda, sostenne Filippo Micheli in Parlamento: parte rilevante di una impresa, interamente controllata dalla Stato (la "Terni", appunto) veniva trasferita ad altra azienda statale, innescando nella prima una crisi profonda e pesanti ricadute sul territorio. Con gli impianti energetici, altri giganti andarono ad affiancare gli imponenti fucinati prodotti in Acciaieria. Evidentemente la vocazione della fabbrica era per le opere maestose. Come la Centrale di Galleto, progettata dal Bazzani, poi gli invasi artificiali del Salto e del Turano e la Centrale di Cotilia. Insieme –per citare le principali– a Montorio al Vomano, Provvidenza, S. Giacomo, Recentino, Triponzo, Monte Argento, Pennarossa (15 in tutto). Insomma, una "rete elettrica" ubicata al centro della penisola con un potenziale produttivo calcolato in milioni di chilowatt e un volano strategico per l’economia del Paese. Anche questa era la Soc. Terni poco dopo "Acciaio".
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L’efficienza energetica è il nostro mestiere ma prima di tutto è il nostro stile di vita!
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