La Pagina ottobre 2015

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Numero 1 2 8 ottobre 2015

Mensile a diffusione gratuita di attualitĂ e cultura Foto Albe rto M irimao


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Costruzione di valori Túpac Amaru morì poco più che venticinquenne, impiccato ad una forca dei conquistadores spagnoli: era l’ultimo re degli Inca. Il grande impero precolombiano era già praticamente disfatto, distrutto dalle avanzate degli europei: verso il 1530 era caduto sotto il controllo della Spagna, ma un piccolo residuo del vasto impero resisteva indipendente, presso Cuzco. Nel 1572, dopo un’ulteriore riaccendersi degli scontri, su ordine del Viceré del Perù, Francisco de Toledo, Túpac Amaru fu inseguito, catturato e giustiziato dopo un processo così sommario che persino il re Filippo II di Spagna disapprovò. Due secoli dopo, nel 1780, il Vicereame del Perù è sconvolto da una ribellione degli indios e dei mestizos, i meticci, che non vogliono accettare le “riforme borboniche” sancite dal governo spagnolo. A guidare la rivolta dei poveri si pone José Gabriel Condorcanqui; pur se cresciuto con un’educazione gesuitica, sente impellente la causa del popolo più reietto, che è ancora schiavizzato e costretto a veri e propri lavori forzati, ed è vessato da tasse e da abusi da parte dei corregidores, i possidenti. José Gabriel, che sa di essere un indio privilegiato perché ha ricevuto una buona istruzione, tenta per via diplomatica più e più volte di ottenere condizioni di vita migliori per il suo popolo. Non riceve risposta, e quindi solleva una ribellione, che inizialmente è prevalentemente di natura fiscale: i ribelli non pagano le tasse. Il governatore Antonio de Arriaga finalmente si accorge di Condorcanqui, ma lo fa solo per minacciarlo di morte. José Gabriel non si spaventa: è nato in un paesino vicino a Cuzco, e sostiene di essere un discendente in linea materna di Túpac Amaru; è quanto gli basta per assumere il nome di Túpac Amaru II, e rendere più esplicita e decisa la rivolta. Arriaga viene catturato e ucciso dagli insorti, e la rivoluzione si infiamma e prende corpo. Dopo mesi di scontri, Túpac viene infine catturato, e subisce la vendetta del potere: viene torturato, gli viene tagliata la lingua, ed è costretto ad assistere all’esecuzione di moglie e figlio. Poco dopo, viene squartato vivo da quattro cavalli, e le diverse parti del suo corpo inviate come monito in diverse zone del Vicereame. Entrambi i Túpac Amaru sono sconfitti e martiri, nelle cronache della storia; ma il loro nome condiviso diventa leggenda, e lo si sente invocare e inneggiare ogni qual volta si forma un movimento sudamericano di rivolta in nome del popolo.

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Nel 1965, in Uruguay nasce un movimento rivoluzionario che si dà il nome collettivo di Tupamaros, con ovvio riferimento a Túpac Amaru II. Sotto lo slogan “la parole ci dividono, le azioni ci uniscono” il movimento, inizialmente del tutto non violento, comincia a rapinare banche e a ridistribuire al popolo il denaro rubato. Mentre la popolarità dei Tupamaros cresce, in Uruguay si rafforza il potere dei militari: il movimento che inizialmente rifiutava di diventare una forza guerrigliera cambia strategia, portando a termine anche rapimenti di personaggi importanti come l’ambasciatore del Regno Unito, e giungendo perfino ad uccidere Dan Mitrione, agente del FBI americano ritenuto colpevole di aver addestrato i governativi nelle tecniche di tortura. Nel 1973 i militari completano l’ascesa al potere con un colpo di stato; i Tupamaros cercano di sollevare altre forze rivoluzionarie dei paesi vicini, ma lo stesso, e con più successo, fanno le varie giunte militari sudamericane: organizzano l’Operazione Condor e riescono a stroncare il movimento. Nove dei maggiori dirigenti dei Tupamaros finiscono in carcere nel 1973. Ci resteranno fino al 1985, quando l’Uruguay ritornerà democratico: sono dodici anni di tortura continua. Tortura fisica, continua; e anche psicologica, con ogni contatto proibito, e la costante minaccia di messa a morte. Uno dei “nove” è il leader del movimento, Raúl Sendic, che muore di SLA nel 1989. Un altro è José Mujica, che nell’anno della morte di Sendic ritorna alla vita politica nel partito popolare “Fronte Ampio”. Il partito vince le elezioni uruguaiane del 2004, e Mujica diventa Ministro della Agricoltura: sei anni dopo, nel 2010, assurge alla carica di Presidente della Repubblica. Mujica diventa famoso nella Rete quando si scopre che devolve circa i nove decimi del suo stipendio di più di ottomila euro mensili a ONG e ai poveri; quando si vede che non ha l’auto blu ma una vecchissima utilitaria di più vent’anni, che non ha nessuna intenzione di cambiare finché cammina; che vive nella sua modesta fattoria in periferia, perché non vuole abitare nel palazzo presidenziale. Dice che gli 800 euro mensili che tiene per sé gli bastano, e che gran parte dei suoi connazionali è costretto a vivere con molto meno. Per questa sua fama di “presidente più povero del mondo” è diventato famoso, apprezzato, e spesso usato come pietra di paragone con i politici cui siamo avvezzi. Ma forse è opportuno anche ricordare che la sua sobrietà e onestà non sono fortuiti doni del destino, delle doti casuali: sono piuttosto le naturali conseguenze di una vita intera, una vita ben difficile, passata lottando per i propri valori e ideali. I valori veri si costruiscono a fatica. Piero Fabbri


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M aestro e Mi n i st r o

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Abbiamo aderito alla manifestazione TERNI ON d’impulso o, se volete, in quattro e quattr’otto. Tale manifestazione si propone di accendere lo spettacolo. Allora noi della Associazione Culturale La Pagina pensando, da sempre, che lo spettacolo non sia relegabile solo a musiche e a canzoni, ma investa la totalità delle arti e delle scienze, abbiamo aderito e ne abbiamo fatte di tutti i colori spettacolari. Ci siamo divertiti e, soprattutto, si sono divertiti moltissimo i bambini. Questo conta, per noi. All’interno de La Pagina Umbria potrete vedere, constatare, leggere e capire. Sono particolarmente fiero del Minicorso di pittura per giovanissimi (che avrà un seguito, ovviamente) e del Chioschetto della scienza, in cui i nostri validissimi giovani dell’Ateneo (coordinati dalla straordinaria Maria Vittoria Petrioli, presente anche come dissacratrice delle scemenze di Nostradamus) hanno mostrato esperimenti eclatanti, mirabili e sorprendenti e particolarità e paradossi matematici. Ovviamente, poiché noi non sbandieriamo ma dimostriamo nei fatti il nostro attivismo culturale a beneficio della città, questa prima mostra non è fine a se stessa, ma avrà un seguito: una mostra gradualmente perfezionata ad uso e consumo di tutti i giovani e che potrà anche essere esportata (io sono anche autore, insieme ai colleghi Sergio Bacci e Albano Scalise, della splendida Mostra Il Cielo e la Terra -si veda il mio libro Germogli in cui la Mostra è esposta con dovizia di particolari ed in cui trovate anche una parte dei tanti progetti realizzati insieme all’Arch.tto Paolo Leonelli -di cui potete ammirare il bel ritratto disegnato dal grande maestro d’arte Roberto Bellucci, nostro carissimo collaboratore). I Giovani e la Scienza, dunque. Perché siamo convinti che la scienza non solo sia bella e super utile, ma sia amata, risulti divertente e sia seguitissima dai giovani -ai quali non possiamo affibbiare solo formule a memoria, disvalori, fuochi fatui e corruzioni della mente. Abbiamo dunque mostrato di essere molto vicini alla téchne greca (ovvero all’ars latina) mostrandoci validi artigiani (della qualità culturale). Ma siamo anche invasati da furore poetico (la manìa socratica) ed allora anche Gli Anziani e la Poesia. Il momento più toccante di tutta la manifestazione è stato infatti quello della lettura di poesie, spledide poesie, di Florio da parte del regista attore Renzo Segoloni. Momenti lirici assoluti. Anche per Florio vorremmo, ogni anno, immergerci nei valori altamente umani delle sue poesie e, soprattutto, ascoltare un uomo che della onestà e della dignità ha fatto la sua ragione di vita. Ministro (ministrum), servitore viene da minister, comparativo di minus (meno), con il suffisso ter che indica opposizione tra due. Il ministro dunque è meno dell’altro, al suo servizio. E così dovrebbero essere tutti quelli che hanno incarichi a pagamento al fine di occuparsi del bene comune. E così dovrebbe essere per i ministri di Culto e per i ministri della Repubblica. Sono talmente minus ter che nuotano nell’abbondanza i primi, tradendo clamorosamente il loro Vangelo, mentre i secondi percepiscono più dei ministri di mezza Europa messi insieme, tradendo clamorosamente giustizia, equità, solidarietà, civiltà. Maestro (magister), è magis ter, quindi più dell’altro. Il maestro è dunque l’essere superiore, il generatore, il trascinatore, l’uomo buono della società ed è per questo forse che, nello stranissimo Paese che chiamiamo Italia, i ministri sono esaltati e privilegiati fuor di misura, i maestri, dell’arte e della educazione, abbandonati e non onorati, spudoratamente. Per tornare a Florio: lui è molto più di un Ministro... è un Maestro, di vita, addirittura!

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Giampiero Raspetti

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JACARONI CENTRO DIAGNOSTICO Costruzione di valori - P F a b b r i B . M . P. - Soluzioni tecnologiche per il trasporto verticale Maestro e Ministro - G R a s p e t t i C M T - C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I L a I t a l i a n R a i n f o re s t - A M e l a s e c c h e La super Luna - P C a s a l i FA R M A C I A B E T T I LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I I m m i g r a z i o n e e s o l i d a r i e t à - PL Seri N U O VA G A L E N O Quasi quasi mi esdebito - M P e t r o c c h i C I D AT E u g e n i o M o n t i i l r o s s o v o l a n t e - S Lupi I l P i a n e t a e l a M a d o n n a - V Policreti La traja - V Grechi F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O PA O L O L E O N E L L I - R Bellucci G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI

PA G I N A

Mensile di attualità e cultura

Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Via Anastasio De Filis, 12 --- Tipolitografia: Federici - Terni

DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Vicedirettore Luisa Romano Editrice Projecta di Giampiero Raspetti

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Direttore editoriale Giampiero Raspetti Grafico Francesco Stufara

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Le collaborazioni sono, salvo diversi accordi scritti, gratuite e non retribuite. È vietata la riproduzione anche parziale dei testi.

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La Pagina

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La Italian Rainforest In tempi di crisi le scienze economiche e sociali studiano soluzioni alternative, nelle intenzioni fortemente innovative, per fare in modo che l’economia riprenda a crescere e l’occupazione con essa. Molto spesso tutto ciò avviene all’estero, per cui inevitabilmente termini e concetti, piaccia o meno ai rigorosi cultori della lingua italiana, sono in inglese. Rainforest è un termine che ricorre da tempo e significa letteralmente, foresta pluviale, ma è soprattutto il nuovo paradigma teorico dell’innovazione in economia proposto da Greg Horowitt e Victor Hwang. Come funziona? L’idea è quella di diffondere una cultura dell’innovazione attraverso 5 strumenti: learning by doing, ovvero apprendere attraverso ripetute e costanti interazioni col mondo reale; enhance diversity, ovvero aumentare le occasioni di confronto tra persone diverse; celebrate role models and peer interaction, ovvero apprendere per imitazione di casi di successo e dal confronto con i propri “pari”; build tribes of trust, ovvero costruire delle comunità attraverso la diffusione dei valori alla base del modello; create social feedback loops, ovvero instaurare un processo che permetta di segnalare alla comunità comportamenti positivi o negativi; make social contracts explicit, ovvero far sì che le regole di funzionamento del “contratto sociale” siano note a tutti per rendere l’ecosistema più stabile e garantirne la durata nel tempo. In realtà l’operatività del sistema parte con l’analisi puntuale dello stato dell’arte, organizzando le informazioni attraverso aree funzionali come Leaders, Risorse, Attività, Comunità, etc. Di ogni area vanno compresi il funzionamento, le dinamiche, la numerosità e la vivacità delle relazioni. A questo punto, si deve capire quale sia la parte “hardware” che comprende le infrastrutture di cui gli innovatori hanno bisogno per operare, ergo, caratteristiche personali, professionali, fisicostrutturali, politiche, e quella

“software” ovvero il complesso di istruzioni sulla cui base operare. Ma il vero protagonista del modello è il cosiddetto keystone, l’individuo o il gruppo che, grazie alla sua autorevolezza ed al suo carisma, funge da intermediario nella gestione dell’ecosistema, permettendo di abbassare tutti quei costi legati all’organizzazione di un’attività e di attenuare i contrasti sociali. Attraverso questi strumenti le persone vengono messe nelle condizioni di fare scelte lungimiranti, capaci di superare i piccoli egoismi. Ma si può applicare anche all’Italia? Fino a cinque anni fa lo scenario italiano delle startup si presentava abbastanza “spoglio”, soprattutto sul fronte delle startup tecnologiche. L’interesse sul tema era scarso e sul mercato gli investitori erano pochissimi. Ma poi lo scenario è cambiato soprattutto grazie ai social network ed ai blog specializzati. Certo, non stiamo proprio parlando di una vera Rainforest, e al massimo possiamo paragonare questa realtà ad un piccolo bosco. Ma si cominciano a veder emergere degli “alberi” stimolanti e soprattutto numerosi nuovi “germogli”. Infatti, è un dato di fatto che l’interesse per le startup sia cresciuto. Dunque l’ecosistema italiano c’è, ma è di ridottissime dimensioni se confrontato con esempi di successo internazionali e con il potenziale ancora inespresso dei milioni di giovani e di talenti che ci sono, anche qui a Terni. Sicuramente inadeguato anche rispetto agli investimenti infrastrutturali che sono stati fatti su più fronti e soprattutto mancano ancora storie di grandissimi successi. Al momento purtroppo, le eccellenze vengono acquisite dall’estero e perdiamo “cervelli”. Occorre ancora creare le condizioni per rendere attraente il rimanere a fare impresa in Italia perché esistono anche qui da noi buone condizioni per fare startup. E da qui partire ed andare a conquistare i mercati esteri. Ma soprattutto va trovata la ricetta giusta per far sviluppare le “piante” migliori ed allargare la base della nostra Italian Rainforest. alessia.melasecche@libero.it

La super Luna La sera de lu scorsu 28 Settembre, co’ Zzichicchiu e andri ddu’ amici, stavamo a ggustacce la Luna Piena che steva spuntanno su lu célu. ‘Lli ddui, moje e mmaritu, stevono sembre a bbattibbeccasse... specialmente essa e… Guardate ‘n bo’ se cche ppadèlla… andru che la faccia de mi moje… ammappela se qquantu è ggrossa… no’ l’ho vista mai ccucì!... E essa… Ma tu te sì specchiatu mai?... Guarda che, la trippa tua, co’ lu confrontu ‘n ce sfigura!... Pe’ non fa’ livita’ ‘llu discorsu che ggià era bbellu che llivitàtu j’ho fattu… Ho ssintitu da di’ che ‘stu satellite nostru, pe’ll’eclisse che cc’è statu, era diventatu tuttu rusciu... e ‘lla femmina cuntinuanno a mmartoria’ lu maritu… Aho... ‘lla trippa tua ‘n cià bbisognu de l’eclisse... è ssempre tutta roscia!… Zzichicchiu facenno finta de ggnente… pure issu pe ccarma’ le acque… Verso le tre de stamadina la Terra ha ‘rparatu

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lo Sole a la Luna, ccucì li raggi j’arrivavono su, sulu pe’ ttraversu, arrosciannola... e ppo’ ‘stu pirìudu, che cce sta anche più vvicinu, è ppropiu ‘na superluna!... Ma certu ch’è ttantu grossa e ttantu luminosa!... Scì... però dovete sape’ che qquanno la Luna sta bbassa sull’orizzonte ce pare sempre più ggrossa de quanno è arda su lu celu... ‘nvece è ssempre ‘guale... è ‘n effettu otticu! È ssulu corba de lu cervellu nostru che cce la paragona co’ le cose che je stanno ‘ntornu... l’arberi... le montagne... Mojetta mia bbella vidi che a tte la panza mia te pare più ggrossa perché me la stai a cconfronta’ co’ qquella de ‘st’amici che mme stanno qqui vvicinu!… E essa... Cià raggione Zzichicchiu... è ssulu ‘na senzazzione... perché a occhiu me pare che qquanno stemo da suli nn’è dda meno! paolo.casali48@alice.it


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AZIENDA OSPEDALIERA

Struttura Semplice Dipa

Dott.ssa Maria Grazia Proietti Re s p o n s a b ile della S. S. D. di Geriatria d e lla A z ien d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni

L’indirizzo prevalente dell’attuale politica sanitaria non può non considerare i bisogni emergenti di salute della popolazione anziana, gli obiettivi che i livelli di assistenza si propongono di raggiungere in termini di benessere dei cittadini, gli standard di assistenza erogabili e le possibilità di sviluppo della stessa, anche in considerazione della evoluzione tecnologica. Ne deriva, tra gli altri, la necessità di una rivisitazione strutturale del sistema ospedaliero, soprattutto per l’attività assistenziale a pazienti anziani, a favore di un’effettiva integrazione socio-sanitaria dei servizi erogati ai pazienti. L’obiettivo prioritario è la realizzazione di un processo di elevato livello di integrazione tra i diversi servizi sanitari e sociali. Un processo teso a fornire una diversa attività assistenziale in base all’acuzie ed alla intensità della patologia, l’unitarietà tra prestazioni sanitarie e sociali, la continuità tra azioni di cura e riabilitazione, la realizzazione di percorsi assistenziali integrati, l’intersettorialità degli interventi, unitariamente al conseguente riequilibrio di risorse finanziarie e organizzative in rapporto all’attività svolta tra ospedale e territorio. Di non minore importanza è anche la valutazione delle inevitabili razionalizzazioni economiche. Ci troviamo di fronte ad un periodo di crisi delle risorse, ma anche ad una crisi più profonda che tocca gli anelli deboli della nostra società: gli anziani e le loro famiglie. Quando si parla di continuità delle cure è evidente che si parla di situazioni di anziani con pluripatologie e con pluriterapie, la cui assistenza non finisce con il superamento della fase di acuzie della malattia trattata durante un normale ricovero ospedaliero. Ora le vocazioni delle nostre aziende, quella Ospedaliera e la ASL 2 sono diverse, ma entrambe sottoposte alla necessità di razionalizzazione della spesa e di integrazione dei servizi. Per queste considerazioni la Struttura Dipartimentale di Geriatria dell’Azienda Ospedaliera di Terni è così organizzata: - Reparto di Geriatria per acuti dotato di 26 posti letto (5° piano) - Reparto di Lungodegenza post acuzie dotato di 12 posti letto (1° piano) - Ambulatorio Divisionale di Geriatria (Poliambulatorio) - Ufficio di Continuità delle Cure (1° piano). Il reparto di Geriatria per acuti offre assistenza e cura ad anziani affetti da patologie acute o croniche riacutizzate con caratteristiche di complessità, rappresentate in particolare da: scompenso cardiaco e malattie cardiovascolari, insufficienza respiratoria secondaria a polmonite o bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) riacutizzata, malattie cerebrovascolare

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acute, neoplasie, malattie infettive, patologie gastrointestinali, osteopatie metaboliche, disturbi cognitivi e comportamentali. Particolare attenzione viene data alla rilevazione e gestione del dolore, in special modo nei pazienti cognitivamente compromessi che più di altri hanno difficoltà ad esprimerlo. L’obiettivo terapeutico é il recupero della stabilità clinica e dell’autonomia funzionale del paziente. La presa in carico del paziente si avvale della metodologia della valutazione multidimensionale (Valutazione globale dello stato di salute, dello stato funzionale, degli aspetti cognitivocomportamentali e sociali). Fondamentale é la collaborazione multiporfessionale e il coinvolgimento della famiglia o di chi si prende cura dell’anziano. La struttura eroga anche consulenze specialistiche geriatriche presso tutte le strutture dell’Ospedale. L’area della Lungodegenza post acuzie rappresenta un setting assistenziale dove collocare i pazienti acuti (medici e chirurgici) provenienti dai reparti ospedalieri interni, in primis da quelli del Dipartimento di Medicina Interna e delle Specialità mediche e dagli altri reparti, che una volta stabilizzati non sono ancora dimissibili. Tale area di degenza della post acuzie ha quindi lo scopo anche di alleggerire i reparti di Medicina Interna e delle specialità mediche di quei ricoveri


S A N TA M A R I A D I T E R N I

artimentale di Geriatria

protetto di assistenza che accompagna la persona nel sistema integrato di servizi. È la garanzia di continuità e completezza degli interventi assistenziali per la soluzione dei problemi di salute in relazione alle condizioni socio-sanitarie. È quindi una rete integrata/coordinata di servizi socio-sanitari. L’Ufficio continuità delle cure pianifica il processo di dimissione per i pazienti anziani e per coloro che hanno le condizioni della fragilità. Programma le attività di pre-dimissione, dimissione e post dimissione e pertanto è essenziale per: - Superare la frammentazione tra le aree di assistenza e garantire la continuità nella presa in carico e nell’erogazione delle prestazioni definite nel piano assistenziale; - Favorire la collaborazione e l’integrazione tra operatori ospedalieri e territoriali mediante la costituzione di un team interaziendale che lavori per obiettivi comuni e condivisi; - Incoraggiare il ruolo partecipativo delle risorse provenienti dall’ambito familiare, supportarle ed organizzarle; - Limitare il periodo di ricovero alle effettive necessità; - Ridurre la re-ospedalizzazione a breve termine; - Migliorare la qualità percepita dal paziente e dai familiari relativa al processo di dimissione. di lunga durata e permettere quindi una maggiore turnazione dei malati e la disponibilità di un maggior numero di posti letto per l’acuzie e quindi la maggiore presenza di malati di alta intensità delle cure e per patologie specifiche. In tal modo si realizza meglio anche quella vocazione di Azienda ad Alta specialità che è tipica della nostra Azienda. Le tipologie dei pazienti della post acuzie sono le seguenti: 1. pazienti interni all’ospedale provenienti dal Dipartimento di Medicina Interna e delle specialità mediche; 2. pazienti provenienti dall’area chirurgica e dai reparti specialistici non medici o dalla Degenza breve. L’accesso presso l’area della post acuzie avviene dopo richiesta proveniente dai reparti, seguita da valutazione geriatrica.

L’Ufficio Continuità delle cure è una esperienza concreta per migliorare l’assistenza al cittadino attraverso un uso integrato delle risorse tra ospedale e territorio. Definisce il percorso

Struttura Semplice Dipartimentale di Geriatria e Lungo Degenza Post Acuzie Direttore Dirigenti Medici

Dr.ssa Maria Grazia Proietti Dr. Sergio Catanzani Dr. Andrea Tomassi Dr.ssa Annarita Fiore Dr.ssa Alessandra Di Gianvito

Personale Sanitario Coordinatrici Lorella Palozzo (SSD Geriatria ) e Patrizia Dottini (LDPA ) Infermieri SSD Geriatria Lorella Faustini, Federico Bruni, Anna Rossi, Francesca Popoli, Cristina Capitoli, Fabrizio Castellani, Michela Diociaiuti, Paola Nafra, Debora Piacente, Samanta Ridolfi, Daniela Socci, Serena Rizzo Infermieri LDPA Cristina Manella, Allegra De Felice, Maria Teresa Stampigioni, David Lisi, Stefano Carletti, Maria Luisa Esposito, Claudia Zara, Elisa Ungari, Tatiana Bianchini, Marianna Angelici, Salvatore Palladino Ufficio Continuità delle Cure Anna Piccioni, Serenella Garbini.

Fotoservizio di Alberto Mirimao

L’attività ambulatoriale è articolata su visite specialistiche, psico-geriatriche e di valutazione multidimensionale compresa la valutazione funzionale anche a scopo medico legale.

Équipe

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Immigrazione e solidarietà Le immagini scioccanti del piccolo Aylan Kurdi annegato sulle coste della Turchia, il camion frigorifero bloccato in Austria con il suo carico di morti per asfissia, il naufragio di un barcone, ennesima carretta del mare, a largo dell’isola greca di Farmakonisi con 39 morti tra cui 15 bambini e ancora la lunga fila di disperati in marcia verso la ricca Europa del nord, viaggio avventuroso e pericoloso attraverso la Macedonia, la Serbia,l’Ungheria, braccati con metodi sbrigativi dalle polizie locali, prima respinti poi lasciati passare…una fuga disperata dalla guerra, dalla fame e dalla miseria, questa è la realtà che i media ci stanno proponendo quotidianamente. Allo scopo di bloccare un flusso che sembra inarrestabile il governo ungherese ha steso lungo il confine serbo chilometri di filo spinato, dimenticando la marcia di 50 mila connazionali che varcò la frontiera nel 1956 all’indomani del fallimento dell’insurrezione contro il regime comunista. E ancora, la stazione di Monaco di Baviera rigurgitante di gente accampata alla meglio, il cinismo spregevole della reporter Petra Lazlò che sgambetta un padre e un bambino mentre cercano di sfuggire all’inseguimento della polizia, l’ex lager di Buchenwald dove 56mila deportati trovarono la morte per mano della barbarie nazista, conosce “una seconda vita” ospitando 21 migranti! Tutto questo sullo sfondo di un Oriente destabilizzato e in preda al caos, in cui l’IS con il sedicente califfato fa da padrone assoluto con barbare esecuzioni, accanendosi contro le minoranze religiose cristiane in particolare, presenti da secoli nella regione e contro i siti archeologici pre-islamici della Siria o dell’Iraq, patrimonio dell’umanità, imponendo la sharia, osservanza rigorosa dei precetti dell’Islam, con l’idea di realizzare la società della Medina quando l’Islam sotto la guida del Profeta si mosse alla conquista del mondo. Immagini queste che credevamo confinate nei filmati in bianco e nero girati dai reporters durante il II conflitto mondiale o nei colossal storici che avevano come scenario la guerra o le Crociate e invece eccole di nuovo in un’altra epoca, in un altro contesto storico, ma la crudezza, la violenza, la barbarie più efferate sono sempre le stesse, stavolta invece proposte sul piccolo schermo e a colori! Un passato che in Europa credevamo di aver superato e sepolto nei febbrili anni della ricostruzione e nella realizzazione faticosa della unità europea. Invece ecco riaffiorare i funesti fantasmi. Il sogno europeista subisce un brusco risveglio di fronte ad un simile spettacolo. L’orologio della storia sembra aver spostato indietro le lancette! Allora la storia si ripete? No, tranquilli, nulla si ripete! Anche se alcuni fatti sembrano riproporre un copione già scritto, esistono sempre delle varianti, delle peculiarità specifiche che li rendono unici ed irripetibili. Spiacente di deludere il genio acuto di Niccolò Machiavelli, convinto assertore della ripetitività degli eventi, ma devo dare ragione a Francesco Guiccirdini che sosteneva che ogni evento era particolare e come tale non generalizzabile. Ma lasciamo da parte la filosofia della storia e torniamo all’argomento. La drammaticità degli avvenimenti ha tuttavia sortito un effetto “positivo”: quello di aver scosso le coscienze dei cittadini e dei governi della UE, intorpidite da problemi puramente economico finanziari, austerità o non austerità, spread alto o basso, mettendole bruscamente di fronte alle loro

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responsabilità civili e morali. Oggi sul problema dei migranti assistiamo ad un dibattito tra due Europe: una disposta a muoversi e a cambiare lo status quo, pronta ad affrontare una sfida epocale, facendosi carico dei problemi che essa comporta; un’altra fatta di muri, filo spinato, barriere che evocano foschi spettri di un passato non molto lontano, pronta a scaricare le problematiche più scomode sui paesi vicini in attesa che la crisi si risolva in un modo o nell’altro. Tra i paesi più disposti all’accoglienza si collocano l’Italia, la Germania, la Francia ed altri paesi dell’Europa occidentale abituati da tempo al pluralismo delle loro realtà nazionali. Tra i meno disponibili ci sono la Gran Bretagna e i paesi dell’Europa orientale per i quali l’omogeneità nazionale è una priorità. Comunque sia la faccenda dei migranti è una brutta tegola sulla testa della UE che, già scossa nel suo interno dalla crisi economica e dalle differenti strategie da usare per superarla, austerity o aiuti alle nazioni in difficoltà (vedi caso Grecia), si trova sotto il fuoco incrociato dei vari movimenti antieuropeisti e populisti miranti ad acquisire consensi proprio cavalcando il malcontento diffuso. Recentemente il parlamento di Strasburgo ha appoggiato la Commissione europea nel suo sforzo di istituire un meccanismo vincolante di sostegno ai paesi più esposti alla crisi dei profughi. Giova a questo punto ricordare il lungo periodo in cui l’Italia è stata lasciata sola dall’UE quando Lampedusa sembrava l’unico varco aperto per i migranti. D’altro canto gli stati membri dell’UE spesso predicano solidarietà quando fa loro comodo, negandola in caso contrario. La solidarietà invece deve essere a doppio senso di marcia. I paesi membri non possono accettare la solidarietà sotto forma di fondi da Bruxelles per poi negarla quando si tratta di condividere il peso della crisi dei rifugiati. La solidarietà deve essere a tutto campo, solidarietà, non assurdi muri e campi di concentramento. Nella situazione odierna non è la UE ad essere debole quanto il processo decisionale intergovernativo gelosamente sorvegliato dai governi nazionali che per l’ennesima volta ha dato prova di inefficacia. Fanno riflettere le parole dette da papa Francesco a Tirana: “è violenza respingere indietro chi fugge da condizioni disumane”. Fa riflettere anche che, mentre il papa esorta i sacerdoti e tutte le persone a porsi in prima linea per aiutare chi ha bisogno, certi leader si presentino come paladini di un’Europa cristiana che vuole chiudere la porta in faccia ai profughi islamici. In breve, oggi l’Europa è ad un bivio: o continuare ad essere una kermesse di banche e potentati economico-finanziari oppure una grande comunità politico culturale basata sulla democrazia, sull’uguaglianza e sulla solidarietà. Occorre che essa riscopra le radici su cui l’hanno posta i padri fondatori dopo la catastrofe della II guerra mondiale. Intanto nei media i vari anchormen, perfetti tuttologi, imperversano nei talk-show con l’immancabile codazzo di politici, giornalisti e sedicenti esperti riversando sui telespettatori una valanga di chiacchiere, critiche e proposte verbali, mentre a Lampedusa, a Lesbo, a Roscke continua la marcia dei disperati in fuga dalla guerra e dalla fame. Allora quali strategie usare? Come affrontare efficacemente il problema? Pierluigi Seri Su questo argomento torneremo presto!


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Quasi quasi mi esdebito! La L. 27/01/2012, n.3, modificata dal D.L 179/2012, convertito nella L 221/2012, ha introdotto nel nostro ordinamento tre procedure di grande interesse che mirano a porre rimedio a quelle situazioni, sempre più diffuse di “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile che determinano la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”. Dispone l’art. 6 che “... è consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell’ambito della procedura di composizione della crisi”. Tale disciplina si applica per “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, alle aziende agricole, ai piccoli imprenditori ed ai professionisti. Colui che si trova in possesso dei sopra descritti requisiti può proporre ai suoi creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti. La proposta, che può prevedere anche la cessione di crediti futuri, deve essere sottoscritta da uno o più terzi che garantiscano redditi o beni sufficienti per assicurare l’attuabilità del piano. La proposta, che va depositata presso il Tribunale di residenza o sede principale del debitore, è inammissibile per colui, anche consumatore, che: a) è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo; b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui al presente capo; c) ha subìto, per cause a lui imputabili, uno dei provvedimenti di cui agli articoli 14 e 14-bis; d) ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale. Con la proposta devono essere depositati l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, di tutti i beni del debitore e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, l’attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, come risultante dal certificato dello stato di famiglia. Il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio. Il giudice fissa immediatamente l’udienza, disponendo la comunicazione, ai creditori della proposta e del decreto con il quale il Giudice dispone, tra l’altro, che sino al momento in cui il provvedimento di omologazione, che presuppone comunque il consenso del 60% dei creditori, diventi definitivo, non possono essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi in danno del debitore. I creditori devono far pervenire una dichiarazione sottoscritta di consenso. In mancanza, si applica la disciplina del silenzio assenso. L’articolo 14 ter, della citata legge prevede che “in alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità di cui all’ articolo 7, comma 2, lettere a) e b) , può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni”. A conclusione della procedura i debiti non soddisfatti vengono cancellati a condizione che il debitore abbia cooperato allo svolgimento della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile, non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti la domanda; non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’articolo 16; abbia svolto, nei quattro anni di cui all’ articolo 14 -undecies, un’attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, abbia cercato una occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego; siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione. La procedura di cui si sono tratteggiati solo gli aspetti essenziali mostra un grande mutamento di valutazione nei confronti del debitore “incolpevole”; non più la “morte civile” ma la possibilità di una ripartenza, il cosiddetto refresh start. E ciò sulla base di una valutazione strettamente economica, come insegnano gli ordinamenti tedesco e statunitense che applicano tali procedure da oltre 30 anni. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it

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Eugenio Mo n t i il R o sso Vo l a n t e ed un bullone d’oro Tra le tante storie di sport che fanno sognare e riempiono il cuore c’è quella di Eugenio Monti, un atleta del bob, da sempre nell’immaginario collettivo per un episodio di rara sportività. Olimpiadi invernali di Innsbruck, 1° febbraio 1964. Monti gareggia nel bob a due in coppia con Sergio Siorpaes, rappresentando uno degli equipaggi favoriti per la vittoria della medaglia d’oro. Tra gli avversari più accreditati vi sono i britannici Tony Nash e Robin Dixon. Alla fine della prima manche gli italiani sono al primo posto ed il team britannico al secondo. Poco prima della partenza della seconda manche Nash si accorge della rottura di un bullone dell’asse posteriore del proprio bob, un guasto che lo metteva praticamente fuori dalla gara. Monti, venuto a conoscenza del problema dell’avversario, appena terminata la propria manche, rimuove un bullone dal bob italiano o lo fa portare ai britannici: Questo è per Tony… Non gareggio mica aspettando che gli altri si ritirino! Nash e Dixon vinsero l’oro precedendo altri due azzurri Sergio Zardini e Romano Bonagura, lasciando a Monti e Siorpaes la medaglia di bronzo. Il commento che Monti riservò al proprio gesto di fronte alle domande dei giornalisti fu: Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone. Ha vinto perché è andato più veloce! Eugenio Monti non vinse la medaglia d’oro ma l’anno seguente gli venne riservato un premio più prestigioso: fu il primo atleta nella storia a ricevere la Medaglia Pierre de Coubertin, nota anche come True Spirit of Sportsmanship medal (“Medaglia del Vero Spirito Sportivo”). Un onore attribuito da allora a pochissime persone, come celebrazione di gesti di altissima lealtà sportiva. Questa medaglia rappresenta la più alta onorificenza sportiva che un atleta possa meritare. Il CIO la considera il premio più prezioso attribuibile ad un atleta. La storia sportiva di Eugenio Monti, nato a Dobbiaco il 23 gennaio 1923 e cresciuto a Cortina, è l’antologia della passione per lo sport invernale, un insieme di emozioni e velocità: il “Rosso Volante” (questo il soprannome coniato da Gianni Brera per i suoi fulvi capelli) esordì nelle gare di bob tardi, a 24 anni. Prima era stato una promessa dello sci azzurro. Un grave infortunio al ginocchio lo costrinse a scegliere uno sport più “comodo” e seduto, senza dover sacrificare il suo amore per la velocità. Quando alle Olimpiadi del ’56 lo misero in pista nella sua Cortina, lui ripagò il pubblico con due argenti, le prime medaglie che l’Italia abbia mai conquistato nella specialità. Poi per 5 anni di fila fu campione del mondo e, quando nel ’64 i giochi di Innsbruck lo attendevano come grande favorito, accade l’episodio del bullone e lui se ne torna a casa con due bronzi. Non è finita! La dea Olimpia ha per il campione gentleman delle altre sorprese. Nel febbraio 1968 l’Olimpiade di Grenoble diventa il teatro delle sue due ultime gare. A quarant’anni il Rosso Volante effettua delle prove strepitose e, sulla terribile pista dell’Alpe d’Huez, conquista due ori magici. È il commiato più bello di un grande sportivo. Questi i suoi successi tra bob a due e bob a quattro: undici titoli e un secondo posto mondiali, due ori, due argenti e due bronzi olimpici, tanti titoli italiani e vittorie un po’ dovunque nel mondo. A sufficienza per farne uno dei più grandi bobbisti di tutti i tempi! Pochi giorni dopo, il 21 febbraio, il Presidente della Repubblica lo nomina Commendatore, poi Eugenio torna definitivamente a Cortina ad occuparsi dei suoi impianti sciistici. La vita però gli riserva sbandate e fuori pista non prevedibili, che lo rendono debole e vulnerabile. Infine, la curva più stretta: il morbo di Parkinson. La mattina del 30 novembre 2003 Monti si toglie la vita. Un anonimo cortinese scrisse: Il Rosso Volante ce l’ha fatta anche questa volta, a precedere l’avversario. Stefano Lupi

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Delegato Coni Terni


Il P i a n e t a e l a Ma d o n n a La scoperta di un pianeta assai simile alla Terra nella costellazione del Cigno, dove sono verosimili forme di vita simili alla nostra, fa sorgere, in un paese cattolico, una domanda: ma la Madonna di quel pianeta, come sarà? E varranno anche là S. Antonio, padre Pio e S. Martino col suo mantello tagliato? Ironizzare su queste cose è facile al limite della volgarità. Tuttavia viviamo in un Paese nel quale per secoli la gente -e non solo quella semplice e sprovveduta- ha convissuto con una ricchissima struttura di esseri soprannaturali, alcuni addirittura divini, i quali, da un lato ad onta della loro trascendenza, ma dall’altro proprio a causa di quella, erano disposti a dare una mano nelle mille difficoltà che la vita quotidiana offriva allora, come ancora offre oggi. C’era una santa che aiutava a trovare ciò che s’era perduto (S. Elena), un santo che proteggeva gli animali (S. Antonio del Porco), una santa (Barbara) che proteggeva gli artiglieri al punto da dare il proprio nome al luogo meno sacro: il deposito degli esplosivi. Per non parlare poi dell’enorme quantità di santi protettori dei singoli paesi e villaggi, in onore dei quali si facevano, come ancora si fanno, feste, luminarie e processioni. Tutta questa struttura trascendente era di enorme compagnia per l’uomo che in essa, a ragione o a torto credeva e che confidava in una nutrita serie di presenze positive pronte a proteggerlo, solo che lui le pregasse. Questa secolare cultura è stata messa, come tutti sappiamo, in seria discussione dall’affermarsi di una erudizione da un lato, di una tecnologia dall’altro, che hanno offerto ipotesi e spiegazioni logiche, spiegando spesso quanto era creduto inesplicabile e perciò miracoloso e cacciando i santi dal loro habitat naturale, proprio come in Africa e in Asia l’espandersi degli agglomerati urbani emargina prima, estingue poi molte specie naturali. La trascendenza di santi e beati aveva tuttavia una precisa base geografica: Gesù nacque in un luogo preciso, in uno altrettanto preciso morì; S. Antonio da Padova era di Lisbona; ecc. L’ipotesi, sempre meno fantascientifica, di altri pianeti abitati, distanti anni luce (vale a dire un numero di chilometri inimmaginabile: 1 ora luce sono già 26 miliardi di chilometri) spazza via il concetto religioso legato al territorio: che ci farebbe S. Marco a 1.400 anni luce da Venezia? È ovvio che l’intero mondo legato a queste credenze vada in crisi davanti a un mutare così radicale di scenario. Gli amici di Civiltà laica ne saranno felici. C’è tuttavia una cosa da osservare: senza questa rete di presenze amiche, l’essere umano diviene sempre più solo. Come a dirgli: “Sai? Conti tanto su tuo padre e tua madre, ma in realtà sei nato in provetta e non hai né l’uno né l’altra; su loro non contare mai più”. Si osserverà che dignità umana esige che l’homo faber sia arbiter fortunae suae. e che quindi questa solitudine sia in realtà una raggiunta autonomia della mente. Ma questa osservazione ne ricorderebbe tanto un’altra di sessantottina memoria secondo la quale, dato che nessun essere umano appartiene a un altro, la gelosia, non avendo giustificazione, non esiste. E se invece constatassimo che la gelosia, giusta o no che sia, esiste -com’è sempre esistita- alla faccia del ’68? L’homo è sapiens, ma non abbastanza da essere capace di star solo; se la solitudine lo ha sempre terrorizzato, ci sarà un perché. L’eliminazione culturale del mondo sacro spicciolo e quotidiano, così protettivo, non ne farà affatto un essere autosufficiente, pieno di dignità, un Muzio Scevola della solitudine: al contrario, lo spingerà, armi e bagagli, nelle grinfie del primo marpione che gli prometta protezione e compagnia, magari per mangiarselo vivo. I preti lo facevano già? Forse. Ma in cambio davano qualcosa che, vero o falso che fosse, era solido come una roccia. Alle generazioni future ciò sarà precluso. Con quali conseguenze? policreti@libero.it

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La traja Detta anche traglia, tréja, treggia o al diminutivo trajittu, altro non era che un piccolo carro con, al posto delle ruote, due tronchi di legno tenero e leggero, in genere di salicacee, atti a scivolare sul terreno. Il suo nome deriva dal latino trahere che a sua volta sembra derivi da una lingua preesistente e quindi ancora più arcaica. Secondo alcuni docenti universitari, esperti in antichi linguaggi e studiosi delle tavole eugubine, sembra che nella lingua safina TRAHA volesse dire traglia e VEHA volesse indicare la via carrareccia di allora. I Safini (IX-IV secolo aC), secondo alcuni ricercatori, altro non erano che i Sabinos delle fonti storiche romane. Un popolo appenninico che dalle conche e pianure fucensi e aquilane si diffusero verso le regioni vicine fino a raggiungere la Romagna, la Calabria e il suolo laziale con Roma, alla quale sembra, dettero almeno tre re. Ma torniamo al nostro carro-slitta. Era uno dei mezzi di trasporto indispensabili per i contadini ed è stato in uso fino a pochi decenni fa per essere poi soppiantato dal trattore cingolato. I tronchi di legno atti a scivolare sul terreno venivano squadrati a forza di colpi d’ascia e resi leggermente ricurvi sul davanti, in modo da non impuntare sugli ostacoli. Venivano fissati al corpo del carro tramite dei pioli di legno, quattro a destra e quattro a sinistra, infissi in fori passanti fatti con una trivella. I pioli, leggermente più spessi dei fori, venivano infilati a forza di colpi di mazza di legno; una volta consumati gli “sci” bastava togliere i pioli, rinnovarli e montare due nuovi tronchi. Il vantaggio di tale mezzo di trasporto era più di uno: da una parte il suo basso baricentro, che gli permetteva di non rovesciarsi neanche sui terreni a forte pendenza attraversati trasversalmente, dall’altra poteva transitare in zone acquitrinose o semplicemente su terreni imbevuti di pioggia, senza sprofondare. Unico inconveniente era non avere freni, perché frenava solo con l’attrito a terra. Pertanto, in caso di un carico pesante a bordo, tipo letame o bigonce piene d’uva, era accortezza del guidatore non andare mai in discesa, ma spostarsi da destra a sinistra a mo’ di tornanti onde impedire che la traglia, acquistando velocità, travolgesse la coppia di vacche che la trainavano. Teniamo presente che la traglia era indispensabile quando l’agricoltura si svolgeva prevalentemente nelle zone collinari. Adesso, questo mezzo che veniva dalla notte dei tempi, è scomparso, sostituito dal trattore. Ne è rimasta memoria solo in alcuni vecchi, in qualche libro e in qualche museo contadino. Però ogni volta che muore qualcuno, giovane o vecchio che sia, schiacciato a causa del rovesciamento del suo trattore, la memoria corre alla traglia che, per farla rovesciare, non bastava uno sbadato: ce ne volevano almeno due. Vittorio G rech i

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La Raccolta d’arte della Fondazione Carit si arricchisce di tre nuovi dipinti raffiguranti la Cascata delle Marmore e la Valle del Nera

Abrahm Louis Rodolphe Ducros La cascata delle Marmore presso Terni, acquerello con lumeggiature a gouache su carta bianca, cm.103x68. Iscrizione autografa in basso al centro “Ducros, Rome, 1785”. Pubblicato in T. Secci, Acquerelli, affreschi, ceramiche, miniature, olii, sculture, tempere della Cascata delle Marmore dal 1527 al 1986, Umbriagraf, Terni 1989, pp. 66-67.

Franz Keisermann La vallata di Terni al levar del sole lungo il fiume Nera, acquerello su carta bianca, cm. 65 x 103. Iscrizione sul retro del foglio: “Vue de la vallée de Terny ou lever du soleil. L’on voit le Palais Graziani au bord de la Nera ou a habité le Prince de Galle dessiné et peint d’apres nature par Francois Keiserman, 1820”.

Franz Keisermann La cascata delle Marmore presso Terni, acquerello con lumeggiature a gouache su carta bianca, cm. 102 x 67. Iscrizione in basso a destra “F. Keiserman fe[cit]. Cascade de Terny”. Sul retro del foglio: “Vue de la cascade de Terny, peint d’après nature par F. Keiserman artiste a Rome pour S.E.E. Madame la Marquise d’Ariza”.

La recente acquisizione verrà presentata a palazzo Montani Leoni venerdì 9 ottobre 2015 alle ore 17,00 nell’ambito del progetto “I plenaristi nella Valle del Nera”, finanziato dalla stessa Fondazione e realizzato dal Comune di Terni in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Dopo i saluti di Mario Fornaci, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, e di Giorgio Armillei, Assessore alla Cultura e ai Servizi Culturali del Comune di Terni, interverranno Franco Passalacqua e Marcella Culatti. Al termine l’anteprima del video La valle incantata, con la regia di Franco Passalacqua. 21


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illu re st

P a o lo Leo n elli

Difficile, se non impossibile, essere più seri ed onesti di Paolo Leonelli, uomo molto intelligente e molto colto, mai mischiato in beghe e in contorsionismi partitici. Dedica molto tempo alla diffusione della cultura, regalando disinteressatamente ai cittadini il personale patrimonio di saperi culturali. 60 anni di amicizia ininterrotta e di consuetudini progettuali culturali ne garantiscono la conoscenza. L’Architetto Paolo Leonelli è notissimo in molte città importanti del nostro Paese, ove riceve premi e riconoscimenti per la genialità del suo lavoro. Poiché però nemo profheta in patria, Paolo, cristiano adamantino, incarna fedelmente l’ammonimento dei quattro evangelisti. Ma la storia è con lui. Giampiero Raspetti

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