Numero 11 2 febbraio 2014
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Mostra Cartoline d’amore dal 1900 ai nostri giorni 8-23 Febbraio 2014 - Terni, Via De Filis 7
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Collezione Sergio Marigliani
Pietre rotolanti “Preferirei essere morto, piuttosto che cantare Satisfaction a 45 anni”. Questa è una delle più celebri affermazioni di Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, ed è contenuta in un’intervista rilasciata alla rivista People nel giugno del 1975; a quel tempo il cantante non aveva ancora compiuto 32 anni, e non c’è dubbio che cominciasse seriamente a sentirsi vecchio, visto che le leggende del rock and roll solitamente morivano verso i 27 anni di età. Per contro, è notizia recente che i Rolling Stones stanno programmando un tour di concerti per il 2014, e siccome non è possibile immaginare un loro concerto che non preveda la loro hit più famosa, è facile prevedere che Sir Jagger continuerà serenamente a contraddire se stesso, agitandosi sul palco e urlando “I can’t get no” alla veneranda età di anni 71. Bisogna riconoscere che contraddizioni come queste mettono allegria, e non possono essere altro che benvenute. Non è ad una rockstar che si chiede coerenza e consapevolezza, e se ci sono fan degli Stones che hanno ancora voglia di agitarsi sotto il loro palco alla faccia dell’artrosi e degli acciacchi, hanno tutto il sacrosanto diritto di farlo. Molto meglio contraddizioni e affermazioni smentite come questa che la miriade di supposti misteri che spesso si sentono raccontare intorno agli idoli della musica giovanile (ehm). Elvis Presley che sarebbe ancora vivo, rapito dagli extraterrestri; Paul McCartney che sarebbe invece morto da trent’anni, come dimostra la copertina di Abbey Road in cui cammina scalzo; inni satanici riconoscibili ascoltando questo o quel pezzo alla rovescia, e così via cantando. Piuttosto, è curioso come sia passato quasi del tutto inosservato un altro caso di imprevista longevità: quella del rover marziano Opportunity. Se ne è parlato un po’ nei giornali e telegiornali quando è partito, giusto dieci anni fa (il 25 gennaio 2004), ma come sempre accade, l’attenzione dei media si è spenta subito dopo. Del resto, la previsione di durata della missione di Opportunity sul suolo di Marte era di ben 90 giorni, e non ci si può aspettare che una macchina, per quanto situata in un posto originale, possa restare sulle prime
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pagine per tre mesi di fila. A voler essere pignoli, poi, non si trattava di 90 giorni propriamente detti, così come li conosciamo noi, ma di giorni marziani, che durano una quarantina di minuti in più delle 24 ore a cui siamo abituati. Il termine usato dagli scienziati, per riferirsi a questa unità di tempo marziano, è “sol”. Fatto sta che Opportunity non è durata 90 sol, ma decisamente di più: il mese scorso ha compiuto i suoi dieci anni di ininterrotta attività, superando allegramente il traguardo dei 3500 sol: una quarantina di volte più a lungo di quanto ci si aspettasse, roba da far impallidire anche Mick Jagger. A voler andare a caccia di misteri e coincidenze, si scopre poi che anche l’esplorazione planetaria ha ben poco da invidiare alla vita delle rockstar: ha infatti fatto scalpore la notizia che Opportunity ha fotografato una pietra sulla superficie marziana che solo pochi giorni prima non c’era. La coppia di foto ha fatto rapidamente il giro del mondo, e non c’è dubbio che l’evidenza parli chiaro: la pietra fotografata in data (pardon, in sol) 3540 non era lì quando lo stesso pezzo di Marte è stato fotografato durante il sol 3528. C’è davvero tanto da stupirsi? In fondo, non stiamo parlando né di UFO che rapiscono chitarristi né di bassisti resuscitati dall’oltretomba, solo di una pietra che rotola (appunto, una “rolling stone”). Beh, sì e no. Non c’è forse da dichiarare subito che si tratti della prova del passaggio di una forma di vita marziana, ma un po’ di mistero permane lo stesso: sembra improbabile che si tratti di un meteorite, perché analizzando il terreno lì intorno non si vede nessuna traccia caratteristica d’impatto; però potrebbe essere caduto un meteorite abbastanza vicino, aver scheggiato una roccia e fatto rotolare un residuo sotto gli occhi di Opportunity. O forse è stata Opportunity stessa a smuovere qualcosa, anche se non si vedono tracce del suo passaggio: ma forse lo ha fatto poco più in alto, e la pietra misteriosa è rotolata un po’ più a valle. Insomma, c’è da indagare, c’è un mistero, ma non è che ci aspetti di vedere ET che torni a raccogliere il suo sasso. Quel che è sicuro, però, è che indagare certi misteri è davvero molto, molto più esaltante che meravigliarsi per quelli che sono costruiti ad arte per stupire. Anche perché si trovano spesso dei risvolti che è perfino difficile immaginare, se non si è del mestiere: ad esempio, il punto di gran lunga più affascinante di questa pietra rotolante non è la sua origine o la causa del suo moto, ma il fatto che adesso sia rovesciata, capovolta rispetto alla sua posizione originale. Gli esperti sono riusciti a capirlo facilmente dalla foto, e si sono resi così conto di avere a disposizione una superficie che non è stata esposta alla luce e agli eventi della superficie marziana per miliardi di anni: e questa è un’occasione unica di studio, per i veri curiosi professionisti, gli scienziati. Pietre che rotolano: interessanti, e dure a morire. P i e ro F a b b r i
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Pietre rotolanti - P F a b b r i MEDIOAREA FA R M A C I A B E T T I Quanta corruzione c’è in questa Italia? - A M e l a s e c c h e Devo pagare i debiti di mia moglie/marito? - M P e t ro c c h i S A N FA U S T I N O La storia di Carmela e del mafioso che rispetta le donne - F P a t r i z i IMMOBILIARE BATTISTELLI A S S O C I A Z I O N E C U L T U R A L E L A PA G I N A ASSESSORATO CULTURA SCUOLA E POLITICHE GIOVANILI ARABA FENICE A S S E S S O R AT O A I L AV O R I P U B B L I C I T E AT R O V E R D I ASM TERNI SpA CONSORZIO DI BONIFICA TEVERE NERA LICEO CLASSICO - ML B e l l i n i , M G a t t o , A C o l a c c i De Coubertin addio! - S L u p i C O O P E R AT I VA M O B I L I T À T R A S P O R T I LANDI COSTRUZIONI L A B O R AT O R I S A L VAT I A Z I E N D A O S P E D A L I E R A S A N TA M A R I A D I T E R N I Mi spiace: non c’è budget! - C Colasanti La scuola, questa sconosciuta - G P i ro z z o l i N U O VA G A L E N O Il mamba nero - F L e l l i STUDIO MEDICO TRACCHEGIANI
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Martina Salvati
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PA S T I C C E R I A C A R L E T T I A c a c c i a c o i c a p i - V Grechi Il freddo - L Paoluzzi Relativismo e crisi - PL Seri L’ortupedichi... sessolughi - P C a s a l i CENTRO MEDICO DEMETRA - ERREMEDICA La grotta bella - D Fagioli Silenzio, la musica! - F Pepicelli P r i m o P i a n o - L Ta r d e l l a L a S i c u r e z z a a S c u o l a - G Ta l a m o n t i ALFIO C I D AT Sindrome delle faccette articolari - V B u o m p a d r e La spedizione dei mille - F Neri SANDRO BINI - F Calzavacca F O N D A Z I O N E C A S S A D I R I S PA R M I O S A N VA L E N T I N O : P a s s i d ’ A m o r e - G R a s p e t t i Il ruolo della nutrigenomica nella nutrizione umana - L F a l c i Una soffitta sull’universo - M Pasqualetti ALLEANZA GIAN FRANCO GAVIRATI - R B e l l u c c i G L O B A L S E RV I C E SUPERCONTI
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Bianconi
Mensile di attualità e cultura
Registrazione n. 9 del 12 novembre 2002, Tribunale di Terni Redazione: Terni, Vico Catina 13 --- Tipolitografia: Federici - Terni
DISTRIBUZIONE GRATUITA Direttore responsabile Michele Rito Liposi Editrice Projecta di Giampiero Raspetti
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Terni in maschera Poderose menti si addensano sullo scenario elettorale. Il loro dire non è magniloquente come quello di Teofrasto, la parola di Dio, o di Cicerone, la ragione fatta parola, o di Lorenzo il Magnifico, l’avo del Renzino. Proprio no, anzi... i più... bofonchiano! Ma sono sì auliche le proposte-idee che si accingono a donare alla città che si passa sopra a tutto! Attraversato il fuoco purificatore e rigeneratore di stressantissimi studi, temprati da mille riunioni con filosofi, poeti, matematici e logici, forti di personali esperienze lavorative ricche di inventiva, innovazione, progettualità con tanto di realizzazioni relative, oggi, costoro, possono alfine annunciare, urbi et orbi (soprattutto a quest’ultimi) di aver analizzato e capito tutti i problemi di Terni e, grazie ad eroiche peripezie mentali, saperne guarire quasi tutti i mali. E così ci è dato assistere ad un festoso caleidoscopio di proposte per il bene, c’è da dirlo?, comune. Tra non molto ci faranno dovutamente sapere dove erano fino a ieri, intenti a realizzarlo questo bene comune! Quale la loro vita professionale così densa di cultura, progettualità, imprenditorialità, inventiva, sagacia, soprattutto a quando la grande propulsione donata alla città dalla realizzazione dei loro progetti! Questa licitazione sarà necessaria proprio per evitare che dei minus quam possano infiltrarsi nell’agone politico, mimetizzarsi e, mascherati da uomini e da amministratori, abbiano a invadere quella scena che deve invece vedere protagonista solo chi ha già dato mostra di sé: di chiacchieroni nullafacenti, di impiegatucci di amministrazioni borboniche o di attoruncoli da avanspettacolo che vogliono fare politica (per soddisfare il proprio malato ego o per rubacchiare un po’ o per sfamarsi) ne abbiamo piene le tasche! E così oggi molti decatleti della cultura ci forniscono agende, elenchi, ricette, proposte, idee, sospiri, suggestioni che, in riduzione sintetica, ma con molto piacere, sveliamo al lettore: Cultura, Natura, San Valentino! Si sono accorti, i grandi, dall’alto della loro perspicacia culturale, che nel territorio ci sono dovizie quali Piediluco e la Cascata delle Marmore e, forse, qualche altro sito di interesse primario, o secondario. Poderosi studi li hanno portati poi ad accertare che San Valentino, oltre ad essere Patrono di Terni, è anche Protettore degli Innamorati! Ed ecco allora risolto il problema: basta “sfruttare” queste potenzialità per diventare ricchi! Quali sublimi meandri del pensiero! E chi ci avrebbe mai pensato! Per fortuna Terni genera, di tanto in tanto, figli così geniali! Abbiamo proprio bisogno di questi illustri concittadini, della loro intelligenza, della loro cultura, siamo anche disponibili a passar sopra alla loro dialettica pecoreccia, ma non toglieteci quelle grandissime capacità professionali e manageriali che hanno illuminato la loro vita privata! Devono davvero aver meditato tanto nelle grotte dei Sibillini o nelle alture del Tibet per poter sintetizzare le perle che chiamano progetti! Cari lettori, quando incontrerete tali maschere carnascialesche, in liste di sinistra, centro, civiche, mezze destre, un quarto sinistre, o come so’ so’, fate loro presente che un progetto non corrisponde a idee sparse, rituali, allusive e sbocconcellate. Se vi parleranno di San Valentino o della Cascata delle Marmore senza dirvi come, cosa e quando si realizza il tutto, presentandovi chiaramente un progetto che non può fare a meno, come tale, di programma, contenuti, tempi, modi, definizione delle strutture e dei costi… se non vi diranno niente di tutto ciò, siatene certi: pensano solo (e male) a se stessi, non hanno mai fatto niente di buono e niente sapranno mai fare! GR Altro che la favola del bene comune!
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Quanta corruzione c’è in Italia? È una domanda che di questi tempi molti si pongono e le vicende di cronaca incrementano la sfiducia. Può aiutarci a comprendere il fenomeno un’organizzazione no-profit che ha fatto della lotta alla corruzione su scala mondiale il suo primo obiettivo, si tratta della Transparency International, che pubblica dal 1995 il Corruption Perceptions Index, la classifica dei Paesi più (e meno) corrotti del mondo. Nel dettaglio, si tratta dell'indice sul grado di corruzione percepita nel settore pubblico in 177 Paesi nel mondo: maggiore è il punteggio ottenuto dai vari Stati, maggiore è il loro grado di "limpidezza", su una scala di valori compresa tra 0, "fortemente corrotto" (highly corrupt) e 100, "molto onesto" (very clean). Più in alto si sale in classifica, più si è percepiti come virtuosi. In generale, nessun Paese ha mai totalizzato 100 (il massimo del punteggio raggiunto nel 2013 tocca i 91 punti), ma anzi i due terzi ottengono un risultato inferiore ai 50 punti: dal che si evince che esiste su scala mondiale un serio problema di corruzione. Ai primi posti nella graduatoria, fra i più virtuosi, ci sono i Paesi del Nord Europa (con i soliti primatisti: Danimarca e Finlandia), nel mezzo si infila la Nuova Zelanda, poi i rimanenti Paesi scandinavi e Singapore, Svizzera, Australia, Canada. La Grecia resta la peggiore dell'Unione Europea, a causa della crisi economica e del rigore impostole a fronte degli interventi finanziari di supporto. Risulta infatti il Paese più corrotto nell'Unione Europea anche se migliora un po' rispetto al 2012 salendo dal 94° all'80° posto.
Peggiora sensibilmente la Spagna colpita da crisi e scandali di varia natura, che scivola giù di dieci posti al 40° posto, sempre comunque al di sopra dell’Italia. La Germania resta lontana dai migliori, ma è comunque al 12° posto pur perdendo un punto. Tra i Paesi dove la situazione è sensibilmente peggiorata rispetto all'anno scorso ci sono Siria, Libia e Mali, Paesi travolti dalle guerre civili. Ma i più corrotti del mondo sono ancora Afghanistan, Corea del Nord e Somalia. Nel rapporto 2013, per incontrare l'Italia, bisogna scendere oltre l'Uruguay, il Botswana, il Costarica, il Lesotho e giù giù fino ad arrivare alla 69esima posizione. L’Italia, che è comunque migliorata di tre posizioni rispetto allo scorso anno e condivide il suo piazzamento con la non proprio stabile Romania e il ben poco democratico Kuwait. Il leggero passo in avanti dell’Italia sembra essere principalmente dovuto agli sforzi strutturali compiuti nella direzione del miglioramento della trasparenza del settore pubblico (si legga, introduzione della Legge Severino). Il trend positivo è maggiormente visibile dai dati del Global Corruption Barometer 2013 che ci ha portati almeno a pari merito con Francia e Germania, e in taluni segmenti anche a superarle. Ma al di là di un trend che sembra premiare gli sforzi che si stanno compiendo nel nostro Paese, permane l’amarezza per l’uso spesso disinvolto, altre volte incompetente, che viene fatto delle risorse pubbliche, con la creazione, senza soluzione di continuità, di ulteriore debito, nuove tasse e, purtroppo, tanta, tanta rabbia. a l es s ia . m e l a s e c c h e @ l i b e ro . i t
Devo pagare i debiti di mia moglie/marito? Il matrimonio, come tutti sanno, genera rapporti di natura patrimoniale che sono oggetto di una puntuale regolamentazione. La legge disciplina i rapporti patrimoniale della famiglia al fine di dare risposta a diversi ordini di problemi; quello di stabilire in che modo e misura ciascun coniuge deve fare fronte alle necessità economiche della famiglia (casa, cibo, spese mediche e scolastiche, vacanze, ecc.) è risolto dalle regole sugli obblighi di contribuzione; quello di stabilire chi diventa proprietario dei beni che entrano in famiglia durante il matrimonio è risolto dalle regole sul regime patrimoniale della famiglia; quello del trattamento del lavoro prestato nell’ambito della famiglia, lo risolvono le regole sull’impresa familiare. Può accadere che i coniugi, sposandosi, non stabiliscano nulla circa la proprietà dei loro futuri acquisti, in tal caso la legge dispone che il regime applicato è quello cosiddetto legale che prevede che i beni acquistati durante il matrimonio, anche individualmente da un singolo coniuge, diventino proprietà comune di entrambi. Ciò per la ragione che il legislatore ha inteso dare rilevo al lavoro domestico del coniuge casalingo (di solito la moglie), cui si attribuisce un riconoscimento economico sotto forma di partecipazione agli incrementi patrimoniali realizzati con il denaro proveniente dall’attività extradomestica dell’altro coniuge, affermando così un principio di solidarietà fra i membri della famiglia. I beni che cadono in comunione possono essere ricondotti ex art.177 c.c. alle seguenti categorie: i beni acquistati durante il matrimonio dai coniugi, insieme o anche separatamente; i redditi di lavoro e di capitale di ciascun coniuge; le aziende costituite durante il matrimonio, e gestite da entrambi i coniugi (se invece l’azienda apparteneva a uno solo dei coniugi prima del matrimonio, e nel corso di questo viene gestita da entrambi, cadono in comunione solamente gli utili e gli incrementi). È comunque bene precisare, tuttavia, che non tutti i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio cadono in comunione. Ne restano esclusi i c.d. beni personali, che rimangono proprietà esclusiva del coniuge che ha fatto l’acquisto (art. 179), quelli acquistati per donazione o successione, salvo che nell’atto attributivo risulti
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che essi sono destinati alla comunione; i beni di uso strettamente personale; i beni destinati all’esercizio della professione del singolo coniuge; il risarcimento del danno subito dal singolo coniuge, compresa la pensione attribuita per la perdita di capacità lavorativa; i beni acquistati con il ricavato di altri beni personali, a condizione che ciò sia espressamente indicato nell’atto di acquisto. Quanto ai redditi di lavoro e di capitale il coniuge che li percepisce ne è titolare esclusivo, e può: consumarli per sé o per altri, a proprio piacimento, con il limite di doverne destinare una parte ai bisogni della famiglia, in base ai suoi obblighi di contribuzione; investirli in beni durevoli, i quali, se non sono beni personali, cadono in comunione; risparmiarli, ed in questo caso scatta il meccanismo della comunione. Ciò che risulta risparmiato nel momento in cui la comunione si scioglie forma oggetto di una comunione chiamata residuale, perché comprende solo i redditi che non sono stati né consumati né investiti. Alla frequente domanda: se i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori occorre fare delle distinzioni: se le obbligazioni sono state contratte da entrambi i coniugi, o da uno solo, ma nell’interesse della famiglia, la risposta è affermativa; se questi non bastano, scatta la responsabilità sussidiaria di ciascun coniuge con i suoi beni personali, ma solo per la metà del credito (art. 190 c.c.). Se le obbligazioni sono assunte da ciascun coniuge separatamente per ragioni estranee all’interesse della famiglia, per esse risponde il coniuge obbligato, con i suoi beni personali; solo se questi non bastano, scatta la garanzia sussidiaria dei beni della comunione, che il creditore personale del coniuge può aggredire, ma nei limiti della quota dell’obbligato (art. 187c.c.; 189 c.c.). Nulla vieta poi che fra coniugi in regime di comunione legale esista anche una comunione ordinaria, accade quando i coniugi abbiano acquistato insieme un bene prima del matrimonio, in questo caso la quota di questa comunione fa parte dei beni personali di ciascuno di essi e non segue le regole della comunione legale. Buona lettura del codice civile a tutti. Avv. Marta Petrocchi legalepetrocchi@tiscali.it
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L a s t o r i a d i Carmela e d e l m a f i o s o c h e r i s p e t t a le donne notte avventurosa fuori casa, incontra un tossicodipendente che la droga e abusa di lei. Alla psicologa e agli agenti che la interrogano Carmela dice che è tutta colpa sua, che era consenziente. Ha compiuto tredici anni. Le credono. Le voci nel quartiere si alimentano, Carmela è un bocconcino facile. Una mattina viene ritrovata in stato confusionale distesa in un vicolo. Quale alibi può addurre un imputato adulto accusato di aver avuto Seguono i soliti colloqui con gli psicologi, il ricovero, gli psicofarmaci. rapporti sessuali con una tredicenne? Ormai non ha più amiche, resta tutto il giorno in uno stato di torpore Se il fatto si è svolto nel profondo Sud Italia, allora l’acclarata farmacologico rinchiusa in un istituto. Riesce a fuggire, sale su un provenienza mafiosa della famiglia del autobus, incontra le solite persone giovane è sufficiente a scagionarlo. sbagliate tra cui il figlio del boss in Quel pomeriggio di bagordi squallidi, cerca di svago. il figlio diciottenne del boss che Una domenica il patrigno la porta a spadroneggia Taranto ha sì avuto casa per un pranzo in famiglia, contatti con una ragazzina, ma non può Carmela si alza per andare in bagno e averla stuprata poiché il codice non torna. Si lascia alle spalle una d’onore mafioso condanna questo finestra aperta e una vita bruciata in reato; e laddove interviene il codice fretta. mafioso, il codice penale non può che I genitori chiedono giustizia, ma la accordarsi e accodarsi, così il semplice città vuole dimenticare questa pedigree malavitoso del giovane ragazzina che ha risvegliato i lati più imputato basta agli avvocati per oscuri dell’onorata società, i processi ottenere la sua piena assoluzione. si chiudono con archiviazioni e Carmela, la ragazzina vittima di assoluzioni: chi non ha visto, chi invita rapporti sessuali con minorenni e Alessia Di Giovanni, Monica Barengo, Io so’ Carmela, Becco Giallo, 2013 a non dare credito a una piccola maggiorenni, tossicodipendenti e schizofrenica e chi non può aver venditori ambulanti, è un soggetto problematico; di una bellezza compiuto il fatto perché di nobile origine mafiosa! precoce che non passa inosservata, viene importunata da un pedofilo Un giorno un’infermiera dell’istituto trova nel cestino della all’uscita di scuola, ma dato che il soggetto è un agente militare in spazzatura un diario, legge le prime righe Io so’ Carmela: è il nome servizio, le denunce scivolano verso l’archiviazione; solo un brutale che si è data l’associazione fondata dalla famiglia per difendere i faccia a faccia con il patrigno di Carmela convince i superiori minori vittime di abusi ed anche il titolo della graphic novel che dell’agente a un cauto trasferimento in un altro quartiere di Taranto. illustra questo diario con un tratto di matita leggero, fragile, ma Nel frattempo Carmela cresce confusa e ribelle, cede all’idea di una indelebile. Francesco Patrizi
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ALTRI EVENTI Febbraio/Marzo 2014 ore 10.00 Sabato 08 1° Incontro Corso di Arabo ore 17.30 Giovedì 13 1° Incontro Corso di Cinese ore 21.00 Martedì 18 Presentazione del libro: Gli occhi nel borgo. Libro fotografico su Collescipoli. Bruno Galigani, moderatore; Giovanni Tasca, relatore; Giovanni Tasca e Jacopo Castellani, autori ore 21.00 Giovedì 20 1° Incontro Corso di Scacchi ore 17.30 Giovedì 27 Psicoanalisi e Diritti Umani Marcello Ricci e Silvana Rosita Leali, relatori ore 17.30 Venerdì 28 Smart City…raccolta differenziata...! Carlo Ottone, Presidente ASM Terni e Stefano Tirinzi, Direttore ASM Terni, relatori ore 17.30 Giovedì 06 M Magna Grecia Salvatore Giovanni Zofrea, relatore ore 21,00 BRIDGE
Lunedì e/o Mercoledì
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Venerdì
de La Pagina
21 febbraio ore 17 Terni sparita A. Ceccoli, Florio, P. Leonelli, L.Santini 7 marzo ore 17 Proporzione Aurea 1 G. Raspetti da Fidia all’Irrazionale, passando per la Gioconda, i girasole, le rose e le galassie 21 marzo ore 21 Cultural Cabaret 7 Primavera in Jazz
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Assessorato Cultura Scuola e Politiche Giovanili Si m on e Gu erra Assessore alla Cultura
Una casa per le donne della città Sorgerà in via Aminale ed ospiterà laboratori, corsi, conferenze
Tra breve il taglio del nastro per la Casa delle Donne, in via Aminale. Si tratta della realizzazione di un sogno che le donne ternane inseguono da anni, un’unione di intenti, di aspirazioni, di collaborazione e di professionalità. Sarà un luogo in cui troveranno spazio e risposte donne di tutte le età, etnie, professioni, un luogo affine ai sentimenti di rifugio, di conforto, ma anche un laboratorio in cui creare progetti sogni, un luogo dove le aspirazioni possono trovare spazio. La Casa delle Donne sarà un’incubatrice di idee, una fucina di espressioni, come l’ha definita Silvia Scipioni presidente dell’Associazione Terni Donne che gestirà il servizio Casa delle donne, l’Associazione che si sta battendo per la realizzazione della Casa delle Donne e che ha trovato una forte rispondenza da parte del Comune di Terni, Assessorati alla Cultura e alle Pari Opportunità. La struttura di via Aminale sarà un luogo dove si potranno organizzare seminari, workshop, laboratori, ci si potrà informare, si potranno leggere in maniera critica leggi e proposte di legge. Non mancherà uno spazio riservato anche ad attività che conferiscano leggerezza e spensieratezza a quante hanno, o avranno, bisogno di evadere. Il tutto in formula gratuita nello spirito di condivisione e di aiuto. Uno degli obiettivi è quello di far incontrare donne di diverse età e dar vita così ad uno scambio di saperi, competenze e conoscenze. Il nostro sogno è anche quello di avere un posto al centro della città in cui semplicemente incontrarsi con un’amica per parlare. Avere un posto da condividere e da amare. Ci piace anche recuperare una dimensione semplice e quotidiana, raccontano le componenti di Terni Donne. Per questo nella casa ci sarà pure un angolo dedicato al salotto buono e una piccolissima cucina. Ma cosa troveranno le donne ternane nella loro Casa che aprirà i battenti tra pochi giorni? Tantissime iniziative, ma altrettante potranno inventarle e dar loro le gambe. Intanto ci saranno laboratori di sartoria, yoga, danza del ventre, attività culturali anche per bambini, eventi, sportelli di mutuo aiuto, una biblioteca specializzata ed un centro di documentazione, spazi dedicati all’artigianato artistico, spazi che promuovano il benessere fisico, mentale e culturale delle donne. Si darà vita a gruppi di aiuto per le donne maltrattate con disagio sociale, con difficoltà linguistiche anche attraverso l’uso di tecniche artistiche come il canto, la danza, la scrittura creativa, il teatro. Si organizzeranno corsi di formazione o scambio di saperi e conoscenze. Si metterà a punto una mappatura dei servizi, degli spazi, delle opportunità e delle possibilità che il territorio cittadino riserva alle donne in modo tale da fornire un aiuto concreto per accompagnarle nella lettura della realtà in cui vivono.
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I Parchi volu Si l van o Ricci Assessore ai Lavori pubblici
Due nuove aree verdi saranno realizz
Due nuovi parchi, due aree verdi attrezzate che saranno realizzate a Campitello, vicino al palatennistavolo, tra via del Salice e via del Centenario, e a Rocca San Zenone, in via Val Serra, di fianco alla chiesa dedicata al Santo martire a cui è intitolato il quartiere. Un esempio di partecipazione vera perché il progetto dei giardini è stato messo a punto tenendo fede alle indicazioni ed ai suggerimenti che sono emersi durante i vari incontri con i cittadini che abitano proprio dove si realizzeranno le due aree verdi. Si è cercato di coniugare le diverse esigenze: quelle degli anziani, dei bambini, degli adolescenti. L’intento è di creare una piazza nel senso antico del termine, un luogo in cui potersi incontrare, discutere, ragionare, divertirsi. Un luogo in cui le diverse generazioni possano dialogare e confrontarsi. Ecco quindi il chiosco e il grande gioco modulare a Rocca San Zenone, gli alberi da frutta a Campitello.
I due giardini si inseriranno nel paesaggio senza impatto, anzi si cercherà di mettere a dimora alberi e arbusti autoctoni, piante che erano di casa in quei luoghi. Anche se i quartieri in cui si realizzeranno le due aree verdi sono ormai densamente urbanizzarti, c’è ancora chi ricorda quando, in quelle zone, il verde la faceva da padrone e, proprio in base a questi ricordi, si è cercato di ricostruire. I due parchi avranno anche giochi per bambini, realizzati con i materiali più moderni e sicuri e zone per la socializzazione; si tratta di aree verdi costruite secondo criteri moderni che non dimenticano però il passato. Nel creare nuovi luoghi di aggregazione e socializzazione si è cercato di coniugare innovazione e tradizione. Si tratta inoltre di riqualificare anche le aree su cui sorgeranno i due parchi. A Rocca San Zenone la nuova area verde si realizzerà al posto di un vecchio giardino di cui ancora ci sono tracce, si cercherà di riutilizzare la vecchia linea della illuminazione rendendola sicura e si riutilizzeranno gli allacci dell’acqua potabile. Al posto del vecchio muro di recinsione ci sarà una siepe, alta un metro, che isolerà l’area verde dal contesto ma permetterà comunque di vedere dalla strada il giardino. Questa sorta di divisone è stata voluta soprattutto dagli adolescenti del quartiere che hanno manifestato la volontà di avere un luogo comunque diviso dal resto della zona. Ancor prima di essere realizzato il parco di Rocca San Zenone suscita già sensi di appartenenza. Il parco di Campitello si realizzerà in un’area in cui per ora c’è solo verde spontaneo che non permette di utilizzare quell’area in nessun modo. Il nuovo parco costituisce un’importantissima realtà perché, nono-
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uti dalla gente ate a Rocca San Zenone e Campitello
parco in qualche modo ci ha disobbligato, è una sorta di risarcimento a posteriori, racconta Valerio Guidarelli uno dei giovani che ha partecipato concretamente a realizzare il progetto. Tra gli ex ragazzini che hanno collaborato a mettere a punto il progetto anche un architetto che ormai vive a Roma e che è tornato nei fine settimana a Terni proprio per lavorare insieme agli amici di un tempo. Stavolta non si trattava di una partita di pallone ma di redigere un progetto. Anche l’area verde di Rocca San Zenone si inserisce in una zona densamente popolata; partendo dall’area giochi, in un raggio di soli ottocento metri, vivono duemila persone e il numero è destinato a crescere tra breve, quando saranno realizzati i nuovi insediamenti abitativi previsti dal piano regolatore generale.
Fotoservizio di Alberto Mirimao
stante la crescita esponenziale del numero degli abitanti di questa zona, non esistono aree verdi attrezzate fruibili da tutta la popolazione. La necessità di disporre di spazi all’aperto rappresenta uno dei principali bisogni dei giovani, uno dei primi desiderata che sono emersi dagli incontri tra i tecnici e gli amministratori del comune di Terni e gli studenti delle scuole di Campitello. La scelta del luogo in cui realizzare il parco ha tenuto conto anche della possibilità di realizzare nelle vicinanze parcheggi comodi anche per le mamme con eventuali passeggini al seguito e del fatto che la distanza con le abitazioni è sufficiente per garantire la tranquillità degli inquilini di quei palazzi. Nell’area verde di Campitello, per rispettare la tradizione agricola del luogo, verranno piantumati alberi da frutta e gelsi e si realizzerà un pergolato con la vite in collaborazione con l’Associazione Bruna Vecchietti onlus; la zona sarà accessibile per tutti, priva di qualsiasi barriera architettonica. A Rocca San Zenone l’area dedicata ai bambini sarà dominata da una sorta di Drago, un gioco modulare di undici metri per due; sarà ripristinata la vecchia fontanella e creati nuovi servizi igienici. Un chiostro in cui funzionerà un piccolo bar completerà l’opera. Per la realizzazione del progetto di questo parco fondamentale è l’apporto di architetti ed ingegneri che abitano nel quartiere; un gruppo spontaneo che si è formato proprio durante gli incontri con i tecnici del comune di Terni. Per anni da bambini abbiamo giocato per le vie del quartiere San Zenone infastidendo non poco gli abitanti. Lavorare al progetto del
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Teatro Verdi Leopoldo Di Girolamo Sindaco di Terni
È stato approvato dal consiglio comunale il progetto definitivo per il restauro, l’adeguamento funzionale e impiantistico del Teatro comunale Verdi. I voti a favore, 22, hanno stabilito che l’atto è immediatamente eseguibile. Nessuno in passato aveva svolto un’indagine dettagliata sullo stato dell’immobile - ricorda l’assessore Silvano Ricci. Noi abbiamo effettuato uno screening completo dello stabile per capire quale fosse il livello di sicurezza, perché si tratta di un luogo pubblico frequentato costantemente da cittadini verso i quali abbiamo responsabilità precise come amministratori della cosa pubblica. L’assessore ha sottolineato poi come l’intervento sia stato deciso in un momento di grave difficoltà finanziaria per gli Enti Locali. Prossimo passo, dopo il restauro del pronao, sarà la ricostruzione della torre scenica. Troppo oneroso restaurarla, non è conveniente, né utile. Lo avevano già evidenziato gli studi commissionati dal Comune al Politecnico di Milano e lo hanno riconfermato gli approfondimenti dei progettisti. La torre scenica esistente è carente dal punto di vista statico, poco sicura e non più funzionale per tutto l’apparato di nuove tecnologie che servono per la messa in scena di uno spettacolo. Un eventuale restauro avrebbe previsto un costoso consolidamento del piano di palcoscenico e della graticcia, ma lo spazio riservato alla torre scenica sarebbe rimasto comunque angusto. Troppo piccolo per un moderno teatro. I tecnici hanno definito l’ipotesi di un restauro della torre scenica come diseconomica e irragionevole; i lavori molto onerosi si sarebbero dovuti effettuare su un impianto di fatto poco funzionale ma anche di scarso pregio artistico e architettonico. La parete di fondo della torre scenica è troppo debole per garantire la sicurezza, c’è necessità di consolidamento della parete di palcoscenico e della graticcia, lo spazio di palcoscenico è angusto. Sulla base di questi elementi si è deciso dunque di abbattere e ridisegnare tutto lo spazio: è previsto un ampliamento che verrà effettuato nella zona dietro al palcoscenico; si creeranno nuovi volumi nelle vicinanze del teatro. Il nuovo ampliamento della torre scenica comporterà anche un risanamento ed una riqualificazione degli spazi vicini al teatro; si proseguirà quindi nell’opera di rivalutazione del centro cittadino, obiettivo prioritario dell’Amministrazione Comunale. Le decisioni sul teatro Verdi sono importantissime perché si tratta di un elemento centrale nelle politiche culturali della città, a loro volta strategiche per lo sviluppo di Terni. L’obiettivo che si propone l’Amministrazione è quello di provare a restituire alla città uno spazio polifunzionale, non solo per lo svolgi-
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mento delle attività teatrali, ma anche per la lirica, la musica, il balletto. Il nuovo teatro dovrà essere sostanzialmente un luogo di aggregazione e di produzione culturale e non è da escludere anche un utilizzo parziale della sala come cinema, in occasione di rassegne, festival ed eventi particolari. L’intervento sul Verdi mira innanzitutto a recuperare la fruibilità piena del teatro, perché i teatri non sono musei da guardare, ma prima di tutto luoghi di produzione e fruizione della cultura. L’Amministrazione ha dovuto operare tra molte difficoltà, prima tra tutte quella di carattere finanziario, considerata l’attuale situazione di bilancio degli Enti Locali. Non sono mancate anche le ristrettezze normative per quel che riguarda la sicurezza della struttura, anche a livello statico, oltre che per l’accessibilità. Infine ci sono i vincoli volumetrici, considerata la scelta di lasciare il teatro storico della città nel luogo dove esso si trova. È sembrato naturale lasciarlo nella sua antica sede, ogni ipotesi di spostamento è apparsa poco credibile. Importante è garantire al Verdi un elevato numero di posti, con buona qualità e comfort per gli spettatori e soprattutto valorizzare la capacità scenotecnica, elemento competitivo e di valore per ogni teatro. Ci si assicura quindi la possibilità di garantire anche allestimenti importanti. Nel prossimo stralcio dei lavori quindi la vecchia torre scenica sarà abbattuta e ricostruita più grande in modo tale da poter contenere tutti gli spazi necessari allo spettacolo, sarà più funzionale anche per l’istallazione degli impianti tecnici. Nel momento in cui verranno gettate le fondazioni si procederà anche alla realizzazione di una vasca di accumulo dell’acqua per la prevenzione incendi. La nuova torre sarà realizzata in conglomerato cementizio armato; in questa struttura saranno inseriti i ballatoi intermedi e la graticcia, la copertura sarà realizzata in un misto di acciaio e calcestruzzo. Questo primo stralcio dei lavori tiene conto anche del fatto che il teatro andrà restaurato nella sua interezza, l’intervento è quindi anche funzionale alla prosecuzione dei lavori. Sui restauri della parte architettonica il dibattito resta aperto con tutti i vincoli che ben conosciamo. Per quanto riguarda i fondi va ricordato che il Comune ha fatto la sua parte e che un aiuto importante è arrivato dalla Regione e, in prospettiva, potrebbe arrivare anche dal successo della candidatura di Perugia-Assisi a capitali europee della cultura, oltre che dal Governo. Rimaniamo aperti al contributo della Fondazione Carit e di qualsiasi altro soggetto fosse interessato.
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Cons or zio di B on Piazza E. Fermi 5 - 05100 Terni Tel. 0744. 545711 Fax 0744.545790 consorzioteverenera@pec.it teverenera@teverenera.it - www.teverenera.it
A difesa de
L’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (ANBI) ha aggiornato nel 2013 la sua proposta per un piano di interventi riguardanti la riduzione del rischio idrogeologico. Tra le priorità strategiche del nostro Paese, va certamente considerata la diffusa fragilità del territorio con la conseguente esigenza di azioni volte a preservarne l’uso e la funzionalità, nel rispetto e tutela ambientale. Necessita quindi una nuova politica territoriale, che richiede un impegno operativo serio e costante da parte di tutti gli Enti preposti. I dati conoscitivi sulla vulnerabilità del nostro Paese sono noti. Sono altresì note le indispensabili azioni di manutenzione, per garantire l’efficienza dei sistemi di scolo, la regimazione delle reti di deflusso superficiale, la riduzione delle interferenze antropiche, il corretto uso del suolo. Il Governo ed il Parlamento sono chiamati a svolgere la loro parte. Non sono sufficienti gli accordi di programma tra Stato e Regioni, rimasti peraltro largamente inattuati giacché le previste risorse sono state destinate ad altre finalità. I Consorzi auspicano una fondamentale innovazione: non mega progetti, bensì la definizione per il Paese di un concreto piano di riduzione del rischio idraulico. A tal fine è necessario evitare tutti quegli slogan che in passato hanno voluto giustificare una situazione di stallo, consistenti nel denunciare la molteplicità dei soggetti competenti e quindi il blocco dell’operatività. Si tratta di affermazioni semplicistiche e non sempre corrette, visto che occorre distinguere i momenti istituzionali di
Foto Marco Barcarotti
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programmazione, da quelli di gestione ossia di realizzazione delle opere. Atteso che in tutte quelle azioni che hanno collegamento con le acque e con il loro regime è necessario operare per bacini idrografici e non già per ambiti amministrativi, occorre tener conto delle competenze di quegli enti, i cui ambiti territoriali sono definiti idraulicamente sulla base di confini idrografici. Per quanto riguarda la pianificazione nella difesa del suolo, essa non può che competere alle Autorità di distretto idrografico (si attende ancora il provvedimento che ne disciplini l’organizzazione e le funzioni); per le azioni, i soggetti deputati alla realizzazione e gestione delle opere non possono che essere i Consorzi di bonifica e di irrigazione (i cui ambiti di operatività sono definiti da confini
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Orario di apertura al Pubblico Lunedì – Venerdì dalle ore 8,30 alle 12,00 Mercoledì dalle ore 15,30 alle 17,00
patrimonio di impianti, canali ed altre infrastrutture destinate alla difesa del suolo: circa 200 mila chilometri di canali irrigui e di scolo, 800 impianti idrovori, 22 mila briglie, etc. Gli oneri di manutenzione ordinaria delle opere realizzate e gestite dai Consorzi sono a carico dei consorziati, che annualmente contribuiscono anche per la manutenzione di opere di scolo e di sollevamento delle acque. Nel 2012 sono ammontati a 566 milioni di euro gli importi versati ai Consorzi da parte di 7,7 milioni di contribuenti per la gestione delle opere di bonifica idraulica e di irrigazione. La manutenzione ordinaria è a carico dei privati consorziati, mentre occorrono risorse pubbliche per la manutenzione straordinaria necessaria ad adeguare gli impianti in relazione alla diffusa situazione di vulnerabilità del territorio, al singolare regime delle piogge ed alla necessità di ammodernamento di impianti, che siano in grado, di fronte alla profonda trasformazione subita dal territorio, di rispondere alle necessità di riduzione del rischio idrogeologico. Va altresì tenuto presente che i Consorzi hanno dato risposta tempestiva a quelle esigenze di riordino territoriale da tempo invocate. I Consorzi di bonifica, infatti, attraverso un intenso processo di fusioni ed incorporazioni, realizzato mediante norme regionali, sono attualmente 127 rispetto ai 250 degli anni settanta ed ai 180 del 1998. Nello stesso periodo il territorio sul quale i Consorzi operano non ha subìto riduzioni ma si è accresciuto. Si tratta pertanto di un significativo e serio processo di ammodernamento con connesse riduzioni di spesa.
idrografici), di intesa con i Comuni, secondo le vigenti norme nazionali e regionali. Come peraltro confermato anche dal Protocollo di Intesa Stato-Regioni del 18 settembre 2008, i Consorzi sono persone giuridiche pubbliche a struttura associativa, con una governance fondata sull’autogoverno dei consorziati contribuenti, a cui fanno carico le spese di funzionamento dei Consorzi e le spese per la manutenzione e gestione delle opere. I Consorzi di bonifica e di irrigazione, forte espressione di sussidiarietà, coprono il 50% del territorio del nostro Paese (oltre 17 milioni di ettari nei quali rientra tutta la pianura, la maggior parte della collina e una parte minore della montagna) hanno realizzato e provvedono alla manutenzione e all’esercizio di un immenso
Foto Marco Barcarotti
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Cent’anni fa la Tr a m e l m a e s a n g u e Tra le tante ricorrenze dell’anno nuovo una delle più importanti è il centenario della Prima Guerra Mondiale. Tale evento ha segnato una profonda cesura nella storia d’Europa, tanto da essere analizzato e studiato in ogni suo aspetto con grandissima cura. Il conflitto fu il risultato di una lunga serie di ostilità e attriti tra le diverse nazioni: l’opposizione tra la Triplice Intesa (1907), formata da Francia, Russia e Inghilterra, e la Triplice Alleanza, rinnovata nel 1912 da Germania, Austria-Ungheria e Italia, le due “crisi marocchine” e le due guerre balcaniche fanno da premessa storica all’evento. Ma alle tante cause si aggiunge il clima di esasperato nazionalismo che dilagava in Europa agli inizi del nuovo secolo, situazione raffigurata perfettamente nelle parole dello storico e politico britannico Albert Fisher: Un nazionalismo violento e appassionato sopraffece ogni altra forza. A tal proposito sono davvero sconvolgenti le parole di Papini, nell’ottobre 1914: È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli; i civili sono pronti a tornare selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve […]. I cimiteri, finalmente, si socchiudono: le trincee non hanno forse la forma e l’ufficio di grandi fosse comuni? Queste parole forti, che inneggiano alla guerra ad oltranza, non importa con quale alleato, con quale nemico e, soprattutto, per quale ideale, verranno poi smentite e rinnegate una volta capito quale fosse davvero la situazione. Difatti in tutta Europa il nazionalismo aveva fatto presa; e, come affermato dal poeta britannico Sigfried Sassoon, “in tempo di guerra il patriottismo è la soppressione della libertà”, concetto affine alla massima ciceroniana “fra le armi tacciono le leggi”, che si è rivelata tristemente vera in fin troppe occasioni. Le voci dell’opposizione pacifista erano troppo deboli ed eterogenee per poter costituire un fronte compatto; ad esempio, in Italia, coloro che auspicavano la neutralità erano gran parte delle masse contadine e operaie, i socialisti guidati da Filippo Turati, i cattolici raccolti sotto il magistero di Benedetto XV e i liberali giolittiani. Tuttavia, la diversità dei rispettivi orientamenti prevalse sull’obiettivo da raggiungere e il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’AustriaUngheria. Il medesimo fallimento fu registrato dai pacifisti degli altri Paesi; in Francia Jean Jaurès, che tentava di organizzare un movimento pacifista comune tra Francia e Germania con mezzi non violenti, come gli scioperi generali, fu assassinato a Parigi il 31 luglio 1914 da un giovane nazionalista francese. A proposito del conflitto ormai prossimo, il politico francese si espresse così: Ogni popolo andava con una fiaccola in mano per le strade d’Europa. E ora c’è l’incendio. La Grande Guerra segnò una svolta radicale anche per le stesse tecniche di combattimento: nuove armi di enorme potenza distruttiva come il carro armato, il gas, potenti sottomarini e altre invenzioni prodotte dalle industrie, sempre più moderne. Fu una guerra di trincea, un conflitto immobile e logorante che come non mai fu sofferto dai soldati di ogni fronte. Memorabile è la testimonianza poetica (oltre a quella del più famoso Ungaretti) di Clemente Rebora nella sua lirica intitolata Viatico: “Tra melma e sangue / Tronco senza gambe / E il tuo lamento ancora, / Pietà di noi rimasti / A rantolarci e non ha fine l’ora, / Affretta l’agonia / Tu puoi finire”. Innumerevoli documenti fotografici ritraggono le terribili condizioni di vita dei soldati in trincea, pigiati e costretti all’immobilità nel fango, infestati dai parassiti e morsi dai topi, spinti a combattere e a ubbidire. “Morire, non ripiegare”, queste le parole del rigidissimo generale Luigi Cadorna nel settembre 1917. Gli uomini, sfiniti dal combattimento, videro il ribaltamento della concezione di Papini, in generale i popoli sconfessarono, almeno temporaneamente, gli inni alla violenza e allo spargimento di sangue, una volta compresa la mostruosità della guerra. I soldati sono sognatori; quando i cannoni iniziano a sparare / pensano ai focolari domestici, ai letti puliti e alle mogli (Sigfried Sassoon). La Grande Guerra si concluse nel 1918. I Paesi vincitori si riunirono a Parigi il 19 gennaio 1919, per sottoscrivere un trattato di pace. Ma fu la stessa conclusione del primo conflitto mondiale a contribuire, in parte, alla nascita del secondo: il presidente americano Wilson auspicava la realizzazione dei “Quattordici punti”, enunciati l’anno precedente in un messaggio al Congresso degli Stati Uniti, secondo i quali sarebbe stato possibile ristabilire l’equilibrio in Europa basandosi sul rispetto del principio di nazionalità, sul diritto dei popoli all’autodecisione e sulla creazione di un organismo, la Società delle Nazioni, che fungesse da moderatore nelle controversie internazionali. Invece Francia, Italia ed Inghilterra puntarono alla “pace cartaginese”, che punisse Germania, Austria e Ungheria, imponendo rispettivamente i trattati di Versailles, di Saint-Germain e del Trianon, che prevedevano mutilazioni territoriali, riduzioni degli eserciti e indennità astronomiche. La pace del 1919 sarebbe stata gravida di conseguenze. La conservazione nella memoria storica del conflitto che lacerò l’Europa avrebbe dovuto servire da monito per i tempi a venire; come afferma il coro finale dell’opera teatrale “L’eccezione e la regola” scritta nel 1930 dal poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht: E -vi preghiamo- quello che succede ogni giorno / non trovatelo naturale / di nulla sia detto: è naturale / in questo tempo di anarchia e di sangue / di ordinato disordine, di meditato arbitrio, / di umanità disumanata, / così che nulla valga / come cosa immutabile. Maria Livia Bellini III IF
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La ύβρις dell ... atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. Così Tacito, nel I secolo dC, fa parlare Calgaco, capo dei Caledoni, nell’appassionato discorso di esortazione prima della battaglia decisiva contro i Romani. ... dove fanno il deserto, lì la chiamano pace. Sono passati novantacinque anni da quando, a Parigi, il 19 gennaio 1919, si apriva il congresso con il quale gli Stati vincitori della Grande Guerra si apprestavano a dettare le terrificanti condizioni di una pace che creò il deserto per le potenze vinte. Ma, allora, la posizione di Inghilterra, Italia e Francia, le quali, avendo vissuto l’orrore della guerra sui propri confini, sul suolo natio, volevano punire la Germania, e si contrapponevano perciò a Wilson, che si batteva affinché i popoli sconfitti fossero trattati con equanimità e rispetto, era soltanto manifestazione di crudeltà e desiderio di vendetta? Non era forse stata una guerra agognata da tutti in Europa? Le unioni sacre non si erano affermate forse in moltissimi governi? Con l’eccezione dell’Italia, che impiegò un bel po’ di tempo prima di prendere la decisione sbagliata e dove si scontrarono interventisti e neutralisti, nel resto d’Europa, la maggior parte dei socialisti fu ben contenta di appoggiare la guerra. Quei pochi contrari, rimasti fedeli all’ideale della guerra di classe, si incontrarono a Zimmerwald, dove però, atterriti dalla proposta rivoluzionaria del capo bolscevico Lenin di trasformare la guerra capitalistica in una rivoluzione proletaria, rifiutarono di pianificare la sconfitta del proprio Paese e modificarono l’idea di Lenin, auspicando la stipulazione di una pace senza annessioni e senza indennità, l’esatto contrario di ciò che avvenne. Scrissero: Mai fu nella storia una missione più nobile e più urgente. Non vi sono sforzi o sacrifici troppo grandi per raggiungere questo scopo: la pace tra gli uomini. Avevano compreso la brutalità di quella guerra, che purtroppo era stata acclamata e accolta a braccia aperte in gran parte d’Europa, dove il nazionalismo di matrice naturalistica aveva attecchito profondamente, spesso unito a una sorta di bellicismo estetizzante. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto […]. Com’è bella, da monte a monte, la voce sonora e decisa dell’artiglieria! Come ricopre bene, coi suoi tonfi lunghi e larghi, i pistolotti degli avvocati, i razzi dei poeti e i boati delle folle incattivite! Il cannone non fa che un verso ma quel verso riempie per giornate intere
Grande Guerra a pace gli stupidi cicli agresti da troppo tempo stagnanti e rimane scritto sul campo di mira a lettere di sangue con svolazzi di fumo. Così scrive Papini, nel 1914, e si può solo immaginare quanti altri intellettuali abbiano così rappresentato quello che nient’altro fu se non un inutile massacro. Meinecke, storico prussiano, anch’egli salutò con entusiasmo la guerra in un primo momento, salvo poi, vivendola, comprendere. Comprendere quanto spietata fosse. Sarà proprio lui a scrivere, in esilio, nel 1943: Non avevo ancora compreso a fondo il demonismo della vecchia politica di potenza; […] vedo il mio vecchio ideale nazionale, statale e culturale, sfigurato e insudiciato dai fautori della politica di potenza. La ύβρις dell’idea di potenza continuerà a infuriare. Guerra è scendere in campo da uomo e uccidere uno, due, tre, cento altri uomini, e, una volta in guerra, morire è difficile, uccidere ancora di più e neppure la pace è facile, perché a stipularla non sono mai gli stessi uomini che in trincea pregano Dio che i topi non li mangino nel sonno. Dopo secoli e secoli l’uomo continua a compiere gli stessi errori, senza imparare nulla, né da chi ha parlato, né da chi ha scritto, né da chi è morto. Forse, allora, è vero: La ύβρις dell’idea di potenza continuerà a infuriare, per sempre. Francesca Gatto III IF
Il doloroso disincanto La prima guerra mondiale, primo punto culminante, secondo Giorgio Pavone, di una Guerra dei Trent’anni del XX secolo, durò dal 1914 al 1918. Tuttavia, come quasi ogni grande conflitto, il suo scoppio si deve ad una serie di sedimentazioni pericolosamente esplosive, risalenti a molti anni addietro: basti citare, ad esempio, la pace cartaginese imposta dalla Germania alla Francia al termine della terza guerra per l’unificazione tedesca (1870), le cui condizioni estremamente severe umiliarono la Francia e costituirono una vera e propria premessa al conflitto mondiale (così come il Trattato di Versailles del 1919 lo sarà per la seconda guerra mondiale). Naturalmente, gli occhi dei posteri riescono a cogliere solo gli abomini, la distruzione e le vittime che la guerra provocò, ma al tempo, per quanto paradossale possa sembrare, la guerra piacque, almeno all’inizio, e piacque perché l’Europa, proveniente da un periodo d’oro, quale fu quello della Belle époque, si sentiva una potenza superiore a tutte le altre, si era insuperbita fino all’arroganza, grazie anche agli umori nazionalistici ed imperialistici che la invadevano. Benché, dunque, già esistessero varie tensioni geopolitiche (la rivalità austro-russa, quella franco-tedesca, ecc.), che andavano a formare il contesto frammentato delle Intese e delle Alleanze, un tale atteggiamento temerario, sprezzante e forse addirittura incosciente, fu decisivo, e lo si può riscontrare anche e soprattutto in Italia, nella massa degli interventisti, in cui affluivano membri provenienti da ogni ceto e ogni orientamento politico: la borghesia censitaria, il proletariato socialista, i democratici (come Salvemini), gli irredentisti, i nazionalisti estremisti dell’ANI, i socialisti moderati, gli anarco-sindacalisti. L’opposizione neutralista era rappresentata dai socialisti di matrice turatiana, dai cattolici e dai giolittiani. La guerra, perciò, fu voluta da una ragguardevole parte della popolazione, e a nulla servirono la Lettera del parecchio di Giolitti, il quale riteneva l’Italia, nata soltanto da qualche decennio, troppo fragile per affrontare un tale conflitto, o la Nota di pace di Papa Benedetto XV, che bollava la guerra come un’inutile strage, tanto che venne addirittura censurata, poiché considerata una manifestazione di disfattismo e che, dunque, avrebbe potuto influire negativamente sul morale dei soldati. A tali scritti si contrapponeva il linguaggio provocatorio e polemico del nazionalista Papini il quale, allo scoppio della guerra, scriveva: Finalmente è arrivato il giorno dell’ira. […] Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno [la Chiesa] e di lacrime fraterne [i socialisti], inneggiando così alla guerra intesa come “sola igiene del mondo”. Animati dallo stesso entusiasmo furono anche Gabriele D’Annunzio, il quale in un’arringa al popolo di Roma affermava che “ogni eccesso della forza è lecito, se va a impedire che la Patria si perda”, e un ancora poco conosciuto Benito Mussolini, il quale, con atteggiamento anti-parlamentare, scriveva un articolo su ‘’Il Popolo d’Italia’’, definendo le manovre del Parlamento insignificanti, “alla maniera delle repubblichette sud-americane” e i deputati “pusillanimi, mercatori, ciarlatani proni ai voleri del Kaiser”. Non è difficile dunque rintracciare il fervore esaltato e febbricitante che portò, nel 1914, allo scoppio della guerra e alla successiva entrata dell’Italia nel conflitto (a favore, però, delle Potenze dell’Intesa). Ma l’entusiasmo non durò a lungo: già dal 1916 si faceva sentire la stanchezza di una guerra rapace e distruttiva e, nelle trincee, i soldati, delusi nella loro giovanile aspettativa della grande impresa, si confrontavano con il dolore, la paura, la sporcizia. Ma il colpo decisivo che ruppe l’incanto dell’illusione fu Caporetto (1917), quando i soldati arretrarono come in uno sciopero generalizzato (Lehner), e vennero svelate non solo le condizioni fisiche e materiali estremamente precarie, ma anche l’instabilità emotiva e psicologica dei combattenti italiani nell’affrontare il nemico. Benché Caporetto segnasse anche la decisione di sostenere la guerra da parte dei socialisti turatiani (lo slogan diventò aderire e non sabotare), e benché l’Italia uscisse vincitrice accanto a Francia ed Inghilterra, i soldati che tornarono a casa dopo la Guerra ne tornarono profondamente e radicalmente cambiati, scolpiti nell’animo e nella mente dagli orrori vissuti. Nemmeno la Pace di Parigi del 1919, che raccoglieva tutti i trattati che stabilivano le condizioni imposte ai vinti (gli Imperi Centrali) dai vincitori (le Potenze dell’Intesa), fu una pace senza preoccupazioni: le trattative obbligarono soprattutto Germania ed Austria a risarcimenti quasi impossibili, e molti territori acquisiti precedentemente (anche l’Alsazia e la Lorena, strappate alla Francia sempre nel 1870) vennero restituiti, e gli Stati stessi territorialmente mutilati e indeboliti. È evidente che queste trattative, per così dire, di pace, permettevano alla Francia e all’Inghilterra una sorta di risarcimento, per sanare i torti subìti prima e durante la guerra, ed avevano lo scopo implicito di umiliare terribilmente gli sconfitti, soprattutto la Germania, che se ne ricorderà bene: va segnalato, infatti, che Adolf Hitler, futuro cancelliere tedesco del Terzo Reich, guadagnò molto successo fra la popolazione presentandosi proprio come colui che avrebbe risollevato le sorti della Grande Germania, vendicando i torti subìti. Una vera pace, dunque, nonostante la vittoria e il trionfo di Inghilterra, Francia e Italia, non ci fu: né il turbamento di coloro che erano tornati a casa poteva essere così facilmente placato. I soldati sopravvissuti, meno della metà di coloro che erano andati al fronte, quelli che ebbero il coraggio e gli strumenti per raccontare (molti erano ancora analfabeti), diedero vita ad una serie di testimonianze che non conservano più nulla dell’ardore iniziale. Si ricordano ad esempio Ungaretti, poeta che raccontò in pochi e semplici versi gli orrori della guerra e la desolazione che essa aveva lasciato; Carlo Emilio Gadda, che lasciò il “Diario di Guerra di Prigionia’’, dove emerge il grande contrasto fra il sogno di gloria e una tremenda inazione; e Clemente Rebora, i cui versi sono intrisi dall’ossessione per i cadaveri, per le urla dei feriti, per il tremendo silenzio che aleggia nelle trincee. I soldati che tornarono avevano una consapevolezza nuova, sia della guerra che della pace: era il tentativo di fare ammenda a danni troppo grandi, che finivano con un tributo sacrificale enorme, quasi indicibile. Con un riferimento di matrice biblica a questo sacrificio, uno sconosciuto scolpì nella Galleria del Castelletto alle Tofane questi versi: Tutti avevano la faccia del Cristo / nella livida aureola dell’elmetto / Tutti portavano l’insegna del supplizio / nella croce della baionetta / E nelle tasche il pane dell’Ultima Cena / e nella gola il pianto dell’ultimo addio. Alexandra Colacci III IF
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De Coubertin addio! C o rru zi o n e,violenza,doping negano il diritto allo sport
La società contemporanea proietta e rimanda modelli comportamentali che influenzano negativamente la sport inteso nella sua gioiosa e spensierata pratica da parte dei giovani. Il raggiungimento del risultato non viene vissuto come miglioramento personale, frutto di un percorso di impegno e sacrificio, ma piuttosto come meta da conquistare tramite comode scorciatoie. Se non restituiamo il giusto valore ed i giusti valori allo sport, rischiamo di rovinare una parte importante del nostro vivere, condizionando pesantemente la crescita etica e civile dei nostri figli. Sempre più spesso i campi di gioco si trasformano in arene dove si sfogano tensioni e frustrazioni. Questi fenomeni non riguardano solo le ampie platee professionistiche nelle quali lo show business detta i tempi e le regole dello sport, relegando la prestazione ad elemento di contorno, ma purtroppo anche le categorie giovanili. Recentemente a Terni durante una partita di calcio tra bambini c’è stata una violenta rissa fra genitori. Tale vergognoso episodio offende la sensibilità di tutti coloro che, con profonda dedizione, lavorano per la promozione dello sport. Le singole Federazioni ed il Coni hanno introdotto progetti ambiziosi per far maturare una cultura del rispetto e della correttezza. Non basta! Ritengo prioritario invece, educare i genitori affinché loro stessi siano i primi ad imparare le elementari norme del Fair Play.
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Taluni di essi, esaltati dalla degenerazione dello sport professionistico, assurgono settimanalmente ad esempi negativi, rendendosi protagonisti di atteggiamenti scorretti ed intemperanti. Il riferimento è anche a quegli allenatori e dirigenti che caricano di aspettative e tensioni i giovani atleti, ricercando la sterile affermazione agonistica piuttosto che la formazione e la sana crescita del ragazzo. Rimuovere queste degenerazioni significa battersi per una società migliore. Rispettare l’avversario implica la tolleranza e la comprensione verso le ragioni degli altri. Rifiutare il doping comporta una consapevolezza preventiva verso l’uso delle droghe. Quando ci lasciamo andare a gesti inconsulti ed esagerati pensiamo a tutto questo, ricordando soprattutto gli occhi ed il cuore dei nostri figli. Lo sport necessita certamente di impiantistica e risultati, ma non può né deve prescindere dalla presenza di educatori e persone di buona volontà affinché primeggi l’idea cardine del lavoro di tanti volontari: far crescere in un ambiente sportivamente sano i ragazzi. Occorre una generale assunzione di responsabilità affinché le persone serie continuino a manifestare con il proprio impegno un modo diverso di interpretare lo sport, inteso come condivisione di valori, rispetto ed amicizia. La passione sportiva è un valore da preservare e mantenere, così come l’esempio che ciascun genitore, tecnico o dirigente deve dare ai Dott. Stefano Lupi giovani ! Delegato Coni di Terni
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A Z I EN DA O S P EDA LI ERA S. C. Chirurgia digest
Dott. Amilcare Parisi Responsabile Struttura Complessa di Chirurgia digestiva e Unità del fegato A z ie n d a O s p e d a lie r a “S. Mar ia” di Te r ni
La Struttura Complessa Chirurgia Digestiva e Unità del Fegato dell’Azienda Ospedaliera di Terni, diretta da Amilcare Parisi, si distingue per la grande attenzione da sempre posta alle tecniche laparoscopiche e robotiche in chirurgia oncologica dell’apparato gastro-intestinale e, più recentemente, in chirurgica bariatrica per la grande obesità per le quali dispone delle più avanzate tecnologie. Lo sviluppo della chirurgia mininvasiva, laparoscopica e più recentemente di quella robotica, ha permesso negli ultimi 20 anni di ridurre sensibilmente il trauma chirurgico del paziente, in particolare nel campo della chirurgia oncologica del distretto gastrointestinale, con tempi di ricovero ospedaliero ridotti, un più rapido ritorno alle attività quotidiane ed una minore morbilità postoperatoria per il paziente, garantendo gli stessi risultati, in termini di radicalità oncologica, rispetto alla chirurgia a cielo aperto. Oggi, dunque, la chirurgia non necessita di estese incisioni della parete addominale, cosa che condiziona anche la ripresa delle normali funzioni dell’apparato digerente e incrementa il tempo di recupero nel periodo postoperatorio. Tutta la procedura chirurgica avviene all’interno dell’ambiente anatomo-fisiologico dell’addome chiuso, in cui si penetra con gli strumenti necessari attraverso piccole incisioni della parete addominale e nella maggioranza dei casi è possibile dimettere il paziente mediamente in seconda o terza giornata postoperatoria. I principali vantaggi offerti dall’utilizzo della piattaforma robotica sono la visione magnificata tridimensionale per l’operatore, con totale assenza del tremore fisiologico, e la disponibilità di strumenti operatori dotati di movimento a 360 gradi. I principali campi di interesse dell’attività chirurgica in elezione riguardano il trattamento mininvasivo (laparoscopico-robotico), ma non solo, della patologia neoplastica dell’apparato digerente, con particolare riguardo alle neoplasie del colon e del retto, dello stomaco, del fegato, vie biliari e della colecisti, del pancreas in tutte le sue porzioni ma anche alle malattie della milza e del surrene di interesse chirurgico. Vengono abitualmente trattate anche tutte le patologie dismetabolico/infiammatorie dell’apparato digerente tra cui, in particolare, la patologia infiammatoria e litiasica della colecisti e della via biliare nonché le patologie funzionali del giunto esofagogastrico (tra cui ernia iatale e patologie funzionali esofagee quali l’acalasia) e infiammatorie del colon-retto (rettocolite ulcerosa, Morbo di Chron, malattia diverticolare). Vengono inoltre affrontate le neoplasie avanzate che interessano la superfice interna dell’addome e gli organi in essa contenuti, la cosiddetta carcinosi peritoneale. L’intervento consiste nella asportazione di tutte le lesioni metastatiche presenti e nel lavaggio ad alta temperatura delle zone colpite dalle metastasi con farmaci chemioterapici. Tutto ciò avviene nello stesso intervento chirurgico e permette una sopravvivenza del paziente altrimenti impossibile. La struttura si dedica anche alla cura di pazienti con sequele di interesse chirurgico della malattia cirrotica del fegato come i tumori primitivi epatici e le varici esofagee sanguinanti, trattate anche con apposizione di TIPS (endoprotesi transepatica portosistemica con approccio transgiugulare). Per il trattamento di alcune patologie neoplastiche benigne, tra cui la patologia erniaria della parete addominale, l’attività chirurgica viene eseguita in regime di Day Surgery o ambulatoriale. Le tecniche chirurgiche mininvasive (laparoscopiche e robotiche) vengono ampiamente utilizzate anche nella chirurgia bariatrica per pazienti affetti da obesità grave; un’attività che, nell’ambito di un centro multidisciplinare per lo studio e la terapia della Obesità (CMO), coinvolge 10 strutture complesse, dirette e coordinate dal dottor Giuseppe Fatati, che raccolgono, oltre alla componente chirurgica, numerosi specialisti che ruotano intorno al problema dell’obesità: il dietista, il nutrizionista, lo psicologo, lo pneumologo, il cardiologo, l’endoscopista, l’anestesista e il genetista. L’obesità è divenuto uno dei maggiori problemi di salute del secolo e la diffusione nei paesi industrializzati e in via di sviluppo sta crescendo rapidamente, con modalità di tipo epidemico. Nel mondo, riferiscono i dati
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ISTAT, ci sono attualmente 3 miliardi di persone in sovrappeso e 310 milioni di persone obese. In Italia ci sono 6 milioni e mezzo di pazienti obesi di cui 500.000 sono pronti per essere operati. Naturalmente per essere operati occorre rientrare in alcuni parametri, in particolare l’età, che va tra i 18 e i 60 anni, e l’indice di peso di massa corporea o BMI (Body Mass Index). I cosiddetti grandi obesi molto spesso si sottopongono a terapie mediche e terapie dietetiche: possono dimagrire, ma altrettanto spesso riacquistano peso aumentando alcune volte il loro BMI. L’unica terapia in grado di garantire una perdita del peso effettiva e prolungata nel tempo è la chirurgia bariatrica, per la quale viene utilizzata la chirurgia laparoscopica e robotica. I principali tipi di interventi chirurgici che vengono effettuati in chirurgia bariatrica sono restrittivi (che determinano una capacità ridotta di assumere cibo, riducendo la capacità dello stomaco), malassorbitivi (con particolari tecniche chirurgiche modificano la capacità di assorbimento degli alimenti, riducendo drasticamente le calorie assorbite e ottenendo una perdita di peso costante che si mantiene nel tempo) e di tipo misto (malassorbitivo-restrittivo). In particolare oggi la struttura complessa di Chirurgia Digestiva e Unità del Fegato esegue i seguenti interventi: - il bendaggio gastrico che consiste nel porre un anello intorno allo stomaco riducendone la capacità. Tale bendaggio è regolabile dall’esterno per cui possiamo aumentare o ridurre la capacità gastrica in relazione alle esigenze del paziente. - la sleeve gastrectomy che viene eseguita da noi, come
S A N TA M A R I A D I T E R N I iva e Unità del fegato
psicologica è fondamentale per comprendere i disturbi alimentari ed escludere da qualsiasi trattamento chirurgico pazienti che abbiano disturbi psichiatrici importanti, che siano dediti all’alcoolismo o che facciano uso di sostanze stupefacenti. Di qui la necessità di lavorare in équipe multidisciplinare, affinché l’attività del chirurgo sia integrata e sostenuta da una serie di specialisti che rivestono un ruolo determinante per il follow-up dei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica. Per il follow-up viene impiegato il “sistema Baros” che consiste in una valutazione eseguita prima dell’intervento e post-operatoria con controlli dopo 15 giorni e dopo un mese, poi ogni 3 mesi, 6 mesi ed ogni anno. Il sistema valuta il BMI, la perdita dell’eccesso di peso (EWL), la riduzione delle comorbilità (ad esempio se il paziente era diabetico non ha più bisogno di fare insulina oppure se ha ridotto il dosaggio). Da un punto di vista psicologico valuta l’autostima, il reinserimento nelle attività lavorative e sociali, l’attività sessuale e il gradimento del paziente per quanto concerne il cambiamento di vita attuato dopo l’intervento. Negli ultimi due anni, gli ottimi risultati chirurgici ottenuti, anche tramite il consolidamento della pratica della chirurgia robotica, hanno portato il dottor Parisi e la sua équipe all’attenzione dello scenario internazionale, con importanti contributi scientifici presentati al Congresso Mondiale di Chirurgia Robotica tenutosi a Washington DC negli Stati Uniti) e al Congresso Internazionale di Chirurgia Laparoscopica “Palazzini” a Roma, che ha visto collegate le sale operatorie di 22 istituzioni da tutto il mondo in diretta live streaming.
Équipe Direttore A. Parisi
Medici R. Pasquale, M. Mezzacapo, E. Giovannelli, M. Massoli, F. Farinacci, F. Ricci, S. Mazzetti, V. Scalercio, L. Guerci, R. Cirocchi
Medici in formazione specialistica S. Trastulli, A. Cacurri, J. Desiderio, E. Pressi (Borsista)
Capo Sala R. Cresta
Infermieri intervento di prima scelta. In questo intervento si riduce lo stomaco sulla guida di una sonda che viene inserita dalla bocca e asportando, con particolari suturatrici, una manica di stomaco (circa 2/3 terzi) si riduce la capacità gastrica a circa 50 cc; - degli interventi malassorbitivi eseguiamo il bypass gastrico che consiste nel bypassare lo stomaco diminuendo il riassorbimento di alcune sostanze (zuccheri e grassi). Tutti gli interventi sono effettuati, tranne in casi particolari, in chirurgia laparoscopica e robotica.
G. Currao, S. Pettinacci, T. Ciavarroni, D. Arcangeli, M. C. Lamberti, M. Tempobuono, E. Valentini, U. Garganese, D. Perotti, T. Bianchini, S. Bruni, C. Manella, A. Rotelli, M. Virili, T. Battistoni, M. Cucco, F. Nicolini, A. Pagani, M. Armeni, A. Trombetti, M. Arcangeli, S. Chieruzzi, M. Martellucci, A. Salvi, S. Giuliani, G. Palombi, R. Di Geraci, F. Andreani, E. Castellani, L. Benedetti, D. Cacciamani A. Marchegiani
Questa chirurgia garantisce grandi benefici ai pazienti, in termini di salute e qualità della vita, e anche alla sanità pubblica, considerato che i pazienti obesi hanno un costo sociale elevatissimo. Non c’è infatti solo il problema del sovrappeso, perché l’obesità è sempre associata ad altre comorbilità che sono: il diabete, l’ipertensione, l’iperlipidemia, i problemi respiratori e le artropatie. Secondo una recente ricerca dell’Università Sant’Anna di Pisa, il costo annuo stimato dell’obesità risulterebbe essere di 8,3 miliardi di euro, pari a circa il 6,7% della spesa sanitaria pubblica. Ipotizzando una vita media attesa della persona obesa di 75 anni, il costo sociale totale di un diciottenne obeso rispetto ad un coetaneo normopeso è stimabile in circa 100.000 euro aggiuntivi. Operarli significa non solo farli tornare a un peso normale, ma ridurre o eliminare tutte le patologie associate all’obesità. Nello studio e nella terapia di questa malattia, la parte psicologica riveste un ruolo determinante. La valutazione
Fotoservizio di Alberto Mirimao
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Mi spiace: non c’è budget! Sono giorni che in Rete impazza la campagna “#coglioneNO” che, giocando sulla scurrilità del titolo e sulla delicatezza del tema affrontato ha scatenato reazioni suscitando qualsiasi tipo di commento e riflessione possibile e immaginabile. Per chi non avesse visto i tre video a cui sto facendo riferimento, specifico di cosa io stia parlando: un gruppo di creativi ha realizzato tre video di tre minuti/tre minuti e mezzo in cui, paradossalmente, al momento di riscuotere il proprio compenso, un antennista, un giardiniere e un idraulico, si sentono rispondere: “Mi spiace: per questo progetto non c’è budget... pensavo di essere stato chiaro! Ma sei giovane: ti sei fatto una esperienza che puoi mettere nel curriculum!” e altre ovvietà sui generis che molte persone sperimentano quotidianamente sulla propria pelle. A parte l’idea ingegnosa, semplice e molto di effetto che questi ragazzi hanno avuto il coraggio di rendere realtà c’è da dire che in effetti il momento, già non dei più rosei in generale, non è proprio il momento ideale per chi si ritrova a fare il mestiere del “creativo”. Già che questo tipo di professionalità è sempre stata vista un po’ come il mago che tira fuori dal cilindro il coniglio; un po’ che quando si nomina la figura del “creativo” ci si aspetta sempre un po’ “ricchi premi e cotillons”; aggiungiamoci anche un pizzico di quell’estro che caratterizza chi si occupa di questo genere di lavori... e ci ritroviamo con il pacchetto dell’idea preconfezionata di chi il lavoro se l’è bello che inventato, costruito a tavolino e non si suda il pane come chi si spezza la schiena o passa le ore in ufficio a “lavorare sul serio”. In primis mi sento parecchio chiamata in causa, pur non avendo ambizioni da “creativa”: sogno di lavorare un campo che non è propriamente il mondo della finanza, la medicina sperimentale o l’agricoltura e mi sono trovata spesso a difendere la professione dei miei sogni da detrattori vari ed eventuali. Mi sono ritrovata più volte a sentirmi rispondere che mi sarei dovuta accontentare di un budget minimo o inesistente (volontariato allo stato puro, in sintesi) per
svolgere delle attività che, in altri contesti, sarebbero stati retribuiti, in un modo o nell’altro. Mi sono sentita dire più e più volte: “Eh, ma sai questo quanto peserà sul tuo curriculum? Mica bruscolini!” e sono stata estremamente fortunata a potermi permettere di vivere queste esperienze grazie alla presenza dei miei che mi hanno sempre parato le spalle e lo stanno continuando a fare dandomi l’opportunità di vivere dei miei sogni, rendendoli reali e sperando di poter ripagare i loro sacrifici tra qualche anno. Guardando questi video però, dopo essermi messa a ridere, mi sono indignata profondamente al pensiero che moltissimi giovani dotati di talento e di capacità che in altri angoli del mondo sarebbero valorizzati, apprezzati e giustamente ripagati, qui da noi si sentono rispondere che se vogliono lavorare e fare esperienza devono essenzialmente lavorare gratis. Che vergogna! Non trovo altre parole se non queste e mi rattristo infinitamente al pensiero di tutti quei progetti di vita che si ritrovano a cambiare strada, se non a cambiare proprio Paese per cercare di essere applicati alla realtà, cercando di ottenere quei risultati che si dovrebbe poter trovare anche nel proprio Paese d’origine, specie se questo Paese fa parte dei cosiddetti Paesi sviluppati. E allora non ci resta che metterci anima e corpo a voler migliorare questo Paese per renderlo quello che sogniamo, nonostante chi lo rende così disperato; nonostante tutti coloro che dovrebbero fare qualcosa per salvarlo, ma che invece lo tirano a fondo; nonostante chi continua a ripeterci che è inutile sognare e che tanto quel benedetto budget per il nostro progetto non ci sarà mai. Non credeteci, non stateli nemmeno a sentire, per carità: non fateci togliere anche la speranza e la voglia di sognare. Come dice Ligabue in una delle sue canzoni più belle dell’ultimo album: “Sono sempre i sogni a dare forma al mondo: sono sempre i sogni a fare la realtà! Sono sempre i sogni a dare forma al mondo e sogna chi ti dice che non è così, e sogna chi non crede che sia tutto qui! Io non lo so se è già tutto scritto, come è stato scritto; io non lo so che cosa viene dopo. Io non lo so: se ti tieni stretto ogni tuo diritto, so che ogni attimo è diverso, so che nessuno è come te!”. Chiara Colasanti
La scuola, questa sconosciuta Non pensavo potesse essere interessante un articolo sulla scuola e molto probabilmente non lo sarà, d’altronde non è un’esperienza raccontata da un sociologo o un antropologo o qualcuno che potrebbe aver voce in capitolo su questa tematica, ma semplicemente dal punto di vista di uno studente che vive nella sua vita di tutti i giorni una realtà complessa e ancora oggi difficile da spiegare. La Scuola serve per imparare e forse mai frase fu più veritiera, ma cosa si impara realmente tra i banchi? Semplice: a vivere. Ebbene sì, nel luogo di studio per eccellenza non esiste solo lo studio ma c’è spazio anche per imparare a essere se stessi. L’impatto che la Scuola ha su di noi e sulle nostre vite è rilevante per il semplice fatto che tende a formare l’individuo nel corpo, nello spirito e nella mente. Si entra per la prima volta quando si vive l’infanzia e si esce quando siamo oramai avviati sulla strada del mondo del lavoro. La scuola è come un terzo genitore: vede i propri figli crescere, imparare, vincere e perdere le loro cause, soffrire e superare le difficoltà passo dopo passo. Ognuno ha un suo parere: per qualcuno è sostanzialmente un’enorme fatica così grande da riuscire a suscitare dell’odio, per altri invece è
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una palestra dove si impara a conoscersi e a migliorarsi (per quanto ovviamente sia possibile nelle rispettive possibilità), per altri ancora è una delle risorse più importanti del nostro paese ma come molti altri valori viene abbandonata un po’ a se stessa e diviene purtroppo un ostacolo e non un tramite per il successo del singolo studente e del gruppo in generale. Potrebbe sembrare paradossale ma la Scuola rispecchia quasi del tutto e con una certa fedeltà il periodo storico che vive la società di ogni paese. Prendiamo per esempio l’Italia: in un periodo di grave crisi economica e di ideali, anche la struttura scolastica arranca. Spesso e volentieri mancano i fondi economici e l’inventiva per l’utilizzo di questi ultimi. Alle volte si presenta una notevole confusione nei punti fermi e negli obiettivi che la Scuola pone, seguendo per certi aspetti con una curiosa fedeltà nella situazione politica attuale. Cos’è quindi la Scuola? In realtà non è possibile definire con estrema precisione il concetto di Scuola perché è un meccanismo così ingegnoso da risultare complicato anche a chi ci lavora; si può semplicemente pensare come “la prima grande prova che ci viene sottoposta di molte altre che ci accompagneranno per tutta la vita”. Giovanni Pirozzoli
Fisioterapia e Riabilitazione
NUOVA SEDE Zona Fiori, 1 05100 Terni – Tel. 0744 421523 0744 401882 D i r. S a n . D r. M i c h e l e A . M a r t e l l a - A u t . R e g . U m b r i a D D 7 3 4 8 d e l 1 2 / 1 0 / 2 0 11
La riabilitazione in acqua è una metodica sicuramente molto utile per garantire un moderno e valido recupero funzionale sia in campo neurologico che ortopedico
Uniche infatti sono le possibilità offerte dallo “strumento acqua”, che agisce contro la forza di gravità (principio di
Archimede), e consente al corpo di muoversi in assenza di peso: questo determina una maggiore facilità a muoversi quando per esiti traumatici, per deficit neurologici o dopo chirurgia ortopedica sarebbe impossibile o dannoso caricare il peso reale sui propri arti. Il risultato è una diminuzione dello stress e del carico sull’apparato muscolo scheletrico che facilita l’esecuzione di movimenti in assenza di dolore. La resistenza offerta dall’acqua è graduale, non traumatica, distribuita su tutta la superficie sottoposta a movimento, proporzionale alla velocità di spinta e quindi rapportata alle capacità individuali di ogni persona. L’effetto pressorio dell’acqua, che aumenta con la profondità, esercita un benefico effetto compressivo centripeto sul sistema vascolare, normalizzando la funzione circolatoria e riducendo eventuali edemi distali. Tale effetto è ampliato nel Percorso Vascolare Kneipp dove si alterna ciclicamente il cammino in acqua calda e fredda.
Con la riabilitazione in acqua è possibile non solo ristabilire le migliori funzionalità articolari e muscolari dopo un incidente, ma anche eseguire delle forme di esercizio specifiche per prevenire la malattia o per curare sintomatologie croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti in forte sovrappeso con difficoltà di movimento legate ad obesità, ad artriti, a recenti fratture o distorsioni. Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e dei movimenti articolari dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, se anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento. La riabilitazione in acqua è particolarmente indicata in: - esiti di fratture - distorsioni, lussazioni - patologie alla cuffia dei rotatori della spalla - artrosi dell’anca e delle ginocchia - tonificazione muscolare in preparazione all’intervento chirurgico - mal di schiena (lombalgia, sciatalgia, ernia ecc.) - para paresi spastiche - esiti di interventi neurochirurgici - esiti di ictus - esiti di lesione midollare - disturbi della circolazione venosa
Inoltre la temperatura dell’acqua, più elevata (32° - 33°) rispetto alle vasche non terapeutiche, permette la riduzione dello spasmo muscolare e induce al rilassamento. Per questo il paziente si muove meglio e la muscolatura appare più elastica. La riabilitazione in acqua è utile e proponibile a tutti, dai bambini agli anziani; per potervi accedere non occorre essere esperti nuotatori è sufficiente un minimo di acquaticità.
Terni Zona Fiori, 1 Tel. 0744 421523 401882
- Riabilitazione in acqua - Rieducazione ortopedica - Riabilitazione neurologica - Rieducazione Posturale Globale - Onde d’urto focalizzate ecoguidate - Pompa diamagnetica - Tecarterapia
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L’Africa, prima che un Continente, è uno stato d’animo, dove convivono colori, profumi, emozioni. Persone e luoghi mai scontati, situazioni inattese, misteri e magie. Riuscire a trasmettere queste sensazioni è l’aspirazione di chiunque ne scriva, ma anche esercizio egoistico di non perderne la memoria. L’Autore ha vissuto dieci anni in Guinea Equatoriale. Ha avuto il tempo di condividere con i locali una fase delicata della crescita della piccola repubblica, della quale è diventato Console Onorario nel 1992. Da questa esperienza è nato il romanzo Okiri, pubblicato nel 2007 e prende spunto la raccolta di racconti Magica Africa, storie brevi ambientate in luoghi preclusi al turismo di massa e impenetrabili agli occhi di visitatori occasionali.
Il mamba nero Oggi è domenica. Tutto tarda a svegliarsi. C’è nell’aria un odore di festa. Arriva dopo gli affanni lavorativi in foresta, le cui immagini continuano a scorrermi per inerzia in pensieri affollati. Una sosta serve a riordinare le idee e ritemprare le forze. Voglio godermela. Sto seduto sulla butaca preferita e guardo, fra le punte dei piedi appoggiati sulla balaustra della veranda, la ripresa lenta del giorno. Oltre la rete che delimita il solar, vedo passare gli stessi uomini e le stesse donne di sempre, assolutamente indifferenti al giorno di relax. Oggi, non ho voglia neppure di pensare. Tutto il personale è a casa, cuoco compreso. Qualcosa mangerò. Non so cosa, ma troverò in frigo qualche avanzo. C’è solo Salimu a guardia del patio. Gira senza sosta fra la falegnameria, il deposito e la rete di cinta. I furti sono aumentati. A tutti piace vivere bene, magari senza troppi sforzi. Osservo gli enormi pipistrelli pendere dai rami della palma. Si agitano ancora, sono rientrati da poco. Per tutta la notte mi hanno martellato la testa con il suono metallico delle ali. Fa già un caldo infernale, mi tolgo il cappello e smuovo un po’ d’aria alla ricerca disperata d’un minimo sollievo. È tutto inutile. Il senso di soffocamento aumenta quando tento di alleviarne i fastidi agitando le braccia. Il disco infuocato del sole s’è appena sollevato sulla linea dell’orizzonte e i raggi filtrano attraverso il fogliame dei ceiba, colpendomi ogni tanto come frecce appuntite. Spingo la testa all’indietro per appoggiare la nuca alla spalliera e socchiudere un po’ gli occhi dietro le lenti scure dei Ray-Ban. È a quel punto che vedo scendere lentamente un mamba nero lungo il tronco di un mango, a lato del cancello principale. È lungo due metri circa e ha un corpo spesso quanto un braccio. Scivola silenzioso, lento, schivando il fogliame folto. Di sicuro ha già individuato la sua preda. Non c’è peggiore incontro che si possa fare nell’Africa sub sahariana. Qui lo chiamano siete pasos, tanti ne consente dopo un morso; il suo veleno coagula immediatamente il sangue e blocca il cuore. È il solo serpente a non temere l’uomo; al contrario lo attacca volutamente, come se fra i due perduri un’atavica partita mai conclusa. Per fortuna la sua presenza è rara in città; nel contesto urbano riesce sempre a uccidere. La gente ne conosce bene le abitudini ed è terrorizzata solo alla vista. La fuga non è una soluzione; è capace di muoversi alla velocità di un cavallo al galoppo. Eccolo avanzare nell’assenza totale di fruscii, s’allunga sopra un pacchetto di tavole, poi ne discende sfiorando ogni cosa al passaggio. Alza ogni tanto la testa e non sembra distrarsi dall’obiettivo prescelto. È a circa venti metri da me e alla stessa distanza da Salimu che mi sta di fronte e verso cui si rivolge minacciosamente, dandomi il dorso. Il guardiano non s’avvede del pericolo e io non voglio gridare per non innervosire l’animale. Potrebbe decidere di avventarsi su di lui senza indugi e metter fine alla sua esistenza in un attimo. Ora è a circa dieci metri da Salimu che sta tagliando, machete in
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mano, i ciuffi d’erba alla base della rete di recinzione. Sinuoso e calcolatore, rallenta i movimenti, attento a non fare rumore, pronto a sorprendere la vittima con uno scatto. Non so che fare. Gridare o fuggire… mi avvicino, prendo un bastone, più per difendermi da un suo attacco che per salvare Salimu. Ho il cuore in gola, ne seguo le mosse senza perderlo di vista. Ora, ha la testa sollevata di circa mezzo metro da terra, osservo i riflessi del sole sulla pelle chiara e lucida dell’animale. Mi trovo a cinque metri dal serpente e Salimu non s’è accorto ancora di niente. Un passante vede la scena e senza troppi riguardi s’avvicina alla rete e manda un grido strozzato: Señor, la serpiente… una mamba negra. Salimu si gira e il terrore gli si stampa in viso. Il serpente gli è di fronte, immobile e determinato. S’è sollevato ancora dal terreno. Non riesco a respirare, né a battere ciglio. La sola vista mi sconvolge. La bestiaccia tiene gli occhi fissi su Salimu, sembra gli stia trasmettendo la condanna a morte. Il disgraziato mi getta uno sguardo implorante, poi allunga davanti a sé il machete. Ma, si rende subito conto che non è la posizione giusta per respingere un attacco. Dovrebbe allontanare il machete da quel punto, allargare il braccio sulla destra, accorciando così il tragitto della lama sull’animale. Ecco, fa proprio così, dimostrando di conservare la lucidità necessaria. Capisce che non gli potrò essere utile. I mamba non si distraggono facilmente. All’improvviso, richiamato dalla voce del passante, arriva abbaiando Chico, il cane a guardia del solar. S’avventa sulla rete metallica contro l’uomo e solo qualche istante dopo s’avvede del mamba. Chico digrigna i denti e si sposta verso la coda della bestia che ha preso ad agitarla per non offrire un facile bersaglio al cane. Il rettile tiene, comunque, la testa ferma, puntata su Salimu. Dalla bocca chiusa esce ripetutamente la lingua a saggiare l’aria e assaporare il terrore che ha sparso. Si solleva ancora di più, s’inarca e si sposta all’indietro, come a prendere la rincorsa per la stoccata mortale. È a quel punto che Chico riesce ad affondare i suoi denti nel corpo del serpente. La reazione del mamba è fulminea: gira la testa verso il cane e con le fauci spalancate afferra con precisione chirurgica il muso di Chico. Neppure un verso… solo uno sguardo rassegnato verso di me. Mi sento addosso tutto il peso del suo sacrificio. Tutto dura un pugno di secondi. In quel frattempo, Salimu riesce a sferrargli un colpo micidiale di machete a trenta centimetri dalla testa. Come un tubo per l’irrigazione abbandonato alla pressione dell’acqua, il mamba fende l’aria spargendo sangue dappertutto e imbrattando Salimu da cima a fondo, tanto da sembrare uscito da un mattatoio. Il miracolato lascia cadere il machete e si piega sulle ginocchia. Dal viso grondante di apre un sorriso. Un sorriso isterico, ma pur sempre un sorriso. Franco Lelli
Dr. Aldo Tracchegiani Nato a Narni e laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Perugia. Specializzato con lode in Angiologia medica presso l’Università degli Studi di Catania. Ha frequentato come interno i reparti di Dermatologia, Chirurgia Vascolare, Angiologia, Medicina Interna, negli ospedali di Terni, Spoleto e Perugia. Svolge attività libero professionale dal 1986 nel settore della Flebologia, Dietologia e della Medicina Estetica. Coautore del libro Il Flebolinfedema e autore di numerose pubblicazioni. Ha partecipato in qualità di relatore a numerosi congressi Nazionali e Internazionali. È stato docente in Flebologia e Scleroterapia presso la scuola della Nuova Medicina di Bologna, e in numerosi master post universitari. È Direttore Sanitario di numerosi Poliambulatori e Centri Specializzati nei Trattamenti di Medicina Estetica, Flebologia e Dietologia.
Durante le feste natalizie, specialmente nella nostra regione, è quasi giocoforza mettere su qualche chiletto, ma dopo un tempo breve per riordinare le idee, chi vuole essere in forma per la stagione estiva, deve cominciare a programmare una terapia d’urto. Questo perché, anche se molto importanti per un buon protocollo terapeutico, l’attività fisica e l’attenzione all’alimentazione non sono sufficienti; diventa necessario affidarsi ad un team di specialisti del settore: “i Professionisti della Medicina Estetica”. Nei nostri centri la prima visita è affidata al medico specialista che valuta con l’ecocolordoppler lo stato di salute della circolazione delle gambe e con l’ecografia la misurazione dello spessore del pannicolo adiposo nelle varie liposedi addome, zona peritrocanterica, fianchi, ginocchio e caviglie. Dopo questa prima visita lo specialista ha tutti i dati necessari per impostare una efficace terapia. Diciamo subito che se il paziente collabora i risultati sono veramente eccellenti, i protocolli sulla cellulite sono oggi veramente efficaci e noi cerchiamo di abbinare alla mesoterapia e all’ossigenoozonoterapia anche terapie drenanti che eseguono i collaboratori del team fisioterapico. La nostra filosofia è quella di dare il massimo risultato nel minor tempo possibile e con il minimo della spesa da parte del paziente e questo in un momento di crisi come quello in cui viviamo è molto apprezzato. Le terapie mediche durano pochi minuti ed il paziente può tornare al lavoro senza precauzioni particolari. Oltre il sovrappeso e la cellulite altro settore “core business” dei nostri centri è il trattamento della insufficienza venosa agli arti inferiori con specializzazione particolare nel trattamento delle varici e dei capillari. Come si può vedere nei prima e dopo terapia inseriti nell’articolo i risultati sono eccellenti e la tecnica gold standard rimane sempre la scleroterapia. Un capitolo a parte sono i fili di biostimolazione da poco entrati nella pratica clinica ma già diventati un pilastro importante e a lato si può intravvedere un ottimo risultato ottenuto nel trattamento del rilassamento delle braccia. Per maggiori informazioni consigliamo ai lettori di consultare il nostro sito www.tracchegiani.it o di scrivere ad aldotrac@tiscali.it. Telefonando ai nostri numeri è possibile poi ricevere informazioni dalle nostre assistenti che provvederanno a chiarire ogni dubbio.
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I due coniugi sembrarono non farsene un cruccio; si spostarono verso sinistra, in modo tale che il sole li ferisse di fronte e facesse di loro due ombre nere e allungate Fronte larga, barba incolta, una goccia di sudore salato rendeva per un istante di nuovo giovane quel volto affaticato e ne distendeva le rughe, la manica della veste bianca la asciuga. Due occhi mostrano il loro stupore e meraviglia di fronte a ciò che riconoscono come proprio: il verde smeraldo del crepuscolo faceva contrasto col loro colore azzurro cielo, una locomotiva sbuffante corre su di un binario che non c’è con meta Gipango, a qualche centinaia di metri di distanza da una torre rossa… E un tavolato. Sarebbero bastati altri tre colpi di remi per approdare a quella baia meravigliosa. L’anima di quel vecchio non aveva mai visto nulla di più metafisico… - …Così non va… Ci vuole più sentimento e meno umanità… Andromaca, afferra il braccio di tuo marito e amalo come mai hai amato! - Tο όνομά μου είναι Αριστοκλής! - Un po’ più verso il sole, Ettore! - Aλλά ο ήλιος μη λάμπει! I due coniugi sembrarono non farsene un cruccio; si spostarono verso sinistra, in modo tale che il sole li ferisse di fronte e facesse di loro due ombre nere e allungate. - È per loro che il sole deve brillare, per le loro ombre; se voi non siete in grado di vederlo, non me ne stupisco. È infatti del loro sole che sto parlando, che, a quanto vedo, è proprio lì, alla loro sinistra, non certo di quella palla di fuoco color vermiglio che è appena sparita dietro l’orizzonte e che decide di far capolino o lasciarci al freddo quando più le fa comodo. - Credo sia stato un lapsus da parte vostra, niente di grave spero. Alludevate all’Idea di sole che è nell’Iperuranio, vi sarete espresso erroneamente… - Oh, mi sono espresso benissimo invece! Piuttosto voi, mi direste di grazia con chi ho l’onore di disquisire? - Aristocle di Atene, se vi piace. Grande filosofo del mio tempo, grandissimo direi, se non filosofo di svolta, oserei definirmi. È grazie a me, sapete, che si parla di metafisica! È mio dovere spiegarvi che con la mia seconda navig… - Fermatevi, vi prego! Di metafisica parlate… Guardatevi intorno: il mare, la locomotiva, la torre, il crepuscolo, le ombre, i due manichini… Non vi sembra questo un perfetto mondo metafisico? Il pittore aveva posato i pennelli e si dirigeva verso quella locomotiva che, immobile, correva impazzita, ansiosa di raggiungere quella meta impossibile. - Fermatevi, per Zeus padre, fermatevi! Non crederete certo che la nostra discussione sia terminata! - Cos’altro dovrei dirvi? - Oh, voi nulla di certo, avete già detto abbastanza da farmi intendere che sarò io qui a dovervi dire ben più di due paroline… Come prima cosa: per quale motivo riproducete modelli umani come manichini? - E voi sareste il “filosofo di svolta” grazie al quale si parla di metafisica? Eppure è in questi manichini che si riconosce quel tipo di amore che prende il nome proprio da voi: è questo l’amore platonico, questo l’amore metafisico, quello vero, l’amore in grado di esistere senza una qualsiasi forma di corporeità, un sentimento insito nell’anima di ognuno, che, proprio perché comune, lega due individui, seppur inconsciamente, a volte, indissolubilmente. Vedete Ettore e Andromaca? Per rappresentare il loro sentimento, non è necessario rappresentare anche i loro corpi, che ne risulterebbero soltanto una pellicola che rischierebbe di renderlo opaco. - Cosa dunque voi definite metafisica? - Nulla. E tutto. La torre è metafisica, il cielo, la locomotiva è metafisica, perfino il tavolato lo è. - Sì, sì, ma… I manichini allora? La torre, il cielo, la locomotiva, il tavolato, sono tutto elementi “al di fuori”, i manichini cosa rappresentano? E perché Ettore e Andromaca non li avete considerati? - Nulla di più metafisico, ecco cosa rappresentano i due manichini. E per Ettore e Andromaca, beh… Semplice: loro sono la realtà, quella visibile a chiunque, a cui va tolto il contenitore, quella pellicola opaca a cui alludevo prima; a quel punto non emergerà nient’altro che i sentimenti, le emozioni, le passioni che rendono vive due persone, depurati da ogni minimo accenno di sensualità o materialità; provate ad osservare il mio quadro senza aver prima guardato i modelli reali: riuscite a capire chi dei due manichini è Andromaca e quale Ettore? - Alla vostra sinistra c’è Ettore e a destra Andromaca? - Esatto, e da cosa lo deducete? - Non so, c’è qualcosa nel volto di lei, un quid di diverso che in lui non c’è: il suo volto sereno e terribilmente angosciato per la partenza dell’amato che è consapevole non rivedrà mai più, quella minuscola decorazione densa tuttavia di significato all’altezza dell’attaccatura del “naso”, la stessa posizione della testa, l’intero atteggiamento del
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corpo, il colore delle “vesti”… E Ettore, Ettore sta chiaramente stringendo a sé Andromaca, e sta tentando di consolarla, si vede dal suo volto reclinato su quello di lei! - Più chiaro di così? Voi sostenete l’esistenza di un mondo soprasensibile, caratterizzato dalla presenza di essenze, come le definite, di paradigmi, modelli, esseri veri, Idee di ciò che c’è qui: per ogni essere c’è un’Idea, un’essenza, l’archetipo perfetto. Quando mi hanno spiegato la vostra filosofia alle scuole superiori mi è stato portato un semplice esempio: un cavallo; ecco, il cavallo è la “brutta copia” dell’Idea di cavallo che si trova nell’Iperuranio, e che rappresenta sì l’animale, ma nella sua forma perfetta; è qualcosa di intangibile, di soprasensibile, di metafisico, ma c’è. Mi sbaglio? - No di certo, avete illustrato nel modo più calzante possibile quella che è la mia teoria per quanto concerne la metafisica, ma la vostra? Qual è il vostro scopo nel farmi descrivere le fattezze umane dei due manichini? - Dimostrare che la vostra e la mia “teoria” riguardante la metafisica, se così la si può chiamare, perché non è assolutamente di teoria che si parla, non sono poi così agli antipodi come potreste credere. - Ora correggete anche i termini che utilizzo? - Se hanno a che vedere con lo scopo che desidero raggiungere, perché no, oserò essere così sfrontato. Proviamo entrambi a capire qual è il vero punto contrastante tra le nostre due “teorie” (un passo alla volta): mentre remavate per approdare al tavolato, cosa avete pensato nel guardarvi attorno? - ‘La mia anima non aveva mai visto nulla di più metafisico’, mi sembra abbia scritto il narratore. - Benissimo (chiunque sia ci ha dato un enorme aiuto); dunque, in base a quello che ho detto poc’anzi e con cui voi avete prontamente concordato, la torre, la locomotiva e tutto il resto, escludendo Andromaca ed Ettore, è metafisica, giusto? - Nient’affatto: come pensavo, voi non siete in grado di vedere cosa sia veramente μετα΄ τα` φυσικα΄, oltre la natura: la mia anima non aveva mai visto nulla di più metafisico perché era un cielo smeraldo che aveva visto, una torre rossa, una locomotiva che corre su un binario che non esiste, non un crepuscolo, una torre ed una locomotiva, come avete detto in precedenza. Io solo posso vedere la realtà soprasensibile, io solo so riconoscerla, perché io solo l’ho conosciuta. - Ma l’avete vista intorno a voi, nel mondo reale! Mi sembra piuttosto che vi stiate contraddicendo! Voi sostenete l’esistenza di una realtà metafisica in un mondo iperuranico, o sbaglio? - Ma allora i manichini? Quelli sono nel vostro dipinto! Non vorrete dirmi che la metafisica sia presente nell’arte, che non fa altro che ingannare riproducendo falsamente la realtà, che di per sé è già tutt’altro che perfetta! - È esattamente ciò che ho in mente di fare: l’avete ammessa voi stesso, e la avete anche dimostrata, la possibilità di cogliere la vera essenza, l’Idea di uomo, di donna, dei loro ruoli e perfino dei loro sentimenti! Senza che vi chiedessi se nei manichini riconosceste due esseri umani, affermato e descritto con dovizia di particolari prima l’uno e l’altro sesso, motivando esaustivamente la vostra risposta e indovinando addirittura ciò che essi provano l’uno per l’altra, senza sbagliare un colpo! - Sì, ma…!!! - Sono spiacente, grande Platone, vi ho persuaso con l’arte che voi più odiate, e, con ogni artificio possibile di essa più degno, come lo stesso Ettore fece con Patroclo, dopo che questi con più colpi era già stato ferito, sferrerò contro di voi l’ultimo: se la preposizione μετα΄ ha il significato di oltre, non sarebbe possibile tradurla anche con “superiore”? Ora, incastriamo quelle componenti che, tra i nostri due puzzles, differiscono: per voi il soprasensibile è al di fuori -o almeno lo era- del mondo sensibile, e tutte le sue componenti, le Idee, sono di importanza assai superiore a quelle che invece costituiscono tutto ciò che è tangibile. Per come la penso, e, soprattutto, per come la vedo io, soprasensibile significa sì superiore, ma solo per importanza, perché la metafisica è di chiunque. Non occorre nient’altro che rimuovere la già svariate volte nominata patina opaca che la cela allo sguardo più superficiale: sono sufficienti due manichini per rappresentare e descrivere i sentimenti più umani e nobilitanti dell’animo, privandoli, o meglio, depurandoli da un pericoloso eccesso di umanità. E poi, osservate con maggiore attenzione il mio quadro: la torre È rossa, il cielo È smeraldo e la locomotiva corre su un binario che NON C’È, traete voi le conclusioni. - Se ho sempre detestato la retorica una motivazione c’era… Lo ammetto, mi avete battuto signor… - Giorgio de Chirico, se vi piace! Martina Salvati
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A caccia coi Capi O gni riferim ento a pe rsone e a fatti re alme nte ac c aduti è p u r a m e n te c a s u a le
Rompietti scese dal costone e si avviò per partecipare alla gioia del Capo mentre, insieme al suo cane, cercava di ritrovare la preda abbattuta. “Dott. Rompietti non era questo il punto di caduta? …Io non vedo niente però ... chiami anche Sippa … vediamo … non può essere che da queste parti ... Ecco, ecco … guardi ... Qui c’è l’erba sporca di sangue … Guardi … e le penne … guardi … dove è caduto … Kriss … Trovalo … può essere ferito … è sicuramente qui intorno … Bisogna stare attenti … eppure l’ho centrato … non è vero?… l’ha visto pure lei! …le cartucce … queste sono le cartucce che non vanno … Maledette … maledette … mi dia qualcuna delle sue … anzi facciamo il cambio … tanto siamo in riserva e di fagiani ce ne sono molti … possiamo permetterci il lusso di fallirne qualcuno … per provare queste maledette cartucce …accidenti!”. E il giovane dipendente annuiva confermando tutte le tesi e le ipotesi per risalire un po’ nella considerazione del Capo, visto la china in cui era caduto. “Ha fatto bei tiri e anche difficili”, diceva per rabbonirlo perché il fagiano aveva preso velocità. “E qui si vede chiaramente dove è caduto, l’erba pestata e
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sporca di sangue, le penne … sicuramente le cartucce non vanno …”. Lui annuiva ma lo guardava di sottecchi per scoprire se gli stava dicendo la verità o se lo stava ancora prendendo in giro, visto che comunque il fagiano era scappato. Nel frattempo erano arrivate anche le altre squadre, che s’informavano sull’accaduto e su quanta selvaggina avevano preso. Nessuno aveva preso una lepre e un fagiano come loro due: chi aveva preso niente, chi una misera fagiana. Il problema era che il Grande Capo non aveva preso niente! Allora, con una serie di spiegazioni che non c’entravano niente, il Grande Manager di lungo corso prese la decisione di rifare gli accoppiamenti delle squadre, così il Rompietti si ritrovò con un collega, mentre il Netti scelse un altro dipendente sicuramente più rispettoso. Intanto era scattata l’ora del pranzo, che consumarono in una trattoria della zona dove si abbuffarono di pastasciutta al ragù, spezzatino con patate, vino, frutta e caffè. Durante il pasto il dott. Netti si rivolse al Rompietti ad alta voce, in modo che tutti sentissero: “Lei mi piace poco, dott. Rompietti, come tutti quelli che si lasciano la barba … ho la sensazione che avete qualcosa da nascondere …”. E giù tutti a ridere … E il Rompietti, imbarazzatissimo e anche un po’ imbambolato dal sonno: “La ragione vera è che a farla con la lametta, metodo che preferisco, ci vuole una vita. Così me la accorcio una volta a settimana la domenica, risparmiando minuti preziosi, che utilizzo per vedere il telegiornale e le previsioni del tempo, visto che sono tutto il giorno on the road”. Voleva anche dire che una volta c’era uno che non sopportava gli ebrei, ma non lo fece. Il dott. Beppinelli, vista la giornata non buona del Suo Capo, giacché aveva mangiato ‘gni ‘osa facendo anche la scarpetta, visto che stava morendo dal sonno e non era cacciatore, si fece accompagnare nella villa di caccia e si buttò vestito sul primo letto che trovò. A sera lo trovarono che ronfava ancora come un porco. Dopo pranzo combinarono pochino a causa del lauto pasto, della stanchezza e dei fagiani che si dimostrarono molto furbi. Comunque al tramonto radunarono sul piazzale della villa undici fagiani e una lepre senza contare quelli della coppia Netti - collega buono, che ancora non erano tornati. Radio caccia diceva però che la coppia ritardataria non aveva preso niente. Allora un collega, coetaneo del Netti, unico che si permettesse di dargli del tu, preparò uno scherzo atroce. Legò con un lungo spago un fagiano a una zampa e lo mise sul bordo della strada bianca, in mezzo alle erbacce e poi si nascose dietro un cespuglio. Da lontano si vedevano due cacciatori stanchi, preceduti da due cani felici di ritornare alle macchine. Stava facendo buio. A un tratto i cani puntarono qualcosa sul ciglio della strada. Prontamente il dott. Netti tolse il fucile dalla spalla e lo imbracciò in direzione dei cani, pronto a sparare. “Prendilo Kriss” e il cane si avventò sul povero uccello morto mentre il perfido collega, tirando lo spago, faceva attraversare al fagiano tutta la strada bianca inseguito da Kriss, che tentava di riprenderlo. E giù tutti a gridare: “sopra, sopra … spara, spara ” all’indirizzo del Netti e del suo malcapitato accompagnatore. Il Grande Capo disse ad alta voce una serie di parolacce, non salutò nessuno, non prese la sua parte di selvaggina, saltò in macchina col suo cane e partì sgommando verso Milano, nascosto da una densa nube di polvere bianca. Venimmo poi a sapere che la settimana successiva ritornò in quella riserva da solo, si fece rilasciare dieci fagiani dalle gabbie, ne prese nove e fu felice insieme al suo Kriss. Dopo quel giorno fu caldamente suggerito a tutti di non parlare di caccia alla presenza del Grande Capo e nei loro curricula apparve una gigantesca palla nera che troncò, in chi immeritatamente l’aveva, ogni speranza di carriera. vittorio.grechi@gmail.com Però quanto si divertirono!
Il freddo Quando arriva l’inverno abbiamo tutti paura del freddo e delle sue conseguenze e in particolar modo dell’influenza e dei raffreddamenti che possono essere a loro volta forieri di altre conseguenze quali le sindromi reumatiche. Ma accade lo stesso quando piove; abbiamo paura della pioggia perché ci bagna, lo stesso quando è caldo perché ci fa sudare, quando c’è vento perché ci da fastidio... insomma ogni volta che c’è un cambiamento “abbiamo paura”. Il cambiamento ci spaventa perché non ci fidiamo più del nostro corpo e delle sue capacità di risposta che nel tempo abbiamo sopito con l’eccesso di comodità. L’adattamento rappresenta la condizione fondamentale dell’esistenza e solo attraverso la sua capacità di seguire ciò che cambia possiamo vivere. In altre parole abbiamo perduto la capacità di essere soggetti elastici, in grado cioè di dare risposte adatte alla sopravvivenza; ci siamo irrigiditi e non siamo disposti a confrontarci con la vita e gli elementi che essa ci propone. Vorremmo che tutto fosse come ci piace. Allora i riscaldamenti domestici e non, che vanno “a palla”, i condizionatori come sopra e così via, tutto viene modificato a piacimento ed oltre. È chiaro che quando è freddo bisogna scaldarsi e quando è caldo rinfrescarsi, ma è sempre più evidente che siamo nell’eccesso. Non ci viene in mente per esempio che si può fronteggiare il cambiamento climatico con l’alimentazione scegliendo alimenti che siano per esempio scaldanti ed evitare quelli che sono
rinfrescanti. Seguire in un certo senso ciò che la stagione ci propone, ammesso che ricordiamo quel che è tipico della stagione! Quello che posso consigliare a chi soffre il freddo è un’alimentazione che preferisca zuppe e minestre (zuppe di cipolle, di patate, di quinoa, di farro, di legumi...), le verdure preferibilmente cotte al vapore e condite con piccole quantità di peperoncino (per chi non ha particolari problemi), oppure alla piastra, risotti e brodi di carne o di pollo, la frutta anch’essa cotta al forno o in altro modo, tisane durante il giorno che siano in grado di riscaldare oltre che con l’acqua anche con misture di erbe tipo cannella e chiodo di garofano. Un cenno particolare merita lo zenzero che secondo la medicina tradizionale cinese è la radice più efficace in assoluto per trattare il freddo e le malattie da freddo. La si può usare mescolata ad altre erbe in tisana, si può grattare direttamente nelle zuppe come se fosse parmigiano, si può fare con la frutta al forno, si può anche mangiare direttamente in piccole quantità o succhiare misto a miele e zucchero, si può pestare in un mortaio e farne un succo da mescolare con altra frutta.... Ci sono tanti modi per scaldarsi ma occorre soprattutto evitare ciò che può raffreddare il corpo e cioè diete incongrue e povere di calorie; non è certo l’inverno il periodo per mettersi a dieta soprattutto per chi soffre già il freddo. Dr. Leonardo Paoluzzi - Medico agopuntore e fitoterapeuta
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Relativismo e crisi La parola crisi, come abbiamo detto nell’articolo di dicembre, è diventata di uso comune, quasi uno slogan obbligatorio a cui nessuno o politico o semplice cittadino possa sottrarsi. Non c’è programma televisivo di qualsiasi rete, non c’è testata giornalistica che non ne parli e soprattutto non c’è politico di qualsiasi colore che non se ne riempia la bocca nei suoi discorsi e che puntualmente dichiari a lettere di fuoco di voler risolvere, ma quanto a risultati concreti se ne vedono ben pochi. Tutti ormai sulla nostra pelle, o meglio sulle nostre tasche, sappiamo che le sue radici si affondano nel campo economico, politico ed istituzionale. A questo punto sorge però spontanea una domanda: il dilagare della corruzione, il malaffare, il trattare la res publica come res privata, gli assurdi ed ingiusti privilegi di casta spacciati come diritti acquisiti, trovano la loro spiegazione nella economia, nelle leggi di mercato basate sul profitto? Sì, sembra essere la risposta scontata, ma se analizziamo le cose più a fondo ci accorgiamo che la problematica è più complessa. È innegabile che l’economia nella storia dei popoli ha sempre rivestito un ruolo fondamentale, prima del Das Kapital di Marx se ne erano accorti liberal inglesi come A. Smith, tuttavia è nostra convinzione che essa possa spiegare molto, ma non tutto. In questo articolo cercheremo di spingerci più a fondo, entrando nel campo filosofico. Con questo non vogliamo tediare il lettore con astratte disquisizioni teoriche, ma semplicemente informarlo che la crisi ha le sue basi anche nel campo filosofico, non solo in quello economico-politico. Gli anni che stiamo vivendo e buona parte dello scorso secolo sono attraversati da una corrente filosofica chiamata Relativismo che è appunto il pattern, direbbe un sociologo, il terreno su cui poggiano le basi teoriche della famigerata crisi. Cos’è allora questo benedetto Relativismo? Spiegato in poche e semplici parole, esso è una posizione filosofica che nega che l’uomo riesca a conoscere una verità assoluta e irrefutabile e che, se anche esiste, o non è conoscibile oppure conoscibile solo parzialmente. Di conseguenza il Relativismo si pone in posizione antitetica a tutte le teorie e le istituzioni che dichiarano di fondarsi su verità assolute. Non è un caso che tre pontefici contemporanei, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco lo abbiano apertamente criticato. Non è un caso che il filosofo relativista Popper definisca Hegel e Marx falsi profeti. Se ci fermiamo alla definizione data poco fa, tutta la cultura contemporanea, particolarmente quella filosofica, è relativista ad onta degli anatemi lanciati da schieramenti opposti. Va detto però che il Relativismo non è cosa dei nostri giorni, ma risale a 2500 anni fa quando nel mondo greco la Sofistica sostenne la negazione della verità assoluta. Infatti per il filosofo Protagora la misura del giusto e del bene non è l’individuo, ma l’intera comunità a cui egli appartiene, giusto è ciò che giova alla maggioranza, alla polis. Gorgia si spinge oltre affermando che tutte le possibilità si equivalgono e pertanto l’oratoria con la sua dialettica può fare e disfare, dimostrando che
tutto è il contrario di tutto. Forme di relativismo troviamo nel particulare del Guicciardini in opposizione agli assiomi di Machiavelli. Anche il filosofo scienziato Pascal afferma che la verità assoluta non potrà mai essere trovata perché tutto muta col tempo. Nietzsche, alle soglie del Novecento, si spinge oltre affermando che, siccome nel mondo tutto muta, non può esistere un essere eterno ed assoluto fuori di esso, concludendo che non esiste alcuna verità assoluta e irrefutabile. Tracce di relativismo le troviamo anche in varie correnti filosofiche come nello Scetticismo, nello Empirismo, nel Criticismo e in alcuni esiti dello Storicismo. Ad ulteriore dimostrazione della complessità del fenomeno va osservato che il Relativismo negli ultimi due secoli si è frantumato in varie correnti interessando vari campi della cultura e della società. Esiste un Relativismo culturale sostenuto dagli antropologi americani Boas e Mead che parte dal presupposto che ogni cultura, anche primitiva, ha la sua specificità e che vada esaminata solo nel suo specifico contesto. Nell’ambito del Postmoderno troviamo posizioni relativiste nel Decostruzionismo di Derrida, nel Poststrutturalismo Lyotard, nel Costruttivismo di Deleuze e nella teoria del Pensiero debole di Vattimo. Esiste anche un Relativismo etico per il quale i valori, le regole di un singolo gruppo hanno validità soltanto nell’ambito specifico e non possono avere valore universale. Proprio contro quest’ultima forma si è opposta decisamente la Chiesa cattolica. Uno dei pilastri del relativismo contemporaneo è il filosofo Popper che sostiene la fallibilità della conoscenza e della scienza, teorizzando una Società aperta basata sull’uguaglianza, sul pluralismo e sulla multicultura. Antirelativisti sono coloro per cui l’esistenza di un Essere assoluto è una verità irrefutabile. A questo punto il lettore chiederà: tutta questa disquisizione cosa c’entra con la crisi? Rispondiamo: c’entra e come! Infatti, lasciando perdere università, accademie, professori, filosofi, studiosi ecc... il Relativismo portato nella spicciola quotidianità diventa sic et simpliciter questo: non esistono verità e valori assoluti, ergo tutto si può fare, tutto è permesso. E ancora: chi dice che questo sia un bene o un male? Nessuno! Allora siccome nessuno lo stabilisce, sarò io a farlo, quindi posso agire come meglio mi aggrada, perseguendo il mio utile personale…elementare, no? È proprio questo relativismo spicciolo che, dopo il fallimento delle grandi ideologie idealistiche e materialistiche, ha a poco a poco attecchito, come un ospite indesiderato, in tutti i ceti sociali alti, medi, bassi, condizionandone gli usi, i costumi, i modi di comportamento. Esso in breve si traduce in personalismo sciovinistico, presenzialismo, bramosia di successo e di denaro, predominio dell’apparire sull’essere, puro utilitarismo a scapito degli altri. Tutto questo ad onta dei valori fondamentali della solidarietà e della giustizia sociale, conquista della società moderna. Vi sembra troppo teorico questo discorso? Allora ascoltate un tg qualsiasi o meglio datevi un’occhiata intorno e traetene voi stessi le conclusioni! Pierluigi Seri
L’ortupedichi… sessolughi A Pa’ come va co’ lu …ditu?... Ma perché ce sentu pocu Giulià? Ambè dicéi de quillu de la mano… è ‘rmastu drittu co’ ‘n bo’ de curva a ssinistra!... Ma l’ortupedicu che tt’ha dittu?... Quale ‘rtupedicu? Quillu de lu ‘spédale o qquillu a ppagamentu? … Perché n’hai sintitu più dde unu? Unu vale l’andru!... Quistu a mme no’ mme lu déi di’... perché pe ‘sperienza sò che pprima de fatte male dovristi ‘nformatte co’ cchi mmedicu te cumbini su lu ‘spedale… io doppo èsse cascatu come ‘n salame... co’ lu ditu tuttu ‘rpiegatu ... so’ ‘nnatu su lu prontu soccorsu che... fino qquì tuttu bbene ... m’hanno mannatu da ‘n ortupedicu che doppo avemme fattu ‘spetta’ più dde n’ora ... co’ n’aria da capiscione m’ha rassicuratu dicennome ... ‘sta ruttura é ‘na cacchiata! ... M’ha cchiappatu lu ditu ... j’ha datu quattru ‘rgirate... lu tempu de ‘n cambiu de rota de Ferrari e ppo’ ha dittu a lu ‘nfermiere... mitti lu ferru e ddaje ‘na
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(Fattu accadutu a mme medesimu)
‘nfasciata pe’ ‘na mesata. Quanno so’ ‘rtornatu c’era ‘n andru medicu ancora che mm’ha dittu... ... tutti ‘sti giorni!? Via via lu ferru!... A dotto’... ‘stu ditu non ze mòe ... me pare stortu… Ah ah ah... facce li bbagnoli sotto l’acqua calla e ‘n te prioccupa’!... Giustu pe’ scrupulu de coscienza so’ ‘nnatu da quillu a ppagamentu... che ppo’ me so’ ‘rcordatu che cce stéa ppure issu ‘nzieme a ‘ll’andri ortopedichi su lu ‘spedale… m’ha dittu che ppo’ èsse c’éo li legamendi ruvinati e lu ditu non s’era sardadu bbene ... toccàa vede’ fra ‘n bo’ de mesi e io… Giulià mo’ che cce faccio co’ ‘st’affare drittu? … “##§*##”... No no ‘ste cose Giulià a mme no’ mme le déi di’ ... anzi mo’ che mm’hai fattu arrabbia’ te cunziju ‘lli dottori... non so’ ‘n granché come ‘rtupedichi ma come sessolughi te pòzzono anna’ bbene! paolo.casali48@alice.it
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La grotta bella Alle pendici del Monte Aiola, nascosta da boschi di Castagni, si apre una splendida cavità naturale nota come Grotta Bella. Ci troviamo nel comprensorio Amerino, a circa un paio di chilometri da Santa Restituta, nel comune di Avigliano Umbro (Terni). Da un punto di vista geologico la grotta è inserita nel calcare massiccio del giurassico ed è ricca di concrezioni: stalattiti e stalagmiti. L’ingresso ha un’apertura di quasi 10 metri; l’interno è costituito da un perimetro molto irregolare, con una larghezza di circa 25 m, una profondità massima di 30 e una serie di cunicoli che si dipartono dalla parete di fondo. Frequentata sin dall’antichità, presenta una vasta sequenza stratigrafica che va dal Neolitico alla tarda Età imperiale. L’indagine archeologica, realizzata non senza difficoltà a causa delle condizioni ambientali, è stata condotta dal dott. G. Guerreschi, nei primi anni ’70, per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria in collaborazione con l’Istituto di Paletnologia della Università di Milano. Durante le diverse campagne di scavo sono stati recuperati oltre 10.000 reperti: vasellame, bronzetti, resti ossei, monete, reperti faunistici e molto altro. Le prime testimonianze di una presenza umana sono attestate in due fasi distinte del Neolitico (VI-V millennio aC). La ceramica della prima fase risulta molto cotta e di colore bruno scura. Nella seconda troviamo terracotta più chiara, in argilla figulina e dipinta. Sono attestati anche numerosi manufatti litici, realizzati in pietra scheggiata e levigata. Questo momento è caratterizzato da un uso rituale della grotta, sia a scopi cultuali che sepolcrali. Una nuova frequentazione è documentata nell’Età del Bronzo. In questo periodo è presente ceramica decorata. Dopo un lungo intervallo si arriva al VI sec. aC; in questa fase è evidente l’uso cultuale della grotta che perdurerà sino al IV-V sec. dC. Il primo periodo -VI-IV sec. aC- è contraddistinto dalla piccola plastica votiva, tipica delle popolazione umbre: figurine schematiche realizzate in bronzo fuso e rifinite a lima. Prodotti in loco, i bronzetti potevano rappresentare divinità, semplici offerenti o animali, indice, questi ultimi, dell’importanza dell’allevamento e della pastorizia. Molto singolari, da considerarsi quasi un unicum, sono le figurine maschili e femminili realizzate in piombo, con il busto di prospetto e le gambe di profilo. Con la romanizzazione, siamo ormai nel III secolo aC, cambia la tipologia dell’offerta votiva: dal bronzo alla terracotta, dalle figurine stilizzate a votivi raffiguranti parti anatomiche (mammelle, mani, etc.). Di questo periodo è anche un bellissimo modellino fittile di un piccolo tempio. Altre testimonianze materiali sono rappresentate dalle aes rude, pezzi di bronzo con funzione pre-monetale. Un’ulteriore serie di ritrovamenti conferma la frequentazione del sito durante tutto il periodo imperiale; trattasi di una serie di monete romane che arrivano fino a Teodosio I e II, e di cospicui frammenti di lucerne a volute e ceramica a pareti sottili. Dall’analisi dei resti botanici è stato possibile ricostruire il clima che ha caratterizzato la vita nella caverna nei periodi più antichi, vale a dire nel Neolitico e nell’Età del Bronzo. Un clima contraddistinto da temperature calde, eccetto un improvviso raffreddamento avvenuto verso la fine del Neolitico. Diverse analisi sono state eseguite anche sui reperti faunistici. Dal cospicuo numero dei resti ossei si è potuto stabilire che l’economia della grotta ruotava intorno al maiale allevato, forse allo stato brado, nei boschi circostanti. Non mancano testimonianze anche di animali selvatici: cervo, lupo, gatto selvatico, lince. Oggi la grotta risulta decentrata rispetto alle principali vie di comunicazione, ma nelle epoche passate doveva essere collegata meglio, di sicuro con il ramo settentrionale della via Amerina. L’ingresso ora è protetto da una recinzione e chi desidera visitarla Denis Fagioli può farlo solo su prenotazione.
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Silenzio, la Musica! N on c apisco la mus i ca . Ho spesso ascoltato questa affermazione e a volte è stata proferita da persone di buona, se non ottima cultura. Ma sono convinto che non si può non capire la musica, o meglio che esistono tanti modi di capire la musica, che ognuno ha il suo unico e irripetibile e che non può esistere uno stadio di incomprensione totale di essa. Intanto la musica non è altro che un insieme di suoni organizzato in un tempo, che trasmette messaggi a chi la ascolta. Naturalmente il compositore che ha creato la musica, l’interprete che la realizza e l’ascoltatore che ne fruisce sono tre componenti essenziali che entrano in gioco in questo sistema. Vorrei qui concentrare l’attenzione sull’ascoltatore, che entra nel nostro gioco con la sua eventuale voglia di ascoltare, con le sue conoscenze tecniche e con il suo bagaglio di esperienze personali legate a tutti i suoni della sua vita, non solo quelli che pensiamo appartenere alla sfera della musica. Ecco dunque che la preparazione musicale dell’ascoltatore è solo in parte influente sulla capacità di ascolto, mentre giocano un ruolo fondamentale anche l’effettivo interesse provato per l’esperienza di quel preciso momento, che si può legare ad un atto di volontà, e la totalità dei suoni e delle musiche vissute fino a quel momento, che indubbiamente non dipendono dalla nostra volontà. Certamente può essere utile, interessante ed anche piacevole imparare qualche nozione musicale, sperimentando soprattutto attivamente la capacità di emettere suoni con la propria voce, con il proprio corpo; questo in fondo non è altro che un modo di conoscerci meglio, di scoprire che in noi il suono esiste già e che non dobbiamo far altro che far risuonare il nostro corpo. Chi pensa di essere stonato è in errore, è soltanto poco consapevole dei propri mezzi, della propria voce. Credo che la pratica della musica non dovrebbe essere riservata ai professionisti, ma rappresenta un piacere, nonché una via per conoscerci meglio, che dovrebbe far parte della nostra educazione,
ad ogni età. Infatti non esiste secondo me un’età precisa entro la quale siamo educati, ma la nostra educazione può durare tutta la vita; basta semplicemente volerlo. Ciò riguarda anche la musica, ovviamente. Ecco perché non esistono limiti di età per imparare la musica e per cominciare a frequentare le sale da concerto. La sala da concerto è il luogo deputato ad ascoltare collettivamente la musica, ma ormai esistono per questo scopo tanti spazi alternativi e tante altre situazioni. Ma vorrei concentrarmi sulla classica sala da concerto, che influisce notevolmente sull’ascolto. Ogni sala ha un suono, certamente ha un “silenzio”, che altro non è che il rumore di fondo, misurabile scientificamente con apparecchiature idonee. Ma soprattutto ha forme e materiali che contribuiscono in modo decisivo alla definizione dei caratteri del suono che arriverà agli orecchi degli ascoltatori. Proprio in questi giorni ho sentito lodare l’acustica della Sala del Concertgebouw di Amsterdam dalla viva voce di alcuni musicisti appartenenti alla mitica Orchestra che prova e suona ogni giorno là. “La sala del Concertgebouw è stata per me un grande maestro”, afferma Hein Wiedijk, da quasi vent’anni clarinettista dell’orchestra olandese. Certamente poi il suono è creato anche dalla capacità del pubblico di ascoltare; la concentrazione che gli spettatori manifestano aiuta i musicisti ad esprimersi. Insomma il rapporto che si crea nella sala da concerto tra interpreti ed ascoltatori è speciale, unico di quel dato giorno e non si potrà mai ripetere. Anche da qui nasce l’unicità dell’esperienza dell’assistere ad un concerto. Capire la musica può essere semplicemente entrare in contatto con questa realtà e abbandonarsi al silenzio interiore, che in un’ottica di grande apertura all’esterno, all’accoglienza, consente di ricevere emozioni, sensazioni, idee, stimoli, forme ed altri infiniti regali. Francesco Pepicelli
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Primo Piano Gli effetti a breve termine dell’assunzione di cocaina prevedono, fra gli altri, distorsione cognitiva e sensazione di aumento delle percezioni, accentuazione della reattività fisica e mentale, euforia e infaticabilità. Se qualunque spettatore dovesse descrivere le sensazioni provate di fronte all’ultimo film di Martin Scorsese, sarebbero più o meno queste. Si potrebbe pensare che sia una curiosa casualità, l’accostamento di due esperienze all’apparenza così distanti (da una parte la visione di un film e dall’altra l’assunzione di una droga pesante, che pure è presente nel 70 per cento delle sequenze della pellicola). Ma quando parliamo di Martin Scorsese, che non è solo un regista ma uno dei padri fondatori del cinema moderno, e forse il più grande narratore vivente americano, è difficile pensare al caso. È più logico parlare di regia. Non è un caso constatare che tutti quei minuti di durata della pellicola (in grado di far impallidire chiunque si accingesse a pagare il biglietto) diventino improvvisamente e miracolosamente troppo pochi, subito dopo la prima sequenza. E non è un caso trovarsi costantemente su di giri, con gli occhi aperti e le pupille ben dilatate, con i capillari che progressivamente scoppiano come fuochi d’artificio. The Wolf of Wall Street, ovvero la storia dell’ex broker e azionista Jordan Belfort, dall’ascesa alla fatale caduta, è forse la più grande esperienza cinematografica del secolo.
Non stupisce che a muovere i fili sia il creatore di Taxi Driver, o di Casino’, o di Quei bravi ragazzi. Perché c’è tutto Scorsese in questa pellicola: i suoi mirabolanti movimenti di macchina, le sue geniali invenzioni di montaggio, i suoi fermo-immagine, le sue adorate voci narranti. E c’è pure il suo attore, la sua nemesi, il suo riflesso sullo schermo, quello che per decenni è stato Robert De Niro e che adesso è diventato Leonardo di Caprio. La sua interpretazione è forse il miracolo che il mondo aspettava da tempo e la prova definitiva che un bravo attore e il suo personaggio riescano a diventare, per quei mesi di riprese, una cosa sola. Due molecole fuse l’una nell’altra, in grado (non senza fatica) di separarsi soltanto dopo l’ultimo ciak, ma eternamente unite sul grande o piccolo schermo. Jordan ulula, ruggisce, miagola e striscia: non c’è’ niente di umano nel suo spirito, ma soltanto puro istinto animale, senza logica né coerenza. E il film tutto gli si adatta, ne diventa lo specchio, si fonde con il suo personaggio e, per riflesso, col suo pubblico. Che resta lì, seduto per 180 minuti, a chiedersi come sia possibile per un uomo arrivare fino a tanto. E che alla fine è sfinito, senza forze, con il solo desiderio di chiudere per un po’ gli occhi, e assaporare il distacco da quella droga allucinogena chiamata cinema. Ma l’effetto durerà solo una notte. E arriverà presto il momento in cui ne vorremo ancora. Lorenzo Tardella
L a Si curezza a S c u o l a Dopo aver scavalcato una rete di protezione, uno studente salta su un lucernario per recuperare il giubbotto che un collega gli aveva sottratto per fargli uno scherzo. La copertura, ovviamente, non regge il peso e l’incauto precipita da dieci metri, morendo. Fatalità? Imprudenza? Mancata sorveglianza? Incapacità a valutare il rischio? Di tutto un po’. L’incidente in questione è sintomatico di uno stato di arretratezza manutentiva nelle scuole, ma anche di carenza informativa di situazioni di pericolo. Se la vittima avesse potuto disporre di una minima preparazione alla valutazione dei rischi cui ogni individuo è esposto, probabilmente non avrebbe mai osato saltare su una superficie così debole e insicura. La rete che delimitava il lucernario, elevata con la convinzione che fosse sufficiente a far desistere studenti all’imprudenza, è un’altra grave ipotesi valutativa. Chiunque abbia avuto a che fare con l’esuberanza dei ragazzi a scuola sa perfettamente che le misure preventive non sono mai abbastanza. La loro incolumità, dal momento che un giovane varca la porta d’ingresso, ricade nella responsabilità degli addetti ai lavori: personale ATA, docenti, dirigente scolastico. Come possa essere sfuggito all’attenzione dei responsabili lo scherzo subìto dalla vittima e la decisione del ragazzo di saltare incautamente su quella debole copertura, è materia che attiene al magistrato che s’incarica della vicenda, ma è anche evidente che esistano colpe oggettive.
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Per sgombrare il campo da frettolose deduzione è bene dire che la presenza di personale e di insegnanti è il miglior deterrente per scoraggiare bravate e imprese a scuola. È forse per questo che gli incidenti sono statisticamente contenuti. Disposizioni ministeriali in materia di risparmio impongono un numero minimo obbligatorio di studenti per classe (27/30), principale rischio per la sicurezza e la salute dei giovani. In specie, perché l’obbligo è tassativo, tanto che prescinde da condizioni ambientali o logistiche. In realtà, sono poche le aule che possono ospitare un assembramento del genere, cosicché aumentano a dismisura le potenzialità di pericolo, senza contare i danni all’apprendimento. La Costituzione parla chiaro: la salute e la sicurezza sono diritti fondamentali e inalienabili di ogni persona. La legislazione in materia (legge 626/’94 e 81 del 2008) esiste, ma viene disattesa per mancanza di fondi. Quello che si ritiene di risparmiare, evitando di intervenire nella manutenzione scolastica, si paga in termini di vite umane o, nel migliore dei casi, di invalidità, ancora più pesanti quando trattasi di ragazzi. Se a questo si aggiunge che la mancata ristrutturazione o aggiornamento dei siti scolastici comporta costi energetici notevoli e forzosa rinuncia alla fruibilità di ambienti utili alla formazione dei giovani, allora non sarà difficile comprendere quanto sia miope la posizione del rinvio. Giocondo Talamonti
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Sindrome delle faccette articolari Tutte le vertebre della colonna sono dotate nella parte posterolaterale di quattro faccette articolari, che le collegano alle due faccette della vertebra sovrastante e alle due della sottostante, formando le articolazioni zigoapofisarie (Fig. 1). Queste articolazioni hanno il compito di stabilizzare la colonna posteriormente e limitarne i movimenti eccessivi. Il sovraccarico o traumi possono deteriorare il rivestimento cartilagineo delle faccette, infiammare il tessuto sinoviale, portare alla formazione di liquido intrarticolare, formare speroni ossei (osteofiti) che contribuiscono a ingradire e deformare queste articolazioni. Queste piccole articolazioni vengono sovraccaricate anche in caso di patologia degenerativa del disco intervertebrale, in caso di loro anomalia di impianto o orientamento (anomalie di sviluppo), iperlordosi lombare, scoliosi, spondilolistesi, nelle microinstabilità segmentarie esito di interventi chirugici e possono essere deteriorate Fig. 3 da patologie artritiche. La sindrome delle faccette articolari è un quadro Fig. 2 doloroso caratterizzato da dolore sordo e continuo in sede paravertebrale, con irradiazione a livello cervicale verso le spalle e la nuca (Fig. 2), a livello lombare alla cresta iliaca, alla natica ed all’inguine (Fig. 3). Il dolore viene riacutizzato dall’iperestensione del tronco, dall’inclinazione verso il lato affetto, dalla stazione eretta e si attenua in posizione seduta o in flessione. Colpisce circa 15% dei pazienti giovani (<45 anni) e il 45% dei pazienti con dolore rachideo oltre i 65 anni di età. Clinicamente la sindrome delle faccette articolari può essere sospettata ma non accertata e neppure gli esami strumentali sono dimostrativi; l’unica conferma diagnostica è fornita dal blocco anestetico della faccetta sospettata quando riduce o fa scomparire il dolore. Il trattamento prevede terapia medica, terapie fisiche e ginnastica posturale. Quando le terapie premenzionate non danno beneficio dopo un periodo di almeno Fig. 4 tre mesi o la sintomatologia si riacutizza, trova indicazione il blocco delle faccette articolari con anestetico. Se il trattamento con anestetico dà beneficio, trova indicazione il trattamento di neuromodulazione con radiofrequenza della branca posteriore del nervo spinale, per devitalizzare la faccetta articolare affetta da patologia (Fig. 4). Questo trattamento permette di ridurre la sintomatologia dolorosa per alcuni mesi. Il trattamento si esegue in anestesia locale sotto guida radiologica, ha una durata di Dr. Vin ce n z o B u ompa dre 20 minuti circa, è privo di effetti collaterali e può essere ripetuto. Fig. 1
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La spedizione dei Mille: La liberazione di Napoli
Fu in quei giorni che la strategia politica di Cavour mutò radicalmente: se fino al termine d’agosto egli aveva tentato di far scoppiare un moto monarchico-nazionale a Napoli affiancando al marchese Villamarina i generali Mezzacapo e Ribotti ed ottenendo l’appoggio del reazionario Nunziata, il 31 agosto in una celebre lettera all’ammiraglio Persano ordinò di non tentare nessuna azione non autorizzata da Garibaldi, conferma del primo fra i princìpi dello statista piemontese, che mai volle andare contro la volontà popolare per evitare la delegittimazione della guida sabauda del Risorgimento. Nella medesima missiva annunciò tuttavia anche la mobilitazione dell’esercito regolare per liberare le province dell’Umbria e delle Marche, in modo da impedire al generale di proseguire la propria avanzata sino a Roma, evitando così lo sminuimento del ruolo di Casa Savoia e soprattutto l’intervento francese in favore del patrimonio di S. Pietro, scongiurato per il momento dall’assenso di Napoleone III. Il trono di Francesco II oramai vacillava: condannato dallo sbandamento del suo esercito, già il 20 agosto aveva ricevuto un memorandum da parte del primo ministro Don Liborio Romano, in cui lo si invitava a lasciare la sua capitale, ciò a cui fu costretto il 6 settembre, quando si recò con tutta la famiglia reale nella fortezza di Gaeta, non senza aver ironicamente avvertito lo scaltro statista di prestare attenzione al collo qualora fosse ritornato. Ben altro si sarebbe rivelato il fato di quel monarca che, accettando
di ammassare il grosso delle proprie truppe presso il Volturno lasciando a Napoli solo 10.000 uomini a difesa dei punti strategici e la guardia nazionale a tutela dell’ordine pubblico, aveva praticamente ceduto la città a Garibaldi, che l’indomani vi fece un trionfante ingresso, reso necessario dai bersaglieri piemontesi pronti a sbarcar dalle navi e dalle posizioni che i borbonici ancora mantenevano, pericoli tali da far decidere al Nostro di giungere nella città di Masaniello con un treno speciale, così velocemente da essere accompagnato da soli quattordici fedelissimi Che al lettore sia lasciato d’immaginare l’oceano umano che, delirante ed entusiasta, accompagnò quel mezzo ad ogni fermata giungendo a farlo fermare in più occasioni. Giunti alla stazione di Napoli Garibaldi, allontanato da Liborio Romano, dal sindaco e dagli altri aiutanti, fu fatto salire su un carro insieme a Bertani e a frate Pantaleo, che ebbe il compito di celebrare il Santo Uffizio nella Cattedrale di San Gennaro, di cui venne esposto il tesoro. Incurante di passare vicino a presìdi borbonici come Castel Nuovo, il generale pronunciò delle orazioni sia dal balcone della foresteria di Palazzo Reale nell’attuale Via del Plebiscito che da quello di Palazzo d’Angri in Via Toledo, ora Via Roma, dove stabilì l’alloggio del proprio stato maggiore. La mattina del dì successivo, rinnovando una tradizione cui prima assolvevano i re, assistette al miracolo dell’ebollizione del sangue di San Gennaro, momento in cui il suo rapporto con il popolo napoletano fu definitivamente consolidato. Un’ultima battaglia attendeva gli eroi salpati da Quarto, atto finale delle Primavera dei Popoli prima che le foglie d’Autunno iniziassero a cadere copiose. Francesco Neri Liceo Ginnasio “G.C. Tacito” IV C
Sandro Bini Sono ancora recenti le emozioni e le suggestioni delle festività invernali mentre ci avviamo ad accogliere i segnali della primavera. Per le manifestazioni che ovunque hanno ricordato situazioni collettive e sociali all’interno del fitto calendario di un anno da poco concluso, vogliamo citare la Festa della Comunità Portuale di Salerno in occasione della esposizione dei principali interventi infrastrutturali in corso di avanzata realizzazione per il potenziamento e il consolidamento del porto. In questa circostanza gli organizzatori hanno voluto la presenza delle varie espressioni artistiche ad arricchire il panorama delle attività dell’uomo, quali la musica con un concerto lirico, un momento di teatro con un omaggio ad Anna Magnani e la presenza di esponenti delle arti visive. Due gli autori contemporanei invitati che hanno interpretato sulle loro tele un’immagine del porto campano, gli artisti Sandro Bini, umbro e Vittorio Petito, napoletano. È per noi un piacere segnalare la presenza di Sandro Bini, pittore ternano di grande valore che predilige seguire canoni figurativi nelle sue composizioni panoramiche, secondo un’ottica molto particolare, di grande gusto cromatico. I dipinti dei due artisti, dedicati al porto salernitano, sono stati esposti al locale Teatro Augusteo suscitando grande interesse di critici e collezionisti. Notevole l’apprezzamento anche da parte di Vincenzo De Luca, Sindaco di Salerno e Vice Ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, e di Andrea Annunziata, Presidente dell’Autorità Portuale di Salerno. Franca Calzavacca
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In occasione della tradizionale conferenza stampa di fine anno tenutasi a palazzo Montani Leoni, il Presidente Mario Fornaci ha illustrato i più importanti interventi deliberati nel 2013 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni. Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, nel rispetto degli obiettivi prefissati dal Comitato di Indirizzo nel Documento Programmatico Previsionale, ha destinato nell’esercizio 2013 oltre 3.700.000 Euro per le erogazioni a vantaggio del territorio nei sei settori di intervento. Ricerca Scientifica e tecnologica Euro 470.000 Arte attività e beni culturali Euro 1.058.780 Salute pubblica Euro 420.000 Istruzione Euro 779.000 Volontariato filantropia e beneficenza Euro 840.000 Sviluppo locale Euro 200.000 Nei settori della ricerca scientifica e dell’istruzione la Fondazione ha stanziato oltre 500.000 Euro in favore dell’Università per il Polo Scientifico e Didattico di Terni e per il Comune di Narni. Alle scuole ternane sono andati oltre 284.000 Euro di cui 134.000 Euro per dotazioni didattiche, per progetti e per le premiazioni di alunni meritevoli; 150.000 Euro per l’acquisizione di LIM nelle scuole della provincia. È proseguito inoltre il sostegno della Fondazione, in qualità di ente fondatore, alla Fondazione Cellule Staminali con un finanziamento per il 2013 pari ad Euro 200.000. Nel settore dell’arte e cultura sono stati deliberati oltre 120 finanziamenti in favore di Enti locali, Associazioni musicali e teatrali per la realizzazione di eventi culturali di elevato spessore e per il restauro di opere d’arte. Tra le iniziative realizzate direttamente dalla Fondazione si ricorda: l’antologica dedicata a Corrado Spaziani, inaugurata l’8 marzo alla presenza del critico d’arte Vittorio Sgarbi; la rassegna dedicata agli scatti del fotoreporter Enrico Valentini (26/04-02/06/2013); la mostra La Terni in posa. Immagini dall’Archivio storico della Società 1907-1965, terminata lo scorso 6 gennaio, registrando oltre 2.500 presenze; l’evento ArteinCorso, inaugurato il 19/12/2013, nell’ambito del quale si svolge la mostra Fotogrammi d’arte. Sergio Coppi. Uno degli interventi più significativi deliberati nel 2013 nell’ambito culturale, ha riguardato il restauro della fontana di piazza Tacito, con un finanziamento in favore del Comune di Terni pari ad Euro 258.780. L’intervento di restauro del complesso monumentale è stato promosso dalla Fondazione Carit, dal Comune di Terni, da ASM Terni S.p.A e dal Tubificio di Terni S.p.A.. Anche per il 2013 la Fondazione ha inteso aumentare lo stanziamento in favore del settore del volontariato in ragione del particolare periodo di crisi che si sta vivendo nel Paese ed in particolare nella nostra regione. Le risorse in questo settore sono, infatti, passate dai 687.000 Euro del 2012 agli 840.000 Euro del 2013. La Fondazione ha sostenuto in particolare la mensa di San Valentino,
i Centri di Ascolto e Accoglienza del territorio, le Conferenze Vincenziane, le Parrocchie, le Associazioni e i centri di solidarietà locali. Nel settore della sanità, in attesa dell’installazione della PET TAC acquistata dalla Fondazione, sono stati deliberati interventi per complessivi Euro 420.000 per l’acquisto prevalentemente di apparecchiature mediche per l’Azienda Ospedaliera “S. Maria” di Terni. Nell’ambito delle attività programmate dalla Consulta delle Fondazioni delle Casse di Risparmio dell’Umbria, il dr. Fornaci ha ricordato i seguenti interventi a favore del nostro territorio: realizzazione di uno studio di fattibilità per il Parco e Museo dell’Energia del TernanoNarnese; realizzazione di un Atlante geostorico con cartografia digitale interattiva della Valnerina e guida mobile della Valnerina; realizzazione del progetto “Una scuola per amare” dell’Associazione Psychostreet; finanziamento in favore della Società Teatrale di Amelia per l’Ameria Festival, manifestazione di notevole spessore artistico con ricadute anche per lo sviluppo locale. Significativo inoltre lo stanziamento della Consulta in favore del Fondo Regionale di Solidarietà gestito dalla Conferenza Episcopale Umbra.
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San Valentino: Il progetto1 Passi d’Amore (iniziato nel giugno 2002 con alcune classi del Liceo Classico Tacito, con molti genitori, con l’amministrazione comunale di Stroncone e con padri francescani e domenicani) propone i sensi più autentici dell’amore totale: per il genere umano, per la natura, per la cultura, per le attività dell’uomo, per i grandi ideali di solidarietà tra popoli, per la pace. Esso unisce idealmente tutti coloro che, nelle varie epoche, hanno esaltato ed esaltano il rispetto per l’uomo e per la natura, a prescindere dalla personale concezione religiosa o da propri convincimenti filosofici. I Santi dell’Amore Valentino e Francesco rappresentano, particolarmente per i cristiani, uno straordinario esempio di amore totale ed incondizionato. L’unione tra i due Santi, enorme patrimonio spirituale ed esclusiva caratteristica del nostro territorio, costituisce un naturale primum movens per l’intero progetto e sarà sottolineata, seguendo i sentieri francescani, dal percorso Basilica di San Valentino - Santuario del Presepe di Greccio. I Piani di Ruschio del Comune di Stroncone costituiranno, anche rispetto ad altri siti della bassa Umbria2, il baricentro ove sarà edificata l’Oasi d’amore per la quale sono previsti: Spazi Piazza d’Amore Bosco d’Amore e Tempio d’Alberi Anfiteatro Belvedere Manifestazioni Olimpiadi valentiniane Incontri culturali3 Manifestazione4 sportivo-ludica Millennium sui Piani di Ruschio. Piazza d’Amore Luoghi di forte richiamo spirituale come Assisi, Greccio (Santuario Francescano del Presepio), Stroncone (Santuario Beato Antonio Vici), Cesi (Convento dell’eremita), Narni (Eremo Sacro Speco), Terni (San Valentino), ma anche luoghi internazionali che emanano sentimenti ed esempi di pacifica convivenza e di fratellanza5, saranno presenti6 simbolicamente con maioliche d’abbellimento ed evidenzieranno in un unico quadro la straordinaria concentrazione di segni d’amore di cui è dotato il nostro territorio. La Piazza si svilupperà sia con pietre deposte (nell’ambito di un opportuno disegno complessivo) da parte di visitatori sia attraverso apposite manifestazioni. Bosco d’Amore e Tempio d’Alberi Il bosco sarà formato da fiori e alberi, in particolare rose rosse, simbolo valentiniano e lecci, faggi, castagni, tipici della tradizione francescana. I fiori e gli alberi saranno riprodotti con talee o con semi ricavati dagli originali, presenti nei Conventi del centro Italia. Il bosco si amplierà con piante recate appositamente da delegazioni di paesi gemellati7. Il tempio, realizzato completamente con alberi (carpini in particolare), inserito in un giardino di piante autoctone, si ispirerà al verticalismo delle grandi cattedrali gotiche, a pilastri, volte a crociera e contrafforti. La struttura esalterà un ambiente preesistente e definirà uno spazio pseudo conchiuso di particolare suggestione spirituale. Anfiteatro Anfiteatri naturali sono ben visibili nella zona dei Piani di Ruschio presa in considerazione. Gli interventi per renderli maggiormente efficienti saranno contenuti al massimo. Si utilizzeranno materiali naturali tipici del posto che possano inserirsi naturalmente e con il minimo impatto ambientale. Gli interventi saranno finalizzati unicamente a rimodellare il terreno in modo tale che la funzione partecipativa sia efficiente e migliorata, senza l’introduzione di nuovi materiali, di muri e di opere di regimentazione delle acque. Belvedere I Piano di Ruschio terminano rispetto ai confini con il Comune di Greccio e la Regione Lazio con un dosso naturale superato il quale si apre alla vista la splendida Valle Sacra Reatina. Tale sito naturale dovrà essere sistemato con piccoli interventi di rimodellazione tendenti a trasformarlo in luogo di incontro ed in eccezionale belvedere. Olimpiadi valentiniane Sui Piani di Ruschio si svolgerà parte delle Olimpiadi Valentiniane (altra parte in Valnerina). Lo sport va rivisto nella sua più genuina dimensione: la fratellanza, l’educazione, la purezza dello spirito. Incontri culturali tra tutti coloro che rispettano la vita, indipendentemente dalle religioni o dalle filosofie. Incontri dunque tra popoli. Luogo privilegiato per tali incontri sarà il moderno Centro Culturale di Stroncone e la Piazza dei Popoli ad Arrone. Manifestazione sportivo-ludica Millennium sui Piani di Ruschio vedrà la partecipazione contemporanea di un numero grandissimo di giocatori e sarà festa di gente, di suoni, di colori. Opera artistica di Agnese Sembolini
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Passi d’Amore Accessibilità e servizi Gli interventi maggiori saranno relativi alla creazione di alcuni locali per servizi e per attrezzature tecniche quali una cisterna per la raccolta delle acque indispensabili per la predisposizione di un impianto di irrigazione a goccia e per servizi igienici. Per alcune manifestazioni sarà indispensabile la presenza di energia elettrica. Per dotare la zona di energia si provvederà con un sistema di energia alternativa, eolico-solare. Per mantenere intatto il grande pregio ambientale dell’area in questione si prevede l’ingresso ai Piani del Ruschio esclusivamente con mezzi a traino naturale o con bicicletta o con navetta elettrica. Sarà necessaria una struttura di protezione degli elementi vegetali per possibili danni dovuti ad animali da pascolo e selvatici. 1
Progetto di Giampiero Raspetti. Collaboratori del progetto: Paolo Leonelli, Paolo Rinaldi, Pietro Rinaldi. Istituzioni promotrici: Comune di Stroncone, Comune di Terni. 2 L’articolazione, completa di tutte le manifestazioni, dei luoghi e delle istituzioni che interverranno, sarà esposta in un secondo momento, in fase di definizione pubblica del progetto. 3 Presso il moderno Centro Culturale di Stroncone e presso il Centro Culturale Valentiniano. 4 Progettata per un numero grandissimo di partecipanti. 5 Sono previsti riconoscimenti, cerimonie e pietre per personaggi della storia (anche contemporanei) che si sono distinti (o si distinguono) nel rispetto per la vita. 6 Anche con gemellaggi e per poter istituire in un angolo del loro territorio L’oasi di Valentino e Francesco, come da progetto (non ancora edito) di Giampiero Raspetti. 7 Come da progetto L’oasi di Valentino e Francesco.
Gentile Prof. Frascarelli, in allegato Le invio il progetto descrittivo di “Passi d’amore”. Cordiali saluti. Giampiero Raspetti Caro Raspetti, propongo di fare un incontro con i sindaci del Comuni interessati. I finanziamenti del GAL dovrebbero essere disponibili a ottobre. Per l’Obiettivo 2 entro dicembre si devono definire i programmi della filiera culturaambiente, Misura 3.2, in cui può rientrare il suo progetto. Quindi è il momento per essere operativi, ma occorre coinvolgere le amministrazioni comunali e anche il Presidente del GAL. Io sono disponibile dal 12 al 31 agosto (ad eccezione del 19 e del 22 agosto), poi a settembre. Mi faccia sapere. Cari saluti. Angelo Frascarelli
Il messaggero, sabato 8 giugno 2002 STRONCONE - Il bosco d’amore ai prati di Stroncone, sorge nel segno di San Valentino e San Francesco; è nato a tre chilometri da Greccio e a dodici da Terni. Sono stati piantati i primi tre lecci, alberi di San Francesco, che sono stati donati dal santuario di Greccio, dalla Romita di Cesi, e dal santuario del Beato Antonio Vici di Stroncone. La basilica di San Valentino ha offerto una rosa rossa che farà bella mostra di sé nel bosco. Il progetto, frutto dell’associazione Newpolis, è articolato, oltre al bosco sorgerà anche un tempio realizzato interamente di alberi di carpino. Poco più in là la piazza dei popoli una sorta di bussola realizzata con le pietre di ogni paesino del ternano e poi l’anfiteatro creato su un dislivello naturale. Vogliamo dar vita ad un luogo in cui incontrarsi nel segno del rispetto e della non indifferenza, il bosco d’amore sarà aperto a tutti al di là del colore politico, di quello della pelle, della religione. Il luogo di culto infatti lo abbiamo definito tempio non chiesa, spiega Giampiero Raspetti presidente dell’associazione Newpolis. Per festeggiare la prima “pietra” del bosco è stata organizzata una camminata da Stroncone a Greccio ed una cena di beneficienza, il ricavato è stato donato alla Caritas diocesana per il progetto dell’ospedale della solidarietà.
Disegno e progetto di Paolo Metelli Rinaldi
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Il ruolo della nutrigenomica nella nutrizione umana
La Dietetica e la Nutrizione Umana comprendono una vasta serie di competenze scientifiche che spaziano dall’antropologia alla biologia, dalla biochimica alla genetica fino alla gastronomia. A causa di questi molteplici aspetti è molto difficile analizzare qualsiasi effetto di una dieta o di differenti nutrienti con l’uso dei consueti studi scientifici che correlano causa-effetto. È facile osservare un soggetto febricitante in cui l’azione dell’aspirina fa scendere la febbre, mentre è molto più complicato esaminare come una particolare dieta possa avere i suoi effetti sulla progressione di una malattia, come ad esempio il lupus erytematosus. E ancora come una dieta anti infiammatoria ricca di acidi grassi omega-3 e povera in calorie possa ridurre l’uso di sostanze anti infiammatorie come il cortisone. Poiché una dieta è composta da molti elementi è difficile capire quali nutrienti siano relativamente efficaci e quanto influisca il loro corretto rapporto e quantità. A risolvere questo aspetto della nutrizione ci viene in aiuto la ricerca scientifica con i suoi recenti sviluppi in ampie aree sia della profilassi che dei trattamenti. Si parla di Nutrizione Farmacologica intendendo con essa l’uso appropriato e personalizzato del pool di nutrienti per ciascun individuo correlandolo al proprio personale profilo genetico. Ad esempio, per migliore comprensione di quanto sopra esposto,
alcuni pazienti rispondono meglio agli acidi grassi omega-3 con effetto sulla riduzione dei livelli dell’interlochina-6, un fattore dell’infiammazione, mentre altri no; l’attività anti infiammatoria degli omega-3 è correlata al profilo genetico personale. Nasce oggi il settore chiamto Nutrigenomica, nutrizione adeguata ai propri e singolari profili genetici, e questa scienza è in grado di spiegare il differente effetto dei nutrienti sui singoli individui. Per ogni singolo gene sono infatti presenti dei polimorfismi e ciascun individuo ne esprime uno che può essere predisponente o protettivo rispetto ad un processo patologico. Per esempio diete ricche di zuccheri semplici, in particolare di carboidrati semplici come lo zucchero o bevande dolcificate, porta allo sviluppo di diabete latente in soggetti geneticamente predisposti attraverso un meccanismo di deplezione dell’insulina costantemente stimolata, (meccanismo epigenetico). Conoscere il proprio profilo genetico per quei geni che sono correlati in modo significativo alla nutrizione è semplice e poco costoso, in particolare il lavoro in collaborazione con l’Università di Ferrara, che ha messo in atto le tecniche laboratoristiche di sequenziamento specifiche per la nutrizione, rende possibile l’applicazione della Nutrigenomica anche a livello cittadino. È solo dopo la costruzione del profilo genetico che lo specialista studia la dieta più adeguata con un modello personalizzato sia per situazioni fisiologiche che patologiche. L o re na F a l c i B i a nc o ni
Una soffitta sull’Universo E in quello estivo, invece, oltre alle circumpolari, a cosa possiamo fare riferimento? Sicuramente al cosiddetto “triangolo estivo” composto da tre costellazioni: il Cigno, la Lira e l’Aquila. Ma vedrete che andando avanti nelle osservazioni imparerete a riconoscere a colpo d’occhio le maggiori costellazioni e stelle: basta solo un po’ di costanza! E dimmi, invece, Overlook qualcosa sulle costellazioni zodiacali: come si presentano nel cielo? Ti accontento subito Giovanni! Ogni anno il Sole sembra viaggiare su uno sfondo disegnato: tutti gli anni, alla stessa ora, viaggia attraverso le stesse stelle. Gli antichi le chiamavano le costellazioni dello zodiaco, che significa “circolo degli animali”, e ciò è dovuto al fatto che molte sono rappresentate come figure di animali. Quindi possiamo dire che l’orbita apparente del Sole intorno alla Terra, ma anche degli altri pianeti e della Luna, avviene sulla fascia dello zodiaco. Questa fascia fu suddivisa in 12 costellazioni e così è ancora in uso anche se ci sarebbe una tredicesima costellazione che potrebbe farne parte, solo che per non “rivoluzionare” il tutto per ora si preferisce lasciare le cose come sono. Ma dove hai imparato tutte queste cose Overlook? Naturalmente dall’osservazione, Leonardo, ma anche documentandomi su libri, riviste, filmati, Internet… oggi ci sono così tante fonti di informazione che abbiamo solo l’imbarazzo della scelta! Ovviamente bisogna saper scegliere quelle giuste. Inizialmente può apparire tutto come una grande nuvola nera, poi man mano che
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apprendi, gli elementi iniziano a prendere forma e vedi sempre più chiaramente, fino a che la nuvola scompare! A proposito di nuvole… non vi ho ancora dato qualche informazione sulle nebulose! Già! Ho sentito dire che ci sono luminose e oscure, è vero? Gli uomini sono portati a pensare che il nostro universo sia formato di stelle che si trovano in uno spazio vuoto, ma questo spazio non è completamente vuoto: contiene minuscole tracce di gas e polveri che possono riunirsi formando qua e là nubi più spesse e dense che chiamiamo “nebulose”. Nel cielo possiamo vederne alcune luminose poiché riflettono la luce di qualche stella vicina, ma altre splendono veramente di luce propria poiché le loro particelle di gas raccolgono più energia dai raggi di queste stelle e sprigionano questo eccesso di energia in forma di luce. La nebulosa di Orione, ad esempio, è soprattutto luminosa e queste sono chiamate nebulose ad emissione. E le altre invece? Quelle oscure, come facciamo ad individuarle? Sempre su Orione, possiamo trovare anche una delle nebulose oscure più conosciute che è chiamata Testa di Cavallo poiché ha l’aspetto della testa e della criniera di un cavallo. Riusciamo a vedere queste nubi che non brillano affatto solo quando oscurano la luce delle stelle che si trovano dietro di loro. Hanno l’aspetto di veri e propri “buchi” nello spazio! A volte assumono forme strane e colori che nemmeno immaginiamo e soltanto una lunga esposizione fotografica con un grande telescopio potrà rivelarceli. Michela Pasqualetti mikypas78@virgilio.it
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Un Maestro della Fotografia Italiana: figlio d’arte di una stirpe di fotografi che opera in Gubbio dalla fine del 1800. Garvirati percorre tale attività costellandola di prestigiosi riconoscimenti sia nazionali che internazionali. Ma da più di un decennio si è scoperto pittore di evidente talento. Il balzo in questa nuova vicenda artistica non sorprende più di tanto in quanto Gavirati era già pittore annunciato con la sua eterna fotocamera. Un esordio rapido che evidenzia subito le sue potenzialità creative, che la critica di conseguenza avverte. Si menzionano, tra l’altro: il 1° premio della Critica Francese al XII Grand Prix de la Cote d’Azur MondelieuCannes 2007; Premi per le Arti Visive: Firenze 2007; Certaldo 2008; Foggia 2008 e 2009; Cinque pittori per Paesaggi della Memoria, Galleria Zamenhof, Milano 2009. Nel settembre 2011 gli viene allestita, su invito e curata dall’Euro Deputato Francesco De Angelis, una personale presso la North Gallery del Parlamento Europeo di Strasburgo. Presenti, tra gli altri, il Vice Presidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella, il Sindaco e il Presidente del Consiglio Comunale di Gubbio. Il bel catalogo monografico è a cura di Antonella Pesola, con testi di Franca Calzavacca, Claudia Sensi, Paolo Cicchini e un intervento poetico di Roberto Bellucci. Il Professor Bruno Toscano dedica nel dicembre 2011 un’interessante conferenza sull’Iter artistico del pittore Gavirati, alla Biblioteca Sperelliana della Città di Gubbio. Nel settembre 2013, sempre su invito, una recente personale ha avuto seguito al Museo della Città di Chiari (BS), ove rimangono in permanenza, sia al suddetto Museo che alla Pinacoteca Repossi, due sue opere. Ad Maiora, Gavirati. 50
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