Biennale Architettura 2023 - The Laboratory of the Future - Catalogo italiano

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Appartamenti Nkrumah, Lartebiorkorshie, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagina 1

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Uomini che guidano uno zangbeto (spirito ‘guardiano della notte’ nella cultura Vodun) a Porto Novo, Benin Eric Lafforgue / Alamy

Ridge Towers, AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2022 Pagine 2–3 Appartamenti Nkrumah, Lartebiorkorshie, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 4–5

“L’Africa genera sempre qualcosa di nuovo”. — Plinio il Vecchio




Biennale Architettura 2023

The Laboratory of the Future

Mostra



La Biennale di Venezia

La Biennale di Venezia Presidente Roberto Cicutto Consiglio di Amministrazione Luigi Brugnaro Vicepresidente Claudia Ferrazzi Luca Zaia Collegio dei Revisori dei Conti Pasqualino Castaldi Presidente Ines Gandini Angelo Napolitano Direttore Generale Andrea Del Mercato Direttrice Artistica del Settore Architettura Lesley Lokko


La Biennale di Venezia Direttore Generale — Andrea Del Mercato Struttura Organizzativa

Ufficio Attività Editoriali e Web Responsabile — Flavia Fossa Margutti

Servizi Centrali 18. Mostra Internazionale di Architettura Curatrice della 18. Mostra Internazionale di Architettura — Lesley Lokko Organizzazione Artistica ed Editoriale — Emmett Scanlon Assistente della Curatrice, Progetti Speciali e Biennale College — Alice Clancy Assistente della Curatrice, Design di Mostra — Laurence Lord Assistente della Curatrice — Sarah de Villiers Identità Grafica — Fred Swart Assistenti della Curatrice alla Ricerca — Nana Biamah-Ofosu Charlotte Bird Sarah de Villiers Sarah Harding Lois Innes Nzinga Biegueng Mboup Olasumbo Olaniyi Ruth-Anne Naa Aku Sika Richardson Isaac Nanabeyin Simpson Team AFI — Festus Jackson-Davis Kofi Abankwa Kwabena Akosa Sara Asafu-Adjaye Dominic Daly Ernest Donkor Emily Jones Ruth Wade Kwakwa Naadira Patel Francesca Perry Anthony Wortsem

Affari Legali e Istituzionali, Risorse Umane e Vicariato (Deputy)

— Giovanni Alberti Roberta Fontanin Nicola Monaco Maddalena Pietragnoli Cristiana Scavone

Direttore — Debora Rossi Affari Legali e Istituzionali — Martina Ballarin Francesca Oddi Lucrezia Stocco Risorse Umane — Graziano Carrer Luca Carta Giovanni Drudi Antonella Sfriso Alessia Viviani Rossella Zulian Amministrazione, Finanza, Controllo di Gestione e Sponsorship, Promozione Pubblico Direttore — Valentina Borsato Amministrazione, Finanza, Controllo di Gestione — Bruna Gabbiato Elia Canal Marco Caruso Martina Fiori Gregorio Granati Elisa Meggiato Emanuela Pellicciolli Cristina Sartorel Sefora Tarì Sara Vianello Sponsorship — Caterina De Marco Paola Pavan Promozione Pubblico — Caterina Castellani Serena Cutrone Lucia De Manincor Elisabetta Fiorese Stefania Guglielmo Laura Gravina Emanuela Padoan Marta Plevani

Segreterie Segreteria Generale — Chiara Arisi Caterina Boniollo Maria Cristina Cinti Elisabetta Mistri Cerimoniale — Francesca Boglietti Lara De Bellis Marta Isman Veronica Zuanel Segreteria Biennale College — Claudia Capodiferro Giacinta Maria Dalla Pietà Ufficio Stampa Istituzionale e Cinema Responsabile — Paolo Lughi — Cesare Bisantis Francesca Buccaro Michela Lazzarin Progetti Speciali, Promozione Sedi Direttore — Arianna Laurenzi Progetti Speciali — Valentina Baldessari Francesco Carabba Davide Ferrante Antonino Frenda Carolina Fullin Elisabetta Parmesan Promozione Sedi — Nicola Bon Cristina Graziussi Alessia Rosada

Servizi Tecnico Logistici Direttore — Cristiano Frizzele Progettazione Mostre, Eventi e Spettacolo dal Vivo — Massimiliano Bigarello Cinzia Bernardi Maria Sol Buso Alessandra Durand de la Penne Jessica Giassi Valentina Malossi Sandra Montagner Facility Management — Giulio Cantagalli Piero Novello Maurizio Urso Information Technology — Andrea Bonaldo Michele Schiavon Leonardo Viale Jacopo Zanchi Servizio Acquisti, Appalti e Amministrazione Patrimonio Direttore — Fabio Pacifico Ufficio Acquisti e Appalti — Silvia Gatto Silvia Bruni Angelica Ciabocchi Eleonora Cialini Ufficio Ospitalità — Linda Baldan Jasna Zoranovic Donato Zotta Amministrazione — Maurizio Celoni Antonio Fantinelli


Settore Arti Visive / Architettura Dirigente Responsabile Organizzativo — Joern Rudolf Brandmeyer — Marina Bertaggia Emilia Bonomi Raffaele Cinotti Stefania Fabris Stefania Guerra Francesca Aloisia Montorio Luigi Ricciari Micol Saleri Ilaria Zanella Ufficio Stampa Arti Visive / Architettura Responsabile — Maria Cristiana Costanzo — Claudia Gioia Collaboratori per la 18. Mostra Internazionale di Architettura — Anna Albano Andrea Avezzù Giovanni Bergamo Valentina Campana Antonella Campisi Elena Cattaneo Riccardo Cavallaro Gerardo Ernesto Cejas Marzia Cervellin Francesco di Cesare Francesca Dolzani Andrea Ferialdi Fabrizia Ferragina Giulia Gasparato Matteo Giannasi Manuela Luca’ Dazio Ornella Mogno Daniele Paolo Mulas Luca Racchini Valeria Romagnini Solfato Elisa Santoro Marco Tosato Lucia Toso Francesco Zanon Alessandro Zorzetto

Settore Cinema Direttore Generale — Andrea Del Mercato Segreteria — Mariachiara Manci Alessandro Mezzalira Programmazione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica — Piera Benedetti Giulia Erica Hornbostel Silvia Menegazzi Daniela Persi Venice Production Bridge — Chiara Marin Accrediti Industry / Cinema — Ilaria Cicconi Flavia Lo Mastro Biennale College Cinema — Valentina Bellomo

Archivio Storico della Biennale di Venezia - ASAC Settore Danza, Musica, Teatro Dirigente Responsabile Organizzativo — Francesca Benvenuti Segreteria — Veronica Mozzetti Monterumici Programmazione e Produzione — Michela Mason Federica Colella Maya Romanelli Ufficio Stampa Danza, Musica, Teatro Responsabile — Emanuela Caldirola — Ilaria Grando

Dirigente Responsabile Organizzativo — Debora Rossi Archivio Storico — Maria Elena Cazzaro Giovanna Bottaro Michela Campagnolo Marianna Carpentieri Lia Durante Marica Gallina Helga Greggio Judith Kranitz Silvia Levorato Michele Mangione Manuela Momentè Adriana Rosaria Scalise Alice Scandiuzzi Biblioteca — Valentina Da Tos Valentina Greggio Elena Oselladore 13



Nell’ambito della propria Iniziativa Perpetual Arts, un ampio portafoglio di arti che comprende il programma di mentoring Rolex e copre musica, architettura e cinema, Rolex è orgogliosa di sostenere la Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia, per la quinta volta dal 2014 in veste di Partner Esclusivo e Orologio Ufficiale. Nel sostenere l’eccellenza artistica e la trasmissione della conoscenza alle generazioni future, il Marchio sta fornendo un contributo duraturo alla cultura in tutto il mondo.



Media Partner

Grazie a: Cleary Gottlieb Steen & Hamilton LLP



Un ringraziamento a quanti in qualità di donor hanno generosamente contribuito alla realizzazione della nostra Mostra Holcim Foundation for Sustainable Construction Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Drees & Sommer UniFor


Demas Nwoko

Leone d’Oro alla carriera

“Le lauree honoris causa e i premi alla carriera sono incoraggianti. So che può sembrare strano che una scrittrice che ha al suo attivo molti libri abbia ancora bisogno di incoraggiamento, ma è la verità”. — Joyce Carol Oates



Uno dei temi centrali della 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia è un approccio all’architettura come campo di attività ‘espanso’, che comprende sia il mondo materiale sia quello immateriale; uno spazio in cui le idee sono importanti quanto i manufatti, in particolare al servizio di quanto deve ancora venire. Con tutta la sua enfasi sul futuro, tuttavia, sembra del tutto appropriato che il Leone d’Oro alla carriera venga assegnato a qualcuno le cui opere materiali coprono gli ultimi settant’anni, ma la cui eredità immateriale – approccio, idee, etica – è ancora in fase di valutazione, comprensione e celebrazione. Baba (titolo onorifico nigeriano) Demas Nwoko è tutto al tempo stesso: architetto, scultore, designer, scrittore, scenografo, critico e storico. Se costretto, si definisce “artista-designer”, il che esprime sia la natura poliglotta dei suoi talenti e delle sue opere, sia l’interpretazione alquanto ristretta della parola ‘architetto’ che ha probabilmente tenuto il suo nome fuori dagli annali. Figlio di un Obi (sovrano), è nato nel 1935 a Idumuje-Ugboko, nel sud della Nigeria. I suoi primi passi nella pittura, nel disegno e nell’intaglio alla scuola secondaria di Benin City lo hanno spinto a fare domanda per studiare architettura al Nigerian College of Arts, Science and Technology


Demas Nwoko, fotografato nel luglio 2022 al tavolo da disegno artigianale, nella sua casa-studio a Idumuje-Ugboko, Nigeria. © Andrew Esiebo Pagina 21

di Zaria. Tuttavia, una volta scoperto che il corso si concentrava più sulle capacità di disegno tecnico che sull’immaginazione creativa, ha deciso di cambiare rotta e di dedicarsi allo studio delle Belle Arti. È stato membro fondatore della Zaria Art Society – un gruppo noto anche come Zaria Rebels, di cui facevano parte Yusuf Grillo, Bruce Onobrakpeya, Uche Okeke e Simon Okeke –, interessata a una combinazione di modernità ed estetica africana come linguaggio autentico che riflettesse il crescente spirito di indipendenza politica degli anni Quaranta e Cinquanta. Questo profondo desiderio di fondere e sintetizzare, piuttosto che cancellare, caratterizza il lavoro di Nwoko da oltre cinquant’anni. È stato uno dei primi creatori nigeriani di spazio e forma a criticare la dipendenza della Nigeria dall’Occidente per l’importazione di materiali e beni, oltre che di idee, perseguendo il proprio impegno nell’utilizzo di risorse locali. In un articolo di Wallpaper* pubblicato nel 2022, afferma: “Se avessimo tenuto fede a come operavano i nostri antenati, avremmo raggiunto un certo livello con una gestione ragionevole delle risorse naturali da cui anche il mondo occidentale avrebbe potuto imparare. Stanno usando troppa energia per quello che stanno ottenendo”. Parole con le quali vivere e costruire.


Pur relativamente pochi, gli edifici di Nwoko in Nigeria svolgono due ruoli fondamentali. Precursori delle forme di espressione sostenibili, attente alle risorse e culturalmente autentiche che oggi si stanno diffondendo nel continente africano – e nel mondo –, puntano verso il futuro, un traguardo non da poco per qualcuno il cui lavoro è ancora in gran parte sconosciuto, anche nel proprio Paese. Nel 1977, scrivendo a proposito del primo incarico di Nwoko, la costruzione del complesso per l’Istituto Domenicano di Ibadan, il critico di architettura Noel Moffett affermava: “Qui, sotto un sole tropicale, architettura e scultura si combinano in un modo che solo Gaudí forse, tra gli architetti, è stato in grado di fare in maniera convincente”. È per me un enorme orgoglio e piacere assegnare il Leone d’Oro alla carriera a Baba Demas Nwoko, architetto del XX e XXI secolo, ed esortare tutti i visitatori della 18. Mostra Internazionale di Architettura a visitare la piccola ma perfettamente concepita e articolata esposizione del suo lavoro nel Padiglione Stirling ai Giardini, accanto al Progetto Padiglione Libro di The Laboratory of the Future. Lesley Lokko 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia


Giuria Internazionale:

Nora Akawi Thelma Golden Ippolito Pestellini Laparelli Tau Tavengwa Izabela Wieczorek




Sommario

Biennale Architettura 2023 Mostra

30 Introduzione Roberto Cicutto 40 Agenti di cambiamento Lesley Lokko 28

Biennale Architettura 2023


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AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 26–27

66 Force Majeure 120 Dangerous Liaisons 222 Curator’s Special Projects 270 Special Participations 288 Guests from the Future 356 Carnival 414 Ringraziamenti 378 Biennale College 418 Biografie Architettura dei Partecipanti 396 Archive of the Future e Crediti 29


Introduzione

Roberto Cicutto Presidente de La Biennale di Venezia

La responsabilità principale per un Presidente della Biennale di Venezia è certamente il compito affidatogli dallo Statuto di scegliere i Direttori Artistici da proporre all’approvazione del Consiglio di Amministrazione. Per questo cerco di spiegare (almeno per quanto mi riguarda) che cosa attenda al percorso di costruzione di una Mostra di Architettura e attraverso quali passaggi si giunga alla scelta di chi la deve curare. 30

Biennale Architettura 2023


Per me la scuola è stata l’esperienza delle Mostre Internazionali di Architettura del 2021 e di Arte del 2022, entrambe appesantite dalla presenza del Covid che ha aggiunto ulteriori difficoltà e la necessità di prendere decisioni pesanti dovute all’incertezza della loro realizzazione. Il rapporto del Presidente e dell’Istituzione con il Curatore diventa quindi imprescindibile perché le cose volgano al meglio. Per questo penso che nella scelta del Curatore, dopo avere intervistato e ‘studiato’ varie possibili candidature, deve prevalere la fiducia e la comprensione reciproca. L’autonomia realizzativa dei Direttori Artistici è totale (vale per Architettura e per tutte le altre discipline di cui ci occupiamo). Una volta ricevuto l’incarico e individuato il titolo della Mostra, la sua ricerca è libera come lo è il tipo di allestimento a cui ricorre per raccontare quanto ha scelto di presentare. La Curatrice o il Curatore della Mostra devono quindi avere la certezza di poter agire liberamente nelle sue scelte artistiche. Tale fiducia è garantita dall’altissima professionalità presa in considerazione al momento della sua nomina. L’altro aspetto importante da tener presente è il modo in cui la Mostra precedente è stata accolta dai diversi pubblici che l’hanno visitata: professionisti del settore, stampa nazionale e internazionale, visitatori, mondo della formazione. 31


Tutto questo porta a una sintesi che determina la percezione con cui quella Mostra sarà ricordata. Quella successiva deve mantenere un discorso di continuità evolutiva o, al contrario, di discontinuità. Una decisione che non può prescindere dalle molte istanze proprie del tempo in cui una Mostra si realizza, per assecondarle o magari in parte per contrastarle. Molto spesso la Mostra è articolata in sezioni che rispondono a un tema. Quelle individuate da Lesley Lokko sono Force Majeure, Dangerous Liaisons, Curator’s Special Projects, Special Participations, Guests from the Future e Carnival. Le sezioni (Scales/Scale) della Mostra di Hashim Sarkis nel 2021 dal titolo How Will We Live Together? erano Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders, As One Planet, Forte Marghera - How Will We Play Together? Già guardando a queste due impostazioni si comprende come le ultime due direzioni della Biennale Architettura abbiano sconfinato dalla scienza del costruire per guardare ai contenuti cui quella scienza dovrebbe riferirsi. Non mancavano nella Mostra di Sarkis e non mancheranno in quella di Lokko esempi concreti di architettura; ciò nonostante entrambi hanno cercato di dare una risposta, prima di tutto a loro stessi e agli altri, alla domanda su quali debbano essere gli scopi 32

Biennale Architettura 2023


di una architettura contemporanea, che spesso cala l’oggetto in contesti reali mostrando, mai come negli ultimi anni, criticità inedite e cambiamenti necessari nel modo di vivere di tutti gli esseri che popolano il nostro pianeta. Sono convinto che questo atteggiamento non risponda solo ad affermazioni di principio o a posizioni ideologiche ma colmi una falla: dare un senso ancora più compiuto al lavoro dell’architetto (o come preferisce chiamarlo Lesley Lokko del practitioner) inserendolo in una visione complessa e a 360 gradi per gli enormi impatti nella vita di miliardi di esseri viventi (includo ovviamente anche animali e vegetali). Nelle molte interviste fatte e negli incontri con professionisti del settore, prima di arrivare alla scelta finale di chi avrebbe curato questa Biennale Architettura, ho riscontrato una forte consapevolezza dei compiti assegnati a questa disciplina. Può una Istituzione come La Biennale di Venezia, che fa della ricerca il suo punto nodale e sempre più si pone essa stessa come un laboratorio che elabora i contenuti forniti dalle direzioni artistiche, ignorare questa evoluzione? Lo fanno già le Arti Visive, il Cinema, la Danza, la Musica e il Teatro. Può non farlo l’Architettura che di tutte queste Arti è quella che più fortemente può essere definita ‘arte applicata’? Dopo la conferenza stampa di presentazione del progetto per la 18. Mostra Internazionale di 33


Architettura The Laboratory of the Future, si sono letti molti articoli sulla stampa nazionale e internazionale. Molti sono favorevoli all’impostazione della Curatrice e hanno lodato la visibilità data al continente africano e alle motivazioni di questa scelta. Altri (una minoranza in verità) hanno sollevato la questione se quel concetto di Mostra rispondesse anche alle esigenze di chi vuole vedere realizzazioni concrete, giudicare la bellezza o meno delle costruzioni, se rispondesse, in sostanza, alla domanda “come saranno i palazzi di domani?”. Nel momento in cui scrivo mancano poche settimane all’apertura della Mostra, e tutto quello che oggi rappresenta ancora un’ipotesi diventerà inevitabilmente parte della storia della Biennale e quindi della storia dell’architettura, patrimonio per tutti coloro che vorranno approfondirne i contenuti. Ringrazio Lesley Lokko per aver fatto un passo ulteriore con questa ‘indagine’ sull’architettura, per svelare le troppe falle ancora aperte nel mondo, per completare una storia partendo da esperienze concrete vissute in un continente di cui tutti parliamo, ma che in fondo non conosciamo. Un continente che ha già sperimentato molte delle criticità che oggi riguardano tutti noi. Si ringraziano tutti i Paesi partecipanti e le nuove Partecipazioni Nazionali. 34

Biennale Architettura 2023


Si ringrazia il Ministero della Cultura, le Istituzioni del territorio che in vario modo sostengono La Biennale, la Città di Venezia, la Regione del Veneto, la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, la Marina Militare. Un ringraziamento va a Rolex, Partner e Orologio Ufficiale della manifestazione, e agli Sponsor Bloomberg Philanthropies con Bloomberg Connects e Vela-Venezia Unica. Si ringraziano i Donor, gli Enti e Istituzioni internazionali importanti nella realizzazione della Biennale Architettura 2023. In particolare, i ringraziamenti vanno a Lesley Lokko e a tutto il suo team. Grazie, infine, a tutte le grandi professionalità della Biennale applicate con grande dedizione alla realizzazione e alla gestione della Mostra. Roberto Cicutto

Presidente de La Biennale di Venezia

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“Non ci sarà un momento nel futuro in cui risolvere il problema della nostra salvezza. La sfida è nel presente; il tempo è sempre ora”. — James Baldwin


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Vista dalle Ridge Towers, Accra AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2022 Pagine 38–39




Agenti di cambiamento

Lesley Lokko

Che cosa significa essere ‘un agente di cambiamento’? La domanda ha accompagnato il periodo di gestazione di The Laboratory of the Future, fungendo sia da matrice sia da forza vitale della mostra che si dispiegava nell’occhio della mente, dove ora aleggia, quasi al momento della sua nascita. Negli ultimi nove mesi, in centinaia di conversazioni, messaggi, chiamate Zoom e riunioni, è emersa più volte la questione se mostre di questa portata siano giustificate, sia in termini di emissioni di carbonio sia di costi. Nel maggio dello scorso anno ho definito più volte la Mostra ‘una storia’, una narrazione che si sviluppa nello spazio. Oggi la mia interpretazione è cambiata. Un’esposizione di architettura è contemporaneamente un momento e un processo. Attinge la sua struttura e il suo formato dalle mostre d’arte, ma differisce dall’arte per aspetti cruciali che spesso passano inosservati. 40

Biennale Architettura 2023


Oltre al desiderio di raccontare una storia, le questioni relative a produzione, risorse e rappresentazione sono centrali per il modo in cui nasce una mostra di architettura, ma raramente vengono riconosciute o discusse. Fin dall’inizio, era chiaro che il gesto essenziale di The Laboratory of the Future sarebbe stato il cambiamento. All’interno di quelle stesse discussioni che cercavano di giustificare l’esistenza della Mostra, c’erano conversazioni difficili e spesso emotive riguardanti risorse, diritti e rischi. Per la prima volta in assoluto, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla diaspora africana, quella cultura fluida e ingarbugliata di persone di origine africana che oggi attraversa il globo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diciamo cambierà qualcosa? E, forse cosa più importante, in che modo quello che diciamo interagirà con e pervaderà ciò che dicono gli ‘altri’, affinché la mostra non sia una singola storia, ma molteplici storie che riflettono l’enigmatico e meraviglioso caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati con cui ogni voce risponde alle questioni del suo tempo? 41


Si dice spesso che la cultura sia la somma totale delle storie che raccontiamo a noi stessi e di noi stessi. Manca tuttavia in questa affermazione un qualsiasi riconoscimento di chi sia il ‘noi’ in questione. In architettura in particolare, è stata storicamente dominante una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere ignorano enormi fasce di umanità – finanziariamente, creativamente, concettualmente – come se avessimo ascoltato e parlato in una sola lingua. La ‘storia’ dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. È in questo contesto che le mostre hanno un peso particolare. Sono un momento unico in cui ampliare, cambiare o raccontare una nuova storia, il cui pubblico e il cui impatto si fanno sentire ben oltre le mura fisiche e gli spazi che la ospitano. Ciò che diciamo pubblicamente è importante, perché è il terreno su cui si costruisce il cambiamento, a piccoli passi e anche con balzi da gigante. The Laboratory of the Future non ha un’impronta didattica. Non conferma direzioni, non offre soluzioni o impartisce lezioni. Invece, è intesa come un momento di rottura, un agente di cambiamento, dove lo scambio tra partecipante, mostra e visitatore non è passivo o predeterminato. Lo scambio è inteso come reciproco, importante e imprevedibile nella sua forma, in cui ogni partecipante viene trasformato dall’incontro e incoraggiato a proseguire verso un altro futuro. 42

Biennale Architettura 2023


La Curatrice desidera ringraziare Darren Walker, Presidente Ford Foundation ROLEX Bloomberg Philanthropies per il loro generoso sostegno nella realizzazione di parti cruciali della 18. Mostra Internazionale di Architettura. 43




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Tetti a Somanya, Regione Orientale, Ghana Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 46–47

“La cartografia non è passiva, non è solo un’osservazione visiva del mondo. È attiva. Ha anche il potere di plasmare il mondo. Come strumenti di conquista o di resistenza, le mappe trasformano la cultura. Ci è stato insegnato a concepire i Paesi come se fossero fissi, immutabili ed eterni, e ci è stato insegnato a definire noi stessi nello stesso modo. Ma i Paesi scompaiono (Jugoslavia), compaiono (Sud Sudan), compaiono e rapidamente scompaiono (Repubblica Araba Unita). Alcuni sono persino più giovani di me (Somalia)”. — Isaac Nanabeyin Simpson


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World Watersheds, ‘Style M’, with Un-Interrupted (!) Oceanographics Chuck Clark 2000, 2023


The Laboratory of the Future

Giardini Padiglione Centrale

Luoghi della Mostra

Forte Marghera Arsenale Corderie e Artiglierie



Venezia

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1 2 3 50

Giardini Padiglione Centrale Arsenale Corderie e Artiglierie Forte Marghera Biennale Architettura 2023


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1

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Giardini

1. 2.

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Padiglione Centrale Padiglione del Libro Leone d’Oro alla carriera Demas Nwoko Biennale Architettura 2023


1

2

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Padiglione Centrale

Force Majeure 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.

54

Adjaye Associates atelier masōmī BASIS with GKZ Cave_bureau Hood Design Studio Ibrahim Mahama Kéré Architecture Koffi & Diabaté Architectes MASS Design Group Olalekan Jeyifous SOFTLAB@PSU Studio Sean Canty Sumayya Vally e Moad Musbahi Thandi Loewenson Theaster Gates Studio urban american city (urbanAC)

Curator’s Special Projects Guests from the Future 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26.

Ainslee Alem Robson Banga Colectivo Blac Space Cartografia Negra Courage Dzidula Kpodo con Postbox Ghana Faber Futures Folasade Okunribido New South Riff Studio Tanoa Sasraku

Curator’s Rooms 27. 28. 29. 30.

Archive of the Future Loom Portico Shade Biennale Architettura 2023


3

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17

10

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13

1

18 28

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14

7

7 Design

5

19

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6

1 2

29

22 4 11

30

55


Arsenale

1. 2. 3.

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Adjaye Associates / Force Majeure Studio of Serge Attukwei Clottey / Dangerous Liaisons Sumayya Vally & Moad Musbahi / Force Majeure Biennale Architettura 2023


3 2 1

3 3

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Corderie e Artiglierie

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23 23 58 10 10

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60 2

13 13

11

2

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60

21 21

34 34

2727

53 12 12

25

Dangerous Liaisons 1. 2.

3. 4. 5. 6. 7.

8. 9. 10. 11. 12. 13.

58

AD—WO AMAA Collaborative Architecture Office for Research and Development Andrés Jaque/Office for Political Innovation Paulo Tavares/autonoma BDR Bureau e carton123 architecten DAAR — Alessandro Petti e Sandi Hilal David Wengrow e Eyal Weizman con Forensic Architecture e The Nebelivka Project Dream The Combine Dualchas Architects Estudio A0 Flores & Prats Architects Gbolade Design Studio Gloria Cabral e Sammy Baloji con Cécile Fromont

14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27.

28.

GRANDEZA STUDIO Huda Tayob kate otten architects Killing Architects Le laboratoire d’architecture Liam Young Low Design Office MMA Design Studio Neri&Hu Design e Research Office Office 24-7 e Lemon Pebble Architects orizzontale Rahul Mehrotra con Ranjit Hoskote SCAPE Landscape Architecture Stephanie Hankey, Michael Uwemedimo e Jordan Weber Studio Barnes

29. 30. 31. 32 33. 34. 35. 36. 37.

Studio of Serge Attukwei Clottey Suzanne Dhaliwal Sweet Water Foundation The Funambulist Twenty Nine Studio Ursula Biemann White Arkitekter Wolff Architects ZAO/standardarchitecture Biennale Architettura 2023

54 36 50 63

1818 5 36 50 17 4

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20

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24 9

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19

16

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50 6

50

8

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1

22

62 35

3

49 5

50

65

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Guests from the Future

Curators Special Projects:

38. 39. 40.

41.

42. 43. 44.

Food, Agriculture & Climate Change BothAnd Group Gloria Pavita Margarida Waco Gender & Geography Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday e Mareli Stolp in collaborazione con Sedinam Awo Tsegah Gugulethu Sibonelelo Mthembu Ines Weizman J. Yolande Daniels

45.

46. 47. 48.

49. 50. 51.

Mnemonic Adjaye Associates con Kiran Nadar Museum of Art Craig McClenaghan Architecture Looty Mabel O. Wilson, J. Meejin Yoon and Eric Höweler in collaborazione con Josh Begley and Gene Han Special Participations Amos Gitaï James Morris Rhael ‘LionHeart’ Cape

52. 53. 54. 55. 56. 57.

58. 59. 60. 61. 62. 63.

Anusha Alamgir Arinjoy Sen Aziza Chaouni Projects Black Females in Architecture Dele Adeyemo Elementerre con Nzinga Biegueng Mboup e Chérif Tall Ibiye Camp Juergen Strohmayer e Glenn DeRoché Lauren-Loïs Duah Miriam Hillawi Abraham Moe+ Art Architecture Rashid Ali Architects

Curator’s Rooms 64. 65.

Portico Square 59


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Affissioni lungo la George W. Bush Highway, Accra, Ghana Festus Jackson-Davis 2022



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Affissioni lungo la George W. Bush Highway, Accra, Ghana Festus Jackson-Davis 2022





Force Majeure

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Biennale Architettura 2023


atelier masōmī Cave_bureau Ibrahim Mahama Koffi & Diabaté Architectes Olalekan Jeyifous Studio Sean Canty Thandi Loewenson urban american city (urbanAC) Force Majeure

Adjaye Associates Basis con GKZ Hood Design Studio Kéré Architecture MASS Design Group SOFTLAB@PSU Sumayya Vally e Moad Musbahi Theaster Gates Studio 67


Estratto dalla ‘Lettera d’interesse’ della Curatrice

inviata il 27 giugno 2022

Irresistibile: sembra una descrizione azzeccata delle sedici partecipazioni al Padiglione Centrale. Il loro è un campo niente affatto esaustivo: è una fonte di piacere e delizia coglierne la natura in continua espansione in tempi di tale incertezza e paura. 68

Biennale Architettura 2023


Siete considerati una forza maggiore culturale e sociale, e l’obiettivo è che la vostra partecipazione venga mostrata nel cuore dei Giardini, dove sono ospitati ben ventinove padiglioni nazionali. Propongo che il Padiglione Centrale sia una raccolta di singole opere, azioni, percorsi e distinzioni, intrecciati fra di loro dal punto di vista spaziale e curatoriale. Il vostro contributo può essere ospitato in una o più sale; questo si svilupperà lavorando insieme nei prossimi mesi. Il termine ‘forza maggiore’ è una clausola inclusa nei contratti che esonera dalla responsabilità per ciò che è imprevedibile e inevitabile, solitamente formulato come catastrofe. In alcune giurisdizioni, ci sono tre test per determinare se la forza maggiore possa essere addotta a prova: l’evento deve essere imprevedibile, esterno e irresistibile. Di recente sono state sollevate domande su che cosa sia o non sia prevedibile in senso legale, data la crescente attenzione rispetto a pandemie, minacce poste dal cambiamento climatico, disordini sociali.

“Forza maggiore: vis maior cui resisti non potest”. Force Majeure

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Condizioni di scarsità Lagos

Tosin Oshinowo

L’Africa contemporanea è vittima di secoli di sfruttamento coloniale e di norme culturali indigene sistematicamente disprezzate dalle gnoseologie del Nord globale. Gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta del Novecento furono periodi di intensa attività: si formarono le economie, le città si svilupparono e si espansero e la popolazione rurale di gran parte dei Paesi vide una crescita costante. L’emancipazione culturale arrivò con una promessa di prosperità economica, una narrazione che riformula il modernismo come nazionalismo. Il modernismo offriva una tela bianca e un’opportunità per costruire un’identità neo-equanime. Ha soppresso la diversità etnica a favore di nuove identità nazionali, ritenute necessarie per quelle società emerse divise dopo il dominio coloniale. Questo nuovo cosiddetto modernismo tropicale ha anche portato i principi di una progettazione sensibile al clima. La forte identità visiva dei blocchi di cemento decorativi, ad esempio, consentiva il naturale movimento dell’aria tra le parti esposte al sole e quelle ombreggiate dell’edificio, per rinfrescarlo e creare privacy. Si tratta di principi fondamentali per l’uso del cemento ai Tropici ma, come per le ideologie 70

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colonialiste, negava al suo contesto il valore culturale. Il nuovo linguaggio architettonico ha operato su scale diverse. A Lagos il governo post indipendenza ha avviato negli anni Sessanta ambiziosi programmi di ricollocamento, portando le persone dai fatiscenti quartieri poveri nel cuore della città a un nuovo quartiere residenziale sulla terraferma. Surulere è stata costruita con principi modernisti: case unifamiliari in strade private, condomini lungo ampie vie e strutture di supporto. Al suo completamento, il progetto, ideato da Oluwole Olumuyiwa (il primo nigeriano ad aver conseguito una formazione come architetto), è stato criticato per non aver considerato i molteplici stili di vita e le abitudini dei nigeriani. Il modernismo si sarebbe dovuto adattare alla cultura e non la cultura al modernismo. Sebbene climaticamente appropriati, progetti come Surulere erano culturalmente scollegati. Come molti progetti analoghi che non hanno tenuto conto delle norme culturali esistenti, queste soluzioni ben intenzionate sono cadute in rovina. Gran parte dell’Africa non ha mantenuto la promessa di prosperità dell’indipendenza. Lo sviluppo delle infrastrutture regionali ha continuato a incoraggiare la migrazione dalle zone rurali a quelle urbane senza riqualificare le infrastrutture cittadine per sostenere questa crescente densificazione. La città africana postcoloniale – proposta come modello di progresso – è rimasta schiacciata dallo stato postcoloniale. La scarsità, un tempo considerata una condizione preindustriale, Force Majeure

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è ora la base dell’esistenza. Nei sobborghi della classe media, le strade private moderniste sono state convertite in proprietà recintate con accesso controllato per motivi di sicurezza. Le recinzioni sono stratificate come gli anelli di un albero poiché nel tempo le altezze sono aumentate a causa dell’aumento dei divari socioeconomici, mantenendo i ricchi dentro e i poveri fuori. Contro ogni previsione, negli anni Ottanta e Novanta, queste condizioni di scarsità hanno prodotto innovazione. Il progetto Shanty Mega-Structures di Olalekan Jeyifous è una rappresentazione visiva futurista di questa continua traiettoria. Gli ingorghi di metà anni Novanta hanno trasformato le strade in mercati, con venditori ambulanti che offrono ai pendolari frustrati la comodità di acquistare di tutto dai finestrini dell’auto, dagli articoli per la casa alle ricariche del cellulare, fino a cuccioli di animali. Il progetto di Nifemi MarcusBello, A Designer’s Utopia, cataloga questa collettiva conoscenza contemporanea dei prodotti indotta dalle condizioni socioeconomiche. Da Banjul a Bujumbura, la storia rimane pressoché immutata. Portate sull’orlo del collasso da principi di pianificazione ereditati o adottati dall’Occidente o dal Nord del mondo che semplicemente non funzionavano, in qualche modo le città africane sono lentamente riuscite a crescere e prosperare, grazie all’ingegno nato da queste condizioni di scarsità. È qui che dal continente africano apprendiamo le lezioni più preziose. Le sfide dell’Africa contemporanea non sono 72

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una minaccia, bensì un’opportunità per ripensare la premessa secondo cui l’architettura è imposta da principi gerarchici, dall’alto verso il basso, applicati ovunque. Le nostre tradizioni costituiscono una conoscenza collettiva nata dalla pratica quotidiana, dalla determinazione e dall’innovazione. La risposta dell’architetto a un sito non può essere solo una soluzione: a informare il progetto deve essere una comprensione modulata dell’ambiente, della cultura e del contesto. L’Africa non si sta mettendo al passo con il modernismo, è il modernismo che si sta mettendo al passo con noi. Poiché il resto del mondo affronta simili sfide di scarsità a causa della nostra urgente crisi climatica, la resilienza del continente è un esempio di approccio alternativo. Le innovazioni basate su ingegnosità, materialità e rilevanza contestuale funzionano, ma mancano di velocità e scala industrializzate. Accrescere le nostre risposte alle sfide potrebbe essere un fattore chiave nelle soluzioni globali. La modernità africana continuerà a essere segnata dalla migrazione rurale-urbana, che a sua volta richiede risposte più rapide e ampie. Le nostre città sono esempi di soluzioni dal basso e mostrano come sia possibile adattarsi, piuttosto che controllare. Mentre affrontiamo le sfide climatiche, l’Africa offre una miriade di esempi di città che si sono adattate e hanno prosperato. In più modi di quanti si possano contare, la città africana è The Laboratory of the Future, con molte lezioni apprese dal passato. Force Majeure

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Negozi nel mercato Makola, Accra Lesley Lokko 2009

Moschea Djinguereber, Timbuctu, Mali James Morris 2004

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“Sento ruggire il silenzio delle donne”. — Thomas Sankara

Il presidente francese François Mitterrand ricevuto da Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso (1983-1987), 17 novembre 1986, Ouagadougou, Burkina Faso. 76

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Getty Images

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Micro Kwaeε 2022

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Macro Kwaeε 2022

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Adjaye Associates

Progettato interamente in legno, nella sua forma e materialità il Kwaeε assume le qualità del suo omografo, che in twi, una delle lingue principali del Ghana, può essere tradotto con ‘foresta’. È concepito come spazio dedicato sia alla meditazione che alla programmazione attiva. L’intero progetto mira a favorire la conversazione e la riflessione, presentando una porta d’ingresso, una piattaforma, uno spazio per ricevere e una finestra in un’entità singola e unificata. La struttura esterna assume la forma di un prisma triangolare punteggiato da due oculi, mentre lo spazio interno è un ovoide scolpito che ricorda una grotta. La forma distorta è impostata ad angolo e si appoggia al perimetro per creare passaggi e aperture per l’ingresso e l’uscita. Riducendo al minimo la discontinuità, la struttura totalmente in legno crea una foresta di luci e ombre. Sfruttando la sua posizione centrale, il Kwaeε è una costruzione abitabile allo stesso tempo attiva e passiva, che offre uno spazio di riposo e di raduno, nonché un luogo per eventi polivalenti. Fungendo da dispositivo sia di richiamo che di registrazione, l’attività all’interno del Kwaeε si estenderà non solo a conferenze, tavole rotonde e rappresentazioni, ma sarà anche uno spazio per esperienze uditive d’archivio. Estendendo la tematica dei progetti paralleli dell’Adjaye Associates all’interno di The Laboratory of the Future, il Kwaeε è anche uno spazio per l’ascolto del passato, in cui si alterneranno racconti d’archivio, musica, poesie, recital, dibattiti e conferenze. Force Majeure

Kwaeε 79


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Phyigital Futures Lab 2 2022

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Phyigital Futures Lab 1 2022

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Adjaye Associates

L’Adjaye Futures Lab presenta modelli fisici abbinati a film narrativi. I progetti qui selezionati propongono delle narrazioni emerse al di fuori del canone dominante, come la Thabo Mbeki Presidential Library e la sua ispirazione precoloniale, e l’Edo Museum of West African Art / Creative District, che mira a ricostruire, far risorgere e riposizionare l’antica Benin City come centro di produzione culturale. Si tratta di narrazioni che testimoniano una continua ricerca per definire, amplificare e incoraggiare la connessione diasporica e la produzione culturale, espresse attraverso il progetto del Newton Enslaved Burial Grounds and Museum e l’Africa Institute di Sharjah. Nel loro insieme, i progetti selezionati esprimono i concetti di creazione di luoghi, identità, memoria e significato come elementi centrali del processo di progettazione con l’ambizione di creare strutture che favoriscano forme positive di trasformazione umana. Force Majeure

Adjaye Futures Lab 81


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Of the Earth 2022

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Adjaye Futures Film 2 2022

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Adjaye Associates

Il film Lost Knowledge Systems (LKS) è curato attraverso la lente di quattro materiali: terra, legno, paglia e pietra. Tramite la narrazione di un copione, le immagini storiche e la riproduzione di disegni d’archivio, LKS illustrerà come gli stati tribali dell’Africa precoloniale avessero ciascuno la propria morfologia architettonica, iconografia e metodologia di costruzione, ognuna delle quali era basata su condizioni geografiche, climatiche e culturali uniche. In dialogo con LKS, l’Adjaye Futures film presenta una serie di progetti cinematografici. Questi film – ognuno in fasi diverse del suo sviluppo, dall’ideazione al completamento – aprono una finestra sull’etica e sul processo di progettazione di Adjaye Associates, evidenziando un tipo di architettura che emerge come estensione del nostro essere collettivo, piuttosto che come ostacolo o interruzione per l’umanità. Tematicamente intrecciati, i progetti selezionati si basano sul dialogo interculturale all’interno di un contesto globale. Ogni progetto nasce da narrazioni emerse al di fuori dei canoni occidentali ed eurocentrici dominanti, e nel loro insieme esprimono l’idea che la creazione di luoghi, l’identità, la memoria e il significato siano centrali nel processo di progettazione. I progetti includono la Abrahamic Family House ad Abu Dhabi, EAU; The Africa Institute di Sharjah, EAU; ospedali distrettuali in varie località del Ghana; Edo Museum of West African Art a Benin City, Nigeria; Newton Enslaved Burial Grounds and Museum a Bridgetown, Barbados; cattedrale nazionale del Ghana ad Accra, Ghana; Studio Museum di Harlem, New York City, USA; e la Thabo Mbeki Presidential Library a Johannesburg, in Sudafrica. Force Majeure

Lost Knowledge Systems 83


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HIKMA 2018

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atelier masōmī

Per fare architettura in un contesto di scarsità, di clima estremo e di vulnerabilità economica, ci affidiamo al ‘processo’ di portare in primo piano le narrazioni locali, traducendo in forma architettonica le identità e la storia espropriate. È un approccio che chiamiamo Process. L’installazione porta in primo piano i precedenti, le narrazioni e le idee situate al centro del nostro lavoro. Il luogo che abbiamo scelto, Niamey, in Niger, con tutte le caratteristiche ecologiche, economiche e culturali del contesto in cui ci troviamo e con l’eliminazione dalla coscienza pubblica delle tecniche costruttive tradizionali, rappresenta un laboratorio da cui partire per realizzare un’architettura riflessiva ispirata al passato e al tempo stesso proiettata verso l’innovazione e il futuro. Process è un scontro tra futuro e passato alla ricerca di approcci architettonici innovativi che siano rilevanti per le sfide di oggi. L’approccio al progetto di atelier masōmī attribuisce grande importanza all’eredità culturale, alle narrazioni, all’ingegnosità e all’identità di un particolare contesto. Ci concentriamo su tre precedenti studi sull’architettura saheliana, affiancandoli ai nostri progetti Hikma Community Complex, Bët-bi Art Museum e Ellen Johnson Sirleaf Presidential Center for Women and Development. Tramite modelli, video e piante disegnate a mano, Process è un viaggio nel nostro laboratorio del futuro, a Niamey. Scegliendo di disegnare le piante sui muri, Mariam Issoufou Kamara si iscrive nella narrazione del tema di quest’anno, richiamando l’attenzione sulla complessità insita nella semplicità e sull’importanza di camminare con leggerezza su questa terra. Force Majeure

Process 85


Robots of Brixton 2011

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Basis con GKZ

Questo lavoro è un’esplorazione narrativa di passati controfattuali e ipotetici futuri che combina film, suono e computer per trasportare il pubblico oltre i vincoli del presente. Robots of Brixton è un discorso architettonico – narrato attraverso i linguaggi del montaggio e del film – che esplora i temi legati a razza, classe sociale, immigrazione e Londra urbana contemporanea. È la storia specifica di un luogo (Brixton) e di un tempo (anni Ottanta), che richiama in modo stranamente profetico le più recenti proteste urbane in tutto il mondo. Segue le prove e le tribolazioni cui sono sottoposti giovani robot che sopravvivono nelle aree più difficili dei centri urbani, un’esistenza prevedibile e precaria, caratterizzata da povertà, disillusione e disoccupazione di massa. Quando la polizia invade l’unico spazio che i robot possono chiamare proprio, il rapporto feroce e teso tra le due parti culmina in uno scoppio di violenza che fa eco alle proteste del 1981. Djali esplora la narrazione e la visualizzazione di mondi ipotetici, narrati dalla prospettiva di un’intelligenza artificiale interna ad essi. Dal punto di vista esperienziale, Djali è interattivo, e si basa sui progressi negli ambiti dell’elaborazione del linguaggio naturale, della visione artificiale e del calcolo per simulare la capacità umana di esplorare mentalmente mondi possibili, e persino impossibili, con l’occhio della mente. Force Majeure

Djali 87


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Freedom Forest 2023

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Freedom Forest Map 2023

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Cave_bureau

Abbiamo scelto di celebrare gli archivi africani originali, tramandati di generazione in generazione, utilizzando storie, canzoni, danze e poesie. Sono archivi tenuti in vita dai custodi della nostra cultura, attraverso l’evocazione di racconti ed eventi sia reali che immaginari. Spesso, se non sempre, erano intrecciati con i sistemi naturali della biosfera di terra, mare e aria attorno a noi. Questi archivi hanno permesso una comunione continua con caverne, foreste, deserti, valli, oceani, montagne e praterie, oltre che con il resto della vita nei regni visibili e invisibili attraverso vasti territori cosmologici dell’essere e dell’esistenza. Per The Laboratory of the Future, presentiamo la nostra prassi oralearchitettonica, aprendo il nostro archivio di film e audio attraverso la visualizzazione di azioni collettive spesso svolte all’interno di ambienti naturali quali grotte e foreste. È un compendio tripartito proiettato all’interno di una camera oscura, che mostra le nostre metodologie di lavoro nei seguenti canali a parete. Canale 1 racconta il nostro impegno orale con le comunità rupestri e la vita “più che umana” tutt’intorno. Canale 2 presenta il nostro sistema di cartelle del Museo dell’Antropocene, con suoni di pipistrelli, babbuini, insetti, uccelli, canzoni e macchinari, tra le varie produzioni immateriali. Sul Canale 3 si trovano disegni, mappe e modelli del lavoro svolto su vasti siti geologici di importanza storica. Force Majeure

Oral Archive (New Age Africana) 89


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Three Trees 2019

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Hood Design Studio I paesaggi culturali neri di Charleston, la Carolina del Sud e il Lowcountry rischiano di essere cancellati. Lo sviluppo di zone acquitrinose e la diminuzione delle proprietà fondiarie rurali mettono in pericolo questi paesaggi culturali ‘nativi’ che si estendono per oltre 31.000 chilometri quadrati, dalla Carolina del Nord alla Florida, creando un dialogo tra il popolo Gullah Geechee ridotto in schiavitù, le piantagioni, il riso Carolina Gold, i cesti fatti di Hierochloe odorata (erba dolce, o sweetgrass) e l’Africa. Discendente dal vicino paesaggio di piantagioni, l’insediamento agricolo rurale di 400 ettari di Phillips è oggi una modesta comunità residenziale lungo la storica Route 1. Il paesaggio al di là della piccola area di terreno coltivato è chiamato ‘overgrown’ (incolto), traboccante di flora autoctona come pino, quercia e palma. Native(s) suggerisce che Phillips può rinascere. Ripensa la parola ‘nativo’, esplorando un vocabolario alternativo per immaginare criticamente nuove formazioni ibride di paesaggi indigeni e stranieri. La Route 1 era lo storico percorso lungo cui esibire e vendere i cesti di sweetgrass, un paesaggio culturale che celebrava i Gullah Geechee. Ma il cosiddetto ‘progresso’ ha sostituito il morbido ciglio della strada con cordoli e canaline di scolo. Come mostrato all’interno di The Laboratory of the Future, proponiamo un nuovo Arts Lifeway nella palude di Phillips, che si snoda tra erbe e canne. I padiglioni per la fabbricazione di cesti rivelano la loro logica di produzione e ornamento lungo un percorso di sweetgrass che collega il paesaggio collettivo. I grandi cesti per il riso che gli uomini usavano per il raccolto hanno ispirato le colonne, mentre la fabbricazione di ceste ornamentali per mano di donne e bambini ha influenzato il tetto e le tende da sole. Costruite con legno rinnovabile raccolto dall’overgrown, le case e il sentiero parlano dell’ininterrotta occupazione di un paesaggio nativo. Force Majeure

Native(s) Lifeways 91


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20th-century Elephant leg furniture 2022

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Occupation of shea trees with the Parliament of Ghosts 2022

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Ibrahim Mahama

Parliament of Ghosts è stato inizialmente concepito per la galleria d’arte The Whitworth a Manchester come parte del Manchester International Festival nel 2019. In origine, il lavoro affrontava idee storiche sui materiali e questioni relative allo sfruttamento coloniale, per poi essere in seguito trasformato nell’architettura di Red Clay a Tamale, Ghana. L’allestimento consente agli oggetti e agli ecosistemi di coesistere con la forma architettonica, da un punto di vista concettuale, filosofico e fisico. I ricordi vengono rievocati attraverso il posizionamento di forme non umane mentre il pubblico di giovani è incoraggiato a osservare il proprio rapporto con l’architettura da una nuova prospettiva. Lo spazio è stato ispirato da quanto rimane dell’infrastruttura della Gold Coast Railway e dagli edifici modernisti abbandonati del Nkrumah Voli-ni a Tamale degli anni Sessanta. Come riattivare i ricordi a cui si era negato l’accesso? Come scavare nel passato per costruire nuovi futuri? Force Majeure

Parliament of Ghosts 93


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Craftswomen applying wall finishes in Tiébélé 2021

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Kéré Architecture

L’intero continente africano produce meno del 4% delle emissioni mondiali di gas serra. Questo fatto sorprendente ci fa riflettere. Ci impone una pausa in cui osservare e pensare. Per creare consapevolmente obiettivi in linea con i bisogni che nascono dall’interno. Per trovare modalità di costruzione che non riproducano la perdita, ma ricostruiscano antichi saperi. Per trovare un sapere che non sia privo di valore, ma piuttosto costituisca una preziosa saggezza in grado di alimentare la speranza. A tal fine, Counteract celebra il valore architettonico dell’Africa occidentale del passato, fa il punto della situazione odierna e ci spinge verso un approccio diverso. È una visione praticabile e fantastica dell’architettura. Esaminiamo i materiali e le competenze necessarie per costruire edifici che non siano troppo caldi o angusti, abitazioni che esistevano in un’epoca precedente all’attuale status quo. Rimettiamo al centro il valore di questo sapere intrinseco, proponendolo come ‘contro-azione’ nella ricerca dell’architettura moderna. Per questa ‘contro-azione’, dobbiamo capire a fondo ciò che è stato e ciò che è. Perché costruiamo come costruiamo? Che cosa è cambiato e perché? Che cosa rimane inalterato? Noi sosteniamo che l’uso della luce, le motivazioni per costruire, l’innovazione dei materiali, gli oggetti di uso quotidiano e i servizi, nonché i bisogni delle persone in ogni luogo possano offrire approcci alternativi all’architettura di oggi che non siano semplicemente frutto di un copia e incolla, ma siano opzioni vere e proprie. Force Majeure

Counteract 95


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Ebrah Village 2019

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Koffi & Diabaté Architectes

Costruire una città africana significa costruire una pratica architettonica africana. La storia di Ebrah, villaggio situato a est di Abidjan, capitale economica della Costa d’Avorio, è anche la storia del nostro studio, Koffi & Diabaté Architectes. Abbiamo scelto di scrivere, disegnare e modellare la nostra pratica e il nostro approccio all’architettura dal vivo, come uno strumento che spiega e nello stesso tempo esplora. La nostra installazione è divisa in tre parti: Memoir, Manifesto, Model. Memoir è la nostra storia, un team di oltre settanta persone che forma il più grande studio di architettura della Costa d’Avorio, un paese di ventisette milioni di persone con meno di duecento architetti registrati e nessuna scuola di architettura accreditata a livello internazionale. In un tale contesto, crediamo che l’architetto debba essere una forza, in grado di definire un ecosistema controllato dall’idea iniziale fino al prodotto finito. I concetti di scala e impatto visivo appaiono quindi come elementi chiave. L’autobiografia esamina chi siamo, come abbiamo progressivamente reso concreta la nostra visione nel corso degli anni e le nostre speranze per il futuro. Manifesto esplora l’approccio poliedrico che abbiamo sviluppato in risposta agli aspetti pratici legati al sognare, proporre, costruire e realizzare la città africana. Prendiamo in esame complessità quali governance, servizi, energia, sicurezza alimentare, mobilità, alloggi ed ecologia. Crediamo che le soluzioni debbano essere intrinsecamente locali. Model riunisce le prime due parti in un case study di vita reale incentrato su Ebrah, la nostra idea per la città africana di domani. Force Majeure

Living Differently: Architecture, Scale and the New Core 97


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MASS Design Studio 2020

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MASS Design Group

L’idea che l’architetto sia l’unico autore del processo di creazione architettonica non è più valida, se mai lo è stata. Per molti giovani creativi africani essa costituisce un ostacolo al raggiungimento del loro pieno potenziale, a meno che non venga loro fornita la possibilità di lavorare a progetti su larga scala, finanziati adeguatamente e in linea generale esclusivi. In un mondo in cui il divario tra aspirazione e opportunità si sta rapidamente allargando, la professione deve esaminare come si intendano oggi la definizione, il percorso e le aspettative degli architetti e che cosa deve cambiare. Il futuro sapere architettonico trarrà beneficio da contributi costruttivi al corpus di conoscenze creative che rende possibile una buona architettura. Lo spazio e il desiderio per nuove voci ed esperienze che possano contribuire a un nuovo, più rilevante canone sono illimitati, se solo la disciplina lo ‘permetterà’. Queste nuove voci non sono esterne all’architettura, ma esistono già al suo interno. Il cambiamento non può essere appaltato a clienti in possesso di requisiti finanziari e progettuali sufficienti a permetterlo. La pratica architettonica africana deve intenzionalmente plasmare, promuovere, alimentare e valorizzare il cambiamento. AFRITECT postula una definizione ampliata della parola ‘architetto’, presentando al mondo una nuova generazione di architetti africani che operano in base a soluzioni e idee che sono genuinamente africane e allo stesso tempo di ispirazione globale. Force Majeure

AFRITECT 99


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AAP Lagos: Departure Lounge 2022

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Olalekan Jeyifous A seguito del movimento panafricano e della decolonizzazione africana, le infrastrutture imperialiste dedicate allo sfruttamento economico e all’estrazione di risorse sono state rapidamente smantellate, mentre i gruppi ambientalisti locali in tutto il continente si sono consolidati in quello che è attualmente noto come African Conservation Effort (ACE). Per riparare i danni arrecati alle ecoregioni del continente dalle ex potenze coloniali, ACE ha applicato i sistemi di conoscenza indigeni allo sviluppo di reti avanzate che combinassero energie rinnovabili e tecnologie verdi, la principale delle quali è stata All-Africa Protoport (AAP). Questo sistema ad ampio raggio per la produzione di energia rinnovabile e sostenibile – in grado di permettere contemporaneamente rapidi viaggi aerei, terrestri e marittimi all’interno e tra i continenti – è divenuto ben presto il fiore all’occhiello dell’Africa grazie alle sue implicazioni in termini di collaborazione socioeconomica e ambientale a livello continentale, nonché di rafforzamento della solidarietà in tutta la diaspora. AAP è ora una rete di vasti complessi a basso impatto ecologico e a zero emissioni situati al largo delle coste dei principali porti di tutto il mondo. Fino a poco tempo fa, c’erano dodici AAP situate nelle seguenti città: Lagos, Mombasa, Port Said, Dar es Salaam, Durban, Salvador da Bahia, New York, Los Angeles, PortAu-Prince, Barranquilla, L’Avana e Montego Bay. Inoltre un nuovo complesso AAP completato nel 1972, a differenza delle sue controparti costiere, è incorporato in modo piuttosto controverso nella pianura alluvionale di Barotse nella provincia occidentale dello Zambia. Qui è stata istituita una rete integrata e sinergica di sistemi di energia mareomotrice, solare e algale per mantenere la biodiversità e migliorare la sicurezza e la produzione alimentare, ospitando al contempo i sistemi di viaggio brevettati AAP. All’interno di The Laboratory of the Future è presentata l’immaginaria sala d’attesa AAP della pianura alluvionale di Barotse. Force Majeure

ACE/AAP 101


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Dreadlocks Plan 2022

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SOFTLAB @ PSU

‘Dreadlock’ è una parola dall’etimologia incerta, che forma uno spazio tra due parole. Per chi parla inglese, questo è chiaramente un neologismo sincratico, due parole che ne fanno una. Dread che sta per terrore, paura, ansia per il futuro, ma anche soggezione o riverenza. E la parola loc, di origine germanica, che indica un ricciolo o ciocca di capelli che si annodano insieme, o la proprietà dei capelli arruffati, aggrovigliati e impossibili da districare, attorcigliati per sempre. La parola ‘loc’ è correlata a un pezzo o ciuffo di lana, quella più corta e più economica ricavata dalle zampe di una pecora. Qui passiamo dalla conoscenza e dal linguaggio propri della tessitura artigianale a sistemi di conoscenza computazionali e digitali. Sperimentiamo tecniche di interconnessione legate all’infeltrimento nella pratica tessile e di pettinatura/smistamento digitale per creare una soglia ibrida. Dal punto di vista computazionale, questa struttura ‘dreadlock’ o a tessuto infeltrito è realizzata grazie a un procedimento randomizzato, a differenza dell’intrecciatura a mano o all’uncinetto che si basa sulla precisione. Lo spazio della soglia digitale all’interno dell’installazione utilizza l’apprendimento automatico improntato su un database progettato a partire da trame di capelli globali. La soglia fisica è invece un passaggio in isacord lavorato a maglia composto di materiale dreadlock infeltrito. L’installazione esamina inoltre la soglia in tutti i corpi organici, compreso il nostro, tra il fisico e l’elettromagnetico. Essa fornisce una versione relazionale e ingrandita della negoziazione tra i due, con soglie tessili digitali e fisiche ingarbugliate all’ingresso. Lo spazio all’interno è un ‘freespace’, uno ‘spazio libero’, un salone di parrucchiere dedicato alla performance e all’interazione, dove gli artisti sono invitati a torcere, intrecciare, annodare e ‘farsi’ i capelli. Force Majeure

Textural Threshold Hair Salon: Dreadlock 103


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Two Sheds, Elliot, South Carolina Senza data

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Studio Sean Canty

Questa è un’installazione liberamente ispirata a due baracche costruite dal mio bisnonno Edgar, che io chiamavo “Bubba”, a Eliott, nella Carolina del Sud. Una è un luogo di gioia, appartenenza e lotta. L’altra è un juke joint, una bettola piena di fumo, ritmo e musica blues. La bellezza messa a nudo nelle baracche di Bubba esprime una serie di pratiche del tutto sconosciute e trascurate, immerse nel vernacolo nero. In queste semplici forme abbondano invenzioni alquanto straordinarie. I valori del riuso e della cura condividono la stessa essenza. I vernacoli sono davvero radicati in queste circostanze eccezionali. Le origini dell’architettura saranno per sempre un mito. Per me, sono queste origini a essere autentiche; identificheranno per sempre le mie radici e il mio posto nel mondo. Nella tradizione nera, le aspirazioni alla bellezza e al miglioramento si mescolano con la lotta e l’autodeterminazione. Come le baracche di Bubba, questa installazione è permeata di impulsi complicati e contraddittori. La sua è una funzione semplice: offrire una serie di sale all’aperto per riparo ed eventi. Il tetto simbolicamente sovradimensionato è il primo atto di protezione, la sua asimmetria fa da sfondo da un lato e da ingresso dall’altro. La sua tettonica è attentamente valutata e facilmente smontabile per il riutilizzo. Il rivestimento allenta la precisione della pianta e della sezione, unendo a tratti parete e tetto. L’interno può essere riempito dal suono o dalla quiete dell’ambiente circostante. Questa è la baracca di Edgar. Force Majeure

Edgar’s Sheds 105


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A choreography or maqam of a qawwali performance 2022

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Sumayya Vally e Moad Musbahi

Come spazio di smistamento ed elaborazione, African Post Office riunisce diverse ‘poste’ provenienti da tutto il continente e dall’ampia laguna di Venezia. Il progetto sviluppa un apparato burocratico intercontinentale utilizzando la semplice tecnologia della posta. Opera su due dimensioni: come reinterpretazione spaziale della ‘posta’ come palo e come meccanismo infrastrutturale di una rete postale che considera percorsi di passaggio precedenti. In un’esperienza visiva e uditiva, vengono qui sviluppati un linguaggio e un relativo inventario della ‘posta’, basandosi sulla logica dei minareti e dei totem, due tecnologie socioculturali con grande influenza africana. I pali che compongono il campo sono di vario spessore e altezza, hanno marcature e accessori individuali. Alcuni sostengono bandiere di nazioni che non esistono più, altri sono punti di attracco in attesa di ormeggio. Contrassegnando un punto, inscrivendolo ed elevandolo, emerge un progetto che orchestra lo spazio e le relazioni sociali. Quest’opera si basa sul nostro lavoro nel Maqam, una parola araba che definisce una scala musicale e uno spazio fisico per il raduno. L’accompagnamento sonoro indica i paesaggi e i territori lontani a cui ciascuna delle postazioni fa riferimento, fondendo la presente fisicità dello spazio con altri tempi e luoghi qui raccolti. In questo momento, il singolo palo è utilizzato come una modesta unità di potere per riorganizzare radicalmente passaggi e territorio. Force Majeure

The African Post Office 107


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Graphite panels detail – Work in progress 2022

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Thandi Loewenson

I movimenti di liberazione africani sono indissolubilmente connessi a questioni legate alla terra: chi la può lavorare, a che scopo e a quali condizioni? Questi punti focali rivelano la vera natura dell’odierna lotta africana: si svolge sul terreno, nello spessore del suolo in erosione, nei pozzi minerari dove le terre rare brillano nell’oscurità, ma anche all’interno dell’ozono, della nuvola e della ionosfera, dove l’atmosfera terrestre incontra lo spazio cosmico. Attraverso una serie composita di pannelli di grafite e un filmato di accompagnamento, gli Uhuru Catalogues riuniscono i siti inestricabilmente intrecciati attraverso cui si deve cercare la liberazione africana. La lotta è a terra e anche nell’aria, e lo spessore della grafite attira l’attenzione su questi due terreni. I disegni sono composti da grafite industriale, generalmente utilizzata nella produzione di batterie agli ioni di litio e ora in esaurimento a causa di un aumento esponenziale della domanda per soddisfare le richieste nel Nord del mondo. Nella transizione verso le energie rinnovabili per alcuni, vengono creati nuovi siti di estrazione, sfruttamento ed espropriazione per altri. In questo lavoro, la grafite viene inserita in un nuovo contesto: non è più un semplice e umile marcatore o un minerale di accompagnamento per la funzione elettrica del litio, ma è anche un piano di disegno. Qui, essa viene utilizzata come conduttore, uno strumento carico che mira a stimolare una consapevolezza dei terreni congiunti di terra e aria nei movimenti per la giustizia climatica e per un futuro equo per tutti, nel continente e oltre. Force Majeure

The Uhuru Catalogues 109


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Sonic Imagination Black Artist Retreat Convening at the Park Avenue Armory, New York 2019

Biennale Architettura 2023


Theaster Gates Studio

Nel corso degli ultimi dieci anni, Theaster Gates – la cui pratica comprende installazioni, performance e strategie di coinvolgimento – ha dato vita a Black Artist Retreat (B.A.R), un progetto permanente che riunisce artisti a Chicago. Dal 2013, Gates invita artisti di tutto il mondo per riflettere sulle loro pratiche creative, esplorare le sfide del settore e promuovere iniziative di mentorship e di condivisione delle conoscenze. Gates e molti generosi finanziatori sostengono piccoli e grandi incontri di B.A.R nelle città di tutto il paese e in tutto il mondo. Nel corso di quest’ultimo decennio, il Retreat ha assunto molte forme: dallo studio d’artista a grandi istituzioni e luoghi pubblici. Per questa Biennale Architettura, Gates presenta il documentario Black Artist Retreat: Reflections on 10 Years of Convening (2023). Condividendo questo film nel contesto di The Laboratory of the Future, Gates dimostra le complessità del concetto stesso di spazio per artisti neri e i modi in cui possono essere costruiti spazi temporali di questo tipo per promuovere la causa delle arti e riunire in maniera autodeterminata gli artisti di colore. Per Gates, l’architettura e la progettazione non riguardano solo l’ambiente costruito. La capacità unica degli artisti di riportare i principi del Retreat nei loro studi e all’interno delle loro comunità si traduce nella creazione di nuove architetture sociali. Force Majeure

Black Artist Retreat: Reflections on 10 Years of Convening 111


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Path to Towers in a Forest 2022

Biennale Architettura 2023


urban american city (urbanAC)

Al centro della storia di ogni afroamericano c’è un passato innegabilmente distopico, tuttavia non fonda la propria narrazione esclusivamente sul dolore. All’interno di ogni spazio e corpo afroamericano che racchiude questo trauma, esiste anche un elemento del fantastico che genera resilienza e creatività. Tra le due pietre miliari del Juneteenth e del movimento per i diritti civili, i neri del Nord America migrarono verso città soggette a segregazione e costruirono economie prospere, producendo straordinarie ricchezze, tecnologie e cultura. Tuttavia, come descrive Sylvia Wynter, il nostro valore è sempre stato “misurato [...] utilizzando unicamente i parametri delle conquiste tecno-scientifiche che stanno definendo la ‘perfezione meccanica’ dell’Occidente contemporaneo [e bianco]”. LAND NARRATIVES | FANTASTIC FUTURES espone le storie perdute e le immaginazioni ignorate di creatività nate nonostante la segregazione e i problemi territoriali rilevati nei quartieri della ‘Black Belt’ del South Side di Chicago. Sviluppa molteplici nuovi ‘parametri’ sovvertitori per identificare e operare con valori culturali mai misurati in precedenza. L’installazione utilizza collage, mappature, film e oggetti di argilla in 3D generati dalla voce per trasformare e proiettare in un futuro fantastico le pratiche culturali, le gioie e i sogni di otto abitanti di Chicago: una visione composta da una tassonomia di ‘architexture’ per uno spazio, una proprietà e uno sviluppo afroamericani. Force Majeure

Land Narratives | Fantastic Futures 113






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Muri in argilla della moschea Nando, Mali James Morris 1999 Pagine 114–115

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Muri in argilla della moschea Mosque, Mali James Morris 2004 Pagine 116–117



Dangerous Liaisons

AMAA Collaborative Architecture Office for Research and Development

BDR Bureau e carton123 architecten

AD—WO

Andrés Jaque/ Office for Political Innovation DAAR — Alessandro Petti e Sandi Hilal

David Wengrow e Eyal Weizman con Forensic Architecture e The Nebelivka Project Dream The Combine Dualchas Architects Estudio A0 Flores & Prats Architects Gbolade Design Studio Gloria Cabral and Sammy Baloji con Cécile Fromont GRANDEZA STUDIO Huda Tayob kate otten architects 120

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Killing Architects

Le laboratoire d’architecture

Liam Young MMA Design Studio

Low Design Office Neri&Hu Design and Research Office

Office 24-7 e Lemon Pebble Architects

orizzontale

Paulo Tavares/autonoma SCAPE Landscape Architecture

Studio Barnes Suzanne Dhaliwal The Funambulist Ursula Biemann Wolff Architects Dangerous Liaisons

Rahul Mehrotra con Ranjit Hoskote

Stephanie Hankey, Michael Uwemedimo e Jordan Weber

Studio of Serge Attukwei Clottey Sweet Water Foundation Twenty Nine Studio White Arkitekter ZAO/standardarchitecture 121


“Pascal: Non ti avevo promesso il futuro più luminoso quando ti ho portato qui? Azolan: Certo, anche se è ancora troppo luminoso per essere visto con occhio umano”. — Pierre Choderlos de Laclos, Le relazioni pericolose, 1782 122

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Dangerous Liaisons

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Estratto dalla ‘Lettera d’interesse’ della Curatrice

inviata il 29 giugno 2022

Nella sua recensione della 59. Esposizione Internazionale d’Arte – The Milk of Dreams, curata da Cecilia Alemani – il critico Aaron Betsky scrive: “Questa mostra tentacolare fa qualcosa che l’architettura non sta ancora affrontando del tutto: la dissoluzione dei confini tra la figura e ciò che la circonda, da tempo presagita dalla scienza, e ora sempre più un dato di fatto nella nostra era digitale; il cambiamento della nostra concezione dell’identità, ulteriormente alimentato dalla consapevolezza della nostra natura ibrida e globale; e infine l’intreccio tra tecnologia e materia organica, e le varie specie e forme di vita che abitano la nostra terra”. 124

Biennale Architettura 2023


L’antica attenzione dell’architettura nei confronti dei limiti e dei confini è ben nota e compresa, dal confine che demarca l’interno dall’esterno agli infiniti dibattiti su ciò che costituisce o meno l’architettura. In senso professionale, il confine che separa l’architettura da altre discipline adiacenti è fortemente sorvegliato. Gli ingegneri non sono architetti, né lo sono gli artisti: solo gli architetti sono architetti e il processo con cui viene conferito il titolo è strettamente regolamentato e controllato. Sebbene la protezione legale sia in generale una buona garanzia per il pubblico, riducendo il rischio e aumentando gli standard e la consapevolezza, troppo spesso incoraggia un’insicurezza e un’avversione al rischio che sembra sempre più fuori luogo nel mondo più complesso e fluido di oggi. La 18. Mostra Internazionale di Architettura, The Laboratory of the Future, è un quintetto, composto da cinque parti interconnesse, tenute insieme dalle loro risposte a due dei temi più urgenti di oggi: decolonizzazione e decarbonizzazione. Questa sezione si concentra sui professionisti che lavorano al margine produttivo tra l’architettura e la sua miriade di ‘altri’ – paesaggio, ecologia, pianificazione, finanza, dati, salute pubblica, intelligenza artificiale, patrimonio, storia, conflitto e identità, solo per citarne alcuni – attraverso metodologia, materiali o materia, tracciando nuovi territori di rilevanza e urgenza professionale e concettuale. Dangerous Liaisons

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Diventare indisciplinati: una meditazione sull’architettura priva di confini

Kuukuwa O. Manful

Accra/Londra

Inizio questa meditazione con le idee di due studiose sul sovvertimento dei limiti della disciplina. Innanzitutto Christina Sharpe, che si sofferma sugli accademici neri che vengono disciplinati a usare metodi e principi che negano e confondono, e ci esorta a “diventare indisciplinati”1. In secondo luogo Lesley Lokko che, nel discutere il potenziale delle epistemologie fluide, suggerisce agli architetti e agli studiosi della materia di valutare e riconsiderare i “confini della nostra disciplina”2. 126

Biennale Architettura 2023


L’architettura è storicamente in grado, come scrive Lokko, di “negoziare entro e oltre i confini” della disciplina3. Ritengo in effetti che le caratteristiche di flessibilità, trattabilità e fluidità siano fondamentali per l’architettura. Eppure, con la stessa fluidità con cui gli architetti e gli studiosi di architettura si muovono tra fonti di conoscenza del mondo accettate e consolidate, alla fine continuiamo a scontrarci con gli spigoli duri della disciplina, che si manifestano in paradigmi architettonici ed ‘episteme’ dominanti e inflessibili4. Forse, l’elemento più inflessibile si trova proprio nella limitatezza di ciò che è designato come Architettura con la ‘A’ maiuscola, tipicamente progettata da Architetti con la ‘A’ maiuscola o accettata come precedente storico di riferimento. È visibile in quanto viene considerato un modello degno di essere studiato, citato e accettato nelle visioni di ordine: del passato, del presente e del futuro. Tutto il resto – una vasta, diversificata, vibrante gamma di immaginazione, conoscenza e produzione architettonica – è relegato ai margini, destinato a essere caratterizzato come aberrante, insignificante e non degno di nota. Gran parte dell’architettura africana, come l’architettura di altre regioni precedentemente colonizzate, non è considerata, nella storia e nella contemporaneità, degna di essere definita Architettura con la ‘A’ maiuscola. Se penso e immagino l’Africa come un “laboratorio del futuro”, un “campo allargato […] Dangerous Liaisons

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di recupero e cooperazione”, trovo opportunità e speranza per reinventare al di là dei limiti della disciplina e della definizione5. Perché, all’interno dell’Africa, troviamo una miniera di modi per immaginare altrimenti; in espressioni creative di forma, comunanza e bellezza, così come in commoventi e brillanti risposte alla minorizzazione e all’emarginazione. Prendiamo, ad esempio, la tradizionale casa Ashanti del XVIII secolo come unità abitativa. È una fusione di vita interna ed esterna, con ambienti interni che si interconnettono organicamente a passaggi e strade urbane, favorendo la collettività e la vita in comune. E non esistono singoli architetti con la ‘A’ maiuscola, solo comunità di architetti-costruttori. Da queste architetture e da innumerevoli altre c’è molto da imparare e adattare alle nostre esigenze contemporanee. Concludo questa meditazione con le parole di due scrittori su immaginazione e sogno. Cito, innanzitutto, Lebo Mashile, quando ricorda che: “Io e te / Siamo i custodi dei sogni / Li plasmiamo in raggi di luce / E li tessiamo nelle cuciture della vita”6. E poi, N.K. Jemisin, che apre il prologo de La quinta stagione con: “Cominciamo dalla fine del mondo, perché no? Chiudiamo la questione e passiamo ad argomenti più interessanti”7. 128

Biennale Architettura 2023


1. 2.

3. 4.

5. 6. 7.

C. Sharpe, In the Wake: On Blackness and Being, Duke University Press, Durham 2016. L. Lokko, Introduzione [The Laboratory of the Future. Agents of Change], La Biennale di Venezia: https://www.labiennale.org/en/architecture/2023/introduction-lesley-lokko (ultimo accesso 15 febbraio 2023). Ibidem. Uso episteme nel senso definito da Foucault come “il dispositivo che permette di separare non il vero dal falso, ma ciò che può da ciò che non può essere qualificato come scientifico”. Si veda M. Foucault, Power/Knowledge. Selected Interviews and Other Writings, 1972-1977, a cura di C. Gordon, Knopf Doubleday Publishing Group, New York, 1980. La citazione è contenuta in Entretien, 1977 (ed. italiana: A. Fontana, P. Pasquino (a cura di), Microfisica del potere. Interventi politici, Einaudi, Torino 1977, pp. 3-28. L. Lokko, Introduction [The Laboratory of the Future] cit. L. Mashile, You and I: https://daughtersofafricablog.wordpress.com/2016/10/06/national-dayof-poetry-you-and-i-by-lebo-mashile/ (ultimo accesso 7 marzo 2023). N.K. Jemisin, La quinta stagione, Mondadori, Milano 2019 (ed. originale: The Fifth Season, Orbit, London 2015).

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“Il problema fondamentale della storia umana, come vedremo, è non avere pari accesso alle risorse materiali (terra, calorie, mezzi di produzione), anche se sono ovviamente cose importanti, ma avere pari capacità di contribuire alle decisioni su come vivere insieme”. — David Graeber e David Wengrow 132

Biennale Architettura 2023


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Dangerous Liaisons

Cartellone lungo la Spintex Road, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 130–131

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Ghebbi Study I 2022

Biennale Architettura 2023


AD—WO

La parola amarica ‘ghebì’ (Ghebbì) denota un territorio circondato da un muro o recinto; una zona di tregua e relativa stabilità ritagliata da una città errante e inquieta. Lievi variazioni di articolazione della parola ‘ghebì’ producono significati diversi: potrebbe significare “entra”, “colui che si infiltra”, oppure “entrate economiche”. Le ambiguità linguistiche rivelano propensioni culturali alla segretezza e all’opacità. I ghebì contengono case, scuole, giardini, spazi di culto e di commercio. Il confine del ghebì ha una profondità letterale e metaforica; non si tratta di una linea su una mappa, bensì di una zona di contestazione soggetta a continue variazioni imposte da cambiamenti politici, culturali ed economici. Per la recinzione degli appezzamenti vengono utilizzati diversi materiali: tronchi di eucalipto, lamiere ondulate, teloni, griglie metalliche, pietra e muratura. La nostra installazione in The Laboratory of the Future si sofferma su questa instabilità di significati ed effetti. Alle travi sono sospesi due pannelli ondulati che marcano la soglia tra due zone dell’Arsenale attualmente delimitate da un muro in laterizio. Uno spazio immersivo, simile ai lussureggianti interni del ghebì, è ricreato grazie a due monumentali arazzi sospesi su entrambi i lati dell’esistente apertura ad arco. Ciascun arazzo funziona come un ‘paesaggio temporale’, dissolvendo le articolazioni formali e materiali del ghebì. Un muro di mattoni in rovina dell’Arsenale è ricoperto da un’impalcatura e rivestito con un telone legato alla struttura con una corda, evocando così l’impalcatura che copre innumerevoli cantieri ad Addis Abeba e la costante cancellazione del ghebì. Dangerous Liaisons

Ghebbi 135


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Barn vs Pavilion 2022

Biennale Architettura 2023


AMAA Collaborative Architecture Office for Research and Development

La decarbonizzazione è una sfida che ogni architetto deve oggi affrontare. AMAA lo fa valutando in termini globali il riutilizzo dell’ex base NATO del Monte Calvarina, nel comune di Roncà, che domina le valli tra Vicenza e Verona. La base militare, attiva dal 1959 al 1995, ha ospitato un’unità missilistica dell’Aeronautica Militare, ma questo paesaggio offre una lettura più profonda e antica. Vi sono le tracce di un maestoso complesso vulcanico originatosi in epoca cenozoica, successivamente modificato dalla degradazione meteorica e, più recentemente, dall’intervento umano connesso alla base militare. A distanza di decenni dal suo abbandono, il complesso di Monte Calvarina trova oggi una nuova destinazione sociale e operativa. Gli anni di decadimento lasciano il passo alla vivacità di una struttura gestita dalla Fondazione SAFE (Security and Freedom for Europe) come hub di formazione e simulazione per la risposta alle emergenze e la sperimentazione di tecnologie innovative. La trasformazione locale della base è in linea con la tabella di marcia dell’UE in materia di cambiamenti climatici e difesa del clima, con il Green Deal europeo e con la strategia congiunta UE-UA di transizione verde. Il Calvarina fornisce un chiaro esempio di reinvenzione di ex strutture militari ad alta intensità di carbonio in nuovi centri di innovazione a zero emissioni. Il Calvarina sarà un laboratorio aperto dove convivono innovazione e conservazione della natura; una sorta di ‘laboratorio del futuro’, ma nel presente. Dangerous Liaisons

It’s Kind of a Circular Story 137


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Xholobeni Yards 2023

Biennale Architettura 2023


Andrés Jaque/ Office for Political Innovation

L’architettura high-end di New York è prodotta con materiali, corpi e conoscenze che vengono da lontano. Sottratte agli ecosistemi locali per diventare risorse, queste merci circolano in un’economia contemporanea fondata sull’accumulazione globale. A New York, ad esempio, la facciata in acciaio inossidabile di Hudson Yards è possibile grazie al massiccio sfruttamento della cromite estratta dalla terra del Great Dyke in Zimbabwe. La sua brillantezza è prodotta dalla proprietà abrasiva dell’ilmenite proveniente dalla miniera di Xholobeni in Sudafrica. L’unico modo per disporre del terreno su cui oggi sorge questa parte di New York era quello di costruire sopra la ferrovia e questa operazione non sarebbe stata possibile senza il cobalto estratto dai giacimenti di Nyungu nello Zambia. Anche l’azzurro del cielo visto dagli interni di Hudson Yards dipende dall’impiego massiccio dei catalizzatori imposti dalle normative di New York, per i quali è fondamentale il platino estratto da ottantanove miniere in Sudafrica. Hudson Yards a New York è quindi essenzialmente fondato sull’estrattivismo transnazionale. Estrazione equivale a segregazione. L’estrazione di materie prime è il modo in cui l’architettura contribuisce alla creazione della segregazione. È questo il tema che vogliamo affrontare. Dangerous Liaisons

Xholobeni Yards 139


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Site workshop 2021

Biennale Architettura 2023


BDR Bureau e carton123 architecten

Kappaert è un campus scolastico che comprende varie attività: una scuola per bambini con bisogni speciali, spazi artistici e attività ricreative estive. Come campus, si inserisce in un ambiente edificato eterogeneo, caratterizzato da spazi pubblici sottoutilizzati e da un cimitero destinato a scomparire nel tempo. Nel nostro progetto affrontiamo il tema della convivenza, intesa come il verificarsi simultaneo di ‘cose’ che hanno una relazione tra loro. La convivenza – la nostra forma di liaison – è governata dal ‘confine tra le cose’, qui ragionato con un approccio per scale diverse. Il progetto è definito da un’ambiguità esistente tra il dissolvere e il creare confini, allo scopo di stabilire spazi protetti per i bambini che vivono con forme di autismo. Lavoriamo per tradurre questa ambiguità in forma costruita. Qualsiasi linea può essere un confine invalicabile a seconda dell’individuo. Una separazione può ospitare una zona di transizione. Un recinto può diventare uno spazio in cui stare. L’installazione all’interno di The Laboratory of the Future presenta il progetto secondo questo punto di vista, con modelli, frammenti di ‘confini’ a varie scale e punti di ancoraggio visivo. Una parte dell’installazione evidenzia il processo di collaborazione tra architetti, con workshop in loco e comunicazione a distanza, ma anche con i futuri utenti del campus, un confronto essenziale per comprendere il rapporto tra progettazione dello spazio e impatto sugli stimoli mentali. Dangerous Liaisons

Broader Boundaries 141


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Ente di Decolonizzazione – Borgo Rizza 2022

Biennale Architettura 2023


DAAR — Alessandro Petti e Sandi Hilal

Il contributo di DAAR a The Laboratory of the Future esplora le possibilità di riappropriazione critica, riutilizzo e sovversione dell’architettura coloniale fascista e della sua eredità modernista. Il lavoro è un tentativo di profanare l’insediamento rurale di Borgo Rizza (Siracusa, Sicilia), costruito nel 1940 dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano (ECLS), la cui funzione era quella di bonificare, modernizzare e ripopolare la Sicilia, considerata arretrata, sottosviluppata e ‘vuota’ dal regime fascista. Un modello architettonico simile era stato adottato nella pianificazione urbana coloniale fascista in Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia all’incirca nello stesso periodo. L’installazione è una riproduzione in scala della facciata dell’edificio principale del borgo, che gli artisti hanno scomposto in quindici moduli polifunzionali che da maggio 2022 dialogano con diversi luoghi (Mostra d’Oltremare a Napoli, quartiere Hansaviertel a Berlino e museo La Loge di Bruxelles). Parallelamente all’installazione, il progetto di ricerca ha posto le basi della Difficult Heritage Summer School a Borgo Rizza con il patrocinio del comune di Carlentini, il paese vicino. Ente di decolonizzazione - Borgo Rizza si presenta come un’installazione itinerante che favorisce atti di decolonizzazione dell’architettura modernista coloniale fascista, offrendo l’occasione per avviare una serie di azioni e interventi che attribuiscono all’edificio funzioni diverse da quelle per cui è stato progettato. Dangerous Liaisons

Ente di Decolonizzazione — Borgo Rizza 143


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Forensic Architecture – Fotogrammetria della struttura 2022

Biennale Architettura 2023


Nella nostra concezione delle città, è in atto una rivoluzione che nasce dal laboratorio del passato. Utilizzando una serie di nuove tecniche, gli archeologi stanno scoprendo tracce di paesaggi urbani che erano del tutto scomparsi dalla memoria umana. Tali prove non sono ‘portate alla luce’ dal terreno. Sono interne al suolo, inseparabili da esso. The Nebelivka Hypothesis esplora un esempio emblematico, tra i fiumi Bug meridionale e Dnepr dell’Ucraina centrale. Un’indagine geofisica ha rivelato l’eredità insospettata di insediamenti vecchi di seimila anni, simili in scala alle prime città della Mesopotamia, posti a meno di un metro sotto i terreni coltivati. Queste prime città ucraine sono prive di centro o, meglio, sono organizzate in anelli concentrici di edifici domestici, attorno a un misterioso fulcro aperto. Non si trova traccia di templi, palazzi, edifici pubblici, ricche sepolture, né altri segni di controllo centralizzato o di stratificazione sociale. Inoltre, gli studi sull’ambiente antico attorno a questi enormi siti rivelano un’impronta ecologica sorprendentemente leggera. Si è persino sostenuto che la loro fondazione abbia innescato la formazione di ‘černozëm’, ovvero suoli iperfertili, per i quali questa regione è famosa. Se è così, allora le ‘terre nere’ della steppa boscosa ucraina potrebbero rivelarsi antropogeniche, ovvero prodotte da interventi umani: ci troviamo di fronte a un sistema di vita urbana che valorizzava la vitalità del proprio ambiente. Se questi antichi siti ucraini sono città, allora anche il nostro concetto di ‘città’, radicato in una storia di estrazione, predazione e gerarchia, deve cambiare. Questo rappresenta per noi The Nebelivka Hypothesis. Dangerous Liaisons

David Wengrow e Eyal Weizman con Forensic Architecture e The Nebelivka Project

The Nebelivka Hypothesis 145


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Hide & Seek – Disegno dello sviluppo 2018

Biennale Architettura 2023


Dream The Combine

afterimages si basa su testi critici di bell hooks, Dionne Brand, David Scott, Tao DuFour e altri per riflettere sulla ‘figura vista due volte’, una costruzione metaforica riguardante la testimonianza esplorata attraverso il disegno, vale a dire la prospettiva a due punti. La prospettiva a due punti viene utilizzata per rappresentare una geometria tridimensionale su un piano bidimensionale dell’immagine. A differenza della tipica caratterizzazione all’interno di una superficie, afterimages è una prospettiva occupabile a due punti tracciata nello spazio. Un elemento centrale è tenuto in sospensione da corde che si estendono a due gruppi di punti di fuga situati lungo due linee dell’orizzonte. Questo crea una soglia aperta, simile a un reticolo, che permette ai visitatori di avvicinarsi e di attraversare. Le nostre strategie formali nascono dalla contemplazione dell’immagine, della sua afterimage – o immagine residua – e della memoria come reinscrizione, soprattutto alla luce del nostro tempo e degli eventi di Minneapolis, Minnesota, nel 2020. L’immagine residua è un’impressione sulla retina, una desensibilizzazione dei coni ottici che impedisce l’assorbimento di nuove informazioni mentre la visione è ancora in fase di elaborazione da parte del cervello. È uno scarto temporale, un ritardo che ci fa vedere le cose due volte. L’opera esposta alla Biennale Architettura ha anche un’installazione gemellata presso l’American Academy di Roma e, nel 2023, a Minneapolis. Come concetti ricordo, le immagini residue portano con sé il passato. Cerchiamo modi per affrontare empaticamente queste vite successive: di rottura, ricorrente testimonianza e ostinata resistenza di fronte al trauma. Viaggiamo sempre con quello che c’è dentro. Dangerous Liaisons

afterimages 147


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Descent 2022

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Broch 2022

Biennale Architettura 2023


Dualchas Architects

Nelle Ebridi e sulla terraferma scozzese, viviamo e lavoriamo in un paesaggio a volte aspro, talvolta sereno, ma sempre stimolante. Realizziamo edifici sulle rive dei laghi, in tranquille vallate, tra i boschi e sulla roccia. Questi edifici hanno un rapporto diretto con le spiagge, il mare e le montagne. Come architetti, ci ispiriamo al paesaggio, alla lingua e alla storia delle nostre isole e il tutto possiede caratteristiche specifiche del nostro luogo. Sembra esserci una nuova fiducia nella musica, nell’arte, nel cibo e nella lingua delle Ebridi e noi lavoriamo per garantire che l’architettura possa occupare un proprio posto all’interno di questo rinascimento culturale. In questa Mostra, Dualchas racconta una storia di persone, luoghi e cultura, grazie alla collaborazione con un regista, artista del suono e scrittore. Descrive l’ambiente in cui lavoriamo, il clima, la geografia e la topografia, utilizzando la lingua, la musica e le registrazioni sul campo. Una storia più ampia della decolonizzazione può essere compresa attraverso l’esperienza personale, tramite le famiglie che nutrono un profondo legame con questo luogo e il desiderio di tornare a lavorare e vivere qui per creare un’architettura adatta al tempo e al luogo. La storia del violino di Raasay fornisce una metafora del lavoro di comprensione, riparazione e rinnovamento culturale in cui siamo immersi. Dangerous Liaisons

Dualchas 149


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Portrait of Manuela Ima 2021

Biennale Architettura 2023


Estudio A0

Nel XXI secolo, la prospezione dell’oro utilizzando LiDAR (Light Detection and Raging) ha fatto emergere, con le sue esplorazioni atmosferiche e forestali, non solo vasti depositi minerari ma anche prove di città megaregionali. I sussurri digitali di queste città parlano con forza delle civiltà costruite dalla popolazione del bacino del Rio delle Amazzoni e dei suoi affluenti nel corso di oltre cinque millenni. La scoperta di queste città è la grande ironia dell’ondata neocoloniale di estrazione in quel territorio che, durante la conquista spagnola delle Americhe, divenne noto come El Dorado (Eldorado o Terra dell’oro). La terra del ‘selvaggio’, del ‘cannibale’, delle ‘Amazzoni’, rappresentata dalla conquista europea attraverso esseri mitologici greci e mostri leggendari medievali; la foresta incontaminata del “buon selvaggio” dell’Illuminismo di Rousseau viene ora ritratta dal telerilevamento come la terra di costellazioni intrecciate di urbanismi agroecologici che richiedono un nuovo nome, un’ontologica resa dei conti. Le civiltà della tradizione orale (e delle tradizioni scritte ancora da svelare?) – gerarchiche ma egualitarie, aperte ma chiuse, interconnesse ma autonome, rurali ma urbane, disperse ma dense – mancano di riconoscimento, non come urbanismi esotici da includere a margine dei libri di storia, ma come brillanti e funzionanti esempi di ecologia urbana che possono aprirci la strada verso una riconciliazione tra la città, i suoi sistemi alimentari e l’entroterra. Dangerous Liaisons

Surfacing — The Civilised Agroecological Forests of Amazonia 151


Exhibition Studies 2022 ↓↓ ↓

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Biennale Architettura 2023


Flores & Prats Architects

Non sono solo le persone a contenere la memoria di un luogo, anche gli edifici sono carichi dei ricordi degli usi e delle vite che li occupano. Il tessuto costruito riflette il comportamento sociale, parla di un modo di usare la terra, il cielo e di un sistema abitativo. Come architetto, leggere i ricordi custoditi negli edifici e nelle persone significa pensare a un futuro che dipende da quel passato. Quando un edificio è chiuso e abbandonato, rimane vivo nella memoria di chi gli sta vicino. L’edificio abbandonato racchiude i valori civili e morali incorporati con l’uso e sedimentati nel tempo. Custodisce le storie delle persone che, nel corso degli anni, hanno vissuto il luogo; storie che hanno creato una costellazione invisibile di relazioni sociali che, a loro volta, estendono l’influenza di questa costruzione a un universo circostante e a chi in futuro può formare un legame con la materialità e la storia dell’edificio. Per aprire la discussione attorno a queste riflessioni abbiamo portato alla Biennale Architettura materiale di lavoro, disegni e modelli incompiuti, documenti che includono dubbi e riflessioni, esposti su tavoli per favorire lo scambio. Questi documenti costituiranno l’inizio di una conversazione, un tramite tra le persone e i soggetti rappresentati, quali The Unfinished Condition of the Ruin, The Right to Inherit, Drawing With Time e The Value of Use. Dangerous Liaisons

Emotional Heritage 153


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Dominoes 2011

Biennale Architettura 2023


Gbolade Design Studio

Il 22 giugno 1948, la nave della marina militare britannica Empire Windrush attraccò a Tilbury, portando lavoratori dalle Indie occidentali per colmare la carenza di manodopera del dopoguerra. Soprannominata ‘generazione Windrush’, la comunità ha affrontato intolleranza e mancato accesso ai servizi pubblici e agli alloggi. La rivolta di Brixton a Londra negli anni Ottanta ha visto una serie di scontri tra giovani britannici neri, figli della generazione Windrush, e la polizia metropolitana. In seguito ai disordini, un edificio a Brixton, a sud di Londra, di interesse storico culturale e classificato di secondo grado, è stato donato alla comunità locale. Il Lloyd Leon Community Centre ospita il Brixton Immortals Dominoes Club e la mensa dei poveri, due istituzioni locali molto amate e utilizzate. La nostra installazione per The Laboratory of the Future si concentra sull’edificio e sugli ecosistemi sociali e culturali dei suoi utenti che rinnovano e rafforzano la comunità delle Indie occidentali a Brixton, Londra e ben oltre. È una celebrazione della storia ricca e diversificata della comunità delle Indie occidentali britanniche. Esplora il modo in cui il centro serve alcune delle fasce più vulnerabili della società; dagli anziani che hanno un luogo dove scambiare ricordi e allontanare la solitudine, a coloro che hanno bisogno di rimettersi in piedi con cibo e lavoro in questa affiatata comunità. Intitolata Regenerative Power, parla del potere duraturo della comunità, dei legami e della generosità. Dangerous Liaisons

Regenerative Power 155


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FADA 2013/2021

Biennale Architettura 2023


Gloria Cabral e Sammy Baloji con Cécile Fromont Un paesaggio tossico, cicatrici sociali e la storia del capitalismo globale collegano Brumadinho in Brasile e Katanga nella Repubblica Democratica del Congo. Due parti del mondo al centro, rispettivamente, della pratica architettonica di Gloria Cabral, basata sul riutilizzo di materiali di demolizione, e dell’arte visiva di Sammy Baloji che interroga l’eredità coloniale dell’Africa centrale. Legami secolari, nati dalle migrazioni forzate della tratta degli schiavi e modellati dalla creatività generativa di persone la cui resilienza ha mappato Black Atlantic (‘l’Atlantico nero’), connettono anche le due enclave di estrazione l’una all’altra e all’Europa. In questo progetto collaborativo, Cabral e Baloji creano una struttura transmediale in cui detriti di costruzione e mattoni realizzati con rifiuti minerari dell’ex metropoli del Congo – Bruxelles, Belgio – formano motivi ornamentali che rimandano ai tessuti architettonici dello storico regno del Congo, così come loro affini indigeni brasiliani. Bagliori di vetro veneziano colorato traslucido punteggiano l’opera. Il vetro, una delle principali tradizioni artistiche e industriali di Venezia, anima il mondo atlantico come merce di scambio, oggetto di ornamento e mezzo onnipresente di sperimentazione progettuale interculturale sin dall’era della tratta degli schiavi. Teorizzato in dialogo con la storica dell’arte Cécile Fromont a partire da un comune interesse per gli arazzi Tenture des Indes di Villa Medici a Roma, il progetto tesse un arazzo di mattoni. Un esperimento alchemico con materia e forma che converte detriti, rifiuti minerari, motivi africani e indigeni e storie dell’Atlantico nero in una vetrina inclusiva e rigenerativa. Il muro e i suoi motivi evidenziano il valore dei detriti e la capacità dei disegni di formare strutture architettoniche, storiche e sociali per un futuro reinventato. Dangerous Liaisons

Debris of History, Matters of Memory 157


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Mars Interruptus (Speculative Autopsy: Dismembering the Archive Regime 1) 2022

Biennale Architettura 2023


GRANDEZA STUDIO

Il Pilbara è un’immensa porzione della crosta terrestre, arida e scarsamente popolata, nel nord dell’Australia occidentale. Fin dalle prime incursioni coloniali, appena centosessanta anni fa, la progressiva ‘scoperta’ dei suoi ricchi giacimenti minerari ha trasformato la regione in un campo di battaglia spazio-temporale di espulsioni, esplosioni e sfruttamento, celato dal mito dello ‘sviluppo’ coloniale. In realtà, nonostante l’etichetta di “centrale elettrica della nazione”, il Pilbara soffre ancora di un considerevole sottosviluppo infrastrutturale e di alti tassi di esclusione sociale su base razziale. Oggi, le consolidate operazioni di estrazione di minerale di ferro, gas e petrolio si scontrano con l’infiltrazione di ulteriori investitori interessati alle riserve, ‘scoperte’ di recente, di litio e altri minerali rari. L’abbondanza di questi ambìti metalli, l’enorme esposizione a radiazione solare e vento, nonché l’accesso privilegiato all’Oceano Indiano posizionano il Pilbara al centro della transizione energetica planetaria: una corsa all’oro verde del XXI secolo. Pilbara Interregnum, il nostro contributo a The Laboratory of the Future, coglie l’opportunità offerta dall’attuale cambio di paradigma energetico per mettere in crisi le mitologie estrattiviste, coloniali e capitaliste, che stanno trasformando questa regione e il resto del pianeta in aree sacrificate. Partendo da sette dispute territoriali irrisolte, il progetto riconosce nel Pilbara un territorio al centro della scena dove sono già in atto le più radicali battaglie (geo)politiche ed epistemologiche del nostro tempo. Una costellazione di sette allegorie politiche rimette in scena il Pilbara allontanandolo da un campo di battaglia per l’estrazione di risorse e inserendolo in una guerra epistemologica di immaginazione politica. Dangerous Liaisons

Pilbara Interregnum: Seven Political Allegories 159


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Archival Collage 2022

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Huda Tayob

Index of Edges attinge ai vasti mondi globali di incontri lungo le coste dell’Africa orientale per mettere in discussione la conoscenza architettonica e le risorse archivistiche, offrendo una posizione alternativa. Un indice non è una mappa. Più che tracciare confini, raccoglie persone, riposiziona storie e ne estrae quanto vi è di significativo. In Index of Edges, un contributo a The Laboratory of the Future, vengono accostati siti e storie di futuri lontani e vicini. Segue i punti indicizzati lungo la costa, dal Periplo del mare eritreo del I secolo e le carte nautiche di Alexander Dalrymple del XVIII secolo per l’Ammiragliato britannico, ai dati costieri contemporanei e ai continui modi di vivere in stretta intimità con l’acqua, e riconosce il flusso e il riflusso delle condizioni di limite, nonostante violenze e catastrofi. L’indice traccia l’accumulo di detriti di passati stratificati attraverso un eccesso di specificità, collazionando storie di luoghi e temporalità, d’archivio e del presente. È un lavoro teso verso un asse relazionale, situato e materiale, dove precarietà e possibilità si incontrano sulla riva; dove gli imperi globali coincidono con i villaggi di pescatori; e dove la costa continua a essere luogo di pericolo, precarietà, gioia e sostentamento. Dangerous Liaisons

Index of Edges 161


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Collage dell’installazione Threads 2022

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kate otten architects

Il filo conduttore della storia di Johannesburg è iniziato circa due miliardi di anni fa, quando un enorme meteorite si schiantò sulla Terra a circa cento chilometri a sud della città. I depositi d’oro furono sepolti in profondi filoni sotto la superficie e formarono una sorta di dorsale arcuata. La scoperta del materiale prezioso nel 1886 e la corsa all’oro che ne seguì portarono alla fondazione di Johannesburg. A differenza di una registrazione lineare e patriarcale, in The Laboratory of the Future questa storia è presentata come lettura simultanea e intuitiva del paesaggio narrato dalle donne attraverso l’artigianato e la relativa produzione. Nella nostra installazione, sospesi a un telaio, compaiono: una stuoia di paglia intrecciata che rappresenta le formazioni geologiche sotterranee; un mantello di mohair per scaldare il corpo; una mappatura sociologica del paesaggio e della topografia di superficie in cui gli spazi verdi corrispondono ad aree privilegiate e ricche e le aree prive di vegetazione a quartieri poveri, con rifiuti minerari a dividere le due zone. Miniere d’oro e corsi d’acqua completano questa lettura e una collana di perline adorna il corpo, emblema dell’oro estratto dalla terra. I materiali utilizzati per l’installazione sono naturali, biodegradabili e specifici del Sudafrica, dalla scelta dell’erba e dei coloranti utilizzati, alla lana mohair, un’industria in crescita nella regione rurale del Karoo. La realizzazione è opera di collettivi, di mestieri e tradizioni femminili millenarie. Il gioco di luci e ombre, l’uso di colori e motivi e il processo collaborativo e artigianale rappresentano il nostro approccio all’architettura, che è specifico di un luogo e nutre lo spirito umano. Dangerous Liaisons

Threads 163


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Portrait of Dina Nurdybai 2020

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Portrait of Baqytali Nur 2020

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Killing Architects

In una recente serie di pionieristici progetti di giornalismo investigativo, gli strumenti di analisi architettonica e spaziale si sono rivelati fondamentali, consentendo di svolgere indagini che prima non sarebbero state possibili. Ultimamente tali progetti godono di grande attenzione in architettura, ma le metodologie di lavoro, le sfide e le opportunità di collaborazione tra architetti e giornalisti sono molto meno comprese o perseguite. Le due professioni lavorano in modi nettamente diversi – visuale vs testuale – e hanno idee altrettanto diverse su come si possa produrre una conoscenza rigorosa. Nel giornalismo, il punto di riferimento è dato dal testimone oculare che ha assistito allo svolgersi dell’evento, mentre l’architettura tende a dare maggior peso alle prove visive e materiali. Il nostro contributo a The Laboratory of the Future esplora questi problemi utilizzando la recente indagine condotta sulla rete di campi di detenzione costruiti dal governo cinese nello Xinjiang per la reclusione di massa dei musulmani. Era quasi impossibile per i giornalisti viaggiare e lavorare in maniera efficace nella regione e il mancato accesso ci ha spinto ad adottare metodi visivi e spaziali quali immagini satellitari, modellazione 3D e l’analisi dei regolamenti edilizi carcerari cinesi. A sua volta, questo ci ha portato a chiederci se le informazioni così raccolte potessero soddisfare gli standard giornalistici, una questione che abbiamo risolto confrontando e confermando le immagini satellitari con altri mezzi e comunicando chiaramente ai lettori il nostro livello di certezza che ogni sito fosse effettivamente un campo di detenzione. Dangerous Liaisons

Investigating Xinjiang’s Network of Detention Camps 165


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Welcome in Nomadland 2022

A swing 2022 →

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Le laboratoire d’architecture

Inverno 2023, nel deserto tra Tunisia e Algeria. Un nomade sedentarizzato racconta: “I nostri nonni erano ancora nomadi; i nostri genitori si guadagnavano la vita coltivando datteri in oasi artificiali. Ora lavoriamo nel turismo. Siamo gli ultimi ad aver percorso i sentieri del deserto. Per i nostri figli, questa conoscenza è già perduta”. Nello stesso periodo, in un sito ufficiale di ‘sosta’ per i nomadi in Svizzera. C’è un rumore incessante di auto sull’autostrada, odore di gas di scarico, asfalto a terra e ovunque rifiuti scaricati dall’autostrada. C’è una recinzione tutt’intorno. All’ingresso, l’insegna ufficiale definisce questo luogo un ‘campo’. Sotto una tenda ci sono delle sedie raccolte attorno a un tavolo apparecchiato con un vaso di fiori e una tazza di caffè. Indipendentemente dalle circostanze, c’è un disperato desiderio di ospitalità. Sulla base di un progetto di ricercaazione che stiamo attualmente conducendo sull’architettura nomade in Africa e in Europa, l’obiettivo del nostro contributo a The Laboratory of the Future è innanzitutto quello di denunciare l’umiliazione forzata delle condizioni di vita dei nomadi e di affermare le possibilità di un’architettura di resistenza e ospitalità. L’installazione promuove un’esperienza al contempo poetica e politica. I disegni mostrano i rilievi degli spazi abitativi reali dei nomadi sovrapposti ai progetti da loro sognati. Le narrazioni raccontano esperienze di vita nel deserto e in questi ‘campi’ ufficiali, invivibili eppure abitati. I mezzi di espressione concorrono a formare una favola non figurativa del mondo nomade che mette in discussione il nostro modo di abitare. Dangerous Liaisons

Welcome in Nomadland 167


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The Great Endeavor 2023

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Liam Young

In qualità di collaboratrice del progetto e scienziata socio-ambientale, Holly Jean Buck scrive: “Le nazioni del Primo Mondo hanno colonizzato l’atmosfera con le loro emissioni di gas serra”. Per raggiungere gli attuali obiettivi climatici non possiamo limitarci a fare affidamento sulla riduzione delle emissioni future, dobbiamo anche sviluppare la capacità di rimuovere dall’atmosfera l’anidride carbonica esistente e di immagazzinarla sottoterra a scala di gigatonnellate. Il ‘great endeavor’ – la ‘grande impresa’ – di catturare tutte queste emissioni comporterà la realizzazione del più importante progetto di ingegneria nella storia umana e lo sviluppo di una nuova infrastruttura di dimensioni equivalenti a quella sfruttata dall’intera industria globale dei combustibili fossili. È l’allunaggio della nostra generazione, una mobilitazione di lavoratori e risorse su scala planetaria resa possibile solo attraverso una cooperazione internazionale in misura mai raggiunta prima d’ora. The Great Endeavor affronta questa sfida con radicale ottimismo, collaborando con una rete di scienziati e tecnologi per creare un cortometraggio che catturi la progettazione, la costruzione, la visualizzazione e la scena di come potrebbe presentarsi la realizzazione di questo immaginario infrastrutturale, trasformando il carbonio atmosferico in gas liquefatto da pompare in profondità sotto il fondo dell’oceano o mineralizzato nella roccia del deserto. Presentando abiti da lavoro creati in collaborazione con la costumista di Hollywood Ane Crabtree, con la colonna sonora di una nuova canzone dei lavoratori planetari composta dalla vocalist Lyra Pramuk, il film mostra milioni di persone all’interno del cantiere, in un’azione coordinata per decolonizzare l’atmosfera: il nostro ultimo grande atto di trasformazione planetaria. Dangerous Liaisons

The Great Endeavor 169


Ricordando il futuro

Mould1

Londra/ Berlino/ Braunschweig

È fin troppo spesso più utile dimenticare che ricordare. L’oblio regala un falso senso di libertà, in cui i futuri sono costruiti liberi dal peso del passato. L’architettura, come disciplina e pratica, è colpevole di tale amnesia. I suoi confini autoimposti spesso ignorano ciò che si trova al di fuori nel tentativo di controllare meglio il proprio ‘dentro’, scordando che l’architettura è anche relazione, dipendenza. Sono ammessi soltanto certi ricordi: forme approvate, norme, gusti, eroi individuali, tecniche esemplari, geografie limitate, definizioni vincolate, sistemi dominanti, estrazione eccessiva, autonomia. Ma qui, nella promessa di questa Biennale, emergono memorie diverse per superare questo ‘oblio’ collettivo. L’architettura amnesica è una forma 170

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di protezione, al sicuro nella propria bolla autoreferenziale ignora le esternalità che producono l’ambiente spaziale. Mai questo è stato tanto chiaro come di fronte al collasso climatico, che amplia drammaticamente il divario tra ciò che l’architettura vuole essere e ciò che, di fatto, è. Gli architetti vogliono essere salvatori, spesso portando soluzioni tecnocratiche nello spirito di un progresso lineare che sfugge al disastro. L’architettura, con la sua fede, esagera ciò che è possibile ottenere, dimentica i propri fallimenti e quindi spesso reitera la propria hybris, i propri errori, il proprio isolamento. L’instabilità del collasso climatico sconvolge la tranquillità del progresso lineare e mette in discussione qualsiasi idea che una soluzione sia lì, in attesa. Sfida il breve termine e la feticizzazione del nuovo, la modalità predefinita dell’architettura, perché i confini planetari non scompaiono improvvisamente; sono qui per rimanere, in una qualunque forma, seppur danneggiati. L’architettura si ritrova vulnerabile, perché la crisi climatica sconvolge e rende vana l’azione di una singola disciplina. L’architettura non esiste isolata. Fa parte di un complesso sistema di interdipendenze di agenti Dangerous Liaisons

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umani e non umani; di relazioni che rendono possibile la sua stessa esistenza. La domanda rassicurante su ciò che l’architettura può fare per il clima deve essere ribaltata nella sua controparte scomoda, ossia cosa il collasso climatico fa all’architettura. Il clima ci espone tutti: siamo costretti a confrontarci con esso e con la sua formazione. Affrontare esclusivamente i sintomi del crollo non è che un’altra forma di negazione perché evita le cause profonde e consente ai disastri di proseguire incontrastati. Come gli archeologi, dobbiamo scavare all’indietro, scoprire, filtrare, esporre... e solo allora andare avanti. In questo scenario, la memoria è insieme sconvolgimento e restituzione. Come possiamo parlare di un futuro equo se non ricordiamo le iniquità e le oppressioni del passato? Affrontare questi ricordi e le condizioni che li hanno generati è il primo passo necessario. Il disastro climatico ci chiede di lavorare in avanti e all’indietro, immaginando e proiettandoci nel futuro minacciato, per comprendere la violenza che ci circonda. Solo allora potremo imparare come intervenire al meglio. “Forse l’universo è un ricordo dei nostri errori”, scrive Jeanette Winterson in Gli dei di pietra2. Tuttavia, ricordare è molto più che uno scomodo promemoria. È anche un mezzo per portare in superficie pratiche e relazioni trascurate dal mainstream, architettonico e non. Il futuro non è un copione da scrivere da zero; si trova nei vuoti del presente, dove già emergono nuove 172

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e fragili formazioni che hanno bisogno di sostegno e comprensione. Il futuro è dove possibilità nascenti possono essere riorganizzate e riunite per sviluppare nuove relazioni, fondate su una critica dello status quo per allontanarsene intenzionalmente. Il futuro esiste già nelle pratiche liquidate come errabonde, in una miriade di fugaci espressioni creative. Poiché il centro ci ha deluso in modo così tragico, la speranza deve emergere da altrove, negli spazi che sono stati dimenticati, nei ricordi che devono ancora essere cancellati. In questo modo ricorderemo il futuro.

1. 2.

MOULD è un collettivo di ricerca: Anthony Powis, Christina Serifi, Tatjana Schneider, Jeremy Till, Becca Voelcker. J. Winterson, Gli dei di pietra, Mondadori, Milano 2010.

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Bamboo Workshop No. 2 2012

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Low Design Office

Da due decenni, Low Design Office – con sede ad Austin, Texas, e Tema, Ghana – esplora le ecologie materiali autoctone della microarchitettura. Queste spaziano dalle microimprese in svariate situazioni logistiche alle imprese domestiche ospitate in capannoni (colloquialmente chiamati ‘chioschi’), fino alle industrie arboree, lungo la strada e a domicilio, che costituiscono, nel complesso, una grande e diffusa impalcatura di infrastrutture rigenerative per l’empowerment socioeconomico. Integrando progettazione e ingegneria, Low Design Office promuove un modello di autocostruzione che riformula la cultura del chiosco come infrastruttura emergente per la trasformazione ‘rurbana’ africana. Lanciata nel 2012 con lo studio di consulenza francese Panurban, l’iniziativa Agbogbloshie Makerspace Platform (AMP) combina la ricerca di laboratorio e la ‘prototipazione popolare’ iterativa attraverso workshop pubblici con produttori stanziati in Africa occidentale, per co-progettare una architecnologia flessibile che dia forma allo spazio. Lo ‘spacecraft’ di AMP è uno standard aperto di progettazione e produzione che utilizza il design per riassemblare i principi e i componenti prefabbricati modulari al fine di riformattare la tipologia del chiosco come matrice sinergica per il coordinamento dei materiali nello spazio-tempo. Coprodotto all’interno e nei dintorni del centro di discarica, riciclaggio e produzione di Agbogbloshie, ad Accra, AMP amplia i processi circolari di (ri)creazione con gli altri come modalità di abitazione collettiva. Il kit di progettazione opensource genera equità, sostituendo i paradigmi dell’innovazione (che sfruttano l’obsolescenza dei manufatti pianificata per profitto a scapito del pianeta) con una prassi riparativa di rinnovamento per una giustizia spaziale all’interno delle realtà fisiche e digitali. All’interno di The Laboratory of the Future sono presentate le componenti di questo progetto in atto. Dangerous Liaisons

Enviromolecular 175


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Mphethi’s Sketches 2020

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MMA Design Studio

I ricercatori sottolineano che i vasti paesaggi privi di insediamenti umani – percepiti dai turisti come rappresentativi della ‘vera Africa’ in uno stato ‘naturale’ e incontaminato – non sono affatto tali. Nel 2019, utilizzando la nuova tecnologia di scansione LiDAR, il professor Karim Sadr del Dipartimento di Archeologia della Witwatersrand University ha potuto confermare l’esistenza di un importante insediamento tswana risalente al XV secolo in quella che oggi è la riserva naturale di Suikerbosrand. Questo stesso sito fa attualmente parte di una contestata richiesta di restituzione della terra post-apartheid, avanzata dalla comunità di Mphethi Morojele, Bakwena ba Mare A Phogole. Questa rivendicazione, basata su ricerche storiche, prove orali e la presenza di tombe a sua testimonianza, è stata enormemente rafforzata dalla tecnologia. Origins, la nostra installazione per The Laboratory of the Future, trae ispirazione da questo paesaggio storico stratificato e da un interesse per l’architettura che esplora il nostro rapporto con un mondo animista. Incorpora varie forme di rappresentazione per ristabilire un legame tra ricerca e immaginazione e postulare così un senso del tempo ciclico e africano in cui “il futuro come un lontano ricordo”, come lo descrive Lesley Lokko, prende vita. Il rapporto dell’architettura con il tempo costituisce di per sé una “dangerous liaison”, una ‘relazione pericolosa’. Per sopravvivere al futuro, dobbiamo risalire a un futuro ancora più antico, un futuro che ci reintegri in un mondo vivente di ‘altri’ esseri, animati e inanimati. Dangerous Liaisons

Origins 177


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The Waterhouse at South Bund 2015

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Neri&Hu Design e Research Office Mentre immaginiamo autonomamente che cosa ci riserva il futuro, occupiamo collettivamente lo spazio liminale della sperimentazione, sia nei costrutti teorici che nella pratica della progettazione. Nell’odierno mondo postcoloniale, il teorico e critico Homi K. Bhabha parla dei confini in ambito culturale come luogo liminale o “terzo spazio” in cui avvengono traduzioni e negoziazioni. Lo spazio liminale e il concetto di soglia rappresentano un terreno di ambiguità che genera nuove possibilità e cambiamenti. Questi luoghi diventano il palcoscenico per eventi transitori e di frontiera, con la capacità di scompaginare e sfidare lo status quo. In The Laboratory of the Future, per esprimere lo spazio liminale come zona a metà tra pratica di progettazione e indagine teorica, Neri&Hu presenta tre progetti di riuso adattivo, sottolineando la ricerca dello studio. Nel loro insieme, i progetti condividono strategie architettoniche simili che utilizzano il contrasto materiale, la differenziazione architettonica, la composizione formale e l’innesto di precisione. Tuttavia, ciascun progetto presenta una propria serie di problematiche relative al modo in cui ci si confronta con i resti dell’occupazione passata. Le opere selezionate parlano di un approccio archeologico per rimuovere gli strati e lavorare tanto con le cancellazioni quanto con le aggiunte. Partendo da frammenti e reliquie del patrimonio postindustriale, rurale e urbano, ogni progetto evidenzia il ruolo della rappresentazione nel dialogo tra passato e presente, vecchio e nuovo, liscio e strutturato, raffinato e grezzo. Il concetto di liminalità consente di attraversare soglie temporali allo stesso tempo fisiche e allusive, creando un’istintiva percezione delle intersezioni tra passato, presente e futuro. Dangerous Liaisons

Liminality 179


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Mr Abdul Kader Tofie confronting the police while the mosque is being demolished 1958

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Office 24-7 e Lemon Pebble Architects

È un’installazione incentrata sul rapporto tra cancellazione materiale e oblio storico. L’atto di eseguire la alāt – la preghiera islamica obbligatoria – sul terreno di uno sgombero epocale, forzato e razzista è un’azione di protesta poetica. Questo atto di resistenza e rivendicazione costituisce il catalizzatore della nostra installazione. La comunità malese del Sud Africa comprende discendenti di musulmani schiavi e liberi. Nel 1871, durante la corsa ai diamanti, i carrettieri malesi arrivarono a Kimberley e fondarono il Malay Camp, che col tempo divenne un fiorente centro urbano con una variegata comunità di persone di colore. Nel 1939, la società di diamanti De Beers donò il terreno al comune locale a condizione di “sgomberare i bassifondi”. Ne conseguirono un processo di allontanamento forzato e la formazione di luoghi di segregazione razziale. Nel 1960, l’intero Malay Camp era stato cancellato e sovrascritto da un distretto in regime di apartheid. Oggi il sito cancellato di una moschea è ancora utilizzato per la preghiera all’aperto. Questa è una storia che tocca le radici del capitalismo coloniale, i diritti territoriali, l’estrazione ambientale e le pratiche di sfruttamento del lavoro. La forma proposta è una rovina spettrale, spezzata e frammentaria. L’installazione vuole rendere presenti storie cancellate e interrotte. In questa storia, la mu allā (luogo di preghiera) è l’architettura. Rivolta verso la Mecca, funziona senza confini, è il fedele che prega sull’erba, nomade, diasporico. Racconta una rete di comunità, uno spazio piano contrapposto a muri, lotti di terreno e demarcazioni: lo spazio angusto di leggi ingiuste. Dangerous Liaisons

Drawing Memory into Being 181


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Prossima Apertura – Piazza Comunità Europea, Aprilia 2021 Citadella, TRANSURBAN Residency, Bielefeld 2022

Casa di BelMondo, Belmonte Calabro (CS) 2019–in corso

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orizzontale

Sexy Assemblage presenta un approccio eterogeneo alla progettazione di spazi pubblici, in cui giocosità, azioni e comunità generano insieme il tempo e lo spazio per sperimentare nuove forme di aggregazione collettiva. Da studio di architettura, orizzontale si chiede: come possiamo coniugare competenze, persone, luoghi, materiali, storie e desideri così diversi e distanti? orizzontale propone vari strumenti, formali e non, che contribuiscono alla creazione dell’assemblaggio, dando forma a molteplici ‘sistemi aperti’ invece di definire soluzioni formali isolate. A partire da un dialogo tra diversi progetti di orizzontale, Sexy Assemblage esplora questi strumenti nella loro applicazione in contesti, scale e spazi diversi. Per l’installazione all’interno di The Laboratory of the Future, un paesaggio visivo introduce un approccio generale allo spazio pubblico, raccogliendo idee, immagini e testi. Al contempo, lo spazio stesso diventa una forma di aggregazione collettiva, costruendo fisicamente un luogo di incontro sia formale che informale per la Biennale Architettura 2023. In questo senso, l’assemblaggio mira a creare un terreno comune di incontro e confronto collettivo, il luogo in cui le esperienze vengono condivise e riunite, nonché quello in cui i conflitti e le collisioni vengono affrontati e risolti (o meno). In Sexy Assemblage la costruzione collettiva dello spazio pubblico diventa un modello per abitare e costruire la città. Sperimentando usi insoliti, assemblando oggetti e raccogliendo le esperienze emerse durante il processo, lo spazio si fa laboratorio per le comunità future. Dangerous Liaisons

Sexy Assemblage — The Danger and Seduction in Juxtaposing Differences that May Clash 183


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Diapositiva dell’archivio fotografico di William Balé parte di An Architectural Botany 2018

Mappatura collettiva con gli anziani a Marãiwatsédé, parte di Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments 2017–2021

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Paulo Tavares/ autonoma

La nostra installazione si compone di un ‘padiglione-foresta’ in cui dialogano due progetti correlati. An Architectural Botany rivisita l’archivio fotografico prodotto dall’etnobotanico William Balée durante la sua pionieristica ricerca presso i Ka’apor dell’Amazzonia orientale negli anni Ottanta, con cui dimostra che vaste aree della foresta pluviale sono il prodotto del coinvolgimento degli indigeni con il paesaggio; sono, cioè, socialmente progettate. Che cosa significa affermare che un ambiente rappresentativo della quintessenza della ‘Natura’ nel pensiero coloniale moderno occidentale è in realtà un artefatto culturale progettato? Il secondo progetto, Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments, presenta un’archeologia degli antichi insediamenti Xavante sgomberati con la forza dalla dittatura militare brasiliana negli anni Sessanta. Attraverso l’identificazione forense dei resti botanici, il progetto si chiede se le composizioni forestali siano equivalenti a rovine architettoniche. Alberi, viti e palme possono essere interpretati come monumenti storici? Insieme, i due progetti stabiliscono un dialogo tra teoria e pratica, conoscenza e terreno, culture visive e progettazione come difesa, intessendo un campo concettuale in cui la foresta appare come una nuova e radicale forma di architettura. Oltre a elencare i monumenti da smantellare, abbiamo bisogno di costruire nuovi paesaggi commemorativi di cui prenderci cura, siti territoriali che consentano di raccontare altre storie, mettendo al riparo al contempo le comunità e ripristinando l’ambiente. Radicata e globale, l’architettura come difesa risponde simultaneamente ai conflitti territoriali specifici e alla politica terrestre del cambiamento climatico. Come ha scritto l’americana Ursula K. Le Guin: “The word for world is forest” (La parola per il mondo è foresta). Dangerous Liaisons

An Architectural Botany, 2018 Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments, 2017―2021 185


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Before and After Images showing how the Ganesh Festival Pandal is built and dismantled each year in Mumbai, India 2012

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Rahul Mehrotra con Ranjit Hoskote Finora l’architettura non ha approfittato delle opportunità offerte dalle molteplici transizioni che stiamo vivendo per dare vita a forme di futuri ospitali e vivibili. La ‘pratica dell’architettura’ è stata ossessionata dalla permanenza nell’immaginare soluzioni assolute. Passare a un pensiero progettuale transitorio implica riconoscere l’interconnessione dei sistemi sociali, economici, politici e naturali per affrontare i problemi a tutti i livelli della scala spaziotemporale, in modi che potrebbero rendere sostenibile la vita sul nostro pianeta. Cosa ancora più importante, ciò comporta un ripensamento dell’‘architettura della pratica’ per operare simultaneamente con molteplici modalità di impegno, con trasgressioni e sinergie tra culture disciplinari disparate, e con accumulo e produzione di conoscenza. Significa percorrere la linea, sottilissima e pericolosa, tra condizioni polarizzate per sfidare e rivelare le loro ridondanze come immaginari sistemi binari. Impone di mettere in discussione la rilevanza della manifestazione statica e permanente dell’architettura come unico segno o strumento organizzativo degli insediamenti umani. Nella formazione dei futuri professionisti dobbiamo concentrarci sul coltivare, ispirare, motivare e guidare i giovani architetti per calibrare e dare voce alla scissione, altrimenti crescente, tra le loro sfere di interesse e influenza. L’installazione vuole sottolineare l’importanza di progettare, praticare, pensare ed esplorare contemporaneamente attraverso varie modalità e metodi. È concepita come una soglia che mette in evidenza il lavoro multidisciplinare, multimodale e multiscalare di Rahul Mehrotra. Vengono messe in risalto la temporalità e l’ibridazione attraverso quattro categorie: Difesa, Pratica, Ricerca e Didattica. Per enfatizzare la temporalità e la riduzione dei rifiuti, viene riutilizzato il materiale delle installazioni di Mehrotra esposte alle precedenti edizioni della Biennale Architettura. Dangerous Liaisons

Loops of Practice, Thresholds of Habitability 187


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Chattahoochee ‘River Ramble’ with the Agape Youth & Family Center 2019

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SCAPE Landscape Architecture

Il progetto Chattahoochee RiverLands aggrega quartieri, scuole, boschi e rive a formare uno spazio pubblico contiguo e un’infrastruttura ecologica riparativa. Questo è l’oggetto del nostro contributo alla Biennale Architettura. Basato su oltre quattro decenni di pianificazione comunitaria, bonifica e sensibilizzazione dal basso per la giustizia ambientale, questo sforzo generazionale per ricollegare Atlanta con il suo fiume principale, il Chattahoochee, inizia a prendere forma. Attraversando duecento chilometri di territorio eterogeneo – che va dal centro città, alla periferia suburbana, ai campi agricoli e alle foreste intatte – Chattahoochee RiverLands introduce piste ciclabili accessibili e aree verdi extra-urbane, micro-parchi e affacci rocciosi nel tessuto urbano-rurale esistente, collegando oltre un milione di residenti fra di loro e a un coinvolgente paesaggio fluviale. Già diventata uno stimolo per la politica regionale e muovendosi, sito dopo sito, sempre più verso l’attuazione, la visione di RiverLands è emersa da un ampio processo di coinvolgimento: oltre duecento eventi pubblici, tra cui iniziative di open house, gruppi di discussione, workshop per le parti interessate, gite guidate, percorsi in braille e ‘passeggiate fluviali’. Le linee tracciate qui su acetati sovrapposti, provenienti da uno solo di questi laboratori, si limitano a scalfire la superficie delle vicende raccontate, degli investimenti fatti e delle storie portate alla luce. Nel corso del tempo, il Chattahoochee si è evoluto, trasformandosi da paesaggio fluviale essenziale per la vita indigena delle tribù Creek e Cherokee, a motore dell’industria e dell’estrazione, a barriera fisica e strumento di redlining, a catalizzatore per l’azione ambientale. Per il futuro, Chattahoochee RiverLands anticipa sia una forma di infrastruttura climatica del prossimo secolo, sia un processo incentrato su un metodo collaborativo di workshopping e co-creazione. Dangerous Liaisons

Workshopping the Chattahoochee 189


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Ground Conditions: Ogoni, Oil on Water series 1 2018 Midwest Flatland From the Sky series: 18 2022

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Stephanie Hankey, Michael Uwemedimo e Jordan Weber

Un pavimento di terra battuta che riutilizza il suolo di Earthly Paradise (esposto alla Biennale Arte 2022) di Delcy Morelos viene realizzato come ‘nuovo terreno’ alle Corderie. Questa stratificazione è sovrastata da rendering algoritmici e aerei dei siti percorsi dai nostri terricci, immagini satellitari, flussi di dati, letture dei sensori, metriche di carico e carte sismiche. Nello spazio tra la struttura sovrastante e il terreno, strati sonori di attività microbica del suolo, sondaggi sismici, segnali di sensori agricoli e voci umane registrate nelle comunità descrivono l’archeologia acustica. Nel corso della nostra installazione all’interno di The Laboratory of the Future, ciascun paesaggio da cui proviene la nostra terra diventa un laboratorio per stimolare il suolo e la comunità, dalle celle a combustibile microbiche che digeriscono gli idrocarburi, fino ai concerti organizzati su siti di sversamento ripiantati o su terreni rinaturalizzati. Si tratta di esperimenti locali per produrre un diverso tipo di paesaggio, studiando non tanto a chi appartiene la terra, quanto piuttosto il modo in cui noi apparteniamo alla terra in questi luoghi di lotta e celebrazione. Dangerous Liaisons

Synthetic Landscapes I 191


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Lost at Sea 2022

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Studio Barnes

L’architettura può essere custode di storie? Che cosa succede quando essa esprime la propria verità? A The Laboratory of the Future presento Griot, che riflette sulle eredità nascoste all’interno del nostro canone architettonico fondativo. Storicamente, il Griot è un narratore dell’Africa occidentale. In questa installazione, gli oggetti costruiti forniscono narrazioni di architettura, identità, colonizzazione e influenze culturali della diaspora africana. Adottando Dangerous Liaisons come punto di partenza, il Griot oscilla tra testo e parola. Gran parte di ricerche e scritti che documentano questa storia architettonica mancante si trova al di fuori della disciplina. Sono archeologia e antropologia, e non l’architettura, a contenere una pletora di conoscenze su procedure, produzione e persone. Le combinazioni disciplinari di architettura, archeologia, antropologia e identità riflettono una nuova architettura ibrida, che fluidamente si muove tra limiti e confini di The Laboratory of the Future. Dangerous Liaisons

Griot 193


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Yellow Brick Road 2018

Biennale Architettura 2023


Studio of Serge Attukwei Clottey

Per The Laboratory of the Future, Clottey ha creato un’iterazione del suo progetto Afrogallonism, installata lungo la struttura di supporto superiore delle Gaggiandre. L’opera è disposta organicamente, la forma è definita dal suo stesso peso, sospesa sopra l’acqua che ne cattura il riflesso in superficie. Clottey opera con installazioni, performance, fotografia, pittura e scultura, esplorando narrazioni personali e politiche radicate in storie di commercio e migrazione. Con sede ad Accra, in Ghana, egli definisce il proprio lavoro – che utilizza principalmente taniche di plastica, gialle, tipiche dell’epoca dell’ex presidente ghanese Kufuor1 – con il termine “Afrogallonism”, un concetto che affronta la cultura materiale globale tagliando, perforando, cucendo e fondendo questi materiali recuperati. I contenitori utilizzati da Clottey in questo lavoro non sono intrinsecamente africani: sono realizzati in plastica, importati e poi scartati. Egli ripropone spesso questi materiali all’interno di uno spazio artistico contemporaneo, alchimizzandone il valore e il significato attraverso il contesto della sua pratica artistica. Con questo progetto, Clottey utilizza l’architettura veneziana esistente per creare un’installazione site-specific, che indaga il rapporto tra l’“Afrogallonism” e questo importante sito culturale. Dangerous Liaisons

1. John Kofi Agyekum Kufuor è un politico ghanese, presidente del Ghana dal 7 gennaio 2001 al 7 gennaio 2009. È stato anche presidente dell’Unione africana dal 2007 al 2008.

Time and Chance 195


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Anthotype Study 2022

Biennale Architettura 2023


Suzanne Dhaliwal

In risposta alle complesse e molteplici crisi che affliggono il clima e la comunità globali, Suzanne Dhaliwal ci invita a rivedere il nostro rapporto con i confini. In queste immagini del sole, la membrana semipermeabile è un punto di ispirazione per riflettere su come ci rapportiamo con le differenze, le barriere e la distribuzione delle risorse secondo un principio olistico e orientato alla vita. In che modo i principi di progettazione di una membrana semipermeabile possono offrire delle opportunità per attivare un’etica e dei principi di progettazione che ripensino la distinzione tra interno ed esterno, tra confini pubblici e privati, alla luce di questi impegni generali per la vita e l’equità? Nella serie qui presentata, le membrane semipermeabili offrono un principio guida per una proposta su come la demarcazione meccanica di ‘dentro’ e ‘fuori’ e le soglie possano essere progettate e al contempo orientate ai principi della vita. La membrana semipermeabile può essere progettata per facilitare processi vitali quali l’osmosi, la desalinizzazione, l’omeostasi, la protezione degli organi e la distribuzione facilitata di agenti biochimici chiave come gli ormoni. Lavorando con coloranti naturali e antotipi sbiancati dal sole, questa serie offre un punto di sosta per ripensare a come potremmo esplorare la membrana semipermeabile come bussola nel ‘laboratorio del futuro’ per orientare la progettazione negli anni a venire. Dangerous Liaisons

Sunkissed: Reimagining Redistribution 197


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The Work-Shop Production Flows 2022

Biennale Architettura 2023


Sweet Water Foundation

Il termine ‘chaord’ è formato dall’unione di ‘chaos’ e ‘order’. È un quadro di-unitale che adotta la logica del ‘sia/che’ e nega la mentalità dicotomica dell’‘o/o’ che controlla forma e funzione nell’ambiente costruito. L’architettura e la pianificazione si vantano della propria possibilità di stabilire l’ordine. La sete di controllo lascia uno spazio limitato per un feedback dinamico e le città sono quindi progettate come monolitiche, pur essendo, per loro natura, dialogiche. Momenti statici e perfetti di spazi regimentati e piani regolatori di nozioni di vita prescrittive non rispecchiano affatto né la natura né tutti quegli esseri umani che non possono permettersi di essere ‘clienti’. La mentalità dicotomica impedisce al mondo di vedere le possibilità illimitate di chaord. chaord è un assemblaggio di oggetti progettati e rappresentazioni mixed media della prassi spaziale della Sweet Water Foundation con Meeting House, un laboratorio e un workshop concepito come struttura multiscalare. Gli elementi chiave della facciata sono ricavati da sedute modulari impilabili, progettate come un piano di lezione di ecologia urbana in cui si celebra il legno di recupero. Ogni elemento funziona come un frattale unico e a sé stante, consentendo una serie di composizioni dinamiche di auto-assemblaggio e auto-organizzazione quando viene spostato e riposizionato. Le unità possono essere riassemblate per consentire una gamma di formazioni programmatiche, come aule, laboratori e la seduta di un auditorium all’aperto per oltre 250 persone. All’Arsenale, chaord viene riproposto attraverso un collage multimediale e didattico che mostra una serie di fotografie, materiali e diagrammi che contestualizzano la pratica di Regenerative Neighbourhood Development della Sweet Water Foundation applicata al Commonwealth nel South Side di Chicago. Dangerous Liaisons

chaord 199


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The Funambulist in the Algerian Hirak 2019

Biennale Architettura 2023


The Funambulist

The Funambulist è un progetto editoriale avviato da Léopold Lambert nel 2010, dedicato alla politica dello spazio e dei corpi. Attraverso una piattaforma online, un podcast e, soprattutto, una rivista bimestrale cartacea e online, si prefigge di analizzare le lotte politiche del mondo attraverso lo spazio e l’ambiente costruito. Articoli, interviste, opere d’arte e progetti architettonici formano un archivio in corso per le lotte anticoloniali, antirazziste, anticapitaliste, queer, trans e femministe, fornendo una piattaforma in cui attivisti/ accademici/praticanti possono incontrarsi e costruire insieme una solidarietà oltre i confini e le scale geografiche. Come fa notare la Curatrice nella sua introduzione, sempre più “la stampa, la curatela e il discorso pubblico sono forme legittime di produzione architettonica”. In The Laboratory of the Future viene riunita per la prima volta la totalità delle pubblicazioni cartacee di The Funambulist fin dai suoi esordi, camminando sul metaforico filo del rasoio tra ‘pensieri’ e ‘cose’. A partire dall’iniziale collaborazione con punctum books, che ha dato vita a undici volumi di The Funambulist Pamphlets e a due di The Funambulist Papers, i visitatori sono invitati a percorrere la cronologia delle quarantasei prime edizioni della rivista. Dangerous Liaisons

The Funambulist 201


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Yangambi 2020–2022

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Panorama Atmosphérique 1935

Biennale Architettura 2023


Twenty Nine Studio

Il contributo di Sammy Baloji a The Laboratory of the Future si sviluppa in tre capitoli, ognuno dei quali affronta la smaterializzazione del paesaggio e la delocalizzazione dei sistemi sociali precoloniali attraverso l’azione coloniale. I capitoli si intrecciano in un dialogo aperto tra documenti storici e contemporanei, attivati dal gesto artistico. Il primo capitolo consiste nella proiezione di un film realizzato all’interno e nei dintorni del centro agricolo di Yangambi, nella Repubblica Democratica del Congo. La pellicola combina filmati d’archivio con immagini riprese dall’artista e realizzate come parte della sua recente ricerca sul campo. Dal punto di vista visivo le immagini contemplative del paesaggio vegetale, risultato della sperimentazione agricola coloniale belga, sono intervallate da vedute di edifici coloniali obsoleti, occupati da agenti e lavoratori congolesi. Il secondo capitolo è costituito da documenti d’archivio e appunti di viaggio dall’Indonesia, raccolti da agronomi e architetti del governo belga. Lo scopo di questi viaggi di osservazione era applicare le tecniche architettoniche e agricole dello Stato belga nella propria colonia, il Congo belga. Il terzo capitolo è riservato all’architetto Henry Lacoste e al suo progetto per il padiglione del Belgio all’Esposizione Universale del 1935. Questo progetto, mai realizzato, si intitolava Panorama Atmosphérique. Lacoste proponeva la ricostituzione geo-idrografica e climatica di un viaggio esplorativo nel Congo belga, con l’ambizione di riflettere la potenza e il progresso dell’impresa coloniale in Congo. Sammy Baloji ha lavorato alla ricostituzione di una copia del modello di Panorama Atmosphérique basata su materiali in rame, con interpretazione critica e poetica. Dangerous Liaisons

Aequare: the Future that Never Was 203


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Vocal Cognitive Territory 2022

Vocal Cognitive Territory 2022

Filming in the South of Colombia 2021

Biennale Architettura 2023


Ursula Biemann

Di fronte all’impellente necessità di preservare la biodiversità della Terra e la conoscenza a essa collegata, dal 2018 l’artista Ursula Biemann lavora con il popolo Inga della Colombia sud-occidentale per co-creare un’università indigena nell’Amazzonia andina. Devenir Universidad opera all’interno di questo processo collaborativo, in cui si favorisce il dialogo tra diversi sistemi di conoscenza con l’obiettivo di invertire la perdita culturale e il danno epistemico causati dai regimi coloniali ed estrattivi. Il progetto prevede ricerca, produzione di conoscenza e programmi educativi, ed esplora molteplici modi di conoscere, pensare e interagire con il territorio Inga. Traendo ispirazione da un paradigma bioculturale che sposta il discorso da un rapporto estrattivo a uno più generativo e creativo con il territorio, Devenir Universidad sostiene diverse dimensioni nella concretizzazione di questa nuova istituzione di alta formazione e ricerca: l’Università bioculturale indigena. Commissionato dal Museo de Arte dell’Universidad Nacional de Colombia, Devenir Universidad è un progetto artistico, una pubblicazione online, un organismo vivente, una ricerca multispecie nella foresta pluviale amazzonica e una rete collaborativa di persone umane e oltre l’umano che pensano e agiscono in concerto con il territorio. Nell’ambito di Devenir Universidad, l’opera video Vocal Cognitive Territory (2022) porta a Venezia questa conversazione sulla persistenza e sulla sovranità della conoscenza indigena della foresta pluviale. Nelle registrazioni effettuate dai membri della comunità, figure chiave del popolo Inga raccontano la propria storia territoriale e propongono diversi tipi di apprendimento per le loro generazioni future. Dangerous Liaisons

Devenir Universidad 205


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The Plantation 2017

Biennale Architettura 2023


White Arkitekter

The Laboratory of the Future si tiene in un momento in cui qualsiasi futuro immaginato appare senza speranza. L’architettura gioca un ruolo complice nel degrado ambientale, nella disuguaglianza sociale e nello squilibrio energetico. Dangerous Liaisons allude ai rischi insiti nella nostra errata interpretazione di intrecci complessi, nella visione riduttiva della natura e negli approcci numerici alla gestione del paesaggio. È possibile trovare un equilibrio tra la foresta come risorsa e l’urgente necessità di preservare e ricostruire le ecologie fragili? La nostra installazione scompone e analizza un recente progetto in legno realizzato a Skellefteå, Svezia, esplorandone la tecnologia edilizia, le catene di approvvigionamento dei materiali e il loro impatto sulle foreste a partire da cui è stato costruito. Sara Kulturhus, completata nel 2021, è un simbolo per l’architettura in legno sostenibile e costituisce un perfetto caso di studio. Usando il carbonio come misura e valuta concordata, il workshop ci consente di sfatare la politica dello ‘zero’ e puntare verso nuove forme positive di pratica. Andiamo oltre l’edificio per includere i paesaggi dell’estrazione del legname e, collegando dati concreti a un luogo reale, cerchiamo di rivelare ciò che spesso rimane invisibile. I film presentano la realtà della foresta industriale, l’efficienza della produzione e l’uso quotidiano dell’edificio pubblico su scala reale. La fauna selvatica, le persone e il clima aggiungono nuovi strati per collegare ulteriormente l’estremo nord dell’Europa con il pubblico della Biennale Architettura 2023. Vengono ascoltate voci – provenienti dai discorsi sull’ecologia, sulla tecnologia e sul carbonio – che illustrano le complessità e le contraddizioni degli attuali approcci per contrastare le emergenze legate al clima e alla biodiversità. Dangerous Liaisons

One Hundred and Fifty Thousand Trees 207


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Exhibition Studies 2023

Biennale Architettura 2023


Wolff Architects

La varietà di temi affrontati all’interno del nostro studio viene esplorata attraverso la metafora della sezione geologica. I progetti chiave sono rappresentati da una riflessione sulla sedimentazione del lavoro e delle idee che informano i principali aspetti della nostra pratica professionale. Così come due placche tettoniche possono separarsi, questa installazione esplora la modificazione delle formazioni geologiche. Se sottoposti a un’enorme forza, gli strati orizzontali vengono inclinati, stritolati e spinti verso l’alto. Questa trasformazione del terreno si rivela in maniera tanto più drammatica quando l’acqua si trova a scorrere attraverso una sezione della montagna, rivelando un nuovo paesaggio. Simili a una serie di profili pedologici, bande verticali compongono l’installazione; in alto ci sono disegni, film o foto attualmente rilevanti, e al di sotto gli strati che sono i precursori di questo lavoro. Alla base di ogni sezione verticale ci sono l’inconscio collettivo e i temi delle varie persone che operano all’interno dello studio Wolff o in collaborazione con lo stesso. Le bande verticali sono realizzate con una serie di rotoli che sovrappongono contenuti proiettati e fotografie su tessuti stampati in cianotipia. Questi ultimi costituiscono un chiaro riferimento alle passate modalità di riproduzione di disegni architettonici; in quanto cianotipie, però, richiedono solo l’energia solare per essere realizzate. Queste stampe sono un’espressione di abbondanza in un momento in cui il Sudafrica sta vivendo una scarsità di approvvigionamento energetico. Dangerous Liaisons

Tectonic Shifts 209


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Niangou Boat Terminal 2014

Biennale Architettura 2023


ZAO/standardarchitecture

Nel corso della storia, le popolazioni hanno adottato il vivere comunitario e la condivisione delle risorse come stile di vita. Dagli indigeni alla moderna comunità urbana, le società hanno maturato nuovi sistemi sociali, facilitato gli scambi culturali e sviluppato idee di coabitazione in spazi condivisi. Tuttavia, il co-living sarà una situazione pericolosa finché rimarrà passivo. Con la rapida divisione del mondo, che favorisce l’isolamento e il conflitto, ci stiamo allontanando, fisicamente e antropologicamente. È possibile trasformare il co-living da passivo ad attivo, sia a livello politico che architettonico? L’installazione, concepita come laboratorio di co-esistenza, invita i visitatori a riflettere sul nostro lavoro sotto un mockup sospeso dell’Hangzhou Museum, meditando nel suo cortile come facevano i filosofi negli antichi giardini cinesi, e a soffermarsi sul nostro modo di intendere i rapporti vitali tra interno ed esterno, architettura e paesaggio, memoria e identità. Risaliamo alle origini e guardiamo avanti, esaminiamo i ricordi per immaginare nuovi aspetti e indurre discussioni su un coliving sostenibile. Tre serie di progetti dimostrano in successione la nostra interpretazione contemporanea della co-esistenza: Tibet esplora l’idea di incorporare un paesaggio di coliving in un contesto culturale, mentre Hutong Metabolism la sviluppa con spazi e programmi che promuovono la crescita comune organica come rinnovamento critico in un tessuto urbano esistente. Infine, l’ultima serie di progetti, il Rizhao Community Art Center, rappresenta una co-esistenza attiva di programmi e tipi di spazio: un giardino cinese contemporaneo sospeso in aria, un grande teatro semi-aperto al centro e una galleria d’arte nel sottosuolo. Dangerous Liaisons

Co-Living Courtyard 共生院 211


Lavorare su parole e azioni Milano

Luca Molinari

Esiste una chiara relazione tra decolonizzazione e decarbonizzazione, ed essa attraversa tutte le forme di disuguaglianza sociale, economica e ambientale in cui vive la maggior parte della popolazione mondiale. Il destino del nostro pianeta condiziona la direzione che l’architettura dovrà prendere nei decenni a venire. Agli architetti è affidato il compito di progettare la casa metaforica e fisica della convivenza tra forme viventi che, entro il 2050, dovrà accompagnare ogni tentativo di cambiamento radicale dell’impronta ecologica con cui costruiamo, produciamo e consumiamo. Abitiamo ancora i luoghi come fossero una risorsa perenne e inestinguibile. E questo è il risultato di una stratificazione simbolica e sociale che è alla base della moderna civiltà occidentale e che continua a essere uno dei paradigmi fondanti del pensiero ipercapitalista globalizzato. Se non abbiamo la capacità di incidere radicalmente sull’apparato 212

Biennale Architettura 2023


di parole e azioni che definiscono la figura del cittadino-consumatore, non saremo in grado di attuare una trasformazione reale ed efficace del nostro ambiente. La spinta espansiva globale, che ha considerato la Terra come un sistema diffuso e disponibile di sfruttamento per la crescita della nostra civiltà e che ha caratterizzato la nostra storia negli ultimi cinquecento anni, deve immaginare un sostanziale cambio di paradigma che includa le parole chiave rappresentative del nostro tempo. Per questo motivo, i principi della decolonizzazione non possono essere applicati solo in termini politici ed economici fondati su concetti di indipendenza e autodeterminazione di ogni singola comunità planetaria, ma devono anche essere chiaramente finalizzati a una radicale reinterpretazione e decolonizzazione delle parole che utilizziamo. Nel corso degli anni Novanta si sono moltiplicate le pubblicazioni dedicate alla costruzione di neologismi capaci di rappresentare nuovi fenomeni urbani e sociali. Si trattava, ancora una volta, di un movimento di neoavanguardia che coglieva un momento cardine in cui inventare termini e contenuti adatti a una nuova civiltà delle macchine (intelligenti). Dangerous Liaisons

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Dobbiamo stipulare nuovi contratti sociali e spaziali che definiscano modelli urbani e territoriali alternativi. In questi modelli, la coesistenza di tutti gli esseri e organismi viventi, la consapevolezza delle risorse naturali attivate e della loro circolarità, i processi di riuso e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, l’attenzione al corpo fragile di una popolazione sempre più densificata e vulnerabile e il rapporto metamorfico tra il corpo reale e il corpo digitale sono fattori centrali nel processo di decarbonizzazione, che deve essere un atto non solo tecnico, ma soprattutto simbolico e culturale. Le parole sono prodotti culturali e, come tali, dovrebbero essere ripensate e liberate dai significati ereditati, restituendole nuove e attuali. Le parole rappresentano simbolicamente e operativamente il mondo che stiamo cercando di cambiare e non possiamo affidarci a paradigmi e teorie che richiedono una modifica così profonda. Esse e le immagini sono alla base delle nostre azioni e della narrazione con cui condividiamo collettivamente i progetti e i loro orizzonti di senso. Questa azione capillare deve essere accompagnata da un diffuso processo globale e individuale di decarbonizzazione che incida sia sulle politiche internazionali sia sulle nostre singole azioni. Poiché le città, nelle quali 214

Biennale Architettura 2023


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Stazione dei taxi alla Accra Mall Junction, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 216–217

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Stazione dei taxi alla Accra Mall Junction, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 218–219

entro il 2040 si concentreranno i due terzi della popolazione mondiale, sono una delle principali fonti di inquinamento a causa sia dei trasporti sia dell’ambiente costruito, è chiaro che il mondo dell’architettura si trova di fronte a una sfida e a una responsabilità, ovvero di fronte a politiche cruciali per il destino della nostra, o delle nostre, civiltà. Siamo all’inizio di un’era diversa che sta mettendo in discussione strumenti e visioni esistenti per fare spazio alla possibilità di applicare energie e combustibili alternativi non impattanti, materiali rigenerati e modi di muoversi non invasivi che apriranno scenari interessanti per i nostri modi di immaginare la realtà e vivere insieme. Questa condizione potrebbe portarci a un tempo in cui non saremo più obbligati a pensare in termini di decolonizzazione e decarbonizzazione, ma solo di libera e consapevole autodeterminazione delle comunità. Tutti questi fattori avranno un impatto decisivo sul nostro modo di progettare gli spazi individuali e collettivi nei prossimi anni e saranno decisivi per il futuro del pianeta, riportando al centro il ruolo politico e sociale del fare architettura e lavorare sul paesaggio come un’unità inscindibile e consapevole. Dangerous Liaisons

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Curator’s Special Projects

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Biennale Architettura 2023


Gender & Geography

Curator’s Special Projects

Food, Agriculture & Climate Change

Mnemonic

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speciale; aggettivo

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non comune o abituale; con uno scopo particolare; solitamente non disponibile.

Biennale Architettura 2023


Nato da una condivisione di interessi e approcci all’architettura, questo insieme di progetti è ritenuto ‘speciale’ nel senso che i partecipanti trascorrono più tempo in collaborazione ed elaborazione con la Curatrice, la quale delinea un formato, un tema o un insieme di problemi come catalizzatori per lo sviluppo. A questo punto, è tuttavia importante notare che il ruolo della Curatrice è quello di sostenere lo sviluppo di idee generate e possedute dai partecipanti, e non di proporre, dirigere o plasmare i loro progetti. Comprendendo film, performance, testi, installazioni, arte, disegni e fotografie, i Curator’s Special Projects sono un’istantanea delle pratiche spaziali che coprono diverse geografie, climi e contesti. Curator’s Special Projects

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Oracoli e presagi Accra/ Londra/ Parigi

Bianca A. Manu

In un mondo post Covid preda di crisi globali che si trascinano da decenni, si è imposto un nuovo fenomeno. Per la prima volta dall’inizio del nuovo millennio, lo sconforto, la disperazione e il desiderio di riparazione costituiscono ora la nuova normalità. È universalmente riconosciuto, in particolare tra i giovani, che non esistono basi solide su cui poggiare, ma solo sabbie pericolosamente mobili. Più ci si avvicina all’equatore e più la cosa diventa evidente. Al centro di questo passaggio dall’ottimismo 226

Biennale Architettura 2023


alla disperazione c’è l’Africa. Tuttavia, a differenza di molti luoghi del Nord del mondo, l’instabilità politica, culturale e sociale avvertita da milioni di persone ha innescato una risposta diversa. Decenni di governi costantemente al di sotto delle aspettative in tutto il continente africano hanno dato vita a soluzioni creative che sono al tempo stesso individuali e incentrate sulla comunità. In Africa sta emergendo una nuova narrazione che non è stata elaborata a partire da uno sguardo antropologico o etnografico sul continente, ma si colloca all’interno e aldilà di queste prospettive. L’idea che il continente africano contemporaneo si contrapponga alla conoscenza architettonica tradizionale occidentale manca della sfumatura data dal riconoscere come l’Africa si sia da tempo adattata e sia oltremodo attiva nella trasformazione e nell’affrontare condizioni climatiche difficili, governance senza scrupoli e una straordinaria popolazione giovanile in crescita esponenziale. È un momento di convergenza e di spostamento. Per molti versi, tuttavia, questo ritrovato dinamismo non è nuovo. In realtà, è un proseguimento di precedenti tentativi attivati durante gli anni dell’indipendenza dell’Africa. Il Congresso Mondiale degli Scrittori e Artisti Neri del 1956 a Parigi, seguito dalla seconda edizione a Roma nel 1959, suscitò riflessioni importanti su colonialismo, schiavitù e negritudine. Queste intense discussioni portarono Curator’s Special Projects

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alla realizzazione di Festac ’77, noto anche come 2° Festival Mondiale di Arte e Cultura Africana e Nera, un’importante manifestazione internazionale tenutasi a Lagos nel 1977. L’evento della durata di un mese celebrava la cultura africana attraverso i suoi sedicimila partecipanti in rappresentanza di cinquantasei nazioni africane e paesi della diaspora africana. Cinquant’anni dopo, gli africani e la diaspora di prima e seconda generazione stanno tornando, spinti in parte dalla nostalgia per le filosofie, le foto, i racconti popolari e la famiglia panafricani, e in parte dal desiderio di creare nuove forme di infrastruttura creativa con artisti che da sempre vivono e lavorano nel continente. Un nuovo cambiamento intergenerazionale e translocale si manifesta attraverso spazi guidati dagli artisti. La mancanza di infrastrutture formali sul campo affronta l’instabilità geopolitica e sociale e sfida forme più ampie di oppressione internazionali. L’artista ghanese Elisabeth Sutherland nel 2018 ha avviato Terra Alta1. Struttura modulare creata da container collocati su un terreno paesaggistico, è il primo teatro a scatola nera appositamente realizzato in Ghana, che funge anche da spazio comunitario e giardino per il foraggiamento e l’alimentazione. Sempre in Ghana, l’artista Ibrahim Mahama ha lanciato nel 2020 il Savannah Center for Contemporary Art (SCCA) a Tamale, nel nord del Paese, che risponde 228

Biennale Architettura 2023


alla mancanza di stimoli culturali contemporanei nella sua comunità creando una serra per far rivivere semi, erbe e piante a rischio di estinzione2. In Nigeria, la regista Zina Saro-Wiwa ha aperto il Boys’ Quarters Project Space nel 2014, dando la priorità agli artisti locali del Delta del Niger. A Lagos, l’artista Wura-Natasha Ogunji ha realizzato The Treehouse, una residenza sospesa con vista sulla laguna, inaugurata nel 2018. Sempre a Lagos, l’artista Jumoke Sanwo ha aperto nel 2016 il Revolving Art Incubator (RAI). In Senegal, Kenu – lanciato da Alibeta nel 2020 – celebra l’azione degli artisti per produrre un cambiamento sociale all’interno delle loro comunità. E al contempo, facendo leva sul gioco tra percezione e impatto, creativi africani, come il pittore Amoako Boafu, mostrano come utilizzare la loro pratica per costruire infrastrutture reattive3. Il futuro è in Africa: è un oracolo e un presagio di un’opportunità.

1.

Elisabeth Sutherland è la nipote di Efua Sutherland, un importante drammaturgo e attivista culturale.

2.

La curatela di Okwui Enwezor della Biennale Arte 2015, All the World’s Futures, è stata determinante per far conoscere il lavoro di Mahama a livello internazionale. È stato un punto di svolta che ha portato a successive commissioni per Mahama, che alla fine ha finanziato i 210 acri dedicati a Red Clay / SCCA Tamale, un centro espositivo e di ricerca, deposito culturale e residenza per artisti.

3.

N. Freeman, The Swift, Cruel, Incredible Rise of Amoako Boafo: How Feverish Selling and Infighting Built the Buzziest Artist of 2020, in Artnet: https://news.artnet.com/art-world/amoako-boafo-1910883 (ultimo accesso 13 aprile 2021).

Curator’s Special Projects

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“Da miopi, abbiamo dato per scontata la nostra esistenza sulla Terra. Abbiamo presunto che essa fosse a nostra disposizione e al nostro servizio, perciò molte risorse cruciali sono state esaurite. Ma come siamo giunti a una visione della Terra tanto ristretta?” — Achille Mbembe

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Curator’s Special Projects

Strada verso Somanya, Regione Orientale, Ghana Festus Jackson-Davis 2022 Pagine 230–231

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Curator’s Special Projects

BothAnd Group Margarida Waco 234

Gloria Pavita Biennale Architettura 2023


Food, Agriculture & Climate Change

Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

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Futuro verde Rotterdam

Marina Otero Verzier

I sogni energetici occidentali sono troppo spesso realizzati a scapito della vita delle popolazioni indigene, delle comunità locali e dei loro ecosistemi. Con il pretesto del progresso, questi gruppi vengono descritti come arretrati, inferiori o addirittura inesistenti; i loro corpi e i loro territori equiparati a risorse da estrarre e sacrificare alle logiche del profitto e dello sviluppo. Il futuro verde postcombustibili fossili non fa eccezione; dipende ancora dalle industrie estrattive che aprono ferite nelle montagne e nelle comunità, nel suolo e nelle sue profondità, facendo a pezzi tutto ciò che esiste per poterlo sfruttare al meglio e mantenere viva la promessa di una crescita infinita: auto elettriche, città intelligenti, e ora il Metaverso. Tutto questo sviluppo si produce a scapito delle comunità che ne portano il fardello per tutti noi. Covas do Barroso è una delle aree colpite dalla brama di energia e di batterie agli ioni di litio 236

Biennale Architettura 2023


in particolare. Situato nel nord del Portogallo, luogo di biodiversità e di secolari tradizioni culturali, Covas è l’ultimo paesaggio sacrificale: qui, è stato trovato il litio. Dal 2016, il governo portoghese e la Commissione europea hanno avviato progetti di estrazione in questa regione, propagandata come una delle più grandi riserve di litio in Europa. Il Green Deal dell’UE nel 2020, i piani di ripresa postCovid nel 2021, nonché l’instabilità geopolitica e le carenze energetiche del 2022 non hanno fatto altro che intensificare e giustificare questi sforzi. Mentre le miniere di litio hanno un impatto a lungo termine sulla qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, nonché sulla vita degli esseri che dipendono da esse, ben oltre l’estensione del pozzo, l’UE presenta questi progetti come un passo necessario verso la decarbonizzazione e lo sganciamento dall’industria dei combustibili fossili. Questi progetti hanno, a loro volta, innescato la costruzione di grandi parchi eolici e solari nella regione e linee elettriche ad alta tensione per esportare questa energia pulita. Dal 2018, gli abitanti di Covas – suppportati da una serie di attori sociali e comunità colpite dall’estrazione del litio in Cile, Serbia e Spagna – si oppongono a piani come la mega miniera a cielo aperto, Mina do Barroso. “Ma – chiedono alcuni – se non a Covas, dove?”, accettando così la distruzione come costo inevitabile del progresso anche a fronte di una catastrofe climatica. In questo modo, si mette Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

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all’asta il futuro mentre si compiono azioni che precludono la possibilità stessa di un futuro. Miniere di litio, parchi eolici e pannelli solari fanno parte degli sforzi di decarbonizzazione essenziali per affrontare i peggiori impatti del cambiamento climatico. Tuttavia, questa transizione verde è vana se non è intrapresa insieme a una riconsiderazione dell’etica di una società fondata sullo sfruttamento, l’estrattivismo e il consumismo. In tale contesto, Covas è parte del Sud del mondo, delle sue prospettive e delle sue lotte contro l’appropriazione violenta della terra, dei corpi, dei desideri, dei diritti e delle relazioni sociali. Le sue battaglie sull’estrazione del litio si allineano a quelle nella Repubblica Democratica del Congo, in Cile, Bolivia, Spagna, Serbia e altri territori in cui la brama di energia e profitto innesca la strumentalizzazione del pianeta, e che esemplificano ciò che il filosofo Enrique Dussel definisce la fallacia dello sviluppo o l’imposizione della modernità come modello per una governance universale1. In Cile, l’estrazione del litio lascia le comunità indigene di Atacameño senz’acqua. Nei paesi nordici, l’espansione dei parchi eolici sta mettendo in pericolo la pratica culturale del tradizionale allevamento delle renne, parte essenziale dell’identità sami. Queste comunità, che pure sono custodi degli ecosistemi e subiscono sulla loro pelle gli effetti a lungo termine dell’estrazione, sono escluse dai processi decisionali, 238

Biennale Architettura 2023


dalla redistribuzione dei benefici e dai diritti sociali e ambientali. In quello che molti hanno descritto come ‘colonialismo verde’, le comunità indigene sono messe in pericolo in nome della sostenibilità. Tuttavia, questa forma di violenza si trasforma in una forza di sopravvivenza per queste comunità attraverso infrastrutture collettive e pratiche come il carnevale. Poiché degrado ed espropriazione sono presentati come il male minore, comunità come quella di Covas invitano i diavoli nella sfera pubblica. Incarnando le bestie e la forza bruta della montagna in costumi, maschere e rituali, il carnevale invade tutto ciò che è ‘civilizzato’. Se l’estrazione mineraria si traduce in disgregazione sociale, la performatività politica del carnevale rompe l’ordine sociale per creare contromondi che fondono l’individuale e il collettivo, il regno ancestrale e le generazioni future, l’umano e il più che umano. Mentre la logica cartesiana che guida l’industria mineraria soggioga e sfrutta la montagna e i suoi abitanti, queste forme di relazionalità e di “politica attraverso la divergenza” portano la categorizzazione, la compartimentazione e lo sfruttamento del mondo – i desideri compulsivi del capitalismo – a un arresto temporaneo2. 1.

Si veda E.D. Dussel, Transmodernity and Interculturality: An Interpretation from the Perspective of Philosophy of Liberation, in “Journal of Peripheral Cultural Production of the Luso-Hispanic World”, 3, I, 2012, pp. 28-58; trad. Italiana E.D. Dussel, Transmodernità e interculturalità (Interpretazione a partire dalla Filosofia della Liberazione), in A. Infrasca (a cura di), Modernità e interculturalità per un superamento critico dell’eurocentrismo. Salvatore Sciascia, Caltanissetta/Roma 2012, pp. 51-81.

2.

M. De la Cadena e B. Blaser (a cura di), A World of Many Worlds, Duke University Press, Durham 2018, p. 4.

Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

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Grassland Science Department, Carlow, Irlanda 2021 ↓↓

240

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Clare Island, Ireland 1960

Biennale Architettura 2023


BothAnd Group

Questa installazione rappresenta un’indagine condotta da BothAnd Group sulle pratiche indigene di gestione del territorio, riscontrabili nei paesaggi dell’Irlanda e della Nigeria. L’abbinamento di questi due paesaggi, che attraversa il tempo e la geografia, vuole promuovere una rinnovata comprensione delle ecologie locali, informata dai modi indigeni di conoscere e gestire le terre. In quanto prima colonia della Gran Bretagna – e quindi prima frontiera del capitalismo – l’Irlanda e il suo paesaggio offrono un esempio illuminante. Nelle prime fasi del progetto coloniale britannico, ha rappresentato una sorta di prova generale per la trasformazione dei paesaggi colonizzati in tutto il pianeta. Attraverso il disegno, osserviamo da vicino la pratica indigena, definita ‘rundale’, di gestione degli originari paesaggi irlandesi, prima e durante il processo di colonizzazione. Come modo di vivere e lavorare, la pratica ‘rundale’ si sviluppava in condizioni ecologiche difficili, ai margini della terra fertile, resistendo all’espropriazione da parte dei coloni privi delle conoscenze necessarie a renderla ‘produttiva’. Achille Mbembe descrive il continente africano come “l’ultima frontiera del capitalismo”. In Nigeria, esaminiamo le odierne modalità di gestione della terra indigena. Nel progetto, le proiezioni video catturano le pratiche della transumanza e delle specie compagne nel paesaggio della Nigeria. Qui, riflettiamo sul ruolo svolto dai Paesi ricchi – Irlanda inclusa – che fanno avanzare il capitalismo verso quest’ultima frontiera, e sulle condizioni locali che resistono a queste pratiche agricole indigene. All’interno dell’installazione si potranno ascoltare conversazioni che propongono, affrontano e aprono ulteriori strade per la ricerca e la discussione sulla comparsa di futuri agricoli alternativi. Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

The Landscape Rehearsals 241


kushikilia na kupika (to hold and to cook) | held and traced on a wooden spoon with with cassava flour ku shikilia (to listen)

translations of kumbukumbu noun

translations of kushikilia & kupika noun kushikilia to hold to listen kupika to cook 2020 ↓↓

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kumbukumbu (memory) | performed & filmed kumbuka (remember)

kumbukumbu memory kumbukumbu mention

On memory’s ability to collapse borders. 2020

Biennale Architettura 2023


Gloria Pavita

[Udongo ni bulongo] [ni bulongo ya nani?] [Il suolo è suolo] [Kiswahili bora; Lubumbashi Kiswahili] Questo progetto è un’esplorazione spaziale ed esperienziale di narrazioni incentrate su pratiche di cura, riparazione, bonifica e rimpatrio attraverso il suolo. Il suolo è un corpo che custodisce e ospita le pratiche estrattive, violente e di sfruttamento dei regimi coloniali e dell’apartheid, dal contesto di Philippi a Città del Capo, in Sudafrica, a quello di Camp Mutombo a Lubumbashi, nella Repubblica Democratica del Congo. Sebbene fossimo sparpagliati sui terreni più invivibili e meno coltivabili, abbiamo iniziato a sollevarci. Questo progetto si manifesta in scene che avvengono nei contesti di Philippi e Lubumbashi. Per distinguere queste scene, le caratteristiche del suolo e tratte dal suolo sono utilizzate come artifici letterali/figurativi per entrare in rapporto con le narrazioni espresse in ogni scena e celebrare così i temi della cura, riparazione, bonifica e rimpatrio... come la sabbia con il tocco del limo, come il terreno argilloso nel giardino di mia nonna a Camp Mutombo, e come la “polvere che rimane attaccata a una città in cui la disuguaglianza è lampante”. La memoria e la scala del corpo hanno il compito di impostare e situare queste narrazioni da me invocate. Anche se i nostri terreni continuano a essere depredati, semineremo e germoglieremo. Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

[na Bulongo] 243


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5.5706° S, 12.1976° E, Cabinda AO 2023

Biennale Architettura 2023


Margarida Waco

5.5706° S, 12.1976° E Sedimentary Myths riporta una lettera d’amore a Cabinda. Annidati alla foce del bacino del fiume Congo e avvolti dall’Atlantico, i nostri suoli e le nostre acque – due corpi disobbedienti che tengono traccia di secoli di violenza estrattiva – rimandano l’eco dei balbettii spezzati di un territorio conteso. Un territorio che ospita i popoli e gli antenati di Bakongo, le meraviglie di Mayombe e l’oro nero, estratto e strappato dai nostri serbatoi sotterranei; per poi salire, circolare e dissolversi nel nulla. Tracciando i contorni e il continuum di un sistema planetario – che prospera, muta e si ammala sui nostri suoli e sulle nostre acque – Sedimentary Myths anela a far emergere storie scritte nei nostri depositi in un unico gesto, permettendoci di proiettarci in un futuro in cui uniremo le nostre voci per cantare “Dipanda/ Independência”. Curator’s Special Projects — Food, Agriculture & Climate Change

5.5706° S, 12.1976° E Sedimentary Myths 245


Curator’s Special Projects

Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday e Mareli Stolp in collaborazione con Sedinam Awo Tsegah Ines Weizman 246

Gugulethu Sibonelelo Mthembu J. Yolande Daniels Biennale Architettura 2023


Gender & Geography

Curator’s Special Projects — Gender & Geography

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— Joburg at Golden Hour ↓↓

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Snack vendor

Biennale Architettura 2023


Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday e Mareli Stolp in collaborazione con Sedinam Awo Tsegah Collocandosi tra la performance, il film, la composizione e l’esposizione, You Will Find Your People Here è un lavoro collaborativo e interdisciplinare della pianista Mareli Stolp, della sociologa Caroline Wanjiku Kihato e della compositrice Clare Loveday. Il film di trenta minuti presenta la risposta creativa di Loveday e Stolp alle testimonianze delle donne migranti raccolte nel libro di Kihato, Migrant Women of Johannesburg. Everyday Life in an In-Between City. Scritto per una pianista-cantante, il lavoro combina pianoforte, parole e voce per produrre un mondo sonoro coinvolgente che interpreta le parole delle donne migranti che hanno viaggiato dalla Repubblica Democratica del Congo, dallo Zimbabwe, dal Ruanda e dal Malawi a Johannesburg. Il film è ambientato in uno spazio domestico ricreato che simboleggia il passato, il presente e il futuro delle donne. Ma la costruzione della ‘casa’ non avviene nel vuoto. Si trova all’intersezione tra lo spazio pubblico e quello privato, ambiti che determinano l’esperienza delle donne di essere sia collocate che dislocate, visibili e invisibili nella città. Lungi dall’essere il santuario privato in cui le famiglie nucleari si rifugiano dal mondo ‘là fuori’, questi spazi intimi simboleggiano le tensioni tra sicurezza e violenza, orgoglio e vergogna, amore e perdita. Le mappe che adornano le pareti modificano il modo in cui comprendiamo l’urbanità, i mondi sociali e la famiglia. Raccontano storie di una città eterotopica che si radica qua e là e custodisce le contraddizioni della migrazione, offrendo allo stesso tempo speranza e aspirazione, sogni rinviati e promesse infrante. I viaggi delle donne migranti ci permettono di reinventare la città. Curator’s Special Projects — Gender & Geography

You Will Find Your People Here 249


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Film Set: Preamble 2019

Biennale Architettura 2023


Gugulethu Sibonelelo Mthembu

La storia di Aisha Qandisha esiste dal VII secolo. Si narra che fosse uno spirito femminile che assume molteplici forme. A differenza di altri spiriti nel folclore arabo e africano, Aisha Qandisha appare principalmente nei sogni degli uomini e si dice che se un uomo ne è posseduto diventi impotente o sia indotto all’infedeltà. Gli studiosi hanno rilevato come la posizione di Qandisha nel folclore assolva gli uomini dai loro ‘mali’ e attribuisca la colpa allo spirito femminile. Le epoche di colonizzazione dell’Africa e alcune delle sue attuali politiche portano ancora queste manifestazioni di paura e pregiudizio nei confronti del potere e della rappresentanza delle donne. La parola ‫( ﺳﺤﺮ‬sihr) in arabo disegna sia ‘fascino’ che ‘magia’. In inglese, l’etimologia della parola glamour deriva dal gallese grameyre, che è anche la parola per magia o illusione. L’illusione e il velo sono al centro della parola glamour, il che implica che ci sono tattiche di inganno, occultamento, potere e mistero insite in ciò che deve essere ‘affascinante’. The Port of Sihr si colloca tra questi due costrutti. Da un lato attinge al mondo della mitologia e del folclore, dall’altro si rifà a modelli femminili o a forme di espressione collegate al femminile e che lo esprimono. Situato in diversi luoghi significativi per il riscatto di storie e retaggi di oppressione e rappresentazione femminile, quest’opera assume la forma di un nuovo racconto per Aisha Qandisha, quello in cui viene rimpatriata attraverso i luoghi: una nave negriera, il tribunale, il palazzo del re e ora la Biennale Architettura. Curator’s Special Projects — Gender & Geography

Embodiments: Port of Shir — Final Act 251


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Remnants of a painted tricolour on the theatre stage of Bat Galim Casino in Haifa, shortly before the building’s demolition. 1994

Biennale Architettura 2023


Ines Weizman

Una storia che si è svolta all’ombra della Seconda guerra mondiale è quella della performer afroamericana e francese nera Joséphine Baker, che viaggiava con i soldati alleati, talvolta anticipandoli e altre volte al loro seguito, svolgendo alternativamente azioni di spionaggio e intrattenimento. La sua traiettoria pericolosa attraverso i mutevoli confini delle zone di guerra del Nord Africa e del Medio Oriente è nota solo a grandi linee. Le prove che potrebbero dar conto della serie di luoghi in cui si esibì tra il 1941 e il 1943 sono quasi del tutto perdute. L’installazione presenta un’ambientazione teatrale circolare creata utilizzando due strati di tende che possono modificare dinamicamente il perimetro e l’uso dello spazio e la sua connessione con altre presentazioni. Segue alcune delle labili tracce, speculazioni, voci e documenti che indicano la presenza di Baker in campi militari, club, cabaret, casinò, teatri e bettole in tutta la regione. L’architettura di questi luoghi, all’epoca in cui Baker vi si esibiva, faceva parte del linguaggio emergente del Modernismo, sia esso locale o coloniale, che fece la sua comparsa lungo il bacino del Mediterraneo da Casablanca, Orano, Tunisi, Bengasi, Tripoli e Il Cairo, passando per Giaffa e Haifa, a Damasco e Beirut. Ricostruire la storia di alcuni dei luoghi in cui Baker si è esibita aspira a districare una rete di relazioni transfrontaliere nel frattempo inasprite dai confini nazionali e di percorsi ormai interrotti. Curator’s Special Projects — Gender & Geography

“Of all the gin joints in all the towns in all the world…” 253


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Plate 11. Earth Encircled by the Celestial Circles 1660

Biennale Architettura 2023


J. Yolande Daniels

Immaginate una rete composta di punti e linee estratti da eventi e movimenti all’interno di insediamenti e città che rappresentano la diaspora africana e, in questa rete, raffiguratevi una costellazione che riporta alla luce la vita delle donne ‘nere’ dal XV secolo a oggi. Dagli innumerevoli spostamenti forzati di razza e genere, entrate in The BLACK City Astrolabe, un campo spazio-temporale composto da una mappa in 3D e da un ciclo di narrazioni di ventiquattro ore che riordinano le forze dell’assoggettamento, della svalutazione e dello spostamento attraverso gli spazi e gli eventi delle donne africane della diaspora. La mappa della diaspora traccia i flussi (volontari o forzati) degli afrodiscendenti nella tensione visibile tra la regolarità matematica dei meridiani di longitudine e le inclinazioni delle linee di datazione internazionali. Perno di Black City Editions, la linea del tempo rappresenta un’organizzazione cronologica di tempo e spazio. Mappa le strutture legali ed extralegali che hanno influenzato gli insediamenti dei discendenti africani all’interno di un sistema grafico lineare di movimenti orizzontali ed eventi verticali che rivelano paesaggi temporali e modelli simultanei nel tempo. In questo momento, non abbiamo più tempo. I meridiani e i decenni della linea del tempo sono indicizzati in una proiezione conica infinita misurata in decenni. Questa struttura, oltre a rappresentare la mappa della diaspora e la linea del tempo, funge da soglia per proiettare strutture ed eventi futuri. BLACK City Astrolabe è un veicolo per contemplare in modo proattivo le cose che sono accadute, che stanno accadendo e che accadranno. Ieri, una donna ‘nera’ è andata nel futuro e ora eccola qui. Curator’s Special Projects — Gender & Geography

The BLACK City Astrolabe: A Constellation of African Diasporic Women 255


Curator’s Special Projects

Adjaye Associates con Kiran Nadar Museum of Art Craig McClenaghan Architecture Looty Mabel O. Wilson, J. Meejin Yoon e Eric Höweler in collaborazione con Josh Begley e Gene Han 256

Biennale Architettura 2023


Mnemonic

Curator’s Special Projects — Mnemonic

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Nasreen Mohammadi Untitled Senza data

Tyeb Mehta Untitled (Woman on rikshaw) 1994

Biennale Architettura 2023


Adjaye Associates con Kiran Nadar Museum of Art

Un museo non è soltanto un ambiente di contemplazione mnemonica, ma anche luogo in cui la duplice natura della ripartizione (partage in francese) – un’azione che oscilla tra condivisione e separazione – risalta in maniera netta, complicando la differenziazione tra memoria e aspettativa, sospendendo il tempo tra passato e futuro. Il museo è quindi il luogo dell’assemblaggio e della dispersione, della classificazione e della divisione, uno spazio in cui si creano nuove narrazioni e temporalità. Riecheggiando la natura ambivalente della ripartizione e imparando dalle sfide della costruzione della nazione postcoloniale, il Kiran Nadar Museum of Art - KNMA prende ispirazione dalle opere di Tyeb Mehta, Nasreen Mohamed e Zarina nella collezione del museo. Il ricordo traumatico e gli echi della Partizione (di India e Pakistan nel 1947) perseguitarono – direttamente e non – questi artisti, influenzando il modo in cui concepivano la loro visione artistica. Sperimentando con piani spezzati e forme frammentate congelate nell’azione, tagliano diagonalmente sfondi e immagini pittoriche: le linee fanno da divisione e da supporto, in un’interpretazione architettonica dello spazio che abbraccia una condizione mediana. In dialogo con le opere di questi artisti, viene esposto un modello architettonico dell’edificio proposto per KNMA di Adjaye Associates. Un film riunisce tutti e quattro gli elementi – immagine, parola, architettura e linea come gesto essenziale – in un ciclo continuo. Il film di Amit Dutta diventa la linea in movimento e un’espressione visiva di passato, presente e futuro del KNMA come istituzione culturale archetipica in un contesto postcoloniale. Curator’s Special Projects — Mnemonic

Partition — Partage 259


Timescapes 2021 ↓↓

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Intangible resonances 2019

Biennale Architettura 2023


Craig McClenaghan Architecture

Per questo progetto di mappatura sperimentale, l’installazione esplora la carta come materiale della memoria, in cui paesaggio e artefatto sono intercambiabili e vengono registrati come frammenti, impronte e residui su molteplici scale di luogo e tempo. Analogamente al segno lasciato sulle superfici naturali, l’acqua (necessaria nel processo di fabbricazione della carta) evapora senza lasciare alcuna traccia visibile tranne la carta stessa che, con il processo di asciugatura, viene sottoposta alle manipolazioni di marcatura. Come il paesaggio è soggetto alle forze estrattive dell’industria cartaria globale, così la carta fatta a mano prodotta per questa installazione è soggetta a forze di torsione, piegatura, strappo e persino bruciatura, impiegate come strategie istintive di disegno, che la carta stessa ‘ricorda’. Evocazione di pagine di un libro, sezioni stratigrafiche di un paesaggio, o persino dello scheletro di un corpo, questa installazione – un atlante – è sospesa in un tempo e uno spazio, in cui la carta è il paesaggio, il manufatto e il laboratorio. Proprio come l’acqua da cui la fabbricazione della carta tanto dipende, i paesaggi che incorniciano l’installazione continueranno a esistere in frammenti, toccando il suolo solo nell’ombra. Staccato da terra, il paesaggio è ‘in bilico’ e rimane instabile e vulnerabile. È forse da questa apparente fragilità che potrebbero scaturire profonde conversazioni su metodi alternativi per leggere, pensare e fare, in cui le relazioni con il paesaggio, il clima e gli altri potrebbero essere riformulate e reinventate. Curator’s Special Projects — Mnemonic

Letters from the Landscape 261


Digital Heist 2021 ↓↓

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Digital Heist 2021

Biennale Architettura 2023


Looty

L’installazione presenta il primo rimpatrio digitale al mondo di opere d’arte trafugate, composto da resti digitali di oggetti saccheggiati custoditi in prestigiose istituzioni situate principalmente nel Nord del mondo. Utilizzando la tecnologia LiDAR, Looty registra digitalmente questi pezzi, li trasforma in 3D e li tokenizza sulla blockchain come token non fungibili (NFT). Questa procedura di ‘restituzione digitale’ consente a Looty di evitare la burocrazia ed entrare nella sfera digitale, rendendo più semplice per chiunque acquisire e studiare questi beni culturali. Per la generazione più giovane di studenti, artisti, architetti e creativi africani di oggi, l’accesso alla nostra produzione culturale ancestrale è limitato. Manufatti, dipinti, tesori e non solo sono rinchiusi nei musei di Londra, New York, Parigi, Berlino. Non potendo viaggiare e visitare queste istituzioni, diventa sempre più difficile essere in contatto con la nostra legittima eredità. Attualmente imperversano i dibattiti sulla necessità di restituire fisicamente i manufatti; noi di Looty abbiamo preso in mano la situazione. Per noi, il Metaverso rappresenta un interessante contributo alla conversazione sul rimpatrio e sul furto. Looty crea una nuova piattaforma digitale che non solo registra la storia, ma aggiunge valore. Il progetto incoraggia i visitatori a riflettere sul ruolo che la tecnologia svolge nella conservazione culturale e sull’importanza della salvaguardia del patrimonio culturale per le generazioni future. Curator’s Special Projects — Mnemonic

(SA ‘EY’ AMA: To Commemorate) 263


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Composite photo of UVA ledger recording “3 negro hands” employed at Christmas and the spreadsheet recording the known and unknown names 2022

Biennale Architettura 2023


unknown, unknown costruisce uno spazio architettonico di luci e suoni per ricordare i membri senza nome della comunità di schiavi alla University of Virginia (UVA) di Charlottesville negli Stati Uniti. L’opera trae spunto dalla ricerca d’archivio su cui si basa il nostro progetto per il Memorial to Enslaved Laborers dell’UVA, inaugurato nel 2020. Gli storici dell’università hanno trovato riferimenti a persone in schiavitù in libri contabili, testamenti e lettere, e riportato poi queste informazioni in fogli di calcolo. Si elenca, ad esempio: “anno: 1825, nome: donna di colore, cognome: sconosciuto, dettaglio storico: trovato in una lettera […] che commentava la morte di ‘una delle donne di colore del signor X per febbre tifoide’”; “anno: 1836, nome: sconosciuto, cognome: sconosciuto, dettaglio storico: una donna”. Il nome ‘sconosciuto’ caratterizzava la maggior parte della comunità di schiavi che costruì, lavorò e visse all’UVA dal 1817 al 1865. La loro assenza e cancellazione dagli archivi rivela la vastità della violenza razziale che rendeva uomini, donne e bambini afrodiscendenti meno che umani per diventare merce posseduta e venduta. unknown, unknown ricorda i circa quattromila membri sconosciuti e noti di questa comunità. In contrasto con la forma occidentale del monumento che tipicamente rende numeri, nomi e storia su pietra o bronzo, unknown, unknown crea uno spazio commemorativo attraverso una nuvola di suoni e luci. I pannelli di tessuto sospeso ricordano il lavoro domestico di donne afrodiscendenti senza nome e gli spazi in cui esse vivevano all’UVA. Su queste superfici fluttuanti scorrono i video del carattere mutevole dell’arco interno del memoriale che elenca nomi, occupazioni, parentele e segni di memoria nel tempo. Suoni e voci estratti dai registri e dai fogli di calcolo, che documentano i nomi noti e sconosciuti, forniscono una colonna sonora all’intero spazio. unknown, unknown costruisce un effimero memoriale sonoro e visivo dedicato a questa comunità. Curator’s Special Projects — Mnemonic

Mabel O. Wilson, J. Meejin Yoon e Eric Höweler in collaborazione con Josh Begley e Gene Han

unknown, unknown: A Space of Memory 265


La pratica dell’architettura è anche uno spazio di esplorazione Addis Abeba

Rahel Shawl

Il ‘laboratorio del futuro’ è la descrizione appropriata di un continente con una popolazione in forte crescita, una rapida urbanizzazione e un commercio e un’industria in espansione che trainano l’economia e, a loro volta, il settore edilizio. Nella sola Etiopia, si prevede che l’industria delle costruzioni crescerà a un tasso medio annuo superiore all’8% fino al 2026. È un momento entusiasmante per gli architetti e i progettisti africani. Ma l’entusiasmo e le opportunità portano con sé anche enormi responsabilità e sfide spesso implacabili. Oltre al progetto, gli architetti africani devono anche affrontare una diminuita importanza professionale, bassi onorari, complesse procedure di appalto, metodologie di costruzione al di sotto degli standard e un’etica incerta in climi politici ed economici sempre mutevoli. In queste sfide, la prima linea è occupata dalla carenza di personale qualificato nei settori dell’architettura e delle costruzioni, in 266

Biennale Architettura 2023


gran parte dovuta ai limiti nell’istruzione superiore e universitaria che producono laureati poco preparati. Nelle economie in forte espansione, questi giovani architetti e ingegneri sono travolti dal caos della professione privi di appoggi, guida o tutoraggio. In RAAS Architects, è ferma la determinazione a mettere al primo posto, nel nostro lavoro di professionisti dell’ambiente costruito, le persone e la comunità. Negli ultimi vent’anni, un coinvolgimento e un legame più profondi con i giovani professionisti mi ha permesso di constatare in prima persona come il talento fiorisca quando riceve supporto e guida mirati. Fin dall’inizio, era chiaro che RAAS sarebbe stato un luogo che sostiene e ispira i giovani professionisti trasmettendo e condividendo le conoscenze nel pensiero progettuale, sia all’interno dello studio sia nei cantieri. La parola abRen in amarico può essere a grandi linee tradotta con ‘insieme’. Nella nostra pratica, tirocini, tutoraggi e borse di studio transfrontaliere puntano all’empowerment dei giovani architetti, generando fiducia in se stessi, un accresciuto senso di professionalità e colmando le lacune dopo la laurea. Nello studio, ci concentriamo sull’aumento della conoscenza locale attraverso l’analisi delle culture costruttive indigene, dei patrimoni architettonici e del nostro ambiente costruito, per poi incoraggiare i giovani professionisti a fonderli con progetti e concetti contemporanei. Imparano anche a lavorare sul campo Curator’s Special Projects

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insieme alle nostre comunità, dando supporto e insegnando tecniche di costruzione in loco. Insieme, sosteniamo l’uguaglianza di genere all’interno degli studi di progettazione. Attraverso un approccio e uno scambio collaborativi, le giovani donne sono incoraggiate a far sentire la propria voce nello spazio sicuro dello studio. Ridefinendo il ruolo delle donne nell’ambiente costruito, consentendo loro di essere parte integrante del team, cerchiamo di coltivare la resilienza e la fiducia in loro stesse mentre si avventurano nel mondo dell’architettura e della pratica di progettazione. Per il vocabolario, il ‘laboratorio’ è “un luogo che offre opportunità di sperimentazione, osservazione e/o pratica”. Sosteniamo una pratica che include anche uno spazio per l’esplorazione, consente la crescita collettiva mentre persegue la bellezza e l’eccellenza nella progettazione architettonica e nella costruzione. AbRen è una tela per l’espressione, la creazione di conoscenza locale, la sperimentazione architettonica e l’empowerment giovanile e di genere. Questo spazio esplorativo aspira a catturare e rappresentare accuratamente la cultura della progettazione, enfatizzando al tempo stesso la generosità della comunità, che è insita in tanta parte della vita quotidiana africana. 268

Biennale Architettura 2023


Curator’s Special Projects

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Amos Gitaï Rhael ‘LionHeart’ Cape 270

James Morris Biennale Architettura 2023


Special Participations

Special Participations

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House 2023

Biennale Architettura 2023


Amos Gitaï

Questa installazione multimediale accoglie etnicità, lingue, tradizioni musicali e generazioni diverse, qui riunite per rivelare delle complesse memorie del passato e la possibilità di immaginare una futura convivenza pacifica. Il progetto racconta la storia, lunga un quarto di secolo, di una casa a Gerusalemme Ovest, condividendo i racconti dei suoi occupanti. Sono qui inclusi frammenti di biografie che integrano il più ampio mosaico di un territorio e di un conflitto incarnati nei destini di questo microcosmo umano. Le storie raccontate e proiettate in questa installazione provengono da una trilogia documentaria di Amos Gitaï che copre un arco di oltre venticinque anni (House, 1980; A House in Jerusalem, 1998; News from Home, News from House, 2005). Viene presentata in anteprima una nuova ricerca, comprese alcune fotografie del 2023 che mostrano come la casa si è evoluta. Attraverso questa installazione, Amos Gitaï ritorna nel luogo dove sorge la casa, permettendo non solo di raccontarne la storia, ma anche di diventare la sede di un dialogo artistico tra esperienze passate e presenti che immaginano un nuovo futuro per la regione. Special Participations

HOME, RUINS, MEMORY, FUTURE 273


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House, Fortal, Niger 2000

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Mosque, Yebi, Mali 1999

Biennale Architettura 2023


James Morris

Questa serie di fotografie, scattate tra il 1999 e il 2000, esplora la tradizione dell’architettura realizzata con il fango della regione del Sahel nell’Africa occidentale, e nello specifico in Mali, Niger, Nigeria, Togo, Benin, Ghana e Burkina Faso. In arabo, la parola ‘sahel’ significa pianura costiera. Il ‘mare’ che lambisce questa costa è il deserto del Sahara. Le città ‘portuali’ di Ségou, Mopti, Djenné, Gao, Agadez e Timbuctù furono, in tempi diversi, centri commerciali e politici di grande ricchezza e potere; parte degli antichi imperi del Ghana, del Mali e Bamana, delle dinastie Songhai, Fulani e Toucouleur. L’architettura saheliana affascina con le sue forme visivamente sorprendenti e altamente caratteristiche. I costruttori di tutta la regione hanno preso le stesse materie prime di base – terra, acqua, paglia e legname – e con creatività e sapienza hanno sviluppato stili impareggiabili per originalità, varietà e contrasto. Molti edifici sono vibranti opere d’arte dotate di una propria estetica distintiva; audaci strutture monolitiche che giocano con la luce naturale e i materiali disponibili per mettere in risalto l’ombra, la texture, il profilo e la forma, nonché la funzione. Pur parte di lunghe tradizioni e culture antiche, sono allo stesso tempo strutture contemporanee, al servizio di uno scopo attuale. Se perdessero la loro rilevanza e venissero trascurate, crollerebbero. La manutenzione e il rifacimento degli edifici fa parte del ritmo della vita; c’è una partecipazione continua e attiva alla loro esistenza nel tempo. Special Participations

Butabu 275


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Sentient Brutalism 2023

Biennale Architettura 2023


Rhael ‘LionHeart’ Cape

Il carnevale, nelle parole di Michail Bachtin, è dove la vita è soggetta “solo alle proprie leggi, cioè alle leggi della propria libertà”. Those With Walls for Windows (2023) è una meditazione e un’esplorazione delle “leggi della libertà”. Attraverso la poesia, una forma d’arte con una propria relazione con la libertà e il controllo, l’opera indaga lo spazio della diaspora, un luogo in cui dimenticare, ricordare e reinventare agiscono come dispositivi architettonici nella pianificazione urbana della psiche diasporica. Secondo LionHeart, il carnevale è uno spazio di recupero e di emancipazione; un luogo immobiliare, culturale e psicologico; uno spazio per abitare, riposare, riparare, crescere ed evolvere. Those With Walls for Windows è un arazzo sonoro-visivo-testuale-orale che utilizza performance, ritmo e cancellazione come dispositivi strutturanti, una ‘chiamata alle armi’ per esploratori sonori che perseguono la liberazione gioiosa e redentrice del carnevale. “In Sudafrica – dove sono ancora in corso feroci battaglie su lingua, costume, rituale e memoria – esiste un’opportunità unica per gli architetti e l’architettura di svolgere un ruolo diverso, servendosi di tattiche e strumenti differenti per ricucire resoconti contrastanti e forse anche per risolverli”. —Lesley Lokko (estratto da African Space Magicians) Special Participations

Questa installazione è un poetico invito all’azione: Un referendum per la memoria: Un requiem per il carnevalesco: Un luogo in cui brillano empatia e comprensione il faro per la liberazione per ritornare a noi.

Those With Walls for Windows 277


Polvere Johannesburg

Mpho Matsipa

1. Johannesburg è una città di rottura, di crepe; un enorme tessuto, frammentato, squarciato, lacerato; un’idea sventrata di modernità. Il finale potrebbe essere violento... oppure no. O forse la fine è già alle nostre spalle. Una delle artiste con cui mi confronto, e attraverso la cui opera ho concepito la città, è Senzeni Marasela1, 2. Il suo alter ego, Theodora, ha indossato lo stesso vestito di cotone rosso e lo stesso ‘itshali’ (coperta) ogni giorno per sei anni. Ha percorso le strade di Johannesburg, Venezia e New York, e si è rifiutata di rivelare l’inventario delle sottili umiliazioni subite nella sua laboriosa flânerie tra gallerie d’arte, centri commerciali, ristoranti, taxi, matrimoni, riunioni di famiglia e mostre di tutto il mondo. A parte offrire una superficiale biografia di Theodora (la madre dell’artista), i suoi silenzi sono ininterrotti. In un’altra sua opera, Falling Slopes, Marasela attinge a mappe d’archivio e traccia i contorni delle discariche minerarie dismesse di Johannesburg, per delineare l’orizzonte sociale sventrato della città. Usando uno spesso filo rosso meticolosamente cucito nell’itshali di Theodora – in modo che strati su strati di questo stesso filo rosso 278

Biennale Architettura 2023


si riversassero sontuosamente dal retro della coperta – l’opera è appesantita (verso il basso), ma al tempo stesso evoca uno ‘xibelani’ (danza). Rosso è il colore della polvere. Rosso è il colore del sangue. Rosso è il colore dell’iniziazione. Rosso è il colore delle false profezie. Rosso è il colore della terra. Rosso è il colore dell’assenza di terra, dell’assenza di suolo. Rosso è il colore dell’impero. Rosso è il colore di Sarah Baartman e Theodora e Senzeni e Johannesburg e della perdita e della memoria e del tempo (perduto/ ancora da venire/già qui)3. 2. Questa città non è mai stata bella. 3. È difficile pensare alle città africane contemporanee senza comprendere come gli intrecci africani con l’euro-modernità abbiano trasformato vaste aree della Terra in zone di estrazione razzializzate4. Questo “essere e diventare nero del mondo” è costituito da numerose forme di esclusione e violenza che infestano la città contemporanea, che spingono le persone e gli spazi fuori dagli schemi e dai confini normativi modernisti che strutturano la vita sociale5. 4. Questo scollamento tra persone-spazio-tempo è sia una temporalità nera che una contro-cartografia. Special Participations

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È fugace, promiscua e liminale; una forma di trasgressione temporale, di “essere fuori dal tempo” (e dal luogo) che crea uno spostamento delle coordinate spaziali e temporali che ripetutamente scombinano il tempo lineare. Impone sia una messa in discussione delle eredità della colonialità, sia un riaggiustamento di ciò che costituisce il canone in architettura e in altre discipline, se vogliamo diventare umani. Apre inoltre alla possibilità di una riorganizzazione o manipolazione del tempo e alla messa in atto di diverse conoscenze, spazialità e futuri nel presente. 5. Nel pensare al futuro dei neri e al futuro del tempo, mi rivolgo a Toni Morrison, che vede nella rottura e negli aneliti apocalittici un lamento per un ritorno alle polverose ideologie di progresso e continuità nel ‘moderno Occidente’ – un luogo da cui gli immaginari per il futuro sono forse nella loro forma più impoverita – e un “ripiegamento del futuro stesso del tempo” invece di colmare lo spazio tra un passato straziante e un futuro di redenzione6. 6. Un concetto singolare di ‘città’, ‘architettura’ e dello stesso tempo è stato completamente colonizzato dalla Città-Industriale-Occidentale come oggetto del desiderio7. Le città coloniali altrove suggeriscono che 280

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dovrebbe esserci uno spazio, una pausa, tra ‘moderno’ e ‘città’ e, come nell’opera di Marasela, che esiste sempre una contro-cartografia inversa, latente, liminale che è stata sepolta nelle grammatiche moderniste. Questa ‘irrappresentabilità’ indica uno scarto in cui coloro che sono spinti ai margini creano significato, tempo e spazio8. È un’apertura a un futuro che è modulato dalla razza, che emerge da un ambiente di genere, colonizzato, sfollato, espropriato; e le basi da cui pensare/scrivere/fare/immaginare dentro (e oltre) questa indeterminatezza. 7. Il futuro è già qui.

1.

Devo molto alle conversazioni con Senzeni Marasela nelle mie aule di seminario e nel corso di numerose discussioni negli ultimi dieci anni, per le sue intuizioni sulla fragilità della vita delle donne nere che hanno ridefinito la mia idea di rappresentazione e di Johannesburg come un luogo di estrazione violenta.

2.

Senzeni Marasela, Falling, 2021.

3.

S. Khan, Under the influence of … ‘Covering Sarah’: exorcising the trauma of colonialism and racism, in “The Conversation”, 9 marzo 2017. Disponibile in: https://theconversation.com/under-the-influence-of-coveringsarah-exorcising-the-trauma-of-colonialism-and-racism-71284 (ultimo accesso 15 febbraio 2023). Si veda anche E.D. Ose, And What Are You Looking At? Formulas for Making the Invisible Visible, in “Nka: Journal of Contemporary African Art”, 22-23, I, 2008, pp. 94-103. https://muse.jhu.edu/article/422779.

4.

A. Mbembe, On the Postcolony, University of California Press, Berkeley 2001; W. Rodney, How Europe Underdeveloped Africa, Verso Books, New York 2018.

5.

N.C. Manganyi, Being Black in the World, Wits University Press, Johannesburg 1973/2019. Si veda anche A. Mbembe, The Becoming Black of the World, in Critique of Black Reason, Duke University Press, Durham 2017, pp. 1-10; e N.S. Ndebele, ‘Being-Black-In-The-World’ and the Future Of ‘Blackness’, in N.G. Jablonski e G. Maré (a cura di), The Effects of Race, African Sun Media, Stellenbosch 2018, pp. 89-105.

6.

T. Morrison, The Future of Time: Literature and Diminished Expectations, The 25th Jefferson Lecture in the Humanities, Washington DC, 25 marzo 1996. Disponibile in: https://neh.dspacedirect.org/bitstream/ handle/11215/3774/LIB39_002-public.pdf (ultimo accesso 15 febbraio 2023). Si veda anche T. Morrison, The Source of Self-Regard. Selected Essays, Speeches, and Meditations, Vintage, New York 2020, pp. 124-125.

7.

F. Miraftab, Insurgent Planning: Situating Radical Planning in the Global South, in “Planning theory”, 1, VIII, 2009, pp. 32-50.

8.

K. McKittrick, Demonic Grounds: Black Women and the Cartographies of Struggle, University of Minnesota Press, Minneapolis 2006.

Special Participations

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Stazione di sicurezza, scale delle Ridge Towers, Accra, AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2022 Pagine 282–283

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Cartelloni pubblicitari e campagna elettorale, Old Fadama, Agbobloshie, Accra, AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2022 Pagine 284–285



Curator’s Special Projects

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Guests from the Future

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Ainslee Alem Robson Arinjoy Sen Banga Colectivo

Anusha Alamgir Aziza Chaouni Projects Blac Space

Black Females in Architecture Cartografia Negra Courage Dzidula Kpodo con Postbox Ghana Dele Adeyemo Elementerre con Nzinga Biegueng Mboup e Chérif Tall Faber Futures Folasade Okunribido Ibiye Camp Juergen Strohmayer e Glenn DeRoché Lauren-Loïs Duah Miriam Hillawi Abraham Moe+ Art Architecture New South Rashid Ali Architects Riff Studio Tanoa Sasraku Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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“Dobbiamo osare per inventare il futuro”. — Thomas Sankara 290

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Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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Estratto dalla ‘Lettera d’interesse’ della Curatrice

inviata il 23 settembre 2022

Vendég a jövőből [L’ospite dal futuro]1 è un romanzo del 1966 dello scrittore ungherese György Dalos il quale racconta quello che gli editori hanno descritto come “l’incontro più straordinario della storia della letteratura del XX secolo”, quello tra la cinquantaseienne poetessa russa, Anna Achmatova, e il trentaseienne filosofo britannico, Isaiah Berlin, a Leningrado nel 1945. I due si sedettero alle nove di sera e parlarono per dodici ore di fila. Nessuno dei due fornì un resoconto dettagliato della loro conversazione, ma dopo che Berlin se n’era andato Achmatova scrisse una strofa nel suo epico Poema senza eroe, in cui lo descriveva come “un uomo non 292

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1 In italiano è stato tradotto con il titolo Innamorarsi a Leningrado. Anna Achmàtova e Isaiah Berlin, Donzelli, Roma 2007.

ancora comparso... alla deriva dal futuro”. Trentaquattro anni dopo, nel 1979, in un discorso sullo stato dell’arte in Sudafrica al culmine dell’apartheid, la scrittrice sudafricana Nadine Gordimer osservava: “Qualsiasi ottimismo è realistico solo se noi, bianchi e neri, possiamo giustificare la nostra presenza qui a parlare come ‘apprendisti della libertà’. Solo in tale veste potremmo forse vedere arrivare, da oltre le Hex River Mountains o dai Monti dei Draghi, quell’‘ospite dal futuro’, l’artista come profeta della risoluzione delle culture divise”. Abbiamo perlustrato il continente africano e la sua diaspora alla ricerca di architetti e professionisti operanti con lo spazio che per noi sono Guests from the Future. Si tratta di individui emergenti o già affermati che rappresentano gli architetti del futuro: individui rivolti al futuro, rivoluzionari, impavidi e fantasiosi, in grado di navigare tra i mondi – nord/ sud; nero/bianco; di genere/non binario – e attraverso i classici compartimenti stagni disciplinari perché glielo impone il loro stesso contesto. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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Non si può dare nulla Dublino

Emmett Scanlon

“Non si può dare nulla senza dare se stessi: vale a dire senza rischiare. Se non si è capaci di rischiare, allora non si è nemmeno capaci di dare.”1 — James Baldwin, La prossima volta, il fuoco. Due lettere Il rischio è alla base della nostra epoca moderna globalizzata. La maggior parte delle persone vive in un perpetuo stato di ansia, indotto in gran parte dall’insicurezza economica e dalla disuguaglianza sociale; le minacce sempre presenti del terrorismo e della guerra; l’imminente collasso climatico e, più recentemente, una pandemia. Eppure, il rischio esiste al di là di tali minacce. La “società del rischio” è molto più insidiosa e sottile, radicata nelle strutture e nella politica del tardo capitalismo e in un costante e diffuso ritiro dalla sfera collettiva e pubblica2. Mentre gli individui diventano sempre più ansiosi, le strutture statali di supporto e i meccanismi di cura e 294

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compassione pian piano scompaiono o vanno incontro al collasso, aggravando l’ansia individuale. Affrontare la vita quotidiana è diventata una questione di lotta per la sopravvivenza, in cui si ricerca un rifugio domestico isolato invece che la partecipazione pubblica collettiva. L’architettura non esiste in remoto o al di fuori della società del rischio, è totalmente al suo interno. Tuttavia, sebbene si autodefinisca una “professione sociale”, l’architettura sembra aver utilizzato i mezzi a sua disposizione per ritirarsi, allontanandosi progressivamente dalle questioni collettive3. Desidera un’autonomia così concreta, così singolare da essere libera da “valutazioni non professionali e protetta da ingerenze inesperte”4. Ciò non è servito a placare l’ansia che provano gli architetti, istruiti ad agire per conto di una società di cui loro stessi fanno parte. Invero sull’architetto incombono rischi della peggior specie in modi che sono determinati dall’esterno, ma percepiti a livello profondo e personale. Schiacciati da regolamenti e sistemi, intorpiditi da credenze e comportamenti arcaici e ripetuti, la maggior parte degli architetti è considerata troppo giovane, troppo inesperta e troppo ingenua per proporre, partecipare, progredire. L’immaginazione è ostacolata, il futuro negato; a detta di molti, i rischi sono troppo grandi per immaginare il mondo diverso da ciò che è. Qualche tempo fa, ho dato un’indicazione su una proposta espositiva tramite Zoom. Ho delineato il concetto di laboratorio come modo per elaborare una Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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mostra di architettura. In questo contesto, il workshop non era un luogo di produzione, un’esposizione delle componenti del lavoro o della costruzione, come se una squadra avesse posato gli attrezzi proprio mentre arrivava il pubblico. In questo contesto, avevo azzardato, il laboratorio era un luogo di libertà5. Per l’architetto con cui avevo parlato, abituato a modi più tradizionali di esporre il proprio lavoro, l’idea di realizzare qualcosa di diverso è stato un momento di resistenza e di rischio. Era un’occasione per immaginare quanto non ancora visto. “E se tu creassi qualcosa che ti è del tutto familiare, ma che non avevi mai incontrato prima?” ho chiesto. “Dunque vuoi che usi la mia immaginazione?” è stata la risposta. Gli architetti hanno bisogno di spazio creativo per poter rischiare. Fare edifici è una cosa troppo complessa e difficile; la posta in gioco è troppo alta e il relativo discorso già rimasticato. In una cultura che promuove un consumo privato e isolato rispetto a una radicale rilevanza sociale, questi rischi vanno assunti in pubblico. In architettura, le mostre sono necessarie per sostenere e difendere il rischio pubblico e l’uso dell’immaginazione privata. Per quanto riguarda gli oggetti esposti in una mostra-laboratorio, non si limitano più a essere semplici rappresentanti statici di realizzazioni costruite. Sono molto altro. Possono essere “l’impalcatura catalitica per i voli percettivi dentro e oltre i soliti vincoli della nostra immaginazione”6. 296

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Più che la promessa di soluzioni riduttive e pedagogiche alle odierne questioni globali o locali, un laboratorio costituisce un’opportunità per generare molteplici interpretazioni flessibili dei mondi sociali, spaziali e materiali per mezzo di ogni oggetto esposto. Se la mostra-come-laboratorio è un luogo in cui il familiare viene fantasiosamente reso non familiare, ciò può favorire “una revisione delle nostre precedenti previsioni sul mondo e su noi stessi”7. Nella mostralaboratorio, il rapporto tra espositore, oggetto esposto e visitatore non è passivo o predeterminato; è invece reciproco, una forma di scambio meraviglioso e imprevedibile, in cui ciascuno viene trasformato dall’incontro, ciascuno rischia se stesso, per donarsi l’uno all’altro.

1. 2.

3.

4.

5.

6.

7.

J. Baldwin, La prossima volta, il fuoco. Due lettere, Fandango Libri, Roma 2020. B.C. Rosenberg, Property and home-makeover television: Risk, thrift, and taste, in “Continuum”, 4, 22, pp. 505-513. L’espressione “società del rischio” è ripresa da U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci Editore, Roma 2020 (ed. or. U. Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine & ere Moderne, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1986); A. Giddens, Le conseguenze della modernità, il Mulino, Bologna 1994 (ed. or. A. Giddens, The Consequences of Modernity, Polity Press, Cambridge 1990); e A. Giddens, Identità e società moderna, Ipermedium, Napoli 1999 (ed. or. A. Giddens, Modernity and Self-Identity: Self and Society in the Late Modern Age, Polity Press, Cambridge 1991). Si veda ad esempio quanto sostenuto da M. Crawford, Can Architects Be Socially Responsible?, in D. Ghirardo (a cura di), Out of Site: A Social Criticism of Architecture, Bay Press, Seattle 1991, pp. 27-45. M. Sarfatti Larson, In the Matter of Experts and Professionals, or How Impossible it is to Leave Nothing Unsaid, in R. Torstendahl e M. Burrage (a cura di), The Formation of Professions, Sage, London 1990, p. 31 (pp. 24-50). Il concetto di laboratorio come luogo di libertà è ripreso da Booker T. Washington, citato in R. Sennett, Can Architects Be Socially Responsible?, in D. Ghirardo (a cura di), Out of Site: A Social Criticism of Architecture, Bay Press, Seattle 1991, pp. 27-45. M. Anderson, Engaging With an Artwork Leaves You and The Artwork Transformed, in Psyche, 29 marzo 2022. Disponibile in <https://psyche.co/ideas/engaging-with-an-artwork-leaves-youand-the-art-transformed> (ultimo accesso 13 febbraio 2023). Ibidem.

Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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Ruth-Anne Naa Aku-Sika Richardson, Responsabile della ricerca, Guests from the Future, Accra Festus Jackson-Davis 2022

Biennale Architettura 2023



“Il cambiamento non arriverà se aspettiamo un’altra persona, o se aspettiamo un altro tempo. Siamo noi quelli che stiamo aspettando. Noi siamo il cambiamento che cerchiamo”. — Barack Hussein Obama 300

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Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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Melkam pours bunna 2020

ye enate gursha (translation: gursha from my mother) 2020

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Ainslee Alem Robson

Cosa significa che la ‘casa’ è costruita in maniera astratta attraverso frammenti di cultura e storia orale distorti dai filtri del tempo e della migrazione? Un’identità diasporica legata alla nostalgia, a volte reale e a volte fabbricata per necessità, può mai essere ‘reale’? La memoria può essere luogo di resistenza ma anche di rivendicazione, la sua tela uno spazio di potenzialità, uno strumento per contro-immaginare il presente e ricostruire la realtà per liberarsi dal peso dell’alterità. Ferenj è una forma sperimentale di pensiero emancipatorio, con cui rivendico la mia identità etnica etiope-americana e ridefinisco i confini tra ricordi frammentati e immaginario digitale. In The Laboratory of the Future, continuo a esplorare i concetti di ‘casa’ e ‘identità’ nella diaspora, attingendo a scene tratte da lavori originali in realtà virtuale, archivi di famiglia e nuove scene che celebrano la bellezza dei paesaggi del centro di Cleveland dove sono nata e cresciuta. L’utilizzo di video crowdsourcing e la loro elaborazione con la fotogrammetria si traduce in frammenti irregolari con pezzi mancanti. L’incapacità della tecnologia di ritrarre superfici riflettenti rispecchia la mia esperienza di ipervisibilità e simultanea invisibilità derivanti dalla mia identità composita. I frammenti di Ferenj formano una collezione di ricordi ricostruiti raffigurati come oggetti digitali che attraversano geografie impossibili. Ferenj è proiettato su un’interpretazione di un rekebot [servizio da caffè] utilizzato nelle cerimonie del caffè etiopi. Il materiale del rekebot è un tessuto neTela fatto a mano. La sua diafana qualità rende visibile il viaggio della luce dalla superficie all’interno, favorendo il contrasto tra tangibilità e intangibilità. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Ferenj 303


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Porda Iteration 1 Front and Side View 2023

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Porda Iteration 2 Outer Layer Overlayed 2023

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Anusha Alamgir

Non esiste una guida canonica dettagliata sull’uso del velo. Le regole che governano la vestizione o la svestizione si sono sviluppate in maniera spontanea all’interno delle diverse comunità islamiche. Il velo è un’uniforme altamente personalizzata, le cui istruzioni e i cui dettagli vengono trasmessi tra le donne della famiglia: le nonne insegnano alle madri; le madri insegnano alle figlie. Il velo è, ovviamente, molto più che un tessuto. Contiene in sé concetti architettonici di privacy, divisione e contenimento, proiettandoli sul corpo delle donne. Il mio progetto esplora l’hijab come spazio di controllo che ci permette di portare con noi clima, privacy e habitat. Attraverso la performance esploro le complesse narrazioni di genere e di controllo intessute in questo indumento così marcatamente connotato dal punto di vista del genere.Il film Porda (la parola bengalese per velo) è un tutorial didattico che propone nuove tipologie di velatura che il pubblico può occupare, creando un Umwelt, un ambiente specifico non solo per il corpo che contiene ma anche per il pubblico. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Porda 305


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Bengali Song, particolare 2023

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Arinjoy Sen

L’installazione, un trittico di fili intrecciati, disegni e narrazioni, è stata realizzata in collaborazione con artigiani marginalizzati rappresentati dal collettivo SHE Kantha nel Bengala, India. Il progetto Bengali Song immagina la sopravvivenza planetaria dando priorità al rispetto tra diverse ecologie e popoli. Le frontiere di tali forme di conoscenza sono i laboratori di questo futuro: esperienziale, tecnico e creativo. L’architettura è un prodotto di questi laboratori di frontiera, informati da molte forme di conoscenza. Il progetto khudi bari (casa minuscola) dello studio Marina Tabassum Architects ne dimostra l’ottimistica possibilità. Il pannello a sinistra presenta il progetto come tipologia resiliente nel contesto delle vulnerabili pianure alluvionali costiere del Bangladesh. La tipologia Khudi Bari eleva il piano abitativo e consente un rapido montaggio e smontaggio, permettendo così all’utente di controllare l’allagamento della propria abitazione e di spostarsi facilmente su un terreno più elevato. Il pannello a destra presenta invece l’impiego della tipologia nel campo profughi di Cox’s Bazar, per fornire uno spazio abitativo economico ed efficiente che soddisfa anche i requisiti strutturali temporanei del campo. Infine, il pannello centrale celebra la narrazione della produzione, costruzione, messa in atto e rafforzamento di relazioni comunitarie ed ecologiche basate sul profondo e reciproco rispetto. In Bengali Song, l’architetto è colui che dà voce ai popoli emarginati, reificati dalla costruzione concettuale e fisica della propria narrativa. Ispirata dalle molte mani coinvolte nella realizzazione di Khudi Bari, quest’opera comprende disegni digitali interpretati attraverso pratiche artigianali, come il tradizionale ricamo kantha delle artigiane di SHE Kantha, che danno origine a un interconnesso corpo di lavoro. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Bengali Song 307


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Entrance plaza of Zevaco’s Sidi Harazem 2019

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Aziza Chaouni Projects

Lo studio Aziza Chaouni Projects si è sviluppato attorno alla conservazione e al riutilizzo adattivo di tre edifici modernisti di proprietà pubblica risalenti all’era post-indipendenza dell’Africa occidentale: The Sidi Harazem Thermal Bath Station (Marocco, 1960-1965), La Maison du Peuple (Burkina Faso, 1965) e il Centre International du Commerce Extérieur du Sénégal (1974). La complessità di ogni sito ha richiesto una metodologia basata sull’ascolto e sullo scambio, oltre a un impegno per la progettazione in collaborazione con proprietari, operatori e comunità. Modern West Africa: Recorded rivela ogni sito attraverso le testimonianze delle parti interessate, comprendendo il passato e il presente per riflettere sul futuro. La conservazione dei complessi pubblici modernisti in Africa richiede strutture operative innovative al fine di garantire la protezione del loro variegato patrimonio, il loro valore pubblico e l’accesso agli stessi. Con l’appropriazione da parte della popolazione, ogni sito mostra una resilienza intrinseca e il ruolo essenziale che le grandi strutture pubbliche svolgono in Africa: siti di memoria collettiva e di nostalgia dell’ottimismo della prima era post-indipendenza. Le nuove metodologie di conservazione, profondamente radicate nel contesto e nella comunità, devono affrontare sfide storiche, sociali, operative, politiche, legislative ed economiche. L’architettura modernista pone altri ostacoli tecnici, tra cui la monumentalità e la riabilitazione del cemento a vista. I movimenti internazionali per la conservazione hanno decentrato il Modernismo africano, senza inserire alcuna opera nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO e lasciandole quindi senza protezione e sottofinanziate. Riconoscere queste storie è fondamentale in un momento in cui l’Africa deve affrontare il cambiamento. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Modern West Africa: Recorded 309


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Frame, hat and boots #1-3 2020

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Banga Colectivo

La parola ‘banga’, nel gergo urbano contemporaneo dell’Angola, significa ‘il proprio stile’, un’alta stima di sé che spesso si riflette nell’abbigliamento e nel modo di vestire. Per i membri del nostro collettivo, ‘banga’ è una parte importante della nostra identità, un mezzo di protesta contro la narrazione coloniale dominante che vedeva gli africani come ‘incolti’ e ‘incivili’. Storicamente, il Soba era un re, un’autorità regionale tradizionale, che governava un sobado. Il sobado era organizzato in modo da rispettare le esigenze del Soba e di tutta la sua comunità. Oggi, la parola ‘soba’ ha assunto un altro significato, genericamente la figura ‘ponte’ tra il governo democratico contemporaneo e le comunità locali, spesso rurali. In The Laboratory of the Future, miriamo a ridare vita alla persona del ‘soba’, trovando modi per comprendere come figure con precisi ruoli storici possano trasformarsi e adattarsi a nuove realtà. Affrontiamo i progetti in modo transdisciplinare, spesso permeando il nostro approccio di una prospettiva afrofuturistica. Si tratta di un’estetica culturale e filosofica che esplora l’intersezione della diaspora africana attraverso la tecnocultura e la speculazione. Il nostro interesse per le questioni urbane, la cultura e le arti è ben noto e la maggior parte dei nostri progetti artistici e architettonici segue un modello trasversale, trans- e interdisciplinare. Per noi, il ‘soba’ non è semplicemente un personaggio storico o un ‘intermediario’ contemporaneo: il ‘soba’ è un messaggero. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Soba Eternal 311


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African Bondage 2021

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Extinct 2021

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Blac Space

Tales of the Vulnerability of African Women in Transit Spaces analizza gli spazi di transito e di transizione sia come luoghi di movimento ‘reali’, sia come spazi metaforici di viaggi, transizioni e cambiamenti che descrivono da dove veniamo e dove stiamo andando. Utilizzando immagini surrealiste, i miei disegni esplorano i modi in cui le donne africane attraversano la città, dalle loro case ai luoghi di lavoro; muovendosi tra le stazioni dei taxi, le passerelle pedonali e i marciapiedi ogni singolo giorno, avanzando rapide per evitare lo sguardo degli uomini che le considerano dei semplici oggetti nello spazio. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Tales of the Vulnerability of African Women in Transit Spaces 313


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Black Professionals in the Built Environment Summer Party 2022

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RIBA CV and Skills Workshop 2019

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Black Females in Architecture

Oggi al mondo esistono quasi otto miliardi di persone, di cui oltre la metà vive in aree urbane. Le donne costituiscono il 49,58% della popolazione mondiale e i gruppi etichettati come minoranze sono in realtà la maggioranza globale. La cosiddetta minoranza femminile è massicciamente sottorappresentata nella maggior parte dei campi industriali e professionali, e l’architettura non fa eccezione. In larga misura le persone che realizzano i nostri ambienti costruiti non riflettono le popolazioni per cui lavorano. Black Females in Architecture (BFA) è un’impresa sociale che vede l’adesione di oltre 450 donne nere che operano in professioni legate all’ambiente costruito in tutto il mondo. Sosteniamo la diversità, e l’equità di genere ed etnia in tutti i settori dell’ambiente edificato, tra cui architettura, urbanistica, paesaggio, ingegneria, design ed edilizia. Siamo attiviste, mentori, studentesse, madri, figlie, sorelle e altro ancora. Ricerchiamo un ambiente migliore per tutti che vada oltre gli ideali e le norme occidentali. Il nostro film è una celebrazione dei costanti contributi delle donne nere nei campi dell’ambiente costruito, per mostrare al mondo il modo in cui contribuiamo a plasmare il futuro delle nostre città. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

A Voice for the 450 Plus 315


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Cartografia Negra Volta Negra plus Lambe-lambe 2019

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Cartografia Negra

I nostri progetti nascono dal desiderio di raccontare storie: le nostre storie, le storie dei brasiliani neri che sono stati cancellati dalle narrazioni ufficiali delle città brasiliane, descritte solo attraverso la lente della schiavitù. Con il nostro lavoro, portiamo alla luce le storie degli africani, dei popoli della diaspora e degli afro-brasiliani che hanno costruito San Paolo. La finestra è stata leggermente socchiusa. Sbirciate dentro. Guardate voi stessi. Leggete la vera storia del Brasile. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Root City 317


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Got my City on my Back 2021

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The Beautyful Ones Always Were 2023

Biennale Architettura 2023


Courage Dzidula Kpodo con Postbox Ghana

L’indipendenza ottenuta nel 1957 – con la fine del dominio coloniale britannico – portò in Ghana il nuovo e fervido desiderio di affermarsi come unica nazione, con un popolo unito. L’architettura divenne un potente mezzo per esprimere questo ritrovato senso di identità; facendo leva sul progetto di modernità, furono commissionate nuove infrastrutture. Modi unici di costruire, esporre e utilizzare lo spazio possono essere osservati ancora oggi in luoghi come i mercati, dove le infrastrutture vengono costantemente reinterpretate per soddisfare le aspirazioni locali. Il mio incontro con il gruppo di ricerca Postbox Ghana include un’ampia indagine sul materiale d’archivio del passato del paese, e si incentra in gran parte sui modi di esplorare la memoria collettiva racchiusa nelle fotografie. Grazie all’impegno di fotografi spesso sconosciuti attivi negli anni Cinquanta e Sessanta, siamo riusciti a entrare in contatto con idee su agency, identità e memoria. Abbiamo preso parte ad azioni di espressione in corso all’interno di due spazi: il mercato di Makola ad Accra e un silo di cemento incompiuto e riadattato a Tamale. The Beautyful Ones are Not Yet Born (1968), romanzo d’esordio dello scrittore ghanese Ayi Kwei Armah, racconta la lotta di un uomo senza nome per riconciliarsi con la dura realtà della post indipendenza. Come il protagonista del romanzo, anche noi siamo i ‘belli’, aggiungendo strati di espressione e significato a spazi attivati in passato da altri ‘belli’. La stratificazione, la scomposizione e la cancellazione nel tempo hanno complicato le narrazioni fra temi passati e presenti, ottimismo e decadenza. La nostra speranza è che questa modalità di indagine attraverso la partecipazione attiva possa oggi indicare modi più ricchi e complessi di creare spazio attorno alle identità. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

The Beautyful Ones Always Were 319


Wey Dey Move: imagining new worlds through dance and masquerade 2022 The sand divers of Lagos Lagoon with mechanical dredgers in the background.

→→ People socialising in the newly created environments even as the sand dredging ensues. →→→ Young fishermen positioning themselves on the lagoon with their harvest of mangrove in order to plant their fish traps known as the Aka.

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Biennale Architettura 2023


Dele Adeyemo

Nel 1960, in prossimità dell’indipendenza della Nigeria, il drammaturgo Wole Soyinka scrisse A Dance of the Forests, un sinistro presagio di futuro basato sulla tendenza umana a ripetere i peccati del passato. In questo momento critico della storia dell’Africa occidentale, mentre gli effetti dell’esplosione demografica, dell’espansione urbana e delle devastazioni dell’ecosistema sono esacerbati dalla crisi climatica globale, con il progetto A Dance of the Mangroves ci si chiede come evitare un destino di ripetizione degli errori passati, imparando dai mondi vitali delle mangrovie che circondano la megalopoli di Lagos, in Nigeria. Nelle regioni tropicali del mondo le foreste di mangrovie svolgono un ruolo importante nell’incameramento del carbonio, immagazzinando fino a dieci volte più anidride carbonica rispetto alle foreste terrestri. In Nigeria, le mangrovie forniscono una difesa fondamentale contro le inondazioni mentre nutrono le popolazioni ittiche da cui dipendono molte comunità. Tuttavia, dopo l’annessione di Lagos da parte degli inglesi nel 1861, si avviò un modello di sviluppo urbano caratterizzato dall’espropriazione forzata di insediamenti indigeni e di terreni, e dal dragaggio e riempimento di sabbia delle paludi naturali, habitat di mangrovie, che continua fino a oggi. In quanto ambienti liminali che non sono né completamente terra né acqua, gli ecosistemi di mangrovie nutrono i mondi vitali ecologici, sociali e spirituali che rimangono invisibili allo sguardo dello sviluppatore. Prendendo ispirazione dalla tradizionale pratica spirituale yoruba della divinazione, che consente la navigazione di futuri incerti, A Dance of the Mangroves fornisce, attraverso la tavola divinatoria (ọpọ́n Ifá), un accesso ai mondi vitali delle mangrovie della laguna di Lagos. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

A Dance of the Mangroves 321


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Bunt Ban 2023

Biennale Architettura 2023


Elementerre con Nzinga Biegueng Mboup e Chérif Tall

Formatosi al CRAterre di Grenoble, in Francia, l’ingegnere senegalese Doudou Deme è tornato in Senegal e ha fondato la società Elementerre nel 2010. La sua missione è sviluppare e democratizzare l’architettura sostenibile, commercializzando materiali da costruzione ecologici in un contesto in cui cemento, metallo e vetro sono gli elementi più comunemente adottati in edilizia. Elementerre ha fornito mattoni di terra compressa per la realizzazione di progetti come la sede dell’IFC a Dakar progettata da Adjaye Associates e il Goethe-Institut Dakar progettato da Kéré Architecture, oltre a progetti di architetti locali, tra cui l’Hotel Le Djoloff a Dakar. Insieme a Worofila, lo studio ha realizzato diverse residenze private in terra cruda e un padiglione sperimentale presentato alla Biennale d’architecture et de paysage 2022 di Parigi. Con Bunt Ban, il regista Chérif Tall e il produttore Nzinga B Mboup ci offrono un’immagine intima del contesto, dei progetti e della visione di Deme per rendere accessibili i biomateriali al fine di ottenere un ambiente costruito a basse emissioni di carbonio e più umano. Nel film, alcuni dei progetti di Elementerre sono presentati e discussi con i collaboratori di Deme, mostrando come siano serviti da base di partenza per la produzione e la trasmissione di conoscenza e per un impegno critico nella tecnologia della terra cruda. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Bunt Ban 323


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BIO STORIES: Artefact Archive 2022

Biennale Architettura 2023


Faber Futures

Museum of Symbiosis è la storia di fantascienza di una società che ha sfruttato la biotecnologia e si è riorganizzata affinché gli esseri umani prosperassero in simbiosi con il mondo vivente. Qui ne presentiamo un’esperienza audio immersiva. Un plastico speculativo concretizza la narrazione e conduce il pubblico in un percorso all’interno dell’istituzione, per esplorare le radici di questo cambiamento trasformativo attraverso manufatti reali donati da persone che stanno attualmente plasmando questo settore. La replica di un microscopio del XVII secolo, a opera del designer Maurizio Montalti, rende visibile la vita in cui siamo intrappolati, rappresentando al contempo i metodi scientifici coloniali che allontanano le persone dalla natura. Il fungo della coltivatrice Chido Govera mostra la cancellazione dei sistemi di conoscenza indigeni e ciò che diventa possibile quando i loro iniziatori se ne riappropriano. Museum of Symbiosis nasce da BIO STORIES, un progetto di coinvolgimento degli stakeholder pubblicato nel 2022 da Faber Futures in collaborazione con il Global Futures Council on Synthetic Biology del Forum economico mondiale. Con la biologia sintetica ormai saldamente inserita nell’agenda globale come motore economico chiave, il progetto di ascolto profondo ha coinvolto trenta parti interessate con conoscenze diverse per studiare il modo in cui questa tecnologia trasforma anche le nostre relazioni con il mondo vivente. Ogni stakeholder ha presentato un manufatto, animando il dialogo con approfondimenti qualitativi che dimostrano quale sia la posta in gioco quando progettiamo. Mentre queste narrazioni servono a informare il lavoro strategico del Forum sulla biologia sintetica, Museum of Symbiosis evoca immagini, suoni e sentimenti che ci aiutano ad abitare un’esistenza simbiotica che può ancora diventare realtà. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Museum of Symbiosis 325


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Ààfin Awọn Eniyan Skating in the main àgbàlá 2020

Biennale Architettura 2023


Folasade Okunribido

Memories of a Sixth Wife è un racconto storico immaginario delle township yoruba viste attraverso gli occhi di Rotimi, una moglie dell’Alaafin di Oyo. Blue Hour reinventa il periodo del crepuscolo come momento di lutto e celebrazione per le township yoruba; precede la proposta di Okunribido di sognare, ideare e costruire il futuro. Il suo lavoro si colloca all’apice della storia africana, esplorandone la ricchezza attraverso la prosa e l’architettura. Ààfin Awọn Eniyan ospita i ‘ribelli’ Alté , un gruppo di 150 giovani che sfidano le aspettative della società. Definito dall’immersione nel blu, il progetto costituisce un rifugio politico e culturale ispirato dagli ‘afin’ (palazzi) yoruba del XII secolo, che offre una serie di spazi sia per la solitudine che per la vita in comune. L’edificio di 10.800 metri quadri è costituito da una serie di lastre di argilla rinforzata che sovrastano il fiume Kudeti, e va a riempire il più ampio spazio vuoto nel denso centro di Ibadan, in Nigeria. Ogni lastra facilita il fenomeno dell’interferenza luminosa, conferendo all’edificio una presenza oscillante; il suo blu crea un’aura sotto forma di colore strutturale. Queste qualità nell’architettura emulano i suoi abitanti, riflettendo e sostenendo la percezione instabile di comunità anticonformiste come quella Alté. La proporzione delle lastre e l’evocativo blu creano un’architettura d’atmosfera. All’esterno, il blu è evanescente, i più grossi manufatti in argilla sono lasciati grezzi, simili al terreno. Al centro, gli ‘àgbàlá’ (cortili interni) offrono un impegno materico contrastante attraverso lastre di argilla più piccole, levigate e smaltate, che immergono gli abitanti in un bagliore di zaffiro. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Blue Hour 327


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Data: The New Black Gold 2019

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Campbell Street, Freetown Data: The New Black Gold 3D Model 2019

Biennale Architettura 2023


Ibiye Camp

Un megafono fissato su un chiosco in Campbell Street, nel centro di Freetown, in Sierra Leone diffonde a tutto volume: “Top up! Top up! Africell, Orange, Sierra tel. Top up!”. Il chiosco è un punto di scambio di dati che opera in città ed è gestito da più fornitori. La sua forma architettonica supera i confini del marciapiede e delle bancarelle circostanti. Non obbedisce a regole ed è viva e organica. Un file digitale del chiosco viene salvato e racchiuso in un fermo immagine. Viene osservato, preservato, duplicato, ruotato e collocato in un ambiente casuale. La materia digitale è occupata e controllata dal webmaster, che mappa e imposta le preferenze della sua posizione e dell’ambiente circostante, come se si trattasse di uno schiavo digitale. liv, plit, prɛd, flo, εskep. Insurgency of the Digital File è un’indagine sulla decolonizzazione dei dati utilizzando pratiche di rivolta attiva o insurrezione della forma digitale. Esperimenti di fuga dalla reclusione immaginano l’ecologia della materia e la vita digitali, al di là della progettazione e del controllo da parte dei webmaster. L’evoluzione materiale del file rivela una tensione nella durata della vita della materia digitale riducendo la sua risoluzione a uno stato decomposto. Calchi e stampe 3D del file saranno formati per ribellarsi, diffondersi, fluire e fuggire dalla reclusione e tornare a segmenti terreni. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Rebellious Copies 329


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Surf Ghana Collective 2022

Biennale Architettura 2023


Juergen Strohmayer e Glenn DeRoché

Plugin Busua affianca frammenti architettonici a riprese cinematografiche e sonore contestuali per tradurre gli effetti spaziali di un surf lodge esistente. L’installazione esamina l’interazione fra tettonica architettonica e abitare collettivo; gli scenari urbani ed ecologici che si dispiegano, indotti dalle forme architettoniche. Il community hub costruito dagli architetti Juergen Strohmayer e Glenn DeRoché a Busua, in Ghana, integra parametri funzionali, climatici, urbani e comunitari con ridotta impronta ecologica grazie al riutilizzo adattivo di un edificio esistente e all’introduzione di un nuovo plugin architettonico caratterizzato da una materialità innovativa e da una giocosa disposizione delle forme primarie. Frammenti su larga scala della forma costruita sono appesi per creare un’installazione spaziale immersiva che esprime la tettonica della realizzazione architettonica. Sospeso tra i frammenti monolitici, uno schermo mostra momenti di attività, scenari quotidiani e occupazione collettiva della struttura. Le forme dell’installazione sono riconoscibili nel video di quindici minuti che riprende scene dal sito di Busua. Attraverso la stratificazione visiva di frammenti fisici e filmati e l’uso di suoni sitespecific, l’opera trasporta gli effetti del progetto di riutilizzo adattivo architettonico all’interno della Mostra, fornendo ai visitatori un’esperienza astratta ma descrittiva, specifica del luogo. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Plugin Busua 331


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Test Printing in the Textile Studio, (London, England) 2022

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Kantamanto Market Visit, (Accra, Ghana) 2022

Biennale Architettura 2023


Lauren-Loïs Duah

Nella lingua ghanese Twi (o Akan), ‘Obroni Wa-wu’ si riferisce ai vestiti di seconda mano, ma la traduzione letterale è ‘qualcuno deve essere morto per lasciar andare tutti questi oggetti’. L’industria dell’abbigliamento è un potente portale di accesso alle economie legate alla manodopera, alla migrazione e alla catena di approvvigionamento che hanno conseguenze intercontinentali. Dipanare la complessa trama della catena di approvvigionamento dell’abbigliamento espone così tanti fili sciolti che la storia inizia immediatamente a sfilacciarsi. Si dice spesso che non esiste un consumo etico: il mio progetto, un arazzo, cerca di svelare le cuciture della filiera dell’abbigliamento, mostrando come gli acquirenti occidentali si siano del tutto estraniati dai luoghi di produzione che permettono il loro vorace consumo. Nel progetto, i processi di mappatura della catena di approvvigionamento, formano un masterplan visivo alternativo, utilizzando tecniche di disegno architettonico, forme tradizionali di narrazione orale e registrazione attraverso mappe sonore delle conversazioni nei siti esplorati. Questa ricerca esplora il modo in cui il fast fashion è sostenuto dal capitalismo razziale, nonché il modo in cui i ‘panni sporchi’ del Nord del mondo creano questi immensi, transcontinentali ‘paesaggi di vestiti’ in città come Accra, in Ghana. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

‘Obroni Wa’awu’: Cross-Continental Clothescapes 333


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Roha: The Heretic’s Saga 2019

Biennale Architettura 2023


Miriam Hillawi Abraham

Abyssinian Cyber Vernaculus è una serie di narrazioni visive riguardanti le chiese rupestri di Lalibela, in Etiopia. Ha avuto inizio come strategia per percorrere e riconciliare le nefaste egemonie della mia eredità architettonica, quelle di origine coloniale di stampo hegeliano così come quelle nate dall’imperialismo locale. Nel suo procedere, questo corpus si è trasformato in un vasto universo con le proprie storie e guardiani, fungendo da capriccio architettonico per il sito fisico. In modo analogo le chiese, scolpite nella roccia viva, appaiono immutabili, ma in realtà subiscono il deterioramento e il cambiamento nonostante gli sforzi dei conservazionisti burocratici e degli ordini ecclesiastici. Abyssinian Cyber Vernaculus è una modalità di trasmutazione architettonica che scivola oltre le barriere fisiche del deterioramento e del decadimento ed entra nell’immaginario. Per The Laboratory of the Future, scavo in questo non-mondo autonomo per produrre un’installazione che guardi attraverso gli strati del tempo e della terra adottando la prospettiva di un distaccato ‘ospite proveniente dal futuro’. L’installazione è un microcosmo di Abyssinian Cyber Vernaculus, in cui un film d’animazione segue uno sguardo rotante che gradualmente si insinua più in profondità al centro di un modello fisico del terreno virtuale, uno sguardo quasi divino che ne estrae i segreti, scuotendo la terra e risvegliando fantasmi a lungo dimenticati. Piazzando false prove nel contesto, è in grado di ritornare sulla storia di Lalibela e aprire molteplici canali di futurismo mentre l’architettura esistente testimonia queste storie, capace di resistere alla rovina ed estendere la sua vita nel digitale. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Through Time and Terra: Mining the Abyssinian Cyber Vernaculus. A Non-Extractive Archaeology of the Future 335


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Collage 2: Sketchbook 2019 Collage 4: Falomo Under Bridge 2018

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Collage 3: Sketchbook 2022

Biennale Architettura 2023


Moe+ Art Architecture

Noi – Siamo curiosi di conoscere le possibilità offerte da un’indagine non lineare dell’identità contestuale contemporanea nel continente africano, e più specificamente negli stati dell’Africa occidentale. Noi – Abbiamo la convinzione di essere il futuro anche se siamo ripetutamente consegnati al passato. Noi – Vediamo il potenziale nelle cose ininterrotte. Una serie di momenti e spazi dal futuro del nostro passato. Noi – Siamo alla ricerca dello spazio e del tempo che creano il momento... affinché l’oggetto emerga. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

The Future of the Past: Gbogbo odò ló na ọwọ́ sí Olókun 337


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Mediterranean 2017

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Remade in Bangladesh 2014

Biennale Architettura 2023


New South

Il ‘Queendom’ a cui appartengo è uno spazio interno continuo che si estende attraverso tre città, due continenti e attraversa il Mediterraneo. È il territorio della mia famiglia: un’infrastruttura di cura intricata e intima, dominata dalle sue donne – mia madre, le mie due nonne e le mie sette zie. Le case del Queendom – la mia casa di famiglia a Vitry, nella periferia sud di Parigi; il complesso di mia nonna paterna ad Algeri, costituito dalla sua casa e da quella di ognuno dei suoi sette figli; e la casa di mia nonna materna a Batna, dove lei e ciascuna delle famiglie dei suoi figli occupano un piano – ne costituiscono i centri logistici, raccogliendo i membri della famiglia in un unico luogo per celebrazioni, lutti e vacanze. Questi momenti ripristinano la base domestica dell’identità e del funzionamento della mia famiglia. Il tempo e lo spazio diventano elastici e immersi nella penombra mentre le ore trascorrono serene nei saloni rivestiti di tappeti. Le finestre sbarrate e oscurate forniscono poche indicazioni sull’ora del giorno, anche se il clima e le recenti storie di minacce esterne modellano il nostro immaginario domestico. Le regine vanno e vengono in un flusso costante. L’orario viene comunicato da indiscrezioni che in seguito potrebbero rivelarsi false. Ogni persona presente viene curata, nutrita, trasportata, intrattenuta, vestita e accomiatata con datteri, buste di denaro, vasetti di miele, avanzi di cibo avvolti nella carta stagnola, gioielli ancestrali, abiti nuziali sistemati, medicine, biglietti aerei, pettegolezzi e segreti di famiglia a seconda delle necessità immediate di ciascuna, ma più spesso in eccesso, e per la distribuzione a coloro che, sparse per tutto il Queendom, non potevano essere presenti. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Mediterranean Queendoms 339


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Hargeisa Courtyard Pavilion 2022

Biennale Architettura 2023


Rashid Ali Architects

Perseguiamo opportunità di insegnamento, ricerca e costruzione in Africa, in particolare nell’Africa orientale, dove abbiamo sede nella città di Hargeisa nel Somaliland. Lavorare in questo contesto ci ha permesso di ripensare il modo in cui realizziamo un’architettura che risponda ai bisogni delle comunità in cui viviamo e con cui lavoriamo. Tutto ciò ha introdotto nel nostro approccio una forma di patrocinio che, attraverso la nostra ricerca e il dialogo con gli stakeholder, ci ha permesso di sviluppare progetti che attuiamo direttamente. Questo comporta la mobilitazione di finanziamenti da parte delle comunità e delle istituzioni pubbliche e il nostro impegno diretto nella realizzazione concreta dei progetti. Con la nostra ricerca e la nostra opera costruita, desideriamo affrontare la crisi climatica reintroducendo tecniche e materiali costruttivi tradizionali, a volte dimenticati. La collaborazione con produttori, istituzioni e comunità locali è parte integrante di questa nuova forma di pratica. Con semplicità, Hargeisa Courtyard Pavilion dimostra il ruolo che l’architettura può svolgere, e in particolare l’importanza degli spazi pubblici all’interno delle aree urbane del Sud del mondo, vittime di investimenti insufficienti. Il nostro approccio generale è un processo di ricucitura della città con piccole aree strategicamente posizionate – padiglioni, passerelle pedonali, vicoli, cortili e piazzette – in risposta alla scarsità di terra e risorse. Oltre a offrire necessità umane basilari come ombra e posti a sedere, Hargeisa Courtyard Pavilion è un luogo di incontro, socialità, apprendimento e convivialità. Ci auguriamo che diventi un simbolo per la futura produzione di spazi pubblici nella città. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Hargeisa Courtyard Pavilion 341


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A Window (Detail) from the Future (Case Study House) 2022

Biennale Architettura 2023


Riff Studio

Ispirandosi a The Case Study House Program della rivista Arts & Architecture pubblicato dopo la Seconda guerra mondiale, Case Study House: Chicago di Riff Studio risponde al modello economico per la riparazione delineato nella RFP (Request For Proposals) di Isabel Strauss per Architecture of Reparations. Case Study House: Chicago incorpora diversi esempi di programmazione di abitazioni-riparo (sviluppate da Rekha Auguste-Nelson), che può anche essere intesa come una serie di effetti e meccanismi che tentano di affrontare, placare e riconoscere l’ansia del “vivere da neri” negli Stati Uniti. La persecuzione degli afroamericani e dei popoli neri si estende ben oltre la fine legale della schiavitù. Architecture of Reparations prova ad affrontare questa storia immaginando un futuro site-specific per il riconoscimento, la riparazione e la risoluzione. Case Study House: Chicago è un progetto per questo futuro. A Window (Detail) from the Future (Case Study House) integra e allude alla programmazione di abitazioni-riparo con tecniche riprese dalla lavorazione del cristallo e dei mosaici a specchio ayeneh kari (sviluppati da Farnoosh Rafaie), per rifrangere la luce e distorcere la forma. Oscurando i residenti come un caleidoscopio, la finestra funge da ornamento che nasconde le figure all’interno in modo che non possano essere individuate o prese di mira facilmente dalla strada. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

A Window (Detail) from the Future (Case Study House) 343


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Terratype Soak, Sligachan River 2021

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Sligachan River, Isle of Skye 2021 Bideford Black Graphite 2022

Biennale Architettura 2023


Tanoa Sasraku

I Terratypes sono dei singolari ibridi scultorei composti di pittura, disegno, collage, incisione e tessuti. Sasraku va alla ricerca di pigmenti terrestri vecchi di milioni di anni in varie località delle isole britanniche – Dartmoor, Jurassic Coast e Highlands scozzesi – strofinandoli a mano su fogli di carta da giornale bianca. Questi vengono poi cuciti, inzuppati e strappati, rivelando strati passati di pigmenti e motivi: l’intersezione tra il tempo geologico e la memoria personale. Il processo stesso, che prevede un laborioso ritaglio di modelli, rimanda alle sue origini ghanesi e, in particolare, al suo rapporto con il defunto padre, mentre la frangia che delimita ogni Terratype esprime l’applicazione tessile unica delle bandiere Asafo del popolo Fante del Ghana costiero, realizzate dagli antenati paterni di Sasraku. Le forme geometriche stampate sulle superfici dei Terratypes fanno riferimento ai circuiti elettrici e al flusso di un’energia profonda e radicata nella terra, mentre i motivi a punto tartan sono influenzati dalla relazione di Sasraku con la propria partner scozzese. Ne risultano oggetti misteriosi, quasi ritualistici, invecchiati da secoli di materialità, che presentano un nuovo modo di rapportarsi al paesaggio. Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

Yellow Gate (Terratype), 2021 345


Futuro, passato, presente: im/perfetto? Cape Town

Iain Low

Nell’identificare la posizione della cultura e della lingua come dimensioni critiche per l’espressione della libertà umana, l’opera del romanziere keniota Ngũgĩ wa Thiong’o contrasta la tendenza alla sovrascrittura della modernità coloniale e alla cancellazione del preesistente. “Decolonizzare la mente” e “spostare il centro” sono i tropi ricorrenti nella lotta di Ngũgĩ per la restituzione. Questa elevazione della pratica indigena e della narrativa locale ha un impatto diretto sul nostro modo di pensare e di fare in relazione alle questioni dello spazio e del suo ruolo ricostruttivo di riflessione interna alla nostra condizione contemporanea di crisi. In quanto manifestazione fisica di un insieme di relazioni di potere, lo spazio rappresenta un’eredità primaria del progetto coloniale. Lo spazio era al servizio della modernità coloniale. In quanto progetto di segregazione, la radicale riconfigurazione dello spazio indigeno africano è servita principalmente a determinare il ‘genocidio’ delle pratiche culturali locali. Le cruciali diversità all’interno degli insiemi di conoscenze locali sono state sistematicamente 346

Biennale Architettura 2023


cancellate e sostituite da uno pseudo-universalismo caratterizzato dalle cosiddette ‘norme e standard’. Verso un vernacolo contemporaneo? Il valore dell’architettura tradizionale risiede nel suo potenziale di sconvolgere e destabilizzare il moderno coloniale. Trattenuto nella specificità di un particolare spazio-tempo, può inevitabilmente emergere un socius1 tra individui diversi. Ciascun socius riflette sulla peculiarità della pratica culturale legata al luogo per produrre identità locali. All’interno di questo processo in divenire, si possono discernere prove di principi spaziali che riflettono una partecipazione radicale per cui la cultura è l’‘arma’, lo spazio il ‘mezzo’ e la differenza critica il ‘risultato’. Questi principi spaziali sono ― ― ―

l’orizzonte dell’interconnessione tra tutte le cose umane e ‘naturali’ l’impegno di collettivizzazione come mezzo per consentire l’autosufficienza il centro vuoto come fondamento per costruire comunità e convivenza

Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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l’incrementalismo come risposta alla realtà dell’incertezza futura la conoscenza dei mezzi di produzione viva in ogni occupante

Una nuova analisi critica dell’architettura africana rivela un processo dinamico in cui il localismo è privilegiato rispetto alla pseudouniversalità, le relazionalità tra le persone prefigurano la forma materiale e la conoscenza è un bene comune trasferibile aperto all’innovazione e alla modifica. Nel linguaggio del filosofo francese Paul Ricœur e del suo allievo Paulin Hountondji, il progetto di architettura in Africa potrebbe essere interpretato nel senso di “come diventare moderni senza perdere il contatto con le origini?”2. In altre parole, pensare e fare nel continente africano ci impone di prendere il nostro passato per trascriverlo nel nostro futuro. Un’altra modernità: futuro, passato, presente im/perfetto L’Harvard Project on the City di Rem Koolhaas ha rappresentato un riconoscimento del fallimento del progetto moderno e, per estensione, della sua incapacità di rispondere in maniera efficace alle crisi emergenti che ora caratterizzano la nostra 348

Biennale Architettura 2023


condizione planetaria. Il lavoro sul progetto in Africa fornisce la rivelazione più convincente sul futuro. Nell’‘abbandonare’ il progetto di Lagos, Koolhaas dimostra integrità fornendo forse l’ammissione più profonda relativa all’Africa: Ci opponiamo all’idea che Lagos rappresenti una città africana in via di modernizzazione […] Piuttosto, riteniamo si possa sostenere che Lagos [l’Africa] rappresenti uno sviluppato ed estremo caso di studio paradigmatico di una città in primo piano nella globalizzazione della modernità3. Che cosa potremmo imparare da questi microcomuni che formano un’urbanistica autocostruita e conoscibile su base empirica? Questa costruzione di un nuovo linguaggio affronta la complessità e le contraddizioni derivanti dalle nostre società contemporanee in crisi. Le riconfigurazioni spaziali emergono come reazione diretta alla risposta della nostra immaginazione al conflitto. Nuovi spazi collettivi ibridizzati forniranno un’armatura di supporto a un’urbanistica guidata dalle persone. Il potere coloniale ha relegato le persone nere alla periferia della società, nel migliore dei casi Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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come soggetti di terza classe e, nel peggiore, come merci, in entrambi i casi utili e funzionali al progetto di accumulazione di capitale. Una predominante conseguenza è stata l’esclusione delle comunità indigene dalla propria umanità, dall’essere e dal diventare partecipando ai piaceri dell’esistenza quotidiana. La loro relegazione ai margini di una società egoista ha prodotto un’urbanistica disfunzionale sostenuta dalla radicale segregazione razziale e dall’indiscriminata adozione di valori di ciò che ora conosciamo come ‘bianchitudine’. Se la post-colonia vuole trascendere il suo passato, allora si renderà necessario un intervento organizzativo altrettanto radicale per realizzare e sostenere un futuro diverso. Ora è il momento di sostenere una rinvigorita agency di progettazione per immaginare e co-produrre riflessioni su quale potrebbe essere una tipo-morfologia non occidentale della città ‘ancora da venire’, in Africa. The Laboratory of the Future è lo strumento di trasformazione spaziale, capace di rispondere con sicurezza, su scala continentale. Lo spazio è il medium, la località (cultura) il mezzo e la cruciale diversità (socioeconomica) il risultato. Lavoriamo su proposte alternative che attingono dal nostro passato per offrire contemporanea resilienza per un altro e diverso futuro. 350

Biennale Architettura 2023


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1. 2. 3.

Futuri praticanti. Sergiy Tryapitsyn / Alamy Stock Photo 2022 Pagine 352–353

Nel vocabolario la parola socius è un’unità nelle relazioni sociali costituita da un individuo. In questo caso, ‘individuo’ si riferisce all’unità di una città o di un quartiere e i suoi cittadini. P. Ricœur, Storia e verità, Marco, Lungro (CS) 1994 (ed. originale, Histoire et vérité, Seuil, Paris 1955). R. Koolhaas et al., Mutations, Actar, Barcelona 2000, pp. 651-699.

Curator’s Special Projects ― Guests from the Future

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The Laboratory of the Future

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Carnival

Biennale Architettura 2023


“To be is to do”. ― Aristotele

“To do is to be”. ― Sartre

“Do be do be do”. ― Sinatra The Laboratory of the Future ― Carnival

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“Il principio comico e la percezione carnevalesca del mondo, che sono alla base del grottesco, distruggono la serietà unilaterale e tutte le pretese di significato e di certezza al di fuori del tempo, e liberano la coscienza umana, il pensiero e l’immaginazione, che diventano disponibili a nuove possibilità. Ecco perché una certa ‘carnevalizzazione’ della coscienza precede sempre, preparandoli, grandi capovolgimenti, persino in campo scientifico”. — Mikhail Bakhtin 358

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The Laboratory of the Future ― Carnival

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Estratto dalla ‘Lettera d’interesse’ della Curatrice

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inviata il 5 gennaio 2022

Biennale Architettura 2023


Gli architetti di norma comunicano le loro idee e opinioni per mezzo di disegni, fotografie, testi e varie forme di media digitali. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i loro disegni e testi usano linguaggi ermetici, compresi da pochi al di fuori della disciplina. Se il discorso architettonico vuole esercitare un impatto maggiore e più diretto oltre i propri confini, sono necessarie nuove forme di comunicazione più ampie e accessibili. Per attuare questo proposito, il mio team e io abbiamo stilato un programma di eventi pubblici durante The Laboratory of the Future intitolato Carnival, in cui viene offerto uno spazio di comunicazione per i sei mesi della Mostra. Si tratta di uno spazio dove poter scambiare, ascoltare, analizzare e ricordare parole, punti di vista, prospettive e opinioni. Politici, rappresentanti governativi, poeti, registi, documentaristi, scrittori, attivisti, organizzatori di comunità e intellettuali pubblici condivideranno il palco con architetti, accademici e studenti. Curare un programma di eventi pubblici è sempre più una forma di pratica architettonica che tenta di colmare il divario tra architetti e pubblico. The Laboratory of the Future ― Carnival

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Gli eventi si terranno nelle sedi della 18. Mostra Internazionale di Architettura e al Teatro Piccolo Arsenale. Programma aggiornato al 12 Aprile 2023

Carnival è inoltre generosamente sostenuto da ROLEX, Partner Esclusivo e Orologio Ufficiale della 18. Mostra Internazionale di Architettura.

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Carnival, il programma Force Majeure: a Conversation N.A.W. Learning from Venice African Space Magicians The Future of Research into African Architectural and Urban History Dual Nationals Governing, Designing and Educating Urban Futures Building African Futures: 11 Manifestos for Transformative Architecture and Urbanism Carnival Film Screenings Geography and Gender Women, Life, Freedom! The Future to Come Inconvenient Truths It’s a Wrap! Biennale Architettura 2023


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Egun Gun, Vodun Festival, Dassa-Zoumé, Benin Patrick Frilet / Hemis Alamy Stock Photo 2021 Pagine 364–365

Carnival, i partecipanti Force Majeure: a Conversation — Christian Benimana Sir David Adjaye OBE Felecia Davis Issa Diabaté Mariam Issoufou Kamara Walter Hood N.A.W. Learning from Venice — Cindy Walters Davide Bugarin Ellis Woodman Ferial Massoud Helen Weldegaber Tesfamariam Leela Keshav Maya Patel Matthew Maganga Mir Jetha Nne Owuasu Oluwatobiloba Ajayi Thomas Aquilina Tom Wilkinson African Space Magicians — Aziza Chaouni Black Females in Architecture Nzinga Biegueng Mboup Papa Omotayo The Future of Research into African Architectural and Urban History — Adefola Toye Huda Tayob Ikem Stanley Okoye Murray Fraser Kuukuwa Manful Mark Olweny Nnamdi Elleh Ola Uduku Oluwaseyi Akerele Victoria Okoye Warebi Brisibe Dual Nationals — Albert Williamson-Taylor Hanif Kara OBE Marta Galiñanes-García Natasha Bellamy Patrick Ata Vera Bukachi The Laboratory of the Future ― Carnival

Governing, Designing and Educating Urban Futures — Alcinda Honwana Claudia Lopez Dan Hill Mariana Mazzucato Rahul Mehrotra Richard Sennett Ricky Burdett Yvonne Aki-Sawyerr Building African Futures: 11 Manifestos for Transformative Architecture and Urbanism — Emmanuel Ofori-Sarpong Fiona Nyadero Julia Gallagher Kuukuwa Manful Olufèmi Hinson Yovo Carnival Film Screenings — Ainslee Alem Robson Amos Gitaï Annemarie Jacir Diébédo Francis Kéré Ewa Effiom Ila Bêka Kibwe Tavares Liam Young Louise Lemoine Luis Urbano Mike Tite Noemí Blager Penelope Haralambidou Sammy Baloji Geography and Gender — Caroline Wanjiku Kihato Clare Loveday Elena Ostanel Giovanna Marconi Gugulethu Sibonelelo Mthembu Mareli Stolp Women, Life, Freedom! — Women, Life, Freedom Ehsan Khoshbakht

The Future to Come — Cartografia Negra J. Yolande Daniels Margarida Waco Natsai Audrey Chieza Riff Studio Inconvenient Truths — Adrian Lahoud Baerbel Mueller Francesca Hughes Harriet Harriss Jayden Ali Mabel O. Wilson Mark Raymond Matilde Cassani Maxwell Mutanda Milton Curry Neal Shasore Sara Zewde Tomà Berlanda It’s a Wrap! — Katkatha Puppet Arts Trust (Anurupa Roy) con Kiran Nadar Museum of Art Dele Adeyemo con Ozegbe Sunday Obiajulu e Hermes Chibueze Iyele Rhael ‘LionHeart’ Cape 363




L’eccellenza della progettazione come pratica negoziata Cape Town

Edgar Pieterse

Le prospettive per le città africane sono desolanti. Gran parte del continente si sta urbanizzando nel corso di un periodo (2023-2040) di profondo sconvolgimento, dislocazione e incertezza sistemica. L’occupazione formale sta scomparendo e si sta trasformando con una portata senza precedenti a causa della digitalizzazione e delle urgenze di decarbonizzazione che richiedono la riconfigurazione delle catene del valore. In questo contesto, i flussi di capitali diventano ancora più volatili e speculativi, minando il potere contrattuale di stati e aziende africane che già faticano a imporsi. Si tratta di dinamiche di grande importanza perché le città africane sono stazioni base per il progetto di economia integrata regionale che ha lo scopo di accelerare la crescita, il commercio, la competitività, l’autoaffermazione culturale, la ricerca, lo sviluppo e, soprattutto, l’occupazione e la ricchezza. Se le città africane non funzionano bene, il potenziale 366

Biennale Architettura 2023


umano e gli andamenti economici del continente ne rimangono soffocati. Gran parte delle città africane non funziona particolarmente bene, né per le élite né per le maggioranze urbane che sbarcano il lunario tra collegamenti infrastrutturali irregolari, scarse capacità di gestione urbana e modelli di investimento insostenibili che, a loro volta, producono modelli di utilizzo del suolo e ambienti costruiti impraticabili. È un’economia politica in cui è difficile muoversi, un malsano labirinto burocratico di meschini giochi di potere arbitrari e di slealtà. Non sono patologie accidentali o la semplice espressione di politiche ostili, bensì un modello normalizzato di istituzionalismo neocoloniale riprodotto dal sistema globale di governance economica, commerciale, fiscale, monetaria e politica. Le disfunzioni della politica nazionale originate da un istituzionalismo neocoloniale creano realtà urbane contrassegnate dall’arresto socioeconomico. I giovani africani – probabilmente la nostra più grande risorsa – sono vittime di un ordine spaziale che rafforza la disuguaglianza. Volendo essere onesti con The Laboratory of the Future ― Carnival

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noi stessi, la maggior parte dei giovani africani ha una possibilità limitata di mobilità sociale, che è la dinamo esistenziale della cultura e della vitalità urbana. Qual è il ruolo della progettazione nell’affrontare queste dinamiche strutturali? In risposta alla provocazione lanciata da The Laboratory of the Future, voglio suggerire che la progettazione architettonica ha un ruolo e un potenziale straordinari nel riunire diversi attori urbani al fine di trovare il modo migliore per intervenire in questo paesaggio desolato, non solo per migliorare ma per trasformare le realtà urbane. Ciò richiede un chiaro confronto con un paradosso: il cambiamento trasformativo su larga scala nei sistemi urbani non può essere raggiunto attraverso grandi progetti e pianificazioni, ma piuttosto tramite decine di migliaia di micro azioni dettate dal contesto e dalla prossimità, suggerendo pratiche modulari per condizioni improvvisate. Data la congenita sicurezza delle discipline legate alla progettazione di poter funzionare su un piano di olismo, integrazione, sistema e così via, è difficile accettare che i grandi progetti possano essere complici di forme neocoloniali di (cattiva) gestione. Ma spesso lo sono. L’umiltà è necessaria, ma ciò non deve significare rinunciare alla fede nel potere della progettazione come pensiero filosofico, 368

Biennale Architettura 2023


dialogo, risoluzione dei problemi, invenzione creativa e speranza. Gli intervalli temporali delle risposte progettuali sono molteplici, così come le scale spaziali con cui può dialogare. In termini più pratici, desidero suggerire ai progettisti con una sana ossessione per le città e le strade africane di rivedere la loro pratica alla ricerca dell’‘eccellenza radicata’. Date le dinamiche quotidiane dei quartieri e dei mercati autocostruiti, e le più ampie forze sistemiche bioregionali che plasmano i territori urbani, è molto probabile che l’eccellenza si raggiunga tramite il perseguimento di un insieme di criteri negoziati tra progettisti e residenti. In qualsiasi approccio progettuale ‘finale’ ci saranno senza dubbio scambi e compromessi tra i criteri, ma lavorare su di essi è il punto per ottenere l’eccellenza. Senza pretendere che la mia tipologia arbitraria sia esaustiva, vorrei elencare i seguenti principi: —

Risonanza culturale: impegnarsi con norme, valori, attaccamenti e aspirazioni culturali come pratiche diverse; combinate con una sensibilità nei confronti della storia e della memoria, nonché con un’attenzione ai paesaggi psicologici ambigui.

The Laboratory of the Future ― Carnival

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370

Vitalità economica: ottimizzare forme e modelli di pratiche di sussistenza radicate nella comprensione delle interdipendenze tra circuiti formali, informali e illeciti, nonché opportunità per rafforzare i legami economici circolari e le imprese che potrebbero sostenerli. Integrazione ecologica: migliorare la biodiversità, la qualità dell’aria, la salute dei servizi ecosistemici e il godimento culturale derivante dall’accesso alla natura, nonché le nuove opportunità economiche derivate dalla circolarità, dalla sicurezza energetica e dall’accesso al cibo nutriente. Sicurezza: garantire che i bambini e le donne abbiano il potere di gestire e superare le norme patriarcali, e relative pratiche, che sono alla base della violenza di genere e della costante discriminazione. Bellezza: insistere sul riconoscimento e sull’espansione estetica come dimensione necessaria di qualsiasi soluzione o tattica progettuale, ma radicata nella natura culturale della comunità interessata in opposizione ai valori del progettista. Idealmente, una fusione negoziata delle due prospettive scaturirà da significativi processi di coproduzione. Biennale Architettura 2023


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Coppia in costume durante il Carnevale di Venezia J. L. B. van der Wolf / Alamy Stock Photo 2013 Pagine 372–373 Sfilata di Carnevale al Sambodromo, Rio de Janeiro, Brazil Didi / Alamy Stock Photo 2010 Pagine 374–375

Naturalmente, tutte le analisi e le proposte progettuali devono muoversi in maniera esplicita all’interno della tensione generativa tra prestazioni funzionali ed espansione estetica. Attenendosi strettamente a questi criteri di prestazione, la tensione fondamentale qui descritta può essere affrontata con decisione ed eleganza. Poiché una comprensione e una risposta progettuale a qualsiasi scala devono considerare le pratiche vissute (conflittuali) delle persone e dei collettivi che riproducono quello spazio, comprendere che cosa abbia un senso progettuale deve essere, per definizione, coprodotto attraverso attento ascolto, impegno, sperimentazione e responsabilità. Questa predisposizione è fondamentale per progettare l’eccellenza come accennato in precedenza. Che cosa si potrebbe fare per stravolgere e ricostruire la conoscenza dell’architettura attraverso la formazione e lo studio e consentire così ai progettisti di domani di trattare questa rubrica di eccellenza come buon senso? The Laboratory of the Future ― Carnival

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The Laboratory of the Future

All That is Solid Documentary

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Biennale College Architettura

Biennale Architettura 2023


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Biennale College Architettura 2023 Workshop, Venezia Alice Clancy 2023 Pagine 384–385 Pagine 390–393

“Il paradosso dell’educazione è proprio questo: nel momento in cui una persona acquista consapevolezza, comincia a mettere in discussione la società nella quale è stata educata”. — James Baldwin The Laboratory of the Future ― Biennale College Architettura ― All That is Solid Documentary

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All That is Solid

Per la prima volta nella sua storia, La Biennale di Venezia ospiterà Biennale College Architettura, un’esperienza educativa di un mese a Venezia dal 25 giugno al 22 luglio 2023. Cinquanta partecipanti, studenti, laureati (under 30), accademici all’inizio della carriera e professionisti emergenti (under 35) lavoreranno con quindici tutor innovativi per proporre un nuovo piano di formazione in architettura che affronti in modo critico e creativo i due temi di The Laboratory of the Future: decolonizzazione e decarbonizzazione. Come parte dell’impegno della Mostra di lasciare una durevole eredità che viva oltre la sua chiusura nel novembre 2023, è stato commissionato un documentario per catturare ed esplorare questo esperimento pedagogico unico nel suo genere. Girato dall’acclamato architetto spagnolo Ángel Borrego Cubero, All That is Solid1 seguirà i cinquanta partecipanti, i quindici tutor e i critici invitati nel loro compito di sognare e mettere a punto un nuovo piano di studio. 380

Biennale Architettura 2023


1

Tratto dal libro di Marshall Berman sulla modernità del 1982, All That is Solid Melts into Air (New York, Simon & Schuster; ed. italiana:Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria. L’esperienza della modernità, Bologna, Il Mulino, 2012).

The Laboratory of the Future ― Biennale College Architettura ― All That is Solid Documentary

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Biennale College Architettura Partecipanti ―

Abdulrahman Samhouri Abdul-Rauf Issahaque Amir Halabi Anam Tariq Anna Okhrimenko Antea Divić Anton Kuzmin

382

Malvin Wibowo Marco Serra Maria Venegas Raba Mauricio Calvo Arancibia Muhamad El-Fouly Nicole Moyo Nobuhle Ngulube Olufolajimi Akinboboye

Bonnie Bopela

Omniya Sheikha

Catalina de Jesus García Chávez

Oratile Mothoagae Phadi Mabe

Catharina Meier

Rana Saadallah

Devesh Uniyal

Sandra Githinji

Dominiq Oti

Selorm Abla Afeke

Gauri Bahuguna

Sophie Agne

Genevieve Quinn

Stefania Bellato

Harry Hogan

Sumayyah Raji

Ian Davide Bugarin

Surita Manoa

Jessica Nakalawa Ntale

Tonderai Koschke

Joan Pearl Nalianya

Veronica Frederico

Jacqueline Kalange Katesi

Yannick Joosten

Kawthar Rashid Jeewa

Yara Alheswani

Khaalid Dangor

Yasmin Bushra

Laila Ouzzine

Yosuke Nakamoto

Lelentle Ramphele

Nana Zaalishvili

Luba Nomhlekazi Nkiwane

Zakiyyah Haffejee Biennale Architettura 2023


“Vivi della tua immaginazione non [solo] della tua storia”.

— Steve Covey

Biennale College Architettura Tutors —

Alice Clancy Guillermo Fernandez-Abascal Jacopo Galli

Biennale College Architettura Critici

Lorenzo Romito Manijeh Verghese Marina Otero Nana Biamah-Ofosu

Ana Betancour

Ngillan Faal

Emmett Scanlon

Philippa Tumubweinee

Jhono Bennett

Rahesh Ram

Laurence Lord

Samia Henni

Lesley Lokko

Samir Pandya

Maxwell Mutanda

Sarah de Villiers

Nifemi Marcus-Bello

Thireshen Govender

Thandi Loewenson

Urtzi Grau

Ye.mí Aládérun

The Laboratory of the Future ― Biennale College Architettura ― All That is Solid Documentary

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Memoria contro l’oblio — bell hooks New York

Shawn L. Rickenbacker

Nel visitare la 18. Mostra Internazionale di Architettura, è difficile non apprezzare la forza e la presenza di una produzione culturale che attraversa i secoli. Circondati dalla memoria e dalla pietra, la gente del posto e i visitatori percorrono calli e canali che incarnano la cultura veneziana, la sua storia, riti, lotte e successi perfettamente ed eternamente intrecciati nel tessuto fisico della città. Questa ricca cultura materiale è allo stesso tempo un archivio del passato e una road map per il futuro, un promemoria quotidiano della strada percorsa e di quella ancora a venire. Non tutte le culture hanno un accesso materiale così immediato alla propria storia. Come ha affermato in maniera eloquente la defunta scrittrice e attivista culturale afroamericana bell hooks, per i neri “la nostra lotta è anche una lotta della memoria contro l’oblio”1. Nel mercato globale, le città sono una merce in forte espansione, e gli Stati Uniti rappresentano il più grande mercato immobiliare commerciale del mondo, alimentato dalle sue città. Multinazionali di successo e HNWI (high net worth individuals, individui con un elevato patrimonio netto) possiedono portafogli di azioni 386

Biennale Architettura 2023


nel settore e nel mercato immobiliare. Negli ultimi due decenni, nonostante le recessioni e l’ulteriore flessione economica globale causata dalla pandemia degli ultimi due anni, il valore degli immobili urbani è cresciuto in tutte le città degli Stati Uniti e, a partire dal 2021, come investimento ha sovraperformato nella maggior parte, se non in tutti, i mercati azionari2. Per continuare ad attrarre, accogliere e sostenere l’aumento della ricchezza, il paesaggio urbano sta cambiando rapidamente. In quasi tutte le grandi città, quartieri precedentemente indesiderabili abitati in gran parte da comunità di colore, o poveri urbani, sono diventati un luogo di trasformazione spaziale e culturale, cambiamenti determinati dalla speculazione economica, nonché dall’intervento e dalla produzione in ambito architettonico. Si tratta di un fenomeno generalmente noto come gentrificazione. Di solito i cambiamenti sono ritenuti un progresso urbano e spesso dichiarati conquiste dell’architettura e del design. Tuttavia, sono ingannevoli: da un lato, rappresentano un avanzamento (per alcuni), dall’altro, una forma violenta di cancellazione geografica e culturale. La cancellazione spaziale è più della rimozione del costruito. Distrugge gli ordini spaziali e le relazioni comunitarie, che spesso si sono accumulate in lunghi periodi di tempo. Logora i legami di coesione sociale e culturale, stabiliti attraverso i comportamenti dei residenti che costituiscono indicatori culturali all’interno dei rispettivi paesaggi. Come ha scritto il geografo The Laboratory of the Future ― Biennale College Architettura ― All That is Solid Documentary

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americano Carl O. Sauer: “Un paesaggio culturale è un paesaggio naturale forgiato a opera di un gruppo culturale. La cultura è l’agente; gli elementi naturali sono il mezzo. Il paesaggio culturale è il risultato”3. I variegati paesaggi urbani non sono solo fisici, sono anche culturali, con la memoria e la presenza che giocano un ruolo fondamentale nella comunicazione o nel trasferimento dei valori di un luogo. E questo, a sua volta, è strumentale nell’aiutarci a formare e preservare concezioni di identità personale basate su quei valori. Cosa succede quando il luogo diventa unicamente transazionale, una merce? Cosa succede alle comunità che nel processo vengono espropriate, non solo dello stesso luogo ma anche della memoria e dei segni a esso legati? Si crea un vuoto nel concetto di memoria spaziale o, come descrive la psichiatra sociale Mindy Thompson Fullilove, uno “shock alla radice”, che recide il legame con la memoria4. In altre parole, memoria e luogo sono storicamente in stretta interdipendenza; senza l’uno si ha meno dell’altra. Gli allontanamenti forzati di persone – agenti culturali preesistenti –, causati dall’aumento del valore e delle transazioni immobiliari o da trasferimenti volontari, smascherano la relazione più profonda tra razzializzazione ed economia spaziale. Negli ultimi decenni, città statunitensi come New York, Los Angeles, San Francisco, Oakland, Chicago e Filadelfia hanno subito cambiamenti demografici nella riduzione delle minoranze che non si vedevano dai tempi della grande 388

Biennale Architettura 2023


migrazione (1910-1970)5. Lo ‘shock alla radice’ sta esaurendo e distruggendo le radici dei paesaggi culturali nelle città di tutta l’America e non solo. L’architettura non può più rinnegare il proprio ruolo nella rimozione e cancellazione di comunità e culture radicate in un luogo. Alcuni aspetti della professione hanno dimostrato la volontà di perseguire ed esprimere nuove forme di conoscenza e di relazione, nel tentativo di realizzare un ambiente costruito più equo e giusto. Questi includono il valore culturale e sociale dello spazio e la sua corretta conservazione. Mentre ci sforziamo di definire ulteriormente una progettazione equanime, dobbiamo anche mostrare di essere disposti ad affrontare ciò che l’ambiente costruito che finora abbiamo professionalmente favorito ha creato: città di enorme iniquità; un disprezzo per la politica della presenza e per l’importanza del luogo e della memoria. Ci attende un futuro cupo – uno in cui non abita la memoria?

1. 2.

3. 4. 5.

b. hooks, Choosing the Margin as a Space of Radical Openness, in “Framework: The Journal of Cinema and Media”, 36, 1989, pp. 15-23. http://www.jstor.org/stable/44111660. The National Association of Real Estate Investment Trusts (NAREIT), FTSE Nareit US Real Estate Index Series Daily Returns, 6 marzo 2023. Disponibile in https://www.reit.com/sites/default/files/ returns/DomesticReturns.pdf (ultimo accesso 7 marzo 2023). Si veda anche NAREIT, Historical Outperformance by Equity REITs Extends to Almost Every Property Type. Disponibile in https://www. reit.com/news/blog/market-commentary/historical-outperformance-by-equity-reits-extends-toalmost-every-property-type (ultimo accesso 7 marzo 2023). C.O. Sauer, The Morphology of Landscape, in J. Leighly (a cura di), Land and Life: A Selection from the Writings of Carl Ortwin Sauer, University of California Press, Berkeley/Los Angeles 1963, p. 343. M.T. Fullilove, Root Shock: How Tearing Up City Neighborhoods Hurts America, and What We Can Do About It, New Village Press, New York 2016. A.W. Bartik ed E. Mast, Black Suburbanization: Causes and Consequences of a Transformation of American Cities, in Upjohn Institute Working Paper, pp. 21-355. https://doi.org/10.17848/wp21-355.

The Laboratory of the Future ― Biennale College Architettura ― All That is Solid Documentary

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The Laboratory of the Future

396

Archive of the Future

Biennale Architettura 2023


Archive of the Future

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“È questo l’unico futuro rimasto a cui aspirare? Un futuro in cui ogni essere umano diventa un attore sul mercato; ogni campo di attività è visto come un mercato; ogni entità (pubblica o privata, persona, impresa, stato, o corporazione) è gestita come un’azienda; le persone stesse sono ritenute capitale umano soggetto a calcoli di mercato (rating, ranking) e il loro valore è speculativamente determinato in un mercato dei futures?” — Achille Mbembe 398

Biennale Architettura 2023


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Archive of the Future

Oxford, UK, 9 giugno 2020. Centinaia di manifestanti si riuniscono sotto la statua di Cecil Rhodes a Oxford chiedendo che sia rimossa Lee Thomas / Alamy Stock Photo 2020 Pagine 400–401

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Affinità e oltre

Emmett Scanlon Alice Clancy Laurence Lord Sarah de Villiers Fred Swart

“Non sapevo che affinità un tempo indicasse (e quindi potrebbe indicare di nuovo) un incontro di persone simili o che la pensano allo stesso modo. Fino alla metà del Seicento la parola poteva dare un nome non solo alla parentela, ma alle relazioni: affinità significava famiglia. E da questo sviluppo del termine è stato possibile parlare anche di un gruppo, di una banda, di un accampamento, come di una sorta di affinità. Amo questa inflessione imprevista: affinità come seguito o entourage, come cricca o claque, diversificata ma determinata”1. ― Brian Dillon 402

Biennale Architettura 2023


Forse una delle cose più impegnative di una Biennale è istituire e poi mantenere una cultura che le consenta di evolversi. È un difficile compito quotidiano, una questione di affinità. Avanzare a questa scala e a quel ritmo è un gioco incerto, una traduzione di quelle connessioni fugaci e vaghe stabilite fra idea, iterazione e intenzione. Attraverso molti laboratori, riunioni Zoom, e-mail e messaggi, i partecipanti sono stati incoraggiati ad accogliere nel loro lavoro e nella loro vita l’incertezza del cambiamento. Sono stati invitati ad accettare il rischio di fare qualunque cosa potesse promuovere nuovi modi di vedere il mondo e il nostro posto in esso. È stato loro assicurato che c’era la possibilità di credere che, facendo ciascuno un po’ di meno, insieme avremmo potuto fare di più. Confessiamo che, rassicurando loro, rassicuravamo anche noi stessi. Archive of the Future

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Come squadra, il nostro lavoro è nato vincolato a una scadenza a breve termine. Alla fine, abbiamo raggiunto il “punto per cui si va con quello che si ha. Oppure non si va affatto”2. Ci siamo arrivati con immaginazione, tentativi, discussioni e sfide. Tuttavia, nessuna selezione di oggetti di lavoro condivisi in una stanza può confermare risultati certi o conclusioni definitive. Sebbene ogni oggetto sia definito, individuato, fissato e visualizzato, gli oggetti non sono statici. Sono ricordi irrequieti del futuro3. Le idee che incarnano già cercano altra compagnia e contesti vari e lontani. Sono oggetti che non possono essere classificati come prototipi, surrogati di cose complete, presenti altrove alla Biennale o da incontrare sui manifesti della città di Venezia. Sono frammenti di un processo in corso. Non la fine, né l’inizio; sono da qualche parte nel mezzo. Come squadra, presto ci scioglieremo. Ma tutti noi sentiremo gli echi di questo lavoro, sempre. Nulla è come immaginavamo potesse essere quando abbiamo iniziato. Mentre i cancelli si aprono e cala il sipario, forse tutto ciò che sappiamo con certezza è che l’impegno a realizzare un momento è un modo grandioso di immaginare un futuro. 404

Biennale Architettura 2023


© → — © →

Telefono Yam, dalla campagna pubblicitaria della compagnia di telefonia tiGO, 2014 AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2023 Pagine 410–411 Cantiere, Accra AFI Workshop 6, Accra Alice Clancy 2023 Pagine 412–413

1.

B. Dillon, Affinities, Fitzcarraldo Editions, London 2023, p. 61.

2.

Joan Didion, intervistata da Linda Kuehl, in The Paris Review, 74 (Fall–Winter, 1978), disponibile su <https://www.theparisreview.org/interviews/3439/the-art-of-fiction-no-71-joan-didion>.

3.

N. Tennant, C. Lowe, Memory of the Future, interpretata da Pet Shop Boys, Parlophone, 2012.

Archive of the Future

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L’architettura è una macchina del tempo Londra

Jonathan Hill

Il tempo è relativo. Influenzato dalla velocità e dalla massa, è più veloce all’equatore che all’estremo nord, più in montagna che in pianura e più nella testa che nei piedi. La luce attraversa lo spazio-tempo. Le stelle che osserviamo in un cielo notturno sono nel passato, non nel presente. Allo stesso modo, vediamo il sole passato, non quello presente. Gli architetti non progettano necessariamente per l’oggi e potrebbero avere in mente tempi e luoghi diversi. Alcuni creano per un presente, alcuni immaginano un passato mitico, altri ancora progettano per il futuro. In alternativa, un architetto può immaginare passato, presente e futuro in un’unica architettura. Le innovazioni si verificano quando le idee e le forme migrano da un tempo e da un luogo all’altro mediante un processo di traduzione creativo tanto quanto la concezione iniziale. Un progetto può essere specifico per un tempo e un luogo e un composto di altri tempi e luoghi. 406

Biennale Architettura 2023


La progettazione è intesa come la prima tappa di una sequenza temporale. Ma progettazione, costruzione, manutenzione e rovina avvengono simultaneamente mentre un edificio è in uso, oscillando a seconda di spazi e componenti specifici. Assemblato con materiali di epoche diverse, da quelli di recente formazione a quelli antichi di secoli o milioni di anni, e incorporando vari gradi di trasformazione e decadimento, un edificio si prende cura del passato, informa il presente e immagina il futuro, trasportandoci in molti tempi contemporaneamente. Le pietre di un edificio appartengono al tempo geologico in cui sono state plasmate, al tempo in cui sono state estratte e in cui sono state integrate in un cantiere, a quello in continuo scorrere del successivo cambiamento ambientale e ai vari tempi in cui sono vissute. Possiamo avere la sensazione di viaggiare indietro nel tempo, mentre materiali e componenti hanno letteralmente viaggiato in avanti fino a noi. Come qualsiasi raccolta di carte o disegni, un edificio è un archivio in evoluzione di idee, materiali e vite, con la capacità di riconoscere le storie e le cornici temporali delle discipline correlate, di migliaia di anni archeologici o milioni di anni geologici. Osservando una parete di marmo, possiamo apprezzare l’abisso geologico del tempo profondo. I nostri pensieri possono essere riportati a un’era preumana in cui antiche creature abitavano la terra o in avanti a un’era postumana in cui gli esseri umani sono estinti. Se Archive of the Future

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contempliamo una pietra sedimentaria, vediamo la freccia del tempo e la possibilità di rovina. Se guardiamo una pietra ignea o metamorfica, vediamo il ciclo del tempo e la possibilità di riparazione1. L’architettura è un’arte del dimenticare come del ricordare2. Ogni edificio è selettivo, si concentra su alcune idee e ne ignora altre. I significati originali vengono presto oscurati o trasformati a meno che non vengano continuamente riaffermati attraverso il comportamento quotidiano e la manutenzione, che sono necessari per perpetuare la memoria collettiva come nel caso di qualsiasi oggetto materiale. Invece di limitarci a vivere il momento, filtriamo il presente attraverso ricordi del passato e speculazioni sul futuro. Mentre ci spostiamo da un luogo all’altro, ci sembra di andare avanti o indietro nel tempo o oscillare tra le due dimensioni. In molti racconti di viaggio nel tempo, i protagonisti desiderano cambiare il tempo e non solo osservarlo. Ma da quando H.G. Wells ha coniato il termine nel 1895, la macchina del tempo è particolarmente inaffidabile, producendo, come fa, tensione narrativa. L’architettura è anche una macchina del tempo, più imprevedibile che affidabile. Non può cambiare il passato ma può alterarne la nostra comprensione, mentre può potenzialmente cambiare il futuro. Un edificio non esiste solo nel tempo. Crea il tempo, viaggiando in avanti come messaggio per il futuro. Tuttavia, nulla è così antiquato come una visione 408

Biennale Architettura 2023


passata del futuro. Conosciamo tutti la sensazione che il tempo si sia invertito. Un’era che sembrava essere nel passato diventa il futuro. La decarbonizzazione e la decolonizzazione sono richiami all’immaginazione creativa e critica. In un dialogo produttivo, l’obiettivo è quello di offrire una posizione coerente ma anche interrogativa e incompleta, quindi uno stimolo allo sviluppo altrui, che faciliti un’altruistica comunità di individui e gruppi. Gli architetti del XXI secolo possono riconoscere lo shock del vecchio così come quello del nuovo3. Chiedersi che cosa è nuovo implica altre domande: perché è nuovo, in che modo è nuovo e dove è nuovo? Secondo la memorabile dichiarazione di William Gibson, “il futuro è già qui, solo che non è distribuito in modo molto uniforme”4. Per capire che cosa è nuovo bisogna considerare il presente, il passato e, forse, anche il futuro; dobbiamo pensare storicamente. Definire qualcosa come nuovo è un atto intrinsecamente storico perché richiede la consapevolezza di ciò che è antico. The Laboratory of the Future è anche il ‘laboratorio del passato’ e il ‘laboratorio del presente’.

1.

S.J. Gould, Time’s Arrow, Time’s Cycle. Myth and Metaphor in the Discovery of Geological Time, Penguin, London 1990, pp. 61-65 (prima edizione 1987).

2.

A. Forty, Introduction, in A. Forty e S. Küchler (a cura di), The Art of Forgetting, Berg, Oxford-New York 1999, p. 16.

3.

D. Edgerton, The Shock of the Old. Technology and Global History Since 1900, Profile, London 2008, p. 212

4.

Gibson ha usato questa frase molte volte nel corso delle sue interviste. L’elenco completo si trova in https:// quoteinvestigator.com/2012/01/24/future-has-arrived (ultimo accesso 24 marzo 2020).

Archive of the Future

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Ringraziamenti

Brian Moran Bróna King .buro, Ghana Casa Verardo, Venezia Cecilia Alemani Adam McAleavey

Centre Culturel Irlandais

Adjaye Associates

Charlotte Bird

Ahmed Subero

Chrystal Williams

AHMM, Londra

Chuck Clark

Albert Williamson-Taylor

Cian O’Brien

Aleksandra Kotarzewska

Claude Borna

Andreea Felciuc

Clíona Ní Riordáin

Andrew Sedgwick

Colum O’Riordan

Anne Sackey

Culture Ireland

Anthony Wortsem

Darren Walker

AP+E

David Anderson

ARUP London

David Kessler

Bartlett School of Architecture

Donatella Bianchi

Beatrice Galilee

Donna Reid

Belinda Quirke

Donna Subero

Ben Ransley

Eastside Farm, Edimburgo

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Biennale Architettura 2023


Edmund Abladjei Eibhlín Ní Chathasaigh Eleanor Beaumont Emmanuel Bortey Borketey Eoin O‘Neill

Issi Nanabeyin Simpson

Erica Wszolek

Jade Dillon

Ernest Donkor

James Albert Martin

Ewuraba Essel-Appiah

James Anderson

Fabia Stocken

James Beer

Fati Subero

James Rossa O’Hare

Festus Jackson-Davis

Jane Anderson

Fiona Hughes

Jeffrey Bolhuis

Formafantasma

Jemma Read

Fionnuala Sweeney

Jennifer Jennings

Francesca Hughes

Jhono Bennett

Francesca Perry

Jo Ostlere

Fred Swart

John Clancy

Frederick Kannemeyer

John-Paul Nunes

Gerard Hamill

Jonathan Hill

Grafton Architects

Juliet Mureriwa

Hanif Kara

Justin Garrett Moore

Hugh Campbell

Karin Krslovic

Irish Architectural Archive

Kathryn Meghen

Irish Architecture Foundation

Katrina Bruna

Ringraziamenti

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Ringraziamenti

Keith McAllister Kirsty de Kock Kofi Abankwa

Michèle Kessler

Kofi Essel-Appiah

Miguel Rodriguez-Casellas

Kwabena Akosa

Museum of Literature Ireland

Livia Hurley

Naa Adjeley Twum

Lois Innes

Naadira Patel

Louise Kirwan

Nana Asante

Louise O’Reilly

Nana Biamah-Ofosu

Luis Urbano

Nasrin Seraji

Lynn Scarff

Nathalie Weadick

Maisie Hennessey

National Museum of Ireland

Malaika Mallard

Nora Hickey M’Sichili

Mammotsa Makhene

Nzinga Biegueng-Mboup

Manon Mollard

Olasumbo Olaniyi

Mariana Mazzucato

Orla Moloney

Martyn Mensah

Orla Murphy

Mawuli Afatsiawo

Patrick Ata

Megan Lokko

Patrick Gentilezza

Melissa Mak

Philip Dodd

Michael McGarry

Philip McMahon

Michael Pike

Project Arts Centre

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Biennale Architettura 2023


Richard Sennett Ricky Burdett Rory McGowan Ros Diamond Ross Portway Royal Institute of Architects of Ireland

Sharon Barry

Ruben Atekpe

Simon Allford

Ruth Dzisa

Simon Lincoln

Ruth Kwakwa

Simon Lokko

Ruth Pelopida

Simon O’Connor

Ruth-Anne Naa Aku-Sika Richardson

Solstice Meath Arts Centre

Sandra O’Connell

Suhaira Chaarani

Sara Asafu-Adjaye Sarah de Villiers Sarah Harding Sarah Lappin School of Architecture, Planning and Environmental Policy, UCD School of Natural and Built Environment, Queen’s University Belfast

Shelley McNamara

Steven Reid Tatjana Schneider The Bloomsbury Hotel, Londra ThisIsPopBaby Thomas Jefferies Urtzi Grau Valerie Behan Victor Sackey Yvonne Farrell

Sean Hardcastle

Wild Gecko, Accra

Sebastiano Giannesini

Zakiyyah Haffejee

Ringraziamenti

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Biografie dei Partecipanti e Crediti

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Biennale Architettura 2023


Biografie e Crediti

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The Laboratory of the Future

Partecipanti

Force Majeure —

Adjaye Associates Accra, Ghana; Londra, UK; New York, USA Sir David Adjaye OBE, Dar es Salaam, Tanzania, 1966; Vive e lavora ad Accra, Ghana; Londra, UK e New York, USA

79 Titolo del progetto: — Kwaeε Collaborazione tecnica: — Format Engineers, Xylotek Team: — Duncan Wilson, Yixia Xu 81 Titolo del progetto: — Adjaye Futures Lab Collaboratori: — Liam Wier, Maquettica Team: — Farida A-Latif, Luisa Alves, Solomon Ananpansah, Ayanna Blair-Ford, Nora Fadil, Audrey Tseng Fischer, Marissa Glauberman, Hajara Masoud, Shobha Narendran, Emmanuel Obeng, Tobie Quartey, Duncan Wilson 83 Titolo del progetto: — Lost Knowledge Systems Collaboratori: — Peter Adjaye, Liam Weir Team: — Farida A-Latif, Luisa Alves, Solomon Ananpansah, Ayanna Blair-Ford, Nora Fadil, Marissa Glauberman, Hajara Masoud, Shobha Narendran, Emmanuel Obeng, Tobie Quartey, Audrey Tseng Fischer, Duncan Wilson, Yixia Xu, Mu Zhang, Doron von Beider Contatti: — Instagram: @adjayeassociates @adjaye_visual_sketchbook — Twitter: @adjayeassoc @dadjaye — LinkedIn: @adjayeassociates — YouTube: @adjaye_associates — www.adjaye.com Immagini del catalogo: — Courtesy e © Adjaye Associates

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85 atelier masōmī Niamey, Niger — Mariam Issoufou Kamara, St Etienne, Francia, 1979; Vive e lavora a Niamey, Niger e Washington DC, USA Titolo del progetto: — Process Collaborazione tecnica: — Boyd e Ogier Team: — Ramatou Kane, Neo Maditla, Aaron C Nkhoma Contatti: — Instagram: @atmasomi @mariamkamr — Twitter: @ateliermasomi @mariamkamr — www.ateliermasomi.com Immagini del catalogo: — Photo James Wang Courtesy e © atelier masōmī 87 Basis con GKZ New York, USA; Los Angeles, USA; Londra, UK — Zenna Tavares, Londra, UK, 1986 — Kibwe Tavares, Londra, UK, 1983 — Gaika Tavares, Londra, UK, 1982 — Eli Bingham, New York, USA,1993 — Emily Mackevicius, Massachusetts, USA, 1989 Vivono e lavorano a Los Angeles, USA; New York, USA; Londra, UK Titolo del progetto: — Djali

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Team: Lullyn Tavares (Djali, scrittura), Shaiyan Keshvari (Djali, progetto di percezione), Karen Schroeder (Djali, ricerche), Ria Das (Djali, sviluppo AI), Archana Warrier (Djali, AI development), Doug John Miller (Djali, illustrazioni), Janine Kwoh (Djali, design), Mourad Bennacer (Robots of Brixton, progetto del suono), DJ Hiatus feat linton Kwesi Johnson (Robots of Brixton, musica), David Hoffman (Robots si Brixton), Vesna Petresin Robert (consulente per il Robots of Brixton), Lauraent Petresin Robert (consulente per il Robots of Brixton), Nic Clear (Robots of Brixton, tutor per il Robots of Brixton) Contatti: Instagram: @BasisOrg www.basis.ai Immagini del catalogo: Courtesy e © Kibwe Tavares

89 Cave_bureau Nairobi, Kenya — Kabage Karanja, Nairobi, Kenya, 1979 — Stella Mutegi, Nairobi, Kenya, 1979 Vivono e lavorano a Nairobi, Kenya e New York, USA Titolo del progetto: — Oral Archive (New Age Africana) Collaborazione autoriale: — Densu Moseti Team: — Noelle Oyunga Con il supporto aggiuntivo di: — Pacific Africa Group Contatti: — Instagram: @cave_bureau — www.cave.co.ke Immagini del catalogo: — Courtesy e © Cave_bureau Biennale Architettura 2023


91 Hood Design Studio Oakland, USA — Walter Hood, Fort Bragg, USA, 1958; Vive e lavora a Oakland, CA, USA — Alma Du Solier, Monterrey, Mexico, 1972; Vive a San Francisco, USA e Mexico City, Mexico e lavora a Oakland, USA Titolo del progetto: — Native(s) Lifeways Collaborazione autoriale: — Lewis Watts (fotografia), Julie Dash, Geechee LLC, Rachael WatanabeBatton (contraddizione e lotta) Collaborazione tecnica: — Tipping Structural Engineers, ArchDesign Custom Fabrication, Annacaterina Piras, LW Circus-Onlus Team: — Sarita Schreiber, Kelley Johnson, Olivia Hansberg, Chris Derry, Grace Mitchell Tada Con il supporto aggiuntivo di: — University of California, Berkeley, Landscape Architecture and Environmental Planning Department, Farrand Fund Grant in Innovation; United States Artists 2021 USA Fellowship; Avvocato Giulia Floriani Hood Design Studio Contatti: — Instagram: @Hooddesignstudio — www.hooddesignstudio.com Immagini del catalogo: — Photo e © Kendall McCaugherty 93 Ibrahim Mahama Tamale, Ghana — Ibrahim Mahama, Tamale, Ghana, 1987; Vive e lavora a Tamale, Ghana Titolo del progetto: — Parliament of Ghosts Collaborazione autoriale: — SCCA Tamale, Red Clay Studios, Nkrumah Voli-ni, blaxTARLINES KUMASI, Maame Adwoa Prempeh Collaborazione tecnica: — Mubarek Mohammed Mahama, Issah Mohammed Ibrahim, Abraham Kudjie, Benjamin Okantey, Francis Djiwornu, Zakaria Danaa Team: — SCCA Tamale, Red Clay Studios, Nkrumah Voli-ni, blaxTARLINES KUMASI, Maame Adwoa Prempeh Con il supporto aggiuntivo di: — APALAZZOGALLERY, Brescia e White Cube, Londra Un ringraziamento speciale a: — Francesca Migliorati e Manuela Nebuloni Biografie e Crediti

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Contatti: Instagram: @ibrahimmahama3 @sccatamale @redclay_studio @nkrumahvolini YouTube: @sccatamale3396 www.sccatamale.org Immagini del catalogo: Photo courtesy the artist, Redclay, White Cube e Apalazzo Gallery. © Redclay

95 Kéré Architecture Berlino, Germania e Ouagadougou, Burkina Faso — Diébédo Francis Kéré, Gando, Burkina Faso, 1965; Vive e lavora a Berlino, Germania e Ouagadougou, Burkina Faso Titolo del progetto: — Counteract Collaborazione autoriale: — Fabiola Büchele Team: — Andrea Maretto, Fabiola Büchele, Leonne Vögelin Con il supporto aggiuntivo di: — ifa – Institut für Auslandsbeziehungen Contatti: — Instagram: @kerearchitecture — www.kerearchitecture.com Immagini del catalogo: — Photo e © Iwan Baan. Courtesy Kéré Architecture 97 Koffi & Diabaté Architectes Abidjan, Ivory Coast — Guillaume Koffi, Gagnoa, Côte d'Ivoire, 1959 — Issa Diabaté, Abidjan, Côte d'Ivoire, 1969 Vivono e lavorano ad Abidjan, Côte d'Ivoire Titolo del progetto: — Living Differently: Architecture, Scale e the New Core Collaborazione tecnica: — Amidou Traore Urban Designer; Nicolas Bequart; Les Crayons; Agence Opixido Team: — Anna Djigo, Marilyne Sinama, Ramatou Ly, Yemi Kacoutie Dervain, Jean-Marc Don Mello, Cindy Moukarzel, Rocco Corini Contatti: — Instagram: @koffidiabate_architectes — YouTube: @koffidiabatearchitectes9564 — www.koffi-diabate.com Immagini del catalogo: — Courtesy Koffi & Diabaté Architectes © Eric Koffi

99 MASS Design Group Boston, USA; Kigali, Rwanda — Christian Benimana, Rwanda, 1982; Vive e lavora a Kigali, Rwanda Titolo del progetto: — AFRITECT Team: — Arlette Akingeneye, Thatcher Bean, Roger Biziyaremye, Amber Lacroix, Giovanni Bortolo i, Joel Muhozi, Gabriel Nyirijuru, Alan Ricks, Miguel Roldan, Amie, Shao, Nailla Simbi, Maggie Stern, Katie Swenson, Annie Wang Contatti: — Twitter: @CBenimana Immagini del catalogo: — Photo MASS Design Group Courtesy e © Christian Benimana 101 Olalekan Jeyifous Brooklyn, USA — Olalekan Jeyifous, Ibadan, Nigeria, 1977; Vive e lavora a Brooklyn, USA Titolo del progetto: — ACE/AAP Contatti: — Instagram: @Kidcadaver — Twitter: @Ojeyifous — www.Jeyifo.us Immagini del catalogo: — © Olalekan Jeyifous 103 SOFTLAB@PSU State College, USA — Felecia Davis, Michigan, USA, 1959; Vive e lavora a State College, USA Titolo del progetto: — Textural Threshold Hair Salon: Dreadlock Collaborazione tecnica: — Lee Washesky (RA), Huijuan Xu, Shu Zhao Team: — Ian Danner, Daniel Escobar, Aysan Jafarzadeh, Hiranshi Patel Con il supporto aggiuntivo di: — Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Pennsylvania State University College of Arts and Architecture, College of Arts and Architecture Research and Creative Activity Grant In Racial Justice, Anti-Discrimination, and Democratic Practices, The Stuckeman School of Architecture, Landscape Architecture and Graphic Design, The Department of Architecture at Pennsylvania State University and The Stuckeman Center for Design Computing Contatti: — Instagram: @fadometer — Twitter: @fadatmit — www.feleciadavistudio.com — arts.psu.edu/faculty/felecia-davis/ — www.blackreconstructioncollective.org Immagini del catalogo: — Courtesy e © Felecia Davis 421


105 Studio Sean Canty Boston, USA — Sean Canty, Filadelfia, USA, 1987; Vive e lavora a Boston, USA Titolo del progetto: — Edgar’s Sheds Collaborazione tecnica: — Hanif Kara OBE (AKTII), Edoardo Tibuzzi (AKTII) Team: — Sarah Dunham, Jan Kwan, Gabriel Soomar, Justin Jiang, Coco Tin Soundscape Designer: — Darien Carr Con il supporto aggiuntivo di: — Harvard Graduate School of Design Contatti: — Instagram: @sean_canty_ @studioseancanty — www.seancanty.net Immagini del catalogo: — Photo Edgar Canty. Courtesy Sean Canty Studio 107 Sumayya Vally e Moad Musbahi Johannesburg, Repubblica del Sudafrica, Londra, UK; Tripoli, Libia, New York, USA. — Sumayya Vally, Pretoria, Repubblica del Sudafrica, 1990; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica, Londra, UK; — Moad Musbahi vive a lavora a Tripoli, Libia, New York, USA Titolo del progetto: — The African Post Office Collaborazione autoriale: — Sukanta Majumdar (progettazione del suono), Adam Anabosi (supporto alle ricerche sul suono) Collaborazione tecnica: — Grazia Sechi (supporto alla produzione), Alessandro Braggio (realizzazione) Team — Tonia Murray, Counterspace Contatti: — Instagram: @sumi_v @rubicon_m @_counterspace — www.counterspace-studio.com — www.morningindustries.org Immagini del catalogo: — Courtesy e © Counterspace 109 Thandi Loewenson Londra, UK; Lusaka, Zambia; Harare, Zimbabwe — Thandi Loewenson, Harare, Zimbabwe, 1989; Vive a Londra, UK; lavora a Londra, UK; Lusaka, Zambia e Harare, Zimbabwe Titolo del progetto: — The Uhuru Catalogues Team — Motong Yang Con il supporto aggiuntivo di: — British Council, Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Royal College of Art 422

Dangerous Liaisons

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Contatti: Instagram: @thandiloewenson Twitter: @thandiloewenson www.thandiloewenson.com Immagini del catalogo: Courtesy e © Thandi Loewenson

111 Theaster Gates Studio Chicago, USA — Theaster Gates, Chicago, USA, 1973; Vive e lavora a Chicago, USA Titolo del progetto: — Black Artist Retreat: Reflections on 10 Years of Convening Collaborazione tecnica: — Parallax Post, The Vinyl Factory, Chris Strong Team: — Sabina Bokhari, Emma German, Tura Cousins Wilson Con il supporto aggiuntivo di: — Ford Foundation, Terra Foundation, Rebuild Foundation, The Lunder, Institute for American Art at Colby College Contatti: — Instagram: @theastergates — www.theastergates.com Immagini del catalogo: — Photo Chris Strong. Courtesy e © Theaster Gates Studio 113 urban american city (urbanAC) New York, USA — Toni L. Griffin, Chicago, USA, 1964; Vive e lavora a New York, USA Titolo del progetto: — Land Narratives — Fantastic Futures Collaborazione autoriale: — The Just City Lab Collaborazione tecnica: — Sandra Steinbrecher, Vashon Jordan, Jr., Lee Bey Team: — Danny Clarke, Rayshad Dorsey, Gabriel Soomar Con il supporto aggiuntivo di: — Theaster Gates & The Dorchester Industries Experimental Design Lab, SOM Foundation, Harvard Graduate School of Design, Emerald South Economic Development Collaborative Contatti: — Instagram: @tonilgriffin @urbanAC — www.urbanAC.city — www.designforthejustcity.org Immagini del catalogo: — Courtesy Rayshad Dorsey

135 AD—WO New York, USA — Emanuel Admassu, Addis Abeba, Etiopia, 1983 — Jen Wood, Melbourne, Australia, 1984 Vivono e lavorano a New York, USA Titolo del progetto: — Ghebbi Collaborazione autoriale: — Tsion Haleselassie (fotografia) Team: — AD—WO: Gene Han, Yasmine El Alaoui El Abdallaoui, Katie Solien — The Urban Center: Maheder Gebremedhin, Director; Betelehem Demissie, Head of Research and Programs Con il supporto aggiuntivo di: — Graduate School of Architecture Planning and Preservation, Columbia University, New York Contatti: — Instagram: @ad__wo — www.ad-wo.com Immagini del catalogo: — © AD—WO 137 AMAA Collaborative Architecture Office for Research and Development Venezia, Italia — Marcello Galiotto, Arzignano, Italia, 1986 — Alessandra Rampazzo, Mirano, Italia, 1986 Vivono e lavorano a Venezia e Arzignano, Italia Titolo del progetto: — It’s Kind of a Circular Story Collaborazione autoriale: — Nero/Alessandro Neretti, Ernesta Caviola, Davide Faedo, Eros Rossetto (blaaUniverse Studio), Lorenzo Mason Studio, Harry Thaler Collaborazione tecnica: — De Castelli, Faces Engineering Team: — Simone Agosta del Forte, Roberto Bonturi, Giulia Citro, Elena Ciucci, Francesca Fasiol, Lorenzo Lazzari, Angelo Renna, Martina Segafredo Con il supporto aggiuntivo di: — Fondazione SAFE, De Castelli, Il Grifo Costruzioni Edili, Modernab Gallery, Lithos Design, Marcigaglia Constructions SpA Contatti: — Instagram: @amaa_office — www.amaa.studio Immagini del catalogo: — Photo e © Simone Bossi Biennale Architettura 2023


139 Andrés Jaque / Office for Political Innovation New York, USA; Madrid, Spagna — Andrés Jaque, Madrid, Spagna, 1971; Vive e lavora a New York, USA e Madrid, Spagna Titolo del progetto: — Xholobeni Yards Collaborazione autoriale: — Steve Hoffe, Nohnle Mbthuma Forslund, Siyabonga Ndovela, Margie Pretorius, Sinegugu Zukulu, ACC (Amadiba Crisis Comittee) e SWC (Sustaining the Wild Coast) Team: — José Luis Espejo (artista del suono), Farah Alkhoury (ricerche e registrazioni sul campo), Roberto González (coordinamento e progetto), Vivian Rotie y Pablo Sáiz del Río (realizzazione), Jorge Cañón (consulenza AV), Ignacio Farpón (consulenza illuminazione), Wojciech Gajek (registrazioni), Walter Ancarrow (editing del testo), John Bravebull, Joseph Hazan (studio registrazione) Con il supporto aggiuntivo di: — Columbia University, Graduate School of Architecture, Planning and Preservation, Columbia University, Acción Cultural Española (AC/E) Contatti: — Instagram: @andres_jaque — Twitter: @OFFPOLINN — www.offpolinn.com Immagini del catalogo: — Courtesy e © Andrés Jaque / Office for Political Innovation 141 BDR bureau e carton123 architecten Torino, Italia; Bruxelles, Belgio — Simona Della Rocca, Moncalieri, Italia, 1985; Vive e lavora a Torino, Italia — Alberto Bottero, Cuneo, Italia, 1984 Vive e lavora a Torino, Italia — Els Van Meerbeek, Lovanio, Belgio, 1974; Vive e lavora a Bruxelles e Lovanio, Belgio — Joost Raes, Lovanio, Belgio, 1979; Vive e lavora a Bruxelles, Belgio Titolo del progetto: — Broader Boundaries Collaborazione autoriale: — Joost Emmerik (progettazione del paesaggio) Collaborazione tecnica: — Sileghem & Partners (ingegneria strutrale), STir (installazioni tecniches), D2S international (ingegneria dei suoni), KU Lovanio Research[x]Design (design inclusivo) Team: — BDR: Alina Salahoru, Morena Gagliardi C123: Jordy Van Osselaer, Sara De Sterck, Pauline Vermeulen, Dorien Pelst Con il supporto aggiuntivo di: — FEBELCEM Biografie e Crediti

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Contatti: Instagram: @bdrbureau @carton123_architecten www.bdrbureau.com www.carton123.be Immagini del catalogo: Courtesy e © BDR bureau & Carton123 architecten

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143 DAAR — Alessandro Petti e Sandi Hilal Stoccolma; Betlemme — Alessandro Petti — Sandi Hilal Titolo del progetto: — Ente di Decolonizzazione — Borgo Rizza Team: — Husam Abusalem, Matteo Lucchetti, Sara Pellegrini Courtesy: — Collezione Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – Madre, Napoli. Progetto realizzato grazie al sostegno di Italian Council 2021 Con il supporto aggiuntivo di: — Museo delle Civiltà, Roma; Royal Institute of Art, Stoccolma Contatti: — Instagram: @entity_of_decolonization — Facebook: @decolonizingarchitectureartresidency — www.decolonizing.ps — www.daas.academy Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Pietro Onofri 145 David Wengrow e Eyal Weizman con Forensic Architecture e The Nebelivka Project Londra, UK — Eyal Weizman, Haifa, Israel, 1970; Vive e lavora a Londra, UK e Berlino, Germania — David Wengrow, UK, 1972; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — The Nebelivka Hypothesis Collaborazione autoriale: — Forensic Architecture, The Nebelivka Project e The Center for Spatial Technologies Team: — Forensic Architecture: Davide Piscitelli (coordinamento di progetto), Agata Nguyen Chuong (ricerche), Natalia Sliwinska (video editing), Mark Nieto (progetto del suono), Sarah Nankivell (supporto al progetto), Elizabeth Breiner (supporto al progetto), Andra Pop-Jurj (supporto al progetto) — Extended Team: Rosie Emery (modellazione3D), Matteo Zamagni (animazione 3D), Riccardo Badano (montaggio), Ewa Domaradzka (narratore) — The Nebelivka Project: Bisserka Gaydarska, John Chapman, Marco Nebbia, Manuel Arroyo-Kalin, Duncan Hale

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The Center for Spatial Technologies: Maksym Rokmaniko, Andrew Onyshchenko, Daryna Vilkhova, Mykola Holovko, Natasha Pereverzina Extended Team: Sergey Revenko, Oleksiy Makulskiy. External collaborator: Kris Lockyear (University College Londra) Con il supporto aggiuntivo di: The Richard and Peggy Greenfield Foundation Contatti: Instagram: @forensicarchitecture Twitter: @ForensicArchi @davidwengrow www.forensic-architecture.org Immagini del catalogo: Courtesy e © Forensic Architecture

147 Dream The Combine Ithaca, Minneapolis, USA — Jennifer Newsom, Norwich, USA, 1979 — Tom Carruthers, Vancouver, Canada, 1978 Vivono a Roma, Italia e Ithaca, New York, USA; lavorano Roma, Italia e Ithaca, New York e Minneapolis, MN, USA Titolo del progetto: — afterimages Collaborazione tecnica: — Clayton Binkley of Odd Lot (Engineering Consultation), Fulvio Falorsi of METEL SaS (Fabrication) Team: — Kathy Kao, Matt Catrow, Zhouhan Li Con il supporto aggiuntivo di: — Cornell Architecture, Art, and Planning, American Academy a Roma, McKnight Fellowship for Visual Artists, fondata da The McKnight Foundation e amministrata da Minneapolis College of Art and Design Contatti: — Instagram: @DreamTheCombine — www.dreamthecombine.com Immagini del catalogo: — Photo Jennifer Newsom. © Dream The Combine 149 Dualchas Architects Isle of Skye, Glasgow, UK — Neil Stephen, Glasgow, UK, 1969 — Alasdair Stephen, Glasgow, UK, 1969 — Rory Flyn Inverness, UK, 1978 Vivono e lavorano sull'Isle of Skye, Glasgow, UK Titolo del progetto: — Dualchas Collaborazione autoriale: — Cal Flyn (scrittura), Hector MacInnes (suono), Peter Marsden (regia), Jordan Young (fotografia) Collaborazione tecnica: — Peter McCaughey (consulenza artistica) Team: — Marcus O’Connell 423


— Con il supporto aggiuntivo di: — Creative Scotland, Torabhaig Distillery HebHomes Contatti: — Instagram: @dualchas_architects — www.dualchas.com Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Jordan Young

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151 Estudio A0 Quito, Ecuador — Ana María Durán Calisto, Quito, Ecuador, 1971; Vive e lavora a Quito, Ecuador e New Haven, CT, USA — Jaskran Kalirai, Derby, UK, 1974; Vive e lavora a Quito, Ecuador e Derbyshire, UK Titolo del progetto: — Surfacing — The Civilised Agroecological Forests of Amazonia Collaborazione autoriale: Manuela Omari Ima Collaborazione tecnica: — Nicolás Vivas, Romelia Papue e Gabriel Moyer-Pérez Team: — 1. Dien Dien (to feel the other) installation. Artisti del tessuto: Manuela Ima, Cabe Nongui, Guiwe Ima, Game Ima, Quemea Ima, Omeñia Ima, Omenkiri Ima, Wetora Ima, Bebanca Ima, Patricia Irumenga, Ene Omene, Ruth Huamoni, Daboca Hernán, e Berbeca Ima Documentazione sulla tessitura: Carolina Zambrano, Romelia Papue, e Rebecca Commissaris — 2. Wegota (in Wao Terero) or Yanchama (in Kichwa) e chambira embroidered drawings of ancient Amazonian agroecological urbanisms. Artisti: Marcia Irumenga, Fabiola Ima, Elsa Irumenga, Uri Ima, Guima Omene, Estela Omene, Datane Omene, Teresa Gaba, Laurina Ima, Ruth Baihua, María Ima, Juanita Enqueri, Ana Omaca, Ene Omaca, Rosita Hernán, Sandra Tañi e Mencamo Irumenga, in collaborazione con gli studenti del seminario Agroecological Urban Constellations of pre-Columbian Amazonia (Yale School of Architecture): Ana Batlle Cabral, Nicole De Araujo, Youssef Denial, Juan Guareschi, Nabil Haque, Olly Hoy, Fuad Khazam, Sarah Kim, Haorong Lee, Verónica Nicholson, Smaranda Rusinaru, Cole Summersell, e Matthew Wilde — 3. Soundscape: Ricardo Mayancha, Manuwi C. Tokai, Fabiano Kueva, Brunno Douat, e Rebecca Commissaris, con Tiwino e Tepapare Waorani communes 424

Con il supporto aggiuntivo di: Instituto de Fomento a la Creatividad y la Innovación (IFCI), Ministero della Cultura e del Patrimonio della Repubblica dell'Ecuador, Ministero degli Affari Esteri e della Mobilità Umana della Repubblica dell'Ecuador, Yale School of Architecture, Estudio A0 Contatti: www.estudioa0.com Immagini del catalogo: Photo, Courtesy e © Carolina Zambrano

153 Flores & Prats Architects Barcellona, Spagna — Eva Prats, Barcellona, Spagna, 1965 — Ricardo Flores, Buenos Aires, Argentina,1965 Vivono e lavorano a Barcellona, Spagna Titolo del progetto: — Emotional Heritage Collaborazione autoriale: — Curro Claret, Adrià Goula Photo, Duccio Malagamba Photography Team: — Guillem Bosch, Jonny Pugh, Laia Montserrat, Florette Doisy, Davide Dentini, Elena Wagner Carpentry: Fusteria La Barana (Josep Margalef) Con il supporto aggiuntivo di: — Acción Cultural Española (AC/E), Cooperativa Jordi Capell, EGM Laboratoris Color, Institut Ramon Llull Contatti: — Instagram: @floresyprats — Twitter: @FloresyPrats — Facebook: @FloresPrats — Vimeo: vimeo.com/floresprats — www.floresprats.com Immagini del catalogo: — Photo Laia Montserrat © Flores & Prats 155 Gbolade Design Studio Londra, UK — Tara Gbolade, Kaduna, Nigeria, 1985; Vive e lavora a Londra, UK — Lanre Gbolade, Ota, Nigeria, 1985; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Regenerative Power Collaborazione autoriale: — David Jobanputra (Domino: A Cultural Odyssey Video), Kimi Gill Photography (fotografie di The Brixton Domino Players) Collaborazione tecnica: — Foresso (products from unavoidable waste re-use), The Cork Flooring Company (Cork Wall Linings), Inner Space (Moss Walls) Team: — Sara de Araujo Barbado (architetto), Nisha Jassal (amministrazione)

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Con il supporto aggiuntivo di: Lambeth Council, Lloyd Leon Community Centre: Brixton Immortals Dominoes Club & Brixton Soup Kitchen Contatti: Instagram: @gbolade.design.studio Twitter: @GDS_Architects www.gboladedesignstudio.com Immagini del catalogo: Photo, Courtesy e © Kimi Gill Photography

157 Gloria Cabral e Sammy Baloji con Cécile Fromont Guarda do Embau, Brasile; Bruxelles, Belgio; New Haven, USA — Gloria Cabral, San Paolo, Brasile, 1982; Vive e lavora in Paraguay e Brasile — Sammy Baloji, Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo, 1978; Vive e lavora a Bruxelles, Belgio e Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo — Cécile Fromont, Schœlcher, Martinica, 1980; Vive e lavora a New Haven, CT, USA Titolo del progetto: — Debris of History, Matters of Memory Collaborazione tecnica: — Twenty Nine Studio & Production, Gianni Spaliviero, Ing. Julio Manuel Alvarez Team: — Kamila do Rocio, Becs, Estelle Lecaille, Marek Szponik, Minne De Meyer Engelbeen Con il supporto aggiuntivo di: — Rolex, con il supporto di Rolex Mentor and Protégé Arts Initiative Contatti: — Instagram: @gloriacabral_arq Immagini del catalogo: — Photo e © Federico Cairoli 159 GRANDEZA STUDIO Madrid, Spagna; Sydney, Australia — Amaia Sánchez-Velasco, Salamanca, Spagna, 1985; Vive e lavora a Madrid, Spagna — Jorge Valiente Oriol, Madrid, Spagna, 1984; Vive e lavora a Madrid, Spagna — Gonzalo Valiente Oriol, Madrid, Spagna, 1982; Vive e lavora a Sydney, Australia Titolo del progetto: — Pilbara Interregnum: Seven Political Allegories Collaborazione autoriale: — Caitlin Condon, Laura Domínguez Valdivieso, James Feng, Jordi Guijarro Contreras, Miguel Rodríguez-Casellas Collaborazione tecnica: — Juan Carlos Castro-Domínguez, Fab Lab Alicante (Universidad de Alicante), Juan Carlos Cembreros Llopis e Bruno Salas (cinematografia in scena), Diego Lipnizky (progetto sonoro), Esteban Lloret-Linares (assistenza al montaggio) Biennale Architettura 2023


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Team: Caitlin Condon, Laura Domínguez Valdivieso, James Feng, Jordi Guijarro Contreras, Raquel Vázquez Romero, e gli studenti di “Residencias Remotas” from Andrés Bello University in Chile: Bastián Durán Silva, Martin Herrera Aqueveque, Claudio González Salamanca, Mitzi Muñoz Urra, Almendra Fernanda Parra Castillo, Andre Ramdohr, Pablo José Reyes Pérez, Natalia Rojas Collao e María José Vergara Sepulveda. Con il supporto aggiuntivo di: Consorci de Museus de la Comunitat Valenciana per il programma “Cultura Resident” at Centro; Cultural Las Cigarreras ad Alicante, Spagna; Acción Cultural Española (AC/E), Spagna; School of Architecture al Campus Creativo of Andrés Bello University per il programma “Residencias Remotas”, Chile; Fab Lab Alicante, Universidad de Alicante; University of Technology Sydney, Australia; estratti da Operation Hurricane” (Ronald Stark, 1953) courtesy BFI National Archive, UK Contatti: Instagram: @grandeza.studio www.grandeza.studio Immagini del catalogo: Courtesy e © GRANDEZA STUDIO

161 Huda Tayob Città del Capo, Repubblica del Sudafrica; Manchester, UK — Huda Tayob, Città del Capo, Repubblica del Sudafrica, 1986; Vive e lavora a Manchester, UK e Città del Capo, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Index of Edges Collaborazione autoriale: — Aaniyah Martin con Joanne Peers, Traci Kwaai e Sarah Martin; Alia Mosallam con Mimi Al Ashry, Ibrahim al-Morsi e la Tanboura band di Port Said; Asmaa Jama; Caroline Ngorobi con Suleiman Bakari, Omar Said e Omar Ali; Dhaqan Collective (Fozia Ismail e Ayan Cilmi); Dominique Somda; Maria Gabriela Carrilho Aragão; Margarida Waco; Nada Atieg; Nibras Abdel Basit e Hasan Kamil (Andariya); Nothando Nolwazi Lunga; Shiraz Bayjoo; Toni Giselle Stuart Collaborazione tecnica: — Danielsun Okeyo, Andri Burnett. Kennedy Chikerema, Muhammad Taariq Husain Abdullatif, Halima Ali Con il supporto aggiuntivo di: — British Council, Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Goethe-Institut South Africa, North West Film Archive at Manchester Metropolitan University, National Trust Biografie e Crediti

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Contatti: Instagram: @hudatayob Twitter: @hudatayob Immagini del catalogo: © Huda Tayob

163 kate otten architects Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Kate Otten, Durban, Repubblica del Sudafrica, 1964; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Threads Team: — Salma Wadee, Lele Ramphele, The Herd Design, Bambizulu, Frances van Hasselt, Katriena Kammies Con il supporto aggiuntivo di: — The Lucky Bean Trust Contatti: — Instagram: @kateottenarchitects — www.kateottearchitects.com Immagini del catalogo: — Copyright © kate otten architects 165 Killing Architects Rotterdam, Paesi Bassi — Alison Killing, Newcastle upon Tyne, UK, 1979. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi Titolo del progetto: — Investigating Xinjiang’s Network of Detention Camps Collaborazione tecnica: — Megha Rajagopalan, Christo Buschek, Shumi Bose, Jan Rothuizen, Ekaterina Anchevskaya, Zachary Sigelko, Anna Moreno Con il supporto aggiuntivo di: — Creative Industries Fund NL Contatti: — Instagram: @alisonkilling — Twitter: @alisonkilling — www.killingarchitects.com Immagini del catalogo: — Photo e © Ekaterina Anchevskaya 167 Le laboratoire d’architecture Ginevra, Svizzera e Tunisi, Tunisia — Vanessa Lacaille, Parigi, Francia, 1980 — Mounir Ayoub, Tunisi, Tunisia, 1980 Vivono a Ginevra, Svizzera e lavorano a Ginevra, Svizzera e Tunisi, Tunisia Titolo del progetto: — Welcome in Nomadland Collaborazione autoriale: — Simon Durand, Hamed Kriouane, Team: — Yann Gross (Video), Studenti di laurea triennale e magistrale presso la scuola di architettura EPFL, Studio Lacaille & Ayoub 20222023: Meghan Archimi, Arudsagini Arutselvan, Zoé Bahy, Léo Bastianelli, Loïse Boulnoix, Rebecca Broye, Adrien

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Clairac, Rita D’Elia, Charles Darrousez, Laure Dekoninck, Léa Delessert, Dimitri Descloux, Gaëtan Détraz, Antoine Foehrenbacher, Nikita Giaccari, Marion Gisiger, Yousra Hajoubi, Sébastien Hasler, Charline Hugues, Youssef Kali, Ambre Lassus, Arthur Lüthy, Nathalie Marj, Nadège Mouine, Zineb Mustapha, Silvia Narducci, Linda Orakwe, Abigail Riand, Jana Schiefer, Mélanie Schroff, Dylan Schwaiger, Isabel Vilar Azcárate Con il supporto aggiuntivo di: École Polytechnique Fédérale de Lausanne EPFL; Fondation Assurer l’avenir des Gens du Voyage Suisses; Office fédéral de la culture OFC; République et canton de Genève; Swiss Arts Council Pro Helvetia Contatti: Instagram: @le_laboratoire_d_architecture @simon.durand.architecte www.lelaboratoirearchitecture.com Immagini del catalogo: Courtesy Le laboratoire d’architecture © Yann Gross Photo, Courtesy e © Le laboratoire d’architecture

169 Liam Young Los Angeles, USA — Liam Young, Australia, 1979; Vive e lavora a Los Angeles, USA e in altri paesi Titolo del progetto: — The Great Endeavor Team: — Partizan Entertainment (produzione), Pegah Farahmand (produzione esecutiva, Partizan), Lisa Cadwallader e Rickey Welch (produzione esecutiva, WaterBear Network), Alexey Marfin (supervisione VFX), Lyra Pramuk (colonna sonora), Ane Crabtree (costumi), Hae Min Yun (sartoria), Attilio Bonelli (creazione di fondali), Andrew Hu (ambiente), Neasden Control Center (grafica), Holly Jean Buck e David Goldberg (consulenza scientifica), Jessie Saville (produzione, WaterBear Network), Jolien Walhof (responsabile marketing, WaterBear Network), Presentato da WaterBear Network in associazione con Resilient Foundation Con il supporto aggiuntivo di: — National Gallery of Victoria, Melbourne Contatti: — Instagram: @liam_y — Twitter: @liam_young — www.liamyoung.org Immagini del catalogo: — Courtesy e © Liam Young 425


175 Low Design Office Austin, USA; Tema, Ghana — Ryan Bollom, Spring, USA, 1979; Vive e lavora ad Austin, Texas — DK Osseo-Asare, State College, USA, 1980; Vive e lavora a State College, USA e Tema, Ghana Titolo del progetto: — Enviromolecular Collaborazione autoriale: — Yasmine Abbas, Agbogbloshie Makerspace Platform (AMP) Collaborazione tecnica: — Humanitarian Materials Lab (HuMatLab) e Digital Fabrication Lab (DigiFAB) alla Stuckeman School of Architecture, Landscape Architecture and Graphic Design Team: — AMP Makers Collective Con il supporto aggiuntivo di: — Stuckeman Collaborative Design Research Program alla Pennsylvania State University, ANO Institute for Art and Knowledge, produtori del Padiglione del Ghana: Biennale Arte 2022, a cura di Nana Oforiatta Ayim Contatti: — Instagram: @LowDesignOffice — Twitter: @LowDesignOffice — YouTube: @qampnet1060 — www.LOWDO.net Immagini del catalogo: — Photo Steven Scribner. Courtesy Low Design Office. © DK Osseo-Asare 177 MMA Design Studio Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Mphethi Morojele, Maseru, Lesotho, 1963; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Origins Collaborazione autoriale: — Prof Karim Sadr (Wits University Archaeology Department), Kgaugelo Lekalakala Collaborazione tecnica: — Black Roots Pictures, Moving Into Dance Company, Stephen Benhegyi Team: — Bonolo Masango, Lwandile Maki Contatti: — Instagram: @mmadesignstudio — Twitter: @studiomphethi — www.mmastudio.co.za Immagini del catalogo: — © MMA Design Studio 179 Neri&Hu Design e Research Office Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Lyndon Neri / Guo Xi-En, Ozamiz, Filippine, 1965 — Rossana Hu / Hu Ru-Shan, Kaohsiung, Repubblica Popolare Cinese, 1968 Vivono e lavorano a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese 426

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Titolo del progetto: Liminality Team: Christine Chang, Federico Saralvo, Chris Chienchuan Chen, Yinzhu Shen, Lance Liang, R.L. Nitya Ziyang Lin, Luna Hong, Lyuqitiao Wang, Serein Liu, Amy Cao, Hazel Zheng Con il supporto aggiuntivo di: Shanghai Yi Xuan Model Design e Manufacture Co. Ltd. Contatti: Instagram: @neriandhu Facebook: Neri&Hu Design e Research Office LinkedIn: Neri&Hu Design e Research Office www.neriandhu.com Immagini del catalogo: Photo Jiaxi&Zhe. Courtesy e © Neri&Hu Design e Research Office

181 Office 24-7 e Lemon Pebble Architects Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Nabeel Essa, Polokwane, Repubblica del Sudafrica, 1971; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Tanzeem Razak, Benoni, Repubblica del Sudafrica, 1973; Vive ad Actonville e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Drawing Memory into Being Collaborazione tecnica: — Craig Mayers, Dymeng (Pty) Ltd, MGG Productions (Pty) Ltd Team: — Office 24-7 Architecture: Samkelisiwe Kunene, Dinah Rabson, Chanél Du Toit — Lemon Pebble Architects and Urban Designers: Althea Peacock, Nicholas Coghlan, Najeeba Soobrathie, Jess-Sherita Aungunu, Aa’isha Begg Con il supporto aggiuntivo di: — Belgotex Floorcoverings (Pty)Ltd, Africa Futures Institute, Sajid Dawray, Khalil R Dawray, Keith Anderson, Priyan Moodley, Andrew Boyazoglu, Angelique Shippon Contatti: — Instagram: @office247_architecture @lemonpebble_design — Youtube: @lemonpebblearchitects1714 — www.drawingmemoryintobeing.com — www.office24-7.co.za — lemonpebble.co.za Immagini del catalogo: — Fotografo anonimo. Courtesy Miftahuddin Islamic Institute. © Unknown

183 orizzontale Roma, Italia — Jacopo Ammendola, nato a Fiesole, Italia, 1983; Vive e lavora a Firenze, Italia — Juan López Cano, nato a Cardeña, Spagna, 1981; Vive e lavora a Roma, Italia — Giuseppe Grant, nato a Caserta, 1987; Vive e lavora a Roma, Italia — Margherita Manfra, nato a Roma, Italia, 1985; Vive e lavora a Roma, Italia — Nasrin Mohiti Asli, nato a Roma, Italia 1987; Vive e lavora a Roma, Italia — Roberto Pantaleoni, nato a Roma, 1987; Vive e lavora a Roma, Italia — Stefano Ragazzo, nato a Roma, Italia 1987; Vive e lavora a Milano e Roma, Italia Titolo del progetto: — Sexy Assemblage — The Danger and Seduction in Juxtaposing Differences that May Clash Collaborazione autoriale: — Lukas Hamilcaro Con il supporto aggiuntivo di: — QU Lighting, Edilpiù, Proviaggi architettura, Fantoni spa Contatti: — Instagram: @orizzontale_architecture — Twitter: @orizzontaleRM — www.orizzontale.org Immagini del catalogo: — Photo Nicola Barbuto. © orizzontale — Photo Philip Fröhlich. Courtesy TRANSURBAN. © orizzontale — Photo Antonio d’Agostino. Courtesy La Rivoluzione delle Seppie. © orizzontale 185 Paulo Tavares / autonoma Brasília, Brasile — Paulo Tavares, Campinas, Brasile, 1980; Vive a Brasília, Brasile, lavora nell’America Latina Titolo del progetto: — An Architectural Botany, 2018 Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments, 2017—2021 Collaborazione autoriale: — Architectural Botany: William Balée — Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments: in collaborazione con Xavante of Marãiwatsédé. — Team di ricerca: Domingos Tsereõmorãté Hö’awari; Policarpo Waire Tserenhorã, Dario Tserewhorã, Marcelo Abaré, Magno Silvestre — Consulenza storica: Damião Paridzané, Cosme Rité, Caime Waiassé, Jurandir Siridiwe, Policarpo Waire Tserenhorã, Dario Tserewhorã, e Marcelo Abaré — Traduzioni dal Xavante: Caime Waissé — Grafica e animazioni: Gabriel Kozlowski / POLES.studio Biennale Architettura 2023


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Modello digitale dei siti archeologici: Grabriel Menotti Campagna di sensibilizzazione pubblica: Paula Marujo Con il supporto aggiuntivo di: Architectural Botany è stato originariamente commissionato dal CCA – Canadian Centre for Architecture. Trees, Vines, Palms and Other Architectural Monuments è stato originariamente commissionato dalla Procura della Repubblica brasiliana. L'installazione alla Biennale è stata realizzata con il supporto aggiuntivo di CCA Contatti: Instagram: @pauloxtavares Twitter: @tavaresxpaulo www.paulotavares.net Immagini del catalogo: Courtesy e © Paulo Tavares

187 Rahul Mehrotra con Ranjit Hoskote Mumbai, India; Boston, USA — Rahul Mehrotra, New Delhi, India, 1959; Vive e lavora a Mumbai, India e Boston, USA — Ranjit Hoskote, Mumbai, India, 1969; Vive e lavora a Mumbai, India Titolo del progetto: — Loops of Practice, Thresholds of Habitability Collaborazione autoriale: — Isabel Oyuela-Bonzani (progetto) Collaborazione tecnica: — Santiago Aurelio Mota (produzione video) Team: — Pranav Thole (ricerca e produzione) Con il supporto aggiuntivo di: — RMA Architects, Architecture Foundation, India, Graduate School of Design, Harvard University Contatti: — Instagram: @rma_architects @architecturefoundationindia @harvardgsd — www.rmaarchitects.com Immagini del catalogo: — Photo Rajesh Vora. Courtesy e © Rahul Mehrotra 189 SCAPE Landscape Architecture New York, USA — Kate Orff, Silver Spring, USA, 1971; Vive e lavora a New York, USA Titolo del progetto: — Workshopping the Chattahoochee Collaborazione autoriale — Cliente: The Chattahoochee RiverLands Project Management Team (The Trust for Public Land, Atlanta Regional Commission, City of Atlanta, Cobb County Government) — Team di progetto: SCAPE, Gresham Smith, New South Associates, Biohabitats, Dr. Na’Taki Osborne Jelks (Spelman College), Dr. Richard Milligan (Georgia State University), Edwards-Pitman Biografie e Crediti

Team: SCAPE Team: Gena Wirth, Nans Voron, Chris Barnes, Grace Dials, Sophie Riedel, Liz Camuti,* Tirta “Ryan” Pryandana,* Jessica Guinto,* Emmanuel Coloma,* Maria Palomares*

* Non più affiliati con SCAPE

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Team per l'installazione: Nans Voron, Christian Cueva, Jackson Rollings Contatti: Instagram: @scape_studio Twitter: @scape_studio www.scapestudio.com www.chattahoocheeriverlands.com Immagini del catalogo: © SCAPE

191 Stephanie Hankey, Michael Uwemedimo e Jordan Weber Berlino, Germania; Port Harcourt, Nigeria; New York, Boston, St. Louis, USA — Stephanie Hankey, Manchester, UK, 1973; Vive e lavora a Berlino, Germania — Michael Uwemedimo, Calabar, Nigeria, 1972; Vive e lavora a Port Harcourt, Nigeria — Jordan Weber, DesMoines, USA, 1985; Vive e lavora a New York, USA Titolo del progetto: — Synthetic Landscapes I Collaborazione autoriale: — Ana Bonaldo, Klaas Diersmann, John Peterson Collaborazione tecnica: — Alex Braidwood, Barbara Narici Team: — Counterpublic 2023, Chicoco Collective, Walt Lauridsen, Anna Lyman Con il supporto aggiuntivo di: — Walt Lauridsen Foundation, The Loeb Fellowship, Harvard Graduate School of Design Contatti: — www.syntheticlandscapes.org Immagini del catalogo: — Photo Ana Bonaldo e Michael Uwemedimo. © Michael Uwemedimo/ CMAP — © Michael Uwemedimo/CMAP 193 Studio Barnes Miami, USA — Germane Barnes, Chicago, USA, 1985; Vive e lavora a Miami, USA Titolo del progetto: — Griot Collaborazione tecnica: — Quarra Stone Company, LLC, Nina Johnson Gallery Team: — Gabriel Jean-Paul Soomar, Andrea Martinez, Noelle Davis, Kevan Washington, Offtop Design, Sacha Aina Braggs, George William Elliot

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Con il supporto aggiuntivo di: University of Miami, School of Architecture, Community Housing Identity Lab, Nina Johnson Gallery, Creative Capital, Harvard Graduate School of Design Contatti: Instagram: @gmane16 @uncleremuschkn www.germanebarnes.com Immagini del catalogo: © Studio Barnes

195 Studio of Serge Attukwei Clottey Accra, Ghana — Serge Attukwei Clottey, Accra, Ghana, 1985; Vive e lavora ad Accra, Ghana e in altri paesi Titolo del progetto: — Time and Chance Team: — Hannah Grossman, Lisa Pomares Con il supporto aggiuntivo di: — Stefan Simchowitz Contatti: — Instagram: @afrogallonism — www.afrogallonism.com Immagini del catalogo: — Photo e © NII Odzenma 197 Suzanne Dhaliwal Curzola, Croazia; Birmingham, UK — Suzanne Dhaliwal, Birmingham, UK, 1982; Vive e lavora a Birmingham, UK e Curzola, Croazia Titolo del progetto: — Sunkissed: Reimagining Redistribution Contatti: — Instagram: @_SuzanneDhaliwal @zoozanne — www.suzannedhaliwal.org Immagini del catalogo: — © Suzanne Dhaliwal 199 Sweet Water Foundation Chicago, USA — Emmanuel Pratt, Richmond, USA, 1977; Vive e lavora a Chicago, USA Titolo del progetto: — chaord Collaborazione tecnica: — PAC Leaders LLC Team: — Lucero Flores, Alysse Hines, Courtney Hug, Phoenix Lewis, Jia Lok Pratt, Daniel Salomon, Sam Scardefield, David Snowdy, Rudolph Taylor, Jr., Knowledge Theodore Contatti: — Instagram: @sweetwaterfdn — Twitter: @SweetWaterFDN — www.sweetwaterfoundation.com Immagini del catalogo: — Photo Emmanuel Pratt. Courtesy e © Sweet Water Foundation 2022 427


201 The Funambulist Parigi, Francia — Léopold Lambert, Parigi, Francia, 1985; Vive e lavora a Parigi, Francia Collaborazione autoriale: — Nadia El Hakim, Noelle Geller, Caroline Honorien, Shivangi Mariam Raj, Margarida Nzuzi Waco Titolo del progetto: — The Funambulist Con il supporto aggiuntivo di: — Institut français Contatti: — thefunambulistmagazine — Instagram: @TheFunambulist_ — www.thefunambulist.net Immagini del catalogo: — Courtesy ‫ © ﺧﻠﻴﻞ ﻃﻠﺤﺎوي‬The Funambulist 203 Twenty Nine Studio Bruxelles, Belgio — Sammy Baloji, Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo, 1978; Vive e lavora a Bruxelles, Belgio e Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo Titolo del progetto: — Aequare: the Future that Never Was Collaborazione autoriale: — Johan Lagae e University of Ghent, Sandrine Colard Collaborazione tecnica: — Kristof Vervoort e Toon Monballieu (modello: Stielatelier), Luca Mattei (video), Florian Girault (vetrine), Myrna D’Ambrosio e Arno Huygens (progetto grafico) Team: — Rosa Spaliviero, Estelle Lecaille, Marek Szponik, Juliette Hourcourigaray e Minne De Meyer Engelbeen Con il supporto aggiuntivo di: — KANAL Centre Pompidou, Galerie Imane Farès, FW-B (Fédération Wallonie-Bruxelles), WBI (WallonieBruxelles International) Contatti: — Instagram: @twentyninestudioproduction — www.twentyninestudio.net Immagini del catalogo: — Photo Frank Mohka. Courtesy e © Twenty Nine Studio & Production — Courtesy Fonds Henry Lacoste – CIVA Collections, Bruxelles 205 Ursula Biemann Zurigo, Svizzera — Ursula Biemann, Zurigo, Svizzera, 1955; Vive e lavora a Zurigo, Svizzera e in altri paesi Titolo del progetto: — Devenir Universidad Collaborazione autoriale: — Hernando Chindoy Chindoy (rappresentante legale del popolo Inga), María Belén Saez de Ibarra 428

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(curatore, Art Museum UNAL), Waira Nina Jacanamijoy (team formativo Inga), Flora Macas (team formativo Inga), Ivan D. Vargas Roncancio (ricercatore legale in materia di diritti) Collaborazione tecnica: Richard Décaillet (operatore), Yann Décaumont (operatore) Con il supporto aggiuntivo di: Swiss Arts Council Pro Helvetia Contatti: www.deveniruniversidad.org www.geobodies.org Immagini del catalogo: Courtesy e © Ursula Biemann

207 White Arkitekter Stoccolma, Svezia Titolo del progetto: — One Hundred e Fifty Thousand Trees Collaborazione autoriale: — Clara Terne – Animazione digitale Collaborazione tecnica: Martin Lang, Lang Film AB Magnus Lewrén, Lewrén Produktion AB Team: — Alexandra Hagen, Charlie Bäckstrand, Jake Ford, Elena Kanevski, David Clark Contatti: — Instagram: @whitearkitekter — Twitter: @whitearkitekter — www.whitearkitekter.com Immagini del catalogo: — Courtesy e © Helene Schmitz 209 Wolff Architects Città del Capo, Repubblica del Sudafrica — Ilze Wolff, Città del Capo, Repubblica del Sudafrica, 1980 — Heinrich Wolff, Johannesburg, Repubblica del Sudafrica, 1970 Vivono e lavorano a Città del Capo, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Tectonic Shifts Collaborazione autoriale: — Zahraa Essa Contatti: — Instagram: @wolffcapetown — www.wolffarchitects.co.za Immagini del catalogo: — © Wolff Architects 211 ZAO/standardarchitecture Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Ke, Repubblica Popolare Cinese, 1970; Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese Titolo del progetto: — Co-Living Courtyard 共生院 Collaborazione tecnica: — CAMERICH, Fang Xiaosong, Dr. Jing Jie

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Team: Matthias Castrischer, Tan Xiao, Jakob Schmitt, Hua Yunsi, Zhang Yehan, Chen Zhenyu, Zhu Zhongliang, Lu Juncong, Zhang Chengzhang, Yu Yihua, Nelly Vitiello, Luciano Ricci Con il supporto aggiuntivo di: CAMERICH Contatti: www.z-a-o.cn Immagini del catalogo: Photo Wang Ziling. © ZAO/standardarchitecture e Wang Ziling

Curator’s Special Projects: Food, Agriculture & Climate Change 241 BothAnd Group Dublin, Irlanda — Jarek Adamczuk, Zamość, Polonia, 1992; Vive e lavora a Zurigo, Svizzera — Alice Clarke, Summerhill, Irlanda, 1992; Vive e lavora a Zurigo, Svizzera — Andrew Ó Murchú, Limerick, Irlanda, 1991; Vive e lavora a Londra, UK — Kate Rushe, Galway, Irlanda, 1992; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — The Landscape Rehearsals Collaborazione autoriale: — Banjo Abiodun, Ayodele Adebayo, James Adepitan, Olusegun Akanni, Usman Aliyus, Ganiu Amokun, Yusuf Bamidele, Dr. Brenna Bhandar, Segun Es, Dr. Eoin Flaherty, Adebukola Kolawole, Dr. Abiodun Elijah Obayelu, Ola Olaitan, Ola Omotosan, Dr. Colin Sage, Gbogboade Seun, Prof. Kevin Whelan Collaborazione tecnica: — JJ Clarke, Tunde Pillar, Minco van der Weide Con il supporto aggiuntivo di: — Culture Irlanda, TU Dublin, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @bothandgroup — Twitter: @BothandG Immagini del catalogo: — Photo Author Unknown, riprodotte da Jarek Adamczuk © The Cambridge University Collection of Aerial Photography — © BothAnd Group 243 Gloria Pavita Città del Capo, Repubblica del Sudafrica — Gloria Pavita, Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo, 1995; Vive e lavora a Città del Capo, Repubblica del Sudafrica Biennale Architettura 2023


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Titolo del progetto: [na Bulongo] Con il supporto aggiuntivo di: African Futures Institute Immagini del catalogo: Photo, Courtesy e © Gloria Pavita

245 Margarida Waco Stoccolma, Svezia, Londra, UK — Margarida Waco, Cabinda, Angola, 1992. Vive a Stoccolma, Svezia; Lavora a Stoccolma, Svezia e Londra, UK Titolo del progetto: — 5.5706° S, 12.1976° E Sedimentary Myths Collaborazione autoriale: — Aaiún Nin, André Taylor Collaborazione tecnica: — Elizabeth Cox , Hawa Sanneh, J.B. , Russell E. L. Butler Un ringraziamento speciale a: — Suzana Mukende Filipe, Afonso Justino Waco, Ulrik Montnemery, Kaminsky Arkitektur. Studenti RCA anno 2022/23: Alicja Jaromirska, Hamza Gore, Hayden James, Linda Toven Naganathan, Mak Yuen Ching, Max Cooper-Clark, Tessnim Tolba, Timothy Webster, Elizabeth Cox, Ling Tiffany Lee, Lola Tartakover, Sofia Yanez Perteagudo, Zakiyyah Haffejee Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @margarida_waco — www.linktr.ee/_mnwaco Immagini del catalogo: — © Margarida Waco

Gender & Geography 249 Caroline Wanjiku Kihato, Clare Loveday e Mareli Stolp in collaborazione con Sedinam Awo Tsegah — Caroline Wanjiku Kihato, Nairobi, Kenya, 1971; Vive e lavora tra Johannesburg, Repubblica del Sudafrica e Oxford, UK — Clare Loveday, Johannesburg, Repubblica del Sudafrica, 1967; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Mareli Stolp, Pretoria, Repubblica del Sudafrica, 1980; Vive e lavora a Pretoria, Repubblica del Sudafrica — Sedinam Awo Tsegah, Accra, Ghana, 1992; Vive e lavora ad Accra, Ghana Titolo del progetto: — You Will Find Your People Here Collaborazione autoriale: — Juan S. Moreno, Loren B. Landau, Thomas Asher Collaborazione tecnica: — Kabiri Bule (African Centre for Migration in Society, University of Biografie e Crediti

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the Witwatersrand), Dare Brawley (Centre for Spatial Research, University of Columbia), Reuben Fleisch (Department of Architecture, University of Città del Capo), Laura Kurgan (Centre for Spatial Research, University of Columbia), Nassim Majidi (Samuel Hall), Mary B. Setrana (Centre for Migration Studies, University of Ghana) Un ringraziamento speciale a: Le donne che hanno reso questo progetto possibile: Fazila e Florence dalla Repubblica Democratica del Congo, Hannah dal Malawi, Jeanette dal Rwanda, Sibongile dallo Zimbabwe Con il supporto aggiuntivo di: Mellon Foundation ‘Mobility, temporality, e Africa’s future politics’ project all’University of the Witwatersrand; The African Centre for Migration and Society, University of the Witwatersrand; The Migration Governance Lab, University of the Witwatersrand e Oxford University; The Centre for the Less Good Idea, Johannesburg; African Futures Institute. Musica commissionata dalla South African Music Rights Organisation (SAMRO) Foundation Contatti: Instagram: @framefortyfive Twitter: @FrameFortyFive Immagini del catalogo: Photo e © Heather Mason

251 Gugulethu Sibonelelo Mthembu Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Gugulethu Sibonelelo Mthembu, Soweto, Repubblica del Sudafrica, 1992; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Embodiments: Port of Shir — Final Act Team: — Agashi Con il supporto aggiuntivo di: — Gonang Consulting Services, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @googooletoo Immagini del catalogo: — Photo Itumeleng Pitseng. Courtesy e © Gugulethu Mthembu 253 Ines Weizman Londra, UK — Ines Weizman, Leipzig, Germania, 1973 Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — “Of all the gin joints in all the towns in all the world…” Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute

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Contatti: Instagram: @documentary_architecture Facebook: @DocumentaryArchitecture documentary-architecture.org Immagini del catalogo: Fotografo anonimo. Courtesy Buildings & Sites Conservation Department, City Planning Office presso Haifa Municipality

255 J. Yolande Daniels New York, Boston, Los Angeles, USA — J. Yolande Daniels, New York, USA, 1962; Vive a Boston e lavora a Boston, New York e Los Angeles, USA Titolo del progetto: — The BLACK City Astrolabe: A Constellation of African Diasporic Women Collaborazione tecnica — Sunil Bald (studioSUMO), Alfredo Greco (Sinfonia group), Pierpaolo Martiradonna (Sinfonia group) Team: — Christina Dimitri Battikha, Ekin Bilal, Hana Meihan Davis, Doris Qingyi Duanmu, Jie Fan, Alexandros Haridis, Mara Jovanovic, Namhi Kwun, Nia Iman Rich, Afy Deborah Lauren Tsogbe, Hon Ting Wong, Cheng Qin, Shreya Verma, Hiteshree Das Con il supporto aggiuntivo di: — CAST Mellon Faculty Grant, MIT Center for Art Science and Technology; MIT School of Architecture and Planning/SA+P, Department of Architecture; Graham Foundation; African Futures Institute Contatti: — Instagram: @theblkcity — www.theblkcity.com Immagini del catalogo: — Author Andreas Cellarius. Engraving Johannes van Loon courtesy The Glen McLaughlin Map Collection of California as an Island, Stanford University © Public Domain – From the Atlas Coelestis; Seu Harmonia Macrocosmica (Celestial Atlas of Universal Harmony)

Mnemonic 259 Adjaye Associates con Kiran Nadar Museum of Art — Sir David Adjaye OBE, Dar es Salaam, Tanzania, 1966; Vive e lavora ad Accra, Ghana; Londra, UK e New York, USA — Kiran Nadar, New Delhi, India, 1951; Vive e lavora a New Delhi, India Titolo del progetto: — Partition — Partage 429


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Adjaye Associates Accra, Ghana; Londra, UK; New York, USA Team: Luisa Alves, Joao Barroso, Marissa Glauberman, Sooyeon Lim, Rebecca Petrani, Anyu Chan Model Maker: Singh Modelers Pvt. Ltd. Contatti: Instagram: @adjayeassociates @adjaye_visual_sketchbook Twitter: @adjayeassoc @dadjaye LinkedIn: @adjayeassociates YouTube: @adjaye_associates www.adjaye.com Kiran Nadar Museum of Art New Delhi, India Collaborazione autoriale: Roobina Karode, Amit Dutta Collaborazione tecnica: Moey Team: Deepanjana Klein, Aseem Vadehra, Apurva Kackar, Jijo Jose, Ashaq Hussain, Shobhit Singh Contatti: Instagram: @knmaindia Facebook: @KiranNadarMuseumOfArt Twitter: @KNMAIndia YouTube: @KNMAIndia www.knma.in Immagini del catalogo: Photo KNMA. Courtesy e © Estate of Nasreen Mohamedi Photo KNMA. Courtesy e © Tyeb Mehta Foundation

261 Craig McClenaghan Architecture Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Craig McClenaghan, East-Londra, Repubblica del Sudafrica, 1977; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Letters from the Landscape Collaborazione tecnica: — Dr David Morris, Rena Maghundu Phumani Paper: Kim Berman, Dumisani Dlamini, Thandekani Mchunu, Constance Ngobeni, Nelly Mphahlele, Virginia Ngobeni eiletz ortigas | architects: Mateo Eiletz & Claudia Ortigas Team: — Hashim Tarmohamed, Wihan Hendrikz, Hugh Fraser Con il supporto aggiuntivo di: — Graduate School of Architecture, University of Johannesburg; William Kentridge; African Futures Institute Contatti: — Instagram: @craig.mcclenaghan — www.cmarchitecture.co.za Immagini del catalogo: — © Craig McClenaghan 430

263 Looty Londra, UK — Chidirim Nwaubani, Londra, UK, 1988; Vive in Nigeria e lavora in tutto il mondo — Ahmed Abokor, Hargesia, Somaliland, 1987; Vive a Londra, UK e lavora in tutto il mondo Titolo del progetto: — (SA ‘EY’ AMA: To Commemorate) Collaborazione tecnica: — Owo Anietie (artista digitale), Ayesha Quraishi (compositore/artita multisciplinare), Keleenna Onyeaka (fotografia/videografia), Itohan Emonvomwan (editing videor), Joel Atkinson (concept visivo 3D), Emma MacNay (produzione creativa) Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @lootynft — Twitter: @lootyNFT — Youtube: @lootyart — www.looty.art Immagini del catalogo: — Courtesy e © Looty.art — Photo e © Keleenna Onyeaka. Courtesy Looty.art 265 Mabel O. Wilson, J. Meejin Yoon e Eric Höweler in collaborazione con Josh Begley e Gene Han — Mabel O. Wilson, Neptune, USA, 1963; Vive e lavora a New York, USA — Meejin Yoon, Seoul, Repubblica di Corea, 1972; Vive e lavora a Boston e Ithaca, USA — Eric Höweler, Cali, Colombia, 1972; Vive e lavora a Boston USA — Josh Begley, San Francisco, California, 1984; Vive e lavora a Brooklyn, New York, USA — Gene Han, Elkins Park, Pennsylvania, 1997; Vive e lavora a Brooklyn, New York, USA Titolo del progetto: — unknown, unknown: A Space of Memory Collaborazione tecnica: — Kirt Von Daacke, Erik Duda, Mitchell Powers Team: — Justin Tan, Jessica Black, Ye Sul E. Cho Un ringraziamento speciale a: — Un sincero ringraziamento a tutti i nostri collaboratori in occasione del Monumento ai lavoratori schiavi (2016 – 2020) presso l’University of Virginia, Charlottesville, Virginia Contatti: — Instagram: @studio_and @NegroBuilding — www.mel.virginia.edu Immagini del catalogo: — Mabel O. Wilson, J. Meejin Yoon, e Eric Höweler, Courtesy Studio&

Special Participations 273 Amos Gitaï Parigi, Francia; Haifa, Israele e in altri paesi — Amos Gitaï, Haifa, Israel, 1950; Vive e lavora a Parigi, Francia; Haifa, Israele e in altri paesi Titolo del progetto: — HOME. RUINS. MEMORY. FUTURE Collaborazione autoriale: — Ayda Melika, Philippine Ordinare, AGAV films Collaborazione tecnica: — Laurent Truchot, Jean Kalman Team: — Alexey kochetkov, Kioomars Musayyebi, Nathalie Dessay, Bahira Ablassi, Barbara Hendricks, Irene Jacob, Rabiha Dajani Con il supporto aggiuntivo di: — La Colline — théâtre national, Parigi, Francia Contatti: — www.amosgitai.net Immagini del catalogo: — Courtesy Amos Gitai e La Colline — théâtre national, Parigi, Francia © Agav Films 2023 275 James Morris Bwlchllan, Wales; Londra, UK — James Morris, Griffithstown, Wales, 1963; Vive e lavora a Bwlchllan, Wales; Londra, UK e in altri paesi Titolo del progetto: — Butabu Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — www.jamesmorris.info Immagini del catalogo: — © James Morris 277 Rhael ‘LionHeart’ Cape Londra, UK — Rhael ‘LionHeart’ Cape Londra, UK 1987; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Those With Walls for Windows Collaborazione tecnica: — Patrick Bedeau, Charles Ekundayo, Michael Adeyeye Team: — Melo-Zed, Theophilius O. Bailey, Delores Oblitey Biennale Architettura 2023


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Con il supporto aggiuntivo di: 180 Studios, InDetail Studios, New School Represents, A-COLD-WALL, African Futures Institute Contatti: Instagram: @lionheartfelt Twitter: @LionHeartfelt YouTube: @LionHeartfelt www.lionheartfeltonline.com Immagini del catalogo: © Lionheartfelt Ltd. (UK)

Guests from the Future 303 Ainslee Alem Robson Los Angeles, USA — Ainslee Alem Robson, Cleveland, USA, 1993; Vive e lavora a Los Angeles, USA Titolo del progetto: — Ferenj Collaborazione tecnica: — Kidus Hailesilassie Team: — Kidus Hailesilassie (progettazione di installazioni), Domo Jones (direzione della fotografia per Live Action) Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @ahhslay — Twitter: @ahhslay — Vimeo: vimeo.com/user89427938 — www.ainsleealemrobson.com Immagini del catalogo: — Courtesy the author. © Ainslee Alem Robson 305 Anusha Alamgir Londra, UK — Anusha Alamgir, Dhaka, Bangladesh, 1995; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Porda Team: — Salman Khan (composizione audio), Farah Sultana (assistenza alla produzione), Francesca Beltrame (videografica), Irafa Binte Saood (videografica), Masud Ur Rahman (Rana Rana Crew), Mohammad (Rony Crew) Con il supporto aggiuntivo di: — Steve Salembier, Maria Paez Gonzalez, Md. Alamgir Hossain, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @anushaalamgir — www.anushaalamgir.com Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Anusha Alamgir Biografie e Crediti

307 Arinjoy Sen Londra, UK — Arinjoy Sen, Kolkata, India, 1996; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Bengali Song Collaborazione tecnica: — SHEKantha: Shamlu Dudeja, Malika Varma e Kantha artisans Un ringraziamento speciale a: — Marina Tabassum, Shumi Bose Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: arinjoy.sen — www.arinjoysen.com Immagini del catalogo: — © Arinjoy Sen 309 Aziza Chaouni Projects Fez, Marocco; Toronto, Canada — Aziza Chaouni, Fez, Marocco, 1977 Vive e lavora a Fez, Marocco e Toronto, Canada Titolo del progetto: — Modern West Africa: Recorded Team: — Dana Salama Collaborazione autoriale: — Aissatou Diallo, Amadou Faye, Amélie Essesse, Atepa Goudiaby, Aziza Chaouni, Babacar Sene, Bara Diop, Cheikh Amar, Dahouda Ouedroago, Dana Salama, El Hadj Amadou Diagne, Ibrahima Mbodj, Jalal Kassir, Jean Francois Lamoureux, Jean-Louis Marin, Madame Seynabou, Madame Zahra, Michel Faublée, Monsieur Driss, Mourtada Gueye, Ramatoulou Gaye, Ramde Hanoura, Rosalie Kabore, Salihou Keita, Xavier Ricou, Rachid Karkari, Zineb Tazi, Dominique Zevaco, Madame Boutaina, Madame Zahra, MAMMA Group, Zineb Andreas Laraki, Hajj Leghass, Clementine Braud, Rosine Arzoumpoko Kiéma Collaborazione tecnica: — Amélie Essesse, Andreea Muscurel, Arnaud Lambert, Elyse Fitte-Duval, Mourtada Gueye, Nelson Roubert, Rosine Arzoumpoko Kiéma, Saiba Baguian, Serge Herbert Ilboudo, Seyni Ba, Zineb Tazi, Aahd Benchaouch, Madeline August Con il supporto aggiuntivo di: — The Getty Conservation Institute (Antoine Wilmering, Senior Program Officer), World Monuments Fund (Project Directors Javier Ors Ausín, Stephen Battle), John H. Daniels Faculty of Architecture, Landscape, and Design presso la University of Toronto, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @azizachaouniprojects — YouTube: @azizachaouniprojects1134 — www.azizachaouniprojects.com Immagini del catalogo: — Photo e © Andreea Muscurel

311 Banga Colectivo Luanda, Angola; Lisbona, Portogallo — Yolana Lemos, Luanda, Angola, 1995; Vive e lavora a Lisbona, Portogallo — Elsimar Freitas, Luanda, Angola, 1993; Vive e lavora a Lisbona, Portogallo — Kátia Mendes, Lubango, Huíla, Angola, 1995; Vive e lavora a Luanda, Angola — Mamona Duca, Luanda, Angola, 1993; Vive e lavora a Luanda, Angola — Gilson Mendes, Malanje, Angola, 1993; Vive e lavora a Luanda, Angola Titolo del progetto: — Soba Eternal Team: — Isla de França, Pedro Monteiro – OficinaLab Fabricação Criativa Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @banganossa — YouTube: @banganossa1064 — www.banganossa.com Immagini del catalogo: — Photo e © Banga Colectivo 313 Blac Space Johannesburg, Repubblica del Sudafrica — Kgaugelo Lekalakala, Mpumalanga, Repubblica del Sudafrica, 1994; Vive e lavora a Johannesburg, Repubblica del Sudafrica Titolo del progetto: — Tales of the Vulnerability of African Women in Transit Spaces Collaborazione autoriale: — Diana Mokokobale Makgaopa (voce fuori campo), Lelethu Mabaso (voce fuori campo), Kegaogetswe Rakopa (ingegneria del suono) Collaborazione tecnica: — Diana Mokokobale Makgaopa (voce fuori campo) Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @Black_Space_sa @lekalakalakgaugelo Immagini del catalogo: — Photo Kgaugelo Lekalakala. Courtesy Azole Njengele, Einstein Mohajane, Oomar Simba, Luba Nkiwane © Kgaugelo Lekalakala — © Kgaugelo Lekalakala 315 Black Females In Architecture Londra, UK — Akua Danso, Londra, UK, 1991; Vive a Ipswich, UK e lavora a Londra, UK — Selasi Setufe MBE, Londra, UK, 1990; Vive e lavora a Londra, UK — Neba Sere, Colonia, Germania, 1990; Vive e lavora a Londra, UK — Ama Ofori-Darko, Londra, UK, 1998; Vive e lavora a Londra, UK 431


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Titolo del progetto: A Voice for the 450 Plus Contatti: Instagram: @blackfemarc Twitter: @BlackFemArc www.blackfemarc.com Immagini del catalogo: Photo e © Tamed Designs Photo, Courtesy e © Kemka Ajoku

317 Cartografia Negra San Paolo, Brasile — Raissa Albano de Oliveira, São Bernardo do Campo, Brasile, 1993; Vive e lavora a San Paolo, Brasile — Carolina Piai Vieira, San Paolo, Brasile, 1993; Vive e lavora a San Paolo, Brasile — Pedro Vinicius Alves, San Paolo, Brasile, 1992; Vive e lavora a San Paolo, Brasile Titolo del progetto: — Root City Collaborazione tecnica: — Allan da Rosa, Aryani Marciano, Felipe Augusto Silva Matos, Julia Lucia Albano de Oliveira, Janaina Viegas, Lahayda L. Mamani Poma Dreger, Rafael de Lorena Pinho Team: — Noa Marchese Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @cartografianegra Immagini del catalogo: — Photo e © Joao Lopes. Courtesy Cartografia Negra Collection 319 Courage Dzidula Kpodo con Postbox Ghana Accra, Ghana; Boston, USA; Milano, Italia — Courage Dzidula Kpodo, Kumasi, Ghana, 1999; Vive e lavora a Boston, USA — Manuela Nebuloni, Rho, Italia, 1986; Vive e lavora a Milano, Italia — Nana Ofosu Adjei, Accra, Ghana,1993; Vive e lavora ad Accra, Ghana Titolo del progetto: — The Beautyful Ones Always Were Con il supporto aggiuntivo di: — Nkrumah Voli-ni, Tamale Contatti: — Instagram: @dzidula_k @postbox.ghana Immagini del catalogo: — Photo e © Courage Dzidula Kpodo. Courtesy Courage Dzidula Kpodo e Postbox Ghana

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321 Dele Adeyemo Londra, UK — Dele Adeyemo, Kaduna, Nigeria, 1985; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — A Dance of the Mangroves Collaborazione tecnica: — Ronnie Scott (produzione ecologica UK), Lauren-Loïs Duah (disegni tecnici) Team: — Hermes Chibueze Iyele (direzione), Sunday (valu) Obiajulu (coordinatore di gruppo e consulente coreografo) Olatunde Obajeun (colonna sonora), Yemi Osokoya (fotografia) Temitayo Derinsola (direttore di produzione), con i ballerini: Janet Koja, Hermes Chibueze Iyele, Blessing Ekpenyong Offiong, Jumoke Ekundayo, Samuel Udoh, Kehinde Yeri, Taiye Yeri, e la comunità di Oworonshoki, Lagos Con il supporto aggiuntivo di: — Het Nieuwe Instituut, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @dele_adeyemo — Twitter: @dele_adeyemo — www.deleadeyemo.com Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Dele Adeyemo 323 Elementerre con Nzinga Biegueng Mboup e Chérif Tall Dakar, Senegal — Doudou Deme, Dakar, Senegal, 1982; Vive e lavora in Senegal — Nzinga Biegueng Mboup, Maputo, Mozambico, 1989; Vive e lavora a Dakar, Senegal — Chérif Tall, Dakar, Senegal, 1991; Vive e lavora a Dakar, Senegal Titolo del progetto: — Bunt Ban Collaborazione autoriale: — Nicolas Rondet, Moussa Diaw Collaborazione tecnica: — Chérif Tall (regia), Nzinga B. Mboup (produzione), Rahman Tall (assistenza alla produzione e ingegneria del suono), Cheikh Diop (trasporti e logistica) Con il supporto aggiuntivo di: — Hotel le Djoloff, Carrière de Sindia, Elementerre, Worofila, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @uddudem, @cheriftall @nzingabm, @worofila — www.elementerre-sarl.com — www.worofila.com — www.jovence.co Immagini del catalogo: — Courtesy e © Chérif Tall

325 Faber Futures Londra, UK — Natsai Audrey Chieza, Harare, Zimbabwe, 1985; Vive e lavora a Oslo, Norvegia e Londra, UK Titolo del progetto: — Museum of Symbiosis Collaborazione autoriale: — Claire L. Evans Collaborazione tecnica: — Mogu, Mathias Arrignon, Francesco Anselmo Team: — Ioana Man, Camille Thiery, Laura Vent, Magdalena Obmalko Un ringraziamento speciale a: — Dr. Megan J. Palmer, Cameron Fox, Dr. Melissa Salm, Elissa Prichep, Dr. Christina Agapakis, Dr. Lotte Asveld, Selassie Atadika, Margo A. Bagley, Marlene van Bergeijk, Dr. Rob F. Beudeker, Tom Bosschaert, Dr. Roel Bovenberg, Fernando ‘Nano’ Castro, Carole Collet, Dr. Drew Endy, Paul Freemont, Chido Govera, Dr. Pim Klaassen, Dr. David Sun Kong, Douwe Korting, Dr. Natalie Kuldell, Dr. Kyle Lauersen, Emma van der Leest, Dr. Gillian Marcelle, Maurizio Montalti, Dr. Nhlanhla Msomi, Geoffrey Otim, Dr. Megan J. Palmer, Dr. Jahnavi Phalkey, Julia Rijssenbeek, Corinne Okada Takara, Dr. Kassahun Tessfaye, Dr. Ionat Zurr Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @faberfutures @FaberFutures — www.faberfutures.com Immagini del catalogo: — Courtesy coloro che hanno contribuito al progetto BIO STORIES. © Faber Futures 327 Folasade Okunribido Londra, UK — Folasade Okunribido, Lincoln, UK, 1995; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Blue Hour Collaborazione autoriale: — Jimi Okunribido (editor e produzione musicale) Con il supporto aggiuntivo di: — John Ng, James Kwang Ho Chung, Zsuzsa Peter (tutor di studio); Valerio Massaro (tutor di storia e studi teorici); African Futures Institute Contatti: — Instagram: @flashok Immagini del catalogo: — Courtesy e © Folasade Okunribido 329 Ibiye Camp Londra, UK — Ibiye Camp, Londra, UK, 1991; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Rebellious Copies Biennale Architettura 2023


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Con il supporto aggiuntivo di: Royal College of Art, School of Architecture; Grymsdyke Farm; Xcessive Aesthetics; African Futures Institute Contatti: Instagram: @ibiye_camp Twitter: @ibiyecamp www.ibiyecamp.com Immagini del catalogo: Photo, Courtesy e © Ibiye Camp

331 Juergen Strohmayer e Glenn DeRoché Accra, Ghana — Juergen Strohmayer, Istanbul, Turchia, 1990; Vive e lavora ad Accra, Ghana — Glenn DeRoché, New York, USA, 1985; Vive e lavora ad Accra, Ghana Titolo del progetto: — Plugin Busua Collaborazione autoriale: — Nii Obodai (film e suono artistico) Con il supporto aggiuntivo di: — Chadi Dakmak (falegnameria), African Futures Institute Contatti: — Instagram: @juergenstrohmayer @gderoche01 Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Julien Lanoo 333 Lauren-Loïs Duah Londra, UK — Lauren-Loïs Duah, Mulhouse, Francia, 1998; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — ‘Obroni Wa’awu’: Cross-Continental Clothescapes Un ringraziamento speciale a: — La famiglia, gli amici e i residenti intorno al mercato di Kantamanto, in Ghana, che hanno partecipato al progetto e i Kayayei che hanno aggiunto le loro voci al soundscape Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @laurenlois.wip — www.laurenlois.art Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Lauren-Loïs Duah 335 Miriam Hillawi Abraham Addis Abeba, Etiopia — Miriam Hillawi Abraham, Addis Abeba, Etiopia, 1994; Vive e lavora ad Addis Abeba, Etiopia Titolo del progetto: — Through Time and Terra: Mining the Abyssinian Cyber Vernaculus A Non-Extractive Archeology of the Future Collaborazione autoriale: — Nasra Abdullahi (The AfroCosmologist’s Treatise On The Astrolabe, The Horn of Africa Fracturing Timelines) Biografie e Crediti

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Collaborazione tecnica: Kimo Zampathas (Abyssinian Cyber Vernaculus) Con il supporto aggiuntivo di: The Graham Foundation (finanziamento della produzione per la componente Realtà Virtuale di Abyssinian Cyber Vernaculus), African Futures Institute Contatti: Instagram: @miru_h Twitter: @miruh7 www.miriamhillawi.com Immagini del catalogo: Courtesy e © Miriam Hillawi Abraham

337 Moe+Art Architecture Lagos, Nigeria — Papa Omotayo, Ijebu Ode, Nigeria, 1975; Vive e lavora a Lagos, Nigeria — Mosun Ogunbanjo, Lagos, Nigeria, 1959; Vive e lavora a Lagos, Nigeria — Oluwadamilola Akinniyi Salami, Lagos, Nigeria, 1987; Vive e lavora a Winnipeg, Canada Titolo del progetto: — The Future of the Past: Gbogbo odò ló na ọwọ́ sí Olókun (Tutti i fiumi puntano a una sorgente) Collaborazione tecnica: — Phillip Fagbeyiro (artista), Phillip Iguehide (artista del legno), Phillip Omoruyi, Peter Femi, Godwin Ugherebe, Adewale Bamigboye, Tosin Olasukomi, Yemi Abayyomi Team: — Nnamdi Akubuiro, Dike Anthony Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @moeaa.feed — www.moeaa.com Immagini del catalogo: — Author Papa Omotayo, Photo MOE+Art Architecture, foto in bianco e nero di sfondo Logor Oluwamuyiwa. Courtesy Moe+ Art Architecture — Author Papa Omotayo, Photo Logor Oluwamuyiwa. Courtesy Moe+ Art Architecture — Author Papa Omotayo, Site Installation Artwork Polly Alakija, Photo Andrew Esiebo. Courtesy Moe+ Art Architecture 339 New South Parigi, Francia — Meriem Chabani, Algeri, Algeria, 1989; Vive e lavora a Parigi, Francia — John Edom, Portsmouth, UK, 1983; Vive e lavora a Parigi, Francia Titolo del progetto: — Mediterranean Queendoms

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Team: Mélissa Dyminat, Marine Gilouppe Con il supporto aggiuntivo di: SAFE Architecture Studio, African Futures Institute Contatti: Instagram: @newsouth___ www.newsouth.fr Immagini del catalogo: Photo, Courtesy e © New South

341 Rashid Ali Architects Hargeisa, Somaliland; Londra, UK — Rashid Ali, Hargeisa, Somaliland, 1978; Vive e lavora a Hargeisa, Somaliland e Londra, UK Titolo del progetto: — Hargeisa Courtyard Pavilion Team: — Rashid Ali, Hussein Mohamoud Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @rashidaliarchitects — www.rashidali.info Immagini del catalogo: — Photo Lyndon Douglas. Courtesy e © Rashid Ali Architects e Lyndon Douglas 343 Riff Studio New York, USA — Rekha Auguste-Nelson, Filadelfia, USA, 1991; Vive e lavora a New York, USA — Farnoosh Rafaie, Los Angeles, USA, 1988; Vive e lavora a Los Angeles, USA — Isabel Strauss, Chicago, USA, 1990; Vive a Cambridge, MA, USA e lavora a Washington DC, USA Titolo del progetto: — A Window (Detail) from the Future (Case Study House) Con il supporto aggiuntivo di: — African Futures Institute Contatti: — Instagram: @riffstudio.llc — www.riffstudio.llc Immagini del catalogo: — Courtesy e © Riff Studio 345 Tanoa Sasraku Londra, UK — Tanoa Sasraku, Plymouth, UK, 1995; Vive e lavora a Londra, UK Titolo del progetto: — Yellow Gate (Terratype), 2021 Con il supporto aggiuntivo di: — Spike Island Gallery, Vardaxoglou Gallery, The Simon Nixon Collection, African Futures Institute Contatti: — Instagram: @tanoasasraku — www.tanoasasraku.com Immagini del catalogo: — Photo, Courtesy e © Tanoa Sasraku 433




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Veduta aerea di Old Fadama, Agbobloshie, Accra AFI Workshop 6, Accra Festus Jackson-Davis 2023 Pagine 434–435

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Prova colore, Arsenale, Venezia Alice Clancy 2023





18. Mostra Internazionale di Architettura

18. Mostra Internazionale di Architettura The Laboratory of the Future La Biennale di Venezia Attività Editoriali e Web Responsabile — Flavia Fossa Margutti Coordinamento editoriale — Maddalena Pietragnoli Redazione — Francesca Dolzani Giulia Gasparato Progetto grafico — Fred Swart Realizzazione editoriale — Liberink srls, Padova Coordinamento — Stefano Turon

by SIAE 2023 Didi Helene Schmitz Joao Lopes

Impaginazione — Livio Cassese Redazione — Rosanna Alberti Caterina Vettore Traduzioni e copy editing — alphaville traduzioni e servizi editoriali Fotolito e stampa — Graphicom spa www.graphicom.it viale dell’Industria 67, Vicenza

© La Biennale di Venezia 2023 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

Carta prodotta con cellulose provenienti da foreste e da filiere di approvvigionamento gestite in modo rispettoso dell’ambiente, socialmente utile ed economicamente sostenibile e altre fonti controllate

ISBN 9788898727797 La Biennale di Venezia Prima edizione maggio 2023






Biennale Architettura 2023

The Laboratory of the Future

Partecipazioni Nazionali ed Eventi Collaterali


Sommario

Biennale Architettura 2023

Partecipazioni Nazionali ed Eventi Collaterali

6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 34 36 38 40 42 44 46 48 50 52

Partecipazioni Nazionali Albania Argentina Australia Austria Regno del Bahrain Belgio Brasile Bulgaria Canada Cile Repubblica Popolare Cinese Croazia Repubblica di Cipro Repubblica Ceca Danimarca Egitto Estonia Finlandia Francia Georgia Germania Gran Bretagna Grecia Grenada

54 56 58 60 62 68 70 72 74 76 78 80 82 84 86 88 90 92 94 96

Santa Sede Ungheria Irlanda Israele Italia Giappone Repubblica di Corea Repubblica del Kosovo Kuwait Lettonia Lituania Granducato di Lussemburgo Repubblica di Macedonia del Nord Messico Montenegro Paesi Bassi Repubblica del Niger Paesi Nordici Svezia – Finlandia – Norvegia Repubblica di Panama Perù

98 100 102 104 106 108 110 112 114 116 118 120 122 124 126 128 130 132 134 136

Filippine Polonia Portogallo Romania Repubblica di San Marino Arabia Saudita Serbia Singapore Repubblica di Slovenia Repubblica del Sudafrica Spagna Svizzera Turchia Ucraina Emirati Arabi Uniti Stati Uniti d’America Uruguay Repubblica dell’Uzbekistan Repubblica Bolivariana del Venezuela Padiglione Venezia


148 150 152 154

156

158 160

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Progetto Speciale Padiglione delle Arti Applicate Tropical Modernism: Architecture and Power in West Africa

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Eventi Collaterali A Fragile Correspondence Scotland + Venice Catalonia in Venice_ Following the Fish Climate Wunderkammer Diachronic Apparatuses of Taiwan Architecture as on-going details within landscape EUmies Awards. Young Talent 2023. The Laboratory of Education Radical yet possible future space solutions Students as Researchers: Creative Practice and University Education Tracé Bleu. Que faire en ce lieu, à moins que l’on y songe? Transformative Hong Kong

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Indice dei Partecipanti


Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali Partecipaz Partecipazioni Nazionali


Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali Partecipazioni zioni Nazionali Nazionali


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How do we learn to live in synthesized realities Can you create a place in nowhere – What about a place in no time

Biennale Architettura 2023


Albania

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A partire dalla rivoluzione cognitiva, l’umanità si adopera per modificare il proprio ambiente alterando contemporaneamente la propria coscienza e consapevolezza. All’alba del disordine tecnologico, ci troviamo di fronte a realtà che inevitabilmente altereranno la nostra coscienza e consapevolezza, forse nella stessa misura di quanto avvenuto con la rivoluzione cognitiva. La trasformazione digitale ha offuscato le distinzioni tra fisico e virtuale, tra realtà e finzione, tra artificiale e naturale. Le sue conseguenze possono essere felici o inquietanti, liberatorie od opprimenti, e si traducono in ambigue realtà sintetizzate con cui dobbiamo imparare a convivere. Il lavoro in Untimely Meditations or: How We Learn to Live in Synthesized Realities introduce un nuovo sistema composto da varie relazioni e intrecci tra gli esseri umani, l’ambiente naturale e la tecnologia espressa in due spazi civici a Tirana. Usando l’architettura come teoria performativa del tutto, partiamo dall’esistente e inseriamo i pochi nuovi elementi necessari a far emergere questo sistema complesso: un’area sportiva in cui, oltre agli sport, risaltano le infrastrutture; una foresta attentamente pianificata e continuamente monitorata che consente al suo ecosistema di evolversi liberamente; uno stadio che può essere uno spazio contemplativo al centro della città; un laboratorio per l’interazione e l’aggregazione umana; un lago artificiale che ospita la vita in tutte le sue forme e, nel contempo, una pista di atletica che si estende in città, coinvolgendoci tutti in un viaggio ritmico. — Era Merkuri, Martin Gjoleka Partecipazioni Nazionali

Commissario Elva Margariti, Ministro della Cultura della Repubblica di Albania Curatori heramarte Era Merkuri, Martin Gjoleka Partecipanti Martin Gjoleka Era Merkuri Ani Marku Geraldo Prendushi

Untimely Meditations or: How We Learn to Live in Synthesized Realities 7


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Collage, 2022. Courtesy Diego Arraigada Arquitectos Immagine dell’interno, 2022. Courtesy Diego Arraigada Arquitectos

Immagine dell’interno, 2022. Courtesy Diego Arraigada Arquitectos ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Argentina Nell’ambito di The Laboratory of the Future, il padiglione argentino studia El Futuro del Agua (il futuro dell’acqua). L’acqua è indissolubilmente connessa al destino della vita sul pianeta, e i suoi legami con la geografia e con il clima hanno plasmato le caratteristiche della biosfera nel corso di milioni di anni, in un rapporto da cui dipenderà anche l’avvenire. In qualsiasi scenario futuro, il ruolo dell’acqua sarà fondamentale. L’habitat umano e l’acqua si sono sempre definiti reciprocamente. Durante i secoli, con la tecnologia e la cultura abbiamo sviluppato interventi mirati da un lato a garantire la disponibilità dell’acqua e i suoi benefici, e dall’altro a mitigarne gli effetti negativi. È proprio l’attività umana che ha dato origine agli attuali eccessi e squilibri: la futura disponibilità di acqua dolce, la capacità di fiumi e oceani di smaltire i rifiuti o il conseguente aumento del livello del mare sono aspetti che potranno condizionare radicalmente la vita sul pianeta. La mostra presenta le molteplici facce e proporzioni dell’acqua in tutto il Paese. Rendendo visibili le risorse idriche, nonché i modi e le azioni con cui ci rapportiamo a esse, potremo interpretare meglio il nostro rapporto con l’acqua e promuovere una riflessione sulle iniziative future. Entrando nel padiglione ci accoglie un’atmosfera tranquilla, quasi surreale, assai diversa da quella esterna. Notiamo che un fluido blu ha inondato la parte inferiore del padiglione, mentre la parte superiore rimane intatta: non tanto un liquido reale, quanto un unico colore che copre tutto fino a una quota perfettamente orizzontale a settanta centimetri di altezza. Su questo liquido intangibile si dispongono liberamente piani bianchi di luce, con il disordine proprio delle cose che galleggiano. Questi piani sono la parte superiore di grandi tavoli luminosi, come quelli che si trovano nei laboratori fotografici o come tavoli da disegno. Su di essi sono disposte slide che presentano la mostra, suddivise per tema. La luce diffusa che pervade l’intero spazio accentua l’illusione liquida del luogo. Lo spazio è strutturato in base a un glossario di termini che comprende tutte le dimensioni dell’acqua. Ciascun tavolo espone uno specifico lemma e immagini in relazione con esso, mettendo così in evidenza nuove relazioni tra l’acqua, il territorio, le città e una selezione di architetture argentine recenti. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Paula Vázquez Curatore Diego Arraigada Organizzazione e altre collaborazioni Sofía Rothman Paula Pasquinelli Francisco Falabella Tomás Marciali Nicolás Alvarez Manuel Bianchi Facundo Spina Con il supporto di Ministero degli Affari Esteri, del Commercio Internazionale e del Culto Argentino, Argentina

El Futuro del Agua 9


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Aileen Sage, Djinjama, Jean Rice, Noni Boyd & City of Sydney, Redfern Community Facility, 2022. Illustrazione a cura di Aileen Sage Sarah Rhodes, dalla serie Isolation 2022, 2021

Hurst, Bird, Pedisic con Piccoli & Ramsey e gli studenti della UniSA MArch, Revolutionary Terrains, 2020 ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Australia L’identità dell’Australia è costruita su una doppia frattura: l’espropriazione delle terre dei Primi Popoli e lo sradicamento delle popolazioni di coloni dalle loro terre d’origine. La ricchezza del Paese si basa su un rapporto estrattivo con la natura, ritenuta una riserva permanente di sfruttamento. Dominio del Commonwealth, lo Stato australiano è legato alla Corona britannica. Questa struttura di relazioni con la terra, le persone e la natura è inscritta nei modelli dei suoi insediamenti: la sua architettura è il linguaggio spaziale di questa inscrizione. Queenstown è il nome che diamo a questo intreccio di relazioni. Alla fine della seconda epoca elisabettiana, mentre la voce dei Primi Popoli chiede una resa dei conti e le urgenze planetarie incalzano, la configurazione stabilita di questa contestata eredità è messa in discussione. Queenstown viene destabilizzata. La mostra indaga questo sconvolgimento e vi partecipa intrecciando elementi di luoghi reali e spunti raccolti dagli attuali dati architettonici alla ricerca di ingredienti per contribuire al ‘laboratorio del futuro’. Queenstown è una costruzione reale e al tempo stesso immaginaria, e di Queenstown ce ne sono molte. Questa mostra attinge a due Queenstown reali per costruirne una versione fittizia. La prima è una città coloniale di estrazione del rame sull’isola di Lutruwita/Tasmania. Qui le depredazioni del colonialismo e dell’estrattivismo si mostrano con particolare chiarezza, mentre all’interno dei suoi spazi si delineano i contorni di un futuro alternativo. Il cuore della mostra è costituito da un frammento sospeso del belvedere ad arco dell’Empire Hotel della città, un fantasma coloniale delineato mediante tubi di rame che racchiude le voci della comunità e incornicia paesaggi suggestivi, immergendo lo spettatore nel suo oscuro magnetismo. I nomi e le narrazioni di Queenstown oscurano quelli dei precedenti insediamenti; il Paese aborigeno è sovrascritto dalle mappe coloniali. Un processo di demappatura accompagna la rivisitazione di Queenstown. Frammenti di una cartografia critica del Paese ‘demappato’, che combina nomi di luoghi aborigeni ed elementi tratti dalla seconda Queenstown su Kaurna Yarta/Adelaide, in South Australia, adombrando lo spettro coloniale. Un archivio aperto di tattiche e metodi della pratica contemporanea, che affrontano temi di temporalità e narrativa, completa la mostra, offrendo aperture verso un futuro reinventato che trascende i confini delle numerose Queenstown che abbiamo ereditato. — Anthony Coupe, Julian Worrall, Ali Gumillya Baker, Emily Paech, Sarah Rhodes Partecipazioni Nazionali

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Commissario Janet Holmes à Court AC Curatori Anthony Coupe Julian Worrall Ali Gumillya Baker Emily Paech Sarah Rhodes Organizzazione Australian Institute of Architects Con il supporto di Brickworks SMEG Australia Council for the Arts The University of Melbourne Office for Design and Architecture South Australia The University of New South Wales Lyons Janet Holmes à Court AC Monash University Arney Fender Katsalidis Turnbull Foundation Hillam Architects Kennedy Nolan Cera Stribley Denton Corker Marshall TKD Architects Mirvac Design Bespoke Careers Anita Belgiorno-Nettis AM e Luca Belgiorno-Nettis AM Dulux ARM Architecture The University of Queensland Architectus Archisoul Architects Framed Future Moloney Architects Bureau Proberts Allen Jack+Cottier Penelope Seidler AM Architecture Australia Fender Katsalidis Wax Design Ashley Halliday Architects

unsettling Queenstown 11


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Diagrammi del Padiglione: prima dell’intervento (sinistra), diniego alla demolizione del muro (centro), variante con ponte (destra). © AKT & Hermann Czech

Biennale Architettura 2023


Austria

“Partecipazione” è stata una delle rivendicazioni centrali degli anni Settanta per una Biennale aperta, democratica, così come lavorare in situ nel contesto della città. Partecipazione / Beteiligung, il contributo austriaco alla Biennale Architettura 2023, riprende questi due approcci e li trasferisce nella realtà contemporanea del centro storico di Venezia. Il padiglione austriaco si trova presso il confine nord-est dell’area dei Giardini. Qui, La Biennale, come exclave del turismo artistico internazionale, è nel sestiere di Castello, uno dei sestieri di Venezia prevalentemente abitato da gente del posto e oggi una delle sue aree di sviluppo più controverse. Entrambi questi territori coesistono come spazialmente non correlati. Il collettivo di architettura viennese AKT e l’architetto Hermann Czech stanno trasferendo la separazione tra La Biennale e la città all’interno del padiglione per lasciar spazio al pubblico urbano: una Biennale che si apre verso la città senza diffondersi in essa, ma invertendo la pratica spaziale. A tal fine e da quasi due anni, AKT e Hermann Czech collaborano di concerto con le iniziative locali. Per l’intera durata della mostra, La Biennale cede parte del suo nucleo storico – mezzo padiglione – al quartiere adiacente come spazio pubblico di aggregazione. Spostando il confine storico, partecipando all’area del padiglione, si stabiliscono nuove condizioni spaziali e una modificata accessibilità che consentono di condensare spazialmente e di negoziare produttivamente il rapporto tra la città e La Biennale: la costruzione di un “Laboratorio del Futuro”. Se, per le resistenze poste dalla Biennale e/o dalle istituzioni coinvolte, l’apertura alla città non dovesse compiersi, questo insuccesso costituirà il contenuto politico della mostra. L’intervento architettonico per il progetto sarà realizzato a eccezione del collegamento e diventerà l’oggetto centrale della mostra. La metà del padiglione non accessibile al pubblico diventerà visibile ai visitatori della Biennale come un’occasione mancata di partecipazione. La mancata realizzazione e le sue ragioni saranno documentate e contestualizzate nel corso della mostra. Le dimensioni politiche della responsabilità delle istituzioni culturali saranno così esposte al pubblico internazionale in modo ancora più vivo e urgente. — AKT & Hermann Czech Partecipazioni Nazionali

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Commissario Divisione Arti e Cultura del Ministero Federale per le Arti, Cultura, Servizio Civile e Sport di Austria Curatori e partecipanti AKT (Fabian Antosch, Gerhard Flora, Max Hebel, Adrian Judt, Julia Klaus, Lena Kohlmayr, Philipp Krummel, Gudrun Landl, Lukas Lederer, Susanne Mariacher, Christian Mörtl, Philipp Oberthaler, Charlie Rauchs, Helene Schauer, Kathrin Schelling, Philipp Stern and Harald Trapp) & Hermann Czech Design AKT & Hermann Czech Coordinamento di progetto section.a Stampa e media Neumann + Luz Network Progetto grafico Soybot Ingegneria strutturale Bollinger + Grohmann Supporto in loco M+B studio Per conto del Divisione Arti e Cultura del Ministero Federale per le Arti, Cultura, Servizio Civile e Sport di Austri Con il supporto di Land Oberösterreich Land Kärnten Land Niederösterreich Lanz Salzburg Stadt Salzburg

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Sponsor principali Kallinger Projekte BIG Fogarassy Privatstiftung Geyer & Geyer Triflex Buwog Laufen Zumtobel Bundeskammer der Ziviltechniker*innen I Arch + Ing Arwag Barta M.A.I. Vinofaktur Architektenkammer Wien, Niederösterreich, Burgenland ÖSW Monika Kaesser Bioweingut Lenikus Bollinger + Grohmann Ingenieure Gebrüder Thonet Vienna University of Applied Arts Vienna Gerin Druck Renderhouse Dérive

Partecipazione / Beteiligung 13


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Sistemi di raffreddamento aggregati nell’Area Diplomatica, Bahrain, 2023. Courtesy Autorità del Bahrain per la Cultura e le Antichità. © Hussain Almosawi Bacino idrografico di Buhair Valley, Bahrain, 2023. Courtesy Autorità del Bahrain per la Cultura e le Antichità. © Hussain Almosawi

Biennale Architettura 2023


Regno del Bahrain A partire dalla metà del XX secolo, i meccanismi di raffreddamento hanno protetto gli abitanti del Bahrain da condizioni di forte caldo e umidità. La resilienza generazionale al caldo non è più un’eredità necessaria, la tecnologia di raffreddamento è stata adottata come infrastruttura a favore del comfort. Con un aumento previsto della temperatura di 5°C entro la fine del secolo, la regione è al limite estremo sia della carenza idrica sia del calore. L’uso di tali sistemi è, e continuerà a essere, non solo inevitabile, bensì necessario. Esiste un’ecologia tra flora, fauna e unità di raffreddamento. Tuttavia, il sistema di condizionamento è spesso isolato. Il clima lega questi tre elementi, meglio esemplificati dalle proporzionali richieste tra raffreddamento umano e fabbisogno di acqua del mondo vegetale durante tutto l’anno. Il padiglione del Bahrain identifica gli aspetti non risolti delle infrastrutture di raffreddamento, indagando su quanto esse offrono in termini di produzione di acqua. Gli habitat chiusi si comportano come vasi di condensazione. Nel garantire un’esperienza piacevole e riparata, trasudano umidità. Gli edifici lo fanno in due modi: deliberatamente, deumidificando l’aria immessa nelle abitazioni, raccogliendo riserve d’acqua dall’atmosfera; e involontariamente, a causa di un’ossessione per le superfici trasparenti della modernità. Una volta accumulati, questi serbatoi d’acqua hanno un immenso potenziale. Tuttavia, allo stato attuale, sono dati per scontati in un ambiente scarso di acqua, e vengono semplicemente immessi nei flussi di acque reflue. Infrastrutture come ospedali, aeroporti, centri commerciali e data centre utilizzano un raffreddamento importante e continuo che crea grandi depositi d’acqua. Le indagini quantificano e ipotizzano l’utilizzo di bacini non sfruttati, che possano alleviare il fabbisogno idrico attualmente soddisfatto dalla desalinizzazione e dai sacrifici ambientali. Sweating Assets sostiene un approccio adattivo alla gestione delle risorse lavorando con i sistemi esistenti per sfruttarne al meglio le capacità piuttosto che installarne di nuovi. Non incoraggiando in alcun modo l’uso dispendioso dei sistemi di raffreddamento, si scoprono le possibilità offerte dal loro necessario consumo. Nelle intense condizioni di calore e umidità del Bahrain, l’aria condizionata produce una condensa proporzionalmente elevata. Utilizzando questo sottoprodotto non intenzionale dell’attività antropogenica, le questioni in sospeso vengono risolte convogliando l’acqua in altre parti all’interno di una più ampia ecologia. Partecipazioni Nazionali

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Commissari Shaikh Khalifa bin Ahmad Al Khalifa Autorità del Bahrain per la Cultura e le Antichità Curatori Maryam Aljomairi Latifa Alkhayat Partecipanti Waleed Alzubari Reem Al Maella Alanood Alkhayat Alya Ali Chenyue xdd Dai Hajar Budhahi Hussain Almosawi Hsin-Ying Huang Yi-Liang Ko Khushi Nansi Marwa Al Koheji Maryam Al Noami Melad Alfulaij Nada Almulla Nasser Al Zayani Natalie Pearl Nujud Alhussain Rabeeya Abduljabbar Saleh Jamsheer Sara Ali Sasha McKinlay Shan-Chun Wen Vijay Rajkumar Zicheng Xu Collaborazione Aeris Group HVAC consultant

Sweating Assets 15


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Bento, Genesis of Therolinguistics, 2023. Schizzo a matita. © Bento

Biennale Architettura 2023


Belgio

Come possiamo ripensare l’architettura in un mondo di risorse limitate? Ci stiamo rendendo conto che gli impatti generati dalle nostre scelte hanno conseguenze sul lungo, lunghissimo periodo, sia in termini di occupazione degli spazi sia di utilizzo dei materiali. Ora più che mai, queste scelte sono politiche. È urgente cambiare i nostri modi di produzione, e anche ripensare la produzione stessa, ancora troppo spesso considerata in un contesto di politica estrattivista. È altresì urgente concepire nuovi modi di vivere. Proponiamo di sperimentare delle alternative auspicabili per i nostri territori e le nostre città; alternative realizzate a partire dalle persone che ci vivono e ne compongono il tessuto, e con la loro collaborazione. In breve, esperimenti con i quali prolungare, estendere e anche rispettare i molteplici (e spesso trascurati) accordi tra esseri umani e non umani, viventi e non viventi... Più concretamente, proponiamo la possibilità di stringere un’alleanza con i funghi, che possono costituire un materiale da costruzione altamente disponibile, sostenibile, poco costoso nonché rinnovabile per autoproduzione. Abbiamo acquisito una certa competenza in materia! Il padiglione In Vivo offrirà un tempo e un luogo per il pensiero critico, soprattutto perché si discuterà di questioni di responsabilità, di considerazione degli altri esseri e di giustizia in relazione all’abitare e al costruire. Ma la sua forza sarà definita soprattutto da proposte concrete e creative per un invidiabile futuro dell’abitare, per il quale il territorio della Fédération Wallonie-Bruxelles sarà un punto di partenza da cui pensare, elencare, affermare, confermare, revocare, progettare, fantasticare e, soprattutto, sognare. La proposta si struttura in tre parti, secondo una spazialità e una temporalità intrecciate. Mentre un’installazione centrale segnerà la concretizzazione di un impegno nella decarbonizzazione della costruzione – costruita con un pavimento di terra, uno scheletro di legno e una buccia di fungo – il catalogo sarà il luogo e il tempo di una proiezione nel futuro, tramite il racconto dell’ingresso in una nuova era biologica. Al centro della storia, il vivente trova la sua incarnazione materiale nel micelio, le cui specificità e possibilità, tra contenimento, generazione e rigenerazione, ci porteranno a pensare diversamente l’Architettura. — Bento e Vinciane Despret Partecipazioni Nazionali

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Commissario Fédération Wallonie-Bruxelles (Architecture Department) Curatori Vinciane Despret Bento Partecipanti Vinciane Despret Bento in collaborazione con Corentin Mahieu Juliette Salme Corentin Mullender PermaFungi BC materials Sonian Wood Coop Organizzazione Fédération Wallonie-Bruxelles in collaborazione con Wallonie-Bruxelles International Architetti Bento Corentin Dalon, Florian Mahieu e Charles Palliez Designer Corentin Mahieu Antropologa Juliette Salme Microbiologo Corentin Mullender Ricercatori Étienne Blais, Elise Elsacker, Simon Vandelook, Eveline Peeters, Lars Dittrich (VUB) Video Kluut Paul Thoreau e Rodolphe de Brabandere Progettista del suono Pierre-Marie Blind Fornitori BC materials Sonian Wood Permafungi Logistica generale Rebiennale Con il supporto di Université de Liège Vlaams Universiteit Brussel Reynaers aluminium JCX Nüesch Development Thrasos

In Vivo 17


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Aterramento [Grounding]. Studio per installazione, 2023. © Gabriela de Matos e Paulo Tavares Esempio di deforestazione presso il fiume Uaupés, Alto Rio Negro, Amazzonia, 2022. © Fellipe Abreu

Nassa (cacuri) tra gli scogli di Cachoeira do Iauretê, un sito molto noto tra le popolazioni indigene Tukano, Arawak e Maku, 2008. © Vincent Carelli / Vídeo nas Aldeias ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Brasile Terra costituisce un motivo fondante nelle narrazioni della formazione del Brasile. Le rappresentazioni dell’identità nazionale, forgiate in un Paese delle dimensioni di un continente, sono state storicamente governate da visioni idealizzate e razzializzate della frontiera e della natura tropicale, che rendevano subalterni i popoli indigeni e neri. Terra è anche un motivo fondante nelle cosmologie, nelle filosofie e negli immaginari delle popolazioni indigene e afro-brasiliane che costituiscono la maggior parte della matrice culturale nazionale. Ma qui terra appare in una forma diversa, disegnando territori ancestrali e diasporici che rimandano a geografie artistiche e architettoniche più profonde e che vanno oltre il Brasile. Indicano un altro senso della terra – come appartenenza, coltivazione, diritto – e quindi altri immaginari del Brasile, e del pianeta Terra, come passato e futuro, come patrimonio e piano di sviluppo, come riparazione e progetto. Intitolata Terra, la rappresentazione del Brasile attinge da quest’altra prospettiva: terra come suolo, terreno, territorio; terra come roça (debbio) e terreiro (cortile o luogo di culto). Ma anche Terra nella sua dimensione globale e cosmica, come casa comune di tutta la vita, umana e non. Terra come ascendenza e memoria, terra come divenire, osservare il patrimonio paesaggistico costruito dalle popolazioni indigene e nere come modo per espandere e politicizzare il campo dell’architettura rispetto alle questioni urbane, territoriali e ambientali più urgenti a livello globale. Il padiglione si apre con racconti che mettono in discussione il canone di Brasilia, Patrimonio dell’Umanità. Contrariamente agli immaginari di frontiera del vuoto e del deserto che hanno caratterizzato la pianificazione della capitale modernista, questa terra è territorio ancestrale indigeno e quilombo. La seconda sala, intitolata Places of Origin, Archaeologies of the Future, espone architetture indigene e afrobrasiliane recentemente riconosciute dall’Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional (IPHAN). Queste non solo presentano una visione decoloniale del patrimonio, ma, attraverso la loro profonda connessione con la terra e le tecnologie di progettazione messe in atto, portano anche alternative per la riparazione del pianeta di fronte alla crisi ecologica. Seguendo gli insegnamenti di Ailton Krenak, il padiglione riconosce che “il futuro è ancestrale”, mostrando architetture e paesaggi che ci offrono un futuro radicalmente nuovo ma già esistente e teso verso la comunanza, l’uguaglianza e la giustizia. — Gabriela de Matos, Paulo Tavares Partecipazioni Nazionali

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Commissario José Olympio da Veiga Pereira presidente della Fundação Bienal de São Paulo Curatori Gabriela de Matos Paulo Tavares Partecipanti Ana Flávia Magalhães Pinto Ayrson Heráclito Day Rodrigues con la collaborazione di Vilma Patrícia Santana Silva Fissura collective Ilê Axé Iyá Nassô Oká Casa Branca do Engenho Velho Juliana Vicente Popolo indigeno Mbya-Guarani Tecelãs do Alaká Ilê Axé Opô Afonjá Thierry Oussou Popoli indigeni Tukano, Arawak e Maku Vídeo nas Aldeias Organizzazione Fundação Bienal de São Paulo Ministero della Cultura Ministero degli Affari Esteri / Ambasciata del Brasile a Roma

Terra 19


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Alexander Dumarey, Rayovo, 2017. © Alexander Dumarey Alexander Dumarey, Levunovo, 2010. © Alexander Dumarey

Biennale Architettura 2023


Bulgaria

Dopo quindici anni la Bulgaria torna alla Biennale Architettura. Durante questo periodo, la popolazione del Paese è diminuita di oltre il 10%, ovvero di circa 700.000 persone. È una tendenza costante, iniziata a metà degli anni Ottanta, poco prima della caduta del muro di Berlino, e accelerata da decrescita demografica, migrazioni, assistenza sanitaria inadeguata e così via. Sulla base degli ultimi studi, non c’è regione del Paese in cui si registri una crescita demografica. Il Paese segna il maggior calo demografico su scala globale e si prevede che un altro 22% degli abitanti scomparirà entro il 2050. A mano a mano che la popolazione diminuisce, ci sono sempre meno bambini a riempire le scuole, che ogni anno chiudono i battenti a decine. Solo nel 2008, più di trecento scuole non hanno riaperto dopo l’estate. Alcuni degli edifici sono stati ristrutturati e riutilizzati come abitazioni o come alberghi, ma la maggior parte è stata abbandonata. La mostra è incentrata sulle tracce dell’esistenza, sullo spopolamento e sulle scuole abbandonate della Bulgaria. È l’esplorazione di un futuro diverso, segnato dal declino urbano e dalla fuga dal mondo rurale. Come gestire il calo demografico delle regioni? Come affrontare la conservazione? Come adattarsi al cambiamento? Il padiglione diventa una piattaforma di dibattito e riflessioni sul futuro. Le immagini del fotografo belga Alexander Dumarey, che nel corso dei suoi viaggi ha documentato il processo di decadimento, mettono in luce le tracce della presenza umana, le ingiurie del tempo e l’obsolescenza. Concentrarsi sulle scuole gli permette di illustrare la complessità della questione su più livelli. L’assenza di una nuova generazione, la portata dell’abbandono e l’immagine di un’architettura priva di scopo sono spunti di riflessione e argomenti da affrontare. Alexander è estraneo al contesto bulgaro, un osservatore di spazi di cui un tempo facevamo tutti parte, ma che in qualche modo abbiamo deciso di abbandonare e dimenticare. Nell’osservare le sue immagini siamo intrusi che guardano in maniera voyeuristica dove non dovremmo; eppure, questi spazi provocano un forte senso di appartenenza e richiamano ricordi e associazioni. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Alexander Staynov Ministero della Cultura Curatore Boris Tikvarski Partecipanti Alexander Dumarey Mariya Gyaurova Bozhidara Valkova Mike Fritsch Kostadin Kokalanov Collaborazioni Mihail Novakov Valentin Bansac Alice Loumeau Luca Moscelli Antonina Ilieva Antonina Tritakova Georgi Sabev Marin Kafedjiiski Lilyana Todorova Galina Milkova Nedko Nikolov Monika Marinova Social media marketing D3 design Sviluppo web Onvocado Ltd. Stoyan Staynov Produzione video Twin Pickles Mihail Novakov, Marin Kafedjiiski Grafica animata Marin Zlatev Con il supporto di Ministero della Cultura Chamber of Architects in Bulgaria Union of Architects in Bulgaria Vidin Municipality Izgrev Municipality ROI CAPITAL ALPIN HOME Ltd. AAG - ANDREY ANDREEV GROUP

Education Is the Movement from Darkness to Light 21


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Chris Lee, poster AAHA, 2023

Biennale Architettura 2023


Canada

Il c\a\n\a\d\a soffre di una crisi abitativa profonda e prolungata, che va dalla diffusa mancanza di accessibilità economica alla carenza di alloggi, alla precarietà abitativa e al problema dei senzatetto. La speculazione immobiliare è depauperativa. Trasforma le case in beni spazio-finanziari e nel processo cambia la forma, la funzione e l’estetica delle abitazioni per meglio servire le logiche dell’accumulo di ricchezza e della speculazione. Si tratta di processo violento che crea un ambiente urbano sistematicamente razzista, sessista e classista. È un fenomeno globale particolarmente evidente in c\a\n\a\d\a, un Paese la cui economia è ora in gran parte trainata dal settore immobiliare. La finanziarizzazione è solo l’ultima accelerazione di un processo iniziato con l’espropriazione coloniale della terra, che ha aggredito i modi di conoscenza e modalità di comportamento indigeni e ha tentato di sostituirli con la terra concepita come proprietà privata. La moderna proprietà assoluta è essa stessa una costruzione storicamente specifica formatasi dall’incontro tra europei e indigeni in contesti coloniali, tra cui il Nord America francese e britannico. Unica nei suoi diritti di esclusione e scambiabilità, questa nuova forma di proprietà in cui qualcosa di così fisso e radicato come la terra viene messo in circolazione è la base di ciò che David Madden e Peter Marcuse hanno definito “alienazione residenziale”. L’alienazione collega la crescente scambiabilità dell’alloggio all’insicurezza esistenziale che le persone provano e sperimentano a questo riguardo. Per noi l’alienazione abitativa, l’estraniazione derivata dall’istantanea scambiabilità di una merce, rappresenta la rottura di tre forme di connessione, la prima con la terra che abitiamo, la seconda con il mondo sociale che ci sostiene, la terza con la nostra capacità di modellare creativamente il nostro ambiente. Not for Sale!! è una campagna che si sviluppa in dieci richieste per porre fine all’alienazione abitativa. Il padiglione del Canada è il quartier generale della campagna, che collega architetti, sostenitori e attivisti all’interno del crescente movimento per l’accessibilità fisica ed economica degli alloggi. Architects Against Housing Alienation sta mobilitando i canadesi nella richiesta di alloggi socialmente, ecologicamente e creativamente vantaggiosi per tutti. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Canada Council for the Arts Curatori Architects Against Housing Alienation (AAHA) Adrian Blackwell, David Fortin, Matthew Soules, Sara Stevens, Patrick Stewart, Tijana Vujosevic Partecipanti A Better Tent City Waterloo Region Affordable Housing Association of Nova Scotia Alex Wilson, University of Saskatchewan At Home in the North Atelier Big City Bâtir son quartier Blackwell Canadian Cohousing Network Centre d’écologie urbaine de Montréal (CEUM) Comité logement Ville-Marie CP Planning (Community in Public) David T Fortin Architect Inc. FBM architecture • interior design • planning Gentrification Tax Action Grounded Architecture Inc. Haeccity Studio Architecture Idle No More Ipek Türeli, McGill University Interloge Katlia Lafferty, National Indigenous Housing Network Keele Eglinton Residents L’OEUF Architects Lancelot Coar, University of Manitoba LGA Architectural Partners Luugigyoo, Patrick R. Stewart Architect, Nisga’a Nation Maison du développement durable Maison du Savoir et de la Littérature by Maison des gens de lettres Navigator Street Outreach Program One House Many Nations Ouri Scott, Urban Arts Architecture Inc. Parkdale Neighbourhood Land Trust

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Sarah Silva, Hiyam Housing, Squamish Nation Shawn Bailey, University of Manitoba SOCA (Studio of Contemporary Architecture) SOLO Architecture SvN Architects + Planners Sylvia McAdam, Windsor University Table de concertation du Faubourg Saint-Laurent This Should Be Housing Toronto Tiny Shelters tuf lab Xalek/Sekyu Siyam Chief Ian Campbell, Sk_ wx_ wú7mesh Úxwumixw (Squamish Nation) Progetto grafico Chris Lee Progettazione web Ali S. Qadeer Campaign strategist Vince Tao Progetto di ricerca + Team di progetto David Kalman Josephine Li Piero Sovrani Noa Wang Produzione e montaggio film Marie-Espérance Cerda Social media content creators Kara Crabbe Lee-Ann Kam Anaïs Trembling Logistica del progetto Tamara Andruszkiewicz Con il supporto di School of Architecture and Landscape Architecture, University of British Columbia School of Architecture, University of Waterloo Royal Architectural Institute of Canada Ontario Association of Architects Architecture Foundation of British Columbia Fedrigo Fratelli

Not for Sale!! 23


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Instituto Agrícola; Alumnos en el Campo Experimental de La Estación Agronómica, 1908, a cura di Eduardo Poirier, Chile en 1908, Imprenta Barcelona, Santiago del Cile 1909, p. 42. Semi raccolti presso il Parco Naturale di Los Molles, Cile, 2023. © Moving_Ecologies

Semi raccolti presso il Parco Naturale di Los Molles, Cile, 2023. © Moving_Ecologies ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Cile

Nell’angolo nordoccidentale del parco Quinta Normal di Santiago del Cile si trovano quattro palme del Senegal (Phoenix reclinata), una pianta originaria dell’Africa che, insieme a centinaia di altre specie da tutto il mondo, è stata portata a far parte della collezione che dal 1842 funge da laboratorio naturale in cui è stato concepito il futuro agricolo, botanico, paesaggistico ed ecologico del territorio nazionale. Nel parco Quinta Normal, architettura e scienza hanno permesso di immaginare il futuro dei paesaggi e delle città di un Paese che si affacciava alla modernità, in un progetto di trasformazione e assetto spaziale di un intero territorio, realizzato attraverso un catalogo e una collezione botanica. Un vero e proprio insieme cosmopolitico in cui elementi non umani, in collaborazione con l’architettura, l’ingegneria e la pianificazione, hanno colonizzato, modificato e creato ecologie per i futuri immaginati nei primi anni del Cile moderno. Oggi le sfide del futuro non si concentrano sul progresso e sulla produzione, ma piuttosto sull’ecologia restaurativa di città e paesaggi deteriorati da un modello estrattivo di crescita economica. Scenari per i quali l’architettura e l’urbanistica non avranno bisogno solo di strumenti tradizionali, ma anche di un inventario completo delle piante e della materia vegetale che permetta di approntare un futuro guidato dalla cura comune, dalla biodiversità e dall’interdipendenza tra le specie. Un futuro che sarà allo stesso tempo progettato e piantato, costruito e coltivato, fatto di architettura e semi, città ed ecologie. Questi futuri si sono già manifestati. Dalla scienza e dall’architettura del paesaggio, dalle specie che viaggiano all’interno di ecologie in movimento, rimediando ai danni che abbiamo causato, partendo dalle rovine di uno stile di vita capitalista. L’obiettivo di questa mostra è immaginare questo inventario: la collezione e lo schedario delle specie che prepareranno i mondi a venire. Una mostra che apre il dibattito sui nostri possibili futuri, umani e non umani, a partire dalle storie naturali raccontate dalle specie mobilitate per affrontare i rischi, le minacce e le possibilità delle comunità, delle città e dei territori del futuro. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Cristobal Molina Ministero delle Culture, delle Arti e del Patrimonio del Cile Curatori Gonzalo Carrasco Purull Beals & Lyon Arquitectos Progetto del padiglione Gonzalo Carrasco Purull Alejandro Beals Vaccaro Loreto Lyon Nuño Ricerche Gonzalo Carrasco Purull Consulenza ecologica Macarena Calvo Tagle Cristóbal Elgueta Marinovic Direzione artistica Belén Salvatierra Meza Identità visiva Constanza Gaggero Silva Collaborazione architettonica Stefano Sciaraffia Henriquez Consulenza illuminotecnica Aquiles Pavez Toro Organizzazione Ministero delle Culture, delle Arti e del Patrimonio del Cile Con il supporto di Divisione delle Culture, delle Arti, del Patrimonio e della Diplomazia pubblica (DIRAC), Ministero degli Affari Esteri del Cile

Moving Ecologies 25


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Ruan Xing, ‘Oumoumou, padiglione cinese, vista interna della mostra, 2023. Multiinstallazione. © ‘Oumoumou Ruan Xing, ‘Oumoumou, padiglione cinese, sala espositiva, 2023. Multiinstallazione. © ‘Oumoumou

Ruan Xing, ‘Oumoumou, padiglione Cinese, vista interna della mostra, 2023. Multi-installazione. © ‘Oumoumou ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Al fine di promuovere un futuro più vivibile e sostenibile, gli architetti dovrebbero imparare dal passato e integrare, nella progettazione dell’ambiente costruito, aspetti quali giustizia climatica, energia pulita, uguaglianza sociale e altri temi significativi del nostro tempo. Questo è il programma al centro di The Laboratory of the Future. Negli ultimi quarant’anni, gli architetti cinesi hanno avviato una vasta gamma di esperimenti di rinnovamento urbano e rurale, esplorando un mondo simbiotico in cui persone diverse possono comunicare, condividere e coesistere al meglio. La mostra racconta gli esperimenti cinesi nel modellare la vivibilità in ambienti costruiti ad alta densità. Il padiglione della Cina utilizza più di quaranta colonne simili a pergamene per dar vita all’esperienza di trovarsi in una metropoli. ‘Guardando’, ‘dispiegando’, ‘contemplando’ e ‘passeggiando’ all’interno del padiglione, i visitatori si trovano di fronte a una storia cinese unica nel suo genere. Tre serie di dati illustrano la narrazione cinese della densità. Dal 1978 al 2023, la popolazione di Shanghai è passata da 11 a 25 milioni, mentre lo spazio abitativo pro capite è aumentato da 4,5 a 37,4 metri quadrati. La densità è un enigma architettonico. L’installazione all’aperto del padiglione cinese rappresenta la densità come ‘modello matematico’. La mostra interna è illustrata qui di seguito. Gli architetti cinesi hanno perseguito a lungo ambienti vivibili e sostenibili in contesti di alta densità. L’interdipendenza tra città e persone si può notare in scene urbane sensazionali, come tram che attraversano edifici e giustapposizioni/evoluzioni di densità diverse. La simbiosi tra persone e natura crea una vita rurale reinventata, dando nuova forma al senso di ‘casa’. Shanghai è la “Metropolis Fantastica”, dove prospera la diversità. Le sue vivide manifestazioni di vita possono essere raffigurate da “nodi, linee e interfacce”. I “nodi” rappresentano le interazioni tra residenti locali e rider, a dimostrazione della comodità di vivere a Shanghai. Le “linee” catturano piccoli spazi pubblici in quartieri densamente popolati, presentando un momento di svago unico della vita di Shanghai. Le “interfacce” consistono in una varietà di facciate di edifici, a dimostrazione di una forte capacità di Shanghai di adattarsi alle diverse esigenze. Con l’innovazione tecnologica dell’energia pulita, delle auto e delle città elettriche, della realtà virtuale e altro ancora, i cambiamenti di densità demografica potrebbero entrare in risonanza con un’ecologia urbana rinnovata nelle città postindustriali. In che modo un’era di energia pulita può promuovere città più vivibili, efficienti, condivise e giuste? — Ruan Xing Partecipazioni Nazionali

Repubblica Popolare Cinese

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Commissario China Arts and Entertainment Group (CAEG) Curatore Ruan Xing Partecipanti Bo Hongtao Cai Chunyan/Liu Tao Du Chunlan Fan Beilei/Kong Rui/Xue Zhe Guo Yuchen/Yang Siqi/Zhan Beidi/Jiang Boyuan/Wang Jingwen/Yang Shuo He Jianxiang/Jiang Ying He Mengjia Huang Huaqing Huang Yinwu Kong Yuhang/Yang Wei Li Danfeng/Zhou Jianjia Li Xinggang Liu Doreen Heng Liu Kenan/Zhang Xu Liu Moyan/Su Peng/Ju Anqi/ Ying Shijiao/Li Yuanyuan/Song Jiawei Liu Yuyang Long Ying Luo Jing/Yu Borou Meng Fanhao Qian Shiyun Ruan Xing/Zhang Yang Shui Yanfei Song Yehao Sun Haode/Student Team SJTU Tong Ming/Ren Guang/Guo Hongqu Wang Dan/Li Zhibo Wang Qiu’an

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Wang Xin/Sun Yu Wang Yan Wang Zhuo’er Xu Xunjun/Zhang Xudong/ Pang Lei Yang Yongliang Zhang Bin Zhang Hai’ao/Xu Hang/Li Di Zhang Jiajing Zhang Li/Zhao Peng/Ye Yang Zhang Ming/Zhang Zi/Qin Shu/ Su Ting Zhang Tong/Aldo Aymonino Zheng Xiaodi Zhou Wei Zhuang Shen/Ren Hao/Tang Yu/Zhu Jie Zhuang Ziyu Atelier Deshaus Arcplus Group - ECADI East China Architectural Design & Research Institute Arcplus Group - Institute of Shanghai Architectural Design & Research (Co., Ltd.) CBC Building Centre Chongqing Architectural Design Institute of Chongqing Design Group Assistente al Curatore Zhang Hai’ao Supporto accademico Shanghai Jiao Tong University Organizzazione Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica Popolare Cinese

Renewal: A Symbiotic Narrative 27


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Same as it Ever Was, Biennale Architettura 2023. Photo Mia Roth. © Padiglione croato

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Same as it Ever Was, Biennale Architettura 2023. Photo Marko Mihaljevic. © Padiglione croato

Biennale Architettura 2023


Croazia Il padiglione croato è un’ode agli ambienti in cui coesistono selvaggio e addomesticato, naturale e costruito, inanimato e vivente. Trae origine dalle aree umide del Lonja, in cui secoli di simbiosi tra un paesaggio in costante mutamento e le comunità che vi si sono adattate hanno permesso l’evolversi di ambienti dinamici. Documenta la lentezza del cambiamento naturale, le prospettive di piante e animali, distogliendo lo sguardo dalle inevitabili crisi. Le sincronicità del tempo dipendono dal punto di vista degli attori, misurate in stagioni di pascolo, annuali migrazioni intercontinentali di uccelli, migrazioni giornaliere di persone, secondi di reazioni dei visitatori, secoli di piante che crescono e decenni di movimento dei fiumi. Ciò che noi vediamo è solo la traccia superficiale di questi sistemi. Non c’è gerarchia in questo flusso, e le aree umide del Lonja sono prese come campione di laboratorio, come lezione per il futuro, orientata all’interazione e alla reciprocità tra ciò che viene dalla natura e la cultura, possibile in diversi ambienti. Questo campione fa da sfondo per il segmento discorsivo del padiglione, un laboratorio continuo documentato in tempo reale, che esplora il futuro nella pratica e nell’educazione. Per realizzare un vero cambiamento servono soprattutto la continuità e il coordinamento tra questi vari piccoli movimenti. D’altra parte, conviviamo con le crisi, ovvero i disastri, che stanno diventando sempre più la nuova normalità, realtà in cui dobbiamo costruire una nuova resilienza. Lo studio delle comunità autonome resilienti nella nostra regione ci dà un’idea di quelle piccole comunità abituate a vivere e sopravvivere con la natura e che hanno maggiori probabilità di sopravvivere anche in futuri scenari di questo tipo. Non mettiamo più in discussione le filiere di cibo, acqua ed energia e, così facendo, non riusciamo nemmeno più a capire come funzionano i sistemi, perché ci vengono nascosti. Il laboratorio del futuro inizia con la comprensione dell’interconnessione di attori di ogni provenienza. Il padiglione comprende un’installazione spaziale che fa parte del bestiarium degli osservatori, costruiti e non, nelle aree umide del Lonja. Evoca strutture che fondono il naturale e il culturale, all’interno di un paesaggio che sembra immobile, ma i cui cambiamenti stagionali sono radicali. Il network del padiglione include workshop e discussioni che testano temi e azioni future nella formazione degli architetti. Questi vengono documentati in tempo reale, creando un catalogo retroattivo, una nota per il futuro. — Mia Roth, Tonči Čerina, Ivica Mitrović Partecipazioni Nazionali

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Commissario Ministero della Cultura e dei Media della Repubblica di Croazia Curatori Mia Roth Tonči Čerina Partecipanti Mia Roth Tonči Čerina Luka Fatović Vedran Kasap Ozana Ursić Niko Mihaljević Ivica Mitrović Organizzazione Croatian Architects’ Association (CAA) Con il supporto di Zagreb Tourist Board Croatian Post Inc. MARKOJA production, trade and services d.o.o. JANAF d.d. Hrvatske autoceste d.o.o. Zagrebačka banka d.d. Lonjsko Polje Nature Park Public Institution Zumtobel Group Croatia

Same as it Ever Was 29


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Team del padiglione cipriota, fotogramma 1 Time-MatterSpace, 2023 Team del padiglione cipriota, fotogramma 2 Time-MatterSpace, 2023

Biennale Architettura 2023


Repubblica di Cipro Come possiamo fare riferimento alle prime abitazioni del villaggio neolitico aceramico di Choirokoitia di Cipro e usarle come punto di partenza per affrontare questioni di sostenibilità sociale all’interno di un contesto umanistico e culturale, collocandole in una piattaforma volta alla creazione di un ambiente di nuova costruzione che verrà realizzato sul pianeta Marte? Partendo dal presupposto che la sostenibilità sociale può essere raggiunta attraverso mezzi di collaborazione e consapevolezza comune, la mostra si prefigge di attivare spazi in maniera tridimensionale e temporale al fine di stimolare valori di partecipazione sociale egualitaria. La sostenibilità sociale riguarda principalmente la creazione e il mantenimento della qualità della vita delle persone all’interno di una società. Mette in primo piano la tutela della salute psicofisica di tutti, incoraggia la coesione sociale e dà accesso all’istruzione alle persone, che a loro volta possono contribuire alla società nel suo complesso e sviluppare relazioni al suo interno. In epoca preistorica, Choirokoitia rappresentava una delle culture più innovative del mondo. Ha svolto un ruolo nella trasmissione della cultura dal Vicino Oriente al mondo europeo. L’insediamento neolitico cipriota, iniziato intorno al 7500 AEV, era autonomo e autosufficiente, un esempio di sostenibilità sociale, politica, economica e ambientale. Conteneva gli elementi socio-politici di una società egualitaria, poiché non risultano tracce di guerre o competizione. Un viaggio guidato dalle stelle può portarti ovunque... In effetti, questo descrive il cammino dei primi viaggiatori neolitici dalla terraferma alle coste di Cipro, di questi coraggiosi giramondo alla ricerca della loro futura patria. Come si deduce dall’attuale documentazione archeologica, la loro è stata una ricerca dall’esito innegabilmente felice; ma che dire dei giramondo/scienziati/navigatori spaziali di oggi? Questa specifica comunità architettonica potrebbe rivelarsi un punto di riferimento durante la progettazione per Marte? Può il paradigma primitivo del periodo neolitico modellare il futuro della progettazione architettonica? I nuovi coloni/ scienziati, utilizzando le attuali conoscenze e tecnologie, potrebbero essere sufficientemente competenti e abili da portare a compimento con successo un futuro progetto di una comunità che vive su un altro pianeta? Sarà questa l’unica salvezza dell’umanità? La nostra proposta vi condurrà attraverso la materia, il tempo e lo spazio. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Petros Dymiotis funzionario culturale presso i Servizi Culturali del Viceministro della Cultura Curatori e Partecipanti Petros Lapithis Lia Lapithi Nikos Kouroussis Ioanna Ioannou Xiari Cyprus Space Exploration Organisation George Danos, Colm Larkin Con il supporto di Cyprus Architects Association Servizi Culturali del Viceministro della Cultura della Repubblica di Cipro Cyprus Institute Dipartimento di Antichità della Repubblica di Cipro University of Nicosia Pantheon Cultural Association

From Khirokitia to Mars 31


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Eliška H. Pomyjová, David Neuhäusl, Jan Netušil, The Office for a Non-Precarious Future – Factory, 2023. © NGP Eliška H. Pomyjová, David Neuhäusl, Jan Netušil, The Office for a Non-Precarious Future – Laboratory, 2023. © NGP

Eliška H. Pomyjová, David Neuhäusl, Jan Netušil, The Office for a Non-Precarious Future, 2023. Assonometria. © NGP ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Repubblica Ceca I giovani architetti vengono formati nello spirito della loro professione, ovvero l’impulso a trasformare il mondo attraverso un singolo atto di un genio creativo. L’attività quotidiana dell’architettura è soggetta a una logica strettamente razionale di crescita economica e alla produzione sempre crescente di materia costruita. Tuttavia, gli architetti si trovano spesso privi degli strumenti per influenzare e provocare un vero cambiamento nella società e nell’ecologia. In questo senso, l’architettura diventa mero lavoro, uno sforzo per assicurarsi, in senso materiale, i mezzi di sussistenza. Come possiamo cambiare il mondo se non siamo in grado di garantirci condizioni di lavoro dignitose? La mostra assume metaforicamente la forma di una fabbrica e di un laboratorio. La fabbrica, l’ambiente distopico, riflette lo status quo negativo della professione basato su ricerche e dati esistenti. Presenta lo spazio produttivo emblematico del XX secolo, associato all’amministrazione razionalizzata e a processi di lavoro da catena di montaggio. Dal punto di vista spaziale, una griglia razionalista astratta sta alla base di una serie di schermi bianchi su singole postazioni di lavoro e di fredde strutture in acciaio di mobili per ufficio inutilizzabili. L’opposto della fabbrica, il laboratorio, denota uno spazio che accoglie la sperimentazione e il work-in-progress. Nato con i costruttivisti e la Bauhaus, tale spazio è servito agli architetti per impostare la disciplina su una base più sperimentale, ma al tempo stesso razionale. Il ceco Karel Teige, teorico dell’architettura d’avanguardia, considerava l’architettura una scienza speculativa interdisciplinare; un approccio ancora oggi rilevante, che mira alla formulazione di futuri concetti positivi e persino alla ricerca di utopie. Il ‘laboratorio’ fornisce informazioni e consente la cooperazione, la conversazione e il lavoro vero e proprio. Formula domande importanti e individua aree problematiche in relazione alla precarietà della professione di architetto: condizioni di lavoro tossiche; diversità, con particolare attenzione al genere; il concetto di paternità dell’opera; economia e architettura nel contesto delle condizioni di lavoro. Suggerisce strumenti e soluzioni ed evidenzia esempi di buone pratiche di approcci individuali (discussioni/pensatori), comuni (collettivi, agenzie e piattaforme) e sistemici (ad esempio nell’insegnamento). I visitatori, insieme a dieci architetti in residenza, sono invitati a riflettere sul futuro non precario della professione. — Helena Huber-Doudová, Eliška H. Pomyjová, David Neuhäusl, Jan Netušil Partecipazioni Nazionali

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Commissario Helena Huber-Doudová Partecipanti Eliška H. Pomyjová David Neuhäusl Jan Netušil Organizzazione National Gallery Prague Supervisione alle residenze Simona Binko Assistente editoriale Barbora Řepková Direzione di progetto Barbora Lesáková Co-autrice del concept di installazione Karolína Plášková Advisory board Eva Franch i Gilabert, Radka Neumannová, Osamu Okamura, Andreas Ruby, Marcin Szczelina, Yvette Vašourková Con il supporto di Ministero della Cultura della Repubblica Ceca (National Recovery Plan) e dell’Unione Europea (Next Generation EU)

The Office for a Non-Precarious Future 33


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Coastal Imaginaries, modello 1, 2023. Photo Christian Friedländer Coastal Imaginaries, modello 2, 2023. Photo Christian Friedländer

Christian Friedländer, Mermaid Bay ↓↓↓

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Danimarca

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La mostra propone soluzioni progettuali basate sulla natura in un’epoca di distruzione ambientale di matrice umana, nonché un campo di addestramento per immaginari ecologici emergenti che affrontano l’attuale crisi del paesaggio costiero. Attraverso un insieme di scenografie ipotetiche e presentazioni di innovativi progetti di ricerca, Coastal Imaginaries invita il pubblico a esplorare la logistica spaziale del territorio costiero e il suo campo di forze fluttuanti, destabilizzando e rivelando la mentalità ‘terrestre’ dello spazio mentale, delle abitudini e degli habitat umani. Proponendosi come laboratorio di speranza in un mondo di disperazione virale, la mostra offre un catalogo di proposte per un futuro costiero fondato su sette principi basati sulla natura, che non solo si estende attraverso il tempo e vasti paesaggi, ma affronta altresì la prospettiva delle urgenze del presente, rappresentate da inondazioni e mareggiate. Queste strategie non sono semplici meccanismi di resilienza, ma possono fungere da serbatoi di CO2, paesaggi alimentari, banche di materiali e spazi per la ricreazione umana e l’abitazione più che umana. Offrendo un modo per (ri)sincronizzarsi con la natura, questo insieme di sette principi dà vita a una nuova attrazione verso le ecologie naturali modificando le pratiche professionali di progettazione. Tuttavia, l’architettura necessita di alleati: dobbiamo oltrepassare i confini disciplinari e istituzionali per imparare gli uni dagli altri e, cosa più importante, coltivare la volontà politica di promuovere cambiamenti radicali. Ecco perché Coastal Imaginaries è strutturato come sforzo collettivo e collaborativo di artisti, artigiani, professionisti e ricercatori provenienti da un’ampia e variegata gamma di discipline. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Kent Martinussen CEO, Danish Architecture Center Curatore Josephine Michau Partecipanti Schønherr Landscape Architects David Garcia Giacomo Brusa Cattaneo Laurits Sporon Bøving Genz Dejle Zaradesht Mohamad Iisa Eikaas Katrina Wiberg Anna Aslaug Lund Christian Friedländer Commissario aggiunto Eva Kirstine Fabricius Danish Architecture Center Assistenti del Curatore Anna Aslaug Lund lisa Eikaas Progetto di allestimento Christian Friedländer Assistenza al progetto di allestimento Ellen Leer Architettura dell’allestimento Alexandra Wedderkopp Emelianov Progetto grafico e identità visiva Alexis Mark Progettista del suono Peter Albrechtsen Consulenza nelle ricerche Gruppo ‘Mitigating Sea Level Rise’ Anna Aslaug Lund (responsabile) Gertrud Jørgensen e Ole Fryd, architettura del paesaggio (University of Copenhagen) Karsten Arnbjerg, Roland Löwe e Anna Lea Eggert (Technical University of Denmark) Tom Nielsen, Soo Jung Ryu e Katrina Wiberg (Aarhus School of Architecture)

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Costruzioni a Venezia M+B Studio Missaggio del suono Erik Christoffersen Peter Albrechtsen Progettazione illuminotecnica Christian Vest Berntsen Creazione scenica David Drachmann Assistente progettista del suono Mikkel Nielsen Voce di sirena Dawn Wall Brano musicale per Mermaid Bay Peter Peter Produzione in Danimarca Guido Liebgen Con il supporto di Ministero della Cultura di Danimarca Realdania Danish Arts Foundation Supporto alla pubblicazione Dreyers Fond Ministero della Cultura di Danimarca Realdania Danish Arts Foundation Partner Kvadrat

Coastal Imaginaries 35


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Padiglione NiLab. Elaborazione Landscape_inProgress

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NiLab Aswan. Photo Yara Soliman

Biennale Architettura 2023


Egitto

NiLab è un laboratorio per la conoscenza e l’elaborazione di idee e progetti per il fiume Nilo, uno spazio di riflessione sul tema dell’acqua nel contesto più generale dei cambiamenti climatici. Mai come in Egitto la presenza di un corso d’acqua è stata identificata con la storia della civiltà, nei suoi aspetti culturali, scientifici e umanistici. La sua straordinaria dimensione geografica disegna paesaggi naturali e antropici, alimenta città e sistemi produttivi, riserve e paesaggi agricoli. Qualsiasi sua alterazione può rappresentare la distruzione di un equilibrio millenario tra le specie viventi e il paesaggio storico e naturale, soprattutto in un’epoca nella quale le grandi trasformazioni territoriali e produttive rischiano di provocare entropia e degrado. Il laboratorio propone sei temi corrispondenti a sei sezioni paesaggistiche – Natura, Agricoltura, Urbe, Infrastruttura, Industria, Archeologia – sviluppati attraverso diciotto aree di progetto, individuate per un confronto internazionale tra l’Egitto e il pianeta. Insieme con Ain-Shams University of Cairo, Faculty of Engineering (Egitto) e Università Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento dArTe (Italia), curatori del padiglione, ventiquattro università internazionali sono invitate a costruire il NiLab, laboratorio nel quale studenti, docenti e ricercatori si confrontano sui possibili scenari futuri lungo il fiume. L’intento è quello di creare una riflessione sulle strategie progettuali, come contributo alle principali emergenze urbane e paesaggistiche, nel contesto più generale di una contemporaneità che richiede al progetto nuove riflessioni sugli strumenti e sui linguaggi dell’architettura. In questo senso, il padiglione dell’Egitto rappresenta un’esperienza conoscitiva e progettuale. Attraversando la soglia si entra in una dimensione spazio-temporale in cui il visitatore è immerso nel paesaggio del Nilo come parte strutturante insieme all’acqua, alla natura e alla storia. Una stanza ‘macchina visiva’ caratterizzata dalla presenza surreale di oggetti come la Solar Boat, metafora del viaggio sul Nilo, evocativa del rapporto acqua-mito-archeologia. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Ministero della Cultura della Repubblica Araba di Egitto – Accademia d’Egitto – Organizzazione Nazionale per l’Armonia Urbana Curatori Ahmed Sami Abd Elrahman Marina Tornatora Ottavio Amaro Moataz Samir Ghada Farouk Partecipanti Ain-Shams University of Cairo, Faculty of Engineering (Egitto) Università Mediterranea Reggio Calabria, dArTe Department (Italia) Organizzazione e altre collaborazioni Cristiana Penna Arwa Ehab Abbas Malak Haytham Weshahy Wegdan Hossam Faydullah Yomna Walid Ali Menna Medhat Qubtan Omar Mohamed Elnamer George Rafik Azer Esraa Ahmad Farrag Lina Reda Elbaz Abdelaziz Abdelfattah Ali Elgabaly Mohamed Hany Yasmina Safwat Menna Othman Salma Mohamed Ali Malak Tarek Yara Soliman Tasneem El Naggar Ludovica Amaro Nour el Khayat Donia Elboghdady Nour Zikry Ahmed Yasser Nadine Khalil Omar Ashraf

NiLab. Nile as Laboratory 37


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Aet Ader, Arvi Anderson, Mari Möldre, Bed Sheets: Spreadsheets, 2023. Photo Arvi Anderson, Kertin Vasser Aet Ader, Arvi Anderson, Mari Möldre, Modern: Maintenance, 2023. Photo Arvi Anderson, Kertin Vasser

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Estonia Quanto vale una casa? La vita è redditizia? L’architettura dà riparo al corpo o al denaro? Le case mettono al sicuro le persone o gli investimenti? Benvenuti a casa! Diversi artisti estoni trascorreranno, uno alla volta, un mese in un appartamento veneziano in affitto. La domesticità ha due facce Siamo circondati dalle contrapposizioni tra casa e proprietà, sogno e realtà, locatario e proprietario, residente e visitatore. L’edilizia abitativa non riguarda più soltanto l’abitare: investimenti e speculazione sono diventati lo scopo principale, mentre i prezzi degli immobili e degli affitti continuano a lievitare. I centri urbani sono costituiti da case con proprietari ma nessun occupante. Ci sono poi residenti che lottano per diventare proprietari. La stabilità della casa come spazio intimo, come luogo di storia familiare e biografia materiale, è in contrasto con la natura flessibile e temporanea dei rapidi mercati di compravendita.

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La casa palcoscenico La casa in mostra è una scena abituale. Avete mai cercato un posto dove vivere? Siete mai stati invitati a fare un giro della casa nuova di qualcuno? Le case sono allestite per noi; per infonderci una sensazione di comfort, per trasmetterci un piacere estetico o persino per intimidire. O stiamo comprando sogni? Nella casa di qualcuno – uno spazio di relazioni intime – viene rivelato un insieme più ampio di relazioni di mercato.

Ciao! Entrate, entrate! Scusate, non fate caso all’entrata, è in costante ristrutturazione, ma almeno farà sembrare il posto come nuovo! Venite, vi mostro la camera da letto. Quanto è riposante l’acqua! Mi sembra di avere tutto il tempo del mondo, così rilassante… Guardate che panorama da qui! Vale da solo un milione! Su, venite! Ecco il bagno! Una volta sono scoppiate tutte le tubature... Tutto risolto... adesso abbiamo impianti di alta qualità! Di qua... vi apro la porta. Ah, il pulviscolo che danza al sole, ah ah... be’, l’anima della casa! Torniamo in soggiorno, di sicuro vorrete qualcosa da bere!

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Chi siete? Qualcuno alla ricerca di una casa durante una visita immobiliare? Un ospite all’inaugurazione di una casa nuova? Un esploratore di architettura? Un vicino curioso? Un investitore dilettante? — Aet Ader, Mari Möldre, Arvi Anderson Partecipazioni Nazionali

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Commissario Raul Järg Curatori / Partecipanti Aet Ader, Arvi Anderson, Mari Möldre b210 Architects Stagers e Performers Liisa Saaremäel Keithy Kuuspu Performers Arolin Raudva Kirill Havanski Anumai Raska Külli Teetamm Eline Selgis Paula Veidenbauma Johhan Rosenberg Drammaturgia Jan Kaus Soluzioni tecniche Margus Tammik Suono Markus Robam Scenografia Kairi Mändla Fotografia Kertin Vasser Progetto grafico Stuudio Stuudio Produzione Anna Lindpere, Anu Lill Estonian Center for Architecture Con il supporto di Ministero della Cultura di Estonia Cultural Endowment of Estonia Thermory Thinnect

Home Stage 39


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Huussi, una tradizionale toilette esterna filandese. Photo Arja Renell La siccità è diventata realtà anche in Europa: il fiume Reno nel 2022. Photo Jochen Tack, imageBRO / Shutterstock

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La mostra riesamina in maniera critica le infrastrutture igienico-sanitarie nel contesto della carenza globale di acqua dolce ormai diventata realtà in Europa. Tali infrastrutture igienico-sanitarie sono anche collegate alla possibilità di ripristinare il ciclo dei nutrienti nella produzione alimentare. Mettendo in discussione la posizione finora indiscussa dell’attuale sistema igienico-sanitario basato sull’acqua, la mostra invita gli architetti a cercare soluzioni alternative, per meglio rispondere al mondo in cui abitiamo oggi. La carenza di acqua dolce è il risultato di un consumo eccessivo, della crescita della popolazione globale e del cambiamento climatico. I modelli annuali delle precipitazioni sono cambiati e le riserve di acque sotterranee stanno diminuendo. Le fonti d’acqua naturali sono sovrautilizzate dalle aree urbane e dai sistemi di irrigazione. In definitiva, dobbiamo porci alcune domande fondamentali: per che cosa abbiamo più bisogno di acqua, per coltivare il cibo o per tirare lo sciacquone? L’altra questione legata alle infrastrutture igienico-sanitarie è la possibilità di riciclare nutrienti preziosi per la produzione alimentare. Dopo ogni raccolto, i nutrienti devono essere reintegrati nel terreno. L’agricoltura commerciale si basa su fertilizzanti industriali utilizzati in modo molto simile alla plastica monouso. Quando ci sbarazziamo dei rifiuti, i nutrienti vengono dilavati e persi nei processi di pulizia chimica. I residui di nutrienti nelle acque reflue scarsamente depurate sono la principale causa di eutrofizzazione. Come soluzione a basso impatto, la mostra presenta una moderna toilette a secco, la huussi, tuttora una soluzione tipica di servizio igienico in località remote, specialmente nei cottage estivi in tutta la Finlandia. La moderna toilette a secco è facile da usare e i rifiuti compostati possono essere utilizzati per la produzione alimentare domestica. La sfida maggiore, ovviamente, è lo sviluppo di soluzioni igienico-sanitarie più sostenibili che funzionino su scala urbana. In Europa si trovano già alcuni esempi, basati sulla tecnologia a pressione assistita: questi sistemi a livello di quartiere consumano molta meno acqua e consentono la raccolta dei rifiuti per il riciclaggio dei nutrienti. Come si potrebbero sviluppare ulteriormente queste soluzioni? Sono realizzabili sistemi interamente ‘water free’ nelle aree urbane? Quali metodi funzionano nelle diverse parti del mondo? E, cosa più importante, come possiamo fare in modo che il mutamento avvenga? Il momento di adeguare i nostri modi di vivere di fronte al cambiamento climatico e alla crescita della popolazione globale è adesso. — Arja Renell Partecipazioni Nazionali

Finlandia

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Commissario Katarina Siltavuori Archinfo – Information Centre for Finnish Architecture Curatrice Arja Renell The Dry Collective Partecipanti The Dry Collective Antero Jokinen, Emmi Keskisarja, Barbara Motta, Arja Renell, Eero Renell, Janne Teräsvirta Organizzazione Archinfo – Information Centre for Finnish Architecture Direzione Katarina Siltavuori Responsabile della comunicazione Miina Jutila Direzione di progetto Sini Parikka Coordinamento del progetto Francesco Raccanelli Contributi Juha Helenius University of Helsinki Eeva-Liisa Viskari Tampere University of Applied Sciences Suvi Lehtoranta SYKE Paula Pennanen-RebeiroHargrave UN-Habitat Sari Laurila Huussi Ry

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Produzione filmica Henkka Hämäläinen Pekka Hara Collaborazione sul luogo Veras Association Con il fondamentale supporto di Ministero dell’Educazione e della Cultura di Finlandia Con il supporto di The Finnish Cultural Foundation Con il supporto aggiuntivo di Ambasciata di Finlandia a Roma LAB Institute of Design and Fine Arts Durat City of Helsinki Biolan Fiskars Artek Stora Enso Helsinki Distilling Company

Huussi — Imagining the Future History of Sanitation 41


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Ball Theater. © Muoto + Georgi Stanishev e Clémence La Sagna Ball Theater. © Muoto + Georgi Stanishev e Clémence La Sagna

Biennale Architettura 2023


Francia Ball Theater è un’installazione pensata per risvegliare i nostri desideri di utopia. La sua forma semisferica richiama diverse immagini: può essere interpretata sia come mappamondo sia come una strobosfera, icona kitsch di un’epoca in cui si poteva ancora folleggiare. Quest’atmosfera festaiola suggerisce un nuovo approccio alle crisi odierne, in cui l’enfasi non è più sull’emergenza, ma sulla possibilità di futuri alternativi. Tutto ciò si esprime nel teatro per l’intera durata della Biennale, tramite un’alternanza di momenti di contemplazione e immersione in un mondo sonoro riecheggiante di voci straniere e lontane, e periodi di intensa frequentazione sotto forma di variazioni sul tema della sfera, un gioco di residenze-laboratori tra artisti, ricercatori e studenti. L’architettura del teatro si colloca a metà strada tra struttura e ambientazione. Lo scopo di questa dimensione scenografica è – come in un vero teatro – accogliere un palcoscenico, i suoi interpreti e un pubblico. Ciò che trasmette è tuttavia ambivalente, giustapponendo immagini tra loro contraddittorie come la capsula futuristica e la capanna primitiva. In questo modo, riflette i nostri sentimenti contrastanti di speranza e nostalgia. Il nostro desiderio di ricostruire un futuro che appartenga al passato tramite il riciclo di una miriade di oggetti trovati. Di conseguenza, l’esperienza teatrale solleva più quesiti di quanti ne risolva. Qual è l’origine di questa semisfera? Chi ci abita? A che cosa serve? Come è arrivata qui? Che cosa ci stanno dicendo i frammenti di voci, sussurri e interferenze radiofoniche che provengono dai suoi altoparlanti? È appena atterrata o sta per decollare? Queste sono le domande che ci poniamo in un mondo incerto: atterrare o decollare? Dobbiamo avvicinarci alle cose, creare nuove comunità, cancellare distanze e distinzioni, o al contrario, ritirarci e rimanere in disparte? Come scegliere? Come reinventare il nostro rapporto con questo mondo nella sua ricerca di un futuro? L’installazione è completata da un fotoromanzo ideato e immaginato dall’illustratore Ugo Bienvenu. Il romanzo enfatizza il lato fittizio dell’installazione, ripercorrendo la storia e l’odissea della semisfera nel paesaggio di una città abbandonata e ora abitata solo da bambini e robot. Rivela come è stata costruita, l’origine degli oggetti che la circondano e le sue destinazioni future. — Muoto e Georgi Stanishev Partecipazioni Nazionali

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Commissario Institut français in stretta collaborazione con Ministero per l’Europa e per gli Affari Esteri e Ministero della Cultura Curatori Muoto Georgi Stanishev Curatori principali Muoto Gilles Delalex, Yves Moreau Georgi Stanishev Curatore associato Jos Auzende Responsabile di progetto Sophie Mandl Scenografia Georgi Stanishev Clémence La Sagna Organizzazione del programma Jos Auzende Anna Tardivel Suono Pilooski Cédric Marszewski Alain Français Thomas Fourny Progettazione illuminotecnica Les Ateliers de l’Éclairage Consulenza scientifica del suono Carlotta Darò Nicolas Tixier Produzione esecutiva ARTER Realizzazione Mainardi Metallurgica Autore del fotoromanzo Ugo Bienvenu Produzione immagini Ugo Bienvenu Studio Remembers Simon Cadilhac Côme Albes-Nicoux Fritsch Direttrice editoriale Carlotta Darò Editore Caryatide Claudia Mion Progetto grafico Spassky Fischer

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In partnership con ENSA ParisMalaquais research unit LIAT ENSA Saint Étienne ENSA Bretagne with EURCaps ENSA Grenoble AAU research unit, Cresson Team Université Gustave Eiffel ENSA Paris-Est D-ARCH ETH Zurich B_AIR Art Infinity Radio / Creative Europe Translitteræ Université PSL Con la partecipazione di Le Réseau International Ambiances École Supérieure d’Art Annecy Alpes Radio France Internationale Beaux-Arts de Paris arc en rêve centre d’architecture Bordeaux Cité de l’architecture & du patrimoine Maison de l’architecture Île-de-France Lille3000

Ball Theater 43


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Zhinvali Reservoir. © Gigi Shukakidze Sludged Landscape. © Tobias Schmitt

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Georgia L’installazione esplora la relazione tra lo scorrere del tempo e l’energia. Energia, come forza vitale primaria, e i metodi umani del suo consumo, distribuzione e conservazione – la politica energetica; temporalità o permanenza di tale politica all’interno della realtà storica condivisa. Nel 1985, nella regione di Dusheti, in Georgia, tra le creste montuose di Alevi, Gudamakari e Kartli, fu inaugurata la prima unità della centrale idroelettrica. L’impianto di 11,5 chilometri quadrati, fondamentale per la produzione di elettricità e per l’approvvigionamento idrico di Tbilisi, ha completamente sommerso il villaggio di Zhinvali e distrutto l’ecosistema fluviale, costringendo l’intera popolazione locale a migrare. Percorrendo questa zona oggi, si calpesta un tappeto infinito di melma nera, inciampando in antichi manufatti o frammenti di pietra o legno. Sono scomparsi anche gli insediamenti di età eneolitica e significativi esempi di beni culturali, tra cui la chiesa Jvaripatiosani del XII secolo, sommersa dall’acqua per diversi mesi, che riappare nel paesaggio prosciugato a gennaio, febbraio e marzo, quando il consumo di acqua nella capitale aumenta. Il progetto si concentra simbolicamente sui bacini idrici, sulla loro creazione e sull’impatto che producono in termini di cambiamenti ecologici, urbani e demografici nell’era delle rapide trasformazioni politiche e del cambiamento climatico. Tenta di ricostruire la memoria spaziale dell’area attraverso archetipi primitivi: una città, una casa, una chiesa... L’incrocio di paesaggi vivi e senza vita – formatisi intorno ai fiumi prosciugati – si collega metaforicamente a una forma astratta sommersa composta da fango sedimentato. Quanto è temporanea la nostra impronta sull’ambiente? L’acqua può essere una determinante dell’ordine? Che tipo di flussi intendiamo quando parliamo di flussi di energia, di migrazione, del tempo e del deflusso del paesaggio stesso? Quali sono i costi per interrompere un ordine o crearne uno nuovo? Fino a che punto lo sviluppo politicospaziale degli esseri umani può indurre cambiamenti nella natura e nella società? Quali forme fisiche e concettuali svaniscono o rimangono a seguito di tali trasformazioni? Le creazioni naturali, la loro memoria, la storia e i manufatti che sono prova della loro vita passata sono permanenti? Che cosa rimarrà della definizione di tali luoghi e, soprattutto, considerando i contesti globali e locali, qual è il loro futuro? — Tbilisi Architecture Biennial Partecipazioni Nazionali

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Commissario Magda Guruli Curatori Gigi Shukakidze Otar Nemsadze Tinatin Gurgenidze Partecipante Tbilisi Architecture Biennial Autori Gigi Shukakidze Otar Nemsadze Tinatin Gurgenidze Team di progetto Giorgi Vardiashvili Aleksi Soselia Elene Pasuri Stefano Tornieri Lado Kandashvili Giorgi Kartvelishvili Tamar Janashia Tato Kotetishvili Nodar Nozadze Gigi Butkhuzi Andro Barbaqadze Arsen Kurdgelashvili Giorgi Kolbaia Mariam Elene Gomelauri Aleksandra Aroshvili Lela Rekhviashvili Nikoloz Tsikaridze Teona Rekhviashvili Giorgi Tsintsadze Irakli Macharashvili Mamuka Gvilava Tikuna Adeishvili Video Tato Kotetishvili Nodar Nozadze Gigi Butkhuzi Andro Barbaqadze Arsen Kurdgelashvili Giorgi Kolbaia Mariam Elene Gomelauri Con il supporto di Ministero della Cultura, dello Sport e della Gioventù di Georgia

january february march 45


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Open for Maintenance – Wegen Umbau geöffnet è realizzato con materiali di recupero della Biennale Arte 2022. In seguito al suo smantellamento, i Curatori del padiglione tedesco per la Biennale Architettura 2023 hanno riciclato frammenti di materiali provenienti da altri partecipanti, come l’installazione Queendom del padiglione israeliano. Le spolia raccolte sono state poi archiviate e inventariate nel padiglione tedesco per un successivo riutilizzo. © ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB

Biennale Architettura 2023


Germania L’installazione, curata da ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB, è dedicata ai temi della cura, della riparazione e della manutenzione. Occupando il padiglione tedesco con una serie di lavori di manutenzione, il contributo rende visibili i processi di lavoro di cura sociale e dello spazio che solitamente rimangono nascosti agli occhi del pubblico. Il concetto si riferisce alla pratica sociale di preservare il tessuto urbano a opera del movimento degli squatter nella Berlino degli anni Settanta, pratica che ha contribuito alla conservazione delle comunità urbane e delle strutture costruite, e che oggi potremmo definire sostenibile. Questo precedente dimostra che la sostenibilità ecologica è indissolubilmente legata alla questione sociale. L’azione di occupare il padiglione tedesco e curarne la manutenzione inizia con la presa in consegna nelle sue condizioni esistenti. Invece di smantellare l’opera di Maria Eichhorn, Relocating a Structure, contributo della Germania alla Biennale Arte 2022, il progetto è attivamente incorporato nel nuovo assetto del padiglione. La mostra stessa sarà realizzata interamente con materiale di riciclo della Biennale dello scorso anno. Il padiglione tedesco diventerà un’infrastruttura produttiva, promuovendo principi di riuso e costruzione circolare in tandem con la responsabilità sociale dell’architettura. Servirà a raccogliere, catalogare, fornire ed elaborare il materiale usato della Biennale. Un workshop in loco costituirà la base per varie iniziative da Venezia e oltre, così come per le università che si impegneranno, attraverso interventi individuali, nel mantenimento delle strutture socio-spaziali. Il progetto assume quindi una prospettiva creativa rispetto al problema delle risorse: ogni anno lo smantellamento dei progetti presentati alla Biennale produce centinaia di tonnellate di rifiuti. Open for Maintenance si occupa inoltre di questioni di inclusione sociale e territoriale a Venezia. A causa della commercializzazione dello spazio urbano per mezzo del turismo di massa, delle esposizioni della Biennale e dell’industria degli eventi, la vita quotidiana sta scomparendo e con essa le reti di manutenzione sociale e materiale orientate al benessere comune. Proprio questa circostanza ha portato una varietà di gruppi di attivisti locali ad adottare approcci pratici per risolvere il problema. Il nostro progetto offre a questi attori una piattaforma: per tutta la durata della Biennale Architettura 2023, prenderanno parte a una serie di workshop con interventi all’interno del padiglione e nello spazio urbano di Venezia. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Ministero Federale per l’Edilizia, lo Sviluppo Urbano e le Costruzioni Curatori ARCH+ / SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB: Anne Femmer, Franziska Gödicke, Juliane Greb, Christian Hiller, Petter Krag, Melissa Makele, Anh-Linh Ngo, Florian Summa Partecipanti Agriluska (Luca Vallese), Assemblea Sociale per la Casa (Chiara Buratti), Bellevue di Monaco eG (Barbara Bergau, Grisi Ganzer, Till Hofmann, Denijen Pauljevic) con hirner & riehl architekten und stadtplaner BDA, Centro Sociale Rivolta (Elena Carraro, Filippo Lunian), ConstructLab (Patrick Hubmann, Alexander Römer, Peter Zuiderwijk), CRCLR House con Concular (Annabelle von Reutern), Die Zusammenarbeiter & TRNSFRM eG (Christian Schöningh), Impact Hub (Sascha Stremming), LXSY Architekten (Kim Le Roux, Margit Sichrovsky , Christine Andreas), Marie-Louise Greb, Axel Sichrovsky, Giorgio de Finis (RIF – Museo delle Periferie), Gustavo Fijalkow, Forward Dance Company / LOFFT - DAS THEATER, padiglione tedesco per la Biennale Arte 2022: Relocating a Structure (Yilmaz Dziewior, Maria Eichhorn, Ellen Strittmatter), Haus der Materialisierung – Zentrum für klimaschonende Ressourcennutzung con Berliner Stadtmission (Sofie Göppl Leon), FahrArt Atelier (Benjamin Känel), Kostümkollektiv (Katrin Wittig), Kunst-Stoffe e.V. (Jan-Micha Garma, Rhea Gleba, Corinna Vosse), Mitkunstzentrale (Rahel Jakob, Julie Teuber, Nora Wilhelm), mrtz Forschungswerkstatt (Moritz Wermelskirch), Ort-schafft-Material (Jannis Schiefer, Elena Stranges), stefan is doing things (Stefan Klopfer) STREETWARE saved item (Alice Fassina), Studio Patric Dreier, ZUsammenKUNFT Berlin eG (Kim Gundlach, Andrea Hofmann), Institute of Radical Imagination (Marco Baravalle, Emanuele Braga, Gabriella Riccio) e Anna Rispoli, in collaborazione con S.a.L.E. Docks, Kotti & Co (Tashy Endres, Sandy Kaltenborn), Laboratorio Occupato Morion, Rebiennale/R3B

(Giulio Grillo, Tommaso Cacciari), Alessandro Schiattarella, Giovanna Silva (fotografia e videografia; montaggio video: Angelo Boriolo – Boris), Working Group Sanitärwende con Eawag (Michel Riechmann), Finizio–Future Sanitation (Florian Augustin, Tom Kühne), German Toilet Organization, KanTe – Kollektiv für angepasste Technik (Ariane Krause, Johanna Moser, Eleftheria Xenikaki) e Sina Kamala, klo:lektiv (Sabine Bongers-Römer, Katharina Ciax, Martine Kayser), Leibniz-Institut für Gemüse- und Zierpflanzenbau (Stefan Karlowsky), NetSan, P2GreeN, urin*all (Leonie Roth, Luisa Tschumi), VaLoo —

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Organizzazione Team SUMMACUMFEMMER / BÜRO JULIANE GREB: Yngvild Faeroy, Marie-Louise Greb, Anna Hugot, Beatrice Koch, Vittorio Romieri, Felix Schaller Team ARCH+: Elke Doppelbauer, Nora Dünser, Mirko Gatti, Felix Hofmann, Sascha Kellermann, Markus Krieger, Daniel Kuhnert, Nikolaus Kuhnert, Arno Löbbecke, Victor Lortie, Alex Nehmer, Barbara Schindler, Finn Steffens Progetto grafico Stan Hema, Peer Hempel, Niki Moreira, André van Rueth, Thomas Spieler, Daniela Vogel Litografia max-color (Tobias Hoesl) Contatti cfk Architetti (Clemens Kusch, Martin Weigert), Bureau N Partner del programma Goethe-Institut, Sto-Stiftung, AIT-Dialog Con il supporto di Volkswagen Group Albrecht Jung GmbH & Co. KG, Equitone, VHV x Hand schafft Wert Dipartimento per lo sviluppo urbano, l’edilizia abitativa del Senato di Berlino Agrob Buchtal GmbH, Heidehof Stiftung, n.b.k. Euroboden Architekturkultur, New Tendency BRLO GmbH, caspar, competitiononline Verlags GmbH, HAROLD’S Lederwaren GmbH, JOANES Stiftung, J. MAYER H. and Partners, mai public relations GmbH, ROBERTNEUN™, Schnitzer& GmbH

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Dancing Before the Moon

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Gran Bretagna

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Questa mostra propone i rituali come una forma di pratica spaziale e ne celebra la straordinaria capacità di organizzare, trasformare e creare lo spazio. Quando gli spazi non sono progettati per accogliere determinati comportamenti, culture o tradizioni, i rituali possono diventare strumenti efficaci, dirompenti, per facilitarne l’occupazione e sostenere le diverse realtà locali. Attraversando il padiglione si incontra una serie di opere appositamente commissionate e progettate da sei artisti e architetti operanti nel Regno Unito: Yussef Agbo-Ola, Madhav Kidao, Sandra Poulson, Mac Collins, Shawanda Corbett e Jayden Ali. Tramite una concreta indagine e produzione, le opere riflettono i rituali e le pratiche quotidiane di diversi ambienti globali e contesti culturali, dai rituali effimeri all’interno delle comunità yoruba e cherokee, alle filosofie indù e buddiste di distruzione e reincarnazione, ai rituali di purificazione a Luanda, dai domino in stile giamaicano nelle Midlands britanniche, alle tradizioni spirituali curative nel Sudamerica, alle influenze familiari ibride della cucina all’aperto cipriota, fino agli steel drum di Trinidad a Londra. A modo loro, questi rituali resistono ai poteri di governo e creano spazio per molteplici prospettive. Nel loro insieme, le opere esposte catturano il modo in cui persone di culture diverse danno un senso al proprio mondo attraverso azioni rituali. Trascendendo il tempo e il luogo, riflettono le pratiche ancestrali e la terra d’origine degli artisti e ne indagano il retaggio nelle diaspore africane, caraibiche e dell’Asia meridionale in Gran Bretagna. Come ‘portali dello spazio’, queste opere ripensano il passato e immaginano futuri alternativi in cui l’architettura è versatile e le comunità sono legate da pratiche sociali (invece che economiche). Partecipazioni Nazionali

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Commissario Sevra Davis, direttrice di Architecture, Design and Fashion al British Council Curatori Jayden Ali Joseph Henry Meneesha Kellay Sumitra Upham Partecipanti Yussef Agbo-Ola Jayden Ali Mac Collins Shawanda Corbett Madhav Kidao Sandra Poulson

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Con la gentile assistenza di AKT II BFI National Archive JACK ARTS The Dalmore Commissionato da British Council Produzione, organizzazione e installazione M+B Studio Identità visiva TEMPLO

Organizzazione British Council Progetto dell’allestimento JA Projects Con il supporto dei Gold Partners Therme Group Patrons Paul Karakusevic Associata Ebele Okobi Partner del programma di borse di studio Anglia Ruskin University Arts University Plymouth Beyond The Box Consultants CIC Birkbeck University of London Coventry University Crafts Council Dartington Arts School / Dartington Trust London Metropolitan University Loughborough University Manchester Metropolitan University Middlesex University Saqqra Ltd. SOAS University of London Ulster University University of Exeter University of Leicester University of Liverpool University of the West of England

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Prospettiva frontale del padiglione, 2023. © lost minute studio Prospettiva in sezione del padiglione. © lost minute studio

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Grecia Arrivando in Grecia in aereo si sorvolano estese aree montuose, scarsamente popolate. Più spesso di quanto ci si aspetti, grandi superfici d’acqua riflettenti, per lo più bacini artificiali, si snodano sull’aspro territorio. Viaggiando in auto, si viene sorpresi, dietro una curva di qualche strada tortuosa, dall’improvvisa calma della loro superficie ondulata o dal suono inquietante della tracimazione di una diga. Per ogni invaso artificiale viene sommersa una notevole estensione di terra, con i suoi pascoli, raccolti, strade e ponti, a volte case, chiese, persino interi insediamenti. Al contempo si avvia un nuovo ecosistema, in cui natura, attività umana e insediamento sono reintegrati in modi nuovi, spesso imprevisti. Il territorio ellenico è stato modellato, almeno a partire dal X secolo, in gran parte da una serie di interventi antropogenici catastrofici o creativi, come il pascolo estensivo e la desertificazione, o la costruzione straordinariamente estesa di muri di pietra che trattengono l’esiguo terreno coltivabile e l’acqua piovana. Dopo l’istituzione del moderno Stato greco, e con grande intensità dopo il 1950, i bacini idrici di grandi e medie dimensioni, nonché i progetti di drenaggio, irrigazione, approvvigionamento idrico e idroelettrico costituiscono un sistema di supporto alla produzione agricola e a tutti i tipi di attività umana. Si tratta di una trasformazione fondamentale del territorio in cui viene inventata, costruita e resa operativa una nuova carta idrogeologica del Paese. È un processo di portata nazionale con un’impronta spaziale, ambientale e antropologica incommensurabile nel tempo, una conferma emblematica dell’era dell’Antropocene. Bodies of Water affronta questo costrutto geologico in evoluzione, un distillato di fatica collettiva e impegno per il miglioramento. Indaga e mostra la presenza problematica di questi corpi e delle loro opere tecniche come un laboratorio del futuro. I principali oggetti in mostra sono modelli di vetro tridimensionali in scala dell’impronta al suolo, il letto, di importanti volumi d’acqua in tutto il Paese, che rappresentano il terreno in pendenza per mezzo di curve di livello. Sono sospesi con cavi o corde e galleggiano a varie altezze, a seconda della loro effettiva altitudine nel Paese. Sul pavimento, modelli di legno in scala delle principali dighe, fusi con le masse di terra contigue, si presentano come elementi architettonici collettivi retroattivi, mentre sulle superfici murarie circostanti sono disposti disegni di una ricognizione completa dei principali bacini idrici della Grecia insieme a una raccolta di fotografie storiche e attuali. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Efthymios Bakogiannis Segretario Generale della Pianificazione Territoriale e dell’Ambiente Urbano Curatori Costis Paniyiris Andreas Nikolovgenis Team curatoriale Kostas Apostolidis Spyros Karakostas Matoula Kroustalli Evita Marioglou Marianthi Chimariou Mary Pantazi Evi Tarantili Collaboratori Elias Cosindas Dimitris Karageorgos Philippos Theocharidis Marinos Kolokotsas / Nowhere Studio Vasilis Kalisperakis Fotini Adrimi / lost minute studio Vangelis Brachos Alexandros Papadopoulos / papercuts Theodora Papadopoulou Mina Mantzari / luun Dimitra Efkolidou Eirini Sapka Consulenza Prodromos Papadopoulos / DOMa Nikoletta Tsitsanoudis-Mallidis Dimitris Kourkoumelis Panagiotis Panagiotopoulos Antonis Zacharopoulos, Nikos Soulis

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Walking on Water 2. © Grenada Arts Council 2023

Biennale Architettura 2023


Grenada

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In quanto isola caraibica un tempo al centro della tratta degli schiavi transatlantica, Grenada fa propri i concetti espressi da Lesley Lokko, Curatrice della Biennale Architettura, e presenta un progetto che mette in luce il retaggio di quella migrazione forzata, la pluralità culturale che ne caratterizza le tradizioni culturali. Interrogandosi sulla modalità di partecipazione al workshop collettivo della Biennale Architettura, Grenada ha deciso di presentare un progetto di gruppo incentrato sulla costruzione e l’utilizzo delle tradizionali barche in legno. Per la storia stessa dell’isola, l’attività di costruzione di barche affonda le sue radici nella confluenza di conoscenze e memorie di diversa origine, dalle popolazioni indigene, i Kalinago, dalla Scozia, dall’Africa, dalla creolizzazione di molti, tramandate e migliorate in gruppi di lavoro collaborativo. Anche ideare, progettare, costruire e varare una barca è lavoro architettonico, inteso come capacità di trasformare le visioni, i progetti e gli esempi nati dalle conoscenze e dalle competenze delle generazioni precedenti in nuovi oggetti, solidi e reali, capaci di affrontare le profondità e le incertezze del mare. La curatrice affronta il problema del cambiamento climatico – e dei conseguenti cambiamenti – da un punto di vista inedito. Un ‘equipaggio’ presenta la questione con performance, installazioni e brevi video. Infine, l’isola caraibica e la città di Venezia che ospita il padiglione possono condividere la loro esperienza con le barche di legno, persistente e tangibile elemento visivo di entrambe le culture, e intessere così un dialogo su un rischio reale che entrambe corrono, ovvero che la conoscenza, la memoria e le abilità alla base della costruzione di questi interessanti manufatti possano scomparire nel futuro. — Luisa Flora Partecipazioni Nazionali

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Commissario Susan Mains Ministero della Cultura Curatrice Luisa Flora Partecipanti The Crew: Fredericka Adam, Alexis Andrews, membri dell’Associazione Vela al Terzo, Sarah Baker, James Douglas, Alwyn Enoe, Melinda Hughes, Asher Mains, Massimo Marchiori (aka Stari Ribar), Everton Peterss The Flotilla: contributi dalla Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Dominicana, Barbados, Grenada Con il supporto di Associazione Vela al Terzo ASD Grenada Arts Council Grenada Tourism Authority Grenada Enterprises Group The Mermaid Hotel in Carriacou Susan Valentine, Carriacou Art and Soul Gallery Art House 473 Act: Art and Design Century 21 Insurance Consultants Grenada Ltd. Laluna Boutique Hotel and Villas McGuinness Foundation Andcosta CandC architettura ingegneria Venice Documentation Project MareVivo - Delegazione Veneto Christine Breghy Denis Mirlesse

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Studio Albori, Schizzo, 2023. Courtesy Studio Albori Álvaro Siza, O Encontro, 2023. Schizzo. Courtesy Álvaro Siza

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Santa Sede

Prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e celebrare la cultura dell’incontro sono gli insegnamenti del Santo Padre, le cui encicliche Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020) fanno da guida al percorso espositivo nel padiglione della Santa Sede presso l’abbazia di San Giorgio Maggiore a Venezia. Sono stati invitati a rappresentare il padiglione l’architetto portoghese Álvaro Siza (Premio Pritzker nel 1992), figura di prestigio indiscutibile nel panorama artistico e architettonico, e il collettivo italiano Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva) che, mediante una pratica multidisciplinare, sviluppa progetti che mescolano attività architettoniche a processi partecipativi ed ecologici. È dall’incontro tra le encicliche del Santo Padre, gli architetti invitati e i diversi contribuiti scientifici che sorgeranno, sotto il titolo Social Friendship: Meeting in the Garden, le installazioni presso l’abbazia dei Benedettini nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, come risposta al tema The Laboratory of the Future. Il percorso espositivo si sviluppa all’interno del monastero: dalle sale d’ingresso sul canale della Giudecca, attraverso la galleria della Nuova Manica Lunga e le sale che affacciano sul giardino, fino a entrare nel grande cortile. L’installazione O Encontro di Álvaro Siza accoglie il visitatore e lo conduce, in un dialogo tra le ‘figure’ disegnate e riprodotte dal maestro, fino agli spazi esterni. Questi ultimi si vestono con un nuovo assetto che tiene conto di come lo spazio verrà utilizzato in futuro: il giardino progettato dallo Studio Albori. Gli spazi saranno a disposizione del pubblico. La nuova disposizione del percorso tra gli orti, il pollaio, le zone di riposo, condivisione e contemplazione rappresenta lo scenario che racconta la vita quotidiana del monastero, aprendo alla possibilità di una conversazione con chi visita e usufruisce del luogo. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Cardinal José Tolentino de Mendonça Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede Curatore Roberto Cremascoli Partecipanti Álvaro Siza Studio Albori Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva Progetto scientifico Mirko Zardini Coordinamento COR arquitectos Roberto Cremascoli, Edison Okumura, Marta Rodrigues Produzione Flavia Chiavaroli

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Museo Etnografico, Budapest. © Museum of Ethnography, László Incze

Biennale Architettura 2023


Ungheria Il cuore della nostra mostra è il nuovo edificio del Museo Etnografico di Budapest come opera architettonica stessa. L’edificio – ideato da Marcel Ferencz (Napur Architect) – è stato completato nel 2022 dopo essere stato selezionato in un concorso internazionale di progettazione nell’ambito del programma di sviluppo urbano Liget Budapest, uno dei più grandi d’Europa. Liget Budapest comprende edifici come la House of Music Hungary (Sou Fujimoto) e la Nuova Galleria Nazionale, progettata da SANAA, attualmente in costruzione. Le due ali del Museo Etnografico evocano un cerchio immaginario del diametro di un chilometro e la superficie dell’edificio si espande in un giardino pensile di oltre 7000 metri quadrati. Quello che vediamo non è solo la perfetta porzione di un cerchio, ma anche una porta tra il paesaggio naturale del rinnovato Parco della Città e la palpitante vita urbana. L’architetto ha enfatizzato questa funzione di comunicazione e trasmissione tramite l’abbellimento della griglia metallica frangisole che avvolge la facciata dell’edificio, adornandola con trascrizioni contemporanee dei motivi ornamentali utilizzati dalle diverse tradizioni e culture documentate nel museo. Con il suo quasi mezzo milione di pixel, l’ornamento della facciata simboleggia l’ineguagliabile ricchezza della collezione del Museo Etnografico come un arazzo della cultura ungherese e mondiale. L’edificio è la prima sede di questa istituzione che conta centocinquant’anni anni di storia, appositamente progettato per gli scopi del museo. La mostra presenta il nuovo edificio, i suoi ornamenti, la collezione del museo e analizza il connubio di questi elementi osservando il complessivo rapporto artistico che collega questo esempio di architettura alla musica e alla luce. La musica è presente in mostra come oggetto sotto forma di un nuovo strumento contemporaneo – il cilindro sonoro, progettato per questo spazio dall’architetto e compositore Péter Mátrai – che condensa ed esprime la storia della musica come strumento e motivo musicale, rendendo udibile il rapporto tra l’edificio e la musica. Reziduum è una mostra interattiva; un’installazione di suono, luce e spazio che mira a creare una rappresentazione della memoria culturale in cui diversi strati diventano trasparenti grazie all’esame di manufatti storici, del nuovo edificio e del suo contesto urbano, nonché della musica contemporanea. — Mária Kondor-Szilágyi Partecipazioni Nazionali

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Commissario Julia Fabényi Curatrice Mária Kondor-Szilágyi Partecipanti Marcel Ferencz Ferenc Haász Péter Mátrai Judit Z. Halmágyi Organizzazione Ludwig Museum – Museum of Contemporary Art, Budapest Progetto grafico Zsombor Kiss Coordinamento del progetto Géza Boros Anna Bálványos Zsigmond Lakó Responsabile tecnico Béla Bodor Comunicazione Zsuzsanna Fehér Gabriella Rothman Partner professionale Museum of Ethnography, Budapest Con il supporto di Ministero della Cultura e Innovazione di Ungheria Liget Budapest Project

Reziduum – The Frequency of Architecture 57


In Search of Hy-Brasil-EEZ 01. © Peter Cody_Peter Carroll 2022

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Biennale Architettura 2023


Irlanda

“Ma ricordi che le parole sono segnali, contrassegni. Non sono immortali. E può accadere – per usare un’immagine a lei comprensibile –, può accadere che una civiltà si trovi imprigionata in contorni linguistici che non combaciano più con il paesaggio di... fatto”. Brian Friel, Translations Il tempo dell’espansione, dell’estrazione e dello sfruttamento senza fine è ormai passato. Per sfuggire alla gravità del noto, a queste modalità di vita ormai superflue, dobbiamo decolonizzare la mente e mettere a punto nuovi modi di abitare il mondo. Percorrere i fili tangibili o intangibili del dimenticato, del trascurato e dell’ancora sconosciuto può condurci a nuovi scenari. Incontri profondi che sono seme, radice e ramo di nuove storie. “Non c’è bisogno di un meteorologo per sapere da che parte soffia il vento”. Bob Dylan, Subterranean Homesick Blues In Search of Hy-Brasil nasce da un intenso rapporto con le isole d’Irlanda e si pone come una provocazione per reimmaginare quel vasto territorio combinato di terra e oceano che chiamiamo ‘casa’. Remote dal punto di vista geografico e periferiche nel dibattito contemporaneo, le nostre isole sono per necessità luoghi stabili, resistenti e creativi. Sono da tempo un importante crogiolo di lingua, musica e canto legato all’esperienza e sostengono una biodiversità ricca e unica. Le loro piccole comunità, che vivono al margine della produttività, possiedono una profonda conoscenza e comprensione dell’oceano, della terra e della gestione delle risorse, radicate nell’ordine sociale e nella memoria culturale. Da tempo, con gli scarsi mezzi a disposizione, prosperano con creatività, costruendo e alimentando nel mentre un’ecologia ricca e complessa. Siamo una nazione insulare che affronta un futuro incerto. Le sfide del cambiamento climatico, delle energie rinnovabili, della produzione alimentare etica e della biodiversità devono essere fronteggiate rapidamente e in maniera decisa. In questo cambiamento, l’inventiva mostrata dalle nostre isole di fronte alle avversità e la creatività in risposta alla mancanza di risorse ci forniscono gli strumenti e le narrazioni necessarie per ispirare modi di vivere più sostenibili. Il padiglione dell’Irlanda pone le comunità delle nostre isole al centro del discorso sul nostro futuro condiviso. L’installazione offre un’esperienza immersiva che passa dal locale al territoriale, dal micro al macro, per portare alla luce l’intelligenza intrinseca di questi luoghi straordinari. — Hy-Brasil Partecipazioni Nazionali

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Commissario Culture Ireland Curatori Peter Carroll Peter Cody Elizabeth Hatz Mary Laheen Joseph Mackey Partecipante Hy-Brasil Collaborazioni A2 Architects Coláiste Naomh Eoin, Inis Meáin Cushendale Woollen Mills Fiona Ní Ghloinn Hanneke & Stefan Frenkel Harry Keenan, Timothy Mills, Kevin Quinlan Infomar IUAV Mairéad Ní Fhatharta Muintir Inis Meáin Nicholas Allen One-Off Design Red Pepper Productions The Royal Irish Academy UCD Building Laboratory Produzione BH Audio Cody Fabrications and Design Dan Welldon Diego Carpentiero Firestation Artists’ Studios Inspirational Arts Kavanagh Lighting McKeon Stone Monarú Phideas Stone Raygun TG4 The Office of Public Works Thomas Ferguson Irish Linen Vinehall

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Installazione Space Forms Progetto grafico Peter Maybury Comunicazione Caro Communications Con il supporto di Culture Ireland The Arts Council of Ireland Department of Housing, Local Government and Heritage Department of Tourism, Culture, Arts, Gaeltacht, Sport and Media Cardinal Capital University College Dublin University of Limerick Cork Centre for Architectural Education The Office of Public Works The Royal Institute of Architects of Ireland Kavanagh Lighting TG4 National Irish Language Public Service Broadcaster PricewaterhouseCoopers Infomar Techrete Galway Co. Council Kerry Co. Council Mayo Co. Council

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Oren Eldar, Blue-Raman Fiber Optic Cable Landmark, 2023. Stampa a colori. Courtesy l’Artista Edith Kofsky, Laying of the Blue Raman Cable, 2023. Stampa a colori. Courtesy l’Artista

Biennale Architettura 2023


Israele Il padiglione israeliano della Biennale Architettura 2023 è stato sigillato. Il moderno edificio del 1952, che di solito accoglie i visitatori attraverso la sua facciata di vetro, è ora opaco, buio e inquietante. L’atto di chiusura allude alla natura fisica delle moderne reti di comunicazione e del cloud tecnologico: centri dati e strutture di centraline telefoniche – comunemente denominate ‘scatole nere’ – collegate da una vasta rete di cavi, terrestri, sotterranei e sottomarini. La relativa mancanza di attenzione architettonica nei confronti di queste infrastrutture è in diretto contrasto con l’importante ruolo svolto dagli edifici delle infrastrutture di comunicazione nel corso del XX secolo e con i grandi sforzi investiti nella pianificazione degli snodi nazionali delle telecomunicazioni come parte del progetto di costruzione della nazione in Israele. Esaminando i rapidi cambiamenti subiti da queste infrastrutture nel corso degli anni, la mostra fa luce sui processi economici e geopolitici attualmente in corso in Israele e nella regione. Israele, a questo proposito, rappresenta un caso unico. La sua posizione strategica come passaggio tra i continenti, oltre all’importanza della sua terra per le tre religioni monoteiste, l’hanno trasformata in un campo di battaglia storico. Dalla formazione dello Stato nel 1948, tuttavia, è diventata una semi-isola ed è rimasta all’interno di un fragile equilibrio. Oggi questa relativa stabilità è minata da un nuovo cavo ottico posato da Google, destinato ad aggirare l’Egitto nel percorso dall’India all’Europa, resuscitando le antiche rotte mercantili che attraversavano questa terra. Nel frattempo, nel centro di Israele, sia Google sia Amazon stanno costruendo data center per il nuovo progetto cloud del governo israeliano, Nimbus, cercando di trasformare il Paese in una regione cloud competitiva al confronto con iniziative simili in Egitto e Arabia Saudita. La mostra riflette questa dinamica, includendo al contempo le storie del Medio Oriente, i recenti sviluppi della tecnologia globale e le mutevoli strutture di potere messe in atto. Concentrandosi sulla transizione dal suono alla luce, si estende come un’installazione immersiva, esaminando il passaggio dalla comunicazione analogica a quella digitale, dagli edifici accessibili al centro della città a strutture sigillate in luoghi periferici e da una connettività diretta a una decentralizzata: l’hardware della quarta rivoluzione industriale. — Oren Eldar, Edith Kofsky, Hadas Maor Partecipazioni Nazionali

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Commissari Michael Gov Arad Turgeman Curatori Oren Eldar Edith Kofsky Hadas Maor Partecipanti Oren Eldar Edith Kofsky Daniel Meir Organizzazione Ministero della Cultura e Sport d’Israele Ministero degli Affari Esteri Collaborazione The Israel Lottery Council for Culture & Arts Con il supporto di Outset Contemporary Art Fund

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Biennale Architettura 2023


Italia —

Commissario Onofrio Cutaia Direttore Generale Creatività Contemporanea, Ministero della Cultura Curatori Fosbury Architecture

Ministero della Cultura — — — — — —

Gennaro Sangiuliano Ministro della Cultura Sottosegretari di Stato Lucia Borgonzoni Gianmarco Mazzi Vittorio Sgarbi Capo di Gabinetto Francesco Gilioli Capo Ufficio Stampa e Comunicazione Andrea Petrella

Direzione Generale Creatività Contemporanea —

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Onofrio Cutaia Direttore Generale Servizio I – Imprese culturali e creative, moda e design Dirigente: Maria Luisa Amante Servizio II – Arte contemporanea Servizio V – Fotografia Dirigente: Fabio De Chirico Servizio III – Architettura contemporanea Servizio IV – Periferie e rigenerazione urbana Dirigente: Maria Vittoria Marini Clarelli Coordinamento generale Luciano Antonino Scuderi Area tecnico-scientifica Patrizia Cavalieri Eliana Garofalo Simona Gervasio Caterina Tantillo Staff del Direttore Generale Eva Barrera Sara Airò Segreteria Roberta Gaglione Personale di supporto Chiara Francesconi Antonella Lucarelli Claudia Vitiello Area amministrativa Graziella D’Urso Comunicazione e Ufficio Stampa Silvia Barbarotta Francesca Galasso

Padiglione Italia — — — — — — — —

Commissario Onofrio Cutaia Curatori Fosbury Architecture Assistenti dei curatori Lorenzo Cellini Valeria Cesti Organizzazione generale e relazioni istituzionali Chiara Bordin Strategia di comunicazione P:S Visual Identity & Digital Giga Design Studio Ufficio Stampa Lara Facco P&C

SPAZIALE. Ognuno appartiene a tutti gli altri Partecipazioni Nazionali

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Illustrando il tema scelto per la Biennale Architettura 2023, The Laboratory of the Future, la curatrice Lesley Lokko ha posto la questione della “rilevanza della disciplina per questo mondo – e per quello a venire”. La risposta del gruppo Fosbury Architecture, al quale è stato affidato per il 2023 il progetto espositivo del Padiglione Italia, è riassunta nell’aggettivo scelto come titolo, SPAZIALE, laddove per spazio si intende non tanto l’ambiente costruito, quanto la rete dei rapporti che permettono di insediarsi fisicamente nel presente. Sono rapporti che riguardano il corpo, l’ambiente, il paesaggio, la geografia fisica e politica, l’educazione e la ricreazione, il retaggio culturale nella sua sopravvivenza materiale e immateriale. La scommessa per il futuro, secondo i curatori Fosbury Architecture, non è quindi più l’autorialità, il segno individuale, ma la progettualità partecipativa e transdisciplinare. Così Fosbury Architecture ha scelto – come dichiarato nel sottotitolo Ognuno appartiene a tutti gli altri – di condividere i contenuti della mostra con altri nove progettisti sotto i quarant’anni, che nei mesi precedenti all’inaugurazione hanno attivato altrettante ‘stazioni’ sul territorio italiano. Ne emerge un quadro in cui le relazioni spaziali non nascondono patologie e storture, perché sarebbe irrealistico parlare oggi di architettura prescindendo dall’emergenza ambientale o dalle tensioni interculturali, ma mostrano anche possibilità di nuove sintesi. Del resto, la sensibilità alla componente spaziale è generalmente considerata una specificità dell’approccio italiano alle arti visive anche nelle loro intersezioni, come dimostra la storia dei movimenti del XX secolo, dal Futurismo allo Spazialismo, all’Arte povera. Non a caso, nella lingua italiana, l’apertura agli altri è resa da espressioni come ‘fare spazio’, nel senso di accogliere, e ‘dare spazio’, nel senso di far partecipare. Entrambe possono figurare fra le parole chiave di The Laboratory of the Future. — Onofrio Cutaia Commissario del Padiglione Italia 2023 Direttore Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura Partecipazioni Nazionali

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Una mostra, come qualsiasi altro evento effimero, è per definizione un processo altamente dissipativo di energie, materie prime e risorse economiche. Se da un lato è necessario celebrare momenti di confronto e contaminazione, dall’altro è fondamentale ripensarne drasticamente gli orizzonti. Con l’obiettivo di trasformare il consumo in investimento e il fine in un inizio, SPAZIALE si articola in tre momenti: SPAZIALE presenta, un osservatorio sull’attivazione di nove azioni site-specific diffuse in tutto il territorio italiano e promosse grazie al supporto della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura; SPAZIALE. Ognuno appartiene a tutti gli altri, che incarna, all’interno del Padiglione Italia, la sintesi formale e teorica dei processi innescati altrove; e, infine, la piattaforma SPAZIALE, che verrà lanciata dopo l’inaugurazione come laboratorio incrementale con una prospettiva temporale dilatata. Lo ‘spazio’, inteso come territorio delle possibilità, è il campo d’azione di un’inedita costellazione di attori nel tentativo di espandere i confini dell’architettura, innescare processi collaborativi, affrontare le sfide della contemporaneità e produrre anticorpi alla disillusione. La definizione di un’agenda di nove temi urgenti per la transizione, non solo ecologica, della disciplina ha guidato alla selezione di altrettanti progettisti sotto i quarant’anni, rappresentativi di una generazione cresciuta in un contesto di ‘crisi permanente’ e individuati in base all’attitudine con la quale operano, i mezzi che utilizzano, le questioni che sollevano e le risposte che suggeriscono. A ciascuna pratica è stata associata una figura di eccellenza proveniente da diversi campi delle industrie creative, capace di informare e potenziare i progetti in corso. Le installazioni sono state realizzate in luoghi paradigmatici di condizioni di fragilità o trasformazione del nostro Paese e ogni progetto è stato supportato da istituzioni pubbliche o private che contribuiscono attivamente al radicamento delle iniziative e alle quali ne verrà affidato il destino. — Fosbury Architecture Curatori del Padiglione Italia 2023 Partecipazioni Nazionali

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Raccolta di frammenti di ceramica in spiaggia a Tokoname, 2023. Photo Yuma Harada. © Futoshi Mizuno Ricerca su tessili che mostrano vento e luce, 2022. © Akane Moriyama

L’Umaki Camp, un luogo dove ‘creare’ e ‘usare’ sono indivisibili. Photo Yuma Harada © dot architects ↓↓↓

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Giappone Dopo la pandemia, alla luce della riflessione sulla centralità della convivenza, le città sono interessate da uno sviluppo anonimo, una riproduzione infinita di spazi gestiti in maniera omogenea. Su tale sfondo, abbiamo ragione di credere che l’architettura sia ancora amata oggi? Si dice che il contrario dell’amore non sia l’odio, ma l’indifferenza: sembra che l’uomo abbia perso interesse per architettura e urbanistica. Come possiamo allora ritrovare lo stupore innanzi a esse o provare gioia davanti a uno spazio condiviso? Per architettura da amare non si intende esclusivamente un edificio. A guardare un corrimano consunto e levigato possiamo immaginare la quantità di persone che ne hanno fatto uso. Se visitiamo un laboratorio dove si produce salsa di soia o miso deliziosi, possiamo percepire il potenziale architettonico dagli organismi che abitano muri e travi, sentendo che l’architettura è importante anche per i più invisibili organismi viventi. Da un villaggio di case dai tetti di paglia ricaviamo la netta sensazione che queste siano profondamente connesse con il paesaggio montano circostante e le occupazioni degli abitanti. Un’architettura con profumo e gradevolezza al tatto investe tutti i nostri sensi e ci fa sentire a nostro agio, a casa. In un luogo costantemente sottoposto a modifiche con mobili e oggetti che riempiono l’architettura, creare e utilizzare sono un unicum che sprigiona ricchezza e potenza. L’architettura-luogo da amare è dunque possibile quando ingloba memorie e storie intrinseche, incorpora lo scenario sullo sfondo e le attività che vi sono ospitate, ampliando il suo stesso significato. Rende inoltre possibile percepire l’architettura come una creatura vivente piuttosto che come un’entità avulsa dalla natura. Se amiamo i nostri figli, non possiamo misurarne la preziosità in termini di ruoli e capacità; allo stesso modo, riconoscere l’architettura come un organismo vivente ci conduce ad averne cura e amarla, malgrado i suoi difetti e le sue mancanze, coltivandola e facendola crescere assieme a noi. I membri del nostro team vengono da ambiti differenti: tessile, ceramica, fotografia, design, editing e architettura. Siamo convinti che un luogo da amare prenda il via da un atto d’amore in primis verso l’architettura, e nel padiglione giapponese di Yoshizaka Takamasa genereremo un’esperienza spaziale tale da condurre il pubblico a condividere il nostro pensiero. Partecipazioni Nazionali

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Commissario The Japan Foundation Curatrice Maki Onishi Partecipanti Toshikatsu Ienari, Wataru Doi, Ai Ikeda, Keiko Miyachi (dot architects) Akane Moriyama Futoshi Mizuno Curatore aggiunto Yuki Hyakuda Team curatoriale Tomomi Tada Yuma Harada Collaborazioni Yurika Kono Shiho Eika, Makoto Furusawa, Kotaro Igo o+h Dai Nagae, Chiaki Hanyu MUESUM Megumi Takahashi, Yuka Tsuda UMA / design farm Kazuki Imai Mizuno Seitoen Lab. Ryohei Yoshiyuki Ryohei Yoshiyuki to Job Yuji Okazaki Atelier Tuareg Masanobu Ito Shinko Industry Naoki Kasahara Kasahara Hosohaba Orimono Norihiko Ikeda, Tatsushi Heguri Taiyo Kogyo Corporation Yoshiyuki Hiraiwa André Raimundo Yoshioki Mizuno Mizuno Seitoen Yosuke Taki Julia Li Tanpopo-no-ye Yokohama National University

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Con il supporto speciale di Ishibashi Foundation Con il supporto di Motherhouse Sankyo Tateyama Toyo Ito & Associates, Architects Karimoku Nagoya Mosaic-Tile S&R Evermay / Sachiko Kuno Philanthropic Endowment Shelter Kajima Corporation Ohnishi Netsugaku Tajima Roofing Takenaka Corporation Amame Associate Japan Daiko Electric Phoenixi Taihei Building Service Corporation Ishikawa Construction Industry Voce Yokohama National University Yokohama Graduate School of Architecture In collaborazione con Taiyo Kogyo Corporation

Architecture, a Place to Be Loved — When Architecture Is Seen as a Living Creature 69


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N H D M Architects, Measure Island, 2023. Stampa digitale su carta, 91 × 61 cm. Courtesy N H D M Architects. © N H D M Architects

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2086: Together How? è una mostra che si domanda come potremmo lavorare insieme per far fronte alle crisi ambientali attuali e future e come immaginare una rivoluzione ecoculturale tramite una rivalutazione critica della nostra eredità antropocentrica. Parte dunque dalle condizioni storiche e dal potenziale futuro, fino al presunto anno di picco della popolazione mondiale, in tre piccole comunità della Corea del Sud. Situate in una città globale, una piccola città e un villaggio, queste comunità costituiscono uno spaccato di urbanizzazione, modernizzazione e occidentalizzazione nella Corea del Sud. Sono presentate attraverso la collaborazione di ricerca e progettazione tra architetti e leader delle comunità locali, guidata da un insieme di contrapposizioni che hanno plasmato queste comunità, quali urbano/rurale, globale/ locale, individualismo/comunalismo, capitalismo/ socialismo, antropocentrismo/biocentrismo e spiritualismo/materialismo. Il punto centrale della mostra è rappresentato da un gioco partecipativo che inviterà i visitatori a prendere decisioni sugli scenari ecoculturali attuali e futuri. Le scelte sono registrate su un grande tabellone segnapunti composto da centinaia di lampadine, che mostra se i giocatori stanno collaborando o gareggiando e se stanno risolvendo o aggravando la crisi ambientale. Il testo dialettico sul tabellone aiuta i giocatori a comprendere come le loro scelte si legano al nostro retaggio antropocentrico, che ha dato vita alle crisi ambientali del mondo. I video aiutano i giocatori a immaginare future possibilità ecoculturali. I risultati giornalieri del gioco vengono tradotti in numeri che rappresentano le temperature globali, il livello del mare, la CO2, la migrazione globale, i coefficienti di Gini e altro ancora. Questi numeri misurano l’impatto che le scelte dei giocatori avranno sui futuri cambiamenti ambientali e socioeconomici. Invece di utilizzare i dati climatici per fingere che il problema sia intorno a noi e non dentro di noi, la mostra riporta i dati alla nostra ideologia faustiana di progresso e individualismo e al modo in cui abbiamo perseguito un piacere materiale illimitato attraverso l’industrializzazione, la colonizzazione e la globalizzazione. 2086 sostiene che non solo la crisi ambientale ci costringerà a cambiare, ma sarà anche la nostra unica possibilità di creare un paradigma ecoculturale migliore per il futuro. Se non lo facciamo, allora noi, gli organismi più predatori sulla terra, potremmo meritare l’estinzione. — Kyong Park Partecipazioni Nazionali

Repubblica di Corea

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Commissario Arts Council Korea Curatori Soik Jung Kyong Park Partecipanti Soik Jung, Kyong Park Yehre Suh (Urban Terrains Lab, UTL) x WoonGi Min Yerin Kang (Seoul National University), Lee Chi-hoon (SoA) x Zoosun Yoon (Chungnam National University, UDTT lab.), Ahram Chae (Studio UDTT) Nahyun Hwang, David Eugin Moon (N H D M) x Wolsik Kim Jaekyung Jung Sunhee Yang (Gute form), Chris Ro (A Dear Friend) Our Labour Artisti di “Together How Game” Soik Jung Kyong Park Assistenti Curatori Kim Yuran (segretario generale) Han Dabin Collaborazioni East Incheon Team: Ara Song (UTL), Haein Choi (UTL) / Naomi, Kim Soo Hwan, Beck In Tae, Oh Suk Kuhn Gunsan Team: Hyoeun Kim (SoA), Jennifer Park (SoA), Chae Young Lee (SoA), Mingyu Lee (SoA) / TechCapsule, Sungjae Son, Studio Texture on Texture, Jongbuhm Kim, Z-bang Co., Ltd. / Supported by GunsanSi, Commonz Field Gunsan, Ministero dell’Interno e della Sicurezza Gyeonggi-Do Village Team: Myungju Ko (N H D M), Hyung Chul Ko (N H D M), Chaewon Kim (N H D M), Helen Ilse Adelheid Winter (N H D M) / Milan Shrestha, Youngkyun Park, Sange Sherpa / Sostenuto dalla Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts Video Team: Jihye Park, Tae Hyung Kim (Nalsea) Zava (ingegnere illuminotecnico, fornitore)

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Responsabile del padiglione e supervisore alle costruzioni Eun Jeong Kim Direzione di progetto in loco Marco Scurati Produzione e installazione Our Labour Falegnameria Vianello di Vianello Nicola Enrico Wiltsch (AV), Dario Sevieri (AV) Maurizio Baston Raoul Girotto Con il supporto di Woori Bank Zava LG Electronics Samsung Foundation of Culture MCM University of California, San Diego, Academic Senate

2086: Together How? 71


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Visualizzazione della mostra

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Repubblica del Kosovo La migrazione ha svolto, fino ai giorni nostri, un ruolo significativo nello sviluppo sociale del Kosovo. È spesso caratterizzata dal concetto di translocalità, ovvero la compresenza di una persona, nucleo familiare o famiglia in più luoghi, sostenuta da connessioni, comunicazione e trasferimento di informazioni, beni materiali e immateriali. Nel corso degli anni, a causa della situazione politica internazionale carica di tensione e di una crescente emarginazione della popolazione albanese, centinaia di migliaia di persone hanno cercato rifugio e protezione all’estero. Durante questa ondata migratoria legata ai conflitti e alla guerra tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, le persone in fuga hanno trovato temporanea sistemazione principalmente nei Paesi dell’OCSE, regolata sotto forma di permesso di soggiorno per rifugiati politici. Questo status giuridico non prevedeva il ritorno in patria fintanto che il motivo della fuga non fosse stato risolto e revocato. Per molti rifugiati, questo ha rappresentato uno stato di attesa e di sospensione, perché la ragione della migrazione veniva imposta dall’esterno. Il luogo percepito di questo gruppo migratorio è il punto di partenza per un concetto filosoficospaziale: luogo trascendente. La trascendenza implica il processo di attraversamento di un confine che separa due sfere fondamentalmente diverse. Per le persone in situazione di migrazione, il non poter tornare in patria per un periodo indefinito ha rappresentato una profonda cesura della loro vita. Ciò ha comportato che, da un lato, le persone migrate si sono gestite nel Paese ospitante: la vita quotidiana andava avanti ed erano fisicamente presenti. Diverso era il discorso della presenza emotiva: a causa del conflitto, l’attenzione e il pensiero erano rivolti alla patria abbandonata, spesso timori e insicurezze non consentivano di stabilirsi nel Paese ospitante, creando un’intermedia condizione di sospensione. In questo stato, i confini tra l’essere immanente nell’adesso e l’essere trascendente nella mente si confondono: l’individuo migrato si trova in un luogo trascendente. Il progetto si interroga sull’influenza che il luogo trascendente può avere sull’essere immanente a breve e a lungo termine. Il modo in cui influenza l’architettura e l’urbanistica può essere osservato molto bene in Kosovo, così come in molti altri luoghi del mondo. L’obiettivo è quello di indagare questi fenomeni e stimolare riflessioni e discussioni critiche. — Poliksen Qorri-Dragaj, Hamdi Qorri Partecipazioni Nazionali

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Commissario Dafina Morina Partecipanti Poliksen Qorri-Dragaj Hamdi Qorri Collaborazioni Marcia Singer Lisa Brandstetter Zymryte Hoxhaj Produzione Engjëll Berisha Identità visiva Jetë Dobrunja PR locale Simon Kurti PR internazionali Nadia Fatnassi Kathrin Luz

rks² | transcendent locality 73


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Naser Ashour, Decolonisation of Kuwait and Ahmadi, 2023. Collage multimediale, 50 × 50 cm. NCCAL, BP Archive

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Kuwait

Il tessuto urbano di Kuwait City era un tempo un’area di strutture aggregate organicamente e inframezzate da vari gradi di apertura. Le case a corte erano collegate da una rete di percorsi, con spiazzi pubblici che ne interrompevano la densità, creando zone di scambio culturale, politico ed economico. Un tempo sede di numerosi aspetti della vita civile kuwaitiana, la città murata è stata per lo più distrutta per far posto alla modernizzazione. Ne è nato un nuovo patrimonio che ha dato vita a un paesaggio altrettanto nuovo, fatto di strutture moderne progettate da importanti architetti internazionali e locali dell’epoca, slegati dalle origini indigene del luogo. Il padiglione del Kuwait riesamina i processi di pianificazione urbana tramite la riorganizzazione dei trasporti, della pedonalità e dell’accessibilità. L’esperimento è iniziato come risposta a vari masterplan stranieri per il Kuwait. L’obiettivo è quello di migliorare la scala umana della città ottimizzando gli spazi urbani interstiziali e di transizione, nonché dando priorità al trasporto collettivo rispetto alle modalità di spostamento individuale. Il processo prevede un approccio alla pianificazione urbana che indaga una macroscala top-down congiuntamente a una microscala bottom-up che mantenga l’esperienza e la scala umana come punti focali nel nuovo piano. L’interconnessione del tessuto storico della città viene ripensata attraverso interventi urbani su varia scala, dando origine a una nuova rete di collegamenti con molteplici modalità di trasporto che culminano nella scala umana. Il titolo del progetto riflette il processo di ripensamento come tentativo di decolonizzare il discorso architettonico; Rethinking Rethinking emerge come metodo per rivalutare i processi esistenti, superando i principi e i valori colonialisti che generalmente guidano lo sviluppo di progetti architettonici. L’approccio esamina le convenzioni e i precedenti esistenti lasciando spazio alle forze locali per generare un processo nuovo. La storia è trattata più come spirale che come linea temporale regolare, alla ricerca di momenti precedenti che possano informare lo sviluppo futuro, che sarebbe altrimenti disgiunto in un convenzionale flusso lineare. — Rethinking Rethinking Kuwait Team Partecipazioni Nazionali

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Commissario Abdulaziz Almazeedi Curatori Hamad Alkhaleefi Naser Ashour Mohammad Kassem Rabab Raes Kazem Partecipanti Abdulaziz Bazuhair Abdullah Albusaili Abdulrahman Sadeq Aliaa Mahdy Aziz Motawa Bader Al Moulah Batool Ashour Dana Alrashid Fareed Alghimlas Fatima Al Fulaij Hasan Al Saffar Jassim Alelwani Jassim Alnashmi Latifa Al-Hajji Maha Al Asaker Malak Al Suwaihel Maryam Mohammed Mohammed Khesroh Nada Abu-Daqer Noor Abdulkhaleq Nour Jafar Nourah Alazmi Qutaiba Buyabes Sara Al-zeer Sayer Al Sayer Suad Al-Bahar Sultan Alsamhan Vinod Kumar Yasmeen Abdal Zahra Al-Mahdi Zahra Hashim Partner Art Events Reale Società Canottieri Bucintoro

Rethinking Rethinking Kuwait 75


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TC Latvija, 2023

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Lettonia

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TCL riunisce i risultati delle ultime dieci edizioni della Biennale Architettura, a partire dalla prima partecipazione della Lettonia a NEXT (2002); da allora, numerosi architetti sono stati coinvolti e altrettante idee sono state prodotte. Il padiglione lettone intende indagare la connessione tra la Biennale Architettura (vista come ‘supermercato’) e i padiglioni nazionali (visti come i suoi ‘prodotti’). Da TC Latvija, un autentico negozio dove tutte le idee si incontrano e trovano posto sullo stesso scaffale potete trovare tutto ciò di cui avete bisogno per i vostri desideri, visioni e necessità. Benvenuti negli infiniti orizzonti degli scaffali della spesa. Ciò che conta non sono i prodotti, ma le vostre decisioni. Una quantità infinita di possibilità può essere estenuante, ma se invece il processo decisionale fosse divertente? Gli autori invitano a spostare una parte di questo processo all’Arsenale, sottolineando il suggerimento di Lesley Lokko, che La Biennale stessa diventi il ‘laboratorio del futuro’.

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Commissario Jānis Dripe Ministero della Cultura della Repubblica di Lettonia Curatori Uldis Jaunzems-Pētersons Ernests Cerbulis Partecipanti Ints Menģelis Toms Kampars Direzione di progetto Austra Bērziņa Architetti Toms Kampars Ernests Cerbulis Ints Menģelis Progetto grafico Karola Rubene Comunicazione Kalvis Kidals Collaborazioni Ministero della Cultura della Repubblica di Lettonia DEI ARH architecture office

Più idee Più architettura Più prodotti Il padiglione lettone propone la scelta come un’esperienza spaziale che ritroviamo ogni giorno nelle strutture commerciali. Scegliere un prodotto al posto di un altro ci fa pensare. Alla base delle nostre decisioni ci sono la qualità o l’origine del prodotto, il marketing, il prezzo e così via. Alcune scelte si basano su convinzioni individuali e senso di appartenenza, altre sulle caratteristiche e la storia percepita del prodotto, la sua adesione alla categoria merceologica cui appartiene o, di contro, sul desiderio di distinguersi dalla scena della categoria di prodotto, ponendosi in contrasto con il quadro generale. Partecipazioni Nazionali

T/C LATVIJA (TCL) 77


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Frammento dell’area giochi, 2023. Photo Jonas Žukauskas

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Lituania Le foreste sono spazi architettonici e infrastrutturali: ambienti di sistemi naturali governati, sfruttati e regolati da interventi, tecnologie, industrie, istituzioni ed enti umani, ma anche luoghi di impoverimento della biodiversità. Il padiglione lituano è presentato come paesaggio ludico e concepito per riconoscere gli approcci peculiari dei bambini nell’osservare, trarre conclusioni, spiegare la foresta e pretendere la partecipazione alla sua formazione. Il Children’s Forest Pavilion riunisce opere e scoperte sviluppate parallelamente ad attività all’aperto svolte con i bambini nei boschi intorno a Vilnius e alla penisola di Neringa in Lituania, nonché nelle secolari aree forestali di Paljakanvaara in Finlandia. Guidati da educatori ambientali, attivisti, artisti, architetti e silvicoltori, i bambini sono stati condotti a pensare alle foreste come spazi di negoziazione in cui nessun singolo attore rappresenta una parte principale. Hanno imparato a conoscere antiche foreste, paesaggi paludosi primordiali e lunghi processi di formazioni geologiche. Su scala microscopica, hanno osservato i modelli di crescita dei licheni ed esplorato le molecole di inquinamento chimico attraverso la realtà aumentata, creature da loro definite ‘ecomostri’. Le linee temporali li hanno aiutati a tracciare i mutevoli ambienti delle foreste e a confrontare la capacità degli ecosistemi di compensare lo sfruttamento forestale. Un gregge di robuste pecore di razza Skudde che pascolavano nei boschi di Dzūkija ha fornito la lana per realizzare oggetti morbidi. I bambini hanno sperimentato i suoni generati da strumenti a corda che producevano rimandi di legno antico e vivo e sono stati invitati a far parte di un nuovo programma di apprendimento basato sui fenomeni per acquisire competenze di alfabetizzazione forestale. Il padiglione è stato realizzato con legname proveniente da alberi della penisola di Neringa che, nel corso di diversi anni, sono stati raccolti in un archivio, in cui ogni albero è contrassegnato e datato. Piallato, forato e imballato nella falegnameria di Nida, il legname è stato trasportato nel porto di Marghera, da dove ha proseguito in barca fino alla sede del padiglione in campo della Tana, per essere assemblato ed esposto. Abbinati a installazioni cinematografiche, tavoli da lavoro e strutture di gioco, gli elementi architettonici sostengono l’ambiente di ricerca e apprendimento della mostra. Al termine della Biennale, l’installazione sarà preparata per il suo ritorno nei boschi nativi della penisola di Neringa, dove diventerà meta di passeggiate nei boschi e protagonista di laboratori di educazione ambientale. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Ines Weizman Curatori Jurga Daubaraitė Egija Inzule Jonas Žukauskas Partecipanti Aistė Ambrazevičiūtė Ancient Woods Foundation Gabrielė Grigorjevaitė Laura Garbštienė Monika Janulevičiūtė Mustarinda Association Tiina Arjukka Hirvonen, Michaela Casková, Robin Everett, Riitta [Nyyskä] Nykänen Mantas Peteraitis School of Creativity Kristupas Sabolius New Academy Nene Tsuboi, Tuomas Toivonen Urbonas Studio Nomeda & Gediminas Urbonas Kornelija Žalpytė

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Anton Shramkov Progetto grafico Monika Janulevičiūtė Produzione video Eitvydas Doškus Elis Hannikainen Video editing Ignė Narbutaitė Illuminazione Martynas Kazimierėnas Organizzazione Neringa Forest Architecture Nida Art Colony of Vilnius Academy of Arts Con il supporto di Neringa Municipality Nordic Culture Point Lithuanian Council for Culture Si ringraziano Tutti i bambini, gli educatori e le scuole che hanno partecipato ai workshop in Lituania e Finlandia

Coordinamento Dovilė Lapinskaitė Architettura Jonas Žukauskas in collaborazione con Antanas Gerlikas Jurgis Paškevičius

Children’s Forest Pavilion 79


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SnT University of Luxembourg, LunaLab, addestramento di robot per l’estrazione mineraria spaziale, Luxembourg, 2022. Courtesy l’Artista e Vistamare Milano / Pescara. © Armin Linke 2022

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Dallo sviluppo degli insediamenti umani sulla Luna all’estrazione di metalli e minerali rari dagli asteroidi, l’immaginario collettivo della crescita guidata dalle attività estrattive ha, letteralmente, trasceso i confini della Terra. Questo spostamento dello sfruttamento di risorse dalla Terra ormai esausta ai corpi celesti, ai pianeti, alla Luna stessa richiede una discussione urgente sull’impatto che ciò avrà sulla nostra concezione del suolo, delle risorse e dei beni comuni. Down to Earth scompone il progetto dell’estrazione mineraria nello spazio osservandolo dal punto di vista delle risorse. Inizia con le seguenti domande: In che modo questa nuova iterazione della corsa allo spazio, impregnata di false promesse sull’infinita disponibilità di risorse, si discosta dall’attuale logica estrattiva del capitalismo e dai relativi effetti sociali e ambientali distruttivi? In che modo l’attuale privatizzazione dello spazio, con la sua decisa tendenza verso il protagonismo delle imprese private nello sfruttamento delle sue risorse, influirà sulla condizione degli organismi extraterrestri intesi come forma di beni planetari comuni? Quali sono le materialità dell’attività estrattiva nello spazio – la logistica, le tecnologie, le infrastrutture e i lavoratori che la costituiscono – e qual è il loro rapporto con le gerarchie del potere geopolitico? E, da ultimo, in che modo gli architetti possono risolvere criticamente le ramificazioni di queste fantasticherie materiali, radicate nei paradigmi esistenti della crescita? Progettati come modelli al naturale dei paesaggi della Luna, negli ultimi anni i ‘laboratori lunari’ si sono messi in evidenza in molte imprese private e istituzioni, con funzione di infrastruttura per testare le diverse tecnologie estrattive. Le economie speculative dell’industria estrattiva nello spazio ricorrono alla messinscena di storie connesse alle risorse e alla soluzione tecnologica (il cosiddetto technological fix); è perciò chiaro che i laboratori lunari sono molto più di semplici spazi destinati agli esperimenti scientifici e svolgono piuttosto un ruolo di media studios per la produzione di immagini della tecnologia umana sulla Luna. Down to Earth ricorre al laboratorio lunare come mezzo per far conoscere criticamente le storie di esplorazione dello spazio raccontate dall’industria tecnologica. L’ambiente stesso del padiglione è trasformato in laboratorio lunare, un palcoscenico dove si assiste allo spettacolo dell’estrazione mineraria, nel quale Down to Earth intende svelare i retroscena del progetto dell’estrazione mineraria nello spazio, offrendo un modo diverso di vedere la Luna che supera l’attuale ottica dell’Antropocene. Partecipazioni Nazionali

Granducato di Lussemburgo

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Commissari Kultur | lx - Arts Council Luxembourg Luca — Luxembourg Center for Architecture, per conto del Ministero della Cultura Curatori Francelle Cane Marija Marić Partecipanti Francelle Cane, Marija Marić in collaborazione con Armin Linke e Lev Bratishenko, con i contributi di Jane Mah Hutton, Anastasia Kubrak, Amelin Ng, Bethany Rigby e Fred Scharmen Si ringrazia Master in Architecture, University of Luxembourg

Down to Earth 81


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Modello della mostra, scala 1:15 Modello della mostra, scala 1:15

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Repubblica di Macedonia del Nord

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La Summer School di architettura presso la facoltà di Architettura dell’Università dei Santi Cirillo e Metodio di Skopje si è tenuta all’interno del monastero di San Joakim Osogovski dal 1992 al 2017. Durante questo periodo, la Summer School ha rappresentato uno sforzo collaborativo di tutti i suoi partecipanti – studenti, docenti, ospiti e personale di supporto – attivamente impegnati dalla fine di giugno all’inizio di luglio di ogni anno. Il monastero si trova ai piedi dei monti Osogovo e la sua morfologia spaziale è atipica per le fortificazioni monastiche chiuse: si articola su diversi piani di elevazione, in relazione all’andamento del terreno, formando una sorta di nodo aperto che raccoglie i flussi naturali del territorio circostante e diventando così un luogo di ritrovo per molti visitatori provenienti da est e da ovest, da nord e da sud. La Summer School di architettura è stata operativa a partire dagli anni Novanta, in un periodo di forti turbolenze geopolitiche a livello globale e in particolare nei Balcani; ciò nonostante, ha rappresentato un centro di coesione, riunendo persone provenienti da diverse regioni del mondo. La foresteria del monastero di San Joakim Osogovski fungeva da spazio di unione, un’‘oasi’ di collaborazione, creazione e discussione su vari concetti, metodologie e approcci all’apprendimento, al pensiero e all’azione. Questa mostra intende fornire una base documentaria ai nostri ricordi, storie, immaginazioni ed esperienze, posti su un tavolo comune sotto forma di oggetti, fotografie, documenti, disegni: tracce del passato per un potenziale futuro. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Dita Starova-Qerimi direttrice della National Gallery of Macedonia Curatori Ognen Marina Dimitar Krsteski Aleksandar Petanovski Darko Draganovski Marija Petrova Gordan Petrov Partecipanti Faculty of Architecture, Saints Cyril and Methodius University in Skopje Minas Bakalchev Mitko Hadzi-Pulja Aleksandar Radevski Saša Tasić Dimitar Papasterevski

Stories of the Summer School of Architecture in the Saint Joakim Osogovski Monastery 1992–2017 83


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APRDELESP, Case Study 89 (Padiglione del Messico alla 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia), sviluppo del progetto (vista assonometrica – A), 2023. Disegno digitale. Courtesy APRDELESP. © APRDELESP Brian Cross, Brian B+ Cross, Ayutla Study, 2021. Immagine digitale. Courtesy Mochilla. © B+

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Messico Il padiglione del Messico è uno spazio immersivo basato su un frammento in scala 1:1 del modello espanso del campetto da basket rurale, un’infrastruttura che è stata riconvertita in spazio privilegiato per processi poli- e pluri- derivati di decolonizzazione nelle comunità indigene del Messico. Sin dal momento della loro creazione come parte dei programmi di sviluppo per le comunità agrarie messi in atto durante le distribuzioni di terra delle riforme agrarie messicane degli anni Trenta del Novecento, i campetti da basket hanno costituito un esempio eccezionale di trasformazione radicale e di deviazione dalle linee guida prescritte dello sviluppo centralizzato verso un modello di infrastrutture costruttiviste, dove una piattaforma concreta, di cui ci si riappropria e convertita, diventa il fondamento per un comunalismo indigeno contemporaneo. La nostra ricerca su questi campi da basket funge da laboratorio per indagare gli adattamenti e le trasformazioni che hanno permesso a questi spazi di trascendere la loro funzione originaria, dedicata interamente alla ricreazione e alla promozione dello sport, per diventare punti focali nella costruzione di processi politici, sociali e culturali. Il campetto da basket di campagna, concepito come infrastruttura pubblica, si è così trasformato in uno strumento strategico per la formazione di un sistema alternativo di organizzazione sociale esemplificato dai comunalismi delle popolazioni indigene del Messico. In un certo senso, la tipologia del campetto da basket è un’estensione ideale della logica del modernismo novecentesco: bastano una lastra di cemento e due reti per fornire a una comunità uno strumento multifunzionale di organizzazione sociale. Al di là del suo uso prestabilito, il campetto da basket rurale costituisce una forma flessibile di infrastruttura pubblica. Funge da epicentro simbolico per l’organizzazione e il rinnovamento del governo comunitario. Per accogliere questi usi complementari, le comunità spesso aggiungono elementi extra, permanenti o temporanei, fra cui passerelle, chioschi, bancarelle, mercatini e teloni. Nella nostra indagine sul campo, abbiamo documentato un sistema di aggregazione di funzionalità in cui processi collettivi, immaginari sociali e forme di democrazia diretta hanno sovvertito le idee di sviluppo della modernizzazione. Il campetto da basket, riconvertito, è molto più della decostruzione di un impianto sportivo occidentale: è l’unità fondamentale di costruzione su cui le utopie indigene organizzano culture di resistenza. — APRDELESP e Mariana Botey Partecipazioni Nazionali

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Commissario Diego E. Sapién Muñoz Instituto Nacional de Bellas Artes y Literatura - INBAL Curatori APRDELESP e Mariana Botey Organizzazione Instituto Nacional de Bellas Artes y Literatura (INBAL) Collaboratori Antonio Turok Brian Cross Centro Ecológico Milpa Urbana Delmar Penka Dr. Lakra e+e El Espectro Rojo Elisa Ramírez Castañeda Eunice Adorno Hormigas Bordadoras de Tanivet Jorge Santiago Karla Kaplun Kasser Sánchez Pablo Escoto Luna Patchwork Healing Blanket / La manta de curación Radio Nopal Salvador Amores Sergio Galaz Studio Fabien Cappello Taka Fernández

Infraestructura utópica: la cancha de básquetbol campesina 85


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Duško Miljanić, BK 08 02, 2008. Fotografia digitale, 100 × 70 cm. Photo Duško Miljanić © dusko.miljanic Duško Miljanić, BK 08 02, 2009. Fotografia digitale, 100 × 70 cm. Photo Duško Miljanić. © dusko.miljanic

Biennale Architettura 2023


Montenegro

Il tema della partecipazione del Montenegro alla Biennale Architettura 2023 è impostato sulla ricchezza delle risorse naturali, del patrimonio e delle persone il cui talento, nel passato, ha creato manufatti di valore permanente. L’intenzione è quella di realizzare un’atmosfera e un’esperienza interattive che riportino l’architettura e i concetti nel contesto dei valori del patrimonio, che, in quanto tali, nel prossimo futuro potranno aprire i temi più significativi nel (ri) modellamento del paesaggio del futuro, e soprattutto, aprire e stabilire un dialogo creativo e libero fra le figure più dotate e più responsabili, per la creazione di nuovi paradigmi armonizzati. Nuovi motivi nel paesaggio: questo concetto implica la generazione di un nuovo strato di cultura, l’attivazione dello sviluppo di tutte le regioni del Montenegro attraverso piccoli/grandi interventi nel paesaggio naturale/urbano con la creazione di una rete culturale di nuovi contenuti e manufatti, includendo tutti i luoghi dislocati, tramite un trattamento attento, proposte creative, testi ispirati, nuovi manufatti qualitativamente ed eticamente integrati nel contesto storico, naturale/urbano, fino alla generazione di un nuovo amalgama di cultura e comportamento nell’affermazione di valori esistenti, risorse della natura non attivate, persone, storia e cultura. Oltre ad architetti, artisti ed esperti di varie professioni, tutti coloro interessati alla creazione di nuovi valori e posizioni onniculturali e multietniche del Montenegro parteciperanno all’apertura di dialoghi creativi: proposte architettoniche, opere di concorso, materiale d’archivio relativo a luoghi esistenti, progetti e idee in forma scritta o orale, conversazioni, presentazioni di singoli/team. Le proposte saranno basate sulle risorse: il contesto della vita e la culla dell’identità. I risultati ottenuti rappresenteranno visioni di Miraggi, geniali riflessi del clima e delle persone, immagini del nuovo. “Creatività significa: costruire su quanto è stato ereditato, accettare, adottare, creare di nuovo e meglio dal vecchio e dal buono” (Goethe). Gli autori, presentandosi attraverso il potere delle visioni e del loro lavoro, introdurranno il Montenegro attraverso una nuova capacità di comprendere il futuro: dall’Utopia al progresso. Oscar Wilde credeva che il progresso fosse la realizzazione di Utopia, mentre Le Corbusier diceva che Utopia non è altro che la realtà di domani. — Vladan Stevović, Zoran Lazović Partecipazioni Nazionali

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Commissario Vladan Stevović Curatore Zoran Lazović Partecipanti Ninoslav Mitrić Branislav Milatović Andrija Mugoša Duško Miljanić Branislav Strugar Lazar Pejović Maja Žugić Vlado Lutovac Marko Stjepčević Marko Radonjić Radovan Radoman, Eldin Kabaklija, Jovana Marojević e Milica Jaramaz Darko Radović, Davisi Boontharm e co+re.team Mileta Bojović Luka Skansi Djordje Stojanovic, Milan Katic e Milica Vujovic Petra Čoko, Rok Žnidaršič Goran Ivo Marinovic Nikola Novaković Marija Novaković Srđan Marlović Bratislav Braca Gaković Mustafa Musić Anoe Melliou, Artem Terteryan, Zlatko Nikolic Mladen Maslovar Anđelka Bnin-Bninski Srdjan Tadić, Jelena Vlaović, Aleksandra Saša Vukićević, Anja Tadić, Bojan Vlahović e Aleksandar Marsenić Milena Delević Grbić Darko Karadjitch Aleksandar Čarnojević Aleksandar Suhanov e Marijana Simić Jelena Ivančević Ana Tošić Sara Jeveričić Đurđa Garčević Andrej Jovanović Ema Alihodžić Jašarović Nemanja Milićević, Goran Andrejin e Sonja Dubak Maša Mušikić Andjelka Bnin-Bninski, Stanislava Predojević e Ksenija Radovanović

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Team creativo Vladan Stevović Zoran Lazović Jelena Janković Miodrag Savić Boško Drobnjak Tamara Koneska Maša Mušikić Viktorija Nikolić Tamara Marović Maja Radonjić Mina Novosel Con il supporto di Ministero dell’Ecologia, Pianificazione Territoriale e Urbanistica di Montenegro, Direzione di Architettura Statale e Sviluppo dell’Architettura

Mirages of the Future (MNE) 87


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Carlijn Kingma in collaborazione con Thomas Bollen e Martijn Jeroen van der Linden, The Waterworks of Money

Biennale Architettura 2023


Paesi Bassi

L’architettura può essere vista come un’organizzazione di sistemi – economici, sociali, politici – che plasmano l’ambiente costruito e i flussi di persone, attività, risorse ed ecologie che organizza e disciplina. Spesso fondati sull’estrazione e sullo sfruttamento, questi sistemi possono sembrare così profondamente consolidati da apparire immutabili, ma per evolvere verso un futuro più sostenibile, rigenerativo e giusto, molti di essi dovranno essere ripensati. Rispondendo al tema Laboratory of the Future, il padiglione olandese si propone di mostrare come sistemi alternativi potrebbero operare su una macroscala, tentando al contempo di attuare (e testare) cambiamenti reali a livello micro: in altre parole, pensare globalmente e agire localmente. Il padiglione propone The Waterworks of Money, una serie di disegni dell’architetto Carlijn Kingma che traduce in modo articolato il complesso quadro economico in un ambiente spaziale utilizzando l’acqua come metafora. Mappando i flussi e le condutture della distribuzione delle risorse, Kingma illustra le dinamiche del capitalismo con i suoi meccanismi profondamente radicati in grado di ostacolare e al tempo stesso promuovere il cambiamento. Kingma ha collaborato con i principali esperti di economia per mettere a punto e illustrare alternative tangibili o road map che possono condurci verso un’economia più rigenerativa dal punto di vista sociale ed ecologico. A un’analisi attenta, il padiglione si propone altresì di verificare un’ipotesi di cambiamento sistemico attuandolo a partire da se stesso. Riprendendo la metafora dell’acqua – e considerando le attuali sfide idriche di Venezia –, il curatore Jan Jongert di Superuse Studios propone di integrare nell’edificio un sistema di captazione dell’acqua a bassa tecnologia. La raccolta dell’acqua piovana è in grado di soddisfare il fabbisogno idrico del padiglione e, allo stesso tempo, rende il giardino circostante più consistente. Chiedendosi se gli eventi culturali possano spingersi oltre la discussione, il dibattito e la sensibilizzazione nei confronti delle questioni urgenti del nostro tempo, il padiglione documenta e presenta il processo (e, inevitabilmente, gli ostacoli e le sfide) necessario a intraprendere un’impresa apparentemente semplice. La speranza è che quanto appreso possa mostrare la via per i cambiamenti futuri. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Aric Chen Direttore Generale e Artistico, Nieuwe Instituut Curatore Jan Jongert / Superuse Studios Partecipanti Carlijn Kingma in collabozione con Thomas Bollen, Martijn Jeroen van der Linden Jan Jongert, Frank Feder, Valentina Cella, Junyuann Chen, Césare Peeren (Superuse), Marit Janse (De Urbanisten) in collaborazione con Friso Klapwijk (Wavin) e Afrikaander Wijkcooperatie Rotterdam

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Con il supporto di Ministero dell’Educazione, Cultura e Scienze dei Paesi Bassi Ambasciata e Consolati Generali del Regno dei Paesi Bassi in Italia Con il supporto aggiuntivo di Creative Industries Fund NL, The Netherlands Jane da Mosto (We are here Venice), Isabella Inti & Giulia Cantaluppi (Temporiuso.org), Extinction Rebellion Venice, Constructlab, Re-Biennale, ASC e molti altri

Progettazione dello spazio Gokce Caliscan, Wessel Geysels, Jan Jongert, Iris de Kievith (Superuse) in collaborazione con Sarah van der Giesen e Piero Vespignani Scenografia Yannick Verweij Progetto grafico ARK Roosje Klap con Nóra Békés Direzione Francien van Westrenen (responsabile dell’agenzia, Nieuwe Instituut) Capoprogetto Ellen Zoete (Nieuwe Instituut) Produzione Charly Blödel (Nieuwe Instituut), Nikita Hurk Produzione in loco Bouwko Landstra & Jeannine van Erk, Rob Gijsbers, Hans Jansen, Lika Kortmann, Basile Marée Comunicazione Taco de Neef (Nieuwe Instituut), Leonard van Hout (Nieuwe Instituut) Programma Ricerca affiliata Ester van de Wiel Onur Can Tepe e Crispijn van Sas Michiel Raaphorst, Rudolph Eilander, Bas Lagendijk, Kaj Boonstra, Ilaria Palmieri V8 Architects

Plumbing the System 89


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Archifusion. Rendering. Courtesy Studio Architettura Mauro Peloso

Biennale Architettura 2023


Eclettico è un termine utilizzato per indicare coloro che, nel campo delle arti e delle scienze, non seguono un sistema o una direzione predeterminati, ma piuttosto selezionano e armonizzano sistemi e direzioni diverse per ottenere dei risultati ottimali nelle loro iniziative. Questo è anche il principio ispiratore del progetto per il padiglione nigerino, che unisce culture diverse, quella africana e quella occidentale. Questa commistione genera un laboratorio culturale in cui, dall’incontro tra le due culture, ne scaturisce una terza. Lo chiamiamo Archifusion (Fusione Architettonica). Il progetto consiste per l’appunto nella fusione tra l’architettura tradizionale, tribale ed etnica, e le tecniche occidentali. Questa collaborazione si basa sullo scambio di esperienze comuni e, quindi, sullo sviluppo di conoscenze condivise da tutte le parti in causa. Oggi lo sviluppo e la crescita rivestono un ruolo centrale nello scambio di conoscenze, poiché il sapere è diventato una risorsa di punta e una proprietà intellettuale che può generare barriere tali da escludere i Paesi tecnologicamente meno avanzati. Archifusion mira a superare queste barriere attraverso le tecnologie più innovative all’insegna di una terza cultura diversificata ed eterogenea. Lo scopo è quello di preservare la bellezza architettonica e la storia della Repubblica del Niger senza trascurare o sottovalutare la sua autenticità estetica, ma anzi valorizzandola e perpetuandola. Questo contributo nasce dall’analisi dell’evoluzione dei mattoni nel mondo occidentale nel corso degli ultimi decenni al fine di migliorare il comfort abitativo e l’efficienza energetica. Da questa analisi è scaturito il Brique Magique, un mattone che può essere normalmente prodotto con terra grezza, ma caratterizzato da una forma diversa e da fori interni. Queste semplici modifiche conferiscono al mattone nuove caratteristiche che consentono una muratura più spessa, garantendo maggiore stabilità e maggiore inerzia termica, migliorando così il comfort abitativo. I fori possono essere riempiti con qualsiasi materiale locale (ad esempio sabbia, pietrisco, terriccio, paglia e così via), che accresce ulteriormente l’efficienza del mattone. Inoltre, la particolarità della sua forma permette di realizzare pareti dritte o curve, che possono essere utilizzate, ad esempio, per costruire silos per lo stoccaggio dei cereali. Per contro, le decorazioni tradizionali delle case sono qui reinterpretate da artisti italiani che si confrontano con la cultura nigerina, come un laboratorio artigianale collettivo, per far risorgere questa tradizione in termini moderni, cercando così di dare un volto diverso alle costruzioni. — Boris Brollo Partecipazioni Nazionali

Repubblica del Niger

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Commissario Ibrahim Souleymane Curatore Boris Brollo Comitato d’onore Mohamed Hamid Ministro della Cultura, del Turismo e dell’Artigianato della Repubblica del Niger S.E. Ambasciatrice del Niger in Italia, Fatmata Cheffou Emilia Gatto Ambasciatrice dell’Italia a Niamey Gianluca Cinque CISP, International Committee for the Development of Peoples Andrea Rossi Andrea, artista multimediale Comitato tecnico Mauro Peloso (architetto progettista) Lucia Tomasi (architetto esecutivo) Luca Casonato (fotografo) Simone Simon Ostan (progettazione grafica) Decorazione artistica Nino Barone Paola Bega Alda Bòscaro Bluer (Lorenzo Viscidi) Giancarlo Caneva Giampietro Cavedon Maristella Chiarello Arlia-Hamda Elmi Mirko Filipuzzi Pamela Fullin Annamaria Gelmi Luciano Longo Paolo Marazzi Marvin (Marta Vendrame) Roberto Mondani Lucia Paese Franz Pelizza Manuela Pittana Manuela Poggioli Claudia Raza Carla Rigato Pietro Ronzat Andrea Rossi Andrea Cesare Serafino Simon Ostan Simone Lucia Tomasi Anna Trapasso Andrea Vizzini Leonardo Zanin Antonio Zucchiatti

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Progetto autofinanziato in collaborazione con Aiap - Unesco, Portogruaro (Venezia, Italia) Artestruttura, Udine (Italia) Patrocinio Ministero degli Esteri Regione Veneto Con il supporto di ZANUTTA, una casa da vivere Con il supporto tecnico di Officine Clementi, San Stino Livenza (Venezia) A. Kovre, Conegliano (Italia)

Archifusion 91


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Joar Nango, Girjegumpi in Jokkmokk, 2018. © Astrid Fadnes Joar Nango, Girjegumpi in Jokkmokk, 2018. © Astrid Fadnes

Biennale Architettura 2023


Paesi Nordici Svezia – Finlandia – Norvegia

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Per oltre quindici anni, l’architetto e artista Joar Nango ha lavorato alla realizzazione di un archivio di libri relativi a temi rilevanti per l’architettura indigena. Nel 2018, Girjegumpi è stato aperto per la prima volta al pubblico. Per la Biennale Architettura questa struttura, spazio sociale e fonte di conoscenza sull’architettura sámi, si trasferisce nel padiglione dei Paesi Nordici. L’installazione è una spazializzazione delle conversazioni e delle ricerche intraprese da Joar Nango nel corso di due decenni di pratica intersecando architettura e arte. Come una biblioteca collettiva itinerante, il progetto si è evoluto e ampliato parallelamente al suo viaggio. Ovunque si fermi, il progetto prevede numerose collaborazioni con architetti, artisti e artigiani. Il fulcro di Girjegumpi è l’archivio che racchiude e condivide: da titoli rari a libri contemporanei, la collezione composta da oltre cinquecento edizioni abbraccia temi come l’architettura e il design sámi, le conoscenze edilizie tradizionali e ancestrali, l’attivismo e la decolonialità. Come spazio di aggregazione, ospita grandi gruppi di persone. Come sala di lettura, offre un ambiente per lo studio e la riflessione individuale. Come progetto critico, costruisce spazi per l’immaginazione indigena. Nomade per concezione, Girjegumpi è un progetto dinamico che affronta la rilevanza della cultura indigena nel dialogo architettonico e nella costruzione di oggi: l’importanza del lavoro collettivo, delle tecniche di costruzione e dell’uso delle risorse in condizioni climatiche in rapido cambiamento, l’uso di flussi di materiali di matrice locale e approcci sensibili al paesaggio e alla natura. Il progetto evidenzia la posizione degli architetti nei confronti di una visione più polivalente del mondo. Partecipazioni Nazionali

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Commissari Kieran Long, ArkDes, The Swedish National Centre for Architecture and Design Carina Jaatinen The Museum of Finnish Architecture Stina Høgkvist The National Museum of Norway Curatori Carlos Mínguez Carrasco e James Taylor-Foster (ArkDes) Partecipante Joar Nango

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Enti collaboratori Ájtte Arctic Arts Festival Sámi Dáiddaguovddáš (SDG) RDM – Sámiid Vuorká-Dávvirat UiT – The Arctic University of Norway Direzione di progetto Luba Kuzovnikova (ArkDes) Produzione in loco M+B Studio, eiletz ortigas | architects

Collaborazioni Håvard Arnhoff Ánte Niillas Bongo Ken Are Bongo Petter Bratland Mathias Danbolt Ole-Henrik Einejord Astrid Fadnes Jenni Hakovirta Eirin Hammari Elin Haugdal Petri Henriksson Tone Huse Robert Julian Hvistendahl Iver Jåks e Jon Ole Andersen Anne Kare Kemi Annik Kristiansen Hagen maka design Grete Johanna Minde Karen Inger Anne Nango Nils John Nango Anne Henriette Nilut Ole Thomas Nilut Raisa Porsanger Tobias Aputsiaq Prytz Anders Rimpi Katrine Rugeldal Wimme Saari Sámi Architecture Dictionary Group Arne Terje Sæther Katarina Spik Skum Marry Ailonieida Sombán Mari Ćetil Somby Anders Sunna Anna-Stina Svakko Eystein Talleraas Petter Tjikkom Magnus Antaris Tuolja

Joar Nango – Girjegumpi: The Sámi Architecture Library 93


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Autore sconosciuto, il presidente Theodore Roosevelt seduto su una pala a vapore presso il Canale di Panama, 1906. Fonte: archivio fotografico del New York Times Natura tropicale e architettura protettiva. Parker O. Wright, Jr., Type 17 ICC Casa Unifamiliare, Empire, United States Canal Zone (Panama), 1907 circa. Courtesy Linda Hall Library of Science, Engineering & Technology, Kansas City, Missouri, USA

Biennale Architettura 2023


Repubblica di Panama Per oltre cinquecento anni, l’istmo di Panama, una stretta striscia di terra meglio conosciuta come “il ponte di terra tra due oceani”, si è dimostrata una regione di importanza geopolitica nel trasporto globale. Spesso ritratta da una prospettiva occidentale come luogo remoto dalla bellezza esotica e dalla vegetazione lussureggiante, questa nazione tropicale è diventata un paesaggio di sperimentazione per la civiltà moderna. All’interno di questi limiti, una narrativa e un’ideologia discriminanti hanno portato a una demarcazione di zone di segregazione che alienano la natura, i panamensi e le loro città. Queste zone cuscinetto, in quanto strutture architettoniche di protezione tra il colonizzatore e il colonizzato, ora innescano discussioni più ampie su uguaglianza, empowerment e identità in un ambiente in costante cambiamento. Creano uno spazio liminale in cui il rapporto con la terra – minacciato perché la comunità ne era alienata – diventa fondamentale. Dato il potere della modernità occidentale nel cancellare storie e lingue indigene, le comunità panamensi locali sono andate perdute nel processo di costruzione del Canale di Panama, determinando il dominio di una singolare ideologia di progresso, ordine e controllo umani. La distruzione di piccole città, aree storiche, insediamenti rurali e paesaggi panamensi ha suscitato sentimenti di nostalgia per l’ambiente di un tempo e il desiderio di preservarne l’immagine nella memoria collettiva, che si riflette nel tema ricorrente del paesaggio nella letteratura e nell’arte panamensi. La mostra è incentrata sull’analisi di tre diverse aree all’interno dell’ex Zona del Canale di Panama che affrontano questi problemi di divisione e integrazione, vale a dire 1) le strutture e i sistemi architettonici divisivi introdotti durante l’era della Zona del Canale di Panama, 2) le identità cancellate delle comunità sommerse quando le acque del fiume Chagres furono arginate per creare il lago Gatun come parte del canale, e 3) l’isola di Barro Colorado immaginata come un ‘laboratorio del futuro’, una collina rimasta isolata nel mezzo del Canale di Panama. Indicata dallo Smithsonian Tropical Research Institute come riserva naturale dal 1923, oggi, esattamente cento anni dopo, quest’isola è la foresta tropicale più studiata al mondo. Un archivio e un laboratorio scientifici viventi in cui il paesaggio è diventato sia oggetto sia fonte di ricerca scientifica. — Aimée Lam Tunon Partecipazioni Nazionali

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Commissario Itzela Quirós Curatrice Aimée Lam Tunon Partecipanti Dante Furioso Joan Flores-Villalobos Danilo Pérez Alejandro Pinto Luis Pulido Ritter Marixa Lasso Collaborazioni Jasper Zehetgruber (concept / direzione creativa) Marvin Flores Unger (progettazione e produzione / ricerche visive) Finn Steffens e Conrad Weise (identità d’immagine / archivio web)

Stories from Beneath the Water 95


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The Calendar Project. Kichwa Lamas calendar. Kichwa Morillo native community. San Martin region, 2019. Fotografia, 147,4 × 103 cm. © Edi Hirose

Biennale Architettura 2023


Perù Da almeno diecimila anni gli indigeni nomadi dell’Amazzonia riconfigurano a mano i propri territori, sopravvivendo alla dominazione europea e all’impatto della modernità grazie allo scambio di conoscenze specifiche nel corso di confronti regionali. Percorrendo i pendii tra gli argini dei fiumi, hanno allenato la loro capacità di osservazione e sviluppato la resistenza culturale al fine di rigenerare la diversità e le varietà delle foreste pluviali tropicali, luoghi di apprendimento ancestrale. Il mantenimento di questa conoscenza reticolare e la sua cura dipendevano dalla cooperazione collettiva tra esseri umani e non umani. Questa conoscenza artigianale è conservata e rinnovata da Waman Wasi (Casa dello Sparviero) nella regione di San Martin. Per due decenni questa organizzazione è stata il tramite di un progetto di governance dell’educazione e della gestione territoriale da parte dello Stato peruviano in collaborazione con le comunità Kichwa Lamas, Shawi e Awajún, che proteggono le foreste. Di concerto con gli strumenti di tecnologia temporale (la matrice, il calendario e i manuali di storia della foresta), The Calendar Project rafforza il concetto di sostentamento reciproco del territorio in sintonia con la natura. Una rete complessa di attori con prospettive opposte sperimenta un patto bio-culturale. Utilizzando questo strumento semplice e fluido, costantemente modificato e aggiornato, si riconfigurano gli spazi della vita: la casa, il chacra (fattoria), la foresta e l’acqua. Dall’atto del camminare, dal dialogo e soprattutto dall’ascolto nasce un nuovo linguaggio di rinnovamento. Questo ci aiuta a immaginare un futuro attivo di nuove dinamiche di cooperazione, equità e cura, in cui sia possibile un’inversione del degrado ambientale e culturale globale e regionale. Ispirata agli aspri paesaggi andino-amazzonici, l’installazione permette ai visitatori di esplorare, attraverso un’esperienza audiovisiva dinamica, le molteplici sfaccettature di una realtà vicina e lontana al tempo stesso. Su un sistema di impalcature, vengono srotolati per la prima volta sessantaquattro calendari comunitari che, amplificati, collegati e trasferiti su tessuto, diventano una struttura vivente che collega territori disseminati. L’incontro con un’Amazzonia abitata da persone con una propria storia culturale ci permette di cambiare il nostro modo consueto di vedere, capire, comunicare e fare, e di riadattare i moderni concetti di conservazione e progresso costruiti in un tempo lineare, con un ordine omogeneo e territoriale disgiunto dalla realtà e dalla conoscenza. — Alexia León, Lucho Marcial Partecipazioni Nazionali

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Commissario José Orrego Curatori Alexia León Lucho Marcial Partecipanti Waman Wasi et al. Consulente accademico Grimaldo Rengifo Coordinamento Luis Romero Direzione Zadith Coral e Elizabeth Najar Istruzione interculturale Jhoselyn Romero e René Arbildo Istruzione di comunità Girvan Tuanama e Gregorio Sangama Divulgazione Jorge Rengifo e Gabriela Rengifo Ricerche Rosi Cachique In collaborazione con Unidades de Gestión Educativa Local (UGEL) San Martín Carolina Pérez Joisi Sangama Coordinamento in Perù Marisol Michilot Progetto dell’allestimento leonmarcial arquitectos Gustavo Reyna Alex Cuadra Henry Villalta Sandro Casanova In collaborazione con Vicho Castillo Víctor Checa Valeria Pavlova William Silva Edgar Girón Vered Engelhard Edi Hirose Samuel Chambi Juan Carlos Huincho

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Progetto grafico Michael Prado Ingegneria strutturale Carlos Salcedo Sviluppo del prototipo a Lima Arquitecma Perú Federico Vallejos Ana María Chávez Coordinamento e organizzazione a Venezia eiletz ortigas | architects Produzione Patronato Cultural del Perú Patrocinio Fundación Wiese Grupo El Comercio Con il supporto di Commission for the Promotion of Peruvian Exports and Tourism – PROMPERÚ Pontificia Universidad Católica del Perú Hilite with Iluminación ERCO Sasha Cutter Hsu & Aaron Hsu Gisela Zapff Dammert de Carter Rafael Osterling Illusione Tania Jelicic – balkanica Nicole Bernex Weiss Isla Negra Tucan Suites Pumarinri MWF Solutions Luis Zwiebach - Power Technology Con il supporto aggiuntivo di Ministero degli Affari Esteri Ministero della Cultura Asociación Peruana de Estudios de Arquitectura Universidad de Lima Universidad Nacional de Ingeniería Universidad Privada del Norte Colegio de Arquitectos del Perú

Walkers in Amazonia The Calendar Project 97


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Rendering digitale a colori della struttura in bambù, l’elemento principale di Tripa de Gallina: Guts of Estuary. © The Architecture Collective – TAC

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Rampa racchiusa da una serie di esagoni, 2023. Photo Jeanne Severo

Biennale Architettura 2023


Filippine Gli estuari, o esteros, solitamente sono la foce dei fiumi, dove i corsi d’acqua dolce incontrano le maree salate della baia. La storia ha dimostrato che anche gli esseri umani e altre entità non umane intrattengono un dialogo profondo con queste foci fluviali, lungo le quali, negli anni, c’è stata una tendenza naturale a cercare di insediarvi comunità vivaci. Nel caso dell’estuario più lungo di Metro Manila, che sfocia nella baia di Manila attraverso il fiume Pasig, le comunità che vi abitano, in particolare le barangay (distretti locali) 739, 750 e 751, sono inestricabilmente intrecciate con i corsi d’acqua. La sterminata quantità di rifiuti accumulati dalla popolazione locale lungo Tripa de Gallina, però, ostacola questa conversazione percepita. L’estuario rimane in silenzio. La gente è bloccata. Ora i legami di parentela sono decisamente confusi. Così come le acque dell’estuario, sono torbide anche le relazioni dei coloni. L’esperienza della pandemia grida che questa complicazione persistente è reticolare. Richiede di essere approfondita. Tripa de Gallina: Guts of Estuary offre una diagnosi delle condizioni dell’acqua e una prognosi sul futuro della popolazione. In una procedura di agopuntura urbana modulare caratterizzata da una struttura di bambù che funge da luogo di raduno e di indagine, il padiglione esamina le viscere dell’estuario: un’ecologia imperfetta di uomini, acque e rifiuti. Il padiglione funge da boa per dipanare e ricucire le maglie della rete in modo sostenibile attraverso una coraggiosa azione di collaborazione tra questi soggetti intrappolati, in nome della resilienza. Il progetto prende avvio dall’idea di un intervento su piccola scala come modo per trasformare il più ampio contesto urbano degli abitanti. Insieme a esperti di architettura, scienze naturali, scienze sociali e governo, le barangay hanno creato uno spazio sicuro per valutare la situazione e ipotizzare il proprio futuro benessere. Le finestre presenti nell’installazione costituiscono uno schermo su cui scorre materiale d’archivio. La narrazione conduce al centro, dove un incontro audiovisivo immersivo con l’estero è in agguato giorno e notte. A partire dalle basi, è stata immaginata una vivace prospettiva dello stato dell’intera ecologia attraverso le proiezioni etnografiche della struttura. Questa piattaforma auspica un recupero simbiotico, anziché la superiorità dell’uomo sulle altre entità. Presuppone la rinuncia all’ostilità e l’invito all’ospitalità. — Sam Domingo, Choie Y. Funk Partecipazioni Nazionali

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Commissario Victorino Mapa Manalo presidente della Commissione Nazionale per la Cultura e le Arti [NCCA] Curatori Sam Domingo Choie Y. Funk Partecipanti The Architecture Collective – TAC Bien M. Alvarez Matthew S. Gan Lyle D. La Madrid Arnold A. Rañada Agenzie di cooperazione Dipartimento degli Affari Esteri (DFA) Ufficio della Senatrice Loren Legarda

Tripa de Gallina: Guts of Estuary 99


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Datament Meditations, 2023. Disegno a cura di Anna Barlik. Courtesy Zachęta – National Gallery of Art

Biennale Architettura 2023


Polonia

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da ta ment /ˈdeɪ.tə.ment/ n. Una quantità infinita di dati noti, sconosciuti, misurabili e non misurabili relativi a una persona, un gruppo o una cosa. Lo stato dei dati in un determinato momento. L’impatto tangibile dei dati sulla vita. Siamo tutti fatti di dati. Lo sviluppo della civiltà e della tecnologia ha reso la nostra vita quotidiana dipendente in modo irreversibile dalla produzione, raccolta ed elaborazione dei dati. Le informazioni prodotte in quantità inimmaginabili, elaborate da calcoli tecnologicamente sempre più avanzati, creano un’illusione di verità relativa al mondo: la formazione di dati che diventa punto di partenza per prendere decisioni dalle conseguenze molto concrete. Ciò vale anche per l’architettura, l’urbanistica e la pianificazione, in cui l’analisi e l’algoritmizzazione dei dati statistici sono fattori importanti che determinano il modo in cui viviamo ora e vivremo in futuro. Tuttavia, è raro che si interagisca con i dati nella loro forma pura, che ci si confronti in maniera diretta con le idee create dalla loro interpretazione. La mostra Datament nel padiglione polacco è un incontro sperimentale con i dati grezzi. Utilizzando la scultura come strumento per sperimentare lo spazio, presenta dati abitativi provenienti da diverse parti del mondo. Quattro schede sovrapposte mostrano case statisticamente rappresentative di quattro Paesi, scelte per la quantità di dati raccolti e prodotti. Questo tipo di interazione fisica con un concetto astratto, reso possibile dall’installazione, mette in evidenza quanto il mondo diventi sfocato se visto solo attraverso la lente dei dati che, pur consentendoci di porre domande migliori, non offrono alcuna risposta definitiva. Il neologismo eponimo, datament, si riferisce alle circostanze in cui viviamo e creiamo, e in cui abitiamo. A un periodo in cui condividiamo il nostro mondo con dati che potrebbero mentire, anche se ciò non significa che non sia vero. — Jacek Sosnowski Partecipazioni Nazionali

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Commissario Janusz Janowski Curatore Jacek Sosnowski Partecipanti Anna Barlik (artista) Marcin Strzała (architetto) Organizzazione Zachęta – National Gallery of Art Partner Adam Mickiewicz Institute Istituto Polacco di Roma Con il supporto di Ministero della Cultura e delle Belle Arti della Repubblica di Polonia

Datament 101


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Fractured Aqueduct sketch no. 5. Collage e grafite su carta, 2023. © Corpo Atelier

Biennale Architettura 2023


Elemento vitale per le specie umane e non, nonché elemento metaforico ed emozionale, l’acqua è contemporaneamente politica ed economia. La scarsità e la gestione dell’acqua dolce rappresentano indiscutibilmente un problema globale che nel contesto portoghese si manifesta in modo marcato. Incentrata su sette distinte idrogeografie, la mostra presenta i risultati del lavoro svolto dai Design Teams nel corso di sette workshop intesi a mettere a punto una serie di modelli propositivi per un domani più sostenibile, sano ed equo, in una cooperazione non gerarchica tra discipline, generazioni e specie. Fertile Futures sostiene la centralità del ruolo dell’architettura nella progettazione di un futuro decarbonizzato, decolonizzato e collaborativo, attraverso una triade di azioni basate sulla complementarità strategica tra pratica, teoria e pedagogia in architettura: sette Workshop di Progettazione, cinque Assemblee di Pensiero e un Seminario Estivo Internazionale. Design Teams I sette casi studiati esemplificano l’azione antropocentrica sulle limitate risorse idriche naturali: l’impatto della Gigabatteria nel Bacia do Tâmega; la violazione delle convenzioni nel parco naturale Douro Internacional; la situazione mineraria nel Médio Tejo; l’imposizione di interessi ad Albufeira do Alqueva; l’anarchia nel perimetro di irrigazione del Rio Mira; l’eutrofizzazione delle acque nella Lagoa das Sete Cidades; il rischio di inondazioni a Ribeiras da Madeira. Per stabilire la relazione continua tra le sette idrogeografie, nella sala centrale viene tracciata una linea di galleggiamento che organizza lo spazio e il flusso. Assemblee di Pensiero Un’équipe di dieci consulenti e sette specialisti approfondisce il tema in discussione e contemporaneamente partecipa a diversi momenti di dibattito speculativo aperti al pubblico. Le cinque Assemblee di Pensiero per la consapevolezza e la mediazione, rappresentative e multi-situate, tra spazio virtuale e diversi spazi fisici, discutono pubblicamente e apertamente il tema globale: Lisbona, Venezia, Braga, Faro e Porto Santo.

Portogallo

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Seminario Estivo Internazionale Con il coordinamento di architetti e la partecipazione di studenti e docenti nazionali e internazionali, selezionati attraverso un bando aperto, il seminario di due settimane si svolgerà a luglio a Fundão, comune inserito nell’elenco delle otto città portoghesi incluse nella Missione dell’Unione Europea per l’Adattamento ai cambiamenti climatici. Partecipazioni Nazionali

Commissario Américo Rodrigues direttore generale, Direzione Generale per le Arti Curatore Andreia Garcia Partecipanti Space Transcribers Álvaro Domingues Dulcineia Santos João Pedro Matos Fernandes Guida Marques Érica Castanheira Oficina Pedrêz Aurora Carapinha Corpo Atelier Eglantina Monteiro Ilhéu Atelier João Mora Porteiro Ponto Atelier Ana Salgueiro Rodrigues Curatori aggiunti Ana Neiva Diogo Aguiar Organizzazione Pedro Adão e Silva Ministro della Cultura, Ministero della Cultura del Portogallo Produzione esecutiva e comunicazione (Direzione Generale per le Arti) Catarina Correia Maria João Ferreira Sofia Isidoro Team di consulenti Álvaro Domingues Ana Tostões Andres Lepik Francisco Ferreira Luca Astorri Margarida Waco Marina Otero Patti Anahory Pedro Gadanho Pedro Ignacio Alonso Direttore di produzione João Terras Comunicazioni ed editoria Patrícia Coelho Identità visiva e progetto grafico And Atelier Video Canal 180

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Sito web Sara Orsi Progetto dell’allestimento Diogo Aguiar Studio Diogo Aguiar, Daniel Mudrák, Claudia Ricciuti Produzione in loco João L. Moreira Fotografia Fernando Guerra Partner strategici Câmara Municipal do Fundão Casa da Arquitectura Trienal de Arquitectura de Lisboa Sponsor dell’esposizione panoramah! O/M Light CIN Valchromat Partner istituzionali Instituto Camões Câmara Municipal de Faro Câmara Municipal do Porto Governo Regional da Região Autónoma da Madeira Direção Regional dos Assuntos Culturais – Açores Theatro Circo Fundação Serra Henriques Partner ospitanti gnration Porta 33 Partner editoriali Canal 180 E-flux Umbigo Partner di comunicazione ArchDaily RTP Collaborazione istituzionale Fundação Marques da Silva Supporto specifico Abreu Decer Sogrape Partner del seminario estivo internazionale Fundão Erasmus+ Universidade da Beira Interior Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto

Fertile Futures 103


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Archivio Henri Coandă del National Technical Museum ‘Prof. Eng. Dimitrie Leonida’, Bucarest, Romania, Particolare del sistema di desalinizzazione e trasformazione dell’acqua salina in acqua potabile inventore Henri Coandă, 1954 Emil Ivănescu, Trasporto di canne raccolte nel delta del Danubio, 2022

Biennale Architettura 2023


Romania Secondo le statistiche, entro il 2050 saremo dieci miliardi di persone, più del 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane e avremo bisogno di produrre il 60% in più di cibo per nutrire la popolazione. Oggi, più di un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, anche se, nel 1950, un inventore rumeno creò un impianto di desalinizzazione che trasformava l’acqua di mare in acqua potabile utilizzando solo l’energia solare. Pur dimostrandosi efficace, producendo in dodici ore 1600 litri di acqua potabile in un congegno di 8 metri quadrati, l’invenzione fu bloccata per motivi burocratici nella fase di prototipo funzionale. Come sarebbe stato il futuro se all’epoca queste soluzioni fossero state realizzate? Sia il futuro sia il presente necessitano non solo di tecnologia avanzata, ma anche di un fondamentale cambiamento di mentalità, che trasformi l’attuale consumatore in un soggetto attivo nella transizione verso una società più verde e più democratica. Il padiglione rumeno è un generatore di idee, che porta in primo piano il percorso di creazione di innovazioni o invenzioni realizzate esclusivamente grazie a una collaborazione interdisciplinare. Idee e oggetti diventano componenti di un dialogo sul futuro a cui il visitatore è invitato a partecipare esplorando lo spazio del padiglione. Il visitatore è invitato a interagire con quattro aree di ricerca: Lost Inventions, Lateral Pedagogies, Instant Garden e Co-Thinking Installation, che rappresentano un nuovo modo di fare formazione attraverso la ricerca, l’innovazione e l’attivazione sociale viste come soluzioni per il futuro. Nel padiglione sono esposti manufatti tecnici originali, tra cui un’auto elettrica di inizio Novecento: il primo veicolo aerodinamico al mondo con ruote all’interno della scocca dell’auto, auto elettriche realizzate con materiali riciclati, un dispositivo per la cattura dell’energia delle onde, sistemi di prefabbricazione di alloggi sociali che nella loro epoca erano laboratori del futuro. Che cosa possiamo imparare dal modo in cui sono sorte queste innovazioni e come possiamo fare in modo che le nostre innovazioni non vadano perdute? Lateral Pedagogies è un progetto condotto in Romania attraverso la ricerca, l’attivazione sociale e l’istruzione, o portato avanti da architetti rumeni che lavorano a stretto contatto con progettisti e ricercatori per offrire le soluzioni più efficaci e creative. Now, Here, There è una visione pragmatica del presente e del futuro in cui tutto conta, tutto è connesso e tutto è inclusivo. — Emil Ivănescu, Simina Filat Partecipazioni Nazionali

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Commissario Attila Kim Curatori Emil Ivănescu Simina Filat Partecipanti Emil Ivănescu Simina Filat Cătălin Berescu, Anca Maria Păsărin, National Technical Museum ‘Prof. Eng. Dimitrie Leonida’ Organizzazione Ministero della Cultura Romanian Cultural Institute Ministero degli Affari Esteri Architects Union of Romania Collaborazioni Laura Maria Albani, direttrice del National Technical Museum ‘Prof. Eng. Dimitrie Leonida’ Andreea Căpitănescu direzione artistica Ana Maria Zahariade coordinamento delle ricerche accademiche Robert Zotescu coordinamento degli studenti Comunicazione Dăescu Borţun Olteanu Andrei Borţun Maria Besnea Simona Tatu Progetto grafico Simina Filat Produzione video Andrei Stănescu Mappatura video Petruţ Valeriu Viașu

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Partner National Technical Museum ‘Prof. Eng. Dimitrie Leonida’ Plant Genetic Resources Bank ‘Mihai Cristea’ Dipartimento per le Situazioni di Emergenza – Ministero degli Interni National Museum of Contemporary Art ‘Ion Mincu’ University of Architecture and Urbanism 4Culture Association W.A.S.P. Aiurart Contemporary Art Space Galateca Gallery Aluminum AllBIM Luther Imobiliare Romcim Iulius Company Unicredit Bank Greentek Lighting

Now, Here, There 105


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Vittorio Corsini, Exercise 2, 2012-2023. Schizzo su carta di una struttura in plexiglas e led (200 × 200 × 200 cm ); dimensioni dello schizzo 30 × 20 cm. © Vittorio Corsini

Biennale Architettura 2023


Repubblica di San Marino

Il tempo, le circostanze politiche e storiche, le soglie di inclusione di specie diverse e le esigenze del momento rendono porose le linee distintive tra ospite e ospitante. Su questa Terra siamo tutti ospiti e allo stesso tempo ospitiamo, nel modo in cui possiamo o meno proteggere, sostenere e nutrire innumerevoli umani e più che umani negli spazi in cui viviamo, attraverso le azioni che intraprendiamo e le scelte che compiamo. Il padiglione guarda all’ospitalità come a un orientamento che si prende cura dell’alterità, che è immateriale nello spirito, incarnato nel gesto e mediato da oggetti, strutture e spazi. L’ospitalità determina quanto consentiamo all’altro di entrare nei nostri spazi e nelle nostre zone di comfort e, in definitiva, quanto permettiamo di influenzare chi siamo e come viviamo. Ciò solleva la questione cruciale di quale tipo di ospite e ospitante siamo e a quale desideriamo aspirare per creare una società, nutrire un’ecologia dell’altro e promuovere una cultura in cui abitare, che si prenda cura di coloro con i quali condividiamo le nostre dimore. Il padiglione di San Marino indaga i concetti dell’ospitalità – dall’immateriale al materiale e dall’umano al più che umano – nella comunità locale di Campo San Lorenzo. In quanto tale, il lavoro prodotto e presentato mira a essere coinvolgente, partecipativo e in costante dialogo con i nostri ospiti: umani, altre specie e organismi. Il padiglione si compone di due spazi. Nel primo lo scultore Vittorio Corsini presenta tre forme di invito: respirare, muoversi, parlare. Coerente con la sua poetica, Corsini ha dato vita a tre opere nuove che non chiedono la contemplazione, ma operano come dispositivi, strumenti per vivere e agire lo spazio, mezzi per accogliere e mettere in relazione persone. Il secondo è una ‘camera degli ospiti’ sperimentale, uno spazio fluido gestito da Hospitality Lab, che accoglie una moltitudine di pensatori, progettisti, studenti e istituzioni. Arte, architettura, design, biologia, gastronomia, teologia e antropologia si fondono e ibridano con l’intenzione di co-creare nuove idee e pratiche attraverso workshop, discussioni, esperimenti e installazioni da innestare nel contesto locale e co-produrre con gli abitanti locali, umani o più che umani. — Michael Kaethler, Marco Pierini Partecipazioni Nazionali

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Commissario Riccardo Varini Curatori Michael Kaethler Marco Pierini Comitato scientifico Shaul Bassi Alessandro Bianchini Massimo Brignoni Elena Brigi Roberto Felicetti Silvia Gasparotto Angela Grosso Ciponte Domenico Luciani Hélène Molinari Ralf Petersen Corrado Petrocelli Massimo Renno Orsetta Rocchetto Vincenzo Rotondo Francesca Salatin Michele Savorgnano Andreas Sicklinger Riccardo Varini Partecipanti Vittorio Corsini studenti e professori di: Università degli Studi di San Marino, Design e Storia Università degli studi di Bologna, Industrial Design Stuttgart Technology University of Applied Sciences Accademia di Belle Arti di Brera Università Ca’ Foscari di Venezia, Environmental Humanities Fachhochschule Nordwestschweiz, Basel, Institut Industrial Design Ordine degli Ingegneri e Architetti di San Marino Rotterdam University of Applied Sciences, Industrial Design Engineering Università IUAV di Venezia, Disegno Industriale Università degli Studi di Ferrara, Design del prodotto industriale Commissario aggiunto Paolo Rondelli Gruppo di ricerca Flaviano Celaschi Michele Zannoni Giorgio Dall’Osso Silvia Gasparotto Diane Ziegler Marta Stacchini

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Filippo Francini Lazzaro Rossini Luca Zanotti Angela Rui Laura Succini Massimo Barbierato Sergio Menichelli Federica Natalia Rosati Orsetta Rocchetto Ilaria Ruggeri Chiara Amatori Stefano Luca Stefano Rovai Raffaele Cafarelli Davide Di Gennaro Francesco Maggiore Francesca Salatin Tommaso Lucinato Emanuele Lumini Emma Bartolini Marco Luitprandi Gaetano Di Gregorio Anna Guerra Marco Scurati Marta Renno Andrea Franceschetti Collaborazioni Benedetta Borghi Alice Fraccaro Organizzazione FR ART EVENTS Università degli Studi della Repubblica di San Marino Con il supporto di D&D Italia C.O.M.A.C. International AM Eco Sider M.G.M. Cilindri Oleodinamici CEFI - Costruzioni Elettromeccaniche Forni Induzione ELENKA Comune di Peccioli Fondazione Giorgio Cini ONLUS Fondazione Dioguardi Pollmeier Massivholz Gmbh & Co Ingenio-Web.It SUMus, Associazione AERES Venezia per l’Altreconomia, Associazione Patrocinio Commissione Nazionale Sammarinese per l’UNESCO Unità di Coordinamento del sito UNESCO di San Marino

Guest Hosts 107


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AlBara Saimaldahar, Raw Material Tessellation, 2021. Courtesy Ministero della Cultura. © AlBara Saimaldahar

Biennale Architettura 2023


Arabia Saudita

Commissario Ministero della Cultura, Commissione Architettura e Design Curatori Basma Bouzo Noura Bouzo Partecipante AlBara Saimaldahar

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Assistenti ai Curatori Cyril Zammit Joharah Lou Pabalate

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In risposta alla Biennale Architettura 2023, il gruppo responsabile del padiglione saudita analizza la relazione simbiotica tra dimensione materiale (tatto, struttura, oggetto) e dimensione immateriale (uditiva, olfattiva, gustativa). La coesione di entrambe informa la percezione e genera l’interpretazione e la risposta alla collocazione degli abitanti di una nazione. Questo viaggio interattivo mette in luce le narrazioni insite nei materiali, le qualità tangibili e intangibili che definiscono il carattere di spazi, luoghi e cose. La terra è utilizzata come punto focale del dialogo, fungendo da foglio bianco sul quale vengono elaborate scoperte, innovazioni e riflessioni sul futuro della materialità. Organizzata in più parti, la mostra consente al visitatore di vivere il progetto da molteplici prospettive e di confrontarsi con il linguaggio dell’architettura saudita attraverso i suoi elementi costruttivi fondamentali. L’intento è quello di presentare l’empirico come una finestra sugli elementi essenziali. Far sì che i visitatori accedano a un’esperienza sensoriale nuda li spinge a trarre le proprie conclusioni introspettive, scevre da pregiudizi consci e inconsci. Il padiglione solleverà e indagherà molteplici domande: possiamo usare questi elementi costruttivi per esportare le nostre storie e la nostra cultura? In quanto singola nazione, in che modo possiamo essere autosufficienti? Come possiamo costruire un’economia circolare endemica? E come possono questi approcci fungere da catalizzatori per espandere e contribuire al panorama geopolitico? Questo tentativo di documentazione non è solo un mezzo per catturare l’antropologia e la storia, ma spinge a riflettere sui modi in cui il passato e il presente possono già indicare le risposte agli interrogativi del futuro. Partecipazioni Nazionali

IRTH ‫إرث‬ 109


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Atrio della Sala Orientale, Fiera Internazionale di Lagos, 2023. Photo Tolulope Fatunbi. Courtesy Tolulope Fatunbi Zoran Bojović, Masterplan of the International Trade Fair in Lagos, 1970. Disegno digitalizzato. Courtesy archivio privato dell’architetta Ljiljana Bojović

Biennale Architettura 2023


Serbia Dopo l’epoca traumatica del dominio coloniale, la politica di non allineamento degli anni Sessanta e Settanta ha avuto un impatto profondo sulle società degli Stati indipendenti del continente africano. Il Movimento dei non allineati, in quanto specifica organizzazione internazionale, promuoveva una politica che rappresentava l’anticolonialismo, l’antimperialismo, l’indipendenza, l’emancipazione e la convivenza tra Paesi. Come uno dei leader del movimento, la Jugoslavia stabilì una cooperazione attiva tra gli Stati membri, la cui realizzazione includeva molti progetti di sviluppo edilizio riguardanti la modernizzazione, l’industrializzazione e l’urbanizzazione dei giovani Paesi multinazionali in Africa. L’elemento centrale della mostra è la Fiera Internazionale di Lagos, un progetto ideato e diretto dall’architetto Zoran Bojović. Il progetto, realizzato tra il 1974 e il 1976, prevedeva l’urbanizzazione di 350 ettari di zone umide. La struttura stessa era un simbolo dello Stato multinazionale appena fondato e rappresentava l’immagine di un futuro indipendente, lasciandosi alle spalle il passato coloniale. La Fiera di Lagos era un tempo un luogo di incontro per i visitatori dell’Esposizione universale. Oggi la sede è quasi schiacciata dal peso della città e dalla sua crescente struttura demografica. Circondati da baracche fatiscenti, i padiglioni fieristici, la cui architettura impone una rilettura, sono ancora in piedi. Il passato qui discusso ha poco a che fare con le circostanze sociali e politiche in cui vivono e lavorano gli autori della mostra, e non appartiene loro nemmeno dal punto di vista generazionale. È dunque per l’architettura che gli autori si sono recati a Lagos, nel difficile presente di una megalopoli dinamica, con l’intento di stabilire il proprio rapporto con questa architettura attraverso l’esperienza diretta. Attraverso la ricerca, gli autori tentano di stabilire riflessioni spaziali e temporali e, come risultato, presentare un’unica entità architettonica, che dovrebbe riaffermare l’urgenza e il potenziale del momento presente nel contesto delle sfide future in cui queste strutture possono essere identificate come risorsa. Per partecipare alla creazione del futuro, bisogna comprendere il valore del presente. Pertanto, gli autori vedono la Fiera Internazionale di Lagos come un progetto urbano, un progetto architettonico e un progetto umano, il cui presente è sempre attuale. In reflections rivolge l’attenzione all’architettura creata attraverso la cooperazione internazionale, vedendola sia come potenziale sia come risorsa per il futuro. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Slobodan Jović Comitato scientifico Biljana Jotić (presidente), Dubravka Đukanović, Jelena Ivanović Vojvodić, Miljana Zeković, Snežana Vesnić, Ana Đurić, Jelena Mitrović Partecipanti Iva Njunjić Tihomir Dičić Realizzazione Museum of Applied Art per conto del Ministero della Cultura della Repubblica di Serbia Con il supporto di Union of Architects of Serbia

In reflections 6°27’48.8”N 3°14’49.20”E 111


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Melvin Tan, Adrian Lai, Wong Ker, How, When Is Enough, Enough? The Performance of Measurement, 2023

Biennale Architettura 2023


Singapore “Un grande edificio, a mio avviso, deve cominciare con l’immisurabile, deve passare attraverso mezzi misurabili nella fase di progettazione e alla fine deve essere immisurabile”. Louis Kahn Lo stesso pensiero può essere applicato alle grandi città, città che ridanno vigore ai sogni e alimentano la connessione, che fanno spazio anche ai margini. Nel costruire la città che amiamo, come misuriamo l’incommensurabile? L’atto di misurare è un duplice processo che quantifica e immagina. Rivela tensioni tra posizioni estreme e prevede le potenziali gamme intermedie. Nell’eseguire la misurazione vengono inoltre svelati i valori e le congetture sottostanti. Il padiglione di Singapore mette in primo piano architetti e ricercatori le cui pratiche mirano a stimolare capacità di agire, attaccamento, attrazione, connessione, libertà, inclusione nella città. Nell’esaminare i processi di progettazione operanti in direzione di questi sei obiettivi, scopriamo sfide e contraddizioni e portiamo alla luce metodi per affrontare le diverse preferenze e gli enigmi che ne sorgono. Progettare e fare architettura costituiscono la chiave per comprendere i nostri legami emotivi con la città. L’ambiente costruito può rendere visibile la delicata negoziazione dei diversi bisogni della città. Ad esempio, i paradisi urbani della biodiversità, come una facciata ricoperta di verde di un edificio o un angolo di strada restituito alla natura, significano confini più porosi tra la vita umana e quella animale. Gli ecologisti stanno studiando i confini tra urbano e natura, mentre i progettisti ci stanno aiutando a reimmaginare la loro separazione. All’interno del padiglione, i visitatori trovano una Macchina per la Misurazione dei Valori che li invita a osservare i potenziali compromessi insiti nel tipo di mondo in cui vogliono vivere. Le loro preferenze sono segnate su un gigantesco rotolo che si muove attraverso il padiglione, un’esposizione in tempo reale del consenso e delle contraddizioni che prendono forma durante i sei mesi della Biennale. Una società equa si basa sul dare un senso a priorità, valori e definizioni contrastanti, specialmente nelle nostre città sempre più multiculturali e multispecie. La nostra intenzione è che i visitatori immaginino le qualità intangibili che ritengono importanti nel luogo in cui vivono e il ruolo che essi giocano nel progettare questa realtà. Quali misure dobbiamo prendere per vivere secondo i nostri valori? Come calibriamo le diverse entità, ambienti e sogni? Quando il troppo è troppo? Partecipazioni Nazionali

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Commissari Yap Lay Bee, Direttore del gruppo Architettura e Design urbano, Autorità per la Riqualificazione Urbana Dawn Lim Direttore esecutivo, DesignSingapore Council Curatori Melvin Tan Adrian Lai Wong Ker How Partecipanti Aurelia Chan Elwin Chan Zachary Chan Kar-men Cheng Chew Yunqing Lip Chiong Aaron Choo Calvin Chua Joshua Adam Comaroff Yann Follain Srilalitha Gopalakrishnan Richard Hassell Hwang Yun-Hye Anuj Jain Emi Kiyota Pennie Kwan Bjorn Low Jerome Ng Xin Hao Isabella Ong Ong Ker-Shing Firdaus Sani Thomas Schroepfer Annabelle Tan Wong Chun Sing Mun Summ Wong Organizzazione Singapore Institute of Architects

When Is Enough, Enough? The Performance of Measurement 113


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Veduta dell’installazione. © Team del padiglione sloveno alla Biennale Architettura 2023 Veduta dell’installazione. © Team del padiglione sloveno alla Biennale Architettura 2023

Focolare, Rokavci, Marezige. Photo Boris Orel. Documentazione del Museo etnografico sloveno ↓↓↓

Biennale Architettura 2023


Negli ultimi dieci anni, l’ecologia ha avuto un impatto significativo su molte discipline ed è diventata parte integrante del loro sviluppo. L’architettura non fa eccezione. Tuttavia, il merito della presunta ecosostenibilità dell’architettura spetta ad altre discipline connesse all’ingegneria, per cui sono le pompe di calore, la tecnologia domestica a energia zero, i sistemi di ricircolo della ventilazione e altre innovazioni a trasformare le nostre case in macchine ad alta tecnologia destinate ad aiutarci a gestire il consumo energetico secondo efficienza. L’ecologia viene affrontata dall’architettura in modo piuttosto paradossale. Invece di ridefinire criticamente i suoi pilastri concettuali, l’architettura tende ad affrontare le questioni ecologiche esclusivamente attraverso la tecnologia applicata e celata all’interno delle pareti. Il concetto di efficienza energetica appare come una componente a se stante di un edificio. In contrapposizione a efficienza energetica, usiamo la parola ecologia come rappresentazione delle complesse relazioni tra l’architettura e il suo ambiente. Possiamo (ri)pensare l’ecologia attraverso l’architettura? L’ecologia può essere produttiva per l’architettura? In passato, un semplice concetto architettonico era sempre basato sui requisiti energetici del suo contesto climatico, materiale e topografico. In altre parole, l’architettura tradizionale ha sempre avuto un alto grado di efficienza energetica. In collaborazione con cinquanta architetti europei e ideatori di ultima generazione, abbiamo cercato esempi di edifici tradizionali che affrontassero la questione dell’ecologia in un’ottica olistica. I principi energetici di tali edifici sono stati suddivisi in categorie quali: stanza nella stanza, cella termica, soffitto ribassato o perimetro esteso. Gli esempi presentati dimostrano anche che gli elementi legati all’energia nell’architettura tradizionale solitamente non fungevano da componenti monofunzionali, ma in aggiunta alla loro funzione primaria svolgevano un ruolo sociale e rituale. Affrontando le questioni del riscaldamento e del raffreddamento, essi generavano e organizzavano i modi in cui gli edifici erano abitati e stabilivano relazioni specifiche tra architettura, utenti e ambiente. Questo approccio intende l’architettura tradizionale come un esempio vivente di principi energetici rilevanti per l’epoca attuale e può essere impiegato come fondamento ai fini di una reinterpretazione critica della produzione architettonica contemporanea e per riflettere sull’architettura del futuro – un’architettura non solo efficiente dal punto di vista energetico, ma che deve diventare ecologica. Partecipazioni Nazionali

Repubblica di Slovenia

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Commissario Maja Vardjan Curatori Jure Grohar Eva Gusel Maša Mertelj Anja Vidic Matic Vrabič Partecipanti Anna Bach, Eugeni Bach A&EB architects Marcello Galiotto, Alessandra Rampazzo AMAA Urban Petranovič, Davor Počivašek Arhitekti Počivašek Petranovič Niklas Fanelsa Atelier Fanelsa Alicja Bielawska, Simone De Iacobis, Aleksandra Kędziorek, Małgorzata Kuciewicz Laura Bonell, Daniel LópezDòriga Bonell+Dòriga Radim Louda, Paul Mouchet CENTRAL offau Velika Ivkovska KOSMOS Aidas Krutejavas KSFA Krutejavas Studio For Architecture Laura Linsi, Roland Reemaa LLRRLLRR Benjamin Lafore, Sébastien Martinez-Barat MBL architectes Ana Victoria Munteanu, Daniel Tudor Munteanu Daniel Norell, Einar Rodhe Norell / Rodhe Søren Pihlmann Pihlmann architects Ambra Fabi, Giovanni Piovene Piovenefabi Matteo Ghidoni Salottobuono Gordon Selbach

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Pablo Canga, Anna Herreros SOLAR Elena Schütz, Julian Schubert e Leonard Streich Something Fantastic Jakob Sellaoui Studio Jakob Sellaoui Hana Mohar, Frane Stančić Studio Ploca Susanne Brorson Studio Susanne Brorson Benjamin Gallegos Gabilondo, Marco Provinciali Supervoid Ana Kreč Svet vmes Janja Šušnjar Mireia Luzárraga, Alejandro Muiño TAKK Léone Drapeaud, Manuel León Fanjul, Johnny Leya Traumnovelle Gaetan Brunet, Chloé Valadié UR Javier García-Germán TAAs Assistente del Commissario Nikola Pongrac Progetto del padiglione Mertelj Vrabič Arhitekti Vidic Grohar Arhitekti Progetto grafico Žiga Testen Immagine Elvis Jerkič Architetti in loco e coordinamento eiletz ortigas | architects Produzione MAO, Museum of Architecture and Design Con il supporto di Ministero della Cultura della Repubblica di Slovenia

+/- 1 °C: In Search of Well-Tempered Architecture 115


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Sechaba Maape, Community of beings. Disegno di ricerca-pratica

Biennale Architettura 2023


Repubblica del Sudafrica

Disseminate lungo 10.000 chilometri quadrati di prateria nel Mpumalanga, a circa 200 chilometri a est di Johannesburg, si trovano le rovine di una grande civiltà nota come Bokoni. Di particolare interesse architettonico presso questo sito è un gran numero di incisioni rupestri a bassorilievo che raffigurano schemi edilizi. È opinione diffusa che i progetti non fossero destinati alla costruzione, ma costituissero una rappresentazione architettonica teorica, a dimostrazione del fatto che i pastori Bokoni realizzavano disegni delle strutture sociali così come sono illustrate nei progetti architettonici. Richiamandosi a questa tradizione, il padiglione sudafricano della Biennale Architettura 2023 è incentrato sulla rappresentazione architettonica di strutture sociali esistenti e ipotetiche. Nel padiglione questi stessi strumenti sono impiegati per analizzare condizioni odierne come il cambiamento climatico e la disuguaglianza. L’inclusione di sistemi di valore un tempo periferici poggia fortemente sulla rivalutazione dei valori precoloniali, attraverso lo studio dei sistemi di conoscenza indigeni, e sul loro ruolo nella rielaborazione degli insediamenti umani, delle istituzioni e delle comunità contemporanee. Questo aspetto viene indagato attraverso tre mostre, la prima delle quali è The Past Is the Laboratory of the Future, un’analisi del sito Bokoni e delle sue varie rappresentazioni, compresa una ricostruzione in realtà aumentata di una fattoria Bokoni. Qui è esposta un’incisione rupestre Bokoni, insieme a un’installazione tessile nella quale i visitatori possono vivere un’esperienza immersiva di una replica digitale del sito originale Bokoni. La seconda mostra, The Council of (NonHuman) Beings, presenta disegni di ricerca-pratica di Sechaba Maape che indagano la scomparsa della filosofia alla base della vitalità africana. I disegni evocano un futuro in cui le tradizioni di pensiero non occidentali vengono reintrodotte nel campo epistemologico dell’architettura. Political Animals, la terza mostra, propone i risultati di un concorso di progettazione architettonica per studenti sudafricani, che invitava a sviluppare modelli architettonici e manufatti rappresentanti le strutture sociali in cui essi vivono. L’esposizione presenta sei modelli o manufatti di studenti. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Nosipho Nausca-Jean Jezile Curatori Sechaba Maape Emmanuel Nkambule Stephen Steyn Partecipanti Kent and Lane, Mmabe Maila, AR –Zamani Project e Tshwane University of Technology, Kyle Brand, Victor Mokhaba, Mpinane Qhobela, Nthomeng Matete, Makanalelo Maapea, Mapotsane Mohale, Moshebi Mohale, Tlhologello Sesana, Lethlogonollo Sesana, Wihan Hendrikz, Luthando Thomas, Kirti Mistry, Carin Smuts, Phadi Mabe, Khalipha Rade, Yamkelwa Sim, Anya Strydom, Jan Truter, Liam Harvey, Tim Presbury, Saskia de Bok, Saleigh Davis, Teegan Isola, Nosipho Ndawonde, Solami Nkabinde, Keyur Moodley, Anna Thomas, Kelly de Gouveia, Rorisang Monanabela, Tammy Ohlson de Fine, Oratile Mothoagae, Emma Skudde, Priyan Moodley, Michael Peneda, Simphiwe Mlambo, Masego Musi, Sesethu Mbonishweni, 2BLN, Spies Architects, Breinstorm Brand Architects, Anita Szentesi, Stephen Wessels

The Structure of a People 117


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Amorim Cork, fabbrica per la lavorazione del sughero. Porto, Portogallo. Photo e © Pedro Pegenaute Impianto di biometanizzazione e compostaggio. Pinto, Spagna. Photo e © Pedro Pegenaute

Biennale Architettura 2023


Spagna Pensate al vostro pasto più recente. Ricordate la consistenza, i colori e i sapori di ciascuno dei suoi ingredienti, le cui molecole sono lentamente diventate i vostri capelli, la vostra pelle e persino la vostra stessa anima. Ora ripercorriamo il viaggio di questi ingredienti a ritroso nel tempo per svelare i luoghi e gli scenari attraverso i quali sono passati prima di arrivare nel piatto, e per contemplare le architetture e le infrastrutture che li hanno formati. Pensate al laboratorio quotidiano della vostra cucina, dove il cibo viene assemblato a partire da piccoli barattoli e contenitori, e anche alla centralità sociale e politica che questo spazio detiene all’interno delle nostre architetture domestiche. Pensate al supermercato dove si trovavano questi ingredienti, collocati strategicamente su scaffali ordinati per evocare il desiderio di consumo di certi materialismi culinari. Poi, passate alle autostrade e agli anonimi bar e alberghi delle aree di sosta, urbanismi dispersi abitati da autonauti nomadi che salvaguardano la rotta climaticamente mediata del nostro cibo dai paesaggi automatizzati dei porti e dei centri logistici. Ancora più indietro, visualizzate le piantagioni, le serre e i mattatoi da cui derivano questi ingredienti; urbanismi morbidi pensati per strumentalizzare interi territori. Contemplate i corpi – umani, vegetali, animali, meccanici – che vi vengono sfruttati, e anche le implicazioni politiche, tecnologiche ed ecologiche delle architetture produttive che rendono il tutto possibile. Infine, immaginate il suolo da cui sono emersi e il processo quasi alchemico che ha permesso al geologico di diventare biologico. Riconoscete la fotosintesi, la fissazione dell’azoto, il metabolismo microbico e i complessi processi fisici e chimici necessari per fissare il sole in un’infinita varietà di trame e sapori. Mangiando, digeriamo i territori. FOODSCAPES è un viaggio attraverso le architetture che nutrono il mondo; dai laboratori domestici delle nostre cucine ai vasti paesaggi operativi che nutrono le nostre città. In un momento in cui i dibattiti sull’energia sono più pertinenti che mai, il cibo rimane sullo sfondo, eppure il modo in cui lo produciamo, lo distribuiamo e lo consumiamo plasma il nostro pianeta in modo più radicale di qualsiasi altra fonte di energia. Tramite cinque film, un archivio sotto forma di ricettario e una piattaforma di ricerca aperta, la mostra analizza il panorama attuale del nostro sistema alimentare e guarda al futuro per esplorare altri modelli possibili, capaci di nutrire il mondo senza divorare il pianeta. Partecipazioni Nazionali

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Commissari MITMA Ministero dei Trasporti, della Mobilità e dell’Agenda Urbana AECID Spanish Agency for International Development Cooperation AC/E Acción Cultural Española Curatori Eduardo Castillo-Vinuesa Manuel Ocaña Partecipanti Aldayjover Architecture and Landscape C+ arquitectas Common Accounts Daniel Ibañez + Vicente Guallart + Manuel Bouzas Dolores Palacios + Federico Soriano Guillermo Fernández-Abascal + Urtzi Grau Institute for Postnatural Studies Iván L. Munuera + Vivian Rotie + Pablo Saiz Lucía Jalón Oyarzun Lucia Tahan Naranjo-Etxeberría Pedro Pegenaute Cortometraggi Elii + María Jerez Gerard Ortín Castellví + Pol Esteve Castelló GRANDEZA + Locument MAIO + Agnes Essonti Luque Marina Otero Verzier + Manuel Correa

FOODSCAPES 119


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Neighbours, lucertola muraiola. © 2021 Tobias Becker

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Neighbours, veduta del padiglione venezuelano dal padiglione svizzero. © Karin Sander

Neighbours, il muro di mattoni del padiglione svizzero (Bruno Giacometti) è aperto verso il vicino padiglione venezuelano (Carlo Scarpa). © Studio Karin Sander ↓↓↓

Biennale Architettura 2023


Svizzera

La mostra è un progetto realizzato e curato dall’artista tedesca Karin Sander e dallo storico dell’arte svizzero Philip Ursprung. Il padiglione non viene considerato come contenitore di una mostra: invece di ospitare un’esposizione relativa a qualcosa, espone se stesso. Il tema della mostra è il ‘vicinato’. Si riferisce alla vicinanza spaziale e formale dei padiglioni che ospitano Svizzera (1951-1952, Bruno Giacometti) e Venezuela (1954-1956, Carlo Scarpa). Tra tutti i padiglioni presenti all’interno dei Giardini, sono i più vicini: il patio e l’area d’ingresso del padiglione venezuelano sono parzialmente definiti dai muri esterni del padiglione svizzero; uno dei muri in mattoni è in comune, mentre altri due, quello in cemento del patio venezuelano e quello in mattoni della sala svizzera delle sculture, sono sovrapposti. La mostra si basa sull’ipotesi che i due amici architetti dialogassero tra loro e che Scarpa avesse concepito i due padiglioni come un unico spazio continuo. Tuttavia, dal 1952 il potenziale collegamento tra i due cortili è sbarrato sul lato svizzero da una recinzione in ferro e sul lato venezuelano da un muro in mattoni realizzato a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta. La mostra si compone di quattro interventi. Inizialmente, un grande tappeto nella sala principale raffigura le due planimetrie combinate; i visitatori possono camminare liberamente sul tappeto, leggere la pianta e immaginare gli spazi collegati. Successivamente, un’apertura temporanea, ricavata nel recinto di mattoni del cortile svizzero, rende visibile il collegamento con il padiglione adiacente e permette ai visitatori di muoversi tra gli spazi. Inoltre, il platano ormai morto è stato tagliato a un’altezza di circa otto metri e le recinzioni in ferro che delimitano le aperture del padiglione svizzero sono state temporaneamente rimosse. Come tutti i padiglioni costruiti nel dopoguerra, i due edifici vicini incorporano i vecchi platani del viale e hanno vissuto per decenni all’ombra rinfrescante delle loro grandi chiome. Dopo la morte dell’albero del padiglione svizzero, una parte del tronco è stata lasciata in essere durante la mostra come riferimento architettonico, prima di essere sostituita. L’albero vicino, di fronte al padiglione del Venezuela, sa che il suo vicino se ne è andato? Partecipazioni Nazionali

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Commissari Swiss Arts Council Pro Helvetia Sandi Paucic, reponsabile di progetto Rachele Giudici Legittimo, Direzione di progetto Partecipanti e Curatori Karin Sander Philip Ursprung Comitato direttivo Pro Helvetia Philippe Bischof (direttore) Jérôme Benoit (vicedirettore) Anna Arutyunova (responsabile della rete globale e degli affari internazionali) Katharina Brandl (responsabile di arti visive) Ines Flammarion (responsabile della comunicazione) Assistenti ai Commissari Anita Magni Jacqueline Wolf Collaborazioni ETH Zurich, Swiss Federal Institute of Technology Sassa Trülzsch, curatore responsabile; Tobias Becker, responsabile di progetto; Berit Seidel, Adam Jasper, ricercatori Studio Karin Sander Stefan Alber, Olga Hammermeister, Daniela Ihrig, Johannes Moeller Rebiennale Giulio Grillo Comunicazione Ursula Pfander Swiss Arts Council Pro Helvetia Benedetta Di Costanzo, Zeynep Seyhun, Caroline Widmer Pickles PR Organizzazione del padiglione e coordinamento in loco Tommaso Rava Consulenza architettonica Alvise Draghi Con il supporto di ETH Zurich – Department of Architecture Fondazione Maxxi NEUCO Stepevi

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Un ringraziamento speciale a Sophie Agata Ambroise Börkur Arnarson Bidi Beck Carla Zhara Buda Pippo Ciorra Michelle Courtens Helga de Alvear Tom Emerson Kurt W. Forster Heiner Franzen Roland Frischknecht Alexander Fritzsch Lisa Gärtner Elisabetta Giordano Stefano Graziani Adi Grüninger Guido Hager Vera Hartmann Moritz Henkel Kristina Hinrichsen Anna Hohler Tobias Hotz Louisa Hutton Rita Illien Adam Kiryk Hubert Klumpner Verena Konrad Stefan Körner Clemens Krümmel Andreas Kuelich Martin Lauffer Chiara Marchegiani Lukas Meyer Selma Neuber Sibylle Novello Jochen Olbert Nicolas Rolle Kai Rosenberg Polina Saante Sabine Sarwa Matthias Sauerbruch Paola Scaramuzza Jörn Schafaff Arno Schlüter Esther Schipper Gül Dilek Schlieker Madeleine Schuppli Rosemarie Schwarzwälder Elisa Silva Holger Terno Andreas Uebele Harry Walter Rob Wilson Florian Wojnar Adela Yawitz e tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto

Neighbours 121


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L’edificio come contenitore, come borsa, come bacino che contiene la storia di vita delle trasformazioni, dell’imprevedibilità e del disordine. © Cem Dinlenmiş

Biennale Architettura 2023


Che cos’è la ‘Teoria della borsa della spesa dell’architettura’? Secondo Elizabeth Fisher, più che gli strumenti per la caccia, il primo oggetto culturalmente significativo degli esseri umani fu probabilmente una sacca che consentiva loro di trasportare i vegetali che raccoglievano1. Un uomo armato, tuttavia, è apparentemente un’immagine più accattivante da rappresentare sulle pareti di una caverna che una scena ispirata al trasporto di cibo. Ursula K. Le Guin ha adattato questa teoria alla narrativa ed è riuscita a raccontare storie avvincenti in cui personaggi non eroici si fanno strada nella vita con tutti i suoi fallimenti e conflitti2. La mostra nel padiglione turco applica la teoria di Le Guin alla pratica architettonica. L’architettura richiede un cambiamento fondamentale nell’era della crisi. Tuttavia, mentre il sogno di Le Guin diventa alla fine realtà – sulle pareti delle caverne compaiono coloro che raccolgono vegetali nelle loro sacche invece dei cacciatori di mammut –, come architetti, possiamo accettare un cambiamento così radicale nelle immagini che abbiamo ereditato? E se ascoltassimo e comprendessimo le storie di edifici abbandonati, invece di concentrarci su esempi di maggior successo? Di cosa parla questa mostra? Questa mostra riguarda la trasformazione delle strutture esistenti. Presenta il risultato di un gruppo di ricerca collaborativo derivato da un bando aperto per edifici abbandonati in Turchia. Dimostra anche come la nostra teoria evochi la pratica architettonica contemporanea. Perché questo è importante per il padiglione turco? Poiché l’edilizia in Turchia è innescata dalla crescita economica più che da esigenze spaziali, abbiamo un’enorme varietà di edifici inutilizzati. Mentre stavamo scrivendo questo testo, due terremoti, di magnitudo 7,7 e 7,6, hanno colpito la Turchia sudorientale, provocando danni immensi. In un Paese con uno smisurato patrimonio edilizio che deve essere rinforzato per resistere ai terremoti, è necessario trovare modi per trasformare l’esistente e introdurre nuovi strumenti e metodi per alimentare i nostri sogni e le nostre discussioni. Come afferma Lesley Lokko, “la speranza è una valuta potente”. Anche nei tempi più disastrosi, abbiamo bisogno di idee che mantengano viva la speranza. Qui, edifici abbandonati, come risorsa e come laboratorio del futuro, nuovi strumenti di trasformazione e teoria si uniscono per formare un’espressione provvidenziale di ottimismo. 1

E. Fisher, The Carrier Bag Theory of Evolution, in Women’s Creation: Sexual Evolution and The Shaping of Society, Anchor, Garden City, N.Y., 1979.

2

U. K. Le Guin, The Carrier Bag Theory of Fiction, 1986: https://otherfutures. nl/uploads/documents/le-guin-the-carrier-bag-theory-of-fiction.pdf.

Partecipazioni Nazionali

Turchia

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Commissario Istanbul Foundation for Culture and Arts (İKSV) Curatori Sevince Bayrak Oral Göktaş Team di progetto Aysima Akın K. Reyyan Doğan Merve Akdoğan Team di ricerca M. Taylan Tosun Doğu Tonkur Assistenza alla ricerca Berke Şevketoğlu H. Bahar Çoklar Duygu Saygı Progetto dell’allestimento SO? Architecture and Ideas Progetto grafico Esen Karol Con il supporto di Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica di Turchia Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Turchia Schüco Turkey VitrA Turkish Airlines

Ghost Stories: The Carrier Bag Theory of Architecture 123


ФОРМА, Before the Future for the Arsenale, 2023. Photo © ФОРМА. Courtesy gli Architetti

ФОРМА, Before the Future for Giardini, 2023. Photo © ФОРМА. Courtesy gli Architetti ↓↓

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Biennale Architettura 2023


Ucraina

Nel raccontare storie, abbiamo l’opportunità di capirci gli uni con gli altri e quindi di condividere visioni diverse di un futuro mutevole. Oltre quattrocento giorni di guerra ci hanno dimostrato che non si possono raccontare storie senza difesa. Ovunque ci sia un racconto, c’è qualcosa e qualcuno che consente a quella voce di essere ascoltata in modo relativamente sicuro. Le fortificazioni possono essere di origine naturale, non umana, umana o ibrida. Possono essere pianificate o fortuite. Sotto il tetto o dietro il bastione, possiamo riunirci per discutere le questioni più urgenti di fronte al futuro. Il padiglione ucraino presenta questo tipo di struttura protettiva. L’Ucraina, che non partecipava alla Biennale Architettura da molto tempo, ora riappare in un momento cruciale, per raccontare le sue storie e stabilire un contatto più stretto tra comunità diverse. Durante la Biennale vorremmo dare forma ad alcuni processi intensi e mirati che si svilupperanno essi stessi come nuove storie. Andremo oltre il sito del padiglione fino alla situazione paradossale in cui si trovano ora gli architetti ucraini. Il futuro potenziale coesiste con la costante distruzione del passato e del presente, dei loro spazi e delle loro interazioni. Ma c’è di più: sono sorte nuove connessioni nei fecondi processi di autorganizzazione; storie di difesa dello Stato e dei valori di libertà; storie che hanno riplasmato il nostro terreno comune. Tutte queste riflessioni ci uniscono nel lungo programma all’interno del padiglione. Ognuno ha le proprie storie non raccontate, ma gli eventi di solito ne favoriscono la revisione. Mentre ci concentriamo su ciò che verrà, non dobbiamo trascurare quanto è avvenuto prima. Qui seguiamo la pratica artistica di Kateryna Aliinyk, che adatta il proprio punto di vista al paesaggio in rapida evoluzione: “[...] anche se un paesaggio non sembra conservare a lungo le tracce della tragedia, alla fine, uno sguardo più ravvicinato di solito ne rivela la presenza”. Sembra quindi appropriato che in questo momento di cambiamento, pur guardando direttamente al futuro, la nostra pratica di laboratorio non cerchi di aprire nuovi orizzonti, ma piuttosto di ricostruire intangibili interazioni e connessioni. — Iryna Miroshnykova, Oleksii Petrov, Borys Filonenko Partecipazioni Nazionali

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Commissario Mariana Oleskiv Agenzia statale per lo sviluppo turistico dell’Ucraina Curatori Iryna Miroshnykova Oleksii Petrov Borys Filonenko Participanti Architetti, Artisti, Scrittori, Operatori Culturali e altri Collaboratori Maria Lanko, Curatrice aggiunta Anna Dobrova, Direzione di progetto Anastasia Zhuravel, coordinatrice di programma Ilona Schneider, team amministrativo Kyrylo Khivrich, architetta / ricercatrice Elisaveta Perel, architetta / ricercatrice Iryna Shershakova, architetta / ricercatrice Kateryna Aliinyk, artista Con il supporto di Ministero delle Comunità, dei Territori e dello Sviluppo delle Infrastrutture dell’Ucraina, Charitable Organization Charitable Fund Pavilion Kultury, NGO Museum of Contemporary Art

Before the Future 125


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Misfit Assembly, 2023, prototipo. Rocce, elementi in legno caduti, stampa 3D dei raccordi. Photo Faysal Tabbarah. Courtesy National Pavilion UAE – La Biennale di Venezia Un muro a secco sulle montagne di Al Hajar negli Emirati Arabi Uniti. Faysal Tabbarah, Aridly Abundant, 2023. Photo Reem Falaknaz. Courtesy National Pavilion UAE – La Biennale di Venezia

Biennale Architettura 2023


Emirati Arabi Uniti

La mostra opera sull’intersezione tra conoscenza del territorio e tecnologia contemporanea. La domanda principale è: quali possibilità architettoniche possono emergere se paesaggi aridi vengono reimmaginati come spazi di abbondanza? Ponendo l’attenzione sul rapporto tra architettura e paesaggi aridi, il progetto mette in discussione la percezione degli ambienti riarsi come spazi di scarsità e precarietà, scoprendo pratiche della terra che ripensano le tradizionali pratiche materiali. Mettere l’aridità in primo piano all’interno della produzione architettonica e del relativo discorso provoca un futuro costruito dentro, con e per l’aridità. Nonostante gli ambienti aridi e semi-aridi costituiscano circa il 32%1 della superficie terrestre, l’ambiente edificato contemporaneo rende l’aridità e le sue condizioni invisibili alla sua popolazione; allontana le persone dalla realtà della scarsità di cibo e acqua e dalla consapevolezza di come questi sistemi le sostengano. La maggior parte della terra negli Emirati Arabi Uniti (80%) è semi-arida, arida e iper-arida, tuttavia, Aridly Abundant esamina l’abbondanza all’interno dell’altopiano desertico, degli uadi e delle pianure costiere degli Emirati Arabi Uniti lungo la catena montuosa di Al Hajar con una metodologia che include esperimenti nei sistemi materiali, ricerca nei documenti primari e secondari e lavoro sul campo. Inoltre, il progetto esamina l’aridità come condizione storica in alcune regioni e condizione futura in altre, per stimolare la produzione di soluzioni architettoniche radicate nei loro contesti materiali, culturali e storici. Ciò evidenzia come materiali e pratiche della terra attualmente definiti impraticabili dall’industria delle costruzioni abbiano il potenziale per suggerire un futuro alternativo in cui la costruzione non sia responsabile del cambiamento climatico. La mostra trasforma il padiglione in un ambiente che rivela le qualità spaziali, materiali e tattiche di ambienti molto arsi, creando uno sfondo per provocazioni architettoniche adatte a contesti aridi globali contemporanei e futuri. 1

2010-2022: UN Decade for Desert and Fight against Desertification, disponibile a: https://www.un.org/en/events/desertification_decade/ whynow.shtml (ultimo accesso 30 marzo 2023).

Partecipazioni Nazionali

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Commissario Salama bint Hamdan Al Nahyan Foundation Curatore Faysal Tabbarah Progetto dell’allestimento Architecture + Other Things Fotografia e suono Reem Falaknaz Collaborazione Meitha Almazrooei Progetto grafico 40MUSTAQEL, Il Cairo Con il supporto di Ministero della Cultura e della Gioventù degli Emirati Arabi Uniti

Aridly Abundant 127


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Ang Li, Senza titolo, polistirolo espanso compresso, 2023. Courtesy l’Artista

Biennale Architettura 2023


Stati Uniti d’America

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Perfezionati negli Stati Uniti all’inizio del 1900, i polimeri petrolchimici, comunemente noti come plastica, furono accolti come un materiale rivoluzionario che proteggeva il mondo naturale e diminuiva le barriere socioeconomiche consentendo l’accesso a beni precedentemente disponibili solo alle classi più abbienti. Oggi, a dispetto dell’atteggiamento culturale nei confronti dell’usa e getta e delle prove relative alla sua tossicità, la plastica viene prodotta a tassi esponenzialmente allarmanti, rendendo evidente l’urgenza di riformulare il nostro approccio alla quantità smisurata di rifiuti plastici presenti nei corsi d’acqua, nelle discariche e nelle strade. Everlasting Plastics esplora l’ubiquità culturale di questi materiali e i modi in cui la nostra dipendenza da essi ha dato vita a un legame difficile e tuttavia impossibile da sciogliere. Questa mostra collettiva riunisce cinque artisti e designer le cui pratiche sono incentrate sull’esame, il superamento e la risoluzione di una calamità globale. Il progetto comprende opere site-specific di Xavi Laida Aguirre, Simon Anton, Ang Li, Norman Teague e Lauren Yeager. Ogni opera approfondisce il nostro rapporto con la plastica, promuovendo la riflessione sul modo in cui questo materiale plasma ed erode l’ecologia contemporanea, le economie e l’ambiente costruito, suggerendo allo stesso tempo delle alternative potenziali e le necessarie rielaborazioni dei modi in cui le materie plastiche vengono utilizzate. Senza esprimere un giudizio di merito sulla plastica, la mostra riconosce che la nostra interdipendenza tossica con questo materiale è ormai un fenomeno globale, intuendo però al contempo le sue possibilità come veicolo di cambiamento. Il padiglione invita ad adottare una prospettiva architettonica per evidenziare la nostra dipendenza latente dalla plastica; dimostra come la ‘plasticità’ ha alimentato aspettative nei confronti del comportamento di altri materiali e punta il dito verso l’impatto sconosciuto, indelebile e a lungo termine della plastica sul nostro futuro. — Lauren Leving, Tizziana Baldenebro Partecipazioni Nazionali

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Commissario Tizziana Baldenebro, SPACES Curatori Tizziana Baldenebro, Executive Director, SPACES Lauren Leving, Curator, Museum of Contemporary Art Cleveland Partecipanti Xavi Laida Aguirre Simon Anton Ang Li Norman Teague Lauren Yeager Collaborazioni Paula Volpato, assistente dei Curatori Chloe Munkenbeck e Faysal Altunbozar, progetto dell’esposizione The Normal Studio, progetto grafico Resnicow and Associates, PR Elizabeth Krasner, consulenza PR Columbia Books on Architecture and the City Case Western Reserve University Kent State University, College of Architecture & Environmental Design Venice Lagoon Plastic Free Chiara Barbieri, direzione dei Progetti Speciali, Peggy Guggenheim Collection Giacomo di Thiene, Th&Ma Architettura

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Con il supporto di Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ufficio per gli Affari Educativi e Culturali Cleveland Foundation Ford Foundation Nord Family Foundation Alphawood Foundation George Gund Foundation The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts The Joyce Foundation University of Illinois at Chicago School of the Art Institute of Chicago Beyer Family Fund FRONT International Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts Ulmer & Berne, LLC Glen-Gery Anonymous Dennis & Kathy Barrie Maragare Cohen & Kevin Rahilly Biagio & Lorraine Gagliano Agnes Gund David Novgorodsky John C. Williams, AIA SPACES consiglio di amministrazione

Everlasting Plastics 129


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Vivaio a Tacuarembó, Uruguay, 2023. Photo MAPA+INST Foresta piantumata a Tacuarembó, Uruguay, 2023. Photo MAPA+INST

Biennale Architettura 2023


Uruguay

L’Uruguay, “un Paese con quattro mucche pro capite”, sta vivendo un cambiamento senza precedenti nella sua matrice produttiva. Per la prima volta, nel 2023 le esportazioni di cellulosa supereranno quelle di carne e saranno in testa alle vendite all’estero. Dall’approvazione della Legge forestale nel 1987, la superficie boschiva è cresciuta di oltre trenta volte. Si stima che questa espansione continuerà, poiché il Paese ha destinato in via prioritaria quattro milioni di ettari a uso forestale. Sembra che oggi gli alberi e il legno meritino la nostra attenzione. In questo senso, il progetto intende considerare la Legge forestale come un insieme ecosistemico in costruzione che interagisce con diverse spazialità e territorialità. È un invito a discutere e comprendere insieme le ripercussioni che questo scenario avrà nei processi di decarbonizzazione e decolonizzazione nonché la possibilità di configurare l’Uruguay come un laboratorio per il futuro del legno. Il fulcro del progetto realizzato alla Biennale Architettura è un’opera multi-autoriale che trasformerà il padiglione uruguaiano in una singolare cornice teatrale. Un avatar della legge si guarda allo specchio e, ansioso di ricevere attenzione, avvia un dialogo con una serie di elementi visivi basati sulle spazialità del legno in Uruguay e di incursioni musicali che introducono le visioni di una nuova generazione di artisti afro-uruguaiani. L’opera è completata da altri supporti e formati quali un catalogo che approfondisce le questioni sollevate e una serie di attività in Uruguay rivolte agli studenti intese ad ampliare la sfera del dibattito e guardare al futuro. Ci chiediamo: possiamo immaginare l’Uruguay come un laboratorio più equo e inclusivo per il futuro del legno? Quali spazialità dialogano con la Legge forestale? In che modo lo fanno? Quali controversie sollevano? Che posto occupa l’architettura in questo contesto? E facendo parte di questa assise, quali futuri possibili possiamo costruire insieme? A sua volta, la legge si chiede: quali possibilità ho promosso? Quali processi ho permesso o impedito? Perché nessuno parla di me come di un personaggio importante? A chi sto parlando e a chi no? Quale sarà il quadro temporale-generazionale della mia esistenza? Posso sognare? Quali sono i miei incubi e quali i miei sogni migliori? Partecipazioni Nazionali

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Commissario Facundo de Almeida, Direzione Nazionale della Cultura del Ministero dell’Educazione e della Cultura di Uruguay Curatori Mauricio López, Matías Carballal, Andrés Gobba, Luciano Andrades, Sebastián Lambert INST/MAPA Carlos Casacuberta Partecipanti Rafaella Varela, Fol Cvetreznik, Guzmán Bergereau Exceso Colectivo Matías Rada, Camila Cardozo Nomusa Facundo Balta, Álvaro Silva AVR Viki Style SAK Noé Núñez Responsabile ricerche Diego Morera Con il supporto di Ministero degli Affari Esteri Agencia Uruguay XXI Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo de la Universidad de la República de Uruguay Facultad de Arquitectura de la Universidad ORT

In Opera: Future Scenarios of a Young Forest Law 131


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Labyrinth Model, Tashkent, Uzbekistan, 2023. Courtesy ACDF. © Emine Gödze Sevim

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Ayaz-Kala, Karakalpakstan, Uzbekistan, 2023. Courtesy ACDF. © Emine Gödze Sevim

Biennale Architettura 2023


Repubblica dell’Uzbekistan

La nostra risposta al tema della Biennale Architettura 2023, The Laboratory of the Future, può essere letta come un incontro di diversi orizzonti, che ci permette, con uno sguardo trasversale sul patrimonio architettonico uzbeko, di scavare nel suo passato alla ricerca degli strumenti necessari per l’elaborazione del mondo di domani e di scomporre insieme la modernità mettendo in discussione il concetto di arcaismo. Si tratta di una partecipazione soprattutto collaborativa che pone l’essere umano al centro del nostro approccio. Gli scambi tra noi, gli studenti di architettura dell’Università Ajou di Tashkent e il maestro ceramista e artista locale Abdulvahid Bukhoriy danno vita a una proposta collettiva che lascia spazio all’inatteso. Gli artisti associati che hanno aderito al nostro approccio hanno tutti un ruolo poetico. Al centro dell’installazione architettonica un film di El Mehdi Azzam, che ne diffonde il significato e l’emozione. Un modello ridotto di Miza Mucciarelli, come comprensione mentale del vissuto. Un’opera fotografica di Emine Gözde Sevim, uno sguardo sensibile su un’esperienza condivisa. Si tratta di fornire a noi stessi gli strumenti teorici e pratici per raggiungere questo obiettivo. Dalle rovine delle antiche kala, alle molteplici possibilità che la terra offre per costruire, soprattutto il mattone. Dalla figura mitica del labirinto alla realtà costruita. Questi sono i tanti elementi da reinterpretare per creare una proposta architettonica sensibile e poetica che rifletta una pratica davvero contemporanea e contestuale. — Studio KO Partecipazioni Nazionali

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Commissaria Gayane Umerova Direttrice esecutiva della Fondazione per lo Sviluppo dell’Arte e della Cultura presso il Gabinetto dei ministri della Repubblica dell’Uzbekistan Curatori Studio KO Karl Fournier & Olivier Marty Jean Baptiste Carisé Sophia Bengebara Partecipanti El Mehdi Azzam Abdulvahid Bukhoriy Miza Mucciarelli Emine Gözde Sevim Contributo alle ricerche Ajou University a Tashkent Responsabile di progetto Madina Badalova Art and Culture Development Foundation of the Republic of Uzbekistan Direzione di progetto Boburkhon Mamatkhodjaev, Irina Yan, Laziza Akbarova, Fondazione per lo sviluppo dell’arte e della cultura della Repubblica dell’Uzbekistan Progetto dell’allestimento Studio KO Installazione We Exhibit Con il supporto di Saida Mirziyoyeva Responsabile della Sezione Politica delle Comunicazioni e dell’Informazione dell’Amministrazione del presidente della Repubblica dell’Uzbekistan

Unbuild Together, Archaism vs Modernity 133


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La torre dell’orologio durante il restauro, 2022. 1953, h 25 m. Photo Comisión Presidencial para la recuperación de la Ciudad Universitaria de Caracas

Biennale Architettura 2023


Repubblica Bolivariana del Venezuela La Ciudad Universitaria de Caracas è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 2000 e secondo la critica internazionale è il capolavoro dell’architetto venezuelano Carlos Raúl Villanueva, che applicò i principi dell’architettura moderna alle esigenze di sviluppo del nostro Paese, adattando la progettazione alla ricchezza del nostro clima, alla nostra vegetazione e alle esigenze di sviluppo sociale del Venezuela dell’epoca. La Ciudad Universitaria de Caracas è un complesso perfettamente articolato di aree verdi, cortili interni, passaggi coperti ed edifici di alta qualità, dove l’architettura è al servizio dello sviluppo sociale. L’Universidad Central de Venezuela, che al suo interno accoglie 108 opere di grandi maestri nazionali e internazionali, rappresenta la materializzazione del concetto di “sintesi delle arti maggiori” del maestro Villanueva. L’integrazione di architettura e arte si traduce in una brillante interpretazione di entrambi i concetti di architettura moderna e arte moderna, adattati al nostro clima e alla nostra geografia, con costruzioni aperte, ventilate e protette. La mostra indica come rileggere e ripensare l’architettura sulla base dell’approccio di Villanueva, ispirando le nuove generazioni di architetti a concepire l’idea di architettura come elemento di cambiamento e sviluppo sociale. Data l’importanza dell’Universidad Central de Venezuela a livello mondiale, il 2 luglio 2021 il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro Moros, ha creato la Comisión Presidencial para la Recuperación de la Universidad Central de Venezuela che, dopo le necessarie valutazioni e diagnosi, ha iniziato i lavori per il suo recupero. Attraverso immagini comparative, progetti originali e foto attuali, mostreremo come un Paese dell’America Latina si riappropria del valore dell’architettura moderna, recuperandone lo splendore, i suoi valori originali, i suoi spazi e, soprattutto, l’utopia moderna della città universitaria, che riemerge per servire come guida per il futuro nell’opera di Carlos Raúl Villanueva, uno dei maestri dell’architettura mondiale. — Paola Posani Urdaneta Partecipazioni Nazionali

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Commissaria e Curatrice Paola Posani Urdaneta Partecipante Comisión Presidencial para la Recuperación de la UCV Commissario aggiunto Reinaldo Landaeta Díaz Collaborazioni Ricardo Sanz, museografia Henrique Vera, ricerche Félix Gerardi, fotografia Omar Lamuño e Adriana Puleo, audiovisivi Mary Pemjean, ufficio stampa Álvaro Arocha Paz Castillo, progettazione grafica Karla Páez e Francesca Ciaralli Con il supporto di Ministero del Potere Popolare per la Cultura Ministero del Potere Popolare per gli Affari Esteri Banco de Desarrollo Económico y Social de Venezuela (Bandes)

Universidad Central de Venezuela World Heritage Site in Recovery. University City of Caracas 135


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Prospettiva di progetto del padiglione. Disegno di Marco Marino Veduta interna del padiglione. Disegno di Marco Marino

Biennale Architettura 2023


Padiglione Venezia

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Il Padiglione Venezia per la Biennale Architettura 2023 è un’occasione per raccontare in che modo la città di Venezia sia cambiata, continui a farlo e come cambierà nel prossimo futuro. La mostra illustra oltre ottanta interventi pubblici e di iniziativa privata avviati dal 2015. Questi lavori, a scala sia urbana sia architettonica, sono mostrati come parte di un unico progetto complessivo, il frutto di un lavorio continuo necessario a costruire l’immagine attuale e in divenire della città di Venezia, intesa come la città storica e le isole della laguna con la consolidata città di terraferma. L’unicum risultante dagli interventi realizzati o in fase di realizzazione presenti in mostra dà l’idea delle trasformazioni urbane, fornendo profondità al tutto grazie a una visione ampia e con un forte slancio verso il futuro. All’interno di questo contesto il rapporto con l’Università servirà a definire nuovi orizzonti e nuove traiettorie per la trasformazione urbana, un inedito modello di lavoro per costruire Venezia Città Campus. Il progetto curatoriale è del Collettivo Venezia e il comitato tecnico scientifico è coordinato da Guido Morpurgo. La prima parte dell’allestimento prevede il contributo di H-FARM, con un mix di contenuti esperienziali e visivi progettati immaginando un futuro che sfrutta la tecnologia e la trasformazione digitale al servizio dell’essere umano e della sua evoluzione. La parte centrale e cuore dell’esposizione sarà un grande fregio disposto lungo tutta la parete interna del padiglione: una riproposizione di Venetie MD, la veduta della città a volo d’uccello di Jacopo De Barbari, del 1500, con l’inedita aggiunta della porzione di città metropolitana. La grande veduta illustrerà anche con testi, dati e documentazione fotografica l’evoluzione e la trasformazione della città di Venezia proiettando direttamente sul grande fregio le proposte venture per la città del futuro. La parte conclusiva dell’esposizione metterà in mostra le opere realizzate dai primi classificati al concorso promosso dal Comune di Venezia ‘Artefici del nostro tempo’. Partecipazioni Nazionali

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Commissario Maurizio Carlin Curatori Collettivo Venezia: Benno Albrecht, Guido Morpurgo, Marco Marino Roberto Beraldo, Valentina Fanti, Nicola Picco, Alessandro Pedron Partecipanti H-FARM Comune di Venezia Università IUAV di Venezia Coordinamento generale Comune di Venezia: Marco Mastroianni, Danilo Gerotto, Simone Agrondi Università IUAV di Venezia: Marco Marino Fondaco Italia: Giovanna Zabotti Segreteria organizzativa Fondaco Italia Progetto di allestimento Marco Marino Identità visiva e progetto grafico Stefano Mandato Partners istituzionali Fondazione Musei Civici, Venezia Fondazione dell’Ordine degli Architetti PPC, Venezia Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Ordine degli Architetti PPC, Venezia Università IUAV di Venezia Università Ca’ Foscari di Venezia Ve.La, gruppo AVM Venis Con il supporto di Brombal Luxury Metal Windows and Doors

Venetie ‘MML’ La Grande Veduta. Il lavoro raccontato 137


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Mercurio in volo su Venezia ‘MML’. Disegno di Marco Marino

Biennale Architettura 2023


Brombal, studio per i nuovi serramenti: il recupero dell’identità architettonica del Padiglione Venezia, 2022. Scheda tecnica. © Brombal SRL

Brombal, studio per i nuovi serramenti: il recupero dell’identità architettonica del Padiglione Venezia, 2022. Progetto. © Brombal SRL ↓↓

Partecipazioni Nazionali

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Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate


Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate Progetto Progetto Progetto Speciale Speciale Speciale Padiglione Padiglione Padiglione delle Arti delle Arti delle Arti Applicate Applicate Applicate


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Illustrazione di Gordon Cullen raffigurante una scuola di Maxwell Fry e Jane Drew in “The African Experiment”, Architectural Review, May 1953. RIBA Collections. © Gordon Cullen Estate

Biennale Architettura 2023


La Biennale di Venezia con Victoria and Albert Museum, Londra

Tropical Modernism: Architecture and Power in West Africa

Sul finire degli anni Quaranta, nel contesto dell’Africa occidentale britannica (Gambia, Ghana, Sierra Leone e Nigeria), Maxwell Fry e Jane Drew misero a punto gli strumenti del cosiddetto Modernismo tropicale, adattando un’estetica modernista internazionale alle condizioni calde e umide del continente. Il loro linguaggio distintivo in materia di controllo climatico – persiane orientabili, ampie gronde e pannelli frangisole che richiamavano solo superficialmente la specificità del luogo – fu divulgato attraverso il loro autorevole libro, Tropical Architecture in the Humid Zone (1956), e il Dipartimento di Architettura Tropicale, che istituirono nel 1954 presso la Architectural Association di Londra e dove insegnarono agli architetti europei a lavorare nelle colonie, formando una nuova generazione di architetti postcoloniali. Le loro innovazioni architettoniche appaiono sullo sfondo politico della lotta decoloniale che si sarebbe presto concretizzata. La coppia e i loro colleghi costruirono numerose scuole, università, centri comunitari e biblioteche grazie ai finanziamenti del programma postbellico da 200 milioni di sterline del Colonial Welfare and Development Act, una cinica iniziativa finalizzata a contrastare le richieste di indipendenza e a rendere le colonie migliori produttori per il mercato mondiale e migliori acquirenti di beni europei. Il Ghana fu il primo Paese dell’Africa subsahariana a ottenere l’indipendenza, nel 1957, e nel decennio successivo due terzi del continente ottennero la libertà. Kwame Nkrumah, il primo presidente e primo ministro del Ghana, aveva studiato negli Stati Uniti e in Inghilterra, Paese in cui organizzò Progetto Speciale Padiglione delle Arti Applicate

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Studenti della Kwame Nkrumah University of Science & Technology che costruiscono strutture geodetiche e spaziali di fronte al Dipartimento di Architettura1965. Photo Keith Critchlow

Biennale Architettura 2023


il Congresso Panafricano del 1945 a Manchester. Nkrumah vide nel Modernismo tropicale la possibilità di esprimere la sua ideologia panafricana, che cercava di instaurare legami significativi tra il continente e la diaspora, e incaricò architetti dell’Europa dell’Est di lavorare al fianco di architetti ghanesi al fine di creare strutture monumentali, intese come simboli di un’Africa libera. Nel 1963, il Dipartimento di Studi tropicali dell’AA fu invitato a stringere una partnership con la Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST) di Kumasi. Mentre Maxwell Fry aveva affermato che non si poteva imparare nulla dall’architettura tradizionale africana, la scuola – intesa come una ‘Bauhaus africana’ – mise in discussione i postulati coloniali e ispirò una nuova architettura che mirava a creare uno stile africano unico. Attraverso l’analisi di una dozzina di edifici significativi e una serie di interviste filmate rivolte ai partecipanti sopravvissuti a questo periodo di collaborazione tra l’AA e il KNUST, la mostra indaga i modi in cui il Modernismo tropicale fu adattato dalle nuove nazioni africane per promuovere le possibilità di un futuro panafricano. Progetto Speciale Padiglione delle Arti Applicate

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Curatori Christopher Turner (Curatore principale, V&A) Nana Biamah-Ofosu e Bushra Mohamed (AA) in collaborazione con The Architectural Association (AA), Londra e Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST), Kumasi 145


Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali


Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali Eventi Eventi Eventi Collaterali Collaterali Collaterali


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Standing Stones of Stenness, 2022. Fotografia digitale, 177 × 177 cm. Courtesy © Robb Mcrae

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Aaron McCarthy, Privy, 2016. Fotografia digitale, 216 × 197 cm. Courtesy © Aaron McCarthy

Mia Pinder-Hussein, Lichen, Abriachan Forest, 2022. Fotografia digitale, 446 × 334 cm. Courtesy © Neil McGuire ↓↓↓

Biennale Architettura 2023


Scotland + Venice

La nostra esistenza si fonda su una stretta relazione con i paesaggi che ci sostengono, ma la nostra visione del mondo naturale è fragile. In che modo un rapporto più diretto tra territorio e linguaggio potrebbe aiutare l’architettura a essere maggiormente in sintonia con l’ambiente in cui opera? I nostri paesaggi veicolano costantemente informazioni, se scegliamo di vederle e ascoltarle. Recuperando il dialogo con la terra, come possiamo valorizzare lo scambio rispetto all’estrazione e l’uguaglianza rispetto al predominio? Come possiamo instaurare una relazione più equa con la terra? Mettendo in luce culture e lingue che hanno una profonda affinità con i paesaggi della Scozia, A Fragile Correspondence esplora prospettive alternative e nuovi approcci alle sfide dell’emergenza climatica mondiale. Dalle foreste intorno a Loch Ness, alle coste dell’arcipelago delle Orcadi e ai resti industriali delle acciaierie di Ravenscraig, il progetto ci conduce in un viaggio attraverso tre paesaggi scozzesi: le Highlands, le isole e le Lowlands. Scrittori, artisti e architetti legati a questi paesaggi esplorano tematiche fortemente radicate nel luogo ma di rilevanza globale per le questioni culturali, ecologiche e climatiche che stiamo affrontando. Il linguaggio è un elemento potente e plasma il modo in cui percepiamo il mondo circostante. Attraverso queste esplorazioni creative e proponendo un nuovo lessico di termini e definizioni, possiamo iniziare a immaginare modi alternativi per fare le cose? Siamo in grado di vedere il potenziale di un futuro che lavora in simbiosi con la terra invece che limitarsi a sfruttarla? Questo progetto nasce da una collaborazione tra Architecture Fringe, la rivista -ism e /other. Il loro approccio curatoriale si basa sulla comprensione e sulla valorizzazione delle diverse sfumature culturali, dell’esperienza vissuta e su una lettura attenta dei contesti sociali, politici e ambientali. — Architecture Fringe, -ism, e /other Eventi Collaterali

A Fragile Correspondence Scotland + Venice

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Curatori Architecture Fringe -ism /other Partecipanti Dele Adeyemo Donna Heddle Aaron McCarthy Frank McElhinney Mairi McFadyen Hamshya Rajkumar Raghnaid Sandilands Amanda Thomson

Collaborazioni Simon Forsythe per Lateral North Ann Louise Kieran per North Lanarkshire Council Progetto Architecture Fringe -ism /other Coordinamento di progetto Architecture and Design Scotland Regia Simon Forsythe Produzione e organizzazione tecnica Alberto Lago Nick Millar Stampa, PR e comunicazione digitale Architecture and Design Scotland The Corner Shop Il progetto è stato commissionato dal partenariato Scotland + Venice (Creative Scotland, British Council Scotland, National Galleries of Scotland, Architecture and Design Scotland, V&A Dundee e lo Scottish Government) Sito web www.scotlandandvenice.com 149


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Eva Serrats, Following the Fish – ‘Manteros’ in the Barcelona subway lobby, 2022. Courtesy © Eva Serrats Eva Serrats, Following the Fish – Drawing session at the Top Manta workshop, 2023. Courtesy © Eva Serrats

Biennale Architettura 2023


Catalonia in Venice_Following the Fish Institut Ramon Llull Lo studio Leve e Top Manta hanno unito le proprie forze con la volontà condivisa di mettere in luce spazi possibili delle realtà africane in Europa. Una comunità barcellonese di origine senegalese, un’Africa che viene da lontano, creata dai venditori ambulanti informali, i manteros. Stigmatizzati dal razzismo istituzionale, sono costretti a guadagnarsi da vivere vendendo vestiti o accessori disposti su teli (manta in spagnolo) stesi a terra per le strade della città. Nel 2015 hanno fondato il Sindicato Popular de Vendedores Ambulantes e nel 2017 il progetto Top Manta, che realizza creazioni di moda basandosi su principi etici. Questo incontro fra progettazione e diaspora africana ha dato vita ad architetture e storie alternative a quelle dominanti, sollecitandoci a pensare la città in altri modi. Following the Fish vuole essere la prova generale di questo lavoro congiunto. Il pesce diventa un narratore del percorso di vita dei manteros. È il pesce che l’Europa preleva in modo massivo lungo le coste dell’Africa occidentale per nutrire i salmoni allevati al nord e sottraendo così il cibo alle comunità locali. È il pesce che solca le correnti della diaspora causata da tale spoliazione, di coloro che arrivano a Barcellona e scoprono una vita cittadina ostile che perseguita chi non ha altra scelta al di fuori della manta. Ma nonostante queste dure condizioni, i manteros sono stati in grado, attraverso le loro lotte politiche e creative, di suggerire modi di vivere alternativi, di riparare ciò che è venuto a mancare nelle città che (non) li hanno accolti. È qui che il progetto, invitando all’azione gli studenti di architettura, diventa un ‘laboratorio del futuro’. Uno spazio di riparazione che vuole individuare le effettive opportunità d’azione in condizioni reali. Attraverso lo sguardo delle comunità migranti sui territori europei in cui giungono, Following the Fish intende dare una nuova interpretazione ai luoghi in cui si fa l’architettura e al ruolo dell’architetto. Se questa disciplina intende partecipare ai cambiamenti della nostra epoca, deve avviare pratiche creative collaborative, superare i condizionamenti delle differenze aprioristiche e collocarsi nei territori del riconoscimento reciproco e delle lotte condivise. Un lavoro congiunto che porti l’architettura a uscire dai ‘propri spazi specifici’ e a interrogarsi sulle capacità trasformatrici delle sue pratiche. Catalonia in Venice vi aspetta con le sue storie da svelare, narrate da manteros, sindacalisti e studenti. — Leve – Eva Serrats, Francesc Pla, Daniel Cid Eventi Collaterali

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Curatori Leve – Eva Serrats, Francesc Pla, Daniel Cid Partecipante Top Manta Progetto di allestimento Leve Projects Progetto grafico dell’allestimento David Torrents / Taller Torrents Produzione dell’allestimento Top Manta Taller Torrents Jacqueline Molnár Progetto di identità visiva Font & Pont & Emerson Produzione audiovisiva Nebraska Produccions Coordinamento Pilar Cruz

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Collaborazioni BAU-UVic, ETSAB-UPC, ETSAV-UPC, ETSA-URV, Arch Urban Engr-POLIMI, Arch -Lund Univ, WSA-University of Southampton, Pla de Barris (Barcelona City Council) Con il supporto di Architects’ Association of Catalonia (COAC) LAMP La Capell L’Institut Ramon Llull è un consorzio formato dal Governo della Catalogna, dal Governo delle Isole Baleari e dal Comune di Barcellona. Siti web www.fish.llull.cat www.llull.cat 151


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Ahmed El Desoky, Staying Cool Together: Social Adaptation to Extreme Heat in Cairo Desert Cities, 2020. Photo © Collection Ahmed ElDesoky Ceren Sezer, When Science Meets Art For Climate Action at University Campuses, IDEA League Summer School © Ceren Sezer

N. Joubert, L. Malan, W. Wright, S. Celliers, A. Philpott, Out of Time, 2022. Presentato per il concorso cinematografico Earth Studies: What happens if there is no more. Department of Architecture, University of Pretoria © Pretoria ↓↓↓

Biennale Architettura 2023


Climate Wunderkammer

RWTH Aachen University Il cambiamento climatico e il conseguente degrado ecologico stanno creando un mondo sconosciuto alle attuali generazioni, che richiede una prospettiva improntata alla resilienza e alla speranza se vogliamo affrontare le sfide che ci attendono. La prima di queste è trovare il modo di rispondere alle minacce immediate provocate da catastrofi specifiche e prevedibili; la seconda è un adeguamento più proattivo dell’ambiente costruito attraverso misure quali la diversità e l’adattabilità a sfide ora sconosciute; la terza e più complessa è quella di trasformare il nostro modo di essere e agire per creare un mondo migliore a partire dalle ceneri del vecchio. Queste tre sfide sono alla base dei temi attorno ai quali abbiamo strutturato il progetto. La nostra installazione Climate Wunderkammer mira a immergerci in un’esperienza multisensoriale dell’impatto causato dal cambiamento climatico, condividendo al contempo soluzioni pratiche per affrontarlo e adattarci a esso. Il progetto propone una raccolta di narrazioni del nostro pianeta attraverso disegni, video e registrazioni vocali, una Wunderkammer di messaggi in bottiglia da aprire e scoprire. In ogni storia che descrive la minaccia e l’impatto del cambiamento climatico, presentiamo risposte ipotetiche per adattarci o affrontare la nuova condizione al fine di ispirare i luoghi che in futuro affronteranno tendenze climatiche simili. Crediamo che il clima non abbia confini e che nessuno possa risolvere questo problema globale da solo su scala locale. Questo archivio di narrazioni rappresenterà il primo passo verso la creazione di una piattaforma globale per la condivisione delle conoscenze e dell’apprendimento reciproco, in particolare per imparare dai luoghi più fragili alle prese con l’impatto del cambiamento climatico. Nell’ambito della Biennale Architettura, Climate Wunderkammer presenta anche Climate Roundtables (Tavole rotonde sul clima) e Atlas of Hope Conference (Conferenza su un atlante della speranza). Le tavole rotonde sono dialoghi ibridi promossi dalle istituzioni coinvolte in cui i vari partecipanti condividono e riflettono su narrazioni e risposte, adattamento e trasformazione. La conferenza è una piattaforma per la condivisione della conoscenza tra accademici, professionisti e studenti di tutto il mondo, invitati a collaborare allo sviluppo di narrazioni di speranza attraverso l’ideazione di possibili azioni e soluzioni. — Eugenio Morello, Ceren Sezer, Chrisna du Plessis, Christa Reicher Eventi Collaterali

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Curatori Christa Reicher Ceren Sezer Eugenio Morello Francesco Musco Partecipanti Mohamed Assem Cem Ataman Monica Billger Carlo Federico Dall’Omo Andy van den Dobbelsteen Chrisna du Plessis Jan Hugo International Union of Architects Israa Mahmoud Vittorio Negretto Daniele Santucci Maram Tawil Liane Thuvander

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Grafica, installazione e progettazione dell’esperienza PLAM Creative Studio Progettazione del movimento Francesco Ulian Progettazione degli archivi digitali Tan Zhi Sheng Bige Tuncer Con il supporto di Politecnico di Milano Università IUAV, Venezia Università partecipanti RWTH Aachen University Politecnico di Milano Università IUAV, Venezia Delft University of Technology Chalmers University of Technology Singapore University of Technology and Design University of Pretoria German Jordanian University Alexandria University International Union of Architects Sito web www.climatewunderkammer.org 153


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Department of Architecture, Tunghai University, Landscape Document (Sunshade), 2023. Courtesy National Taiwan Museum of Fine Arts Tsung-Yen HSIEH, Yi-Chien LEE, Exhibition space, 2023. Courtesy National Taiwan Museum of Fine Arts

Biennale Architettura 2023


Diachronic Apparatuses of Taiwan Architecture as on-going details within landscape National Taiwan Museum of Fine Arts Lo sviluppo della tecnologia ha portato con sé una fiducia ottimistica che procede spedita, senza alcuna nostalgia. Tuttavia, dopo anni di ottimismo, stiamo realizzando che il futuro non è incentrato unicamente sul movimento dell’avanguardia progressista. Le forme costruite sono ingabbiate in una scatola di cemento, prigioniere di un inconsapevole pensiero lineare e di una cieca adesione alle norme. Le risposte appropriate al sistema ambientale sono ridotte a mere considerazioni numeriche. Dobbiamo fare una deviazione e prestare attenzione al contesto lasciato indietro nel nostro incedere sicuro. Il progetto promuove il dialogo tra il terreno artificiale e quello reale. Se nella preistoria l’umanità trattava la terra con il dovuto rispetto, acquisita una certa dimestichezza con gli strumenti più sofisticati ha iniziato a chiedere qualcosa di più della sopravvivenza o del comfort: la terra diventa la sua fonte di creatività. Il progetto presenta un inventario dei paesaggi di Taiwan a diverse latitudini e altitudini. Le zone climatiche del mondo si estendono lungo una distanza di diecimila chilometri e spaziano dalle zone glaciali a quelle tropicali. Quando l’uomo utilizza le proprie conoscenze e la tecnologia nel tentativo di addomesticare l’ambiente, il processo di adattamento ad ambienti specifici dà vita a numerose forme edilizie. L’oscillazione di altezza nella topografia del paesaggio taiwanese, che spazia dalla zona tropicale delle terre basse alle duecentosessanta montagne che superano tremila metri di altezza nelle zone più fredde, è altrettanto ampia. La variegata topografia e i processi evolutivi hanno dato vita a una ricca biodiversità e a numerose forme floreali e silvicole. Nel paesaggio taiwanese, l’estensione che va dalla frontiera costiera fino alla cima della Montagna di Giada presenta quattordici zone climatiche nel raggio di un centinaio di chilometri. Pertanto, le analisi sezionali dell’isola potrebbero fornire indizi nella ricerca di nuove architetture. E tale è anche il risultato che questo progetto si prefigge di presentare. — Sheng-Chieh KO, Meng-Tsun SU Eventi Collaterali

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Curatore Wei TSENG Department of Architecture, Tunghai University Co-Curatori Sheng-Chieh KO Jeong-Der HO Meng-Tsun SU Partecipanti Department of Architecture, Tunghai University: Wei TSENG + Ming-Hao HSIEH, Ding-Che MA, Yung-Yu CHENG, Jeong-Der HO + Yong-Xuan LI, Han ZHENG, Huan-Lun CHEN, Sheng-Chieh KO + Ciao-Ming SHU, Yun-Hsi WU, Ci-Jhen LAI, Cai-Hui LIN, En-Yu JIAN, Tzu-Ching CHEN, Hsuan-Ting CHEN, Yan-Jun LU Tsung-Yen HSIEH Department of Architecture, National Cheng Kung University: Cheng-Luen HSUEH + YenChih CHEN, Ying-Tse WU, Ting-Ta HO, Wei-Lun CHEN, LiSiang HUANG, Pak-Hei WONG Department of Architecture, National Cheng Kung University: Chueh-Chih GUU + Tzu-Yu HUANG School of Architecture, Feng Chia University: Po-Jen CHENG + Yu-Wei KUO, Jr-Jiun WANG, Yi-Hu CHEN

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Progettazione dello spazio espositivo Tsung-Yen HSIEH Yi-Chien LEE Consulente di struttura Ming-Chang LAI Con il supporto di Department of Music, Tunghai University Department of Architecture, Tunghai University Department of Architecture, National Cheng Kung University Department of Architecture, Chung Yuan Christian University Department of Architecture, Tamkang University School of Architecture, Feng Chia University. Siti web www.ntmofa.gov.tw www.arch.thu.edu.tw 155


Pia Montero, Three Places to Inhabit the Mountain Range, 2020. © Fundació Mies van der Rohe

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Matthew Gregorowski, Deplorable Framework, 2018. © Fundació Mies van der Rohe

Julio Gotor, Perdido (Lost) P.R.U.S. of Madrid, 2018. © Fundació Mies van der Rohe ↓↓ ↓

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Biennale Architettura 2023


EUmies Awards. Young Talent 2023. The Laboratory of Education

Fundació Mies van der Rohe

Young Talent 2023 vuole promuovere il talento di architetti, urbanisti e paesaggisti neolaureati che in futuro saranno i responsabili della trasformazione del nostro ambiente. Young Talent nasce dalla curiosità e dall’interesse per le fasi iniziali dello sviluppo di questi studenti e dal desiderio di sostenerli al momento del loro ingresso nel mondo professionale. Nell’aprile 2023, una giuria internazionale ha scelto quattro vincitori tra dodici finalisti; ha inoltre selezionato un gruppo di opere per illustrare diversi modi di lavorare, progettare e comunicare l’architettura. La mostra organizzata dalla Fundació Mies van der Rohe espone i risultati di questo processo, presentando modelli, disegni e video dei partecipanti selezionati, dei finalisti e dei vincitori. Young Talent 2023 diventa una piattaforma per lo scambio di conoscenze sul modo in cui tutti apprendiamo l’architettura e guardiamo al futuro: The Laboratory of Education. Il fatto che partecipino numerose e diverse scuole di architettura, e che anche rappresentanti di altri settori, come politici e aziende legate all’architettura, sostengano il progetto, rende possibile organizzare un evento con giovani architetti e altre parti interessate. Eventi Collaterali

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Curatori Ivan Blasi Anna Sala Giralt Partecipanti Gli autori dei progetti selezionati sono stati premiati dai membri della giuria Young Talent nell’aprile 2023. Questo gruppo di progetti proviene da Università europee e di Paesi ospiti

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Collaborazione principale Creative Europe – European Commission Principali collaborazioni istituzionali Architects’ Council of Europe European Association for Architectural Education Collaborazione strategica World Architects Collaborazioni Jung Jansen Regent Collaborazione in sede European Cultural Centre Con il supporto di USM Alma Sito web https://eumiesawards.com 157


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Pattinatori in Place de Brouckère Bruxelles, 2022. Courtesy New European Bauhaus

Biennale Architettura 2023


Radical yet possible future space solutions New European Bauhaus, Joint Research Centre of the European Commission Il New European Bauhaus (NEB) è un movimento lanciato dalla Commissione europea nel 2020. L’obiettivo è quello di dimostrare come arte e cultura siano fattori che consentono una risposta collettiva alle sfide ambientali. Come la Bauhaus originale, NEB è concepito come luogo di nuove modalità di sperimentazione creativa. In linea con la sua missione, questa conferenza NEB di due giorni è pensata come un radicale ‘laboratorio del futuro’ per consentire a relatori, studenti e visitatori della Biennale Architettura di sperimentare, scoprire e progettare il futuro con il potere della loro mente. Forniamo uno spazio per riflettere sulle drastiche azioni umane che portano a un migliore utilizzo degli spazi e delle risorse. Oggi, dopo secoli di avidi sfruttamenti, il delicato equilibrio che un tempo esisteva tra uomo e natura è sull’orlo di un terribile disastro. Ogni giorno ci troviamo sempre più esposti a sfide estreme. Tuttavia, se i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse e i mutamenti demografici minacciano i fondamentali bisogni umani, al contempo spingono gli individui e intere società a osare ed esplorare nuovi modi di vivere, a superare la mentalità secondo cui il futuro dell’umanità è limitato da soluzioni già esistenti. La discussione potrebbe quindi toccare temi come le nuove fonti di reddito, la sharing economy o le ‘città per le cose/persone’, il concetto urbano della ‘città di quindici minuti’, l’impatto sociale e ambientale dei centri dati e logistici che popolano le aree rurali di tutto il mondo e molto altro ancora. Inoltre, la conferenza esplora quegli sforzi umani, inesistenti ma necessari, tra cui la decarbonizzazione dei nostri desideri o la decolonizzazione della natura dai bisogni umani. L’architettura seguirà, come ha sempre fatto, modi di pensare innovativi e rifletterà i cambiamenti tecnologici e sociali generati dalla mente umana di fronte a nuove sfide. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea e promotrice del New European Bauhaus, lancia questo entusiasmante esperimento, La Biennale-NEB, e apre i dibattiti interdisciplinari. Eventi Collaterali

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Curatori Francesca Bria Hans Joachim Schellnhuber Wael al Awar Partecipanti Shigeru Ban, Francesca Bria, Eszter Dávida, Thïemo Heilbron, Bjarke Ingels, Michela Magas, Pia Maier Schriever, Alexandra Mitsotaki, Orla Murphy, Hilda Flavia Nakabuye, Sheela Patel, Luther Quenum, Hans Joachim Schellnhuber, Petr Skvaril, José Pedro Sousa, Hubert Trammer, Lorenza Baronecelli, Jose Luis de Vicente, Giulia Foscari, Eva Franch i Gilabert, Clara Latini, Anette Hafner, Rem Koolhaas, Stefano Mancuso, Edgar Pieterse, Xu Tiantian, Markus Reymann, Ursula von der Leyen, Elisa Ferreira, Lesley Lokko, Luigi Brugnaro, Benno Albrecht, Michael Gorman, Kunle Adyani, Prodomos Tsiavos, Aric Chen, Stephan Petermann, Christoph de Jaeger, Benedetta Tagliabue, Gerfried Stocker, Carlo Barbante

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Collaborazioni The European Commission Università IUAV, Venezia Sito web https://new-european-bauhaus. europa.eu/neb-venicebiennale-architecture-2023 159


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New York Institute of Technology, Collective Artifact, 2023. © NYIT – Students as Researchers Team

Biennale Architettura 2023


Students as Researchers: Creative Practice and University Education New York Institute of Technology, School of Architecture and Design Viviamo in una congiuntura di crisi simultanee che influenzano i paradigmi correnti, e pertanto, abbiamo l’urgenza di agire attraverso scenari sociali, ambientali, politici ed economici. Inoltre, le crisi correlate suggeriscono la necessità di un’estensione della tassonomia dell’architettura verso pratiche più responsabili che favoriscano l’impegno civico. L’istruzione universitaria rappresenta un’opportunità per sviluppare visioni radicali che possono sfidare la convenzionalità delle società orientate al mercato. Il talento e la freschezza degli studenti possono contribuire positivamente ad approcci attivi e trasformativi che riconoscano la necessità di convertire il metabolismo obsoleto della città da consumatore a generatore di energia senza compromettere il benessere delle nostre comunità. Attraverso lo scambio di idee critiche con gli studenti, l’insegnamento può diventare uno strumento di ricerca se alimentato da modelli pedagogici bidirezionali in cui docente e studente possono collaborare reciprocamente. Global Mass – Living Mass. Beyond Artificiality: Living Materials è l’installazione composita e multimediale sviluppata attraverso i lavori realizzati dagli studenti delle università partecipanti. La produzione collettiva dell’artefatto e l’intero processo creativo e realizzativo sono ricomposti nella mostra intitolata Dialoghi Universitari che incarna le pratiche e i processi creativi sviluppati in contesti globali. L’Evento Collaterale ospita la sezione espositiva virtuale Knowledge Transfer all’interno delle piattaforme CITYX VENICE e METROTOPIA METAVERSE. Le piattaforme presentano conferenze online, tavole rotonde e workshop che riuniscono i principali architetti, ricercatori ed educatori per mostrare l’intero spettro dell’innovazione del design contemporaneo, rispondendo a modelli globali dirompenti e tecnologie che stanno trasformando la pratica architettonica. Eventi Collaterali

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Curatrice Maria Perbellini Partecipanti Pontifical Catholic University of Rio de Janeiro, Brasile; Universidad Iberoamericana, Repubblica Dominicana; Luleå University of Technology, Svezia; University of Leeds, GB; Chandigarh University, India; University of Lincoln, GB; Politecnico di Milano, Italia; Sapienza Università di Roma, Italia; Politecnico di Torino, Italia; Birmingham City University, GB; Università della Basilicata, Italia; Gebze Teknik Üniversitesi, Turchia; Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Italia; FHWien, Austria; Università di Bologna, Italia; Università di Cagliari, Italia; Università di Sassari, Italia; Università di Genova, Italia; The Institute of Contemporary Art of Singapore, LASALLE, Singapore, MACCA Campus Peccioli, Italia CITYX VENICE e METROTOPIA METAVERSE di Tom Kovac, Patrik Schumacher e Daniela Ghertovici con il team curatoriale NYIT: Architectural Association, GB; Bartlett UCL, GB; RMIT, Australia;

Innsbruck University, Austria; IE School of Architecture & Design, Spagna; SCI-Arc, USA; Harvard GSD, USA; MIT, USA; UPenn Weitzman, USA; Texas A&M, USA; IAAC – Institute for Advanced Architecture of Catalonia, Spagna; PRATT Institute, USA; The NEW Centre, USA; New York Institute of Technology, USA; Tongji University, Repubblica Popolare Cinese; Virginia Tech, USA; USC, Los Angeles, USA; Tsinghua University, Repubblica Popolare Cinese; Taubman College, USA; Science Gallery Venezia, Italia; MADA, Australia; Curtin University, Australia; Anyone Corp / Log, USA; MAD, OMA, Morphosis, LAVA, Contemporary Architecture Practice, Archi-Union Architects, NFTism, UNStudio — — — — —

Curatrici aggiunte Marcella Del Signore Sandra Manninger Athina Papadopoulou In collaborazione con Comune di Peccioli, Italia IDC Foundation - USA Sito web www.nyit.edu/architecture 161


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Serge Bloch, 2023

Biennale Architettura 2023


CA’ASI

Tracé Bleu. Que faire en ce lieu, à moins que l’on y songe ?

Di fronte alle immense avversità e alle grandi sfide ambientali, quali armi abbiamo per non lasciarci travolgere dalla frenesia di soluzioni affrettate o di profezie auto-avveranti? Come considerare ciò che ci circonda non più come risorse schiavizzate dell’uomo, ma come un immenso giacimento creativo? Come possiamo mobilitare gli attori della trasformazione ecologica e coinvolgere nuovi immaginari? Tracé Bleu è allo stesso tempo un approccio, un metodo e un’indagine, è un invito a trasformare, stimolare ed estendere queste domande con il gesto. Questa mostra propone un’immersione sensibile e attiva per seguire il Tracé Bleu, un invito collettivo a riflettere sui cantieri del secolo. I visitatori possono seguire un’opera architettonica dell’artista olandese Krijn de Koning, che li conduce nelle diverse aree tematiche. I videoartisti Jonathas de Andrade e Joanie Lemercier mostrano l’opposizione significativa tra una relazione coscienziosa, rispettosa della natura, e la brutalità di una macchina estrattiva. La mostra si basa anche su realizzazioni concrete, dei ‘frammenti’ messi in immagine dall’illustratore francese Serge Bloch: una moltitudine di elementi di progetti urbani e architettonici, realizzati o immaginati, che presentano usi circolari e rigenerativi delle risorse. Infine, al piano superiore, i visitatori sono invitati a prendere parte al Tracé Bleu offrendo i loro contributi, i loro songe, pensieri e sogni che saranno raccolti e presentati nell’ambito delle prossime destinazioni della mostra. Eventi Collaterali

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Curatori Architecturestudio Centquatre-Paris Partecipanti Krijn de Koning Joanie Lemercier Jonathas de Andrade Serge Bloch

Collaborazioni di Architecturestudio Martin Robain, Rodo Tisnado, Jean-François Bonne, Marc Lehmann, René-Henri Arnaud, Laurent-Marc Fischer, Roueïda Ayache, Marie-Caroline Piot, Mariano Efron, Widson Monteiro, Alain Bretagnolle, Romain Boursier, Gaspard Joly, Marion Moustey Collaborazioni di Centquatre-Paris José-Manuel Gonçalvès, Martin Colomer-Diez, Milena Landré, Elise Labernède Sito web www.ca-asi.com 163


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Unsettled Ground, 2022. Photo Justin Hui

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Studio di costruzione modulare integrata. © Arup

Transformative Hong Kong padiglione Moving Bamboo, 2023. Courtesy Hiroyuki Shinohara, Tung Hoi Peter Chan ↓↓↓

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Biennale Architettura 2023


Transformative Hong Kong The Hong Kong Institute of Architects Biennale Foundation and Hong Kong Arts Development Council

Hong Kong è sempre in movimento e anche dopo le importanti metamorfosi urbane degli ultimi sessant’anni, con una crescita demografica quasi triplicata, la città è sull’orlo di un’ennesima trasformazione, con vari progetti a scala territoriale in fase di pianificazione o realizzazione e nuove politiche a guidare la fase successiva dello sviluppo. L’ambiente costruito e le esigenze sociali sempre più complesse richiedono approcci sfaccettati; le pratiche architettoniche nell’era contemporanea sono sempre più multidisciplinari e coprono una vasta gamma di servizi professionali in cui la cooperazione diventa parte integrante del processo. Così come la quarta rivoluzione industriale sta avendo un impatto esteso e trasforma il tessuto della nostra società, anche molte istituzioni e comunità creative di Hong Kong stanno evolvendo e lavorando assieme, utilizzando la città come un ‘laboratorio + workshop’ in cui collaborare e creare soluzioni innovative per affrontare le sfide del futuro. A definire la cornice della mostra ci sono tre scale contrastanti: le trasformazioni territoriali, quelle architettoniche e le trasformazioni dello spazio pubblico, ognuna con le proprie prospettive e intenzioni. La complessità e la profondità dei temi esaminati si estende ben oltre l’ambito di questa mostra – e una fase di transizione così fluida è spesso difficile da fissare o catturare – tuttavia essa introduce una visione originale di alcune questioni urbane critiche che Hong Kong dovrà affrontare nel prossimo futuro attraverso rappresentazioni a tecnica mista e saggi visivi; istantanee di questo momento di trasformazione nella nostra città con temi come il rapporto di Hong Kong con la Cina, la sostenibilità, il cambiamento climatico, la tecnologia e la gestione dell’energia e delle risorse. Eventi Collaterali

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Curatori Sarah Lee Hendrik Tieben Yutaka Yano Partecipanti Arup Building Narrative con Kris Provoost Photography CUHK Research Lab HIR Studio Justin Hui Tobias Klein e Pok Yin Victor Leung Lead8 The MTR Corporation Rocco Design Architects Associates Studio Ryte Hiroyuki Shinohara e Tung Hoi Peter Chan

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In collaborazione con The Hong Kong Institute of Architects Coordinamento a Venezia PDG Arte Communications Con il supporto di Create Hong Kong del governo della regione amministrativa speciale di Hong Kong Siti web www.hkia.net www.hkadc.org.hk 2023.vbexhibitions.hk 165


Indice dei partecipanti 2023 Partecipazioni Nazionali ed Eventi Collaterali

Albania 6 — Martin Gjoleka Vlorë, Albania, 1992. Vive e lavora a Karlsruhe, Germania — Era Merkuri Tirana, Albania, 1993. Vive e lavora a Karlsruhe, Germania — Ani Marku Lushnjë, Albania, 1993. Vive e lavora a Tirana, Albania — Geraldo Prendushi Vive e lavora a Tirana, Albania Argentina 8 — Diego Arraigada Arquitectos Rosario, Argentina Australia 10 — Ali Gumillya Baker Kaurna Yarta (Adelaide), Australia, 1975. Vive e lavora a Kaurna Yarta, Australia — Anthony Coupe Preston, Regno Unito, 1963. Vive e lavora a Kaurna Yarta (Adelaide), Australia — Emily Paech Peramangk e Kaurna Yarta (Stirling), Australia, 1986. Vive e lavora a Kaurna Yarta (Adelaide), Australia — Julian Worrall Kaurna Yarta (Adelaide), Australia, 1969. Vive e lavora a Lutruwita (Tasmania), Australia — Sarah Rhodes Eora (Sydney), Australia, 1974. Vive e lavora a Lutruwita (Tasmania), Australia

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Austria 12 — Hermann Czech Vienna, Austria, 1936. Vive e lavora a Vienna, Austria. Kingdom of Bahrain 14 — Maryam Aljomairi Manama, Bahrain, 1995. Vive e lavora a Cambridge, MA, USA — Latifa Alkhayat Muharraq, Bahrain, 1996. Vive e lavora a Cambridge, MA, USA Belgio 16 — Vinciane Despret Bruxelles, Belgio, 1959. Vive e lavora a Liegi, Belgio Bento Architecture: — Corentin Dalon Sainte-Foy-lès-Lyon, Francia, 1993. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio — Florian Mahieu Saint-Ghislain, Belgio, 1993. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio — Charles Palliez Lille, Francia, 1993. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio — Corentin Mahieu Saint-Ghislain, Belgio, 1988. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio — Juliette Salme Liegi, Belgio, 1993. Vive e lavora a Liegi, Belgio — Corentin Mullender Bruxelles, Belgio, 1991. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio

Brasile 18 — Ana Flávia Magalhães Pinto Planaltina, Brasile, 1979. Vive e lavora a Brasília, Brasile — Ayrson Heráclito Macaúbas, Brasile, 1968. Vive e lavora a Salvador e a Cachoeira, Brasile — Day Rodrigues Santos, Brasile, 1982. Vive a Città del Messico, Messico, e lavora a Città del Messico, Messico e a San Paolo, Brasile — Fissura (Diego Crux, João Simões e Juno B.) Brasile — Ilê Axé Iyá Nassô Oká (Casa Branca do Engenho Velho) Salvador, Brasile — Juliana Vicente Campinas, Brasile, 1984. Vive e lavora a San Paolo, Brasile, e a Rio de Janeiro, Brasile — Leandro Vieira Rio de Janeiro, Brasile, 1983. Vive e lavora a Rio de Janeiro, Brasile — Mbya-Guarani People Vivono e lavorano negli antichi territori guarani, nel sud del Brasile — Tecelãs do Alaká (terreiro community Ilê Axé Opô Afonjá) Salvador, Brasile — Thierry Oussou Allada, Benin, 1988. Vive e lavora ad Amsterdam, Paesi Bassi — Vivono e lavorano negli antichi territori Tukano, Arawak, e Maku, Amazzonia occidentale, Brasile — Vídeo nas Aldeias Lavora in Brasile — Vilma Patrícia Santana Silva Nazaré, Brasile, 1983. Vive e lavora a Salvador, Brasile

Bulgaria 20 — Boris Tikvarski Sofia, Bulgaria, 1986. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Mariya Gyaurova Sofia, Bulgaria, 1987. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Bozhidara Valkova Sofia, Bulgaria, 1986. Vive e lavora a Sofia, Bulgaria — Mike Fritsch Lussemburgo, 1992. Vive e lavora a Parigi, Francia — Kostadin Kokalanov Sofia, Bulgaria, 1986. Vive e lavora a Sofia, Bulgaria — Alexander Dumarey Belgio, 1985. Vive e lavora a Ghent, Belgio — Mihail Novakov Sofia, Bulgaria, 1987. Vive e lavora a Sofia, Bulgaria — Valentin Bansac Francia, 1991. Vive e lavora a Parigi, Francia — Alice Loumeau Francia, 1993. Vive e lavora a Parigi, Francia — Luca Moscelli Taranto, Italia, 1983. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Antonina Ilieva Plovdiv, Bulgaria, 1980. Vive e lavora a Sofia, Bulgaria — Antonina Tritakova Varna, Bulgaria, 1991. Vive e lavora a Karpachevo, Bulgaria — Georgi Sabev Yambol, Bulgaria, 1992. Vive e lavora a Karpachevo, Bulgaria Canada 22 — Architects Against Housing Alienation (AAHA) Canada Biennale Architettura 2023


Cile 24 — Cristóbal Molina Baeza Santiago, Cile, 1976. Vive e lavora a Santiago, Cile — Gonzalo Carrasco Purull Viña del Mar, Cile, 1976. Vive e lavora a Santiago, Cile — Alejandro Beals Vaccaro Santiago, Cile, 1976. Vive e lavora a Santiago, Cile — Loreto Lyon Nuño Santiago, Cile, 1979. Vive e lavora a Santiago, Cile — Macarena Calvo Tagle Los Angeles, USA, 1975. Vive e lavora a Santiago, Cile — Cristóbal Elgueta Marinovic Concepción, Cile, 1975. Vive e lavora a Santiago, Cile — Belén Salvatierra Meza Santiago, Cile, 1993. Vive e lavora a Santiago, Cile Repubblica Popolare Cinese 26 — Ruan Xing Kunming, Repubblica Popolare Cinese, 1965. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Hai’ao Jilin, Repubblica Popolare Cinese, 1981. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Bo Hongtao Tianjin, Repubblica Popolare Cinese, 1974. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Cai Chunyan Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese, 1980. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Liu Tao Shandong, Repubblica Popolare Cinese, 1976. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Cai Yongjie Sichuan, Repubblica Popolare Cinese, 1964. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese Indice dei partecipanti

— Xu Kai Fujian, Repubblica Popolare Cinese, 1977. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Dong Gong Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Du Chunlan Qinghai, Repubblica Popolare Cinese, 1965. Vive e lavora a Chongqing, Repubblica Popolare Cinese — Fan Beilei Anhui, Repubblica Popolare Cinese, 1983. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Kong Rui Chongqing, Repubblica Popolare Cinese, 1982. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Xue Zhe Shannxi, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Guo Yuchen Guangdong, Repubblica Popolare Cinese, 1990. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Yang Siqi Hunan, Repubblica Popolare Cinese, 1992. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhan Beidi Fujian, Repubblica Popolare Cinese, 1991. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Jiang Boyuan Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1990. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Wang Jingwen Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1992. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese

— Yang Shuo Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1992. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — He Jianxiang Guangdong, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Guangzhou, Repubblica Popolare Cinese — Jiang Ying Guangxi, Repubblica Popolare Cinese, 1976. Vive e lavora a Guangzhou, Repubblica Popolare Cinese — He Mengjia Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1978. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Huang Huaqing Fujian, Repubblica Popolare Cinese, 1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Huang Yinwu Hubei, Repubblica Popolare Cinese, 1974. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Kong Yuhang Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1962. Vive e lavora a Tianjin, Repubblica Popolare Cinese — Yang Wei Tianjin, Repubblica Popolare Cinese, 1976. Vive e lavora a Tianjin, Repubblica Popolare Cinese — Li Danfeng Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1982. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhou Jianjia Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Li Xinggang Hebei, Repubblica Popolare Cinese, 1969. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Liu Doreen Heng Guangzhou, Repubblica Popolare Cinese, 1967. Vive e lavora a Shenzhen, Repubblica Popolare Cinese

— Liu Kenan Chongqing, Repubblica Popolare Cinese, 1979. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Xu Guangdong, Repubblica Popolare Cinese, 1978. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Liu Moyan Xinjiang, Repubblica Popolare Cinese,1985. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Su Peng Shandong, Repubblica Popolare Cinese,1983. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Ju Anqi Anhui, Repubblica Popolare Cinese, 1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Ying Shijiao Jiangxi, Repubblica Popolare Cinese,1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Li Yuanyuan Hebei, Repubblica Popolare Cinese,1994. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Song Jiawei Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese,1984. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Liu Yuyang Taiwan, Repubblica Popolare Cinese, 1969. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Long Ying Jilin, Repubblica Popolare Cinese, 1980. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Luo Jing Anhui, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Yu Borou Jilin, Repubblica Popolare Cinese, 1994. Vive e lavora a Boston, USA 167


— Ma Qingyun Xi’an, Repubblica Popolare Cinese, 1965. Vive e lavora a Shanghai, Shenzhen, Xi’an e Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Meng Fanhao Anhui, Repubblica Popolare Cinese, 1979. Vive e lavora a Hangzhou, Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese — Qian Shiyun Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1983. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Ruan Xing Kunming, Repubblica Popolare Cinese, 1965. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Yang Shandong, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Shui Yanfei Chongqing, Repubblica Popolare Cinese, 1981. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Song Yehao Shandong, Repubblica Popolare Cinese, 1970. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Sun Haode Shaanxi, Repubblica Popolare Cinese, 1990. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Student Team SJTU Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Tang Yu’en Chongqing, Repubblica Popolare Cinese, 1944. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Shen Xiaoming Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Cao Yongkang Hubei, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese 168

— Tong Ming Nanjing, Repubblica Popolare Cinese, 1968. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Ren Guang Anyang, Repubblica Popolare Cinese, 1990. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Guo Hongqu Tongliao, Repubblica Popolare Cinese, 1995. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Wang Dan Hangzhou, Zhe Jiang Province, Repubblica Popolare Cinese, 1985. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Li Zhibo Shunde, Guangdong, Repubblica Popolare Cinese, 1992. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, e Parigi, Francia Hunan, Repubblica Popolare Cinese, 1980. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Wang Xin Repubblica Popolare Cinese, 1976. Vive e lavora a Hangzhou, Repubblica Popolare Cinese — Sun Yu Repubblica Popolare Cinese, 1994. Vive e lavora a Hangzhou, Repubblica Popolare Cinese — Wang Yan Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1978. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Wang Zhuo’er Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese

— Wu Hongde Shandong, Repubblica Popolare Cinese, 1981. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Huo Jingyi Guangdong, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Du Qian Guangxi, Repubblica Popolare Cinese, 1986. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Rao Fujie Sichuan, Repubblica Popolare Cinese, 1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Wang Hao Guangxi, Repubblica Popolare Cinese, 1990. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Xu Xunjun Sichuan, Repubblica Popolare Cinese, 1971. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Xudong Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1984. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Pang Lei Shaanxi, Repubblica Popolare Cinese, 1983. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Yang Yongliang Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1980. Vive e lavora a New York, USA — Zhang Bin Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1968. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Hai’ao Jilin, Repubblica Popolare Cinese, 1981. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese

— Xu Hang Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1988. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Li Di Heilongjiang, Repubblica Popolare Cinese, 1987. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Jiajing Liaoning Province, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Jie Jinan, Repubblica Popolare Cinese, 1963. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Li Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1970. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhao Peng Shenyang, Repubblica Popolare Cinese, 1977. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Ye Yang Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1980. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Ming Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1968. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Zi Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1969. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Qin Shu Yunnan, Repubblica Popolare Cinese, 1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Su Ting Hunan, Repubblica Popolare Cinese, 1989. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese Biennale Architettura 2023


— Zhang Pengju Hebei, Repubblica Popolare Cinese, 1963. Vive e lavora a Hohhot, Repubblica Popolare Cinese — Zhang Tong Hangzhou, Repubblica Popolare Cinese, 1969. Vive e lavora a Nanjing, Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese — Aldo Aymonino Roma, Italia, 1953. Vive e lavora a Venezia, Italia — Zhang Yuxing Jiangsu, Repubblica Popolare Cinese, 1968. Vive e lavora a Shenzhen, Guangdong, Repubblica Popolare Cinese — Han Jing Hubei, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Shenzhen, Guangdong, Repubblica Popolare Cinese — Zheng Xiaodi Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1977. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhou Wei Heng Yang, Hu Nan Province, Repubblica Popolare Cinese,1987. Vive e lavora a Guangzhou e Changsha, Repubblica Popolare Cinese — Zhu Pei Pechino, Repubblica Popolare Cinese, 1962. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Zhu Xiaofeng Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1972. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhuang Shen Jiangsu Province, Repubblica Popolare Cinese,1971. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Ren Hao Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1971. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese Indice dei partecipanti

— Tang Yu Jiangsu Province, Repubblica Popolare Cinese, 1978. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhu Jie Shanghai, Repubblica Popolare Cinese, 1971. Vive e lavora a Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Zhuang Ziyu Hubei, Repubblica Popolare Cinese, 1983. Vive e lavora a Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Atelier Deshaus Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Arcplus Group - ECADI (East China Architectural Design & Research Institute Co./Ltd.) Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — Arcplus Group-Institute of Shanghai Architectural Design & Research (Co./Ltd.) Shanghai, Repubblica Popolare Cinese — CBC Building Centre Pechino, Repubblica Popolare Cinese — Chongqing Architectural Design Institute of Chongqing Design Group Chongqing, Repubblica Popolare Cinese — Shanghai Design Week Shanghai, Repubblica Popolare Cinese Croazia 28 — Mia Roth Zagabria, Croazia, 1974. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Tonči Čerina Spalato, Croazia, 1970. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Luka Fatović Zara, Croazia, 1988. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Vedran Kasap Zagabria, Croazia, 1977. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Ozana Ursić Spalato, Croazia, nel 1989. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Niko Mihaljević Spalato, Croazia, 1985. Vive e lavora a Zagabria, Croazia — Ivica Mitrović Spalato, Croazia, 1972. Vive e lavora a Spalato, Croazia

Repubblica di Cipro 30 — Petros Lapithis Nicosia, Cipro, 1965. Vive e lavora a Nicosia, Cipro — Lia Lapithi Nicosia, Cipro, 1963. Vive e lavora a Nicosia, Cipro — Nikos Kouroussis Nicosia, Cipro, 1937. Vive e lavora a Nicosia, Cipro — Ioanna Ioannou Xiari Larnaca, Cipro, 1980. Vive e lavora a Larnaca, Cipro — George Danos Nicosia, Cipro, 1970. Vive e lavora a Nicosia, Cipro — Colm Larkin Galway, Irlanda, 1980. Vive e lavora a Nicosia, Cipro Repubblica Ceca 32 — Helena Huber-Doudová Vive e lavora a Praga, Repubblica Ceca — Eliška Pomyjová Kladruby, Repubblica Ceca, 1992. Vive e lavora a Praga, Repubblica Ceca — David Neuhäusl Praga, Repubblica Ceca, 1988. Vive e lavora a Praga, Repubblica Ceca — Jan Netušil Praga, Repubblica Ceca, 1988. Vive e lavora a Praga, Repubblica Ceca Danimarca 34 — Josephine Michau Mulhouse, Francia, 1977. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — Christian Friedländer Copenaghen, Danimarca, 1967. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — Anna Aslaug Lund Copenaghen, Danimarca, 1983. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — Rikke Juul Gram Assentoft, Danimarca, 1968. Vive e lavora ad Aarhus, Danimarca — Peter Albrechtsen Copenaghen, Danimarca, 1983.Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca

— Iisa Eikaas Åbo, Finlandia, 1992. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — Katrina Wiberg Silkeborg, Danimarca, 1973. Vive e lavora ad Aarhus, Danimarca — David Garcia Barcellona, Spagna, 1970. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — Alexandra Wedderkopp Emelianov Aarhus, Danimarca, in 1989. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca — David Drachmann Copenaghen, Danimarca, 1973. Vive e lavora a Copenaghen, Danimarca Egitto 36 — Marina Tornatora Polistena, Italia, 1970. Vive e lavora a Reggio Calabria, Italia — Ottavio Amaro Melicucco, Italia, 1959. Vive e lavora a Reggio Calabria, Italia — Ahmed Sami Abd Elrahman Il Cairo, Egitto, 1980. Vive e lavora al Cairo, Egitto — Moataz Samir Il Cairo, Egitto, 1986. Vive e lavora al Cairo, Egitto — Ghada Farouk Il Cairo, Egitto, 1966. Vive e lavora al Cairo, Egitto Estonia 38 — Aet Ader Tallinn, Estonia, 1985. Vive e lavora a Tallinn, Estonia — Mari Möldre Tallinn, Estonia, 1992. Vive e lavora a Tallinn, Estonia — Arvi Anderson Rapla, Tallinn, Estonia, 1992. Vive e lavora a Tallinn, Estonia 169


Finlandia 40 — Arja Renell Oulu, Finlandia, 1975. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Antero Jokinen Helsinki, Finlandia, 1975. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Emmi Keskisarja Raisio, Finlandia, 1984. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Barbara Motta Udine, Italia, 1974. Vive e lavora a Udine, Italia — Eero Renell Kälviä, Finlandia, 1983. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Janne Teräsvirta Espoo, Finlandia, 1975. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia Georgia 44 — Gigi Shukakidze Tbilisi, Georgia, 1985. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Otar Nemsadze Tbilisi, Georgia, 1984. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Tinatin Gurgenidze Tbilisi, Georgia, 1983. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia, e Berlino, Germania — Giorgi Vardiashvili Tbilisi, Georgia, 1995. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Aleksi Soselia Tbilisi, Georgia, 1988. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Stefano Tornieri Arzignano, Italia, 1985. Vive e lavora a Venezia. — Tamar Janashia Tbilisi, Georgia, 1973. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Giorgi Kartvelishvili Tbilisi, Georgia, 2001. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Lado Kandashvili Tbilisi, Georgia, 2001. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Tato Kotetishvili Tbilisi, Georgia, 1987. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Giorgi Kolbaia Zugdidi, Georgia, 1993. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Mariam Elene Gomelauri Tbilisi, Georgia, 1999.Vive e lavora a Tbilisi, Georgia 170

— Elene Pasuri Tbilisi, Georgia, 1988. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Tikuna Adeishvili Tbilisi, Georgia, 2000. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Nodar Nozadze Borjomi, Georgia, 1989. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Gigi Butkhuzi Tbilisi, Georgia, 1989. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Andro Barbaqadze Mosca, Russia, 1986. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Arsen Kurdgelashvili Tbilisi, Georgia, 1986. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Aleksandra Aroshvili Tbilisi, Georgia, 1991. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Irakli Macharashvili Tbilisi, Georgia, 1970. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Teona Rekhviashvili Tbilisi, Georgia, 1995. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Nikoloz Tsikaridze Tbilisi, Georgia, 1985. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Giorgi Tsintsadze Tbilisi, Georgia, 1995. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia — Lela Rekhviashvili Tbilisi, Georgia, 1986. Vive e lavora a Leipzig, Germania — Mamuka Gvilava Tbilisi, Georgia, 1962. Vive e lavora a Tbilisi, Georgia

Germania 46 — Anne Femmer Oschatz, Germania, 1984. Vive e lavora a Lipsia, Germania — Franziska Gödicke Altenburg, Germania, 1998. Vive e lavora a Berlino, Germania — Juliane Greb Düsseldorf, Germania, 1985. Vive e lavora a Gand, Belgio — Christian Hiller Gelsenkirchen, Germania, 1975. Vive e lavora a Berlino, Germania — Petter Krag Trondheim, Norvegia, 1978. Vive e lavora a Gand, Belgio — Melissa Angela Alemaz Makele Mannheim, Germania, 1989. Vive e lavora a Berlino, Germania — Anh-Linh Ngo Kon Tum, Vietnam, 1974. Vive e lavora a Berlino, Germania — Florian Summa Colonia, Germania, 1982. Vive e lavora a Lipsia, Germania Gran Bretagna 48 — Jayden Ali, Londra, Gran Bretagna, 1988. Vive e lavora a Londra, Gran Bretagna — Joseph Henry Londra, Gran Bretagna, 1990. Vive e lavora a Londra, Gran Bretagna — Meneesha Kellay Londra, Gran Bretagna, 1986. Vive e lavora a Londra, Gran Bretagna — Sumitra Upham Londra, Gran Bretagna, 1986. Vive e lavora a Londra, Gran Bretagna

Grecia 50 — Costis Paniyiris Atene, Grecia, 1965. Vive e lavora ad Atene, Grecia — Andreas Nikolovgenis Atene, Grecia, 1988. Vive e lavora ad Atene, Grecia Grenada 52 — Stari Ribar, Massimo Marchiori Venezia, Italia, 1973. Vive e lavora Venezia — Alexis Andrews Grecia, 1960. Vive e lavora ad Antigua, Indie Occidentali Santa Sede 54 — Mirko Zardini Verona, Italia, 1955. Vive e lavora a Milano, Italia — Álvaro Siza Matosinhos, Porto, Portogallo, 1933. Vive e lavora a Porto, Portogallo — Emanuele Almagioni Milano, Italia, 1965. Vive e lavora a Milano, Italia — Giacomo Borella Milano, Italia, 1964. Vive e lavora a Milano, Italia — Franciasca Riva Milano, Italia, 1961. Vive e lavora a Milano, Italia Ungheria 56 — Marcel Ferencz Miskolc, Ungheria, 1970. Vive e lavora a Budapest, Ungheria — Ferenc Haász Budapest, Ungheria, 1969. Vive e lavora a Budapest, Ungheria — Péter Mátrai Budapest, Ungheria, 1948. Vive e lavora a Budapest, Ungheria — Judit Z. Halmágyi Budapest, Ungheria, 1962. Vive e lavora a Budapest, Ungheria Biennale Architettura 2023


Irlanda 58 — Peter Cody Tralee, Co. Kerry, Irlanda, 1966. Vive e lavora a Dublino, Irlanda — Peter Carroll Limerick, Co. Limerick, Irlanda, 1971. Vive e lavora a Dublino e Limerick, Irlanda — Elizabeth Hatz Lund, Svezia, 1953. Vive e lavora a Stoccolma, Svezia, e Limerick, Irlanda — Mary Laheen Londra, Regno Unito, 1957. Vive e lavora a Dublino, Irlanda — Joseph Mackey Clonmel, Co. Tipperary, Irlanda, 1980. Vive e lavora ad Abbeyleix e a Cork, Irlanda Israele 60 — Oren Eldar Tel Aviv–Jaffa, Israele, 1984. Vive e lavora a Tel Aviv– Jaffa, Israele — Edith Kofsky Gerusalemme, Israele, 1987. Vive e lavora a Tel Aviv–Jaffa, Israele — Daniel Meir Caifa, Israele, 1972. Vive e lavora a Tel Aviv–Jaffa, Israele Indice dei partecipanti

Giappone 68 — Maki Onishi Nagoya, Giappone, 1983. Vive e lavora a Tokyo, Giappone — Yuki Hyakuda Hyogo, Giappone, 1982. Vive e lavora a Tokyo, Giappone — Tomomi Tada Osaka, Giappone, 1980. Vive e lavora a Osaka, Giappone — Yuma Harada Osaka, Giappone, 1979. Vive e lavora a Osaka, Giappone — dot architects Osaka, Giappone — Akane Moriyama Fukuoka, Giappone, 1983. Vive e lavora a Stoccolma, Svezia — Futoshi Mizuno Tokoname, Giappone, 1981. Vive e lavora a Tokoname, Giappone Repubblica di Corea 70 — Yerin Kang, Seul, Repubblica di Corea, 1974. Vive e lavora a Seul, Repubblica di Corea — Chi-hoon Lee, Gimhae, Repubblica di Corea, 1980. Vive e lavora a Seul, Repubblica di Corea — Ahram Chae, Seul, Repubblica di Corea, 1991. Vive e lavora a Daejeon, Repubblica di Corea — Nahyun Hwang, Seul, Repubblica di Corea, 1973. Vive e lavora a New York, USA — David Moon, Milwaukee, USA, 1974. Vive e lavora a New York, USA — Yehre Suh, Busan, Repubblica di Corea, 1973. Vive e lavora a New York, USA — Jaekyung Jung, Seul, Repubblica di Corea, 1975. Vive e lavora a Seul e a Incheon, Repubblica di Corea — Sunhee Yang, Seul, Repubblica di Corea, 1978. Vive e lavora a Seul, Repubblica di Corea — Chris Ro, Seattle, USA, 1976. Vive e lavora a Seul, Repubblica di Corea

Repubblica del Kosovo 72 — Poliksen Qorri-Dragaj Mitrovicë, Repubblica del Kosovo, 1985. Vive e lavora a Wörth, Kaiserslautern e a Karlsruhe, Germania — Hamdi Qorri Drenas, Repubblica del Kosovo, 1959. Vive e lavora a Drenas e a Prishtina, Repubblica del Kosovo Kuwait 74 — Abdulaziz Almazeedi Kuwait, 1982. Vive e lavora in Kuwait — Hamad Alkhaleefi Kuwait, 1987. Vive e lavora in Kuwait — Naser Ashour Kuwait, 1990. Vive e lavora in Kuwait — Mohammad Kassem Kuwait, 1993. Vive e lavora in Kuwait — Jassim Alshehab Kuwait, 1980. Vive e lavora in Kuwait — Rabab Raes Kazem Kuwait, 1989. Vive e lavora in Kuwait — Batool Ashour Kuwait, 1983. Vive e lavora in Kuwait — Noor Abdulkhaleq Kuwait, 1996. Vive e lavora in Kuwait — Abdullah Albusaili Kuwait, 1997. Vive e lavora in Kuwait — Abdulaziz Bazuhair La Mecca, Arabia Saudita, 1991. Vive e lavora a Dammam, Arabia Saudita — Aliaa Mahdy Kuwait, 2001. Vive e studia in Kuwait — Zahra Hashim Kuwait, 2001. Vive e studia in Kuwait — Jassim Alewani Kuwait, 1988. Vive e lavora in Kuwait — Qutaiba Buyabes Kuwait, 1996. Vive e lavora in Kuwait — Yasmeen Abdal Kuwait, 1998. Vive e lavora in Kuwait — Sultan Alsamhan Kuwait, 1992. Vive e lavora in Kuwait — Bader Al Moulah Kuwait, 1993. Vive e lavora in Kuwait

— Sayer Alsayer Stati Uniti, 1995. Vive e lavora in Kuwait — Mohammed Khesroh Egitto, 1991. Vive e lavora in Kuwait — Dana Alrashid Kuwait, 1988. Vive e lavora in Kuwait — Nour Jafar Kuwait, 1994. Vive e lavora in Kuwait — Nourah AlAzmi Kuwait, 2001. Vive e studia in Kuwait — Fatima AlFulaij Kuwait, 1995. Vive e lavora tra Los Angeles, USA e il Kuwait — Aziz Motawa Boston, USA, 1995. Vive e lavora in Kuwait — Malak Al Suwaihel Kuwait, 1990. Vive e lavora in Kuwait — Maryam Mohammed Kuwait, 1998. Vive e lavora in Kuwait — Nada Abu-Daqer Kuwait, 1998. Vive e lavora in Kuwait — Sara Al-zeer Kuwait, 1998. Vive e lavora in Kuwait — Zahra Al-Mahdi Kuwait, 1989. Vive e lavora in Kuwait Lettonia 76 — Ernests Cerbulis Riga, Lettonia, 1991. Vive e lavora a Riga, Lettonia — Ints Menģelis Jelgava, Lettonia, 1985. Vive e lavora a Riga, Lettonia — Uldis Jaunzems - Petersons Riga, Lettonia, 1978. Vive e lavora a Talsi, Lettonia — Toms Kampars Tukums, Lettonia, 1990. Vive e lavora a Riga, Lettonia — Austra Berzina Riga, Lettonia, 1985, Vive e lavora a Riga, Lettonia — Kalvis Kidals Madona, Lettonia, 1992. Vive e lavora a Riga, Lettonia — Karola Rubene Rheine, Germania, 1993. Vive e lavora a Riga, Lettonia 171


Lituania 78 — Aistė Ambrazevičiūtė Kaunas, Lituania, 1988. Vive e lavora a Kaunas, Lituania — Gabrielė Grigorjevaitė Panevėžys, Lituania, 1992. Vive e lavora a Londra, Regno Unito — Laura Garbštienė Vilkija, Lituania, 1973.Vive e lavora a Šklėriai, Lituania — Mantas Peteraitis Klaipėda, Lituania, 1977. Vive e lavora a Vilnius, Lituania — Monika Janulevičiūtė Šiauliai, Lituania, 1990. Vive e lavora a Vilnius, Lituania — Kristupas Sabolius Vilnius, Lituania, 1979. Vive e lavora a Vilnius, Lituania — Nomeda & Gediminas Urbonas Nati rispettivamente a Kaunas nel 1968 e a Vilnius nel 1966, Lituania. Vivono e lavorano a Vilnius, Lituania, e Cambridge, MA, USA — Michaela Casková Brno, Cecoslovacchia, 1988. Vive e lavora tra Finlandia e Repubblica Ceca — Tiina Arjukka Hirvonen Rääkkylä, Finlandia, 1988. Vive e lavora a Kainuu, Finlandia — Riitta (Nyyskä) Nykänen Tampere, Finlandia, 1958. Vive e lavora a Puolanka, Finlandia — Robin Everett Taunton, Regno Unito, 1989. Vive e lavora tra Bergen, Norvegia, e Kainuu, Finlandia. — Nene Tsuboi Osaka, Giappone, 197. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Tuomas Toivonen Helsinki, Finlandia, 1975. Vive e lavora a Helsinki, Finlandia — Kornelija Žalpytė Vilnius, Lituania, 1998. Vive e lavora a Vilnius, Lituania 172

Granducato di Lussemburgo 80 — Francialle Cane Valence, Francia, 1993. Vive e lavora a Lussemburgo, Granducato di Lussemburgo — Marija Marić Odžaci, Serbia, 1986. Vive e lavora a Esch-surAlzette, Granducato di Lussemburgo — Armin Linke Milano, Italia, 1966. Vive e lavora a Berlino, Germania — Lev Bratishenko Moscow, USSR, 1989. Vive e lavora a Montreal, Canada Messico 84 — APRDELESP Città del Messico, Messico Mariana Botey — Città del Messico, Messico, 1969. Vive e lavora a Città del Messico, Messico, e San Diego, USA Montenegro 86 — Duško Miljanić Tivat, Boka Kotorska, Montenegro, 1975. Vive e lavora a Podgorica — Branislav Strugar Belgrado, Jugoslavia, 1949. Vive e lavora a Belgrado, Serbia — Vukota Tupa Vukotić Cetinje, Montenegro, 1932 – Podgorica, Montenegro, 2002

Paesi Bassi 88 — Jan Jongert Amsterdam, Paesi Bassi, 1971. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Roosje Klap Amsterdam, Paesi Bassi, 1973. Vive e lavora ad Amsterdam, Paesi Bassi — Sarah van der Giesen Amsterdam, Paesi Bassi, 1989. Vive a Schiedam, lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Carlijn Kingma Zutphen, Paesi Bassi, 1991. Vive e lavora a Welsum, Paesi Bassi — Thomas Petrus Franciscus Bollen Geldrop, Paesi Bassi, 1984. Vive a Welsum, lavora ad Amsterdam, Paesi Bassi — Martijn Jeroen van der Linden Hoogeveen, Paesi Bassi, 1980. Vive a Bruxelles, Belgio, lavora a L’Aia, Paesi Bassi. Paesi Nordici Svezia – Finlandia – Norvegia 92 — Joar Nango Áltá, Sápmi/Norvegia, 1979. Vive e lavora a Romsa/Tromsø, Sápmi/ Norvegia Repubblica di Panama 94 — Dante Furioso Washington, D.C., USA, 1984. Vive e lavora a New York, USA — Joan Flores-Villalobos Maracaibo, Venezuela, 1988. Vive e lavora a New York, USA — Danilo Pérez Panama, 1965. Vive e lavora a Panama, Repubblica di Panama — Alejandro Pinto San José, Costa Rica, 1988. Vive e lavora a Panama, Repubblica di Panama — Luis Pulido Ritter Panama, 1961. Vive e lavora a Berlino, Germania — Marixa Lasso Firenze, Italia, 1968. Vive e lavora a Panama, Repubblica di Panama

Filippine 98 — Sam Domingo Taytay, Rizal, Filippine, 1998. Vive e lavora a Pasig, Filippine — Choie Y. Funk Manila, Filippine, 1963. Vive e lavora a Manila, Filippine Polonia 100 — Anna Barlik Varsavia, Polonia, 1985. Vive e lavora a Varsavia, Polonia — Marcin Strzała Varsavia, Polonia, 1985. Vive e lavora a Varsavia, Polonia — Jacek Sosnowski Varsavia, Polonia, 1983. Vive e lavora a Varsavia, Polonia Portogallo 102 — Andreia Garcia Guimarães, Portogallo, 1985. Vive e lavora a Porto, Portogallo. — Ana Neiva Viana do Castelo, Portogallo, 1983. Vive e lavora a Porto, Portogallo. — Diogo Aguiar Porto, Portogallo 1983. Vive e lavora a Porto, Portogallo. — Space Transcribers Organizzazione diretta da Daniel Duarte Pereira e Fernando P. Ferreira, fondata a Braga, Portogallo, 2015. — Álvaro Domingues Melgaço, Portogallo, 1959. Vive e lavora a Porto, Portogallo. — Dulcineia Santos Studio Studio di architettura fondato da Dulcineia Neves dos Santos a Porto, Portogallo, 2018. — João Pedro Matos Fernandes Águeda, Portogallo, 1967. Vive e lavora tra Porto e Lisbona, Portogallo. — Guida Marques Coimbra, Portogallo, 1986. Vive e lavora a Serra do Açor, Portogallo. — Érica Castanheira Coimbra, Portogallo, 1980. Vive e lavora tra Arganil, Lousã e Coimbra, Portogallo. Biennale Architettura 2023


— Oficina Pedrêz Laboratorio di architettura per la ricerca applicata alla sufficienza sistemica, fondato da Matilde Cabral e Francisco Fonseca a Porto, Portogallo, 2020 — Aurora Carapinha Évora, Portogallo, 1955. Vive e lavora a Évora, Portogallo. — Corpo Atelier Studio di arte e architettura fondato da Filipe Paixão, a Faro, Portogallo, 2014. — Eglantina Monteiro Porto, Portogallo, 1955. Vive e lavora a Castro Marim, Portogallo. — Ilhéu Atelier Studio di architettura fondato da Rita Sampaio e Afonso Botelho Santos a São Miguel, Açores, Portogallo, 2019. — João Mora Porteiro Horta, Faial, Portogallo, 1967. Vive e lavora a São Miguel, Açores. — Ponto Atelier Studio di architettura fondato da Ana Pedro Ferreira e Pedro Maria Ribeiro a Madera, Portogallo, 2016. — Ana Salgueiro Alcobaça, Portogallo, 1973. Vive e lavora a Madera, Portogallo. Indice dei partecipanti

Romania 104 — Emil Ivanescu Curtea de Arges, Romania, 1978. Vive e lavora a Bucarest, Romania — Simina Filat Tulcea, Romania, 1988. Vive e lavora a Bucarest, Romania — Catalin Berescu Bucarest, Romania, 1966. Vive e lavora a Bucarest, Romania — Anca-Maria PasarinFerreira-Garcia De Almeida Bucarest, Romania, 1984. Vive e lavora a Bucarest, Romania Repubblica di San Marino 106 — Vittorio Corsini Cecina, Italia, 1956. Vive e lavora a Cecina, Italia Arabia Saudita 108 — Noura Bouzo Riyad, Arabia Saudita, 1985. Vive e lavora a Riyad, Arabia Saudita — Basma Bouzo Cannes, Francia, 1984. Vive e lavora a Riyad, Arabia Saudita — AlBara Saimaldahar Jeddah, Arabia Saudita, 1986. Vive e lavora a Jeddah, Arabia Saudita — Cyril Zammit Bondy, Francia, 1970. Vive e lavora a Dubai, Emirati Arabi Uniti — Jou Pabalate Manila, Filippine, 1986. Vive e lavora a Riyad, Arabia Saudita Serbia 110 — Iva Njunjić Belgrado, Serbia, 1994. Vive e lavora a Belgrado, Serbia — Tihomir Dičić Belgrado, Serbia, 1993. Vive e lavora a Belgrado, Serbia

Singapore 112 — Isabella Ong Singapore, Singapore, 1992. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Lip Chiong Singapore, Singapore, 1975. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Elwin Chan Singapore, Singapore, 1978. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Kar-men Cheng Singapore, Singapore, 1987. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Ker-Shing Ong Londra, Regno Unito, 1975. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Joshua Comaroff Manchester, Regno Unito, 1973. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Mun Summ Wong Singapore, Singapore, 1962. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Richard Hassell Perth, Australia, 1966. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Thomas Schroepfer Mannheim, Germania, 1966. Vive e lavora a Singapore, Singapore — SrilalithaGopalakrishnan Quilon, India, 1977. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Yun Hye Hwang Seul, Repubblica di Corea, 1974. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Anuj Jain Udaipur, India, 1984. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Emi Kiyota Kumamoto, Giappone, 1970. Vive e lavora a Singapore, Singapore — Bjorn Low Singapore, Singapore, 1980. Vive e lavora in Australia

Repubblica di Slovenia 114 — Jure Grohar Jesenice, Slovenia, 1983. Vive e lavora a Lubiana, Repubblica di Slovenia — Eva Gusel Maribor, Slovenia, 1996. Vive e lavora a Lubiana, Repubblica di Slovenia — Maša Mertelj Jesenice, Slovenia, 1987. Vive e lavora a Lubiana, Repubblica di Slovenia — Anja Vidic Lubiana, Slovenia, 1982. Vive e lavora a Lubiana, Repubblica di Slovenia — Matic Vrabič Lubiana, Slovenia, 1990. Vive e lavora a Lubiana, Repubblica di Slovenia — Vidic Grohar Arhitekti Lubiana, Repubblica di Slovenia Spagna 118 — Ivan L. Munuera Madrid, Spagna, 1980. Vive e lavora a New York, USA — Vivian Rotie L’Avana, Cuba, 1988. Vive e lavora a Barcellona, Spagna — Pablo Saiz del Río Bilbao, Spagna, 1993. Vive e lavora a Barcellona, Spagna — C+ arquitectas Londra, Madrid — Federico Soriano Madrid, Spagna, 1961. Vive e lavora a Madrid, Spagna — Dolores Palacios Bilbao, Spagna, 1960. Vive e lavora a Madrid, Spagna — Lucia Tahan Madrid, Spagna, 1989. Vive e lavora a Los Angeles, USA — Lucía Jalón Oyarzun Madrid, Spagna, 1982. Vive e lavora tra Madrid, Spagna, e Losanna, Svizzera — Urtzi Grau Bilbao, Spagna, 1976. Vive e lavora a Sydney, regione dei Gadigal — The Institute for Postnatural Studies, Madrid 173


— aldayjover architecture and landscape Barcellona, New Orleans — Daniel Ibáñez Madrid, Spagna, 1981. Vive e lavora tra Boston, USA, e Barcellona, Spagna — Manuel Bouzas Pontevedra, Spagna, 1993. Vive e lavora tra Boston, USA, e la Galizia, Spagna — Vicente Guallart Valencia, Spagna, 1963. Vive e lavora a Barcellona, Spagna. — Common Accounts Toronto, Madrid — Guillermo FernándezAbascal Santander, Spagna, 1986. Vive e lavora a Sydney, regione dei Gadigal — Pedro Pegenaute Pamplona, Spagna, 1977. Vive e lavora a Pamplona, Spagna — Black Almanac (Philip Maughan e Andrea Provenzano) Mosca. — Manuel Correa Medellín, Colombia,1991. Vive e lavora a Madrid, Spagna — Marina Otero A Coruña, Spagn. Vive e lavora a Rotterdam, Paesi Bassi — Gerard Ortín Castellví Barcellona, Spagna, 1981. Vive e lavora a Londra, Regno Unito — Pol Esteve Castelló Barcellona, Spagna, 1981. Vive e lavora a Londra, Regno Unito — Grandeza Studio Madrid, Spagna — elii Madrid, Spagna — Locument — MAIO Barcellona, Spagna — María Jerez Madrid, Spagna, 1978. Vive e lavora a Madrid, Spagna — Agnes Essonti Luque Town, Country, 1996. Vive e lavora a Barcellona, Spagna 174

Svizzera 120 — Karin Sander Bensberg, Germania, 1957. Vive e lavora a Berlino, Germania, e a Zurigo, Svizzera — Philip Ursprung Baltimora, USA, 1963. Vive e lavora a Zurigo, Svizzera Turchia 122 — Sevince Bayrak Bursa, Turchia, 1983. Vive e lavora a Istanbul, Turchia — Oral Göktaş Karlsruhe, Germania, 1982. Vive e lavora a Istanbul, Turchia Emirati Arabi Uniti 26 — Faysal Tabbarah Aleppo, Siria, 1986. Vive e lavora a Sharjah, Emirati Arabi Uniti Stati Uniti d’America 128 — Xavi Aguirre Milford, CT, USA, 1984. Vive e lavora a Cambridge, MA, USA — Simon Anton Berwyn, IL, USA, 1988. Vive e lavora a Detroit, MI, USA — Ang Li Luoyang, Cina, 1986. Vive e lavora a Boston, MA, USA — Norman Teague Chicago, IL, USA, 1968. Vive e lavora a Chicago, IL, USA — Lauren Yeager Nashville, TN, USA, 1987. Vive e lavora a Cleveland, OH, USA

Uruguay 130 — Rafaella Varela Montevideo, Uruguay, 1997. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Fol Cvetreznik Montevideo, Uruguay, 1992. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Guzmán Bergereau Montevideo, Uruguay, 1993. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Matías Rada Buenos Aires, Argentina, 1985. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Camila Cardozo Montevideo, Uruguay, 1998. Vive e lavora a Buenos Aires, Argentina — Facundo Balta Montevideo, Uruguay, 2000. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Álvaro Silva Montevideo, Uruguay, 1995. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Viki Style Montevideo, Uruguay, 1988. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay — Noé Núñez Montevideo, Uruguay, 1982. Vive e lavora a Montevideo, Uruguay Repubblica dell’Uzbekistan 132 — Karl Fournier Saint-Raphaël, Francia, 1970. Vive e lavora a Parigi, Francia — Olivier Marty Palaiseau, Francia, 1975. Vive e lavora a Parigi, Francia Repubblica Bolivariana del Venezuela 132 — Carlos Raúl Villanueva Londra, Regno Unito, 1900 – Caracas, Venezuela, 1975

A Fragile Correspondence Scotland + Venezia 146 — Dele Adeyemo Kaduna, Nigeria, 1985. Vive e lavora a Londra, Inghilterra — Donna Heddle Kirkcaldy, Scozia, 1965. Vive e lavora nelle Isole Orcadi, Scozia — Aaron McCarthy Dundee, Scozia, 1991. Vive e lavora ad Arbroath, Angus, Scozia — Frank McElhinney Motherwell, Scozia, 1964. Vive e lavora a Glasgow, Scozia — Mairi McFadyen Edimburgo, Scozia, 1985. Vive e lavora ad Abriachan, Inverness, Scozia — Hamshya Rajkumar Glasgow, Scozia, 1993. Vive e lavora a Carfin, Scozia — Raghnaid Sandilands Inverness, Scozia, 1977. Vive e lavora a Strathnairn, Scozia — Amanda Thomson 1965. Vive e lavora a Strathspey e Glasgow, Scozia Catalonia in Venice_ Following the Fish 148 — Top Manta Fondato nel 2017, Barcellona, Catalogna, Spagna Biennale Architettura 2023


Climate Wunderkammer 150 — Liane Thuvander Magdeburg, Germania, 1970. Vive e lavora a Gothenburg, Svezia — Monica Billger Göteborg, Svezia, 1961. Vive e lavora a Göteborg, Svezia — Daniele Santucci Roma, Italia, 1977. Vive e lavora a Monaco, Germania — Israa H. Mahmoud Alessandria, Egitto, 1987. Vive e lavora a Milano, Italia — Carlo Federico Dall’Omo Venezia, Italia, 1992. Vive e lavora a Venezia, Italia — Andy van den Dobbelsteen Tilburg, Paesi Bassi, 1968. Vive e lavora a Delft, Paesi Bassi — Mohamed Hanafi Zurigo, Svizzera, 1965. Vive e lavora ad Alessandria, Egitto — Jan Hugo Bloemfontein, Repubblica del Sudafrica, 1985. Vive e lavora a Pretoria, Repubblica del Sudafrica — Chrisna du Plessis Sasolburg, Repubblica del Sudafrica, 1965. Vive e lavora a Pretoria, Repubblica del Sudafrica — Vittorio Negretto Treviso, Italia, 1990. Vive e lavora a Venezia, Italia — Cem Ataman Ankara, Turchia, 1993. Vive e lavora a Singapore — Bige Tuncer Ankara, Turchia, 1971. Vive e lavora a Singapore — Maram Tawil Gummersbach, Germania, 1975. Vive e lavora ad Aachen, Germania Indice dei partecipanti

Diachronic Apparatuses of Taiwan Architecture as on-going details within landscape 152 — Tsung-Yen Hsieh Taipei, Taiwan, 1985. Vive e lavora a Taichung, Taiwan — Cheng-Luen Hsueh Kaohsiung, Taiwan, 1970. Vive e lavora a Tainan, Taiwan — Chueh-Chih Guu Taipei, Taiwan, 1968. Vive e lavora a Taipei, Taiwan — Po-Jen Cheng Taichung, Taiwan, 1977. Vive e lavora a Taichung, Taiwan — Hsuan-Cheng Cheng Tainan, Taiwan, 1978. Vive e lavora a Taichung, Taoyuan e Tainan, Taiwan — (Kerby) Shu-Hsien Chou Taipei, Taiwan, 1976. Vive e lavora a Taipei, Taiwan EUmies Awards. Young Talent 2023. The Laboratory of Education 154 — Fundació Mies van der Rohe Fondata a Barcellona, 1983 Si è stabilita a Barcellona, Europa Tracé Bleu. Que faire en ce lieu, à moins que l’on y songe? 160 — Krijn de Koning Amsterdam, Paesi Bassi, 1963. Vive e lavora ad Amsterdam — Joanie Lemercier Francia, 1982. Vive e lavora a Bruxelles, Belgio — Jonathas de Andrade Maceió, Alagoas, Brasile, 1982. Vive e lavora a Recife, Brasile — Serge Bloch Colmar, Francia, 1956. Vive e lavora a Parigi, Francia

Transformative Hong Kong 162 — Arup Hong Kong — Building Narrative con Kris Provoost Photography Hong Kong — CUHK Research Lab Hong Kong — HIR Studio Hong Kong — Justin Hui Hong Kong e New York, USA — Lead8 Hong Kong — The MTR Corporation Hong Kong — Rocco Design Architects Associates Hong Kong — Studio Ryte Hong Kong — Hiroyuki Shinohara e Tung Hoi Peter Chan Hong Kong — Tobias Klein e Pok Yin Victor Leung Hong Kong e Zurigo, Svizzera 175


18. Mostra Internazionale di Architettura

18. Mostra Internazionale di Architettura The Laboratory of the Future La Biennale di Venezia Attività Editoriali e Web Responsabile — Flavia Fossa Margutti Coordinamento editoriale — Maddalena Pietragnoli Redazione — Anna Albano Francesca Dolzani Giulia Gasparato Progetto grafico — Fred Swart Realizzazione editoriale — Liberink srls , Padova Coordinamento — Stefano Turon Impaginazione — Livio Cassese

by SIAE 2023 — Alexander Dumarey — Karin Sander — Eva Serrats

Redazione — Rosanna Alberti Caterina Vettore

© La Biennale di Venezia 2023

Traduzioni e copy editing — alphaville traduzioni e servizi editoriali — Roberta Prandin Fotolito e stampa — Graphicom spa www.graphicom.it viale dell’Industria 67, Vicenza

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

Carta prodotta con cellulose provenienti da foreste e da filiere di approvvigionamento gestite in modo rispettoso dell’ambiente, socialmente utile ed economicamente sostenibile, e da altre fonti controllate

ISBN 9788898727797 La Biennale di Venezia Prima edizione maggio 2023




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