Dieci Dieci Dieci Dieci Biennale College Cinema 2012–22 Dieci Dieci La Biennale di Venezia
Dieci Biennale College Cinema 2012–22
La Biennale di Venezia
LA BIENNALE DI VENEZIA
PRESIDENTE Roberto Cicutto CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE / VICE PRESIDENTE Luigi Brugnaro Claudia Ferrazzi Luca Zaia COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI / PRESIDENTE Pasqualino Castaldi Ines Gandini Angelo Napolitano DIRETTORE GENERALE Andrea Del Mercato DIRETTORE ARTISTICO DEL SETTORE CINEMA Alberto Barbera
Indice
Adriana Herrera, Jorge Thielen Armand 59
Shubhashish Bhutiani
Introduzione
61
Giorgio Ferrero, Federico Biasin
Saggi
64
Mazen Khaled, Diala Kachmar, Manuela Buono
66
Petra Szőcs
68
Keren Ben Rafael
70
Cait Pansegrouw
72
Hannaleena Hauru, Emilia Haukka
74
Sol Berruezo Pichon-Rivière, Laura Mara Tablón
Biennale College Cinema: insieme nel buio
75
Monica Dugo
FEDERICA POLIDORO
Film e VR
8
14
18
24
29
33
42
ROBERTO CICUTTO
PAOLO BARATTA
2011 La nascita del “College” alla Biennale ALBERTO BARBERA, SAVINA NEIROTTI
La scommessa GLENN KENNY
La vita del cinema STEPHANIE ZACHAREK
Biennale College Cinema VR: i talenti che cambieranno il mondo MICHEL REILHAC, JANE WILLIAMS
Socrate a Venezia
Interviste 48
Nawapol Thamrongrattanarit, Aditya Assarat
50
Tim Sutton
51
Duccio Chiarini
53
Flaminio Zadra
55
Anna Rose Holmer, Lisa Kjerulff
57
Jorge Thielen Armand, Rodrigo Michelangeli, Manon Ardisson,
Dieci 2012–22
Film prodotti con il grant Biennale College Cinema 70.MIAC, 2013 80
82
86
ALESSIO FAVA
Yuri Esposito TIM SUTTON
Memphis
NAWAPOL THAMRONGRATTANARIT
Mary Is Happy, Mary Is Happy
71.MIAC, 2014 88
RANIA ATTIEH, DANIEL GARCIA
H.
92
94
JOSEPH BULL, LUKE SEOMORE
Blood Cells
DUCCIO CHIARINI
Short Skin
72.MIAC, 2015 98
100
104
110
112
136
140
KOHKI HASEI
142
Blanka
ANNA ROSE HOLMER
The Fits
ALESSANDRO ARONADIO
Orecchie / Ears
SHUBHASHISH BHUTIANI
Mukti Bhawan / Hotel Salvation SOFÍA BROCKENSHIRE, VERENA KURI
146
148
152
JORGE THIELEN ARMAND
La Soledad / The Solitude 158
74.MIAC, 2017
122
124
GIORGIO FERRERO, FEDERICO BIASIN
160
MAZEN KHALED
164
ALENA LODKINA
166
Beautiful Things Martyr
Strange Colours
75.MIAC, 2018 128
130
MARGHERITA FERRI
LEMOHANG JEREMIAH MOSESE
This Is Not a Burial, It’s a Resurrection
PEDRO COLLANTES
El arte de volver / The Art of Return HANNALEENA HAURU
Fucking with Nobody
JOSÉ MARÍA AVILÉS
Al Oriente / To Oriente BEATRICE BALDACCI
La Tana / The Den SOL BERRUEZO PICHON-RIVIÈRE
Nuestros días más felices / Our Happiest Days SILVIA BRUNELLI
La santa piccola / The Holy Child RICKY D’AMBROSE
The Cathedral ELLIE FOUMBI
Mon père, le diable / Our Father, the Devil
79.MIAC, 2022
Zen sul ghiaccio sottile / Zen in the Ice Rift
170
PETRA SZŐCS
172
Déva / Deva
CHIARA CAMPARA
Lessons of Love
78.MIAC, 2021
154
118
KEREN BEN RAFAEL
À Cœur battant / The End of Love
77.MIAC, 2020
Una Hermana / One Sister 116
EMRE YEKSAN
Yuva
76.MIAC, 2019
KUBA CZEKAJ
Baby Bump
73.MIAC, 2016 106
134
MONICA DUGO
Come le tartarughe TAHMINA RAFAELLA
Banu
Biennale College Cinema
176
178
ELDAR SHIBANOV
Горный лук / Mountain Onion HANNA VÄSTINSALO
Palimpsesti / Palimpsest
Film sviluppati nell’ambito Biennale College Cinema 210
VR prodotti con il grant Biennale College Cinema 74.MIAC, 2017 184
FLAVIO COSTA
Chromatica
75.MIAC, 2018 186
190
192
216
MARÍA BELÉN PONCIO, DAMIAN TURKIEH
217
4 Feet: Blind Date
JACEK NAGŁOWSKI, PATRYK JORDANOWICZ
IOLANDA DI BONAVENTURA
Vajont
78.MIAC, 2021 FABITO RYCHTER, AMIR ADMONI
Lavrynthos
79.MIAC, 2022 204
214
MARC GUIDONI
Elegy
77.MIAC, 2020
202
213
215
Szepty / Whispers
198
212
IVAN GERGOLET
In the Cave
76.MIAC, 2019 196
211
SJOERD VAN ACKER
Manus
Dieci 2012–22
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219
220
221
222
223
224
225
VATCHE BOULGHOURJIAN
Rabih / Tramontane JOÃO PAULO CUENCA
A morte de J.P. Cuenca / The Death of J.P. Cuenca LLUÍS GALTER
La substància / The Substance SHIREEN SENO
Nervous Translation AAMIR BASHIR
Maagh / The Winter Within LAURA CITARELLA, VERÓNICA LLINÁS
La mujer de los perros / Dog Lady JULIA HALPERIN, JASON CORTLUND
La Barracuda / Barracuda
MONICA STAN, GEORGE CHIPER LILLEMARK
Imaculat / Immaculate EDMUND YEO
Liu Lian Wang Fan / River of Exploding Durians KRISTINA GROZEVA, PETAR VALCHANOV
Bashtata / The Father HELVÉCIO MARINS JR.
Querência / Homing ANDRÉ MARQUES
O Bêbado / The Drunk SANJEEWA PUSHPAKUMARA
Peacock Lament
MICHAEL CURTIS JOHNSON
Savage Youth TOM QUINN
Colewell
TOM WILSON
Dark Ages
226
227
228
LUDOVICA FALES
243
LARA JEAN GALLAGHER
244
EUIJEONG HONG
245
Lala
Clementine
소리도 없이 (Sorido eopsi) / Voice of Silence
246 229
DAVID WHITE
This Town
247 230
JUAN PABLO GONZÁLEZ
Dos Estaciones
248 231
JOHNNY MA
Huo Zhe Chang Zhe / To Live to Sing 249
232
ALEJANDRO NARANJO
Besos Negros / Black Kisses 250
233
234
235
PIOTR STASIK
Ćmy / The Moths ANTONIO BIGINI
Le proprietà dei metalli / The Properties of Metals VINKO TOMIČIĆ
El ladrón de perros / The Dog Thief
238
239
240
241
242
KAROLINA MARKIEWICZ, PASCAL PIRON
Sublimination
BARRY GENE MURPHY, MAY ABDALLA
Goliath: Playing with Reality ILLYA SZILAK, CYRIL TSIBOULSKI
Queerskins: Ark
ROSSELLA SCHILLACI
Affiorare / Surfacing CHIARA TROISI
Mono
TSANG TSUI-SHAN
Chroma 11
EMILIA SÁNCHEZ CHIQUETTI
Origen / Origin
VR realizzati da film con grant Biennale College Cinema 254
VR sviluppati nell’ambito Biennale College Cinema
ZSOLT MAGYARI, CLAUDIA BENKŐ
1939 / 1939: Scitovszky Villa
256
GIORGIO FERRERO, FEDERICO BIASIN
Denoise
DENIZ TORTUM
Selyatağı / Floodplain
On Off
Apparati
ANGEL MANUEL SOTO
262
Tutor
266
Cifre in evidenza
ISABELLE FOUCRIER, CAMILLE DUVELLEROY
Dinner Party
JOSÉPHINE DEROBE
Meet Mortaza KEISUKE ITOH
Feather
MATTEO LONARDI
Il Dubbio / The Doubt
Biennale College Cinema
Roberto Cicutto
Introduzione
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Biennale College Cinema
La nascita e lo sviluppo dell’attività del College Cinema sono ben raccontate nel testo di Paolo Baratta e nel racconto a quattro mani di Alberto Barbera e Savina Neirotti. Contestualizzare questa nuova iniziativa della Biennale di Venezia all’interno della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, è esercizio indispensabile per coglierne tutto il coraggio e la visionarietà che sono stati alla base della sua realizzazione. Siamo nel 2012 e da allora l’industria audiovisiva italiana ha fatto passi da gigante. Ma allora la crisi economica aveva portato al Governo Monti, e certo non si arrivava da periodi di grandi finanziamenti per la cultura e per le istituzioni che la producevano e la promuovevano. La stessa Mostra del Cinema lamentava scarsezza di finanziamenti e impellenti necessità di investimenti in infrastrutture e nuove tecnologie. Ricordo molti discorsi alle serate inaugurali che facevano appello alla politica per un maggiore sostegno alle attività della Mostra, della Biennale e della cultura in generale. Allo stesso modo altre strutture storiche del mondo cinematografico quali Cinecittà, Istituto Luce e Centro Sperimentale di Cinematografia dovevano affrontare grandi riforme, e drastiche misure di contenimento dei costi. Le produzioni straniere non venivano più in Italia perché non trovavano i vantaggi del tax credit già in vigore in altri Paesi europei. In questo clima è nato il progetto del College Cinema che non solo aumentava le attività della Mostra, ma stanziava somme importanti per sostenerlo attraverso il finanziamento di opere prime o seconde di lungometraggio, cui si aggiungevano tutte le spese di accompagnamento al processo di produzione. Mai investimento si rivelò più utile a un profondo rinnovamento e arricchimento del Festival e in generale di tutta La Biennale, e per il lancio di nomi nuovi e di opere che hanno ottenuto importanti riconoscimenti. Un secondo elemento si rivelò strategico e controcorrente rispetto alle misure “autarchiche” cui sembrava si dovesse ricorrere: si inventava un progetto internazionale, aperto alle partecipazioni da tutto il mondo come era giusto che fosse all’interno del più antico festival del mondo. I selezionati che appunto arrivavano dai Paesi più diversi venivano messi in stretto contatto non solo con il Direttore Artistico della Mostra del Cinema, ma con tutor internazionali che avrebbero accompagnato alcuni di loro verso un traguardo inimmaginabile: avere la prima mondiale sullo schermo della Mostra del Cinema. Ho posto l’attenzione su questi aspetti, perché la storia della Biennale deve molto alle attività dei College, arrivati alla fisionomia attuale attraverso aggiustamenti di rotta e dialoghi continui capaci di aprire nuove porte verso il futuro (si pensi al VR), affrontando percorsi pieni di rischi e di incognite. Ed è bello che nel decimo anniversario del College Cinema, che tanti frutti ha fatto maturare, coincida con il primo College d’Arte, che porta quattro giovani artisti ad essere esposti con pari dignità dei loro più illustri colleghi nella 59. Esposizione Internazionale d’Arte Il latte dei sogni curata da Cecilia Alemani. È un grande impegno per i direttori artistici di Arte, Cinema, Teatro, Danza e Musica farsi carico di questa responsabilità. Ma
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l’esperienza di questi due ultimi anni, pur nelle difficoltà inimmaginabili della pandemia, ha dimostrato che il risultato ripaga ogni fatica. La soddisfazione che regala la forza e l’impegno di questi giovani artisti ai direttori, ai tutor, ai responsabili e ai team dei diversi settori della Biennale, aumenta il riconoscimento per l’impegno di tutti noi. Anche per questo, La Biennale ha intrapreso la strada che potrebbe portare il settore Architettura a dotarsi di un College, chiudendo il cerchio che include anche il College di formazione alla scrittura “Scrivere in residenza” coordinato dall’ASAC (Archivio Storico delle Arti Contemporanee).
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Biennale College Cinema
Saggi Saggi Saggi Saggi Saggi Saggi Saggi
Paolo Baratta
2011 La nascita del “College” alla Biennale
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Saggi
Biennale College Cinema
DAI “LABORATORI” AL “COLLEGE”
Nel 2011 si promosse un’ulteriore fase delle trasformazioni strutturali e organizzative della Biennale iniziate con la riforma del 1998. Occorreva ora dare stabilità e ordine programmatico ai vari “laboratori”, “workshop”, “atelier”, ecc. che avrebbero dovuto affiancare, in modo più sistematico quali “attività permanenti”, i Festival e le Mostre. Si confermava innanzitutto che esse dovessero essere sempre presenti nei programmi dei diversi Settori. La continuità appariva allora già un fatto innovativo rispetto alle instabilità che avevano caratterizzato il passato. I Festival potevano offrire l’opportunità di avvalersi della presenza a Venezia di maestri convocati per l’occasione. Le Mostre e i Festival offrivano poi la possibilità che i piccoli esercizi e i lavori sviluppati con quei maestri potessero essere presentati al pubblico in una sezione del programma ufficiale. Era già ripresa l’Accademia di Danza (col nome di Arsenale della Danza), si era avviato un sistematico luogo della sperimentazione nel Teatro e si prospettò per la Musica l’idea di impegnare giovani musicisti nella composizione di piccole opere del teatro musicale. Sarebbe stato, infatti, assai qualificante far evolvere il nostro impegno dal favorire l’apprendimento al promuovere l’autonomo sviluppo del talento creativo, e passare dunque “dalle esercitazioni alle creazioni”. Ciascuno dei Settori dello spettacolo dal vivo elaborò progetti in tal senso. Quando ci si pose il problema di che cosa fare per il Settore Cinema con Alberto Barbera, che richiamammo come Direttore alla fine del 2011, si fece un excursus su possibili iniziative. Si era preoccupati di introdurre qualcosa di nuovo che fosse di particolare utilità nella formazione e nello sviluppo dei nuovi talenti, che non fosse ripetitivo, ma semmai complementare di altre iniziative già operanti, e che andasse a coprire carenze avvertite che La Biennale poteva colmare almeno in parte. Eravamo ancora in un clima nebbioso per quanto riguarda il cinema italiano che, a parte le dovute eccezioni, aveva attraversato decenni di fatica soprattutto se misurati con il metro delle passate grandezze, il cui ricordo manteneva alte le ambizioni e le nostalgie. Era diffusa opinione che in Italia ci fosse grave carenza di iniziative nella zona di passaggio tra la formazione e la sperimentazione di nuove creazioni, un vero handicap per le nuove generazioni di artisti. Anche dove operavano buone scuole mancavano luoghi che favorissero l’avvio di un’attività artistica e il cimento con la creazione. Si citavano altri Paesi, altre strutture produttive, nelle quali lo sviluppo dei talenti appariva meglio strutturato. Nel caso del cinema anche in Italia si erano sviluppate iniziative volte al miglioramento degli “script” di aspiranti scrittori di testi e di registi. Ma un vuoto c’era. E dunque poteva esser utile un impegno della Biennale. E perché no con un’iniziativa senza precedenti! DALLA “FORMAZIONE” ALLA “MAIEUTICA”
La Biennale organizza una Mostra del Cinema e quindi ha uno straordinario strumento per presentare a un pubblico assai quali-
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ficato anche opere prime. Essa può dunque promuovere direttamente la realizzazione dei primi lavori di giovani registi. Può cioè organizzare un luogo dove nuovi progetti di film vengono perfezionati, rivisti criticamente e messi a punto ai fini della loro produzione. Fatte queste premesse, apparve da subito necessario corredare il progetto con la previsione che alcuni dei film passati per il laboratorio fossero finanziati dalla Biennale. Dovevamo dunque prevedere un grant che ne assicurasse la produzione in tempi utili per la loro proiezione alla Mostra dell’anno successivo. Il grant avrebbe anche attirato al College candidati di qualità. Ma la messa in atto di un laboratorio di questo genere non era cosa da poco. Non si trattava di avviare tradizionali strumenti di formazione. Non si trattava come nella consuetudine di offrire ai giovani l’opportunità di apprendere dai maestri i “loro” saperi, ma di mettere a disposizione dei giovani alcune professionalità capaci di comprendere e alimentare le intenzioni “del giovane regista” accompagnato in team da un produttore di sua scelta, per condurlo alla miglior realizzazione del “suo” progetto e aiutarlo a trasmettere quanto lui voleva dire nei modi in cui lui riteneva di dirlo. Arte maieutica dunque, non formazione tradizionale. Per realizzare questa funzione in modo proficuo occorrono maestri del tutto particolari. Persone addentro alle varie problematiche della creazione artistica e cinematografica, della quale dovevano conoscere strumenti, procedimenti e pratiche; persone disposte a comprendere i giovani artisti, e con umiltà a scoprirne gli intendimenti. E che fossero dotate della fermezza e dell’onestà intellettuale necessarie per saper “contestare” senza distruggere. L’individuazione di Savina Neirotti, proveniente dal gruppo del Torino Film Lab, fu di grande giovamento. Grazie alla sua disponibilità si poté dar subito corpo al progetto e individuare il gruppo di esperti. Con quelle energie inserite nell’organismo della Biennale si poteva partire. L’esperienza sul campo avrebbe fatto il resto negli anni a venire con tutti gli ovvi aggiustamenti. Con il College si assicura ai partecipanti l’impegno di 6-8 professionisti per 15 giorni di lavoro continuato a Venezia. I giovani registi accompagnati da un potenziale produttore si confrontano per ore nella messa in discussione del loro progetto di lungometraggio. Si esplorano possibili diverse soluzioni, attraverso lo svelamento di quanto può essere sfuggito o essere stato sottovalutato nel progetto iniziale. Si stimola ogni possibile miglioramento nella narrazione, nella redazione, nella drammaturgia e nelle diverse soluzioni tecniche adottate. Si giunge a curare anche lo sviluppo della capacità di presentazione dell’opera e della comunicazione. Il confronto ha luogo anche con discussioni tra i partecipanti. Un vero College. Caratteristica accentuata dalla possibilità di ospitarlo nelle strutture del campus dell’isola di San Servolo. Tutti avrebbero tratto vantaggi da questo soggiorno e per alcuni ci sarebbe stato il finanziamento della Biennale per la realizzazione del loro film. I film finanziati sarebbero stati proiettati nel corso della Mostra nell’anno successivo.
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Saggi
Biennale College Cinema
La decisione di mettere a disposizione oltre alle risorse per lo svolgimento del College anche le risorse per produrre alcuni dei film selezionati alla fine, fu scelta non facile per La Biennale, che di solito semmai cerca contributi per sé piuttosto che offrirne! La presenza di sponsor poteva aiutare certo, ma La Biennale doveva comunque garantire il progetto nella sua continuità. Il College era un progetto di ampio respiro e il suo futuro doveva essere assicurato. Presentando alla Mostra i film prodotti con il nostro grant si esponeva al giudizio della comunità internazionale del Cinema anche il progetto Biennale College nella sua globalità. Il mondo avrebbe giudicato anche metodi e risultati, un rischio non piccolo. La comunità internazionale ha risposto con grande interesse. Lo si volle internazionale. I registi italiani che eventualmente vi avessero preso parte, e ai quali sarà poi offerta una sessione preparatoria aggiuntiva, avrebbero vissuto un’esperienza unica a fianco di colleghi di tutto il mondo. Ebbene questo libro riassume l’attività del College Cinema svolta in questi primi dieci anni. Vuol essere un gesto di gratitudine verso tutti coloro che in vario modo e con diversi ruoli la hanno animata, e di ispirazione e incoraggiamento per quanti la animeranno. Ai risultati ottenuti (148 lungometraggi transitati, 34 lungometraggi prodotti con il grant) si aggiungono le esperienze compiute nella Musica (25 piccole opere del teatro musicale) nella Danza (con il mettere a disposizione di giovani coreografi alcuni danzatori professionisti) nel Teatro (con il favorire le realizzazioni di nuovi registi e drammaturghi). Anche il Settore Arti Visive ha avviato recentemente un suo primo progetto.
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Alberto Barbera, Savina Neirotti
La scommessa
ALBERTO BARBERA
Alberto Barbera (1950) è tornato a dirigere nel 2012 la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dopo un primo mandato di tre anni, dal 1999 al 2001. In precedenza, era stato critico cinematografico per un quotidiano nazionale, collaboratore di rubriche radiofoniche e televisive, autore di saggi critici e pubblicazioni di argomento cinematografico, curatore di mostre sul cinema. Dal 1982 ha collaborato con il Torino Film Festival, che ha diretto dal 1989 al 1998. Nel 2004 è stato nominato direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino, incarico che ha lasciato nel 2016. SAVINA NEIROTTI
Laureata in filosofia, Savina Neirotti lavora da ventotto anni nel campo dell’alta formazione nei campi del cinema e della narrazione. Attualmente è Head of Programme di Biennale College Cinema, che ha ideato nel 2012, e di Biennale College Cinema Virtual Reality, fondato nel 2016. Per La Biennale di Venezia è anche curatrice dei contenuti per il Venice Production Bridge. Ha ideato e diretto TorinoFilmLab per dodici anni, dal 2008 al 2020, ed è stata partner della Scuola Holden sin dalla sua nascita per oltre quindici anni, ricoprendo il ruolo di amministratore delegato dal 2018 al 2021.
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Saggi
Biennale College Cinema
Come molte iniziative di successo, anche questa vide la luce – in forma di abbozzo ancora suscettibile di un pieno e soddisfacente sviluppo progettuale – tra una portata e l’altra di un pranzo speciale. La tavola ospitante era quella del Presidente della Biennale, Paolo Baratta, un giorno di fine dicembre del 2011. Alberto Barbera aveva appena accettato di tornare a dirigere la Mostra del Cinema dopo l’esperienza del triennio 1999-2001 e l’incontro doveva servire a condividere le linee programmatiche di un atteso rilancio della manifestazione veneziana, messa in difficoltà dalla concorrenza aggressiva di altri festival internazionali meglio equipaggiati sul piano economico e delle strutture di accoglienza. Accanto alla riduzione del numero dei film da invitare e all’ancora più rilevante intenzione di procedere al rinnovamento dell’intero parco sale, degli spazi dedicati alla stampa, alle delegazioni, agli ospiti e al pubblico (rimasti a lungo identici a se stessi, carenti in manutenzione e adeguamenti tecnologici), l’esigenza di investire in un inedito programma si impose con l’evidenza di una necessità non derogabile. Un progetto capace di coniugare il supporto a giovani registi esordienti con un gesto innovativo in un settore non del tutto privo di sostegni economici destinati ai nuovi talenti. E con l’ambizione di fare dell’alta formazione, ancorché estranea a ogni tentazione accademica o didattica in senso tradizionale. Da tempo, la maggior parte dei grandi appuntamenti festivalieri (Cannes, Berlino, Locarno, Rotterdam, Torino) avevano scelto di affiancare alla funzione principale – che consiste nel proporsi come vetrina del cinema di qualità e terminale del processo produttivo di film in cerca di un’adeguata valorizzazione – una serie di iniziative intese a generare occasioni di supporto al cinema indipendente e agli autori esordienti. La Cinéfondation, l’Atelier, lo Hubert Bals Fund, il World Cinema Fund, Open Doors, il TorinoFilmLab erano, e sono tuttora, i nomi di iniziative tutt’altro che ignote a chi si occupa di questo importante ambito, interessato al futuro del cinema d’autore. La volontà di spingersi oltre, facendo peraltro tesoro dei risultati da esse acquisiti, fu lo stimolo per l’elaborazione a Venezia di un modello del tutto inedito e ambizioso che, muovendo dall’esperienza germinale del TorinoFilmLab – nato nel 2008 da un’idea di Alberto Barbera e Savina Neirotti – aspirava a far convergere l’attività di sviluppo di sceneggiature (praticata con ottimi risultati sia a Torino che in altre sedi, non solo italiane), in un assai più rischioso e privo di precedenti progetto di produzione a bassissimo costo di opere di cineasti esordienti, selezionati attraverso un bando internazionale. Come spiega Paolo Baratta nel suo testo introduttivo, da qualche tempo La Biennale aveva avviato un processo di trasformazione dei workshop (già praticata nei Settori di Teatro e Danza) in attività finalizzate alla creazione di spezzoni di spettacoli, destinati ad essere presentati nell’ambito dei rispettivi Festival annuali. L’idea di dar vita all’esperienza matura del College, che fece così la sua prima compiuta sperimentazione nel Cinema per poi coinvolgere Teatro, Musica e Danza (e dal 2022 anche Arte), nacque in questo modo, favorita dalla possibilità – negata ad altri – di potersi servire della piattaforma festivaliera per offrire piena visibilità ai progetti sviluppati e finanziati nel corso dell’anno precedente nei diversi Settori della Biennale.
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Per tornare all’ambito che ci riguarda più da vicino, non si fece altro che prender nota del fatto che mancava, nei progetti europei dedicati alla formazione di sceneggiatori, registi e produttori, un percorso che contemplasse non solo lo sviluppo di sceneggiature e le modalità di accesso al mercato, ma una vera e propria attività di produzione di opere prime e seconde. Nel settembre 2011, Savina Neirotti era stata invitata alla IFP-Independent Filmmaker Project Film Week, a New York, mercato internazionale dedicato a registi e produttori indie provenienti non solo dagli Stati Uniti, ma anche dal resto del mondo. Era l’anno in cui nascevano le prime piattaforme di crowdfunding, e su Kickstarter convivevano progetti di autori affermati, come Charlie Kaufman e quelli di esordienti sconosciuti, ma pieni di idee originali e innovative. La parola che ritornava più spesso, nei vari incontri, era “micro-budget”. La mancanza o scarsità di fondi pubblici spingeva molti autori a trovare soluzioni creative per girare lungometraggi, affrontando il set non solo per qualche giorno, come nel caso dei cortometraggi, ma per tutte le settimane necessarie alla realizzazione di un vero e proprio film. I progetti trasudavano originalità: era come se la costrizione di budget avesse stimolato la fantasia e le abilità di molti. Spesso, attori e attrici affermati si rendevano disponibili a girare questi film quasi pro-bono, attratti da sceneggiature intelligenti e da ruoli poco ordinari. In Europa, nel frattempo, i finanziamenti per le opere prime e seconde diminuivano anno dopo anno, e gli esordi nel lungometraggio si spostavano più verso i quarant’anni. Inoltre, spesso passavano tra i tre e cinque anni prima che si riuscisse a completare il finanziamento di un film, compromettendo la sua urgenza e, non di rado, mettendo alla prova la determinazione del regista. E quando il film era finalmente girato, la ricerca del distributore internazionale rappresentava un nuovo, spesso insormontabile ostacolo alla sua diffusione, quanto meno ritardandone l’uscita. Il progetto della Biennale College Cinema prese rapidamente forma. Con l’incitamento venuto dalla Presidenza, Barbera e Neirotti si misero subito al lavoro e, alla fine del mese di gennaio 2012, il progetto aveva assunto le caratteristiche principali che ancora oggi lo contraddistinguono. La prima consiste nel rivolgersi non solo a sceneggiatori e registi, ma alla coppia creativa rappresentata da un cineasta (anche autore) e da un produttore, nella consapevolezza che solo un team precostituito sulla base di affinità e una fiducia reciproche, sia in grado di affrontare e risolvere i non pochi problemi generati dai limiti di budget e di tempo che il progetto presuppone. La seconda caratteristica consiste nell’offrire un workshop di formazione intensiva della durata massima di due settimane, a Venezia, con la collaborazione e il sostegno di esperti provenienti da ogni settore dell’audiovisivo e da ogni continente. I tutors seguono lo sviluppo del progetto in ogni sua fase, dal primo, indispensabile momento rappresentato dall’elaborazione della sceneggiatura sino allo sviluppo vero e proprio del progetto produttivo, nel terzo e ultimo workshop a cui accedono solo i team che hanno superato un’ulteriore selezione qualitativa. Il tutto, non imponendo modelli precostituiti, come avviene ad esempio nelle tradizionali scuole di sceneggiatura all’americana, ma praticando un assai più difficile e rischioso esercizio di maieutica, inteso ad accompagna-
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Saggi
Biennale College Cinema
re i cineasti nell’imprevedibile processo di dar configurazione e consistenza espressiva all’idea germinata in loro in forma ancora embrionale. Terza e ultima caratteristica della Biennale College Cinema, che lo rende tutt’ora un unicum al mondo, la scelta di premiare tre progetti – sono diventati quattro a partire dal 2020 – conferendo loro un grant di 150.000 euro, che dal 2022 è stato portato a 200.000, con l’utilizzo esclusivo del quale il produttore s’impegna a realizzare il film che sarà presentato all’edizione successiva della Mostra del Cinema. L’intero processo – dal momento dell’avvenuta selezione dei 12 progetti per il tramite di un bando internazionale, sino alla proiezione dei film così prodotti – dura esattamente un anno, nel corso del quale i cineasti selezionati possono veder coronato il sogno di dar vita al loro primo lungometraggio (solo di rado si tratta di un’opera seconda). Non sfuggirà a nessuno il valore di un’esperienza consimile, né sfuggiranno le difficoltà intrinseche connesse alla sua riuscita. I rischi di un progetto ambizioso e concreto al tempo stesso erano sin dall’inizio evidenti e molto elevati: era davvero possibile produrre film di valore con queste restrizioni di budget e di tempo? Come evitare di dar vita a un “format” targato Biennale College, che avrebbe compromesso l’identità di ogni team e creato prodotti standardizzati? Come gestire la differenza di valore del denaro tra un Paese e l’altro, dove i costi di produzione variano in misura sensibile? Che cosa poteva succedere se un team non fosse riuscito a terminare in tempo il film, rispetto alla scadenza imposta? Di chi sarebbero stati i diritti, una volta completato il film? Il sostegno offerto dalla Biennale di Venezia al progetto, insieme con la risposta a questi interrogativi, si rivelò all’altezza del prestigio indiscusso di cui gode la principale istituzione culturale italiana. Il contratto messo a punto con l’aiuto di uno studio legale esperto in questioni di diritto d’autore internazionale, scelse di tutelare sotto ogni aspetto i team creativi, riconoscendo loro la piena e assoluta titolarità dei diritti dell’opera realizzata con il sostegno della Biennale, garantendo a quest’ultima l’indispensabile visibilità che spetta al produttore di un film, insieme con l’esclusiva della prima mondiale. L’aspetto della formazione rimane in questo modo centrale: si tratta di un College, e come tale l’esperienza deve trascendere il progetto stesso, preoccupandosi in primo luogo di formare professionisti ai quali viene offerta la possibilità di impadronirsi degli indispensabili strumenti di sviluppo necessari alla creazione di un progetto cinematografico, di cui avranno modo di servirsi anche per le loro opere successive. Le costrizioni di tempo e di budget vengono piegate alle esigenze creative, cessando di essere limitazioni insostenibili per assurgere al ruolo di opportunità espressive; si rafforza in questo modo il lavoro di squadra necessario a superare le difficoltà, anche le più inaspettate. L’IFP (oggi The Gotham), allora diretto da Joana Vicente e oggi da Jeff Sharp, è nel frattempo diventato un partner accademico e strategico fondamentale, a conferma che i film a micro-budget non sono solo un escamotage produttivo, ma una realtà significativa, in grado di offrire a un numero crescente di giovani talenti l’opportunità di esordire in una professione ambita ed elitaria, senza che peraltro i film prodotti in questo modo deb-
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bano necessariamente soffrire al confronto con produzioni molto più costose. Quando, di comune accordo, si decise di correre il rischio di un’avventura senza precedenti, si scelse di porre l’accento sul percorso più che sull’eventuale risultato, andando alla ricerca di tutor da tutto il mondo, disposti a condividere lo spirito dell’iniziativa appassionandosi al progetto e avendo come priorità il rispetto della voce di ciascun regista. Non a caso, il termine più usato nelle diverse presentazioni organizzate per promuovere il progetto era “scommessa”, con l’implicita ammissione non solo del rischio ma anche della possibilità tutt’altro che remota di un parziale, se non totale, fallimento della stessa. I fatti ci hanno dato ragione: con la sola eccezione del 2019 quando, a causa del primo, inatteso lockdown seguito alla diffusione del Covid-19, due dei tre progetti finanziati furono costretti a sospendere le riprese (che si sarebbero comunque positivamente concluse l’anno successivo) tutti i film messi in cantiere con le risorse offerte dalla Biennale sono stati realizzati in tempo per essere presentati alla Mostra del Cinema dell’anno successivo. Oggi, sotto gli occhi di tutti, è il corpus di 60 lungometraggi sviluppati all’interno del College: 34 direttamente finanziati con il grant di 150.000 euro mentre altri 26 film, sviluppati nell’ambito del primo workshop di ciascuna edizione della Biennale College Cinema, sono invece stati prodotti con risorse proprie, reperite altrove. Altri titoli si aggiungeranno in futuro a questo repertorio da far invidia a molte library di produttori indipendenti, fino a quando la fucina del College Cinema continuerà a offrire le stesse opportunità a progetti provenienti da ogni dove. Film così diversi tra loro che è difficile immaginare siano stati incubati insieme e provengano dalla stessa officina creativa. Ma non è questo una ragione per esserne meno soddisfatti, anzi. Negli anni il College stesso si è evoluto, rimanendo fedele ai principi base, ma aggiustando la mira, perfezionando i dettagli e correggendone gli errori inevitabilmente commessi. La prima edizione, avviata nel 2012 con il sostegno finanziario di Gucci (che lascerà due anni dopo, a seguito di un cambio di management e delle proprie strategie di marketing), prese il via a gennaio, con il primo workshop di sviluppo delle sceneggiature. I team prescelti per la produzione ebbero poco più di sei mesi per completare i film: un’impresa nell’impresa, con tempi davvero impossibili, apparentemente inconciliabili con quelli di una produzione ‘normale’. Dal secondo anno e per tutte le edizioni successive, il primo workshop si tiene in ottobre, consentendo di affrontare le scadenze previste, il secondo workshop a inizio dicembre e il terzo in gennaio, per dare modo ai quattro team di affrontare la produzione vera e propria con margini sostenibili di rischio. Tuttavia la storia del College Cinema è, inevitabilmente, anche una storia di imprevisti sorprendenti e problemi apparentemente irrisolvibili. Nel caso di un film, l’attore principale sparì durante le riprese, gettando nel panico l’intero team, salvo ricomparire dopo qualche giorno. Numerosi film avevano giovanissime protagoniste o addirittura bambini in ruoli delicati, con l’inevitabile incremento di problemi imposti dal rispetto di precise regole da seguire sul set. A guardare bene, ogni singolo film ha rappresentato una sfi-
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da specifica da superare per ciascun team, sempre e comunque affiancati dai tutor, anche se, in questi casi, soltanto a distanza. Vale la pena di sottolineare come il ruolo del College consista esattamente nel preparare i team a predisporre ogni singola operazione necessaria alla realizzazione del film, aiutandoli ad affrontare l’inaspettato, invitandoli a tener pronta una soluzione di riserva in caso di imprevisti, ma anche a improvvisare un piano C qualora sia il piano A che il piano B si rivelassero impraticabili. Un ruolo di accompagnamento costante ma non invasivo, sostanziale nella sua concretezza e insieme libero da schemi e formule precostituite. È con legittimo orgoglio che, in capo a dieci anni di attività di un lavoro per molti versi pionieristico, si può tracciare un bilancio dei risultati composto di esiti pressoché esclusivamente positivi. Come si può osservare dalle schede dei singoli film che compaiono in questo volume, la maggior parte dei film prodotti nell’ambito della Biennale College Cinema ha ottenuto un successo insperato. L’accoglienza positiva al momento della prima proiezione pubblica alla Mostra del Cinema è stata seguita da inviti a numerosi altri festival di tutto il mondo. Per molti, questa partecipazione si è tradotta in premi e riconoscimenti di varia natura. Pressoché tutti i film hanno trovato una distribuzione commerciale, nel tradizionale circuito delle sale cinematografiche e/o sulle piattaforme online. Infine, numerosi autori che hanno esordito con il College, hanno poi proseguito la loro attività diventando registi di professione, a conferma che uno degli obbiettivi principali non era fuori della portata dei suoi partecipanti. L’accoglienza del College Cinema, e il successo del suo format, ha poi fatto da modello ad altri College della Biennale, compreso il College Cinema Virtual Reality, nato in concomitanza con il concorso di Realtà Virtuale (o, come oggi si preferisce definirlo di Realtà Immersiva), che la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia inaugurò – prima al mondo – a partire dal 2017, e l’introduzione di numerosi progetti di Realtà Immersiva al Gap Financing Market del Venice Production Bridge. Poter considerare la Realtà Virtuale, o la Realtà Immersiva in generale, come una forma di espressione artistica a sé stante, con infinite possibilità da esplorare al confine fra tecnologia, interattività, costruzione di mondi e di esperienze, ha fatto del College Virtual Reality il primo in Europa ad affrontare tutti i suoi aspetti in modo integrato, sperimentando direttamente con le opere. La “velocità” che caratterizza l’ingresso di questa tecnologia nel mondo ha contraddistinto anche il College, che 6 anni dopo la sua prima edizione può già contare su un corpus di 21 opere sviluppate nel suo ambito e presentate a Venezia, di cui 8 realizzate con il grant di 60.000 euro da parte della Biennale stessa, che a partire dalla prossima edizione verrà portato a 75.000 euro. In sintesi, questi dieci anni della Biennale College Cinema e Virtual Reality hanno prodotto 81 opere audiovisive, realizzate da altrettanti team composti da un regista e un produttore, provenienti da ogni continente e da 48 paesi. È aver contribuito a generare questa comunità di artisti, oltre che il corpus delle opere realizzate, ciò di cui andiamo più fieri.
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Glenn Kenny
La vita del cinema
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Glenn Kenny è un critico cinematografico i cui scritti sono apparsi su RogerEbert.com e sul New York Times. È l’autore di Made Men: The Story of ‘Goodfellas’.
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Fu nel 1895 che Louis Lumière avrebbe detto che il cinema era “un’invenzione senza futuro”. L’angoscia sul futuro del cinema perdura essenzialmente da allora. Nel 2013 lo studioso James Neremore ha intitolato An Invention Without a Future le sue riflessioni sul cinema nell’era digitale. Ma non sono solo digitalizzazione, streaming e l’incombenza dell’obsolescenza forzata a rendere il futuro del cinema più incerto che mai: sono i film stessi. L’inarrestabile omologazione del ‘contenuto’ è solo l’inizio. Se si considera l’indignata insistenza degli eterni adolescenti che la cultura di massa sia Arte, si diventa ancor piú scettici sull’indebolimento dei confini tra alto e basso di cui il cinema stesso s’è reso in parte complice. E sui seminari e i manuali di scrittura creativa che fanno propria o persino impongono la struttura in tre atti, convenzione teatrale che dovrebbe aver poco o niente a che fare col cinema. E sul falso senso di legittimazione che dice all’artista alle prime armi di raccontare la propria storia, spingendolo poi a raccontarla nel modo più digeribile e convenzionale possible. Perché il cinema possa avere un futuro, la sua pratica deve consistere in questo: immettere vita e sangue nell’inquadratura, sullo schermo e dentro gli occhi e orecchie degli spettatori. Non sarà questa la missione esplicita di Biennale College, ma è proprio ciò che fanno i migliori film che ho visto di questo programma genuinamente innovativo. Dall’autunno del 2015 ho il privilegio di partecipare al panel, presieduto dal formidabile Peter Cowie, che valuta i film della Biennale College e cerca di fare ragionevoli previsioni su come possano inserirsi nella ‘scena’ – o meglio ancora nel mercato – internazionale, o quali possibilità abbiano di riuscirci. Sono un critico e non un esperto di promozione, e come esteta più o meno autodidatta tendo a storcere il naso quando si parla di marketing. Ma sono anche realista: il mercato determina come un film verrà visto; peggio: determina se un film verrà visto. La Biennale College scioglie la lingua dei registi, per così dire, e consente loro di esprimersi il più radicalmente e assolutisticamente possibile. E poi La Biennale stessa proietta quei film in sala. Mi dà sempre soddisfazione, alle proiezioni del College, vedere un pubblico entusiasta, a volte composto da delegazioni dei paesi d’origine. Una volta terminate le proiezioni, i film devono farsi strada nel mondo. E anche questa è una sfida, almeno quanto lo è stata la produzione stessa dei film. Vivo a New York, e ogni anno al ritorno da Venezia c’è sempre qualcuno che mi chiede cosa sia la Biennale College. Il mio tentativo di risposta preconfezionata è: “Beh è grosso modo un misto tra i Sundance Labs e Project Greenlight, ma senza l’elemento del reality”. La (rediviva) trasmissione via cavo Project Greenlight seguiva uno specifico film ‘indipendente’ attraverso le fasi di sviluppo e produzione con particolare enfasi sulle fissazioni di giovani cineasti coll’ambizione di ‘farcela’ a Hollywood. È ovvio, quindi, che la mia spiegazione informale la fa un po’ troppo semplice, ed è essenzialmente inaccurata. Anche i film statunitensi finanziati dalla Biennale esistono in uno spazio estetico lontano da Hollywood. E persino i benemeriti Sundance Labs mettono insieme i loro progetti conformandosi a qualcosa di quanto meno periferico rispetto a Hollywood.
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Più faccio il critico, piú mi convinco che il vero futuro del cinema emergerà da un luogo totalmente altro. Il processo di workshop per la Biennale College, come mi hanno raccontato i registi nel corso degli anni, mette i cineasti in uno spazio lontano dalle considerazioni commerciali, mentre, ovviamente, richiede loro di innovare con un budget limitato. Anche quando mi è capitato di vedere film del College di cui non ero completamente convinto, non ho mai pensato che qualche euro in più ne avrebbe risolto i problemi. Le costrizioni di budget non possono schiacciare la libertà artistica. I primi film del College che ho visto avevano una freschezza esaltante che era almeno in parte dovuta al modo in cui lavora un artista quando non deve minimamente preoccuparsi di soddisfare aspettative commerciali. The Fits di Anna Rose Holmer, un film conciso, potente ed enigmatico incentrato su una banda di ginnasti e danzatori di strada americani, si presenta all’inizio come un convenzionale film drammatico di formazione. Ma diventa qualcosa di più ricco, strano e irrisolto. All’epoca ne avevo scritto: “Questo film inquietante ha un ritmo deciso e un punto di vista micro-specifico che sfida lo spettatore a capire dove andrà a parare. È un film dell’orrore travestito da realismo urbano? Un trattatello sul potere femminile in forma di film d’autore, Pitch Perfect diretto da Ken Loach? No. Come Ma,” – un film di danza di Celia Rowlson Hall anch’esso presentato alla Mostra di quell’anno – “questo è un film che inventa il suo proprio genere man mano che va avanti”. Avevo anche rilevato che anche Hall aveva partecipato a The Fits, come consulente di movimento. Una piccola parte del mio entusiasmo derivava di certo dall’aver scoperto un paio di cineaste del mio paese che lavoravano in collaborazione. Lontana dal tranquillo e seducente controllo di Holmer era la brutale dismorfia corporea raffigurata in Baby Bump di Kuba Czekaj, storia vera di mutazioni adolescenziali di un teppistello. Un cinema personale di estrema aggressività. In alcuni anni i film potevano sembrare una sorta di notiziario dal fronte. La Soledad, diretto da Jorge Thielen Armand nel 2016, descriveva il disastro economico del Venezuela per mezzo di una metafora che non era in realtà tale: una casa fatiscente a Caracas. In vista della sua imminente demolizione, la famiglia che ci vive va a caccia dell’oro che vi giace presumibilmente sepolto. Armand ha inventato la storia e vi ha depositato dentro una famiglia reale, che ne ha impregnato la visione con una straordinaria immediatezza. I film che aspirano ad affrontare “la vita d’oggi” tendono a generalizzare; per la Biennale College, la specificità appare la qualità più attraente con cui un regista possa presentarsi. Strange Colours, del 2017, realizzato in Australia da Alena Lodkina e con Kate Cheel in una delle migliori interpretazioni che abbia mai visto in un film del College, sembra un po’ generico nella premessa, in cui una giovane donna intraprende un lungo viaggio per visitare un padre malato e a lungo ignorato. È trattato con delicatezza, ma non è niente di nuovo. Ma il padre si trova in un entroterra remoto, minatore di opale in proprio, in una comunità di altri minatori di opale, maschi duri e bevitori. Il paesaggio, sia in superficie sia nel sottosuolo, agisce qui come forza di trasformazione, e il tratta-
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mento delicato e ricercato di Lodkina, insieme alle interazioni di Cheel, rendono il film potentemente surreale. Probabilmente è stata una coincidenza, ma nel 2018 sono rimasto fortemente colpito dal fatto che tutti e tre i film in palio fossero incentrati su protagonisti costretti ad esistere ai margini della società. In Yuva, di Emre Yeksan, un uomo viene costretto a lasciare la sua dimora nei boschi. L’ungherese Deva, diretto da Petra Szőcs, parla letteralmente di un orfano, con albinismo, che si prepara con riluttanza ad affrontare il mondo esterno. Ho trovato molto commovente Zen sul ghiaccio sottile, prodotto nel paese d’origine della Biennale, l’Italia. Quest’Italia, una valle di montagna del nord, non è l’Italia che i miei compatrioti vedono ritratta al cinema. Ovviamente riflette le preferenze di Zen, la protagonista adolescente, appassionata di hockey su ghiaccio che sta vivendo una fase interlocutoria sulla propria identità di genere. Il film, scritto e diretto da Margherita Ferri, è, tra quelli che ho visto, quello che meglio ha saputo trasmettere lo stato emotivo e mentale di un individuo in stato di transizione. È un ritratto incoraggiante; all’epoca della proiezione m’immaginavo persone trans-ignoranti che uscivano dal cinema dicendo “Oh, ora capisco”. Le selezioni per il 2019 mi hanno ispirato a scrivere, nei resoconti che faccio dalla Mostra del Cinema sul sito RogerEbert. com: “Quando si discute il problema della diversità tra i registi statunitensi, è probabile che salti fuori quest’argomento: che i film fatti da donne, persone di colore e persone trans consisteranno invariabilmente e inevitabilmente di polemiche o lamentele che servono solo a portare acqua al loro piccolo mulino. Ma vedere la diversità in azione significa capire che è tutt’altro che un collo di bottiglia”. A titolo di esempio, ho scritto di un regista e delle sue scelte musicali: “Un regista africano che commissiona a un compositore giapponese una colonna sonora ASSORDANTE che spesso sembra Penderecki remixato da un deejay techno. Ecco la vera diversità: imprevedibile, anticonformista, fantastica”. Il regista africano era Lemohang Jeremiah Mosese, il compositore era Yu Miyashita e il film era This is Not a Burial, It’s a Resurrection, di cui parleremo tra poco. Un altro film di quell’anno, The End of Love, si rivelò inavvertitamente profetico. È la storia di una coppia a lungo separata per via di un problema di visto, che deve comunicare via Skype per quasi tutta la durata del film. Così sarebbe stato per tutti noi nel 2020, costretti a comunicare via Skype o Zoom. La crisi del Covid ha creato a dir poco delle difficoltà nella vita come la conosciamo – o la conoscevamo – e sono certo che i futuri film del Biennale College affronteranno questo problema. Al ritorno a Venezia nel 2021, il contingente americano della giuria di Peter Cowie, assente nel 2020, aveva un gruppo più corposo di film da affrontare. L’ampiezza della visione dei registi emergenti è esemplificata da Mon pere, le diable di Ellie Foumbi, in cui una chef in un ospizio di lusso nel sud della Francia deve affrontare una figura proveniente dal suo violento passato in Africa. Oltre ad avere un intreccio di notevole suspense, il film è un esemplare studio del trauma e una critica bruciante (sebbene in qualche modo implicita) del colonialismo. Un film statunitense, The Cathedral di Ricky D’Ambrose, ha ampliato il precedente cortometraggio del regi-
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sta, The Sky Is Clear and Blue Today, cucendo insieme profondi traumi infantili (ricordi non solo di arretratezza, per così dire, ma di disattenzione) con una decisa enfasi sulle catastrofi storiche mondiali, inclusi due attacchi al World Trade Center di New York. D’Ambrose è un regista che conosco e con cui ho lavorato. Mi ero rifiutato di recitare in questo film quando avevo scoperto che era patrocinato dalla Biennale College, per tema di un potenziale conflitto d’interessi. Ora ne sono pentito, perché penso che ne sia uscito un capolavoro. Tornando a This is Not a Burial: questo film fondamentale non solo ha trovato distribuzione negli Stati Uniti, ma è entrato anche nell’annuale top ten di RogerEbert.com. Mi era stato richiesto un breve saggio sul film, e vi avevo incluso un aneddoto che penso metta in chiara evidenza l’importanza del lavoro della Biennale College. Ne riporto qua un estratto: “Insegno Language of Film alla New York University, e le lezioni dell’autunno 2020 e della primavera 2021 si sono tenute a distanza. Questo ha creato alcune condizioni oggettivamente disumane per gli studenti che si collegavano dall’Asia orientale o meridionale alle 9:30 ora di New York (fatevi voi i calcoli). Ma è stato piacevole vedere gli studenti che partecipavano dai loro ambienti domestici, perché (è un’intuizione, in realtà non ho modo di dimostrarlo) si sono sentiti più liberi e più schietti e pienamente sé stessi durante e dopo le lezioni. Comunque. Uno dei miei studenti in primavera era a Rio de Janeiro, in Brasile. Estremamente competente su gran parte del materiale che stavo mostrando, era anche apertamente insoddisfatto dell’omologazione senz’anima del cinema contemporaneo (per non parlare del tedio associato a gran parte del cosiddetto canone). Il suo modello cinematografico è l’audace regista brasiliano Glauber Rocha. Un giorno dopo lezione si lamentava della mancanza di un vero cinema radicale, e cosí gli ho suggerito un film. Era uno che avevo visto a Venezia. Penso spesso che i critici non debbano tenere conto delle vicissitudini produttive dei film. Ma il fatto che il suo regista Lemohang Jeremiah Mosese abbia realizzato questo film ricco, denso, a volte inebriante, a volte sconcertante in molto meno di un anno, con un budget di 150.000 euro, è non solo prova della sua abilità tecnica ma della sua passione, visione e impegno. Parla di una madre e della terra a cui è collegata – in effetti, la storia non è troppo lontana da quella del bellissimo e sottovalutato Wild River di Elia Kazan – ma parla anche di colonialismo, ingiustizia, vita, e morte. […] È stato quindi proprio lui il film che ho consigliato al mio studente: This is Not a Burial, It’s a Resurrection. Per ironia della sorte, l’aveva già visto. Ma mentre ne pronunciavo il titolo, è praticamente saltato dalla sua sedia, a Rio. ‘Eccolo! Ecco il film! Ecco l’unico film che fa qualcosa di vero e nuovo!’” Questo è uno dei motivi per cui finché ci saranno La Biennale e la Biennale College, il cinema non perderà mai il proprio battito.
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Stephanie Zacharek
Biennale College Cinema: insieme nel buio
STEPHANIE ZACHAREK
Stephanie Zacharek è la critica cinematografica della rivista Time. In passato è stata responsabile della critica cinematografica per Village Voice e Salon. com, e i suoi scritti su film, musica, teatro e libri sono apparsi anche su New York Times, New York Magazine, Los Angeles Times, Rolling Stone e Sight and Sound. Ha fatto parte delle giurie della Berlinale, del Busan Film Festival e del Mumbai Film Festival, e fa parte del New York Film Critics Circle e della National Society of Film Critics. Nel 2015, è stata finalista per il Premio Pulitzer per la critica.
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Si può anche pensare che il cinema sia vecchio. Nessun lettore di queste righe era presente alla sua nascita, circa 130 anni fa. E oggi, mentre i film nell’era dello streaming si confondono con la televisione, quelli che non li amano abbastanza cercano di convincerci che sono vicini all’estinzione. Che l’esperienza di entrare nella foresta verdeggiante e misteriosa di una storia, tracciata su un grande schermo, è un’avventura che non vale più la pena vivere. Siamo così abituati a questo verdetto che siamo sempre più in pericolo di prenderlo per vero. Ma nessuna modalità espressiva può morire se continua a rinnovarsi. E se continuano a esserci giovani che vogliono fare – contro il parere del mondo o anche solo dei genitori – film da vedere su un grande schermo, esperienza condivisa che spesso placa la nostra solitudine riducendo lo spazio che ci separa. Sono questi i registi che la Biennale College Cinema, che celebra ora il suo decimo anniversario, è nata per promuovere. Sono il nostro nuovo presente in continua evoluzione, ma anche il nostro futuro: per andare avanti il cinema avrà bisogno di loro. Il cinema non è per cuori deboli, e ciascun progetto selezionato per essere sviluppato alla Biennale College è una prova di coraggio di un regista emergente. Il bacino dei candidati è sempre ampio, andando ben oltre il migliaio e giungendo da tutte le parti del mondo. Tra questi candidati, la Mostra del Cinema seleziona tre proposte di lungometraggi, finanziando ciascuna con 150.000 euro. I registi devono completare i film entro questo budget e consegnare un’opera finita entro dieci mesi. Per quanto sia un onore essere scelti per la Biennale College, significa anche accettare una missione che richiede rigore oltre che passione. Ricevere soldi per fare un film sarà inebriante, ma l’atto di dare vita a qualsiasi opera di valore è sempre accompagnato da stress e preoccupazione. Fiducia e insicurezza possono insinuarsi, ma non c’è tempo per fermarsi a riposare. È fondamentale mantenere lo slancio. Eppure, se anche questi registi hanno provato ansia o tensione, non ce n’è traccia nelle loro opere. I film della Biennale College hanno mantenuto alte e costanti sia varietà sia qualità. Questo lo so perché li ho visti tutti: negli ultimi dieci anni, ho avuto la fortuna di far parte delle giurie annuali invitate dallo storico e critico del cinema Peter Cowie, dedicate esclusivamente alla visione di questi film e poi a incontri per discuterne insieme ai registi. Aver visto ciascuno dei film della Biennale College prodotti negli ultimi dieci anni è un privilegio speciale, non solo per il sorprendente livello di maestria e cura evidenti a ogni passo, ma perché anno dopo anno questi progetti hanno continuato a colmarmi di quella risorsa preziosa che rischia sempre di prosciugarsi: la speranza. In un mondo in cui presunti esperti continuano a insistere sul fatto che il cinema in quanto arte sta morendo, questi film, con il loro battito cardiaco vigoroso, stanno sfidando le previsioni. Tale sfida era evidente fin dal primo gruppo di lungometraggi della Biennale College, presentato nel 2013. Era l’anno di Memphis di Tim Sutton, sonetto per una città complessa e vitale, e della commedia deliziosamente insolita di Alessio Fava Yuri Esposito: due film che scaturiscono da visioni diverse ma ugualmente individuali. E con ogni nuovo anno, il filo conduttore dei film di Biennale College è emerso con sempre maggiore chiarezza. Que-
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sti film sono sempre opere istintivamente personali, splendidamente realizzate e di grande purezza nella loro dedizione all’idea di ciò che i film possono e dovrebbero essere. Le considerazioni commerciali non sono mai in primo piano. Beautiful Things, il travolgente documentario di Giorgio Ferrero del 2017, ci sfida a pensare in modi nuovi al consumismo e ai prodotti che ci seducono. È provocatorio ed elettrizzante come il free jazz. Anche quando i film della Biennale College hanno trovato distribuzione e quindi un pubblico più ampio – come ha fatto l’audace e originale film di formazione The Fits di Anna Rose Holmer, del 2015 – è sempre chiaro che questi registi non hanno mai corteggiato il successo convenzionale. Anzi, i loro film sono ansiosi di rischiare e di allargare i confini del nostro modo di pensare il cinema. Questo è particolarmente vero nel caso di This Is Not a Burial, It’s a Resurrection (2019) di Lemohang Jeremiah Mosese, in cui una donna anziana dimostra la sua dedizione per la terra in cui ha messo su casa. È una storia sulla ricerca della grazia nel pieno di un abbandono, così visivamente ricca e creativa che si fatica a credere che sia stata completata con un budget così modesto. I film della Biennale College dimostrano in modo quasi impercettibile che ci sono sempre nuovi modi di raccontare storie note. In Blood Cells (2014), di Luke Seomore e Joseph Bull, un uomo che aveva lasciato la fattoria di famiglia dopo che era andata distrutta durante l’epidemia di afta epizootica del 2001, riprende i contatti con suo fratello, innescando riverberi sismici di cambiamento. Le storie d’amore sono perenni, ma con Zen sul ghiaccio sottile (2018), Margherita Ferri ha aperto una nuova prospettiva sul deprimente stato di solitudine adolescenziale e su come trovare qualcuno di cui fidarsi possa essere un cura. E per quanto l’impossibilità di lasciarci davvero il passato alle spalle sia un tema comune al cinema, in Mon Père, le Diable (2021), Ellie Foumbi affronta questa nozione in modo particolarmente penetrante, raccontando la storia di un ex bambina soldato costretta a rivivere il trauma della sua vita precedente, sotto forma di un uomo che arriva nella sua città fingendo di essere qualcosa che non è. Far parte di un pubblico che vede questi film per la prima volta – iniziare con loro all’inizio del loro viaggio pubblico, dopo che i loro creatori hanno vi hanno riversato dentro così tanto – vuol dire sentirsi un’avventuriera che naviga in un mondo di possibilità. Dopotutto siamo dei cercatori, non diversamente dai protagonisti di due film della Biennale College: in La Soledad (2016) di Jorge Thielend Armand, un uomo cerca il tesoro che potrebbe salvare la sua famiglia, che si crede nascosto tra le mura stessa della villa abbandonata di Caracas in cui vive abusivamente. In Al Oriente (2021) di José Maria Avilés, un operaio di oggi si impegna a costruire una strada attraverso una regione dell’Ecuador che si dice contenga un tesoro nascosto; circa a metà, il film si piega su se stesso per spostarsi cent’anni nel passato. E noi lo seguiamo. I film hanno un proprio modo di tracciare un percorso, di portarci in nuovi dominî di esperienza che ci cambiano in modi profondi e delicati. Nei primi anni di vita la maggior parte di noi si sente dire, da persone più grandi che paiono saperne di più, che i film non sono “reali”, che anche quando riflettono la vita reale, sono comunque una specie di finzione. In senso squisitamente letterale, questo è
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ovviamente vero. Ma è sempre possibile che i film siano ciò che di più reale conosciamo, la stella polare a cui facciamo ritorno, le pietre di paragone che ci fanno sentire uniti da emozioni comuni in un mondo che si sgretola, un modo per fare il punto su noi stessi e tastarci il polso. Eppure, ogni anno che passa, sembra che la nostra attenzione si accorci. Siamo sempre più abituati a consumare piccoli bocconi, a fermarci e ripartire a seconda dell’umore. Dedicarsi a un film, visto in grande, per tutta la sua durata, senza fermarsi neppure una volta a controllare il telefono, è diventato un’usanza pittoresca dei tempi andati. La Biennale College, semplicemente esistendo, lancia una sfida sia ai registi che agli spettatori: i film non si devono ridurre a dimensioni gestibili; devono essere grandi e audaci, nel pensiero e nell’esecuzione, così che possiamo salire a incontrarli. E il College fa molto di più che sviluppare qualche lungometraggio selezionato all’anno: aiuta molti altri film nella scrittura e nella produzione, così che anch’essi possano farsi realtà e attirare il pubblico nel loro abbraccio. Le sfide da affrontare per i registi e gli amanti del cinema all’avvicinarsi del secondo quarto del 21° secolo sembrano spesso spaventose. Continuiamo a chiederci dove sono diretti i film. Che ne sarà dell’esperienza cinematografica tradizionale? Come possiamo aspettarci che i giovani registi abbiano interesse per un mestiere che secondo alcuni sta morendo? La Biennale College protegge le tradizioni del cinema anche quando aiuta nuovi cineasti a creare i film di domani. È un ponte tra il mondo che conosciamo e quello che dobbiamo ancora esplorare, un’inquadratura gloriosa e vuota che ci attende come una promessa.
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Biennale College Cinema
Federica Polidoro
Biennale College Cinema VR: i talenti che cambieranno il mondo Sfide e conquiste di un’arte neonata, al suo primo anniversario
FEDERICA POLIDORO
Laureata in storia, teoria e critica del cinema e degli audiovisivi all’Università di Roma Tre, ha poi studiato Broadcast Journalism alla New York Film Academy col produttore Bill Einreinhofer (vincitore di vari premi tra cui tre Emmy). Ha collaborato in vari ruoli, tra cui inviata videoreporter, con testate quali La Repubblica, L’Espresso, Il Sole 24 Ore, Vanity Fair, Rolling Stone, Il Foglio, Cineuropa, Artribune e Artslife, oltre che per l’International Cinephile Society. È docente di Editoria per il Fashion e l’Entertainment all’Accademia di Belle Arti di Frosinone.
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L’EUFORIA DEL TEMPO DELLE SCOPERTE
Fino al 2017 non avevo idea di cosa fosse la Virtual Reality. In quell’anno la Mostra del Cinema di Venezia lanciava un concorso parallelo dedicato a questo linguaggio, in un’isoletta di fronte alla costa occidentale del Lido, il Lazzaretto Vecchio. Una proposta tanto curiosa da farmi deviare dai programmi e impegnare qualche ora prima dell’apertura ufficiale del Festival all’esplorazione del nuovo spazio allestito. Il mio viaggio partì senza attese, con qualche pregiudizio e molto scetticismo. Invece, le due ore che avevo deciso di dedicare all’impresa diventarono prima un giorno e poi due; tornai per la terza volta e alla fine della settimana ero ancora lì: l’immersività mi aveva sopraffatta. Sono ancora oggi appena all’inizio del viaggio, ma di quell’anno dirompente ricordo tutto: soprattutto l’euforia che si respirava sull’isola. Se è vero che la Virtual Reality era familiare ai gamer, mi sconvolgevano tutte le sue altre applicazioni: La Biennale l’aveva sdoganata dal mondo nerd e aveva messo la tecnologia a servizio di una nuova arte. Nei corridoi sabbiosi del Lazzaretto stupore ed eccitazione, l’aria carica delle aspettative dei visitatori: giornalisti, curiosi, pionieri, imbonitori che, come in una fiera del cinema delle origini, invitavano a provare qualche eccentrico prototipo per un viaggio nella storia, nello spazio o, addirittura, nell’aldilà. LITURGIA E ANTROPOPOIESI DI UN’ARTE
Per vedere un film in sala c’è un rituale preciso, un tempo di cesura dalla realtà che è il buio prima dei titoli di testa: l’istante in cui inizia la magia. Per la VR questa transizione è più articolata. Alla Biennale, inoltre, la cerimonia è quasi performatica: un rito iniziatico, una sorta di rituale dantesco dai contorni mitici, dove un moderno Caronte traghetta una manciata di persone oltre la riva di Corinto per approdare davanti ad un diaframma gelatinoso che separa i due mondi: reale e virtuale. Utero o sala operatoria, lo spazio dove tutto avviene è protetto, gode di regole proprie, sempre diverse, e richiede uno spazio-tempo di decompressione pure prima dell’uscita e del ritorno alla vita reale. Una cerimonia pagana con una liturgia precisa che include una vestizione variabilmente complessa, dove al posto di pianeta, mitra e ferula lo spettatore-attore indossa un head set, due controller e qualche volta un giubbotto aptico o qualche altra innovazione tecnologica in via di sperimentazione. Nella VR i sensi cortocircuitano, stravolti come le regole della fisica classica lo sono nella fisica quantistica: gli spazi possono essere non euclidei, si può toccare con gli occhi, forgiare oggetti con il suono… In aggiunta, sull’isola del Lazzaretto, complici la scenografia e le sollecitazioni percettive che accompagnano il viaggio nel buio dell’Oculus – l’odore del legno, dei mattoni, dell’acqua salmastra, i grandi ventilatori che soffiano vento leggero mentre si vola restando fermi – l’esperienza diventa metafisica. E se Jean Baudrillard diceva che il Virtuale è l’utopia realizzata, il Lazzaretto è l’Isola dell’Utopia. Sono nata e risorta molte volte in un solo giorno. Ho visto persone guarire da traumi incurabili e con loro ho costruito vasi fatti di echi. Sono tornata indietro di milioni di anni e mi sono evoluta in un’entità superiore, come Jonathan Livingston. Ho immaginato mio figlio studiare l’Antico Egitto dentro una piramide con Cleopatra, combattere Waterloo sul campo
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Biennale College Cinema
di battaglia insieme a Napoleone, sperimentare un allunaggio e attraversare un tunnel spazio temporale. Ho anche temuto per la sua vulnerabilità in un Virtual Theatre e continuo a pormi molte domande sulla responsabilità di questa forma di racconto. IL NUOVO CHE AVANZA
Intanto che, come giornalista e critico, mi perdo in un dedalo di riflessioni filosofiche nelle pagine dei grandi teorici della postmodernità, e cerco di razionalizzare processi, funzioni, significato relativi a questo campo d’indagine, per me relativamente nuovo, la Biennale lavora a ritmo costante nell’ideazione, nello sviluppo e nella produzione di opere VR, con una sezione dedicata nel programma College Cinema dall’anno di lancio del settore. Nel 2022 cade il primo importante anniversario di questa coraggiosa avventura dedicata ai giovani talenti. LA CONSACRAZIONE DI UNA NUOVA ARTE
Al momento in cui scrivo sono 16 le esperienze nate grazie alla Biennale College Cinema VR, che quest’anno festeggia appunto i suoi primi sei anni. Un campionario che va dal gaming al concettuale, dalla narrazione lineare a quella interattiva, dalle riflessioni sulla scienza e la medicina fino all’indagine sulla superstizione e sul sovrannaturale, con risultati completamente differenti e singolarmente suggestivi. Così, mentre le nuove piattaforme si sviluppano senza controllo e ancora la politica sembra pericolosamente sorda alle potenzialità di questo mezzo, La Biennale si è ritagliata uno spazio unico, indipendente e all’avanguardia nel settore, con l’obiettivo di indagare tutte quelle che potrebbero essere le declinazioni della VR come nuova forma d’arte. TOPOI DELLA VIRTUAL REALITY
Alcuni accademici, come David J. Chalmers (docente di Filosofia e Scienze Neurologiche alla New York University) in Reality +, sostengono che in un futuro, neanche troppo lontano, entrare in VR sarà molto semplice, potrebbe bastare una comune montatura da vista – sono anni che Apple ne promette una –, un paio di lenti a contatto, oppure, più in là, impianti cerebrali come la penna USB di Sergio Rubini e Stefania Rocca in Nirvana di Gabriele Salvatores. Tuttavia come ho raccontato sopra, oggi per garantire uno stato di totale immersione nella VR è necessario indossare una strumentazione pesante, ingombrante e poco sexy. Poi, nell’istante in cui occhi e orecchie sono coperti, il mondo conosciuto non c’è più. TRASFORMAZIONE E CATARSI
Nelle opere prodotte dal 2017 è possibile già individuare delle tendenze comuni, di cui le più vistose sono la qualità metanarrativa del racconto, la natura sinestetica dell’esperienza e la vocazione catartica delle storie. Le avventure virtuali sembrano interrogarsi sui propri meccanismi e sulla propria ontologia, ancora ad oggi, in fin dei conti, oggetto di studi filosofici embrionali; esplorano le infinite possibilità dei sensi oltre il mondo reale e propongono, quindi, percorsi orientanti verso una redenzione-riscatto-emancipazione, che nelle occasioni più estreme sfociano nel superumano:
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al cieco torna la vista grazie alla musica, il profugo si affranca dal suo passato di persecuzione diventando un uomo di successo, il defunto risorge oppure torna indietro nel tempo per avere una seconda possibilità. Chi non si evolve, invece, resta in uno stato di sospensione che può essere il limbo del dubbio, della riflessione filosofica, dello spazio fra la vita e la morte, del labirinto. METANARRAZIONE
“Se chiudo gli occhi sento: un leggero fischio nell’orecchio, il mio respiro, il battito del muscolo cardiaco, il cuore, il flusso del sangue nelle arterie”. Le parole di Andrea Pavoni Belli che in Denoise si paragona ad un asceta, parlano del suo lavoro di scienziato del suono, ma anche di un processo di immersione in un’altra realtà, più intima e profonda, e sembrano alludere al processo di fruizione della VR. Il film di Giorgio Ferrero e Federico Biasin che inaugurò la neonata sezione con un’esperienza across College, che cioè proveniva da una costola di Beautiful Things, progetto lineare del College Cinema, offre spunti per confermare che l’autoriflessione non è casuale. “Il frastuono è talmente assordante da coprire anche il più forte dei rumori della vita quotidiana” commenta Danilo Tribunal, stravagante macchinista di una nave cargo, evocando la similitudine con lo stato di isolamento di un head set. Sempre nella stessa esperienza, il responsabile della logistica di un termovalorizzatore annota “Una persona normale non è quasi mai nel buio in silenzio. Ma nel silenzio una persona può trovare anche un grande senso di libertà”. Siamo noi l’individuo nel buio alla ricerca di una libertà impossibile nella realtà? La voce del tipo in hazmat suit giallo e maschera anti gas, ibrido tra un cartone animato, un astronauta e un alieno, suona come quella di Darth Vader: non è possibile distinguere i tratti del suo volto e sarebbe pure impossibile riconoscerlo senza il suo costume. Nella VR ognuno decide chi essere e come. INVENTARI
Il saggio transmediale Denoise oggi appare forse sgranato, poco interattivo e difettoso o sfuocato (i.e. lo stitching point fuori asse), complice la tecnologia che si evolve rapidamente. Resta interessante a distanza di anni, invece, l’inventario concettuale sulle possibilità di questo media. Un’esperienza herzoghiana e metanarrativa che riflette sul progresso, sulla tecnologia, sull’esistenza, sul desiderio, sulla virtual reality, con una partitura da cui è impossibile non essere sedotti. Nella stessa edizione il progetto On/Off di Camille Duvelleroy e Isabelle Foucrier si occupava dei necrofori del XXI secolo, permettendo ai fruitori dell’esperienza l’ingresso in un reparto di terapia intensiva. Mentre con la lucidità del presente quelle immagini profetizzavano i ritratti della pandemia, è inevitabile che nelle vite sospese ai macchinari medici non si specchiasse, già allora, anche lo spettatore con l’head set, peggio ancora se appeso all’Oculus Rift (ormai fuori produzione). ERESIE
In questo processo autoscopico di esperienza extracorporea si manifesta un’altra vocazione della realtà virtuale che rende obso-
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leta la teoria del Complesso della mummia, così come formulata da André Bazin nel 1945. Allora il critico, a proposito dell’Ontologia dell’immagine fotografica, spiegava che, riproducendo il reale, l’uomo avesse la percezione di salvare l’essere strappandolo al tempo e quindi di contrastare la morte attraverso l’apparenza. Il problema è che nella Virtual Reality spesso manca il referente reale. Jean Baudrillard nel breve saggio Violenza del virtuale e realtà integrale nel 2005 avvertiva “il mondo che ci attende è una copia perfetta di cui non sapremo neanche più che è una copia”, col risultato di mettere in crisi anche il mito della Caverna di Platone. Un mondo peraltro a cui, nel nichilismo più estremo, ci sostituiamo a Dio: ubiquità e sincronicità ne sono indizi inequivocabili. ECTOPLASMI
Al proposito, In The Cave (2018) di Ivan Gergolet è un viaggio fitzgeraldiano a ritroso dalla morte alla vita. Un anziano esce dalla sua stanza, ma dall’altra parte della porta c’è la soggettiva di uno spettatore-speleologo che avanza scivolando in una caverna umida e buia di carne e calcare. Il cerchio si chiude quando alla fine del tunnel c’è la rivelazione della nascita sul letto da cui era partito il vecchio: un luogo mitico dove, per citare Guy De Maupassant, avvengono i passaggi fondamentali dell’esistenza: nascita, amore e morte. Extracorporeo è anche Elegy, progetto di Marc Guidoni del 2018, in cui un’anima resta imprigionata nell’ascensore di un albergo di lusso per colpa della sua ex, che non riesce a lasciarlo andare. SOSPENSIONE
Bloccati in un limbo anche i protagonisti dell’altra esperienza sovrannaturale e ambientalista, Selyatagi (2018) di Deniz Tortum, estensione del film Yuva della Biennale College. In un plot a scatole cinesi, una squadra di soccorritori sparisce cercando un disperso, ma anche il gruppo di poliziotti, intenti in un’operazione edilizia nella foresta, nel tentativo di trovare i primi viene colto dal medesimo incantesimo. Sogno o son desto si chiedeva Cartesio nel XVII secolo. Con l’avvento della VR nella vita di tutti i giorni, così come prospettato dal Metaverso di Zuckerberg e raccontato già 20 anni fa dal film epocale Matrix degli allora fratelli Wachowski, la domanda impressiona per la sua attualità. CREDENZE E SUPERSTIZIONI VIRTUALI
Dopo un’overdose tecnologica, nel 2019 arrivò un colpo di scena. Whispers di Jacek Naglowski e Patryk Jordanowicz è un viaggio inaspettato e quasi psichedelico nel mondo dell’esoterismo pagano al confine tra Polonia e Ucraina. Una fattucchiera è intenta a purificare e allontanare il malocchio da una donna, nel cui corpo all’improvviso si trova lo stesso spettatore. La vicinanza con la strega è tale e così improvvisa che quando questa mette in atto tutta la procedura apotropaica, con tanto di gesti e strumenti anti-jettatori, anche il più scettico tra gli agnostici viene colto da un brivido sinistro. L’effetto è anche comico proprio per il contrasto marcato e l’accostamento insolito tra tradizione misteriosofica e tecnologia. Del resto i predicatori delle chiese fai-da-te, soprat-
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tutto negli Stati Uniti, hanno da tempo iniziato a costruire chiese virtuali: la realtà supera l’immaginazione o viceversa? Distinguere diventa sempre più difficile. SINESTESIA
Chromatica (2017) di Flavio Costa era un progetto tecnicamente più avanzato, e ha potuto contare sul supporto di Sony, allora partner del programma. La protagonista, incapace di percepire i colori, scopre grazie al vicino di casa di essere affetta da cromestesia, ma di poter guarire dal suo male attraverso la musica. Se la sceneggiatura di quest’opera è più didascalica al paragone con altre esperienze, è interessante osservare quanto nella realtà virtuale il fenomeno della sinestesia, quello cioè in cui si verifica “una contaminazione dei sensi fra le percezioni”, è più intenso che in qualsiasi altro media. MISTICISMO DELLA VIRTUAL REALITY
Da Chromatica emerge una differenza capitale con tutte le altre forme d’intrattenimento. In particolare, se con il cinema si partecipa ai sentimenti con empatia, nella VR si può diventare la sensazione, cioè essere assenti fisicamente ma coincidere con l’emozione. Un’esperienza che si potrebbe definire mistica. L’opera Samsara di Hsin-chien Huang, in lizza però nel concorso ufficiale VR 2021, è il migliore esempio per spiegare il misticismo della Virtual Reality. In quell’esperienza, dove si trova un’ellissi temporale che supera la più lunga e famosa della storia del cinema, quella di Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio quando l’osso lanciato in aria diventa un’astronave nel cosmo, seguendo il percorso evolutivo dell’uomo si giunge ad un punto in cui l’anima, trasmigrando da un corpo all’altro, arriva ad affrancarsi completamente dalla materia. IL DIBATTITO SULL’IDENTITÀ È GIÀ SUPERATO NELLA VR
L’artista taiwanese immagina uno stadio evolutivo così avanzato in cui, privi del corpo, saremo pura essenza e comunicheremo attraverso impulsi elettrici. Se riflessioni di questa natura oggi sono da considerarsi speculazioni, quando non addirittura fantasie, come forse accadeva a Jules Verne alla pubblicazione di 20.000 leghe sotto i mari nel 1870, non si possono negare alcune evidenze oggettive, prima fra tutte che nella VR è possibile nascondersi, “sparire nel suo spazio impalpabile, così da non essere reperibili da nessuna parte”, cosa che risolve pure ogni problema di identità, tema non a caso così attuale. “Con la VR ciò che era separato viene confuso, dappertutto si abolisce la distanza. Questa confusione di termini, questa collisione tra i poli, fa sì che qualsiasi giudizio di valore non sia più possibile da nessuna parte” vaticinava sempre Jean Baudrillard. JUNG E LA SINCRONICITÀ
In questa accezione la Virtual Reality potrebbe rivelarsi anche l’anello di congiunzione tra il mondo scientifico e quello della divinazione che per una parte della sua vita indagò, senza fortuna, Carl Gustav Jung. Nell’indagine fisica e metafisica sugli eventi non spiegabili in termini psicologici o fisici naturali – i cosiddetti “fenomeni di isocronicità nello spazio degli eventi” – lo studioso,
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incapace di provare scientificamente la sua teoria se non con una lista di esperienze empiriche, finì per alimentare la deriva pseudo-scientifica che la New Age usò per giustificare l’astrologia e le altre pratiche alternative. Col senno di poi, le teorie di Jung, che tentarono di definire un ordine psichico archetipico riguardo alla relatività delle categorie di spazio-tempo nel parallelismo tra fisica e psicologia del profondo, sembrano calzare a perfezione nella dimensione artificiale della Virtual Reality. A CURE FOR WELLNESS
Ma la VR può rivelarsi anche uno strumento concreto per affrontare e superare traumi. In 4 Feet: Blind Date (2018), di Maria Belén Poncio, una teenager in sedia a rotelle esplora la sua sessualità, mentre in Queerskin: ARK di Illya Szilak e Cyril Tsiboulski una mamma rielabora il dolore per la morte di AIDS del figlio. Le terapie virtuali, infatti, sono l’ultima frontiera nei protocolli medici per la riabilitazione da malattie fisiche e mentali. E mentre i dottori delle nuove generazioni fanno pratica su simulatori virtuali, sono ormai pratiche all’ordine del giorno gli interventi chirurgici che, grazie alla realtà virtuale, si affrontano da remoto. INTERATTIVITÀ
In Vajont (2020) di Iolanda di Bonaventura, lo spettatore si trova sul luogo della tragedia poche ore prima che accada. Una famiglia deve optare per abbandonare il luogo a cui appartiene da generazioni o restare, negando l’evidenza di un pericolo incombente. Ma l’esperienza è interattiva, perciò l’esito è determinato dalla serie di azioni selezionate dal partecipante. Il coinvolgimento in questo tipo di esperienze è direttamente proporzionale alla qualità di rendering e alle interazioni possibili, che in opere “istituzionali” con finanziamenti limitati, almeno secondo i gamer più incalliti, non raggiunge mai i livelli di esperienze ludiche come Half-life: Alyx, per esempio. A un maggiore coinvolgimento, tuttavia, conseguono anche problemi logistici non trascurabili, dalla cosiddetta “sindrome del gorilla” la cui recrudescenza si manifesta in giocatori che passano troppo tempo in realtà virtuale, agli incidenti domestici per cui, senza nessuno a controllare gli spostamenti nella realtà di chi si muove nella virtualità, il numero delle vittime in tutto il mondo sale a ritmo vertiginoso, come riportano dai media. IL RISCATTO, IL DEUS EX MACHINA, LA PERFORMANCE XR
Viaggio documentario in soggettiva quello di Joséphine Derobe che in Meet Mortaza VR (2020) rievoca il vero calvario di Mortaza in fuga dall’Afghanistan alla Francia, meta dove ottiene asilo politico salvandosi da una condanna religiosa. Più leggero e d’intrattenimento, ma tecnicamente impeccabile, Feather (2019) di Keisuke Itoh, storia di un’aspirante ballerina che supera le difficoltà grazie ad una piuma magica attivata dallo spettatore. In Sublimation (2019) di Karolina Markiewicz e Pascal Piron invece, esperienza XR, cioè mista a live performance e altri media, la danza diventa metafora della creazione e dell’unicità di ogni individuo, in un mondo di forme e colori costruito insieme
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ad un avatar di un ballerino di butoh. L’esperienza richiama il Tilt Brush di Google – da poco diventato open source - espandendo le sue possibilità. BIENNALE COLLEGE NEL PALMARÈS
Vale la pena aprire una parentesi a parte per Goliath: Playing with Reality (2021) di Barry Gene Murphy e May Abdalla con la voce narrante di Tilda Swinton. Il progetto in concorso nella sezione Venice VR expanded, è stato sviluppato grazie alla Biennale College Cinema, prodotto col supporto di Oculus For Good, iniziativa per supportare content creator e promuovere la Virtual Reality a fini benefici. Il film è stato il primo della Biennale College ad entrare nel Palmarès del concorso ufficiale, vincendo come Best Virtual Reality Immersive Work. Era la storia di Goliath che dopo anni trascorsi in ospedali psichiatrici a curare la schizofrenia riesce a relazionarsi con gli altri solo partecipando a giochi multiplayer online… SINCRONICITÀ E UBIQUITÀ
Lavrynthos (2021) di Fabito Rychter e Amir Admoni è stata l’unica esperienza nello spazio Biennale College Cinema VR del 2021, anno ancora molto provato dalle conseguenze della pandemia. Riallacciandosi alla storia del Minotauro e della sua ultima vittima, una ragazza di nome Cora, i due registi hanno unito la più antica forma di narrazione, la drammaturgia greca, con la più moderna, la Virtual Reality. A rendere gli intenti ancora più intriganti l’atmosfera kafkiana. I personaggi si muovono in spazi non euclidei, in cui cioè uscendo e rientrando dalla stessa soglia gli ambienti non sono mai gli stessi, motivo per cui è arduo progredire, facile restare disorientati e molto probabile soffrire di motion sickness (chinetosi da virtual reality). In Lavrynthos è possibile riconoscere predecessori e coevi illustri. Nel 1959 la Disney rilasciava un cortometraggio all’avanguardia per l’epoca, Paperino nel mondo della Matemagica (Donald in Mathmagic Land). La sequenza finale – un corridoio pieno di porte in uno spazio infinito - è uno degli scenari forse più comuni nella Virtual Reality. E pure nel film candidato quest’anno agli Oscar Encanto di Jared Bush e Byron Howard, sempre della famiglia Disney, ogni personaggio è collegato ad una porta che nasconde un mondo. E se non sono un mistero gli investimenti degli Studios in questo settore, starà forse la casa di Burbank preparando il suo pubblico al consumo di massa della VR? IL DUBBIO
“Have you ever questioned your worth? Have you ever tried to prove yourself to an invisible force? Have all your certainties ever been crashed?” chiede il narratore nel trittico Il Dubbio (2020) di Matteo Lonardi, accostamento audace tra Leonardo da Vinci, Velasco Vitali e Beatrice Wanjiku. I dubbi dell’artista nel processo creativo sono gli stessi che emergono di fronte alla Virtual Reality. Mentre l’integrazione della VR in tanti ambiti della vita quotidiana accelera – le applicazioni nel mondo della didattica offrono molti spunti al riguardo – la nuova arte continua a manifestarsi nelle sue infinite e ancora ignote applicazioni. In questa prospettiva College Cinema VR è uno spazio unico nel panorama dei
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Festival Internazionali. Un luogo privilegiato per riflettere, anticipare, svelare i segreti e le potenzialità della Virtual Reality, un percorso che fra altri dieci anni potrebbe portare a chissà quali conquiste per l’uomo contemporaneo. Si tratta solo di aspettare: non è l’attesa del piacere essa stessa il piacere, diceva Lessing? E se in questo processo di ricerca della conoscenza non mancano coloro che vedono nella VR la più temibile delle distopie, presagiscono per l’umanità un futuro catatonico, come in The Congress di Ari Folman, vaticinando l’annegamento nell’illusorietà del Virtuale, la storia offre una lezione. Agli esordi del cinema le innovazioni del nuovo media non erano ben viste. Il primo piano, per esempio, sconvolse le platee. Un film che oggi appare ingenuo come Il grande boccone (The Big Swallow, 1901) di James Williamson, a cui la VR sarebbe piaciuta parecchio, sconcertava la gente al punto da causare malesseri nell’audience. Episodi come questi alimentavano la propaganda dei detrattori e delle malelingue che col nuovo mezzo identificavano il demonio. Nell’intervallo tra valutare i rischi di una tecnocrazia incontrollata e individuare le possibilità di un’arte al momento della sua nascita, c’è la più grande sfida della nostra epoca: nessuno sa quale ruolo giocherà la VR nelle nostre vite future, ma durante la pandemia ne abbiamo avuto una piccola anticipazione. Alla fine dell’800 il cinema era l’extravaganza delle fiere. Si diceva che fosse un’invenzione senza futuro. Così pensavano i fratelli Lumière. Dopo più di un secolo, invece, il cinema è una delle espressioni d’arte più elevate prodotte dall’uomo in epoca moderna.
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Michel Reilhac, Jane Williams
Socrate a Venezia
MICHEL REILHAC
Dal 2002 al 2012, Michel è stato responsabile degli acquisti cinematografici presso Arte France e direttore esecutivo di Arte France Cinema. Dal 2012 è Co-Head of Studies di Biennale College Cinema e, dal 2016, Biennale College Cinema VR. È co-programmatore di Venice Immersive, il concorso ufficiale di contenuti creativi immersivi nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e regista indipendente di esperienze interattive e immersive, che fanno uso di realtà virtuale e eventi dal vivo. È inoltre produttore delle proprie opere, grazie alla sua casa di produzione MELANGE, con sede ad Amsterdam. Attualmente vive ad Amsterdam e si occupa dello sviluppo di un progetto di residenza per artisti internazionali nell’isola di Lamu, in Kenya. JANE WILLIAMS
Jane Williams è attualmente Co-Head of Studies per Biennale College Cinema e Cinema VR, posizione che ricopre sin dal suo inizio nel 2012. In qualità di Head of Industry per Torino FilmLab ha organizzato l’annuale Meeting Event e istituito il programma di formazione The Red Sea Lodge a Jeddah. Ha lavorato inoltre per il Dubai International Film Festival dove ha fondato il Dubai Film Market e la Dubai Film Connection, il primo progetto di coproduzione dedicato a cineasti arabi.
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Quando abbiamo iniziato a preparare questo articolo, Michel si è ricordato delle lezioni di filosofia al liceo e del suo primo incontro con l’approccio di Socrate all’insegnamento. E mentre ne parlavamo ci siamo resi conto che la maieutica, la concezione socratica dell’apprendimento come scoperta di sé, è il principio guida al centro dei programmi di Biennale College Cinema e VR. Quelli che seguono sono alcuni nostri pensieri su come l’approccio di Socrate informi la metodologia, la struttura e la selezione dei tutor per i seminari. È pertanto il caso, ai fini di quest’articolo, di dare una definizione della maieutica socratica: è il metodo per inspirare nuove idee nell’altro in quanto arte di condurre l’altro alla scoperta e alla formulazione delle verità che custodisce e plasma dentro di sé. Maieutico deriva da maieutikós, la parola greca per “proprio dell’ostetricia”. In uno dei Dialoghi Platonici, Socrate definisce maieutikós il suo metodo per far emergere nuove idee attraverso il ragionamento e il dialogo; pensava che la tecnica fosse analoga a quelle che usa un’ostetrica durante il parto (la madre di Socrate era una levatrice). Un insegnante che usa metodi maieutici può essere considerato come una levatrice intellettuale che aiuta gli studenti a far emergere idee e concezioni finora latenti nella loro mente. Questo ha informato il modo in cui selezioniamo e prepariamo i tutor che sono stati parte integrante del successo dei seminari. Negli ultimi dieci anni di Biennale College Cinema abbiamo avuto la fortuna di lavorare con più di novanta professionisti del cinema selezionati da ogni parte il mondo. Abbiamo cercato esperti di sceneggiatura, produttori, registi, artisti, editori, esperti di marketing e di vendite attivi e affermati nei loro campi. Siamo convinti che questa ricca varietà di professionisti fornisca una vasta gamma di esperienze e approcci a cui i partecipanti possono attingere, e che saranno in grado di assistere e sostenere un ampio spettro di voci cinematografiche. Gli esperti non assumono mai il ruolo di insegnanti. Sono colleghi con maggiore esperienza rispetto ai team creativi presenti coi propri progetti. Sono tenuti a lasciare l’ego a casa e usare la propria esperienza per aiutare i partecipanti a trovare la loro storia e il loro film. Non gli viene chiesto di dire ai partecipanti come il film lo farebbero loro, ma di porre domande che spingano i team a riflettere su ciò che stanno cercando di esprimere. In questo modo non solo i partecipanti raggiungono una profonda comprensione del film che vogliono realizzare, ma anche del processo di sviluppo che possono utilizzare per progetti futuri. Le prime cose che chiediamo sempre ai tutor che invitiamo: – prima ascolta le presentazioni dei team e quanto conoscono il proprio progetto, e poi comincia a fare domande; – suggerisci direzioni di sviluppo, ma non imporre mai le tue scelte; – sii diretto nei tuoi commenti e reazioni quando noti un potenziale problema (tecnico, narrativo, estetico, strutturale...) ma non fornire mai soluzioni preconfezionate; – soltanto ai team è consentito di decidere di modificare i progetti. Non c’è una verità in questo processo. Ci sono molte vie. Spetta ai singoli gruppi scegliere la propria. Il nostro compito è presentare
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loro le varie opzioni nel modo più chiaro possibile, soppesando i rischi e i potenziali ostacoli, e descrivendo a grandi linee i risultati che ci si aspetta. È responsabilità dei team esplorare appieno il potenziale drammatico del loro progetto e fare scelte forti. La struttura dei seminari prevede che questo avvenga regolarmente durante le consultazioni, la preparazione di nuovi documenti, e gli esercizi di promozione. Anche se c’incontriamo regolarmente con i tutor durante i workshop per discutere il progresso di ciascun progetto, non ci aspettiamo un consenso sulla direzione da prendere. Cerchiamo piuttosto film con una forte indivitualità e team ricchi di passione, impegno e intraprendenza in grado di trovare soluzioni innovative ai problemi, dato che soldi in più non sono un’opzione. Il nostro obiettivo di aiutare registi d’eccezione è ulteriormente amplificato dalla combinazione della metodologia di insegnamento con il mandato della Biennale di fornire agli artisti una piattaforma libera da pressioni commerciali. Questo crea un ambiente dinamico che incoraggia una forte produzione cinematografica con caratteristiche uniche ed evita l’introduzione di un qualsiasi ‘marchio di fabbrica’ che contrassegni i film cosí prodotti. Un effetto collaterale diretto di un tale approccio maieutico è che, oltre all’attenzione rivolta a ogni progetto nel corso dei seminari di Biennale College, i partecipanti entrano in una rete professionale internazionale: tessono legami con i tutor e coi colleghi che dura e cresce ben oltre la durata del workshop. Sappiamo bene quanto sia prezioso appartenere a una rete di contatti nella propria carriera mediatica per costruire partnership, collaborazioni, coproduzioni... e questa è un’importante lezione che il College offre ai giovani professionisti. Alimenta il senso di comunità che si sviluppa organicamente dalla partecipazione al College. Ma un altro risultato interessante è il modo in cui gli stessi tutor si connettono tra loro. I nostri esperti vengono da paesi diversi e lavorano in modi diversi. Molte collaborazioni all’interno della nostra rete di tutor sono nate lavorando fianco a fianco a San Servolo/Venezia, scambiandosi opinioni e consigli su come coadiuvare al meglio i progetti partecipanti. Per Biennale College Cinema, le conoscenze e l’esperienza condivise dai tutor con i team dipendono molto dal talento e dalla pratica. Il cinema è un sofisticato linguaggio universale di cui si sono esplorate regole e da cui si sono tratte lezioni. I tutor del College Cinema conoscono queste regole, i codici consolidati della produzione cinematografica, in quanto praticanti di quest’arte. Conoscono i fondamenti su come evitare errori solo perché fanno parte di 120 anni di storia di una grande forma d’arte. Hanno una supporto teorico e pratico su cui basare le loro valutazioni. L’approccio per la Biennale College VR è molto diverso. La realtà virtuale ha avuto solo pochi anni per inventarsi da zero, considerando che è solo dal marzo 2014 quando Oculus è stato acquisito da Facebook, che il linguaggio della VR ha iniziato a prendere forma come mezzo espressivo. Stiamo parlando di una nuovissima forma d’arte ancora ai primi passi. Un bambino di 8 anni.
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È chiaro quindi che l’applicazione della maieutica ai 12 progetti immersivi internazionali sia molto diversa. Tutti gli esperti chiamati come tutor per il College VR hanno solo pochi anni di pratica in più rispetto ai team creativi. Siamo quindi nella posizione estremamente stimolante di dover attivare la forma più pura di maieutica: in molti casi i tutor si ritrovano a fare brainstorming insieme ai partecipanti per esplorare tutto quanto sia disponibile ai fini del progetto. Non c’è nulla di preimpostato nei media immersivi: – la tecnologia disponibile è una giungla in cui ogni settimana vengono lanciati cambiamenti, nuove opzioni, miglioramenti e approcci radicali; – il vocabolario del mezzo non è ancora standardizzato. Le medesime parole potrebbero non voler dire per tutti la stessa cosa (basti guardare cosa sta succedendo al momento coi tentativi di definire il vero significato del Metaverso...); – ciò che funziona e non funziona in termini di controllo per lo spettatore è un processo continuo di tentativi ed errori; – i nuovi campi specialistici come User Experience Design, Creative Technology, Presence Design, Interattività, Gameplay... vengono esplorati nell’arte immersiva durante la creazione di nuovi opere, e ci vorrà del tempo prima di trarne degli insegnamenti e iniziare a costruire un codice di comportamento creativo immersivo. Ne consegue che il nostro College VR è davvero un laboratorio per nuove pratiche. Il legame tra i tutor che invitiamo e i partecipanti che selezioniamo è di stretta interazione e ricerca. Il campo sta crescendo esponenzialmente. È incredibile quanto siano maturi e competenti alcuni dei giovanissimi esperti che invitiamo. Sanno il fatto loro ma tengono una mentalità aperta, pronti a mettere in discussione ogni singola scelta o possibilità esplorata insieme ai team. Nel College VR, tutor e team sono spesso della stessa generazione. Ciò ne rende le modalità d’indagine molto diverse rispetto al cinema. Negli anni a venire sapremo di più su cosa sarà stato più efficace. Continuiamo a mettere in discussione i nostri metodi, sempre motivati dal nostro rispetto creativo per le opere e i loro artefici. Ma ora sappiamo che un focolare creativo come il College può essere un prezioso terminale per il risveglio di nuovi talenti. Questi ultimi dieci anni ci hanno insegnato il valore del prestare attenzione al processi emotivi, psicologici e creativi. Abbiamo visto sbocciare giovani talenti, a volte anni dopo la loro esperienza alla Biennale College, ma sempre legati a ciò che hanno vissuto a San Servolo in un dato momento. Proviamo orgoglio per ciò che abbiamo realizzato e dobbiamo a Socrate un debito di gratitudine per averci ispirato a farlo.
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Interviste Interviste Interviste Interviste Interviste Intervis Intervis
regista
Nawapol Thamrongrattanarit produttore
Aditya Assarat film
Mary Is Happy, Mary Is Happy edizione miac
70. (2013) Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come ha influito quest’esperienza sui tuoi processi creativi e produttivi, con le sue opportunità economiche e di sviluppo, ma anche con le sue limitazioni legate al budget e ai tempi di lavorazione? Per un regista molto giovane come me, è stata un’opportunità di ottenere finanziamenti rapidi per un progetto di piccole dimensioni. Mi calzava a pennello perché perché amo realizzare progetti piccoli e veloci e il concetto del College mi ha fornito tutto ciò che mi serviva. Da giovani registi preferiamo di gran lunga finanziamenti che ci permettano di sperimentare. A volte non siamo pronti per pensare in grande ed è difficile trovare sostegno per progetti di piccole e medie dimensioni.
quindi parecchi in confronto. Non abbiamo mai considerato il budget una ‘limitazione’, perché un buon film lo puoi fare con qualsiasi budget. Anzi, avere una cifra fissa è stato liberatorio perché ci ha permesso di metterci subito al lavoro. I film sono avvantaggiati dalla rapidità di realizzazione perché il primo giorno di riprese l’ispirazione originale è ancora fresca. Troppo spesso i film impiegano anni per a trovare finanziamenti, e durante quel periodo di attesa il registi spesso perdono interesse e faticano a ritrovare la motivazione che li aveva guidati all’inizio. Per quanto possibile, il processo di realizzazione di un film dovrebbe emulare la musica, la scrittura o la pittura, in cui l’ispirazione dell’artista viene immediatamente messa su carta. Il sistema della Biennale College Cinema ci ha permesso di farlo. Ed è possibile che fosse l’unica soluzione per un film folle e bizzarro come Mary Is Happy.
Mary Is Happy è il secondo lungometraggio di Nawapol ed è stato un naturale progresso rispetto al primo, che aveva girato a budget quasi zero. I 150.000 euro della Biennale College Cinema erano
Mary is Happy, Mary is Happy ha rappresentato un caso unico per il cinema indipendente thailandese. Puoi raccontanci del sorprendente impatto che il film ha avuto nel tuo Paese e di
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Interviste
come il suo status di “film culto” abbia fatto da stimolo per la locale scena indipendente? Il caso di questo film è fenomenale. E non ce lo saremmo mai aspettati. Perché il cinema d’autore era ancora nuovissimo per il grande pubblico thailandese. Quindi abbiamo proiettato il film in poche sale scelte sperando che nel suo piccolo trovasse una buona accoglienza. Invece s’è diffuso ovunque. È vero che il risultato non è stato lo stesso dei film ad alto budget, ma è stata piú ampia distribuzione possibile. Abbiamo vinto premi nazionali insieme ai film mainstream, e questo ha fatto capire ai registi indipendenti che i film in Thailandia si potevano promuovere anche sui social media (che all’epoca erano un fenomeno molto recente).
N.T.
Mary Is Happy non ha dovuto aspettare: è diventato un film culto il giorno dell’uscita. Aveva qualcosa che all’epoca colpì lo Zeitgeist dei giovani thailandesi. Twitter era in piena espansione da diversi anni, ma ora c’era un film che non solo lo riguardava da vicino, ma lo faceva in modo critico e accrescendone il valore culturale. Il mondo presentato sullo schermo è pura fantasia. La scuola, le divise, la direzione artistica... non c’è niente di realistico. Ma i personaggi e le loro emozioni sono autentici al 100%. La combinazione di una veste esterna immaginaria e di un mondo interno reale lo ha reso insieme profondo e emotivamente coinvolgente. Di conseguenza, siamo stati in grado di vendere un’enorme quantità di merchanding, cosa mai successa prima a un film indipendente thailandese. Abbiamo venduto ovviamente dvd, ma anche poster, cartoline e magliette. Questo perché tutto nel film è diventato subito un classico.
A.A.
Con la sua premessa narrativa forte ed estremamente contemporanea (NdR: gli eventi del film si basano su 410 tweet anonimi consecutivi raccolti dal regista), Mary Is Happy, Mary Is Happy indaga nuovi possibili formati di narrazione e nuove tecnologie di comunicazione. Qual è stato il ruolo di questa dimensione, così ancorata al presente,
Dieci 2012–22
nel plasmare il film e contribuire alla sua originalità? Ovviamente insieme al sistema di regole e limiti scelti in fase di scrittura (che sono anche parte integrante del concept del College) Le nuove forme narrative dovute alle nuove tecnologie di comunicazione sono una delle questioni che mi appassionano di più. E il mio intento con ogni nuovo film è di esplorare qualcosa di nuovo sul cinema stesso. Quindi, quando ho idee su una versione cinematografica di Twitter, mi faccio trasportare dal concetto verso terre inesplorate. Ho lasciato che il film mi plasmasse e il film mi ha permesso di plasmarlo a mia volta. Non sappiamo mai come andrà a finire, ma quando non pensi al successo e lo tratti come esperimento che potrebbe tranquillamente fallire, ti metti a lavorare al film senza preoccupazioni di sorta. E credo che sia questo il motivo della sua originalità.
N.T.
Il film era prima di tutto un adattamento. Ma mentre quando si adatta un libro si cerca di rimanere fedele alla fonte, adattare uno stream di Twitter è l’esatto contrario. Nawapol ha usato i 410 tweet come trampolino di lancio per creare un mondo immaginario. Ad esempio, il tweet poteva essere “Today in Paris”. L’intenzione originale poteva essere qualunque cosa: commentare su qualcosa che era successo quel giorno a Parigi, o magari Parigi era il nome di un bar a Bangkok. Non aveva importanza. Perché Nawapol nell’adattamento ha fatto andare il personaggio quel giorno a Parigi. Tutto era possibile. Com’è possibile che Mary Is Happy sia l’adattamento più liberatorio mai realizzato. Esiste modo migliore per fare una critica dei social media? Alla fine cosa davvero sappiamo delle persone, basandoci sui social media? Quasi nulla. Sui social media tutti in una certa misura vivono una vita immaginaria, che spesso ha poco a che fare con la loro vita fisica reale e ancor meno con quella interiore. La Biennale College ci ha dato regole rigide per fare il film – 150.000 euro e 6 mesi – ma dentro quei ‘limiti’ Nawapol poteva creare interi mondi. Era l’occasione perfetta per creare qualcosa di irripetibile.
A.A.
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regista
Tim Sutton film
Memphis produttore
John Baker edizione miac
70. (2013)
derevoli è considerato spesso troppo rischioso. Per quanto riguarda tempo e budget, fino a oggi, i miei 23 giorni di riprese sono in realtà il tempo più lungo che ho passato sul set, e io e John continuiamo a ricevere modeste royalties da Memphis perché il finanziamento era una sovvenzione. Davvero un regalo. In uno panorama come quello americano, dove oggi la produzione indipendente rappresenta un ramo istituzionalizzato dell’industria anche dal punto di vista espressivo, il tuo percorso di autore è sempre stato caratterizzato da una forte radicalità. Memphis è il tuo secondo film, di solito un passo complesso. Quanto ti ha permesso il contesto un po’ ‘protetto’ del College di sperimentare e di far evolvere la tua visione di autore? Di solito i secondi film sono i più difficili da realizzare e spesso vacillano a causa della necessità di rendere la narrazione più ‘accettabile’ per l’industria, il che comporta abbandonare forme e idee più complesse. La risonanza garantita da una prima veneziana mi ha permesso d’immergermi più in profondità nella storia strana e complessa che speravo di raccontare, e con il marchio di approvazione di Venezia, il Sundance ha trovato il coraggio di presentarla al pubblico americano. Senza queste due istituzioni il film non avrebbe mai trovato un pubblico, o non avrebbe mai visto la luce.
T.S.
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? In che modo questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo, ma anche con le sue limitazioni legate al budget e ai tempi di lavorazione, ha influito sui tuoi processi creativi e produttivi? L’esperienza veneziana ha letteralmente eretto la più importante base di sviluppo per la mia visione artistica, e mi ha dato la fiducia necessaria per spingere tale visione più in là con ogni nuovo progetto. Non esiste altra fonte di micro-finanziamento paragonabile: La Biennale è l’unico istituto a garantire un finanziamento completo e insieme la copertura mediatica di una prima di prestigio. Ho sfidato istituzioni e laboratori ovunque io vada a usare il College come modello, ma mettere in gioco somme e risorse consi-
T.S.
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Interviste
Memphis è un film fortemente ‘aperto’ anche dal punto di vista produttivo e del processo con cui è stato scritto e girato. È un ritratto che mescola finzione, documentario, improvvisazione e musica, e con il suo approccio estremamente libero si pone in netta opposizione a un sistema produttivo come quello indipendente americano. Quale ruolo pensi abbia avuto la Biennale College Cinema nella costruzione di uno spazio di sperimentazione rispetto ai tradizionali sistemi di finanziamento del cinema americano? È una domanda molto difficile. Nel cinema indipendente americano c’è poco spazio per la sperimentazione, per esser-
T.S.
Biennale College Cinema
si modellata come una sorta di ‘mini-Hollywood’. Al momento le prospettive sono ancora più estreme, con distributori che diventano Studios, scegliendo non solo ciò che verrà visto ma anche ciò che verrà realizzato. Una possibilità per La Biennale sarebbe quella di entrare in partnership con un distributore indipendente forte (Neon, Utopia): questo garantirebbe ai film una vita post-festival e ai registi il sostegno dell’industria.
regista
Duccio Chiarini film
Short Skin
I secondi film sono sempre un banco di prova per il futuro di un regista. In che modo pensi che l’esperienza di Memphis abbia contribuito a consolidare la tua carriera e inserirti nel panorama del cinema d’autore internazionale? Fare Memphis nel modo in cui l’abbiamo fatto mi ha dato la sensazione travolgente che quello che dovevo dire come regista avesse un posto nel mondo del cinema, che non solo POTEVO essere un artista, ma che lo ero già. E la mia vita è per sempre cambiata in meglio. Per essere chiari: ho presentato in anteprima il mio settimo lungometraggio (Taurus, alla Berlinale) e ora sono a Barcellona che prendo allegramente parte a una retrospettiva completa delle mie opere alla Filmoteca, e mentre sono qui passo il tempo a fare brainstorming su un futuro progetto con il collega di Venezia Jorge Thielman Armand (La Soledad): tutto questo grazie al sostegno della Biennale.
produttore
Babak Jalali edizione miac
71. (2014)
T.S.
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget, ha influito sui tuoi processi creativi e produttivi? Partecipare alla Biennale College Cinema è stato un momento molto importante per il mio percorso umano e professionale. Dopo aver presentato alle Giornate degli Autori del 2011 il mio primo documentario Hit the road, nonna, nel 2013 ero alle prese con un complicato percorso di sviluppo per il mio primo film di finzione. È stato allora che il mio amico (e produttore del film) Babak Jalali mi ha proposto di partecipare alla seconda edizione del College, un’esperienza che si sarebbe rivelata determinante per il mio futuro e per
D.C.
Dieci 2012–22
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la mia professione: non solo perché mi ha permesso di realizzare Short Skin in un tempo brevissimo, ma anche perché mi ha fatto conoscere colleghi e professionisti con i quali tuttora collaboro e perché mi ha dato grande fiducia nel fatto che si possano realizzare film attraverso percorsi produttivi semplici ma non per questo meno strutturati. Che cosa ha rappresentato l’esperienza del College nella tua carriera e nella definizione della tua visione di autore? La partecipazione al College mi ha sicuramente lasciato una profonda fiducia nella possibilità di fare film che nascano dalla necessità di raccontare storie più che da quella di essere facilmente catalogati nelle caselle dell’entertainment; ma soprattutto mi ha lasciato addosso la felice spensieratezza dell’avventura creativa. Poter dare vita alle proprie idee e trasformarle in immagini, in uno spazio temporale così rapido (anche se con un budget ristretto) è, per un regista agli esordi, una sensazione inebriante perché gli permette di conservare la forza del suo desiderio creativo e la vivacità dell’ispirazione, senza doverle sottometterle alla lunga e a volte estenuante fase del finanziamento. L’idea che sta alla base della Biennale Cinema College è, ai miei occhi, molto simile a quella di un gioco, di un cinema fatto con poche risorse ma con la forza viva del desiderio. Mi fa istintivamente pensare ai desideri dell’infanzia e dell’adolescenza che devono compiersi subito altrimenti, poi, svaniscono.
D.C.
zazione del film. Sin dalla presentazione del progetto, avevo infatti manifestato ai membri del team quanto per me fosse importante che l’atmosfera e il tono del film restassero sospesi tra comico e malinconico, ironico e poetico e in tutte le fasi del percorso ho sempre sentito un forte sostegno a difesa di questo aspetto. I tutor che mi hanno seguito nella realizzazione del mio lavoro hanno infatti sempre cercato di aiutarmi a trovare le giuste soluzioni creative per dare voce alle mie idee, senza mai fare riferimento a etichette o a linee editoriali ma semplicemente cercando di rendere attuabili i miei desideri in un contesto caratterizzato da budget e tempi limitati. Penso che questo sguardo libero e quest’attenzione per la voce dell’autore siano una delle caratteristiche più significative di questo spazio creativo e produttivo, libero dalle ansie di catalogazione e dunque di omologazione dell’industria.
Il tuo film è una commedia che si distanzia fortemente dai canoni del cinema italiano e che cerca una via estremamente personale rispetto a un genere da sempre al centro della produzione nazionale. In che modi la Biennale College Cinema ti ha permesso di lavorare in uno spazio “sicuro” dove poter sperimentare un genere commerciale senza doverti forzatamente confrontare con l’industria che in Italia lo plasma e lo definisce? D.C. Uno degli aspetti che ho più apprezzato del College è stata libertà creativa concessaci durante il percorso di realiz-
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Interviste
Biennale College Cinema
produttore
Flaminio Zadra film
Blanka regista
Kohki Hasei edizione miac
72. (2015)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget, ha influito sui tuoi processi creativi e produttivi? Prima di produrre Blanka avevo terminato una grossa coproduzione internazionale, con un budget circa cento volte più alto. Mi sentivo come se questa fosse stata un’esperienza ‘definitiva’ che mi aveva completato professionalmente fornendomi tutti gli strumenti necessari a svolgere il mio lavoro in ogni circostanza. Mi sbagliavo. Le limitazioni finanziarie, le tempistiche serrate, le difficoltà logistiche legate al dover produrre un film in un Paese così distante dal mio geograficamente e culturalmente, con un team così eterogeneo, mi hanno messo di fronte a dilemmi che, lo confesso, in alcuni momenti mi sono sembrati insolubili. Le difficoltà si sono manifestate in fase sia di sviluppo sia di produzione.
F.Z.
Dieci 2012–22
Le circostanze mi hanno però costretto a cercare le soluzioni più fantasiose, laddove con un budget più alto le soluzioni le avrei probabilmente – e più banalmente – ‘comprate’. Mi sono, di fatto, trovato ‘obbligato’ a far ricorso a risorse creative e professionali che fino a quel momento non ero consapevole di possedere. Ho dovuto fronteggiare la ‘scomparsa’ dell’attore principale del film a tre giorni dall’inizio delle riprese e perfino un ‘rapimento lampo’, causato da un fraintendimento, in una delle location da noi utilizzate: un episodio divertente che per fortuna è ormai soltanto un aneddoto. Nonostante tutto questo, devo dare atto a tutto il team del College di avermi sempre sostenuto molto da vicino, ognuno secondo la propria area di competenza, lungo tutto il travagliato percorso: dalla ricerca delle soluzioni per i nodi drammaturgici più ostici, che hanno regalato notti insonni a molti dei tutor, al superamento di concrete difficoltà produttive, che – per par condicio – ha regalato altrettante notti insonni al management
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del College; tutti però sono sempre stati al mio fianco, nel comune obbiettivo della realizzazione del film. Il poter sviluppare e poi produrre Blanka attraverso il College è dunque stato uno stimolo enorme, quasi brutale: mi ha confermato che, come produttore, non bisogna mai smettere di voler ‘imparare’. Ogni film è un’esperienza nuova e unica. Come certamente lo è stato partecipare al College Cinema. Il College Cinema è stato anche il luogo in cui si è potuto dar vita a schemi di coproduzione inconsueti. È sicuramente il vostro caso, che ha portato a lavorare insieme l’Italia e il Giappone, due Paesi che raramente, se non mai, producono in partnership. Vuoi raccontarci come questa l’esperienza ti ha permesso di avvicinarti a sistemi e modelli con i quali non lavori abitualmente? A complicare le cose, ai due Paesi citati aggiungerei anche le Filippine, dove abbiamo girato il film (e da dover proviene quasi tutto il cast tecnico e artistico) e la Corea del Sud, dove abbiamo svolto parte della post-produzione: direi una combinazione più unica che rara. Certamente non è stato semplice trovare un approccio di lavoro uniforme, viste le differenze linguistiche, culturali e anche di modelli produttivi. Lo spirito del College è stato certamente la chiave per far emergere sentimenti comuni e un entusiasmo condiviso che ha permesso di superare tutti i limiti appena citati. La natura del progetto non solo è stata immediatamente accolta, ma è stata anche amplificata e trasformata in un ‘biglietto da visita’ che tutti i nostri interlocutori in giro per il mondo hanno saputo subito riconoscere. Non credo che al di fuori del contesto della Biennale College Cinema tutto ciò sarebbe stato possibile. E direi neanche raccomandabile. Il modello del micro-budget nulla ha da invidiare a coproduzioni con budget più alti e offre un approccio che, a mio parere, non si pone esclusivamente come occasione di esordio per registi al loro primo lavoro, ma come linea editoriale che dovrebbe trovare spazio nell’attività di ogni produttore. La mia considerazio-
F.Z.
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Interviste
ne non si basa esclusivamente sull’enorme cura che viene garantita allo sviluppo qualitativo dei progetti, nei suoi elementi narrativi e creativi, ma anche su una più immediata constatazione di natura economica: i film sono infatti un raro esempio di prodotto il cui costo di consumo (il biglietto del cinema) non è legato al suo costo di ‘manifattura’ (il budget). Certamente intervengono anche altri elementi fondamentali, a cominciare dai costi legati alla distribuzione. Ma certamente le soddisfazioni che un produttore può trarre da un film a basso costo, sul piano finanziario, possono essere sorprendenti rispetto alle più pressanti aspettative di performance legate a un film ad alto budget. In questo senso, il modello offerto dal College non costituisce necessariamente una base di partenza per approdare a progetti economicamente più impegnativi, ma una linea editoriale che, come detto, può godere di una propria autonoma ragion d’essere.
Biennale College Cinema
regista
Anna Rose Holmer produttrice
Lisa Kjerulff film
The Fits edizione miac
72. (2015)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? In che modo questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con i suoi limiti legati all’orario di lavoro e al budget, ha influenzato i tuoi processi creativi e produttivi? A.R.H. Sviluppare e produrre The Fits con la Biennale College è stata una delle esperienze più gratificanti della mia carriera creativa. Non ho sviluppato così solo il progetto, ma anche la mia voce come regista e il mio stile di leadership. Uno degli elementi che mi avevano convinta era quello di avere un produttore creativo sin dalla prima fase di sviluppo del film, e infatti Lisa Kjerulff mi ha aiutata a costruirlo da zero. Scrivere la sceneggiatura sapendo che sarebbe stata prodotta, facendo quindi attenzione già sulla pagina ai pro-
Dieci 2012–22
blemi pratici, ci ha aiutate a rendere sia la storia sia le nostre scelte narrative più precise ed efficaci. Inoltre, siamo entrate in contatto con registi di tutto il mondo, che hanno opinioni diverse sul cinema e su ciò che può fare. Abbiamo tratto profitto da tale diversità, e ci ha sfidato a comprendere meglio i nostri impulsi creativi. Come produttrice, sono grata alla Biennale College per aver riconosciuto e valorizzato il ruolo creativo del produttore. È una scelta felice. Questo mi ha permesso di costruire il tipo di collaborazioni creative che voglio coltivare in ogni produzione. L’effetto più importante dell’obbligo di fare scelte creative e produttive in tempi e con budget strettissimi è stato di credere in noi stesse e nei nostri istinti. E muoversi all’interno di quei parametri logistici ha dato un forte impulso alla creatività. Ci ha anche permesso coltivare molte meravigliose collaborazioni. Con tempi così rapidi e in vista della prima a Venezia, siamo riuscite a mantenere un tale entusiasmo che è stata davvero una gioia lavorarci su.
L.K.
Il tuo film può essere descritto come un racconto di formazione raccontato attraverso il suono, la visione e il corpo. I movimenti della protagonista cambiano man mano che la sua storia si sviluppa. Come hai potuto osservarlo nella vita reale e trasferire questa conoscenza nel film? The Fits è essenzialmente una meditazione sul movimento dal punto di vista di ragazze adolescenti. L’idea mi è nata mentre producevo un documentario su un giovane coreografo, Ballet 422, e notando che i ballerini imparavano i movimenti attraverso uno scambio corporeo non verbale. Ho iniziato a pensare all’adolescenza come a una sorta di coreografia. E di come tutti abbiamo imparato il movimento in modo simile, imitando il corpo altrui, osservando gli altri per stabilire come muoverci, parlare, pensare a sé. Coreografia, fotografia, colonna sonora, sound design, scenografia, montaggio... Abbiamo usato tutto quello che serviva per far sentire il pubblico il più vicino possibile a quella sensazione sognante e
A.R.H.
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fuori dal tempo di avere 11 anni. Insieme, io, Saela e Lisa siamo tutte narratrici visive e cinetiche. A volte abbiamo costruito l’intera tensione emotiva di una scena su come Toni spostava il proprio centro o le spalle. Pensavamo spesso alla struttura narrativa in termini di respiro. Tutto aveva sempre a che fare col corpo. Il bello del cinema è che comprende suono, vista e movimento e, in quanto autori, parte del divertimento è giocare con tutti quegli strumenti per raccontare una storia. Gran parte del mio processo di scrittura con Anna e Saela è consistito nel ricordare i nostri anni della pubertà e di quanto di quello che si prova e vive allora sia universale. Quello della protagonista è soprattutto un viaggio interiore ed emotivo nel guardarsi intorno e cercare di capire come fare proprio ciò che vede e sente. È naturale quindi che il modo in cui cammina, si muove, balla si evolva insieme a lei. Anna ha un occhio eccezionale e ha fatto prestato incredibile attenzione a quei dettagli durante tutta la produzione. La nostra coordinatrice di movimento è stata una splendida coreografa, Celia Rowlson-Hall: una collaborazione impagabile per il film e per il cast.
L.K.
ciate. Ne è nata una straordinaria amicizia che dura da allora. La prima cosa che mi ha detto del film era l’idea di fondo, e che voleva dirigerlo lei stessa. Ho accettato subito perché ero contentissima e onorata all’idea di lavorare finalmente con lei. Ha voluto fin da subito far domanda alla Biennale College: le sfide insite in quell’opportunità erano esattamente il tipo d’impulso che potevamo sfruttare. Dopo aver fatto richiesta, Anna ha contattato la nostra cara amica Saela Davis per unirsi alla produzione. Avevamo entrambe lavorato con Saela a due documentari diversi e ne eravamo rimaste incantate. Saela è una montatrice e cineasta incredibile. Completandoci ed equilibrandoci a vicenda siamo riuscite a creare qualcosa di cui sarò per sempre orgogliosa.
Il team che ha lavorato a The Fits è molto unito. Potete descrivere come vi siete trovati e com’è iniziato e si è sviluppato il vostro processo lavorativo? Il gruppo chiave che ha collaborato alla realizzazione di The Fits è composto da registi e artigiani che amo e ammiro. Alcuni, come il direttore della fotografia Paul Yee, ci lavoro da circa un decennio. Altri, come la coreografa Celia Rowlson-Hall, erano nuove rapporti nati da una passione condivisa. Per molti di noi, The Fits è stata un’opportunità unica per correre rischi e sperimentare. Per dire, Saela, Lisa e io non avevamo mai scritto un lungometraggio. Nel corso del viaggio, abbiamo cercato di concentrarci sul processo tanto quanto sul prodotto. Scoprire insieme le nostre voci è stata una gioia enorme.
A.R.H.
Con Anna ci siamo conosciute a una festa di laurea. Frequentavamo la stessa università ma non c’eravamo mai incro-
L.K.
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Interviste
Biennale College Cinema
regista
Jorge Thielen Armand produttori
Rodrigo Michelangeli, Manon Ardisson, Adriana Herrera, Jorge Thielen Armand film
La Soledad edizione miac
73. (2016)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? In che modo questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con i suoi limiti legati all’orario di lavoro e al budget, ha influenzato i tuoi processi creativi e produttivi? Biennale College Cinema ci ha offerto l’opportunità di realizzare il nostro primo lungometraggio, un grande passo avanti nella carriera di qualsiasi regista e spesso la sfida più lunga e difficile da superare, in particolare quando si lavora a film più personali. In qualità di registi, tutti i membri del team avevano realizzato cortometraggi pluripremiati prima di essere selezionati per il College, e avevamo già una demo girata sul posto, oltre a una chiara visione del progetto; ma la possibilità di sviluppare e poi pro-
J.T.A., R.M., M.A., A.H.
Dieci 2012–22
durre il nostro primp lungometraggio alle nostre condizioni, con una prima assicurata a Venezia, è stata una vera e propria pietra miliare in tutte le nostre carriere. Considerando che il nostro film era ambientato principalmente in una location in Venezuela (dove i costi di produzione sono inferiori rispetto ad altre parti del continente), il livello di budget offerto dalla Biennale è stato perfetto per realizzare il progetto, e ci ha persino permesso di lavorare in post-produzione con un grande team internazionale, in particolare il montatore colombiano Felipe Guerrero e il sound designer newyorkese Eli Cohn, col quale abbiamo continuato a lavorare insieme come team al nostro secondo, La Fortaleza. I tempi sono stati impegnativi, con il via libera a novembre e una consegna prima di agosto dell’anno successivo, ma considerando il basso budget è stato anche un modo per mantenere l’entusia-
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smo e realizzare il progetto senza causare al team stress finanziario! La Soledad era anche un film che doveva essere realizzato in fretta, perché all’epoca non eravamo sicuri se la casa ci sarebbe stata negata o addirittura demolita. Per il nostro film in particolare, quindi, la tempistica ristretta ha funzionato bene. Creativamente, il workshop iniziale è stato un momento di lavoro intenso ed energizzante per il quale restiamo grati ai nostri mentori, che ci hanno aiutato a dare forma alla storia mantenendone sempre la vera essenza: la storia di un paese al collasso, una famiglia distrutta, un luogo affascinante. In un contesto come il Venezuela, quanto vi ha aiutato la libertà data dal format della Biennale College Cinema a plasmare un film d’esordio che fosse sia politico sia fortemente autobiografico e intimo? L’approccio della Biennale College Cinema al mentoring è stato caratterizzato da un grande equilibrio tra il darci abbastanza libertà per proporre questa storia insolita e spingerci a prendere atto di punti di vista importanti di cui forse non ci eravamo resi conto. Durante i primi due workshop, fortemente incentrati sulla narrazione, i nostri tutor ci hanno aiutato a considerare percorsi narrativi che non erano necessariamente ispirati alla realtà. Dato che il nostro progetto è nato come idea documentaristica, è stata per noi una sfida capire il vantaggio di farsi trasportare dalla finzione narrativa e lasciare che il cinema operasse la sua magia. I nostri tutor, tuttavia, ci hanno sempre dato consigli saggi e positivi d’incoraggiamento, e mai di resistenza. A causa della difficile crisi politica, economica e quindi sociale del Venezuela, qualsiasi storia raccontata all’interno dei suoi confini sarà un atto politico. Sapendo questo, il College ci ha aiutato a dare forma a un film che trasmette un messaggio importante sull’instabilità del popolo venezuelano senza diventare un pamphlet politico. Con la Biennale abbiamo costruito una sceneggiatura forte su una famiglia specifica costretta a perdere la casa a Caracas nel 2016, senza abbandonare la qualità poetica che volevamo per il film. E
J.T.A., R.M., M.A., A.H.
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Interviste
ciò ha portato alla creazione di un’efficace metafora per lo stato dell’intero paese. Siamo molto grati a tutti i tutor che abbiamo avuto perché si sono sempre presi cura di chiederci delle nostre esperienze nel nostro paese con genuina curiosità e autentico desiderio di aiutarci a realizzare la nostra visione. Ci siamo sempre sentiti sostenuti e incoraggiati a creare un film che ci rendesse orgogliosi e possiamo dire di esserlo ancora, e molto. L’approccio aperto e il rispetto del College per il background di ciascun regista hanno fatto del nostro primo lungometraggio un’esperienza che ricorderemo per sempre e per cui saremo per sempre grati. Anche le risorse utilizzate hanno giocato un ruolo importante nel rapporto con i luoghi in cui è ambientato il film. Nel corso della produzione, avete in qualche modo, se non impedito, almeno ritardato la scomparsa del quartiere che volevate ritrarre? La Soledad nasce dal desiderio di preservare un luogo di ricordi, dal voler raccontare la storia di una casa d’infanzia e dei suoi veri protagonisti. Come la casa “in via di demolizione”, il Venezuela contemporaneo è caratterizzato da continue crisi e rapidi cambiamenti. L’urgenza che abbiamo sentito di rappresentare il Paese era la stessa. L’immagine della casa è stata registrata nel film e, sapendo che non continuerà a esistere, questa conservazione cinematografica porta un senso di pace interiore. La casa fisica è ancora in piedi ed entrambe le famiglie che sperano di rivendicarla sono bloccate in un limbo legale. Ma il Venezuela è cambiato radicalmente dal 2016. Alcune delle ville vicine sono state trasformate in ristoranti, dove gli oligarchi del governo mangiano bistecche al ritmo di questo o quel DJ e pagano con dollari americani. In retrospettiva, il film si pone come un documento audiovisivo del Venezuela durante la più grave, a oggi, crisi economica e migratoria. Considerando che il nostro Paese ha sopportato anni di censura e revisionismo storico da parte del suo attuale governo, riteniamo che questo film – questo contributo della Biennale – sia un oggetto di straordinario valore.
J.T.A., R.M., M.A., A.H.
Biennale College Cinema
regista
Shubhashish Bhutiani film
Mukti Bhawan / Hotel Salvation produttore
Sanjay Bhutiani edizione miac
73. (2016)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come ha influito quest’esperienza sui tuoi processi creativi e produttivi, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con i suoi limiti legati alle tempistiche e al budget? Il programma del College mi ha cambiato come cineasta e ha reso questo film possibile. Mi ha mostrato un modo diverso di pensare alla pratica del fare cinema. Ho avuto uno scambio coi tutor che mi seguivano, e le mie idee ne sono uscite più forti. I limiti di tempo e denaro hanno creato un ambiente teso e di grande urgenza, ma mi hanno anche spinto a fare scelte più specifiche e coraggiose. Ogni decisione, logistica o creativa, doveva avere alla base un’idea e un calcolo precisi. Le limitazioni stesse hanno informato l’estetica del film: per mantenerlo il più conciso possibile ne abbiamo costantemente cercato, in ogni momento, l’essenza. Il tempo è risorsa essenziale sia per questo film sia del fare cinema in genere, e ci ha costretto a farne un uso avveduto. Ci sono molte lezioni, tangibili e intangibili, che ho imparato da quest’esperienza e a cui continuo ad attingere nel mio lavoro attuale.
SH.B.
Mukti Bhawan (Hotel Salvation) è stato un successo internazionale sia per vendite sia per accoglienza nei festival. È stato ben ricevuto anche del tuo paese, nonostante fosse una produzione
Dieci 2012–22
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indipendente fatta secondo i parametri della Biennale College Cinema. Puoi dirci dell’impatto commerciale e di pubblico che ha avuto in India? Il film ha viaggiato per numerosi festival internazionali e indiani, ottenendo premi ovunque. Ha ottenuto accordi di distribuzione in molti paesi, con un impatto considerevole nel Regno Unito, dove è stato acquisito dal British Film Institute, e in Giappone, dove è rimasto nelle sale più di quattro mesi. Grazie ai produttori e ai loro team, il film è riuscito a ottenere distribuzione nelle sale ed è stato proiettato in oltre 100 schermi in India, ottenendo recensioni favorevoli e reazioni forti del pubblico. È un grande onore, poiché molti membri del cast e della troupe hanno ricevuto elogi. Abbiamo avuto due Menzioni Speciali ai National Film Awards, per l’attore Adil Hussain e per il film stesso, oltre a un Filmfare Award per la migliore sceneggiatura, assai inconsueto per un film di questo tipo. Netflix se l’è poi assicurato per lo streaming e Disney Hotstar per la televisione indiana, e in streaming continua ad attirare pubblico.
SH.B.
Nonostante le enormi risorse che il cinema indiano ha da offrire, il finanziamento di film indipendenti e d’autore nel vostro Paese è spesso molto complesso. In che misura l’esperienza del College ti ha permesso di creare una proposta di qualità, libera da vincoli di produzione e in grado di dialogare con il grande pubblico? Che margine di cambiamento ritieni sia possibile all’interno dell’industria indiana? È un’industria molto complessa e incentrata sul cinema commerciale. Perché film come questo possano esistere si devono trovare meccanismi produttivi e distributivi nuovi. Bisogna ripensare da zero il nostro rapporto col cinema indipendente, dall’alto al basso, da produzione a proiezione, dato che l’industria attuale non ne ha gli strumenti. Personalmente, trovo incoraggiante che nuovi registi indiani, provenienti dalle aree meno rappresentate al cinema, stiano trovando modi creativi ed efficaci di produrre e mostra-
SH.B.
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Interviste
re i propri film con risorse estremamente limitate. La combinazione di storie forti, team di cineasti efficienti e istituzioni come la Biennale College Cinema (abbiamo bisogno di realtà simili, soprattutto a livello locale!) che incoraggiano e sostengono i registi, è l’unico modo per creare un ecosistema in cui queste storie possano esistere. La tua storia con La Biennale inizia nel 2013 con il cortometraggio Kush presentato nella sezione Orizzonti. Che rapporto hai con La Biennale e la Mostra del Cinema di Venezia come momenti certamente decisivi della tua carriera? Ho avuto la grande fortuna di ricevere un’opportunità dalla Biennale quando non avevo neanche idea di cosa fosse un festival di Cinema. Da giovane regista, Kush mi ha dato la possibilità e la fiducia di continuare a raccontare le mie storie, anche se è così difficile! La Mostra mi ha aiutato a capire meglio gli esordi di alcuni dei miei registi preferiti e quanto serva un miracolo per riuscire a raggiungere il grande pubblico. Mi ha davvero cambiato le prospettive. Il mio primo pubblico è un festival cinematografico dove il film si può non solo vedere ma anche, si spera, ricevere distribuzione. Il College è stato cruciale per la mia crescita personale e mi ha esposto a modi alternativi di fare cinema; e soprattutto mi ha convinto che un festival può essere l’inizio del viaggio, dove il film si mostra e fiorisce. E già che siamo in tema, spero sinceramente che riusciremo ad aiutare i cineasti in tutte le fasi del loro percorso e insegnare loro a cogliere le opportunità quando si presentano. Molti, moltissimi film di qualità non hanno distribuzione. Purtroppo non ho soluzioni, ma piuttosto la speranza che insieme si trovino vie possibili per avvicinare questi film al pubblico di tutto il mondo.
SH.B.
Biennale College Cinema
regista
Giorgio Ferrero produttore
Federico Biasin film
Beautiful Things edizione miac
74. (2017)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come questa esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget, ha influito sui tuoi processi creativi e produttivi? Il College ha avuto nel mio percorso artistico e professionale una duplice valenza. Due spinte apparentemente opposte che sono confluite in un’unica spinta positiva. Da un lato la forte accelerazione: in un solo anno questo progetto mi ha
G.F.
Dieci 2012–22
permesso di scrivere, produrre e presentare la mia opera prima come sceneggiatore e regista alla Mostra del Cinema di Venezia e nel mondo. Dati questi tempi ristretti quello che può nascere non è che un processo creativo violento, impulsivo, emotivo, psichedelico, ma soprattutto sincero. Queste componenti caotiche già fortemente presenti nella mia vita artistica e lavorativa sono state compresse violentemente in un unico istante, quest’accelerazione ha contribuito alla creazione di un’opera scevra da tutte quelle paranoie, quei retropensieri, quelle correzioni e infrastrutture mentali che si generano spesso e naturalmente in gestazioni di film lunghe anni. Considerando che Beautiful Things ha effettuato tre tour mondiali in oltre 120 festival in soli due anni ed è stato doppiato in diciassette lingue, è facile immaginare come il College Cinema sia in grado di permettere agli autori di bruciare letteralmente le normali tappe della gestazione di un film e della sua circuitazione. Sicuramente questo è un processo velocissimo e a tratti può sembrare traumatico, addirittura violento, per chi lo compie, ma allo stesso tempo il gruppo di lavoro che La Biennale di Venezia è in grado di affiancare gli autori è uno scudo dolce, sensibile e delicato che ti permette di non farti male anche se stai andando a 300 all’ora. D’altro lato: il College mi ha permesso di rallentare per riconnettermi letteralmente con la vita professionale e con la ricerca che avevo il desiderio di inseguire. Venivo da anni di produzioni continue nell’ambito dell’audiovisivo, da decine di colonne sonore, da una bulimica fame di collaborazioni, da lavorazioni a film, installazioni, videoclip sovrapposti di giorno e di notte, in parallelo. Il College ha rappresentato uno stop in tutto questo, un’immersione in nuove collaborazioni e amicizie, relazioni vergini e sincere che hanno generato nuovo ossigeno e una nuova consapevolezza nel mio agire quotidiano. Oggi continuo a lavorare a decine di progetti sovrapposti in tanti ambiti, perché fa parte del mio carattere, ma con una mentalità e uno spirito completamente diversi. Oggi mi piace ascoltare, ieri non ero in grado di rimanere in silenzio ammaliato dall’intelligenza degli altri. Molti dei progetti a cui lavoro oggi
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sono completamente collegati alle decine di connessioni positive che ho creato in quei due anni alla Biennale e in giro per il mondo e portano con loro l’eco di quell’energia. Mi ritengo molto fortunato ad aver avuto la possibilità di effettuare questo percorso unico nel suo genere, incontrando persone così talentuose e pronte ad ascoltare e a condividere. Mi sento molto fiero di poter contribuire con la mia testimonianza a una delle più belle storie di sperimentazione cinematografica nel mondo. Quanto aver sviluppato Beautiful Things all’interno della Biennale College Cinema vi ha permesso di costruire un ‘oggetto’ libero da vincoli strettamente legati a ragioni commerciali? Il film è infatti decisamente anomalo per il panorama italiano e sarebbe stato probabilmente difficile se non impossibile da finanziare sul mercato. Avevate provato altre strade prima del College? Ho scritto il soggetto del film nel maggio 2016, un amico produttore ne è rimasto molto affascinato e mi ha detto che nessuno in Italia lo avrebbe mai prodotto. “Scordatelo” mi disse. Allo stesso tempo mi suggerì di provare, prima di buttarlo nel cestino, con la Biennale College Cinema, che io, devo ammettere, non conoscevo. Nell’agosto 2016 mi hanno comunicato che ero stato selezionato. In ottobre 2016 ho partecipato al primo workshop e mi sono reso conto, dopo tre giorni molto disorientanti, che stavamo vivendo un’occasione unica per noi e per il progetto. Lo stesso ottobre abbiamo presentato il progetto. In novembre 2016, dopo soli quattro mesi dal primo soggetto, ho finito la sceneggiatura e scritto gran parte delle musiche. In marzo 2017 abbiamo iniziato le riprese in Texas e in aprile eravamo su una nave cargo in mezzo all’oceano. Il 3 settembre 2017 il film ha avuto la sua fortunata prima a Venezia. Molte delle location che hanno accolto il progetto lo hanno fatto quasi esclusivamente per la garanzia qualitativa che La Biennale di Venezia offriva al progetto. Se voi provate ad andare tra i pozzi di petrolio a Odessa nel West Texas presentando-
G.F.
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Interviste
vi come filmmaker indipendenti chiedendo di girare un film, nella migliore delle ipotesi vi danno un minuto per andare via, nella peggiore si mettono a ridere e vi fanno vedere una pistola. Nessuno nel team del College ci ha mai detto che cosa fosse giusto e che cosa sbagliato e soprattutto ha mai assolutamente pronunciato frasi odiose come “Si fa così” o “Questo non si può fare”; per il team le uniche regole accademiche di progettazione del film sono quelle che fanno sentire gli autori a loro agio e l’unico mercato e committente è il film stesso. Questo valore di cinema libero e la sfida di una carta davvero bianca davanti agli occhi, senza nessun capro espiatorio offerto dalle imposizioni del mercato o della produzione, sono alcuni dei pilastri principali di un modello di creazione artistica che va protetto come una specie in estinzione. Credo che moltissimi film prodotti dalla Biennale College Cinema abbiano avuto una grande visibilità e una distribuzione internazionale proprio perché non c’era nessuna imposizione alla base; questo grande senso di libertà espressiva è in grado di propagarsi con il passaparola molto più di qualsiasi strategia studiata a tavolino. No. Beautiful Things, almeno così, non sarebbe mai esistito senza il College e senza La Biennale di Venezia. Ne sono sicuro. E quando gli spettatori si emozionano percependo tutte le emozioni che abbiamo vissuto durante la scrittura e la produzione del film è una gioia immensa perché il piccolo miracolo che ci ha travolto travolge anche loro. La realizzazione di Beautiful Things è stata anche uno stimolo a un’evoluzione importante per la vostra società di produzione. Che ruolo ha giocato in questo cambiamento l’esperienza del College dal punto di vista della crescita delle competenze creative e produttive e anche dal punto di vista del vostro posizionamento sul mercato nazionale e internazionale? Il film, proprio per la scelta di temi sviluppati in location così lontane e difficili, rappresentava fin dall’inizio una sfida su tutti i fronti. Non solo dovevamo trova-
F.B.
Biennale College Cinema
re i soldi per farlo e dei tutor in grado di aiutarci a costruirlo ma dovevamo anche convincere i proprietari dei luoghi e scovare personaggi reali in giro per il mondo. Beautiful Things era una sfida sotto ogni punto di vista. Avere 150.000 euro a disposizione per una sceneggiatura scritta per essere girata in quattro luoghi remoti del mondo ci ha portato a ottimizzare ogni processo e a progettare la produzione in modo estremamente creativo in modo che fosse realizzabile grazie a una crew molto leggera (in media cinque persone). La crew oltre a me e Giorgio era formata da ragazzi molto talentuosi, in grado di ricoprire più ruoli e di modificare il proprio ruolo di giorno in giorno. Abbiamo tenuto tutti la camera in mano, i microfoni, la scenografia, abbiamo montato il film in cinque postazioni parallele in un mese e durante le riprese. In ogni set abbiamo organizzato una postazione di montaggio che di notte editava quanto raccolto durante il giorno. La Biennale di Venezia è stata un volano impressionante nella creazione di una rete di contatti mondiali in ambiti diversissimi (enti turistici, proprietari di pozzi petroliferi e squadre di football, armatori, politici, scienziati, film commission americane, ministeri dell’ambiente…). Questo valore aggiunto è impagabile in termini di budget. E poi questo progetto ci ha permesso di consolidare sia il nostro metodo di scrittura che di produzione. Giorgio e io lavoriamo con un gruppo ristrettissimo di collaboratori in modo totalmente libero da regole accademiche. Nella nostra anarchia costruiamo il nostro sistema di regole che poi seguiamo, come nel caso di Beautiful Things in modo molto rigoroso. Pensiamo che nessuno ti debba o ti possa dire come si fa il tuo cinema. Pensiamo che ognuno debba trovare il proprio metodo e le proprie regole per costruire il proprio modo di fare cinema, e il College ci ha permesso di approfondire e sperimentare questo processo. Durante la realizzazione del film avete deciso di inserire anche la produzione di un’opera VR. Che dinamica si è creata dal punto di vista creativo ma anche produttivo con questo percorso parallelo di creazione?
Dieci 2012–22
Denoise, il film in realtà virtuale parallelo a Beautiful Things, è nato in modo spontaneo nel momento in cui le location sono diventate dei veri e propri personaggi del film. Michel Reilhac ci ha immediatamente spinto a pensare la nostra storia anche a 360°. Luoghi così incredibili e rari da vivere richiedevano uno sforzo di ricerca nella fotografia anche nell’ambito immersivo. Denoise è nato come un ennesimo esperimento, che poteva rimanere una semplice raccolta di materiale, ma è diventato in modo spontaneo un vero e proprio film. Da allora non abbiamo più smesso di esprimerci anche con questo mezzo, abbiamo prodotto altri due film in Realtà Virtuale, e il nostro studio ha al suo interno un piccolo dipartimento che si occupa proprio di esperienze in 360°. Il VR non è un’alternativa al cinema ma è un possibile mezzo espressivo in grado in alcuni casi di restituire un altro tipo di emozione. Anche da questo punto di vista il College Cinema è stato per noi un punto di partenza.
F.B.
Il vostro film ha avuto una straordinaria carriera internazionale che vi ha posizionato in modo forte a livello europeo e globale. Che ruolo ha giocato il lancio avvenuto grazie alla Biennale College Cinema? I film a cui stiamo lavorando oggi sono progetti molto ambiziosi, una sfida dal punto di vista delle collaborazioni internazionali. Senza l’esperienza, la rete, la stima e la sensibilità vissute nel College non staremmo facendo quello che facciamo con questa serenità. Per esempio, in questo momento, durante i giorni della guerra in Ucraina, stiamo sviluppando un film in Russia e girando a Mosca un cortometraggio preparatorio a distanza, collaborando con i ragazzi del circuito del Doker IFF di Mosca dove Beautiful Things ha avuto la singola proiezione con il maggior numero di spettatori di sempre, oltre duemila persone. Solo con il bagaglio raccolto in questi ultimi cinque anni è pensabile per noi affrontare senza paura progetti di questa portata. Ecco, la Biennale College Cinema ti insegna anche questo: a non avere paura.
G.F., F.B.
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regista
Mazen Khaled produttrice
Diala Kachmar sales agent
Manuela Buono film
Martyr edizione miac
74. (2017)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Che effetti ha avuto quest’esperienza – con le sue opportunità finanziarie e di crescita, ma anche con i suoi limiti di tempo e budget – sui vostri processi creativi e produttivi? Per lo sceneggiatore/regista, l’esperienza del College è stata magica. Sembrava un sogno impossibile poter scrivere e produrre un lungometraggio in nove mesi, ma grazie alla Biennale College si è realizzato. Ovviamente non è stato facile: la scrittura frenetica e il doversi gettare in picchiata nella produzione sono stati brutali, e gli errori dovevano essere affrontati rapidamente e senza esitazione. Abbiamo fatto fronte a sfide giornaliere che minacciavano d’interrompere le riprese, ma la struttura dei workshop e il programma serrato e senza sconti ci hanno costretti a imparare in fretta. Abbiamo cominciato a liquidare le sfide una dopo l’altra. Alla fine ne siamo usciti con un’esperienza preziosa e inimitabile e un prodotto di cui essere orgogliosi. Per il produttore, la lezione preziosa è che il cinema a micro-budget non solo è vitale, ma soprattutto ha un valore e una nicchia distributiva. Lavorare entro questi confini ha rafforzato la nostra esperienza sul campo. Ci ha dato la volontà e la formazione per fare più film con questi parametri. Ha anche dissipato la paura del micro-budget. Sia per il regista che per il produttore, la Biennale College Cinema è stata un’opportunità per creare e consolidare orizzonti internazionali per le nostre carriere. Riteniamo che il successo di Martyr sia un utile biglietto da visita. La sua reputazione ci ha preceduto in molte occasioni.
M.K, D.K.
Martyr è un film profondamente radicato nella realtà libanese, raccontato da una prospettiva inedita e per certi versi ‘scandalosa’. In che modo la Biennale College ti ha permesso di creare uno spazio di libertà per esprimere appieno temi e storie che probabilmente sarebbe stato difficile produrre nel tuo Paese? I workshop ci hanno aperto le porte dal punto di vista esperienziale:
M.K, D.K.
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Interviste
Biennale College Cinema
che si tratti dei tutor, dell’ambientazione dell’isola, dei consigli alla produzione o del tappeto rosso alla Mostra del Cinema di Venezia, il processo del College è stato meraviglioso. Come team, non abbiamo mai pensato che il progetto fosse scandaloso. Peraltro non è mai stato percepito in questo modo dal pubblico libanese e arabo. Il film è rimasto nelle sale per sette settimane in Libano ed è ora in corso una distribuzione di successo in tutto il mondo arabo. I media arabi, compresi quelli conservatori, hanno accolto favorevolmente il progetto. Crediamo che il vero dono offerto dalla Biennale College non sia la libertà personale ma la libertà creativa, con la sua generosità, tutoraggio e sovvenzione senza vincoli. Ci è stato ripetutamente raccomandato di essere fedeli alla nostra visione e di preoccuparci solo della qualità cinematografica e del valore artistico dell’opera. Non abbiamo mai avuto alcuna pressione finanziaria o creativa. Il College era lì per aiutarci a realizzare la nostra visione. È una cosa rara nel mondo d’oggi.
è al terzo posto di Curzon on Demand. All’uscita nel Regno Unito, il Guardian l’ha definito “studio magistrale e viscerale del dolore”. Martyr è stato anche distribuito online nel sud-est asiatico sul forum LGBT specializzato GagaoooLala. Ha trovato distribuzione (gestita dai produttori) anche nei territori arabi con Front Row Film, uno dei distributori più rispettati della zona, che l’ha concesso in licenza esclusiva a Netflix. Nel 2022, cinque anni dopo la prima proiezione pubblica, il film è stato invitato nella sezione Unleashed del Rotterdam Film Festival, trai venticinque titoli scelti per celebrare i cinquant’anni del Festival.
Nonostante sia nato in circostanze estremamente specifiche, il film ha avuto grande fortuna sia in casa sia all’estero. Puoi raccontarci quest’importante viaggio intrapreso dal film dall’epoca della prima mondiale al Lido?
M.B.
Martyr ha debuttato a Venezia nel settembre 2017, nella sezione Biennale College Cinema; nel 2018 è uscito in America del Nord al South by SouthWest e quello è stato un punto di svolta. Al SXSW è stato venduto a Breaking Glass per Stati Uniti e Canada. È stato distribuito nelle sale negli Stati Uniti e subito dopo uscito in esclusiva su Amazon. Finora, Martyr ha partecipato a più di quaranta festival, con un’impressionante copertura stampa, tra New York Times, Los Angeles Times, The Guardian e Scenes Journal. In Europa, si è aggiunto ai cataloghi di diversi distributori online specializzati come Optimale (Francia), Tongagiro (Polonia) e Peccadillo (Regno Unito e Germania). Peccadillo in particolare ha generato un forte interesse per il film, con proiezioni mirate nella catena cinematografica britannica Curzon, dove
M.K, D.K.
Dieci 2012–22
Hai incontrato la tua Sales Agent Manuela Buono di Slingshot Film durante la pre-produzione al workshop della Biennale College. Manuela, che peso hanno avuto il senso di comunità e il confronto con i tuoi colleghi del College per la crescita e la maturazione del tuo progetto? Ho partecipato al workshop nel 2016 con un progetto cinematografico. All’epoca, mentre muovevo i primi passi come produttrice, avevo già vari anni di esperienza come agente commerciale con Slingshot Films. Il College è un laboratorio particolare: in primo luogo, oltre alla formazione, c’è la competizione. Solo pochi progetti selezionati saranno finanziati, quindi il rapporto con gli altri partecipanti non è sempre aperto e pacifico come in altri workshop di questo tipo. In secondo luogo, la formazione si svolge a San Servolo, una piccola isola che ha molto da offrire in termini di concentrazione e isolamento, quindi ottima per la scrittura, ma molto poco per le interazioni sociali. Ho subito sentito un legame naturale con Diala e Mazen e abbiamo passato quasi tutte le sere insieme spinti dalla curiosità reciproca (non eravamo nello stesso gruppo, e non abbiamo mai parlato dei nostri progetti, ma piuttosto di noi stessi). Ho poi comunque scoperto il loro progetto durante le presentazioni, insieme agli altri partecipanti. Mi hanno colpito la poesia di Mazen, che ha dipinto a parole
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la sua idea, e l’energia e la forte volontà di Diala. Ho pensato che se avessi dovuto premiare o lavorare con uno dei progetti, sarebbe stato Martyr, perché già nei sette minuti di pitch potevo capirne la forza che nella sua opera nasce dal bisogno. Sfortunatamente, la dimensione ha ampi margini di miglioramento. Anche se tutti i team sono su una piccola isola, non ci sono molte opportunità per socializzare e parlare tra noi dei nostri progetti. I team sono separati, che è comprensibile data la natura frenetica dei workshop. Non avanza molto tempo, a parte gli incontri con i tutor. Incontrare Manuela è stata una felice coincidenza semplicemente dovuta alla vicinanza delle stanze e perché le nostre personalità, e forse le nostre origini mediterranee, si sono naturalmente trovate. Abbiamo scoperto in seguito che Manuela è un’agente e abbiamo deciso di affidarci a lei. Ci siamo incontrati per via della Biennale College e gliene siamo grati, ma mi chiedo se si possa fare di più per assicurarsi che tali incontri fortuiti possano avvenire. Suggerirei di aggiungere degli agenti ai workshop. O magari invitarne all’ultimo seminario per incontrare i team, per preparare il terreno per una potenziale cooperazione in seguito?
M.K.
regista
Petra Szőcs film
Deva produttore
Péter Fülöp edizione miac
75. (2018)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? In che modo quest’esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con i suoi limiti legati alle tempistiche e al budget, ha influito sui tuoi processi creativi e produttivi? La rapidità è fantastica. È stata un’esperienza incredibile rendersi conto che si può davvero realizzare un film in così poco tempo! La Biennale College Cinema è un luogo ideale per ripensare le proprie concezioni sulla produzione e rinnovare la propria idea di cinematografia. Mi sono resa conto che prima lavoravo troppo lentamente e sono giunta alla conclusione che mi stavo aggrappando troppo alle convenzioni produttive. È stata una rivelazione veramente traumatica, i cui effetti che durano ancora: per il mio prossimo film, mi piacerebbe lavorare con una troupe più ridotta e girare più a lungo. I limiti di tempo erano ovviamen-
P.S.
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Interviste
Biennale College Cinema
te causa di stress, ma per certi versi erano liberatorî. Quando devi finire un film in pochi mesi, sei più aperta alle meraviglie del set e alle piccole cose della vita di tutti i giorni, perché vuoi cogliere di più dalla realtà invece di restare attaccata alla tua storia originale. Hai un dialogo più intenso con l’ambiente circostante. Quando ti servono venti attori per un film, allora quasi tutti quelli che incontri diventano potenziali attori. I nostri li abbiamo trovati cosí: un brillante deviatore in una remota stazione ferroviaria, un carismatico allenatore sportivo in un piccolo villaggio, un prete insicuro, la nipote dell’impresario di pompe funebri, e così via. Deva è un film che parla di diversità con grande sensibilità e modestia. Un argomento forte ma anche estremamente complesso. Come sei riuscita a conciliare le esigenze espressive e umane del tuo film con il processo estremamente concentrato e rapido legato al formato del College? Essere orfani è come un road movie: le persone intorno a te cambiano continuamente, vieni sostituita, non puoi attaccarti a nulla. Il film parla della stranezza di essere un’adolescente in un luogo dimenticato da Dio e della trasformazione che un’amicizia in rovina può portare con sé. Alla fine del film Kató, la protagonista, non è la persona che voleva essere, ma nemmeno quella che era stata. Abbiamo costruito una trama molto densa attorno a questa storia piena di tensione: la prima bozza aveva molti episodi e personaggi secondari, ma non tutti erano essenziali. Abbiamo dovuto sbarazzarci di alcuni di questi a causa della mancanza di tempo e denaro, quindi nel film rimangono piuttosto accenni a ciò che non è accaduto ma che sarebbe potuto accadere. È stato molto interessante lavorare a questo tipo di riduzione. Per noi il College è stato un esercizio di compressione e concentrazione, il che significava rimodellare la nostra idea del film. Abbiamo realizzato un film diverso da quello che immaginavamo, ma penso che siamo stati fedeli al nostro impulso iniziale.
P.S.
Dieci 2012–22
Un tratto determinante di un cineasta è anche una forte testardaggine, soprattutto in un contesto a basso budget come il formato della Biennale College. Durante la realizzazione del film, hai perso il tuo personaggio principale e hai dovuto trovare un nuovo interprete con tutto ciò che questo comporta a livello creativo e produttivo. Come hai affrontato la realtà, così centrale per il successo di un film come il tuo, in questa esperienza così speciale? In effetti è stata la sfida creativa più grande che ho dovuto affrontare. Con l’albinismo al centro della sceneggiatura, è stato necessario trovare un’altra ragazza albina della stessa età, che parlasse sia il rumeno che l’ungherese, e questo casting sembrava impossibile. Davvero. Ma un amico l’ha trovata all’ultimo momento. È un miracolo che esita una persona del genere. Devo molto a Csengelle Nagy, che con la sua perseveranza, umiltà e talento ci ha aiutato a fare del film quello è diventato. Ha portato un nuovo livello di realtà sul set, la sua realtà in quel momento: come ha trovato la sua femminilità e come si è aperta al mondo da adolescente. E c’erano anche altre realtà, che erano più facili da catturare su pellicola: l’aria intorno a Deva e la combinazione del grigio splendente, del blu comunista e del verde empatico che mi ha ipnotizzata quando ho visto questo posto per la prima volta.
P.S.
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regista
Keren Ben Rafael film
The End of Love produttrice
Delphine Benroubi edizione miac
76. (2019)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come ha influito quest’esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget, sui tuoi processi creativi e produttivi? Quando ho fatto domanda alla Biennale College, stavo presentando Virgins, il mio primo lungometraggio, nei cinema di Francia e Israele e nei festival in giro per il mondo. Con Elise Benroubi, la mia co-sceneggiatrice, avevamo impiegato 5-6 anni per svilupparlo. Poter riprendermi così rapidamente e scrivere il mio secondo film in così poco tempo è stato parecchio insolito e importante. Quando abbiamo fatto domanda al College avevamo solo un trattamento, e abbiamo scritto la sceneggiatura in meno di un mese. Credo di lavorare meglio quando ho limiti e costrizioni. Nel mio caso, dover fare tutto così in fretta e con un budget ridotto è stata certamente una sfida, ma positiva. Le riprese sono state brevi, ma a questo ero abituata perché in Israele è abbastanza comune girare un lungometraggio in tre settimane. Quello che qui c’era di diverso e importante era provare a me stessa che potevo realizzare un film in velocità e coglierne subito non solo il contenuto ma anche la forma e la struttura. Se no questo processo può portar via molto tempo e si può perdere interesse per il proprio film.
K.B.R.
Cos’ha significato per te costruire una narrazione cinematografica utilizzando uno strumento come la videoconferenza? In un certo senso hai portato all’estremo il concetto di “limite” che fa parte del formato Biennale College Cinema. K.B.R. L’idea di raccontare il film per mezzo di videochiamate c’è stata fin dall’inizio. È con in mente questo che abbiamo scritto la sceneggiatura e ha reso la storia più interessante. La sfida in realtà mi ha aiutata a essere più precisa nella scrittura. Ho dovuto trovare modi creativi di mostrare molteplici dettagli su questa
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Interviste
Biennale College Cinema
coppia senza poter uscire da un’inquadratura così rigida. È stata proprio questa limitazione a darci sia forza sia, in effetti, molte idee per scene che altrimenti non mi sarebbero venute in mente. Gli incontri con i tutor del College sono stati molto utili. Anche quelli che credevano che il concetto fosse troppo estremo – e hanno suggerito una seconda telecamera per inquadrature ‘normali’ – ci hanno davvero aiutate. Quello che ci ha dato maggiore spinta è stato sapere che questo tipo di laboratori esiste precisamente per darci la possibilità di tentare qualcosa di potenzialmente pericoloso. Qualcosa che può risultare in un flop! Più procedevamo, più eravamo convinte di questo concetto piuttosto originale, o quantomeno eravamo certe che avremmo fatto di tutto per farlo funzionare. A sceneggiatura finita, la nuova sfida era usare le videochiamate come linguaggio cinematografico. Da una parte, volevo dare l’impressione che avessimo girato il film con vere videochiamate. La macchina da presa non può mai muoversi all’improvviso o mostrare un altro personaggio senza integrarlo nella storia. Dall’altra, volevo rendere più ricca la normale esperienza di videochiamata e darle un taglio più cinematografico. Questo voleva dire, quando possibile, utilizzare l’immagine, la profondità di campo, gli specchi e, naturalmente, l’illuminazione per nascondere o mostrare aree diverse dell’inquadratura in diversi momenti, stabilendo così un vero legame tra forma e contenuto. Mi sono anche presa la libertà di usare alcune riprese di videochiamata che al cinema non si vedono mai, con la telecamera sul davanzale, per dire, che mostrano l’attrice da un punto di vista molto strano.
al centro del tuo film. Come la vedi oggi retrospettivamente alla luce della crisi del Covid-19? In effetti è stato piuttosto sorprendente notare come il film si è avvicinato alla realtà. La gente ci ha chiesto se sapevamo qualcosa in anticipo! Per il film questo è stato fantastico, perché molti improvvisamente hanno capito la comunicazione a distanza molto meglio dopo il primo lockdown, ed è stato molto più facile identificarsi con i personaggi. Programmi come Zoom li vedo essenzialmente in modo molto pratico: ci dànno uno strumento per connetterci, che è molto utile e speciale. Ma come tutto il resto, quando questo strumento viene ossessivamente abusato, cioè quando uno strumento come questo diventa l’unica modalità di comunicazione, può essere molto pericoloso per le relazioni umane. La cosa che prima di tutto mi ha spinta a fare il film rimane vera oggi: è questa sensazione d’intimità con qualcuno che finisce bruscamente, per poi ritrovarsi ancora più soli. Potremmo chiamarla l’illusione dell’intimità. E poi si resta da soli davanti a uno schermo nero.
K.B.R.
Il film ragiona in modo estremamente intenso sulla relazione tra amore, famiglia e nuovi strumenti di comunicazione, ed è stato in qualche modo una visione profetica di ciò che sarebbe accaduto forzatamente dal lockdown del 2020. Nel 2019 programmi come Zoom erano appannaggio di una nicchia ristretta, e la pandemia ha esteso a tutta la popolazione quel senso di crisi, frustrazione, spersonalizzazione che è
Dieci 2012–22
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produttrice
Cait Pansegrouw film
This Is Not a Burial, It’s a Resurrection regista
Lemohang Jeremiah Mosese edizione miac
76. (2019)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Che effetti ha avuto quest’esperienza – con le sue opportunità finanziarie e di crescita, ma anche con i suoi limiti di tempo e budget – sui tuoi processi creativi e produttivi? Nonostante i limiti, questa è stata l’esperienza più creativamente liberatoria della mia carriera. Sì, le cose si muovono molto rapidamente e questo a volte può essere scoraggiante, ma è anche un privilegio potersi impegnare a tempo pieno nel processo creativo, con una data di consegna e un risultato concreti. Si è un po’ costretti a lavorare d’istintivo e prendere decisioni basate sulla sensazione del momento, e questo per noi ha funzionato molto bene. In genere, i miei film sono coprodotti da più paesi e/o è coinvolta un’emittente/distributrice. Nonostante sia un modello collaudato a livello globale, ha i propri limiti e può portare via molto tempo poiché sono in molti ad aver voce in capi-
C.P.
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Interviste
tolo e ciascuno ha forti opinioni. In questi casi, soprattutto per il produttore, gran parte della nostro ruolo è dedicato dalla gestione e dalla comunicazione coi soci, con molto meno tempo a disposizione per il film stesso. Questo col College non succede perché ci viene data una sovvenzione, e per quanto abbiamo accesso a tutor ed esperti incredibili, alla fin fine tutti, qualunque cosa ne pensino, si aspettano che noi cineasti facciamo il film che desideriamo. È uno splendido spazio per la creatività. Il vostro film ha avuto una straordinaria fortuna internazionale. Raccontaci come è nata quest’accoglienza e se sia stata una sorpresa. A dire il vero, non sono sorpresa dai riconoscimenti ottenuti. Da quando ho letto la prima bozza della sinossi sapevo che sarebbe stato incredibilmente speciale. C’è appetito crescente per il cinema dal nostro continente e la voce di
C.P.
Biennale College Cinema
Lemohang è così unica che sapevo che il film avrebbe avuto un lungo e felice viaggio tra i festival. Fin dall’inizio siamo stati molto chiari e in sintonia su cosa volevamo fare e perché. Insieme ai nostri rappresentanti commerciali di Memento Films International, avevamo una strategia precisa per le presentazioni ai festival e io ero determinata dall’inizio a far sì che il film fosse la prima candidatura del Lesotho agli Oscar. This is Not a Burial, It’s a Resurrection è un film profondamente africano, ambientato in un paese che essenzialmente non ha tradizione cinematografica. Nonostante abbia una base produttiva europea, quali strategie e scelte hai messo in atto per ancorare profondamente il tuo progetto nella realtà locale? Come vi collocate come voce e sguardo non ‘sul’ Lesotho ma ‘del’ Lesotho? Non credo ci sia mai stato il rischio che il film non fosse ‘del’ Lesotho, con Lemohang alla regia. Questo è esattamente il motivo per cui è così importante che le storie vengano raccontate dai popoli indigeni di tutto il mondo. Indipendentemente da dove saranno ambientati i suoi prossimi film, credo che tutta l’opera di Lemohang sarà ‘del’ Lesotho, per via del suo rapporto ricco e complesso col suo paese. Nella pratica, per noi era importante coinvolgere più persone Basotho possible nella lavorazione del film. Per molti versi, questa è una lettera d’amore al Lesotho, e chi può scrivere tale lettera meglio dei suoi stessi abitanti? Ovviamente, data la mancanza d’infrastrutture e industrie sul posto, c’erano limitazioni alla possibilità di avere un’intera troupe Basotho, ma abbiamo insistito il più possibile. A parte tre sudafricani, il cast era composto interamente da attori Basotho e veri abitanti del villaggio in cui si sono svolte le riprese. È un approccio che difendo con ogni film che faccio, ma in questo caso era particolarmente dovuto.
C.P.
di BCC per sviluppare una seconda opera certamente complessa e che forse avrebbe richiesto più tempo per realizzarsi prima di potersi posizionare sul mercato? (Il primo film del regista Mother, I Am Soffocating. This Is My Last Film About You è stato presentato e premiato con un montaggio preliminare nell’ambito del programma “Final Cut in Venice”, ndr) Non ho dubbi che questo film corresse seriamente il rischio di non vedere la luce se non fosse stato per la Biennale College. Almeno la versione che abbiamo oggi. Dal momento che non ci sono strumenti finanziari in Lesotho, avremmo dovuto fare molti sacrifici per poter girarlo in Sud Africa e ci sarebbe sicuramente voluto più tempo con un percorso più tradizionale. Era il primo lungometraggio narrativo di Lemohang ed era molto ambizioso, quindi eravamo tutti consapevoli dei rischi del tradizionale sistema di coproduzione. Sarebbe stato un film molto diverso. Per questa ragione tra le tante sono grata alla Biennale College, e ai nostri tutor ed esperti, che ci sono stati di enorme aiuto. Mi sono sentita molto coinvolta nel processo e mi sento di consigliarlo vivamente.
C.P.
La storia di Jeremiah come autore è profondamente legata alla Biennale. Cosa ha significato per te poter contare su uno spazio “sicuro” come quello
Dieci 2012–22
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regista
Hannaleena Hauru produttrice
Emilia Haukka film
Fucking with Nobody edizione miac
77. (2020)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Che effetti ha avuto quest’esperienza – con le sue opportunità finanziarie e di crescita, ma anche con i suoi limiti di tempo e budget – sui vostri processi creativi e produttivi? Realizzare Fucking with Nobody nell’ambito del College mi ha aiutata a trovare libertà artistica attraverso una collaborazione stretta alla pianificazione della produzione. Il modo tradizionale di fare film è un processo lineare per passi successivi dalla sceneggiatura al finanziamento alle riprese. Nelle scuole di cinema la sceneggiatura è trattata coll’idea di lasciar volare la fantasia, tanto il finanziamento e la distribuzione vengono dopo. In realtà sto diventando piuttosto contraria a quest’approccio, poiché isola il processo creativo dalla produzione. Per esperienza, può essere artisticamente piuttosto traumatico, dato che come regista-sceneggiatore le
H.H.
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Interviste
realtà del finanziamento le dovrai affrontare comunque. Il College mi ha aiutata a creare contenuti con punti di vista multipli mentre pianificavo la produzione con Emilia. È bello che La Biennale abbia compreso l’importanza dell’unione tra regista e produttore, e ci lavori concretamente. Aver chiari in mente tempo, denaro e luogo della proiezione è stata un’ottima base di partenza per lavorare in modo lucido concentrandoci sui contenuti. Il mio paradosso preferito sul cinema è che mentre abbiamo tutta la libertà di scegliere come fare un film, tendiamo a ricadere sempre nelle stesse abitudini. La Biennale College Cinema permette di affrontare la produzione in modo diverso, e sono convinta che il metodo che abbiamo seguito con Fucking with Nobody, con riprese e montaggio che si sono sovrapposti, sia stato tutto a vantaggio del contenuto che stavamo creando. Il College mi ha dato l’opportunità concreta di partire e sperimentare con la produzione dal gior-
E.H.
Biennale College Cinema
no stesso in cui Hannaleena e Lasse Poser hanno iniziato a scrivere il film. Anche le sorprendenti strategie degli altri team per superare i limiti delle risorse a disposizione fanno ormai parte di me. Sono tutte idee e strumenti concreti per evitare il paradosso delle produzioni cinematografiche.
body. Dal punto di vista creativo questo è un modo molto più utile di dare valutazioni. Non si concentra sui problemi che devono essere risolti, ma piuttosto sui punti di forza che devono essere evidenziati.
Trattando il tema delle relazioni e dei sentimenti nel mondo contemporaneo, il film lavora mescolando linguaggi e registri. Fiction, documentario, autofiction, improvvisazione, contribuiscono a restituire la complessità dei tempi che viviamo, tempi in cui ognuno di noi è costantemente soggetto e oggetto di una rappresentazione. Potete dirci di più su questo processo?
Ha avuto un impatto profondo, permettendoci di proporre, testare e sperimentare qualcosa di nuovo a ogni passo. Il College ci ha incoraggiate a capire il nostro gruppo di lavoro e a pensare come adattare la produzione ai contenuti, che in Fucking with Nobody ruotavano attorno all’intimità, ai desideri, alle fantasie, agli ideali di romanticismo e al mettersi in mostra nei social media. Questo vuol dire fare cinema con trasparenza, e ci ha insegnato a comunicarne a tutta la troupe il processo e la logica di fondo.
H.H.
La mia idea di base era di non aver paura della complessità. Non volevo sottovalutare il mio pubblico. La vita stessa è contradditoria e complicata. Voglio credere che la capacità di lettura della propria vita quotidiana aiuti gli spettatori a vivere simili esperienze al cinema.
Il film esprime un’idea molto forte di libertà creativa e di superamento dei limiti imposti dai formati, compresa la produzione. Come valutate oggi quest’esperienza e in che modo vi ha influenzate rispetto alle fasi successive della vostre carriera?
Per avere un cinema più inclusivo e a più voci, dobbiamo accettare modi diversi di valutare il contenuto e la drammaturgia di un film. La nostra metafora drammaturgica in Fucking with Nobody era un uragano, che alla fine sputa fuori una sola chiara idea. Con questa metafora in mente abbiamo creato una nostra logica di produzione: a volte poteva sembrare un uragano con più macchine da presa che giravano contemporaneamente, ma avevamo sempre chiari l’obiettivo e l’idea centrale.
H.H., E.H. Al momento stiamo lavorando al nostro prossimo film. Contiamo di girarlo all’inizio del 2023. Questo prossimo progetto rappresenta un ulteriore passo avanti nella decostruzione delle gerarchie e nella ricostruzione di strategie produttive comuni. In Fucking with Nobody, avevamo coinvolto gli attori nel processo e ciò ha influito sul modo in cui sono scritti i loro personaggi. E questo ci ha aiutato a capire che se vogliamo un cinema a più voci, è necessario modificare e analizzare criticamente l’intera struttura di finanziamento e produzione. La nostra prossima sfida è convincere i nostri fondi cinematografici nazionali a fornire lo stesso supporto e la stessa libertà che abbiamo sperimentato con la Biennale College Cinema.
E.H.
Quanto ha influito la particolarità del format del College su un processo creativo e produttivo così peculiare? Mi ha fatto enorme piacere che ‘l’esercito dei tutor’ si è sempre concentrato sui punti di forza del progetto e ci ha spinte ad andare sempre più in profondità in quegli aspetti di Fucking with Nobody. Il film non è per tutti i tipi di pubblico, e in un gruppo di lettori così versatile abbiamo trovato chi capiva la specificità di argomenti temi e metodi di Fucking with No-
H.H.
Dieci 2012–22
E.H.
73
regista
Sol Berruezo Pichon-Rivière produttrice
Laura Mara Tablón film
Nuestros días más felices edizione miac
78. (2021)
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come ha influito quest’esperienza, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget, sui vostri processi creativi e produttivi? S.B.P-R, L.M.T. La Biennale College Cinema ha significato senz’altro un passo avanti nel nostro percorso professionale. Innanzitutto, essere state selezionate ci ha dato la spinta e la fiducia in noi stesse necessarie per raccontare una storia ‘fuori dagli schemi’. Avere la fiducia degli altri, inoltre, era ciò che più ci serviva per accettare non solo la sfida di vivere un’esperienza targata Biennale College, ma per farlo senza paura. Inoltre, essendo il secondo lungometraggio della regista, il College ha anche assicurato che Sol potesse continuare la sua carriera, perché a volte i secondi film sono più difficili dei primi.
Per quanto riguarda l’aspetto finanziario, il progetto ci ha guadagnato a 100%. Dato che abbiamo costruito il progetto intorno ai requisiti del College, sapevamo che i soldi non sarebbero stati un problema (salvo sfortuna!). Perché il progetto andasse liscio e senza drammi, non avere questa preoccupazione era fondamentale. I tempi per noi non erano un vero problema. Piuttosto il contrario. Questo film ha avuto l’opportunità di essere scritto e filmato all’istante, quindi c’è qualcosa della sua essenza che non è mai svanito, anche quando si è girato durante la pandemia. In termini creativi il limite di tempo è stato molto positivo. Era ed è un modo unico di realizzare un film dalla sua concezione alla sua uscita nello spazio di un anno. Queste dinamiche non hanno eguali nell’industria cinematografica. Non esistono altri casi in cui un autore possa contare sia sul finanziamento che su una proiezione garantita prima ancora di finire la sceneggiatura. Quando si fa un film si
74
Biennale College Cinema
Interviste
è pieni d’insicurezze, che la Biennale College fa scomparire. Il fatto di sapere già dove il film verrà proiettato è una pressione in meno che rinvigorisce la creatività. Quindi questo film non sarebbe stato possibile senza la Biennale College Cinema, o almeno, non di questi tempi. Il programma si adattava perfettamente al nostro film e alle nostre idee. Avevamo i migliori tutor per aiutarci in questo viaggio e un’ottima struttura su cui fare affidamento.
regista
Monica Dugo film
Come le tartarughe
Vorremmo che ci raccontaste come avete lavorato alla scrittura del film, sicuramente uno dei suoi punti di forza. Avevate già un’idea da tempo? In che modo il viaggio all’interno del College ha influenzato il processo creativo? Al momento della domanda al College, avevamo una prima versione della sceneggiatura, scritta appositamente per quello. Questo progetto infatti è nato pensando alla Biennale College Cinema. All’inizio del workshop avevamo una prima bozza e una struttura di base, che poi abbiamo ampliato e migliorato. Il workshop ci ha anche dato l’opportunità di lavorare alla creazione della sceneggiatura insieme, produttrice-regista, e anche con altri tutor incredibili che ci guidavano per migliorare ulteriormente i punti di forza della storia. Per esempio, rendersi conto di chi fosse il vero protagonista, definire una struttura solida che potesse sostenere l’elemento fantasy senza che lo si dovesse spiegare. Tutto questo è venuto dal lavoro durante il laboratorio. Siamo entrate in produzione con profonda fiducia nella sceneggiatura e nella storia che volevamo raccontare, e questo è stato il risultato del lavoro che abbiamo svolto come team durante i seminari.
produttrice
Cinzia Rutson edizione miac
79. (2022)
S.B.P-R, L.M.T.
Dieci 2012–22
Che cosa ha rappresentato Biennale College Cinema per l’evoluzione del tuo percorso professionale? Come ha influito quest’esperienza sui tuoi processi creativi e produttivi, con le sue opportunità economiche e di sviluppo ma anche con le sue limitazioni legate ai tempi di lavorazione e al budget? Biennale College Cinema ha confermato un concetto a me caro: “Quando pensi che sia troppo tardi per fare una cosa, è proprio il momento di farla”. Mi ha dato la possibilità di realizzare un desiderio che non avevo il coraggio di esprimere, di dimostrare qualità, capacità, e spero anche una visione, sepolte da insicurezze. La paura di sbagliare era più grossa della volontà di provarci. Avevo nascosto la voglia di passare alla regia dietro il lavoro di attrice; impegnandomi, tra una pausa e l’altra, o forse nascondendomi, dietro un lavoro di editor e producer, e quello di madre. Mi sono comunque serviti tutti e due.
M.D.
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Il bando Biennale College è arrivato quando il monologo e il cortometraggio con l’idea da cui è partito il film erano poche righe. Ma non avrei avuto l’ardire di farlo diventare un lungo. L’impostazione del lavoro del College mi ha fatto capire di essere molto più sicura di me di quanto credessi; ho scoperto una tenacia nel difendere le mie idee, ho imparato ad ascoltare i suggerimenti ma di fidarmi del mio istinto e a non deprimermi per una critica, ma a prenderne tutto il lato costruttivo. Le limitazioni di tempo sono lo stimolo più interessante. Ho visto registi lavorare per anni a un’idea, portarla in giro per altri anni, e magari non riuscire a realizzare il film. Se più tempo a disposizione dà la possibilità di migliorare script e immagini, le scadenze di consegne e di realizzazione sono un incentivo a non disperdersi. E le limitazioni sono controbilanciate dalla totale libertà, di idee e di soluzioni, che il College lascia agli autori e ai produttori. Il budget è davvero esiguo, devo ammetterlo, e se in fase di scrittura non mi sono posta limitazioni eccessive – anche se il concept del film era pensato per essere realizzato con poco – in fase di produzione mi sono scontrata con la mia voglia di avere a fianco dei professionisti di alto livello, e poi con le spese tutte, tutto molto più costoso di quanto immaginassi, e avere qualche giorno in più per le riprese rimane il mio più grande cruccio, ma so che è un desiderio di tutti i registi, a tutti i livelli di budget. Da un lato però è stato bellissimo trovare soluzioni creative economiche, trasformare scene e scenografie, vedere aderire cast e crew, stupirsi dei “si” a richieste di location o a partecipazioni, commuoversi delle collaborazioni di conoscenti e di sconosciuti, e vedere operare tutti verso un unico obiettivo, fare il miglior lavoro possibile.
fotografie di ogni scena, da 1 a 97 bis, tutte le immagini in fila sul muro: il film esiste, le mie parole, i miei personaggi sono diventati immagini. Questa è la più grande soddisfazione. Dal primo workshop alla fine delle riprese non ho mai voluto festeggiare. Cinzia, la produttrice e amica che mi ha seguita in questo percorso, ha da tempo la bottiglia in mano, ma io non mi ci sento ancora. Mi rendo conto che ho paura. Le immagini ci sono, la mia emozione pure, ma mi interessa quella di chi vedrà il film; se ciò avverrà, potrò finalmente festeggiare. Il film ha qualcosa di autobiografico: nella vita reale ho due figli come nella sceneggiatura. Vedere sul set i figli veri e finti, vedere giocare i due maschi e chiacchierare le ragazze, vedere come avevo scritto ispirandomi ai miei, realizzare come gli attori erano riusciti ad arricchirne i caratteri senza stonare con le mie idee originarie, provare un amore infinito per tutti e quattro è un momento che non dimenticherò. Tu sei regista e attrice protagonista, come ti sei preparata per i due ruoli e quali difficoltà o sorprese hai incontrato?
Sono al montaggio in questi giorni. Ieri abbiamo appeso un cartellone con le
Ho sempre scritto solo per me: monologhi, testi comici, altre sceneggiature, il mio primo cortometraggio. La regia di un lungometraggio mi sembrava troppo impegnativa per mettermi in scena e mi sentivo anche presuntuosa a pensare di farlo. Avevo sinceramente deciso di fare un passo indietro. Ho cercato e immaginato altre attrici, molte non mi hanno neanche risposto, qualcuna era occupata, la paga praticamente non esisteva, la disponibilità che chiedevo era consistente. In più Lisa, la mia protagonista, aveva la mia voce, di lei sapevo cose che faticavo a spiegare o a trovare in altre donne. La direttrice del casting, Fabiola Banzi e qualche tutor, mi hanno spinto a provarci. Mi sono fatta un provino. Ho capito che potevo farcela, la mia faccia non stonava, ero sempre disponibile, sapevo le battute, e sapevo come la regista le aveva in mente, e soprattutto costavo zero. La scelta di fare Lisa è poi risultata la cosa che più mi ha rilassato. Qualche giorno prima delle riprese, non so che avrei
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Biennale College Cinema
T’intervistiamo a poche settimane dalla fine delle riprese. Il film è in divenire. Qual è la tua reazione a caldo dopo il set: paure, emozioni, soddisfazioni… ci racconti qualcosa che vorresti ricordare di queste riprese? M.D.
Interviste
M.D.
dato per dover fare solo l’attrice. Mi sono scoperta una regista pignola; la mania di controllo che ho nella vita, il mio peggior difetto, è una virtù per un regista. Mi sono preparata, mi sentivo preparata, poi sul set, i mille pensieri, domande a cui rispondere, decisioni da prendere, tante cose mi sembrava di perderle, e anche di non acchiapparle più. Sembrerà una banalità, ma mi ha salvato l’armadio: tra un ciak e l’altro molto spesso non uscivo da lì, guardavo il monitor, ripassavo, davo indicazioni, spiavo la troupe e il loro rumore dalle fessure delle ante. Il caos del set sembrava lontano, e in quei momenti ho capito cosa davvero cercava Lisa nascondendosi: la calma. La sorpresa più grande è non criticarmi troppo, ci penseranno gli altri…, e trattarmi come una terza persona: parlo di ‘lei’ mentre monto le scene con me, cerco anche di tagliarmi il più possibile. Ma non posso esagerare: sono una delle due protagoniste.
Dieci 2012–22
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Film prodotti con il grant Biennale College
Yuri Esposito
Yuri Esposito vive una condizione di lentezza corporea cronica che tiene a bada attraverso l’assunzione quotidiana di un vaccino, che mantiene i suoi movimenti a 1/5 del ritmo delle persone normali. Senza il vaccino, i movimenti di Yuri rallenterebbero fino all’immobilità totale. Nonostante questa ‘sindrome’ ha una vita molto soddisfacente. La sua vita tranquilla prende una svolta drastica quando scopre che sua moglie Lucia è incinta; da quel momento entra in crisi. È sopraffatto dall’ansia di non poter essere un buon padre. Decide di sottoporsi a una terapia sperimentale per curare la sua condizione e diventare ‘veloce’ come tutti gli altri. Si propone quindi per la sperimentazione di un farmaco che riesce a trasformarlo in una persone ‘normale’. Yuri si gode questo mondo nuovo senza rendersi conto che sta rovinando tutto ciò che lo circonda insieme alle relazioni importanti della sua vita. Da quel momento tutto inizia a cambiare.
70.MIAC, 2013 Italia, 77′ REGIA Alessio Fava LINGUA Italiano INTERPRETI Matteo Lanfranchi, Beatrice Cevolani, Claudio Morganti, Massimiliano Speziani, Michele di Mauro SCENEGGIATURA Leonardo Staglianò FOTOGRAFIA Alessandro Dominici
FESTIVAL
Torino Film Festival; Stockholm Film Festival
MONTAGGIO Massimo Magnetti SCENOGRAFIA Giorgio Barullo COSTUMI Cristina Audisio MUSICA Alessandro Cortini, Matteo Milani, Morning Telefilm INGEGNERE DEL SUONO Alessio Fornasiero Design del suono Matteo Milani PRODUZIONE Max Chicco – Meibi
CONTATTI info@meibi.it +39 3382454507 www.meibi.it
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Film
Biennale College Cinema
Alessio Fava
Max Chicco
REGIA
PRODUZIONE
Alessio Fava ha iniziato la sua carriera dirigendo video musicali, cortometraggi e spot pubblicitari per le più grandi agenzie pubblicitarie, collaborando con le migliori case di produzione di tutto il mondo e vincendo diversi premi internazionali tra cui quelli per la campagna Marionnaud e per Rolling Stone. Attualmente sta lavorando al suo secondo lungometraggio.
Max Chicco è un produttore e regista italiano. Laureato in Cinema all’Università degli Studi di Torino, nel 1992 è stato selezionato dalla Cammelli Factory di Daniele Segre per la partecipazione al Master in Social Documentation Video finanziato dall’Unione Europea. Ha lavorato diversi anni per Rai TV e Current TV. Nel 1994 inizia la sua carriera (come produttore e regista) con cortometraggi/documentari selezionati in numerosi festival cinematografici internazionali. Nel 2017 ha prodotto e diretto il film A Big Love presentato in 25 festival in tutto il mondo (e diffuso su Amazon Prime TV)
Dieci 2012–22
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Memphis
Uno strano cantante di eccezionale talento si aggira per la mitica città di Memphis. Circondato da amanti, leggende, imbroglioni, predicatori e una torma di ragazzini, l’instabile artista si tiene lontano dagli studi di registrazione e preferisce passare il tempo in una personale scoperta di sè. Caratterizzato da un’esplosiva interpretazione e dalla colonna sonora dell’impareggiabile artista-mago Willis Earl Beal, Memphis è un film che esplora la spiritualità, il paesaggio, il processo creativo e il folklore nel tentativo di creare un pezzo di cinema che assomigli a un ‘sogno liquido’. Usando la sceneggiatura come trampolino di lancio e non-attori locali per garantire autenticità, la produzione è stata messa insieme un giorno alla volta – qualcosa di vivo e pulsante – cogliendo la natura sfuggente di Willis Earl Beal, una sorta di apparizione musicale piuttosto che un ‘protagonista’. Il risultato è uno strano e calmo vangelo moderno più che la biografia di un musicista. Una vera fiaba cinematografica.
70.MIAC, 2013 USA, 85′ REGIA Tim Sutton LINGUA Inglese INTERPRETI Willis Earl Beal, Constance Brantley, Lopaka Thomas, John Gary Williams, Devonte Hull SCENEGGIATURA Tim Sutton FOTOGRAFIA Chris Dapkins
DISTRIBUZIONE
MONTAGGIO Seth Bomse
USA, Canada, Cina, Francia, Benelux, Medio Oriente, America Latina
SCENOGRAFIA Bart Mangrum
FESTIVAL
Sundance Film Festival, Karlovy Vary
COSTUMI Jami Villers MUSICA Willis Earl Beal SUONO Tom Paul, Eli Cohn PRODUZIONE John Baker DIRETTORE DI PRODUZIONE Alexandra Byer RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Visit Films
CONTATTI jcbaker@gmail.com
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Film
Biennale College Cinema
Tim Sutton
John Baker
REGIA
PRODUZIONE
Tim Sutton è sceneggiatore e regista di numerosi lungometraggi acclamati dalla critica. Pavilion è stato selezionato per la serata di apertura al SXSW nel 2012 ed è nella lista dei favoriti dei critici del New York Times. Dark Night, basato sul massacro al Cineplex di Aurora, è stato presentato in prima mondiale al Sundance Film Festival del 2016 e in prima internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia lo stesso anno. The Last Son, il suo primo e unico western, è stato presentato in anteprima al Deauville Film Festival del 2021 ed è distribuito da Decal.
John Baker è un produttore con sede a Los Angeles. Luce, il suo film più recente, interpretato da Naomi Watts, Octavia Spencer, Kelvin Harrison Jr. e Tim Roth, è stato stato distribuito da Neon negli Stati Uniti e Focus Features sul mercato internazionale. Tra le altre sue produzioni: Carnation di Amiel Courtin-Wilson (post-produzione) e Days of Fire (post-produzione), The Wind di Emma Tammi, Frank & Lola di Matthew Ross, Dark Night di Tim Sutton, Wild Canaries di Lawrence Michael Levine e Dragonslayer di Tristan Patterson.
Dieci 2012–22
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Yuri Esposito
Alessio Fava
Memphis
Tim Sutton
Mary Is Happy, Mary Is Happy Mary frequenta l’ultimo anno delle superiori. Col diploma di lì a pochi mesi, deve affrontare improvvisi cambiamenti nella vita, nell’amore e nell’amicizia. Nel frattempo iniziano a capitarle cose strane che paiono del tutto casuali e senza motivo. Fatica per dare un senso alla sua vita mentre rischia di perdere il controllo. Il regista utilizza 410 veri tweet di una ragazza anonima come trampolino di lancio per creare un mondo fantastico di un’adolescente asiatica che funge anche da commento sulla natura imprevedibile della vita quotidiana nel mondo contemporaneo. Ha dichiarato: “Questo film è un esperimento per trovare un nuovo modo di raccontare una storia. Ho scelto una sezione di 410 tweet consecutivi. Li ho usati tutti così com’erano scritti, senza saltarne né modificarne l’ordine. Questo mi ha costretto a trovare una struttura che ammettesse la casualità per usarla poi come tema della vita di un’adolescente alle prese con cambiamenti su cui non ha controllo”.
70.MIAC, 2013 Thailandia, 125′ REGIA Nawapol Thamrongrattanarit LINGUA Thai INTERPRETI Patcha Poonpiriya, Chonnikan Netjui SCENEGGIATURA Nawapol Thamrongrattanarit FOTOGRAFIA Pairach Kumwan MONTAGGIO Chonlasit Upanigkit
DISTRIBUZIONE
Thailandia (nelle sale), Netflix Thailand (streaming), Sundance Channel (via cavo)
SCENOGRAFIA Rasiguet Sookkarn COSTUMI Phim Umari
FESTIVAL
Venezia, Busan, Rotterdam, Hong Kong, Tokyo, Taipei Golden Horse, San Francisco, Durban, Amburgo
MUSICA Somsiri Sangkaew SUONO Akaritchalerm Kalayanamitr PRODUZIONE Aditya Assarat – Pop Pictures RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Pop Pictures
CONTATTI louise@poppictures.com.au +61 0424208787
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Film
Biennale College Cinema
Nawapol Thamrongrattanarit Aditya Assarat REGIA
Nawapol Thamrongrattanarit ha diretto sette lungometraggi. Divide il suo lavoro tra produzioni commerciali mainstream come Freelance e Happy Old Year, e progetti indipendenti come 36, Die Tomorrow, e i documentari Girls Don’t Cry and The Master. Sta attualmente lavorando al suo prossimo film.
Dieci 2012–22
PRODUZIONE
I film di Aditya Assarat includono Ten Years Thailand, Hi-So e Wonderful Town, che ha vinto il Tiger Award a Rotterdam e il New Currents Award a Busan. Ha inoltre prodotto film per registi emergenti come Eternity di Sivaroj Kongsakul e W di Chonlasit Upanigkit. Aditya è anche a capo di Purin Pictures, una fondazione no-profit a sostegno del cinema del sudest asiatico.
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H.
A Troy, New York, due donne, entrambe di nome Helen, vivono esistenze all’apparenza soddisfatte con i rispettivi partner. Helen, di mezza età, vive col marito Roy e trova conforto in una bambola “viva”. Nel frattempo, la giovane artista di successo Helen aspetta un figlio dal suo partner indeciso sulla relazione. Segni premonitori iniziano ad apparire: secondo quanto riferito, una meteora pare essersi schiantata nelle vicinanze; persone scompaiono; inspiegabili cambiamenti stravolgono la vita e le vite e le realtà inerti delle due Helen precipitandole in un viaggio terrificante in territori sconosciuti. I registi hanno riflettuto sulle ragioni e sui temi su cui la storia si regge: “In H. abbiamo voluto esplorare il racconto di elementi della mitologia greca interpretati attraverso la lente della fantascienza. H. si concentra profondamente sull’isteria vissuta da due donne e sulla loro discesa nella follia causata dai rispettivi partner, così come sul loro rapporto con la maternità (o la sua assenza)”.
71.MIAC, 2014 USA, Argentina, 93′ REGIA Rania Attieh, Daniel Garcia LINGUA Inglese INTERPRETI Robin Bartlett, Rebecca Dayan, Will Janowitz, Julian Gamble, Roger Robinson SCENEGGIATURA Rania Attieh, Daniel Garcia FOTOGRAFIA Daniel Garcia MONTAGGIO Rania Attieh, Daniel Garcia
DISTRIBUZIONE
SCENOGRAFIA Rania Attieh
FESTIVAL
Europa, Benelux, USA Venice, Sundance, Berlinale, Jeonju, Mar del Plata, Thessaloniki
MUSICA Daniel Garcia, Jesse Gelaznik, Kazu Makino, Alex Weston
PREMI
Independent Spirit Award – Someone to watch (Registi di H.); Premio della giuria per Miglior film narrativo at the Berkshires Film Festival; Nomination agli Independent Spirit Award for Miglior attrice non protagonista (Robin Bartlett)
SUONO Javier Farina PRODUZIONE Pierce Varous – Nice Dissolve, Shruti Ganguly, Matthew Thurm, Iván Eibuszyc – Fruta Cine, Rania Attieh e Daniel Garcia – En Passant RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE The Films Sales Company, Sundance Now (Internazionale), Topic (USA)
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CONTATTI +1 7185698325
Film
Biennale College Cinema
Rania Attieh, Daniel Garcia Pierce Varous, Shruti Ganguly REGIA
Rania Attieh e Daniel Garcia sono vincitori dell’Independent Spirit Award Someone to Watch, della Guggenheim Fellowship e della US Rockefeller Fellowship in cinema. Insieme, hanno co-scritto, co-diretto, co-montato e prodotto molti film pluripremiati che sono stati proiettati al Sundance, Berlino, Venezia, al MoMA e alla Tate Modern. Ora sono al lavoro sul loro nuovo film Queen of the Falls con Searchlight Pictures. Rania e Daniel vivono e lavorano a Brooklyn.
PRODUZIONE
Pierce Varous è il fondatore di Nice Dissolve. Come produttore, Pierce è stato Rotterdam Lab Fellow nel 2017 e dal 2016 al 2019 Lab Leader per The Gotham Fiction Feature Labs. I suoi crediti Always Shine e The Great Pretender. I crediti come produttore esecutivo includono Lyle, Little Sister, Slow Machine e Superior. Shruti Ganguly è una regista con sede a New York e Oslo. Ha fatto parte del comitato ECCO di Obama dei 30 leader nel mondo dello spettacolo. Ha prodotto diversi film (tra cui i pluripremiati H. e Initials SG) che sono stati presentati in anteprima a Venezia, Sundance, Tribeca, Telluride e Berlino. Shruti sta attualmente scrivendo Secret Daughter per Amazon Studios ed è in attesa di dirigere Eternal Buzz per Universal.
Dieci 2012–22
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Mary Is Happy, Mary Is Happy
Nawapol Thamrongrattanarit
H.
Rania Attieh, Daniel Garcia
Blood Cells
Un decennio dopo la catastrofe che ne ha distrutto la famiglia e la fattoria, le notizie da casa costringono un giovane esiliato a tornare indietro lungo i margini insanguinati di una Gran Bretagna strana e spaccata. Luke Seomore ha riflettuto sugli effetti che ha avuto sviluppare il film nelle straordinarie circostanze dalla Biennale College Cinema: “Ripenso al periodo passato con Biennale College con grande calore, è stato un momento speciale per noi... Ogni volta venivamo spinti un po’ più in là, spinti ad abbandonare il terreno già batturo, sfidati da tutti a fare un film migliore. Io e Joseph abbiamo iniziato a girare documentari da soli, lavorando d’istinto, ed essere accettati da questa comunità è stato fantastico. Una volta girato il film, siamo tornati a Venezia l’estate successiva per la proiezione alla Mostra: la città era viva, ricordo di aver visto file per le nostre proiezioni; è stata un’esperienza surreale e bellissima. Spero un giorno di poter trasmettere ad altri le tante lezioni che abbiamo imparato a San Servolo…”
71.MIAC, 2014 Regno Unito, 85′ REGIA Joseph Bull, Luke Seomore LINGUA Inglese INTERPRETI Barry Ward, Hayley Squires, Jimmy Akingbola, Francis Magee, Keith McErlean, Silas Carson SCENEGGIATURA Joseph Bull, Luke Seomore, Ben Young
DISTRIBUZIONE
FOTOGRAFIA David Procter
Nelle sale di tutto il Regno Unito; vari Video On Demand tra Stati Uniti, Canada, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, e altrove; Netflix in tutto il mondo.
MONTAGGIO Darren Baldwin SCENOGRAFIA Benedict Lack
FESTIVAL
Tallinn Black Nights / PÖFF; Edinburgh International Film Festival; Galway Film Fleadh; Whistler Film Festival
COSTUMI Joseph Crone MUSICA Blessed are the Hearts that Bend SUONO Simon Batchelar PRODUZIONE Samm Haillay, Ben Young RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Picturehouse
CONTATTI ben@autokino.co +44 7791356282
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Film
Biennale College Cinema
Joseph Bull, Luke Seomore Samm Haillay, Ben Young REGIA
Luke Seomore e Joseph Bull sono registi britannici pluripremiati il cui suggestivo lavoro comprende lungometraggi, documentari e installazioni artistiche. I loro film sono incentrati su performance autentiche che restituiscono le sfumature delle esperienze reali, e sono stati proiettati nei principali festival del mondo.
PRODUZIONE
Samm Haillay ha co-fondato Kirlian nel 2020. Casa di consulenza, produzione e innovazione, Kirlian è stata patrocinata da Creative England, per sviluppare soluzioni tecnologiche per facilitare futuri sviluppi del cinema. Aveva in precedenza fondato Third, nel 2001. Lavorando tra narrativa e documentario, ha prodotto otto lungometraggi, tra cui Better Things diretto da Duane Hopkins, Light Years di Esther May Campbell, Self Made di Gillian Wearing e Island of the Hungry Ghosts di Gabrielle Brady. Ben Young è un regista statunitense con sede nel nord dell’Inghilterra. È produttore, story editor, scrittore e regista di progetti sperimentali, di finzione e documentari. Il suo lavoro è stato esposto e distribuito nei principali festival e piattaforme in tutto il mondo. È membro del Biennale College, Rotterdam Lab, PACT e EAVE, con una lista di progetti patrocinata da BFI, Cardellino, ERDF, Arts Council England e Young Audiences Content Fund.
Dieci 2012–22
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Short Skin
Tutti quelli che circondano Edoardo parlano di sesso: il suo migliore amico, suo padre e persino la sorellina! Ma Edoardo ha un problema delicato, un’incapacità congenita di ritrarre il prepuzio, e anche masturbarsi è un’esperienza straziante. Essendo un ragazzo sensibile e premuroso, è popolare tra le ragazze, ma quando si tratta del momento cruciale si sottrae. Terrorizzato di subire un’operazione, Edoardo tenta invece a ogni possibile rimedio come creme, preservativi e persino polpi nel tentativo di curare la sua condizione. Ma quando il suo amore segreto Bianca improvvisamente propone di andare in campeggio, è costretto ad affrontare il suo destino. Short Skin è un’esplorazione della sessualità non convenzionale, divertente e stimolante in cui un giovane riesce finalmente a superare le sue paure facendosi carico della propria vita sessuale, rendendosi conto che, nel frattempo, ha sviluppato altre abilità utili per navigare tra le contraddizioni delle relazioni e delle emozioni.
71.MIAC, 2014 Italia, 86′ REGIA Duccio Chiarini LINGUA Italiano INTERPRETI Matteo Creatini, Francesca Agostini, Miriana Raschillà, Bianca Ceravolo, Francesco Acquaroli, Nicola Nocchi, Bianca Nappi, Michele Crestacci SCENEGGIATURA Duccio Chiarini, Marco Pettenello, Ottavia Madeddu
DISTRIBUZIONE
MONTAGGIO Roberto di Tanna
Australia, Repubblica Ceca, Estonia, Ex-Yugoslavia, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Regno Unito & Irlanda, the US
SCENOGRAFIA Ilaria Fallacara
FESTIVAL
FOTOGRAFIA Baris Ozbicer
BAFICI – Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente; Berlinale; Istanbul Film Festival; Seattle International Film Festival; Tallinn Black Nights Film Festival
COSTUMI Ginevra De Carolis MUSICA Woodpigeon
PREMI
Ciak d’Oro Miglior Opera Prima (Duccio Chiarini); Festival del Cinema Europeo – Premio Mario Verdone per il Miglior Film (Duccio Chiarini); Nomination del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici Italiani per il Nastro d’Argento al Miglior Regista Emergente (Duccio Chiarini) and Miglior Soggetto Originale (Duccio Chiarini e Ottavia Madeddu); Mostra del Cinema di Venzia – AKAI International Film Fest Award – Special Mention
SUONO Iacopo Pineschi PRODUZIONE Babak Jalali, Duccio Chiarini – La Règle du jeu RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Films Boutique
CONTATTI info@laregle.eu
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Film
Biennale College Cinema
Duccio Chiarini
Babak Jalali
REGIA
PRODUZIONE
Diplomato alla London Film School, ha realizzato diversi cortometraggi prima di dirigere il documentario Hit the Road, Nonna, presentato in anteprima, a Venezia, alle Giornate degli Autori nel 2011. Il suo secondo lungometraggio The Guest è stato sviluppato alla Cinéfondation Résidence di Cannes ed è stato presentato in anteprima mondiale a Locarno in Piazza Grande ad agosto 2018.
Il progetto di tesi di Babak Jalali alla London Film School, un cortometraggio, ha ricevuto una nomination ai BAFTA. Il suo lungometraggio d’esordio Frontier Blues, sviluppato alla Cannes Cinéfondation Résidence è stato presentato in anteprima al Concorso Internazionale di Locarno. Il suo secondo lungometraggio Radio Dreams ha vinto la Tiger Competition a Rotterdam e il suo film precedente Land è stato presentato in anteprima alla Berlinale nel 2018. I suoi crediti di produttore includono White Shadow, che ha vinto il premio come miglior opera prima a Venezia, Short Skin (Venezia) e Tehran, City of Love (BFI Londra).
Dieci 2012–22
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Blood Cells
Joseph Bull, Luke Seomore
Short Skin
Duccio Chiarini
Baby Bump
Mickey House, 11 anni, non è più un bambino. Ma invece è...? Non ha idea. Non ha amici. Sua madre è un mistero. Odia quello che sta succedendo al suo corpo. Realtà e immaginazione si fondono in un mix tossico. Gli eventi si intensificano a casa e a scuola, tutto è spinto all’estremo. Mickey deve trovare la forza per porre fine all’inevitabile. Dove lo porterà il suo incontro con il proprio corpo in maturazione? Crescere... non è roba da bambini. Il regista ha affermato che la sua intenzione “era quella di creare un film irreale. Un film in stile fumetto sull’adolescenza fisica, sul corpo che cambia, cresce e si trasforma in un mostro”.
72.MIAC, 2015 Polonia, 90′ REGIA Kuba Czekaj LINGUA Polacco INTERPRETI Kacper Olszewski, Agnieszka Podsiadlik SCENEGGIATURA Kuba Czekaj
DISTRIBUZIONE
Polonia (Balapolis, Cineman), Germania (Cmv Laservision), USA (Altered Innocence, Amazon, Vimeo), Europa centrale e orientale (Cinemax/Hbo), Resto del mondo (Pantaflix)
FOTOGRAFIA Adam Palenta MONTAGGIO Magdalena Chowańska
FESTIVAL
SXSW, USA; Gdynia Polish Film Festival, Polonia; Outfest Los Angeles, USA; NewFest, New York, USA; Black Movie Film Festival, Svizzera; São Paulo International Film Festival, Brasile
SCENOGRAFIA Katarzyna Śląska COSTUMI Aleksandra Staszko
PREMI
Gdynia Film Festiwal – Menzione speciale; 35. Koszaliński Festiwal Debiutów Filmowych MŁODZI I FILM – Premio alla regia, Premio dei giornalisti; Mostra del Cinema di Venezia – Queer Lion – Menzione Speciale; Polish Film Festival – Menzione d’onore; Netia Off Camera International Festival of Independent Cinema – Premio Speciale della National Chamber of Audiovisual Producers; L.A. Outfest – Premio alla visione artistica
MUSICA Various Artist SUONO Radosław Ochnio PRODUZIONE Magdalena Kamińska e Agata Szymańska – Balapolis RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Film Republic
CONTATTI +48 601980737 www.balapolis.com
98
Film
Biennale College Cinema
Kuba Czekaj REGIA
Regista e sceneggiatore, Kuba si è laureato presso l’Università della Slesia “Krzysztof Kieślowski” nel 2010, dove ha studiato regia. Il suo lungometraggio The Erlprince ha vinto il Young Jury Award al Gdynia Film Festival 2016. È stato presentato in anteprima americana allo Slamdance Festival 2017 e europea al Festival Internazionale del Cinema di Berlino lo stesso anno. Con la sceneggiatura Sorry Poland, ha ricevuto il Baumi Script Development Award alla Berlinale 2017 e lo ScriptTeast Award per la migliore sceneggiatura dell’Europa centrale e orientale a Cannes 2017. Il suo ultimo film, Lipstick on the Glass, avrà la prima a breve.
Dieci 2012–22
Balapolis PRODUZIONE
Balapolis è una società di produzione con sede a Varsavia fondata da Magdalena Kamińska e Agata Szymańska. Ha in catalogo lungometraggi e documentari, nonché coproduzioni internazionali maggioritarie e minoritarie. Balapolis produce film d’autore non convenzionali e rivoluzionari e si occupa della distribuzione. Attualmente, Balapolis ha terminato Werewolf di Adrian Panek (coproduzione polacco-tedesco-olandese nella rosa dei candidati EFA), sta co-producendo Hunter’s Son di Ricky Rijneke (patrocinio Eurimages 2019), e sta lavorando alla serie TV Black Sun e nuovi progetti di lungometraggi: The Journey di Anka e Wilhelm Sasnal e White Courage di Marcin Koszałka.
99
Blanka
Blanka, undicenne, sopravvive da sola a Manila mendicando e derubando turisti. Sogna di comprarsi una mamma. Ma deve fare innumerevoli sforzi per trovare il denaro sufficiente. Un’opportunità si presenta quando incontra Peter, un musicista di strada cieco di 55 anni, che insegna a Blanka a cantare. Preoccupato per il benessere di Blanka, però, Peter decide di portarla in un orfanotrofio, ma quando lo scopre Blanka scappa via e torna ad affrontare i pericoli della strada. “Esiste l’idea di madri in vendita nella nostra società?”, il regista si è chiesto con questo progetto. “In paesi sviluppati e ricchi, una cosa del genere non si vede, né in una città come Manila dove si svolge questa storia. L’adozione e la schiavitù dei bambini, però, esiste in tutto il mondo. Credo che sia l’adozione di bambini che la schiavitù derivino da ragioni finanziarie ed economiche e dalle circostanze sociali. Ma il punto di vista di un bambino non viene mai preso in considerazione. L’adozione e la schiavitù infantile sono nate dalle tensioni presenti in questa società, seguendo il desiderio unilaterale degli adulti?”.
72.MIAC, 2015 Italia, Giappone, Filippine, 77′ REGIA Kohki Hasei LINGUE Tagalog, Inglese INTERPRETI Cydel Gabutero, Peter Millari, Jomar Bisuyo, Raymond Camacho, Ruby Ruiz SCENEGGIAURA Kohki Hasei FOTOGRAFIA Takeyuki Onishi MONTAGGIO Ben Tolentino
DISTRIBUZIONE
Germania, Spagna, Benelux, Francia, Cina, Filippine, Svizzera, Grecia, Romania, Giappone, Taiwan, Turchia, Norvegia, Polonia
SCENOGRAFIA Mimi Sanson-Viola COSTUMI Armi Kushella Sanson-Lluch
FESTIVAL
Busan IFF; Golden Horse FF; Kolkata IFF; Black Nights FF; Göteborg IFF; Wave FF
MUSICA Aska Matsumiya, Alberto Bof And Francis De Veyra
PREMI
Shindo Kaneto Golden Award; Mostra del Cinema di Venezia – Premio Laterna Magica (CGS); Sorriso diverso Venezia per Miglior film straniero; Kolkata IFF – Premio NETPAC; Olympia IFF for Children and Young People – Premio ai valori umani; Fribourg IFF – Premio del pubblico
SUONO Mark Locsin PRODUZIONE Flaminio Zadra – Dorje Film RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE M-Appeal
CONTATTI flaminio.zadra@palosantofilms.it +39 0694830167 +39 3356783885
100
Film
Biennale College Cinema
Kohki Hasei
Flaminio Zadra
REGIA
PRODUZIONE
Con GODOG, Luha Sa Desyerto (Tears of the Desert), un cortometraggio su persone che vivono nei mucchi di immondizia e nei cimiteri nelle Filippine, Hasei ha ricevuto venti premi in festival cinematografici di tutto il mondo, incluso il premio d’oro Kaneto Shindo Golden Award per i nuovi registi emergenti in Giappone.
Flaminio Zadra ha prodotto e coprodotto numerosi lungometraggi, documentari e cortometraggi di autori internazionali, tra cui Fatih Akin, Pablo Trapero, Apichatpong Weerasethakul, Zhangke Jia, Jafar Panahi. I suoi film hanno ricevuto premi nei maggiori festival, tra cui la Palma d’Oro per la Migliore Sceneggiatura al Festival di Cannes per The Edge of Heaven, il Premio Speciale della Giuria a Venezia per Soul Kitchen e il Golden Globe per In the Fade.
Dieci 2012–22
101
Baby Bump
Kuba Czekaj
Blanka
Kohki Hasei
The Fits
Toni è un maschiaccio di undici anni, ed è stregata dall’affiatata squadra di ballo che vede allenarsi nella stessa palestra di Cincinnati dove lei fa boxe. Ammaliata dalla forza e dalla determinazione del gruppo di ragazze, Toni passa sempre meno tempo a fare boxe con il fratello maggiore. Invece, assorbe avidamente le routine di ballo e impara gli esercizi a distanza, e decide di farsi anche i buchi alle orecchie nella speranza di essere accettata. Ma quando una misteriosa epidemia di svenimenti si abbatte sul gruppo, il desiderio di Toni di farne parte diventa più complicato. The Fits è un’esperienza trasformativa e un meraviglioso ritratto dell’adolescenza.
72.MIAC, 2015 USA, 72′ REGIA Anna Rose Holmer LINGUA Inglese INTERPRETI Royalty Hightower, Alexis Neblett, Da’Sean Minor, Lauren Gibson, Makyla Burnam
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Anna Rose Holmer, Saela Davis & Lisa Kjerulff
Australia, Nuova Zelanda, USA, Canada, Scandinavia, Europa, Benelux olandese, Penisola Iberica, Asia, Medio Oriente, Nord Africa, America Latina, Francia, Regno Unito e Irlanda
FOTOGRAFIA Paul Yee
FESTIVAL
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Sundance Film Festival, New Directors/New Films, Edinburgh International Film Festival, Karlovy Vary International Film Festival, Variety Critic’s Choice, Deauville Film Festival
MONTAGGIO Saela Davis SCENOGRAFIA Charlotte Royer
PREMI
COSTUMI Zachary Sheets
Il film ha ricevuto oltre quaranta premi e nomination, tra cui: Gotham Awards – Nominato per il Bingham Ray Breakthrough Director Award, Audience Award; Film Independent Spirit Awards – Nomination per Migliore Opera Prima del Someone to Watch Award; Cinema Eye Honors Awards – Nomination per lo Heterodox Award; Black Reel Awards – Nomination per Royalty Hightower, Outstanding Actress, Motion Picture, e Royalty Hightower, Outstanding Breakthrough Performance, Female; Deauville Film Festival – Nomination per il Grand Special Prize Critics Award
MUSICA Danny Bensi & Saunder Jurriaans SUONO Christopher Foster PRODUZIONE Lisa Kjerulff, Anna Rose Holmer RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Mongrel Media
CONTATTI lisa.kjerulff@gmail.com
104
Film
Biennale College Cinema
Anna Rose Holmer
Lisa Kjerulff
REGIA
PRODUZIONE
Anna Rose Holmer è vincitrice dell’Independent Spirit Award Someone to Watch e uno dei 25 volti nuovi del cinema indipendente del Filmmaker Magazine. Dal suo debutto con The Fits, la sua collaborazione con la montatrice e co-sceneggiatrice Saela Davis si è evoluta e rafforzata, portandole a collaborare alla regia. Il loro dramma psicologico God’s Creatures (A24, 2022) con Emily Watson, Paul Mescal e Aisling Franciosi segna il loro debutto come co-registe.
Lisa Kjerulff è una regista, scrittrice e produttrice. Nell’estate 2022 è stata produttrice esecutiva di Sanctuary, con Margaret Qualley e Christopher Abbott. Ha prodotto e co-sceneggiato The Fits, uno dei migliori film dell’anno per Rolling Stone, New York Magazine ed Esquire. Il film è stato nominato ai Gotham e agli Independent Spirit Awards, dove Lisa è stata nominata per il Piaget Producers Award. Il suo ultimo film Fourty Pounds uscirà nel 2023.
Dieci 2012–22
105
Orecchie / Ears
73.MIAC, 2016 Italia, 90′ REGIA Alessandro Aronadio LINGUA Italiano INTERPRETI Daniele Parisi, Silvia D’Amico, Pamela Villoresi, Ivan Franek, Rocco Papaleo, Milena Vukotic, Piera Degli Esposti, Massimo Wertmuller, Andrea Purgatori, Paolo Giovannucci, Niccolò Senni, Francesca Antonelli, Re Salvador, Silvana Bosi, Masaria Colucci
Un uomo si sveglia una mattina con un fastidioso ronzio nelle orecchie. Una nota sul frigo dice: “Il tuo amico Luigi è morto. PS Ho preso la macchina”. Il problema è che non si ricorda nemmeno chi sia questo Luigi. È solo l’inizio di una tragicomica giornata durante la quale sarà immerso nella follia del mondo. Uno di quei giorni che ti cambiano la vita per sempre. Orecchie è una tragicomica via crucis attraverso una Roma in bianco e nero. È la storia di un uomo senza nome che, attraverso un susseguirsi di incontri e confronti, mette insieme tutti i pezzi di un puzzle che finirà per comporre un’immagine di sé. È una commedia sul ronzio alle orecchie che ogni giorno cerchiamo di ignorare, nascondendolo sotto la superficie della nostra vita, come polvere spazzata sotto il tappeto... DISTRIBUZIONE
USA, Germania, Austria. Distribuito in tutto il mondo su Netflix e Amazon Prime Video FESTIVAL
SCENEGGIATURA Alessandro Aronadio
Copenhagen International Film Festival CPH PIX; Montecarlo Film Festival de la Comédie; Seattle International Film Festival; International Film Festival of India; Zurich Film Festival
FOTOGRAFIA Francesco Di Giacomo MONTAGGIO Roberto Di Tanna
PREMI
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale Venezia – Premio al Miglior Film Arca Cinema Giovani; Nuovo Imaie Award – Miglior attore emergente; Fedic Menzione speciale per la miglior scena di cucina; Montecarlo Film Festival de la Comédie – Premio del pubblico, Miglior attore; Bari International Film Festival Bif&st – Premio Ettore Scola al miglior regista per l’opera prima o seconda; CinéCiak d’oro Colpo di Fulmine
SCENOGRAFIA Daniele Frabetti COSTUMI Ginevra De Carolis MUSICA Santi Pulvirenti SUONO Marzia Cordò, Daniela Bassani, Giancarlo Rutigliano, Stefano Grosso, Adriano Di Lorenzo PRODUZIONE Costanza Coldagelli – MATRIOSKA RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE 102 DISTRIBUTION
106
CONTATTI costanzacoldagelli@gmail.com www.matrioskafilm.it
Film
Biennale College Cinema
Alessandro Costanza Aronadio Coldagelli REGIA
PRODUZIONE
Sceneggiatore e regista. Nel 2010 Due Vite per Caso, il suo primo e pluripremiato lungometraggio, è stato selezionato al Festival di Berlino. Nel 2016 Aronadio scrive e dirige Orecchie. Fin dal suo debutto alla Mostra del Cinema di Venezia, il film è stato acclamato come film cult. Io c’è, il suo terzo film, controversa commedia mainstream sul tema della religione, è uscito con successo nel 2018. Era Ora, il suo nuovo film, uscirà nel 2022.
Costanza Coldagelli ha lavorato per molti anni per diverse note case di produzione italiane come coordinatrice di produzione freelance, responsabile di produzione e produttrice esecutiva di film, documentari e spot pubblicitari, collaborando con alcuni importanti registi come Ettore Scola, Mario Monicelli, Paolo Virzì, Gabriele Muccino, Abel Ferrara e Spike Lee. Costanza è la fondatrice e amministratrice delegata dell’azienda Matrioska, alla quale si dedica esclusivamente dal 2015.
Dieci 2012–22
107
The Fits
Anna Rose Holmer
Orecchie / Ears
Alessandro Aronadio
Mukti Bhawan / Hotel Salvation Un sogno inquietante convince il settantasettenne Dayanand Kumar che si sta avvicinando la fine. Lo riferisce al figlio Rajiv, insieme al desiderio di esalare l’ultimo respiro nella città santa di Varanasi e porre fine al ciclo delle rinascite, ottenendo la salvezza. Rajiv, pieno di rispetto filiale, fa con riluttanza i preparativi necessari, e il viaggio ha inizio. All’arrivo al Mukti Bhawan (Hotel Salvezza) a Varanasi, Rajiv si prende cura del padre, ma la distanza tra i due inizia a farsi sentire: mentre offre al padre la possibilità di salvezza, ma è dilaniato da dubbi su cosa fare per tenere in piedi la propria vita, coi legami familiari messi a dura prova da quest’esperienza. Riflettendo sull’origine di questa storia, il regista ha ricordato che “l’istante in cui ho sentito parlare di questi hotel a Varanasi, ho capito che dovevo andarli a vedere di persona per poterci credere. Non sapevo cosa aspettarmi di un posto in cui la gente si prenota un posto per morire. Sorprendentemente, questi hotel erano tutti così modesti che funzionavano come un mondo a sé stante. Ironia della sorte, Mukti Bhawan non è una storia di morte, ma di vita e relazioni che ci rendono ciò che siamo, in una città che a volte vede la morte come parte del proprio sostanza e talvolta come una celebrazione”.
73.MIAC, 2016 India, 99′ REGIA Shubhashish Bhutiani LINGUA Hindi INTERPRETI Adil Hussain, Lalit Behl, Geetanjali Kulkarni, Palomi Ghosh, Navnindra Behl, Anil K Rastogi SCENEGGIATURA Shubhashish Bhutiani, Asad Hussain FOTOGRAFIA Mike McSweeny, David Huwiller MONTAGGIO Manas Mittal SCENOGRAFIA Avyakta Kapur
DISTRIBUZIONE
Nelle sale in India, Italia, Stati Uniti, Spagna, Portogallo, Germania, Francia, Emirati Arabi, Grecia, Taiwan, Corea del Sud, Giappone, Regno Unito; in streaming in Canada, Paesi Scandinavi, Paesi Bassi, Danimarca, Australia, Nuova Zelanda, Malesia, Thailandia, Birmania, Indonesia
COSTUMI Shruti Weditvar MUSICA Tajdar Junaid SUONO Ajaykumar PB & Akhilesh Acharya
FESTIVAL
Busan International Film Festival; Dubai International Film Festival; Goteborg International Film Festival; Sydney International Film Festival; Film Fest München; Melboune International Film Festival
PRODUZIONE Sanjay Bhutiani – Red Carpet Moving Pictures
PREMI
Indian National Award 2016 – Miglior Film, Menzione Speciale – Miglior Attore; UNESCO Gandhi Medal 2016, Paris; XXIII GRAND PRIX “ENRICO FULCHIGNONI” 2016; 68th Filmfare Awards 2018, India – Miglior Sceneggiatura; NYIFF 2017, New York – Miglior Film; Stuttgart Indian Film Festival 2017 – Premio del Pubblico
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE C International Sales, UK
CONTATTI sanjay@redcarpetmovingpictures.in +91 9820052338
110
Film
Biennale College Cinema
Shubhashish Sanjay Bhutiani Bhutiani REGIA
Shubhashish Bhutiani è cresciuto sull’Himalaya, dove ha sviluppato un interesse per il teatro, e ha studiato cinematografia alla School of Visual Arts di New York. Il suo corto Kush è stato presentato in prima mondiale al 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2013, dove ha vinto il Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio, ed è stato successivamente candidato all’Oscar nel 2014.
Dieci 2012–22
PRODUZIONE
Sanjay Bhutiani è fondatore e partner di Red Carpet Moving Pictures, con sede a Mumbai. Kush, il primo cortometraggio di Red Carpet, ha vinto il prestigioso Premio Orizzonti alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2013 ed è stato candidato all’Oscar 2014.
111
Una Hermana / One Sister In una remota cittadina argentina, una giovane donna, Alba, parte alla solitaria ricerca della sorella scomparsa senza lasciare traccia. Quando l’auto di famiglia è ritrovata in fiamme sulla riva di un vicino fiume, Alba precipita sempre più in un mondo di frustrazioni burocratiche, che la spinge sull’orlo della disperazione. Il suo viaggio la riporta al fiume, dove un testimone silenzioso sembra fornire l’unica quiete rimasta. Una Hermana è una storia che parla di quelli che sono rimasti indietro, dei quasi-detective rappresentati dai parenti delle vittime, delle infinite lacune burocratiche e del procedimento giudiziario inerte nella provincia di Buenos Aires, degli orari dei treni incerti, della polizia che setaccia campi, di allucinazioni e grida orfane nella notte.
73.MIAC, 2016 Argentina, 69′ REGIA Sofía Brockenshire, Verena Kuri LINGUA Spagnolo INTERPRETI Sofía Palomino, Adriana Ferrer, Eugenia Alonso, Saúl Simonet, Mateo Giménez, Miguel Forza de Paul
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Verena Kuri, Sofía Brockenshire
Argentina FESTIVAL
FOTOGRAFIA Federico Lo Bianco, Roman Kasseroller, Andrés Hilarión
BAFICI – Concorso Argentino; Panoramica, Festival Cinematografico Latinoamericano, Svezia; Festifreak – Concorso Argentino – La Plata, Argentina; Historias Extraordinarias – Rio de Janeiro, Brasile; IFFI International Film Festival of India – Goa, India; Cairo International Women’s Film Festival, Egitto
MONTAGGIO Laura Bierbrauer, Verena Kuri, Sofía Brockenshire
PREMI
BAFICI – Best Editing Award – SAE
SCENOGRAFIA Lucía Carnicero COSTUMI Analía Bernabé MUSICA Operadora SUONO Nahuel Palenque PRODUZIONE Verena Kuri, Florencia Clérico RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Santa Cine
CONTATTI verenakuri@gmail.com sofia.brock@gmail.com
112
Film
Biennale College Cinema
Sofía Brockenshire Verena Kuri REGIA
Sofía Brockenshire (1988) ha studiato cinema all’Universidad del Cine in Argentina. È stata selezionata al Talent Campus della Berlinale e ha partecipato al Documentary Project dell’Università di Tella. Il suo lavoro è stato selezionato e premiato in vari festival cinematografici internazionali e istituzioni culturali in tutto il mondo, tra cui la Mostra del Cinema di Venezia, DocLisboa, BAFICI e MALBA (Argentina). Attualmente risiede a Chicago, Illinois, dove è docente presso la School of the Art Institute di Chicago.
Dieci 2012–22
REGIA E PRODUZIONE
Verena Kuri (1979) ha studiato cinema all’Universidad del Cine in Argentina. È co-fondatrice della casa di produzione Nabis Filmgroup. Il suo secondo lungometraggio, Fern von Uns, è stato presentato in anteprima alla sezione Forum della Berlinale nel 2019. Il suo film documentario The Daughter of... ha ricevuto il Premio Grimme 2020 in Germania. Vive a Berlino ed è al lavoro sul suo prossimo film Unter dem Bild.
113
Mukti Bhawan / Hotel Salvation
Shubhashish Bhutiani
Una Hermana / One Sister
Sofía Brockenshire, Verena Kuri
La Soledad / The Solitude
FOTOGRAFIA Rodrigo Michelangeli
José vive con la sua famiglia a La Soledad, una villa fatiscente situata in quello che era uno dei quartieri più ricchi di Caracas. Dopo aver appreso che i proprietari stanno progettando di vendere la sua grande casa, José cerca qualsiasi soluzione che possa impedire alla giovane figlia di crescere nei bassifondi della città. Basato sui ricordi d’infanzia del regista e del suo amico reale José, La Soledad è un film sia personale sia politico che indaga la realtà con i mezzi della finzione narrativa. Il regista ha riflettuto sui motivi che lo hanno spinto a girare il film: “Ricordo di aver esplorato i giardini della casa della mia bisnonna con José. Non visitavo la casa da quando ho lasciato il Venezuela, ma quando ho saputo che sarebbe stata demolita ho deciso di tornare. José viveva ancora lì e non ci vedevamo da undici anni. Ho proposto di fare un film insieme sui nostri ricordi d’infanzia. Realizzare il film è diventato una sorta di scavo archeologico familiare e un modo per comprendere il dolore della straziante crisi economica che mi ha separato dalla mia famiglia e da José”.
MONTAGGIO Felipe Guerrero
DISTRIBUZIONE
73.MIAC, 2016 Venezuela, 89′ REGIA Jorge Thielen Armand LINGUA Spagnolo INTERPRETI Jose Dolores López, Adrializ López, Jorge Roque Thielen H., Maria Agamez SCENEGGIATURA Jorge Thielen Armand, Rodrigo Michelangeli
Regno Unito, MUBI
SCENOGRAFIA Gabriela Vilchez
FESTIVAL
Cartagena International Film Festival, Colombia; BAFICI – Buenos Aires Festival of Independent Cinema, Argentina; Istanbul International Film Festival, Turchia; Film Fest München, Germania; Goa International Film Festival, India; Havana International Film Festival, Cuba
COSTUMI Marisela Marin SUONO Eli Cohn PRODUZIONE Rodrigo Michelangeli, Manon Ardisson, Adriana Herrera, Jorge Thielen Armand
PREMI
Festival Biarritz Amérique-Latine, France – Prix du Syndicat Français de la Critique de Cinéma; Miami International Film Festival, USA – Premio del pubblico per il Miglior Film; Durban International Film Festival, South Africa – Miglior Sceneggiatura, Miglior Montaggio; Atlanta International Film Festival, USA – Premio della Giuria; Cinema Tropical Awards, USA – Miglior film latinoamericano dell’anno
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE La Faena Films
CONTATTI info@lafaenafilms.com +1 6477853349 www.lafaenafilms.com
116
Film
Biennale College Cinema
Rodrigo Michelangeli, Manon Ardisson, Adriana Herrera Jorge Thielen Armand PRODUZIONE
Rodrigo Michelangeli è un regista venezuelano-canadese. È co-sceneggiatore, direttore della fotografia e produttore de La Fortaleza (Rotterdam IFF 2020) di Jorge Thielen Armand. È cofondatore di La Faena Films. Manon Ardisson è una produttrice con candidature ai BAFTA (God’s Own Country, Sundance; La Fortaleza, Rotterdam) e amministratore delegato della società di produzione londinese Ardimages UK, che ha ricevuto un BFI Vision Award. La Soledad è stato il suo primo lungometraggio. Adriana Herrera è una produttrice nota per i film venezuelani Via col fiume (Berlinale 2015), Km 72 (2015) e altri lungometraggi.
Dieci 2012–22
REGIA
Dopo La Soledad (2016), La Fortaleza (2020), il secondo lungometraggio di Jorge Thielen Armand, è stato presentato alla Tiger Competition del 49° Festival Cinematografico Internazionale di Rotterdam, seguito da proiezioni a Busan, Guadalajara, Cairo and e altri festival importanti. Ha ottenuto la Guggenheim Fellowship nel 2021 ed è socio fondatore della casa di produzione La Faena.
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Beautiful Things
Van, manutentore di pozzi petroliferi, lavora in un grande giacimento nel deserto del Texas. Danilo, capo macchina su una nave cargo, vive nel cuore dello scafo dove si trova un mastodontico motore. Andrea, scienziato, ha passato la vita tra le formule matematiche e il silenzio delle camere anecoiche. Vito ne ha trascorso metà gestendo slot machine e oggi è il responsabile di un’immensa fossa per rifiuti in cemento armato. Quattro personaggi, inconsapevolmente uniti nella catena di creazione, trasporto, commercializzazione e distruzione degli oggetti che alimentano la bulimia dello stile di vita contemporaneo. Il regista ha voluto spiegare che “il film è dedicato a noi che non sappiamo vivere senza collezionare oggetti. A noi tossici viziosi, bulimici accumulatori. A noi che non riusciamo a vivere nel silenzio. A noi che accettiamo l’idea che la vita possa precederci ma non che i nostri oggetti ci possano sopravvivere. Questo film è un modo per sfuggire al nostro stile di vita, un modo per riflettere su una necessaria via d’uscita”.
74.MIAC, 2017 Italia, 97′ REGIA Giorgio Ferrero, Federico Biasin LINGUE Inglese, Tedesco, Tagalog, Italiano INTERPRETI Van Quattro, Danilo Tribunal, Andrea Pavoni Belli, Vito Mirizzi SCENEGGIATURA Giorgio Ferrero FOTOGRAFIA Federico Biasin
DISTRIBUZIONE
MONTAGGIO Giorgio Ferrero, Federico Biasin, Enrico Aleotti, Filippo Vallegra
Italia, Germania, Portogallo, Cina, Hong Kong, USA, Canada, Austria, Spagna FESTIVAL
SCENOGRAFIA Federico Biasin
CPH:DOX, Edinburgh International Film Festival, Taipei International Film Festival, Sydney International Film Festival, Viennale, RIDM Montreal
COSTUMI Anna Neretto, Giorgio Ferrero
PREMI
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografia di Venezia – Premio Arca Cinema Giovani, under 26; CPH:DOX – Migliore Opera Prima – Next:Wave Award; Doker International Film Festival Moscow – Miglior Colonna Sonora; Annécy Cinéma Italien – Premio Speciale della Giuria
MUSICA Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore SUONO Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore PRODUZIONE Federico Biasin – Myboss RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Wanted (Italia), Filmotor (estero)
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CONTATTI hello@mybosswas.com +39 3391277768
Film
Biennale College Cinema
Giorgio Ferrero
Federico Biasin
REGIA
REGIA E PRODUZIONE
Giorgio Ferrero è regista, compositore, fotografo italiano. Ha composto colonne sonore di decine di film, spettacoli teatrali e installazioni e ha collaborato con artisti come David LaChapelle, Stephen Amidon, Paolo Giordano. Nel 2020 è stato selezionato come direttore creativo multimediale del Museo David di Firenze. Nel 2021 ha scritto e diretto il film L’importanza di essere un architetto commissionato dal famoso architetto italiano Antonio Citterio. Con Federico Biasin e Rodolfo Mongitore dirige il premiato studio multidisciplinare MYBOSSWAS.
Federico Biasin è un Direttore della Fotografia, produttore e regista. Nel 2011 fonda MYBOSSWAS con Giorgio Ferrero e Rodolfo Mongitore. Nel 2013 ha co-diretto e girato il cortometraggio Riverbero in competizione a Roma, Glasgow e Brooklyn, e spot pubblicitari per i marchi Nike, Alfa Romeo, Barilla, Technogym, Condé Nast. Ha prodotto decine di cortometraggi, contenuti multimediali e installazioni per musei ed eventi culturali internazionali.
Dieci 2012–22
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La Soledad / The Solitude
Jorge Thielen Armand
Beautiful Things
Giorgio Ferrero, Federico Biasin
Martyr
La strada panoramica costiera di Beirut, ai margini della città, è delimitata da una balaustra che è il condensato di una situazione sociale. La costa rocciosa al suo esterno è una sottocultura, un parco giochi per maschi emarginati, un luogo da cui gli uomini voltano le spalle nude alla società e si tuffano nella vastità dell’orizzonte. L’improvviso annegamento di un giovane tuffatore causa un funerale caotico costringe i suoi amici, che provengono da diversi gruppi sociali, ad affrontarne la perdita, ma anche a cercare di capire i riti e le cerimonie del gruppo in cui era ormai inserito. Usando tecniche del Cinéma Vérité, con un’estetica a basso budget che aiuta a creare un contrasto tra la luminosità del mare e l’oscurità del quartiere, Martyr pone una domanda: cos’è il martirio? È consolazione? Tentativo di evocare l’eroismo per compensare nella morte ciò che non è stato ottenuto in vita? Non sono martiri coloro che proclamano la libertà fino alla fine? Gli uomini che muoiono tuffandosi sono i veri martiri, spinti dalla società al suo limite letterale?
74.MIAC, 2017 Libano, 84′ REGIA Mazen Khaled LINGUA Arabo INTERPRETI Carol Abboud, Hamza Mekdad SCENEGGIATURA Mazen Khaled FOTOGRAFIA Talal Khoury, Rachel Noja MONTAGGIO Vartan Avakian SCENOGRAFIA Bshara Atallah
DISTRIBUZIONE
Libano, Stati Unini, Canada, Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna, Portogallo, Sud-est asiatico, Medio Oriente e Africa del Nord
COSTUMI Bshara Atallah MUSICA Vladimir Kurumilian, Zeid Hamdan
FESTIVAL
SXSW; British Film Institute FLARE; Belgrade International Film Festival; Queer Lisboa; International Film Festival Rotterdam, UNLEASHED 25 Encounters
SUONO Victor Bresse PRODUZIONE Diala Kachmar
PREMI
Alexandria Mediterranean Film Festival – Miglior risultato artistico (Mazen Khaled) e Carol Abboud (Miglio attrice non protagonista); Queer Lisboa – Menzione Speciale della Giuria; canditatura a Queer Lion della Mostra del Cinema di Venezia; canditature come Miglior Film, Migliore Sceneggiatura, Miglior Montaggio ai Lebanese Movie Awards
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Manuela Buono, Slingshot Films
CONTATTI diala@artrip.me
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Film
Biennale College Cinema
Mazen Khaled
Diala Kachmar
REGIA
PRODUZIONE
Mazen Khaled è un regista. Il suo lavoro ha viaggiato per musei e festival, tra cui il Museo Rubin, l’Accademia di Belle Arti di Trondheim, l’International Film Festival Rotterdam e SXSW.
Diala Kachmar è una produttrice e regista libanese. Ha diretto numerosi documentari televisivi, oltre al pluripremiato documentario Guardians of Time Lost, accolto con entusiasmo da critica e festival. Come produttrice, Diala ha realizzato quattro lungometraggi e quattro stagioni della serie TV Beirut Wow.
Dieci 2012–22
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Strange Colours
Milena si reca in una remota comunità di minatori di opale per raggiungere il padre ammalato che non vede da anni. Sola e confusa, precipita in questo mondo sconcertante, dove gli uomini fuggono dalla società e condividono ideali di libertà. Il padre non vuole che se ne vada. Bloccati nel tempo, padre e figlia cercano di ricucire il loro legame fratturato, ma è un rapporto fragile, come le strane gemme colorate che lui estrae dalla terra. La regista ha riflettuto sull’origine di questa storia: “Quando ho viaggiato per la prima volta in una comunità di minatori di opali chiamata Lightning Ridge, diversi anni fa, mi sono ritrovata in un mondo selvaggio: disadattati, solitari e sognatori riuniti dalla speranza di far fortuna con le pietre preziose. Il film racconta una storia di fantasia, ma è anche la testimonianza di un luogo che mi è diventato caro e di uno stile di vita che mi ha ipnotizzata. Ho cercato di ottenere immagini che contenessero quella languida magia e quella malinconia che io stessa ho provato nei miei viaggi”.
74.MIAC, 2017 Australia, 85′ REGIA Alena Lodkina LINGUA Inglese INTERPRETI Kate Cheel, Daniel P Jones, Justin Courtin SCENEGGIATURA Alena Lodkina, Isaac Wall FOTOGRAFIA Michael Latham MONTAGGIO Luca Cappelli
DISTRIBUZIONE
SCENOGRAFIA Leah Popple
Australia
COSTUMI Lucie McMahon
FESTIVAL
Goteburg International Film Festival, Atlanta International Film Festival, Buenos Aires International Film Festival, Sydney International Film Festival, Melbourne International Film Festival
MUSICA Mikey Young SUONO Livia Ruzic
PREMI
Gold Coast Film Festival – Premio al miglior lungometraggio indipendente; Nomination alla Film 2018 AACTA – Miglior lungometraggio indipendente; Nomination ai Critic’s Choice Awards – Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista (Kate Cheel), Migliore fotografia (Michael Latham)
PRODUZIONE Kate Laurie e Isaac Wall – Strange Colours Productions RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Bonsai Films
CONTATTI kateelaurie@gmail.com wall.isaac@gmail.com
124
Film
Biennale College Cinema
Alena Lodkina
Kate Laurie, Isaac Wall
REGIA
PRODUZIONE
Alena Lodkina è una regista che vive a Melbourne. Petrol (2022) è il suo secondo lungometraggio come sceneggiatore e regista. I suoi cortometraggi di finzione e documentari sono stati presentati in festival di tutto il mondo. I suoi scritti sono apparsi in Senses of Cinema, 4:3 Journal, Meanjin e Fireflies.
Il suo primo lungometraggio come produttrice è stato Carnation di Amiel-Courtin-Wilson, girato in Oklahoma, negli Stati Uniti. Nel 2019 ha partecipato alla Berlinale Talents. Dal 2018 al 2019 è stata produttrice con Arenamedia di Robert Connolly. Il suo ultimo lungometraggio Petrol (di Alena Lodkina) è attualmente in post-produzione ed è stato finanziato da Screen Australia, Film Victoria, MIFF e SBS. Isaac ha lavorato come avvocato e prima di dedicarsi al cinema. Nel 2014 ha fondato il collettivo di registi Fountain Vista con Alena Lodkina, James Vaughan e Sam Dixon. In quell’anno il suo cortometraggio d’esordio Looking to Buy è stato presentato in anteprima al Melbourne International Film Festival 2015 all’interno del programma Accelerator. Attualmente lavora come produttore a Sydney, in Australia.
Dieci 2012–22
125
Martyr
Mazen Khaled
Strange Colours
Alena Lodkina
Zen sul ghiaccio sottile / Zen in the Ice Rift Maia, detta Zen, è una sedicenne irrequieta e solitaria che vive in un piccolo paese dell’Appennino emiliano. È l’unica giocatrice della squadra di hockey locale e i suoi compagni non perdono occasione di bullizzarla per il suo essere maschiaccio. L’incontro con Vanessa, intrigante e confusa fidanzata del capitano della squadra, sarà l’occasione per Maia di confidare per la prima volta i dubbi sulla propria sessualità. Maia e Vanessa iniziano così un percorso alla ricerca di sé, liquide e inquiete come solo l’adolescenza sa essere. La regista ha dichiarato: “Come regista, mi è sempre interessato dare vita e centralità a personaggi che vivono ai margini delle proprie comunità. Ho cercato di raccontare la storia di Maia giustapponendo le sue emozioni al paesaggio dell’Appennino emiliano, bellissimo e dimenticato, esplorando la relazione tra paesaggio e l’identità”.
75.MIAC, 2018 Italia, 94′ REGIA Margherita Ferri LINGUA Italiano INTERPRETI Eleonora Conti, Susanna Acchiardi, Fabrizia Sacchi SCENEGGIATURA Margherita Ferri FOTOGRAFIA Marco Ferri MONTAGGIO Mauro Rossi
DISTRIBUZIONE
Italia
SCENOGRAFIA Nicola Bruschi
FESTIVAL
Melbourne Queer Film Festival, Australia; Sguardi al Femminile, Italy; Frameline San Francisco, International LGBT Film Festival, USA; Inside Out Toronto, Canada; BUFF Malmö, Sweden; Mardi Gras Film Festival Sydney, Australia; Alice nella città, Italy
COSTUMI Valentina Zizola MUSICA Alicia Galli SUONO Giovanni Frezza
PREMI
Mostra Intenazionale d’Arte Cinematografica/Biennale College Cinema – Honorable mention Vivere da Sportivi; Frameline San Francisco International LGBT Film Festival, USA – Honorable mention Best Emerging Director; BiF&st, Italy – Best Emerging Talent – Nuovo IMAIE (Eleonora Conti); BUFF Malmö, Sweden – The Church of Sweden’s Award for Best Youth Film; Nastri D’Argento – nomination miglior regista esordiente (Margherita Ferri); Premio Mario Verdone, Festival del Cinema Europeo di Lecce – nomination Miglior Esordio (Margherita Ferri)
PRODUZIONE Chiara Galloni e Ivan Olgiati – Articolture RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Medialuna
CONTATTI chiara.galloni@articolture.it +39 3282391428 www.articolture.it
128
Film
Biennale College Cinema
Margherita Articolture Ferri PRODUZIONE
REGIA
Filmmaker, sceneggiatrice e regista, Margherita Ferri si è formata a UCLA e al CSC. I suoi film raccontano storie di formazione, diversità, ricerca identitaria e inclusione sociale attraverso uno sguardo queer femminista e raggiungono festival internazionali come Venezia e Locarno. Nel 2019 viene nominata ai Nastri d’Argento come miglior regista esordiente e nel 2022 riceve la menzione speciale tra i cortometraggi. Dirige episodi delle serie Zero (Netflix) e Bang Bang Baby (Amazon Prime Video).
Dieci 2012–22
Chiara Galloni e Ivan Olgiati sono tra i fondatori di Articolture, una società di produzione italiana dedicata al cinema d’autore, sia di fiction che documentario. Dal 2009, lavora con talenti emergenti senza rinunciare al respiro europeo delle opere, focalizzando su temi scottanti per sollevare l’opinione pubblica. Fra i film prodotti Viaggio nel crepuscolo di A. Contento (Fuori Concorso Venezia); L’agnello di M. Piredda (Alice nella Città, Mosca, Istanbul IFF, vincitore Annécy Festival, Globo d’Oro come miglior talento emergente); Gli asteroidi di G. Maccioni, Locarno FF.
129
Déva / Deva
L’unica albina nell’orfanotrofio di Deva vuole trascorrere la prima estate della sua adolescenza a scoprire le proprie qualità. Trova una nuova amica, la seduce, poi la maledice perché non la ama abbastanza. Ma anche lei è spaventata da ciò di cui è capace. Deva è un film di orfani, sulla pittoresca bellezza di spiagge deserte, boschi lungo il fiume e amicizie in rovina. L’ispirazione principale per questa storia è venuta da un incontro casuale. Racconta la regista: “Nel 2005 ho conosciuto in un orfanotrofio una bambina albina di 3 anni, che mi ha raccontato di essere nata in un cimitero e che un angelo si è preso cura di lei. Ho cercato di capire cosa intendesse. Siamo diventate amiche. La storia è ispirata a lei”.
75.MIAC, 2018 Ungheria, 76′ REGIA Petra Szőcs LINGUE Ungherese, Rumeno INTERPRETI Csengelle Nagy, Boglárka Komán, Fatma Mohamed SCENEGGIATURA Gergő V. Nagy, Petra Szőcs
FESTIVAL
Seville European Film Festival; Göteborg Film Festival; Crossing Europe Film Festival Linz; Cottbus Film Festival
FOTOGRAFIA Zoltán Dévényi
PREMI
MONTAGGIO László Dunai
Cottbus Film Festival – Premio Dialogo per la Comunicazione Interculturale
SCENOGRAFIA Andrea Szélyes Nagy COSTUMI Ráhel Kernács MUSICA Ludwig van Beethoven, Gheorge Dinica SUONO Imre Madácsi RESPONSABILE DI PRODUZIONE Melinda Boros PRODUZIONE Péter Fülöp – FP Films RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE WIDE
CONTATTI peter@fpfilms.hu +36 304439893
130
Film
Biennale College Cinema
Petra Szőcs
Péter Fülöp
REGIA
PRODUZIONE
Nata a Cluj (Tranlisvania rumena), Petra Szőcs è una regista e poetessa ungherese. I suoi cortometraggi girati in Transilvania sono stati in selezioni ufficiale di festival come Cannes, Sarajevo e Clermont-Ferrand. Deva è il suo primo lungometraggio. Ha scritto due libri di poesie.
Péter Fülöp lavora in produzioni cinematografiche da quindici anni. Da video musicali e corti no-budget, pubblicità e lungometraggi domestici, fino successi hollywoodiani. In produzione preferisce essere coinvolto nel processo creativo del film. Trai suoi crediti annovera oltre 50 spot pubblicitari e una dozzina di cortometraggi. Nel 2011 ha fondato la casa di produzione FP Films, e ha prodotto cortometraggi premiati e riconosciuti a livello internazionale.
Dieci 2012–22
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Zen sul ghiaccio sottile / Zen in the Ice Rift
Margherita Ferri
Déva / Deva
Petra Szőcs
Yuva
Veysel vive allo stato brado e in solitudine nei boschi. La sua vita viene sconvolta quando la terra dove vive viene venduta ad alcuni investitori. Un giorno suo fratello minore Hasan arriva dalla città per convincerlo ad andarsene. Quando la minaccia dello sfratto imminente si concretizza, lo scontro tardivo tra i due fratelli porta alla scoperta di una casa magica: un universo sotterraneo. “Yuva” racconta il regista “segue un uomo che ha abbandonato la vita cittadina, la famiglia e il passato per diventare tutt’uno con la natura. Un uomo alla ricerca delle sue radici animali. Ma quanta parte della nostra natura umana siamo capaci di lasciarci alle spalle? In che misura possiamo riavvolgere l’evoluzione che ci ha portato a essere il nostro sé moderno? Forse l’esistenza contemporanea e il nucleo primitivo non sono poi così incompatibili come crediamo. Esiste una possibilità che possano convivere, così come due fratelli, ormai estranei, che si ritrovano. Il mondo che abbiamo creato, intriso della sua avidità capitalistica e della sua indifferenza distruttiva, permetterà che siano nuovamente uniti? E, nonostante oggi ci siano tutte le ragioni per essere pessimisti, la storia non dura l’arco di tempo relativamente breve del nostro ciclo di vita. Basta guardare gli alberi: vivono per secoli”.
75.MIAC, 2018 Turchia, 127′ REGIA Emre Yeksan LINGUA Turco INTERPRETI Kutay Sandıkçı, Eray Cezayirlioğlu, İmren Şengel, Okan Bozkuş SCENEGGIATURA Emre Yeksan FOTOGRAFIA Jakub Giza MONTAGGIO Selda Taşkın SCENOGRAFIA Osman Özcan MUSICA Mustafa Avcı SUONO Bora Kasırga, Rıdvan Aytekin, Fatih Rağbet, Eli Haligua COLORE James Norman EFFETTI VISIVI Ergin Şanal PRODUZIONE Anna Maria Aslanoğlu – Istos film
CONTATTI annamaria@istosfilm.com www.istosfilm.com
134
Film
Biennale College Cinema
Emre Yeksan REGIA
Emre Yeksan è nato nel 1981. Dopo avere completato gli studi di cinematografia all’Universtà Mimar Sinan e alla Sorbona di Parigi, ha lavorato nella capitale francese e a Istanbul come produttore freelance. Nel 2014 ha diretto il suo primo cortometraggio Azizc. Il suo lungometraggio d’esordio Körfez è stato proiettato in anteprima alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia nel 2017.
Dieci 2012–22
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À Cœur battant / The End of Love Julie e Yuval vivono a Parigi, sono innamorati e hanno appena avuto un bambino. Quando Yuval ha bisogno di tornare in Israele per rinnovare il visto, iniziano a condividere la routine familiare tramite videochiamata. Guardarsi ossessivamente attraverso uno schermo, tuttavia, inizia a mettere a dura prova la loro relazione. Riuscirà il loro amore a sopravvivere ai pericoli di questa nuova forma di ‘interazione’? La regista ha affermato che, per lei, “questo film è prima di tutto un’esplorazione, quasi uno studio, della ricerca di una coppia per soddisfare i propri bisogni e le aspirazioni individuali e collettive. Anni fa, essere lontani l’uno dall’altro significava inviare lettere, immaginare romanticamente la vita dell’altro. Quando ci troviamo separati oggi, continuiamo a vivere insieme tramite schermi. Questo è un elemento che si aggiunge per alimentare gelosia, paranoia e tensione in una relazione già esplosiva. L’ossessione di comunicare, spinta all’estremo dalla tecnologia moderna, è probabilmente uno dei più grandi mali del nostro secolo”.
76.MIAC, 2019 Francia, 90′ REGIA Keren Ben Rafael LINGUE Francese, Ebraico, Inglese INTERPRETI Judith Chemla, Arieh Worthhater, Lenny Dahan, Noémie Lvovsky, Bastien Bouillon, Joy Rieger, Gil Weiss SCENEGGIATURA Elise Benroubi, Keren Ben Rafael FOTOGRAFIA Damien Dufresne
DISTRIBUZIONE
Francia, Israele, Australia, Belgio, Cina, Corea, Spagna
MONTAGGIO Flore Guillet, Keren Ben Rafael
FESTIVAL
Cinemamed Film Festival; Rendez-vous de Rom; Cleveland International Film Festival; Shanghai International Film Festival; Nara International Film Festival; Ashland Independent Film Festival; Boston Jewish Film Festival; UK Jewish Film Festival
SCENOGRAFIA Julie Riviere SUONO Elton Rabineau, Benjamin Laurent
PREMI
PRODUZIONE Delphine Benroubi – Palikao Films
Cinemamed Film Festival Belgium – Gran Premio; Toronto Jewish Film Festival Canada; Micki Moore Award – Miglior film diretto da una donna; Montreal Israeli FF Canada – Migliore attrice; Nara IFF Japan – Premio come Miglior film; Warsaw Jewish FF Poland – Miglior film, regia, sceneggiatura, attrice, attore, fotografia
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Be For Films DISTRIBUTORE FRANCESE Condor Distribution
CONTATTI delphine.benroubi@gmail.com +33 662819280
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Film
Biennale College Cinema
Keren Ben Rafael
Delphine Benroubi
REGIA
PRODUZIONE
Keren Ben Rafael ha studiato letteratura francese all’Università di Tel Aviv mentre lavorava come regista e montatrice di documentari televisivi. Si è diplomata alla prestigiosa scuola francese La Fémis, dipartimento di regia nel 2009. I suoi cortometraggi I’m Your Man, Northern Lights e At the Beach hanno vinto numerosi premi in vari festival e sono stati tutti proiettati in televisione. Il suo film di debutto, Virgins, è stato presentato in anteprima al Tribeca Film Festival nel 2018, dove la protagonista ha vinto come migliore attrice. The End of Love è il suo secondo lungometraggio.
Delphine Benroubi si è diplomata alla scuola francese La Fémis. Dirige Palikao Films dal 2011 e ha prodotto vari cortometraggi e documentari precedenti di Keren Ben Rafael. The End of Love è il suo primo lungometraggio.
Dieci 2012–22
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Yuva
Emre Yeksan
À Cœur battant / The End of Love
Keren Ben Rafael
Lessons of Love
FOTOGRAFIA Giuseppe Maio
Yuri ha 30 anni e non ha mai avuto una ragazza. Lavora nella fattoria del padre in un paesino di montagna del Norditalia, un mondo vuoto e isolato che conosce fin troppo bene ma che non ha esattamente scelto. L’infatuazione per Agata, una ballerina di strip club, lo spinge a trasferirsi in città, sperando d’iniziare una nuova vita con lei. La regista ha riflettuto sulla profondità emotiva e tematica del personaggio e sul suo viaggio: “Yuri lavora ogni giorno con gli animali, nutrendoli, prendendosi cura di loro, presente a ogni loro nascita e morte. Qualcosa lo fa sentire estraneo alla vita che sente scorrergli via dalle mani. Tra il dubbio e la consapevolezza della necessità di decidere, di viaggiare fisicamente ed emotivamente, la vera iniziazione di Yuri inizia quando affronta la profonda tensione alla base del bisogno di essere accettato e amato, il bisogno di affrontare in modo significativo la forza dei nostri desideri per capire chi siamo veramente”.
MONTAGGIO Alice Roffinengo
DISTRIBUZIONE
76.MIAC, 2019 Italia, 80′ REGIA Chiara Campara LINGUA Italiano INTERPRETI Leonardo Lidi, Alice Torriani, Giancarlo Previati, Giovanni De Giorgi SCENEGGIATURA Chiara Campara, Lorenzo Faggi
Italia, Francia
SCENOGRAFIA Elisabetta Viganò
FESTIVAL
Moscow Film Festival; Istanbul Film Festival – Young Masters; Taipei Film Festival – Future Lights; Arte Kino; Kyoto Historica International Film Festival
COSTUMI Valentina Carcupino MUSICA Riccardo Gasparini SUONO Alessio Fornasiero PRODUZIONE Tancredi Campello, Damiano Ticconi – Ang Film RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Wide
CONTATTI info@angfilm.com
140
Film
Biennale College Cinema
Chiara Campara
Tancredi Campello
REGIA
PRODUZIONE
Chiara Campara si è laureata in Filosofia e ha studiato cinematografia documentaria a Milano. Ha lavorato nell’editoria e ha collaborato allo sviluppo e alla produzione di film indipendenti. È co-regista di documentari selezionati in festival italiani e internazionali: Tempting Promises (2017), Photofinish (cortometraggio, 2014). È co-regista di ARIA, serie di documentari presentata nel 2020 su Raiplay.
Tancredi Campello ha studiato cinematografia alla MET Film School di Londra. Tornato in Italia, ha lavorato per la società di distribuzione MIKADO e per la casa di produzione Asmara Films per seguirne lo sviluppo del progetto e la produzione di video pubblicitari. Successivamente è entrato a far parte della società di distribuzione Good Films dove ha lavorato agli acquisti. Nel 2015 entra a far parte della casa di produzione ANG Film dove si occupa di pianificazione progettuale.
Dieci 2012–22
141
This Is Not a Burial, It’s a Resurrection Tra le montagne zigzaganti del Lesotho, paese senza sbocco sul mare, Mantoa, una vedova di 80 anni, sistema i propri affari terreni, organizza la sua sepoltura e si prepara a morire. Ma quando il suo villaggio è minacciato di reinsediamento forzato a causa della costruzione di un bacino idrico, ritrova la voglia di vivere e alimenta lo spirito collettivo di resilienza della comunità. Negli ultimi drammatici momenti della sua vita, si forgia la leggenda di Mantoa e diventa eterna. This is Not a Burial, It’s a Resurrection è una meditazione su nuovo e vecchio, nascita e morte. Allude a una venerazione sacrale per la terra. Esplora il significato del progresso e il costo che ne deriva. Attraverso gli occhi di Mantoa, vediamo che c’è molta oscurità da affrontare, ma alla fine questa è una storia sulla resilienza e sui trionfi dello spirito umano.
76.MIAC, 2019 Lesotho, Sudafrica, 120′ REGIA Lemohang Jeremiah Mosese LINGUA Sesotho INTERPRETI Mary Twala Mhlongo, Jerry Mofokeng wa Makhetha, Makhaola Ndebele SCENEGGIATURA Lemohang Jeremiah Mosese
DISTRIBUZIONE
USA, Regno Unito, Francia, Irlanda, Benelux, Svizzera, Brasile, Indonesia, Cina, Africa
FOTOGRAFIA Pierre De Villiers MONTAGGIO Lemohang Jeremiah Mosese
FESTIVAL
SCENOGRAFIA Leila Walter
PREMI
Sundance, IFFR, Goteborg, Taipei, Melbourne, Sarajevo e altri Il film ha costituito la prima candidatura in assoluto del Lesotho agli Oscar e ai Golden Globe e ha vinto 33 premi tra cui: Sundance – Premio Speciale della Giuria per un Cinema Visionario; Taipei IFF – Gran Premio; SANFIC – Miglior Regista e Menzione Speciale per Mary Twala Mlongo; Durban IFF – Miglior Regia, Migliore Attrice e Premio della Giuria al Coraggio Artistico; Reykjavik FF – Golden Puffin
COSTUMI Nao Serati MUSICA Yu Miyashita SUONO Pressure Cooker Studios PRODUZIONE Cait Pansegrouw – Urucu RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Artscope – parte di Memento Films International
CONTATTI cp@urucumedia.com www.urucumedia.com
142
Film
Biennale College Cinema
Cait Pansegrouw PRODUZIONE
Cait Pansegrouw è una produttrice sudafricana che ha presentato lavori al Sundance, alla Berlinale, a Venezia, a Durban e al FESPACO, solo per citarne alcuni. The Wound di John Trengove, di cui è produttrice e direttrice del casting, è stato proiettato in più di 60 festival in tutto il mondo, vincendo 28 premi e venduto, tra gli altri, a Netflix, HBO Europe e ZDF. Nel 2017 è stato selezionato come candidatura ufficiale del Sudafrica agli Oscar, entrando nella rosa dei candidati di 9 film nel dicembre di quell’anno. Cait è co-fondatrice del Realness Institute, che ha lo scopo di promuovere una new wave di cinema africano con residenze e formazione professionale.
Dieci 2012–22
Lemohang Jeremiah Mosese REGIA
Lemohang Jeremiah Mosese è un regista e artista Mosotho autodidatta che vive a Berlino. Il suo documentario Mother, I Am Soffocating. This Is My Last Film About You (2019) è stato selezionato per Final Cut a Venezia nel 2018 dove ha vinto sei premi. È stato presentato in anteprima al Forum della Berlinale, dove è stato anche nominato per un Teddy Award. Mosese è un ex allievo di Berlinale Talents, Focus Features Africa First, Realness African Screenwriter’s Residency, Biennale College Cinema e L’Atélier di Cinéfondation.
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Lessons of Love
Chiara Campara
This Is Not a Burial, It’s a Resurrection
Lemohang Jeremiah Mosese
El arte de volver / The Art of Return Noemí è una giovane attrice che torna a casa dopo aver trascorso sei anni a New York per partecipare a un provino che potrebbe cambiarle la carriera. Durante le prime ventiquattro ore dal ritorno a Madrid, Noemí ha una serie di incontri e addii che le insegneranno ad amare le stagioni della vita. Il regista ha riflettuto sui temi del film: “In El arte de volver vorrei racchiudere un sentimento. La sensazione di un terreno comune si erode costantemente quando si torna a casa dopo un periodo all’estero. Creando una giustapposizione di incontri che si accumulano nel corpo e nell’anima di Noemí, volevo catturare l’inconscia frammentazione delle relazioni personali con il suo mix di momenti sia emotivi che spensierati e umoristici. Mi interessa confrontare quei momenti di disintegrazione che sono il risultato di piccole decisioni, con la prospettiva del nonno di Noemí: un amico comprensivo che si avvicina saggiamente alla morte”.
77.MIAC, 2020 Spagna, 90′ REGIA Pedro Collantes LINGUA Spagnolo INTERPRETI Macarena García, Nacho Sánchez, Ingrid García Jonsson, Mireia Oriol, Luka Peros, Celso Bugallo, Lucía Juárez SCENEGGIATURA Pedro Collantes, Daniel Remón
FESTIVAL
FOTOGRAFIA Diego Cabezas
Seville European Film Festival; Alcine International Film Festival; Hong Kong International Film Festival; TIFF Transilvania International Film Festival; Nantes Spanish Film Festival
MONTAGGIO Pedro Collantes SCENOGRAFIA Lorena Puerto
PREMI
Islantilla Cinefórum Film Festival 2021 – Miglior lungometraggio; Cinema Writers Circle Awards, Spain 2021 – Nomination come Miglior regista esordiente; Festival Internacional de Cine de Calzada de Calatrava 2021 – Miglior attore non protagonista: Luka Peros; Festival de cine de Berja 2020 – Miglior lungometraggio, Miglior sceneggiatura, Migliore interpretazione: Macarena García; International tour film festival Civitavecchia 2021 – Miglior lungometraggio
COSTUMI Laura Renau MUSICA Yuri Méndez SUONO Ramón Rico, Roberto Alonso PRODUZIONE Daniel Remón – Tourmalet films RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Filmax
CONTATTI pedro@mizunonaka.com danielremonm@gmail.com
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Film
Biennale College Cinema
Pedro Collantes
Daniel Remón
REGIA
PRODUZIONE
Pedro Collantes è un regista e sceneggiatore. I suoi cortometraggi sono stati proiettati in festival cinematografici internazionali, tra cui IFF Rotterdam, Chicago e Clermont-Ferrand, tra gli altri. Ha scritto e diretto il cortometraggio Off Ice, coprodotto da ARTE France, e il cortometraggio Ato San Nen, parte della selezione ufficiale César 2019.
Daniel Remón (Madrid, 1983) è un regista e sceneggiatore. Ha co-sceneggiato Casual Day e Five Square Meters, diretto da Max Lemcke. Nel 2020 ha vinto il Premio Goya per la migliore sceneggiatura per il film Out in the Open, diretto da Benito Zambrano. Il suo ultimo lavoro come scrittore è l’episodio diretto da Rodrigo Sorogoyen per Historias para no dormir di Amazon. Nel 2011 ha fondato Tourmalet Films.
Dieci 2012–22
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Fucking with Nobody
La regista cinematografica Hanna collabora con la sorella e gli amici della controcultura per creare una finta relazione su Instagram tra lei e il giovane attore Ekku. Sentono il bisogno di rendere mostrare quanto la società abbia bisogno di storie d’amore. Hanna inizia questa relazione per le masse, solo per ritrovarsi invischiata nella storia irrisolta con il suo amico “non siamo mai stati insieme” Lasse, che è anche il vero co-sceneggiatore e direttore della fotografia di Fucking with Nobody. Quando la finta storia d’amore inizia a fare effetto su tutte le persone coinvole, si scatena un uragano di desideri, fantasie, ferite e intimità. La narrativa e l’autofiction si fondono e ora tutti devono decidere cosa mettere di fronte alla macchina da presa, e come. La regista ha affermato che, per fare un ritratto delle relazioni e dell’intimità dei nostri tempi, “non ho trovato altra soluzione che avvicinarmi il più possibile alla realtà, non solo nel contenuto emotivo, ma anche nelle strategie cinematografiche su come raccontare la storia al pubblico”.
77.MIAC, 2020 Finlandia, 93′ REGIA Hannaleena Hauru LINGUA Finlandese INTERPRETI Hannaleena Hauru, Lasse Poser, Samuel Kujala, Pietu Wikström, Sara Melleri, Hanna-Kaisa Tiainen, Jussi Lankoski, Tanja Heinänen, Anna Kuusamo SCENEGGIATURA Hannaleena Hauru, Lasse Poser
DISTRIBUZIONE
FOTOGRAFIA Lasse Poser, Jan-Niclas Jansson
Finlandia: B-Plan Distribution; Globalmente: MUBI
MONTAGGIO Hannaleena Hauru
Seville European Film Festival – AAMMA ‘Women in Focus’ Award
PREMI
COSTUMI Aino Havu SUONO Karri Niinivaara PRODUZIONE Emilia Haukka e Jussi Rantamäki – Aamu Film Company RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Totem Films
CONTATTI emilia@aamufilmcompany.fi +358 503804427
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Film
Biennale College Cinema
Hannaleena Emilia Hauru Haukka REGIA
PRODUZIONE
Hannaleena Hauru (1983), è una sceneggiatrice e regista finlandese. Il suo primo lungometraggio Thick Lashes of Lauri Mäntyvaara (2016) è stato sviluppato al Torino Film Lab e alla Cannes Cinéfondation Residency. I suoi primi cortometraggi, tra cui Whispering in a Friend’s Mouth (2010) e If I fall (2007), sono stati presentati in anteprima alla Settimana della critica di Cannes e alla Berlinale Generation e premiati ai festival di Oberhausen, Uppsala e Tampere.
Emilia Haukka è una produttrice cinematografica con la Aamu Film Company. Ha prodotto diversi film tra cui Lady Time (2019), un documentario presentato in anteprima all’IDFA, il cortometraggio 1,5 Meters space (2018) e The Tiger (2018) presentato in anteprima alla Settimana della critica di Cannes. Tra i lungometraggi della Aamu ha prodotto Any Day Now (prima alla Berliale Generation) e ultimamente Compartment no 6 (Grand Prix Cannes).
Dieci 2012–22
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El arte de volver / The Art of Return
Pedro Collantes
Fucking with Nobody
Hannaleena Hauru
Al Oriente / To Oriente
Ecuador. Atahualpa lavora alla costruzione di una strada per l’Oriente. Nella zona si vocifera di un tesoro nascosto alla fondazione della colonia centinaia di anni fa. Un pomeriggio, dopo che Rocío, la sua ragazza, ha lasciato la città, Atahualpa sente una provocazione, una voce lontana che lo riporta indietro nel tempo. Il regista ha dichiarato di aver “iniziato con l’idea di girare Al Oriente in un luogo ben preciso, un percorso che ho percorso per tutta la vita. La quantità di contrasti e cambiamenti che questa strada racchiude nei suoi scarsi 100 chilometri mi ha sempre ossessionato. I nostri antenati probabilmente fecero un viaggio simile. Al Oriente significa fermarsi a bordo strada; essere lì, nei panni di Atahualpa, un uomo che lavora su una strada che sta cercando di farsi strada verso Oriente. Una complessa eredità storica grava su di lui e lo sfida. In un momento di stanchezza e di crisi economica del Paese, Atahualpa si interroga sulla sua identità e, in un senso molto concreto, sul suo nome”.
78.MIAC, 2021 Ecuador, Argentina, 100′ REGIA José María Avilés LINGUE Spagnolo, Inglese, Kichwa INTERPRETI Alejandro Espinosa, Paulet Arévalo, Santiago Villacís Pastor, Oliver Utne SCENGGIATURA José María Avilés, Felipe Troya
DISTRIBUZIONE
FOTOGRAFIA Pablo Paloma
Ecuador: Multicines; Spagna: Vitrinefilm
MONTAGGIO José María Avilés, Sebastián Schjaer
FESTIVAL
Mostra Internacional de Cinema de São Paulo – Competizione Opera Prima; FILMAR América Latina, Ginebra/Suiza – Competizione Opera Prima; Márgenes, Festival de cine independiente de Madrid; Festival de Málaga, Zonazine
SCENOGRAFIA Adrián Balseca COSTUMI Adrián Balseca MUSICA Manuel Schjaer SUONO Nicolás Fernández, Xanti Salvador PRODUZIONE Julieta Juncadella
CONTATTI unapresencia@gmail.com +34 691837620 — angamarcacine@gmail.com +34 651415315
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Film
Biennale College Cinema
José María Avilés
Julieta Juncadella
REGIA
PRODUZIONE
José María Avilés è nato a Cuenca, Ecuador, nel 1988. Ha conseguito una laurea magistrale in Creazione presso Elías Querejeta Zine Eskola, San Sebastián, Spagna, nel 2019, e una laurea breve in Regia Cinematografica presso l’Universidad del Cine di Buenos Aires, nel 2012. Nel 2015 ha ricevuto la borsa di studio CIA dal Centro de Experimentaciones Artísticas, Buenos Aires, e ha partecipato al Berlinale Talent Campus, 2020.
Julieta Juncadella (Buenos Aires, Argentina) è una regista, distributrice e produttrice che vive in Spagna. I suoi lavori sono stati presentati in anteprima a vari festival tra cui Venezia, IDFA, San Sebastián e Mar del Plata. Nel 2019 ha co-fondato Una Presencia, una società di produzione cinematografica con sede a Buenos Aires. Nel 2020, insieme a Silvia Cruz, ha fondato Vitrine Filmes Spain, società di distribuzione e produzione con sede a San Sebastián.
Dieci 2012–22
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La Tana / The Den
Nell’estate del suo diciottesimo compleanno Giulio ha deciso di non partire e trascorrerà le vacanze in casa. Nell’abitazione accanto, disabitata da tempo, arriva una ragazza di vent’anni. Giulio vorrebbe conoscerla, ma Lia è scontrosa e introversa. Un giorno Giulio la incontra al lago e, quasi per gioco, si crea un legame tra i due. Giulio, attratto da Lia, inizia a pensare a lei giorno e notte. Lia, però, nasconde dei segreti e non permette a nessuno di entrare nella sua vecchia casa abbandonata. La Tana è una storia d’amore tra due giovani divisi da un enorme barriera: la paura di condividere le proprie emozioni, in particolare il dolore. Uno degli aspetti prevalenti e più terribili del dolore è il fatto che scava una profonda spaccatura attorno a coloro che soffrono, isolandoli. La Tana esplora le tenebre del dolore, dell’impotenza e del desiderio di solitudine di fronte alla morte; ma anche il modo in cui la luce cerca debolmente di penetrare quelle tenebre.
78.MIAC, 2021 Italia, 88′ REGIA Beatrice Baldacci LINGUA Italiano INTERPRETI Irene Vetere, Lorenzo Aloi, Hélène Nardini, Elisa Di Eusanio, Paolo Ricci, Federico Rosati SCENEGGIATURA Edoardo Puma, Beatrice Baldacci FOTOGRAFIA Giorgio Giannoccaro
DISTRIBUZIONE
Italia e Stati Uniti (anteprima internazionale)
MONTAGGIO Isabella Guglielmi
FESTIVAL
SCENOGRAFIA Raffaele Lucci
Alice nella città, Santa Barbara International Film Festival, Sofia International Film Festival
COSTUMI Ginevra Angiuli
PREMI
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Premio HFPA; Alice Nella Città 2021 – Premio Raffaella Fioretta; 51° Sehsüchte Film Festival – miglior film
MUSICA Valentino Orciuolo SUONO Francesco Murano PRODUZIONE Aurora Alma Bartiromo, Andrea Gori – Lumen Films RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE/ DISTRIBUTORE NAZIONALE Lights On, Rai Com, PFA Films
154
CONTATTI andrea@lumenfilms.it +39 3396926299 — aurora@lumenfilms.it +39 3470763708 — info@lumenfilms.it www.lumenfilms.it
Film
Biennale College Cinema
Beatrice Baldacci REGIA
Beatrice Baldacci è nata a Città di Castello nel 1993. Ha studiato psicologia a Padova per poi trasferirsi a Roma per studiare cinema. Durante gli studi di regia e fotografia con Daniele Ciprì e Claudio Cupellini, ha realizzato il cortometraggio di finzione Corvus Corax che ha partecipato a numerosi festival. Nel 2019 vince il Premio Zavattini 18/19 con il cortometraggio autobiografico Supereroi senza Superpoteri presentato in anteprima mondiale alla 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2019 nella sezione Orizzonti, dove vince una Menzione Speciale FEDIC come miglior cortometraggio della mostra.
Aurora Alma Bartiromo, Andrea Gori PRODUZIONE
Aurora Alma Bartiromo nasce nel 1991 nella città di Ancona. Dopo la laurea in Belle Arti all’Accademia di Roma è ammessa al corso di Produzione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. È stata produttrice delegata per Lumen Films e responsabile dello sviluppo e direttore generale per Piroetta. È stata anche produttrice delegata di due documentari: Monte Calvario e Baikonur, Earth. Attualmente lavora per la società The Apartment Pictures di Lorenzo Mieli come Associate in Physical Production. Andrea Gori è amministratore delegato e produttore di Lumen Films. Si è laureato in Cinema, Televisione e Nuovi Media all’Università di Bologna e ha studiato Produzione al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha lavorato per diverse case di produzione, tra cui Titanus, Settembrini, Verdoro, Solaria, Moodfilm e Fandango. Nel 2013 ha fondato Lumen Films, producendo numerosi cortometraggi, lungometraggi e documentari, tra cui Baikonour, Earth di Andrea Sorini e la serie di documentari in quattro puntate Art for Change diretta da Claudio Esposito.
Dieci 2012–22
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Al Oriente / To Oriente
José María Avilés
La Tana / The Den
Beatrice Baldacci
Nuestros días más felices / Our Happiest Days Madre e figlio Agatha e Leonidas hanno un rapporto fantastico: Agatha non si è mai più innamorata e Leonida non osa costruirsi una vita fuori dalle porte della casa di famiglia. Un giorno, Agatha si sveglia improvvisamente nel corpo di una bambina: sé stessa, ma all’età di sette anni. L’unica soluzione possibile – dopo aver reciso ogni legame con il mondo esterno per paura di dare spiegazioni – sarà chiamare Elisa, la sua primogenita, che pur essendo diventata indipendente da tempo, tornerà nella casa di famiglia per cercare di guarire ferite ancora aperte. La vecchiaia come ritorno all’infanzia, come ritorno alla dipendenza, fisica ed emotiva. La paura di una vita passata a morire da soli. Giocare con quella paura, afferrarla, spostarla e presentarla in una situazione surreale, aiutandoci così a vedere questo soggetto che porta tanta angoscia, in un altro modo.
78.MIAC, 2021 Argentina, 100′ REGIA Sol Berruezo Pichon-Rivière LINGUA Spagnolo INTERPRETI Matilde Creimer Chiabrando, Antonella Saldicco, Cristian Jensen, Lide Uranga, Claudio Martínez Bel SCENEGGIATURA Sol Berruezo Pichon-Rivière, Laura Mara Tablón
DISTRIBUZIONE
Verrà distribuito in Belgio e Spagna FESTIVAL
FOTOGRAFIA Gustavo Schiaffino
Mar del Plata International Film Festival; Black Movie Film Festival; Mons International Film Festival; Festival Reflets du cinéma ibérique et latino-américain; Edinburgh Film Festival; D’A Film Festival
MONTAGGIO Lorena Moriconi SCENOGRAFIA Ángeles Frinchaboy
PREMI
Mons International Film Festival – Miglior film del concorso 400 Coups; D’A Film Festival – Miglior film del concorso Filmin Emergents
COSTUMI Paloma Donnini MUSICA Leo Ghernetti SUONO Mercedes Gaviria Jaramillo, Marcos Canosa PRODUZIONE Laura Mara Tablón RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Compañía de Cine
CONTATTI lautablon@gmail.com +54 91159365753 www.ritacine.com.ar
158
Film
Biennale College Cinema
Sol Berruezo Pichon-Rivière Laura Mara Tablón REGIA
Sol Berruezo Pichon-Rivière (Argentina, 1996) è una regista e sceneggiatrice laureata in Regia all’Universidad del Cine. Il suo primo film è stato Mamá, mamá, mamá, girato solo da donne: sia il troupe sia il cast. È stato presentato in anteprima alla Berlinale nel 2020, dove è stato premiato con la Menzione Speciale della Giuria.
Dieci 2012–22
PRODUZIONE
Laura Mara Tablón (Argentina, 1979) è una produttrice e regista. Cerca di creare progetti audiovisivi che ritraggano mondi diversi, storie dirette da registi col talento per film di forti emozioni. Nel 2015 ha fondato Rita Cine con una premessa molto chiara: fare film in cui crediamo, con persone che amano il cinema.
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La santa piccola / The Holy Child Blessed Boys in America del Nord
In un quartiere assolato di Napoli dove si conoscono tutti, Mario e Lino, due amici inseparabili, passano giornate sempre uguali. Finché la sorellina di Lino, Annaluce, fa un miracolo e diventa la patrona del rione. Per entrambi, da quel momento, si apre una porta su un mondo nuovo che li porterà a intraprendere strade diverse, rischiando tutto, anche la cosa più importante che hanno: l’amicizia fraterna. La santa piccola è una storia di tenerezza e crudeltà, del bisogno di credere che possa succedere qualcosa di buono e di superiore, della speranza che qualcosa ci salverà dalla quotidianità e dalla sua monotonia. Il film analizza con toni ironici la complessità delle relazioni, della responsabilità, della sessualità, della nudità, del contatto fisico e delle credenze popolari, e rivela una piccola e fragile umanità che si muove a piccoli passi.
78.MIAC, 2021 Italia, 97′ REGIA Silvia Brunelli LINGUA Italiano INTERPRETI Francesco Pellegrino, Vincenzo Antonucci, Sophia Guastaferro, Alessandra Mantice, Pina Di Gennaro, Gianfelice Imparato, Sara Ricci, Carlo Geltrude SCENEGGIATURA Silvia Brunelli, Francesca Scanu
DISTRIBUZIONE
Italia, America del Nord, Vietnam
FOTOGRAFIA Sammy Paravan
FESTIVAL
MONTAGGIO Luna Gualano, Silvia Brunelli
Tribeca Film Festival; FICG37 Guadalajara Film Festival; RIFF – Rome Independent Film Festival; IFFK – International Film Festival of Kerala; Pinkapple Film Festival
SCENOGRAFIA Antonella Di Martino
PREMI
Riff - Rome Independent Film Festival 2021 – Best Italian Feature Film; Fcp – Festival del Cinema di Porretta 2021 – Premio del Pubblico – sezione “fuori dal giro”; Nomination Queer Lion Award 2021
COSTUMI Francesca Del Monaco MUSICA Emiliano Rubbi, Eugenio Vicedomini SUONO Nicola Celia PRODUZIONE Francesca Scanu, Valentina Quarantini – Raindogs RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Tvco; Minerva International Sales And Distribution; Wolfe Video
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CONTATTI valentina@raindogsfilm.it
Film
Biennale College Cinema
Silvia Brunelli REGIA
La carriera di Silvia Brunelli è iniziata con il montaggio, la scrittura e la regia di cortometraggi indipendenti. Dopo la laurea in giurisprudenza, ha studiato alla New York Film Academy. Il fondo Euroimages l’ha scelta come nuova regista europea del 2020 per promuovere l’uguaglianza di genere nell’industria cinematografica.
Francesca Scanu, Valentina Quarantini PRODUZIONE
Francesca Scanu lavora come sceneggiatrice e produttrice. Ha prodotto il cortometraggio For Anna, per la regia di Andrea Zuliani, finalista al David di Donatello e vincitore di numerosi premi internazionali; nel 2018 ha coprodotto il lungometraggio Go Home di Luna Gualano, vincitore del Roma Lazio Film Commission Prize alla Festa del Cinema di Roma nel 2018. Valentina Quarantini (Firenze, 1974), ha un background come segretaria di produzione, coordinatrice di produzione e responsabile di produzione. Nel 2014 ha fondato Rain Dogs Film con Marco Luca Cattaneo, producendo, tra gli altri, Per Anna (cortometraggio, finalista David di Donatello), Ambaradan (cortometraggio, vincitore del Concorso MigrArti, Venezia, 2017), il primo lungometraggio di Andrea Zuliani Girls Don’t Cry (2021, patrocinato da Mic, Rai Cinema, Apulia Film Found). Attualmente sta lavorando a Voglio guardare, lungometraggio tratto dal romanzo di Diego De Silva e diretto da Stefano Incerti, vincitore dei bandi di sviluppo e produzione del Mic e della Regione Campania, ed è direttore delle operazioni di Cinecity Hub.
Dieci 2012–22
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Nuestros días más felices / Our Happiest Days
Sol Berruezo Pichon-Rivière
La santa piccola / The Holy Child
Silvia Brunelli
The Cathedral
Racconto meditativo e impressionistico di un figlio unico dell’ascesa e della caduta di una famiglia americana nell’arco di due decenni. Il regista ha affermato che The Cathedral è “un tentativo di commemorare un momento della mia vita – e, più in generale, penso, della vita di questo paese – che non può che generare un pesante bagaglio emotivo, più o meno confuso e doloroso. Non volevo fare un film su discordie e difficoltà famigliari. Il film nasce piuttosto dal senso di solitudine e curiosità di un bambino solitario e ansioso che guarda fuori dalla finestra della sua camera da letto. Il risultato è un collage d’immagini e suoni, radicati nei ricordi di un ragazzo, che ci mostrano qualcosa di triste e non sentimentale su una famiglia impoverita in un momento storico segnato da aspettative impoverite”.
78.MIAC, 2021 USA, 87′ REGIA Ricky D’Ambrose LINGUA Inglese INTERPRETI Brian d’Arcy James, Monica Barbaro, Mark Zeisler, Geraldine Singer SCENEGGIATURA Ricky D’Ambrose
FESTIVAL
FOTOGRAFIA Barton Cortright
Sundance Film Festival; Rotterdam International Film Festival; Spirit of Fire; New Directors / New Films
MONTAGGIO Ricky D’Ambrose SCENOGRAFIA Grace Sloan COSTUMI Nell Simon, Deanna Manno SUONO Maxwell di Paolo PRODUZIONE Graham Swon RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Visit Films
CONTATTI gs@ravenser-odd.com +1 9179300852
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Film
Biennale College Cinema
Ricky Graham D’Ambrose Swon REGIA
PRODUZIONE
Ricky D’Ambrose è uno sceneggiatore e regista newyorkese. Il suo primo lungometraggio, Notes on an Appearance, è stato presentato in anteprima al 68° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Nel 2017 è inserito trai 25 nuovi volti del cinema indipendente dalla rivista Filmmaker, nonché uno dei migliori nuovi cineasti del decennio da Richard Brody sul New Yorker. Ha scritto di cinema e arti per The Nation, Film Quarterly, n+1 e Filmmaker Magazine. The Cathedral è il suo secondo lungometraggio.
Graham Swon è un produttore, sceneggiatore e regista americano. Come produttore, ha lavorato con molti registi indipendenti, tra cui Matías Piñeiro, Ted Fendt, Dan Sallitt e Ricky D’Ambrose. Il suo primo lungometraggio come sceneggiatore/regista, The World is Full of Secrets, è stato presentato in anteprima nel 2018. Il lavoro di Swon è stato presentato a livello internazionale in festival come la Berlinale, il Sundance, Locarno, Venezia e il NYFF. Ha conseguito una laurea in Teatro e Filosofia presso la Carnegie Mellon University.
Dieci 2012–22
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Mon père, le diable / Our Father, the Devil Marie lavora come capocuoca in una casa di riposo in una piccola città di montagna nel sud della Francia. Sebbene paia essersi adattata relativamente bene, nasconde un segreto. Un giorno, questa vita tranquilla è sconvolta quando un prete africano, padre Patrick, inizia a fare volontariato nella casa di riposo. Marie lo riconosce immediatamente come il signore della guerra che le ha massacrato la famiglia. Mentre padre Patrick ammalia tutti i suoi colleghi, Marie deve decidere se vendicarsi o restare fedele alla nuova vita che si è costruita. La regista ha riflettuto sulle ragioni profonde di questa storia: “Cosa succede quando le vittime diventano carnefici? Questa è la vera tragedia dei bambini soldato. Volevo esplorare chi diventano questi bambini da adulti, come elaborano le atrocità a cui hanno assistito e partecipato. È un aspetto della guerra che viene raramente discusso”.
78.MIAC, 2021 USA, Francia, 108′ REGIA Ellie Foumbi LINGUA Francese INTERPRETI Babetida Sadjo, Souleymane Sy Savané, Jennifer Tchiakpe, Franck Saurel, Martine Amisse SCENEGGIATURA Ellie Foumbi FOTOGRAFIA Tinx Chan
FESTIVAL
Oostende Film Festival (nella SOON! Competition); Tribeca Film Festival (Viewpoints; prima nordamericana)
MONTAGGIO Roy Clovis, Jr. SCENOGRAFIA Philippe Lacomblez COSTUMI Noémie Le Tily MUSICA Gavin Brivik SUONO Mike Frank PRODUZIONE Joseph Mastantuono, Ellie Foumbi – Solid Stripe Films RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE UTA
CONTATTI solidstripefilms@gmail.com
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Film
Biennale College Cinema
Joseph Mastantuono Ellie Foumbi PRODUZIONE
Nato a Tolosa, in Francia, il primo lungometraggio di Joseph Mastantuono come produttore, As You Are (diretto da Miles Joris-Peyrafitte), con Owen Campbell, Charlie Heaton e Amandla Stenberg, ha vinto il Premio Speciale della Giuria nella categoria Film Drammatici Statunitensi al Sundance Film Festival del 2016 e ha fatto parte del San Sebastian Film Festival nel 2016. Altri crediti come produttore includono My Last Film (diretto da Zia Anger), un cortometraggio con Lola Kirke e Patricia Arquette, presentato in anteprima al New York Film Festival.
Dieci 2012–22
REGIA
Ellie Foumbi è un’attrice/sceneggiatrice/regista camerunese il cui lavoro è incentrato su storie sull’identità e sull’ambiguità morale nell’ambito della diaspora africana. Ha conseguito una Laurea Magistrale in Regia presso la School of the Arts della Columbia University. Oltre a partecipare alla Berlinale Talents e alla Artist Academy del New York Film Festival, i suoi progetti sono stati supportati da Rainin Grant di SFILM, The Gotham’s Project Market, Film Independent e dal Tribeca Film Institute.
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The Cathedral
Ricky D’Ambrose
Mon père, le diable / Our Father, the Devil
Ellie Foumbi
Come le tartarughe
Daniele, Lisa, Sveva e Paolo, una famiglia borghese apparentemente perfetta. Un giorno il marito svuota l’armadio e va via. L’armadio vuoto diventa per Lisa il luogo ideale dove rifugiarsi ed elaborare la separazione. Sveva, la figlia quindicenne, fa di tutto per tirarla fuori, non accettando il comportamento bizzarro della madre e l’assenza, inspiegabile per lei, del padre. Daniele non tornerà a casa, ma Lisa riuscirà, grazie all’amore dei suoi figli e a una forza ritrovata, a compiere il primo passo per il superamento del dolore. La registra ha spiegato che questo progetto “è partito con un’immagine: un armadio vuoto. Ho pensato se una donna, travolta da un dolore non sostenibile e inaspettato, avrebbe potuto ficcarcisi dentro. E ho sorriso. Le immagini dentro l’armadio si sono subito delineate, le ante come occhi e cosa sarebbe filtrato dalle sue fessure. E quelle dall’altro lato: cosa avrei mostrato del suo interno. L’armadio diventa un personaggio, assiste e accoglie, si illumina e si spegne, all’interno e all’esterno, una volta finita la sua missione, può anche morire”.
79.MIAC, 2022 Italia, 80′ REGIA Monica Dugo LINGUA Italiano INTERPRETI Monica Dugo, Romana Maggiora Vergano, Edoardo Boschetti, Angelo Libri, Francesco Gheghi, Sandra Collodel, Martina Brusco, Annalisa Insarda SCENEGGIATURA Monica Dugo FOTOGRAFIA Gianni Mammolotti MONTAGGIO Paola Traverso COSTUMI Nicoletta Taranta MUSICA Pier Cortese SUONO Yann Fafanelli PRODUZIONE Cinzia Rutson – Do-Go & C
CONTATTI biennale.dogo@gmail.com +39 066783192 +39 3382204577
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Film
Biennale College Cinema
Monica Dugo
Cinzia Rutson
REGIA
PRODUZIONE
Dopo una carriera come ballerina, Monica Dugo passa alla recitazione. È protagonista a teatro in Bulli e Pupe e altri musical, in televisione in sitcom come Colpi di sole e Hot, co-protagonista in varie serie tv, affiancando tra gli altri Bud Spencer e Vanessa Scalera. Ha lavorato con Leonardo Pieraccioni, Peter Del Monte e Paolo Sorrentino. Come autrice scrive i testi dei suoi personaggi dal 2006. Come regista il suo cortometraggio Domani smetto vanta numerosi premi.
Dopo essersi laureata summa cum laude in Economia e Commercio, Cinzia ottiene una borsa di studio e si qualifica come Dottore Commercialista. All’età di venticinque anni si trasferisce a Londra dove intraprende una carriera aziendale prima in Marketing e poi in Vendite presso aziende internazionali. Nel 2002 fonda una società di produzione video aziendali.
Dieci 2012–22
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Banu
Mentre il secondo conflitto nel Nagorno-Karabakh infuria lontano da Baku, in Azerbaigian, Banu ha tre giorni per trovare qualcuno che la sostenga in tribunale contro il suo influente ex marito, Javid, che sta cercando di ottenere la custodia esclusiva del figlio Ruslan. Banu intraprende un viaggio per trovare qualcuno che la aiuti in una società in cui l’attenzione di tutti è consumata dalla guerra in corso. La regista ha riflettuto sul nodo emotivo e tematico di questo film: “Essere azeri significa conoscere di persona chi è stato colpito direttamente dalla prima o dalla seconda guerra del Nagorno-Karabakh, e significa anche conoscere chi è stato colpito da un duro divorzio in cui la donna ha perso la custodia del figlio a causa di un uomo più potente. Voglio che il pubblico s’interroghi sul rapporto tra guerra e patriarcato attraverso l’esperienza di una donna che lotta per la custodia del figlio nel corso di una guerra in cui migliaia di donne perdono i propri. Alla fine, sono le generazioni future a perderci; il ciclo continua a girare e opprime anche i ragazzi a cui pretende di rivolgersi”.
79.MIAC, 2022 Azerbaigian, 90′ REGIA Tahmina Rafaella LINGUE Azero, Russo INTERPRETI Tahmina Rafaella, Zaur Shafiyev, Malak Abbaszadeh, Kabira Hashimili, Emin Askarov, Jafar Hassan SCENEGGIATURA Tahmina Rafaella FOTOGRAFIA Touraj Aslani MONTAGGIO Mastaneh Mohajer SCENOGRAFIA Sabuhi Atababayev COSTUMI Rufat Balakishiyev MUSICA Diegetic music SUONO Morteza Najaflou, Ensieh Maleki PRODUZIONE Katayoon Shahabi – Noori Pictures
CONTATTI katysh.01@gmail.com +33 676418967
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Film
Biennale College Cinema
Tahmina Rafaella
Katayoon Shahabi
REGIA
PRODUZIONE
Tahmina Rafaella è una regista e attrice azera. Nel 2015 ha scritto e recitato in Inner City, un lungometraggio finanziato dal Ministero della Cultura e del Turismo dell’Azerbaigian. Il film ha partecipato ed è stato proiettato in numerosi festival cinematografici a livello internazionale. Il suo debutto alla regia, A Woman, che ha anche scritto, prodotto e interpretato, è stato presentato in anteprima al Palm Springs ShortFest. Ha vinto premi in numerosi festival cinematografici. Banu è il suo primo lungometraggio.
Katayoon Shahabi ha iniziato la carriera con la Farabi Cinema Foundation (1985) per poi co-fondare Cima Media International per distribuire e produrre cinema iraniano (1994). Ha lanciato Sheherazad Media International (2001) e una società con sede in Francia, Noori Pictures (2012). Ha prodotto lungometraggi e documentari di molti registi famosi e di giovani promettenti. Ha fatto parte di giurie in molti prestigiosi festival cinematografici come San Sebastián (come presidente) e la competizione principale di Cannes nel 2016.
Dieci 2012–22
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Come le tartarughe
Monica Dugo
Banu
Tahmina Rafaella
Горный лук /
Mountain Onion Kazakistan. I fratelli Jabai e Saniya intraprendono un viaggio inaspettato in Cina per procurarsi la sola cosa che può salvare il loro padre, il “Viagra d’oro”. Mountain Onion è una storia di bambini in una società in cui vige la regola che “i ragazzi non piangono, le ragazze non si arrabbiano”. Il regista ha riflettuto sulla natura di questo progetto: “Mountain Onion è un film di buoni sentimenti sull’ascolto della propria voce interiore e la fiducia nei propri istinti, solo poi seguita dall’ascolto degli altri. Il film parla di libertà. Bisogna liberarsi da stereotipi e pregiudizi. E non cercare mai di imporli agli altri, soprattutto ai bambini”.
79.MIAC, 2022 Kazakistan, 87′ REGIA Eldar Shibanov LINGUE Kazako, Russo INTERPRETI Esil Amantay, Amina Gaziyeva, Zhazira Kaskey, Kuantay Abdimadi, Laura Tursunkanova, Sanzhar Madi SCENEGGIATURA Eldar Shibanov, Yuliya Levitskaya FOTOGRAFIA Dias Shibanov MONTAGGIO Arseniy Abdrakhmanov SCENOGRAFIA Munissa Guliyeva COSTUMI Daniyar Zhaxygeldinov, Yevgeniya Artyomova SUONO Ilya Gariyev PRODUZIONE Yuliya Levitskaya – The applebox
CONTATTI dias.shibanov@gmail.com
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Film
Biennale College Cinema
Eldar Shibanov
Yuliya Levitskaya
REGIA
PRODUZIONE
Eldar Shibanov, 35 anni, lavora nell’industria cinematografica da quando ne aveva 18. Vive ad Almaty, in Kazakistan, dove crea film con la madre Yuliya Levitskaya e il fratello Dias Shibanov. Ha realizzato sette cortometraggi, con Sex, Fear e Hamburgers (proiettati a Venezia, Busan e Mosca), quelli di maggior successo. Mountain Onion è il suo primo lungometraggio.
Yuliya ha lavorato nel campo dell’architettura, del design e dell’arte contemporanea fino al 2003. Dal 2003 al 2010 ha lavorato come scenografa e costumista per Kazakhfilm. Ha co-fondato ARTDEPARTMENT.KZ (studio di produzione di effetti speciali e di trucco d’effetto), che ancora dirige. È anche sceneggiatrice e produttrice, con diversi cortometraggi e un lungometraggio.
Dieci 2012–22
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Palimpsesti / Palimpsest Tellu e Juhani, due anziani coinquilini in un centro per cure palliative, vengono scelti a caso per una terapia genetica sperimentale di ringiovanimento. Con i ricordi intatti e una seconda chance alla vita, all’amore e alla lussuria, devono ora trovare il proprio posto in un nuovo mondo nuovo che se li è lasciati indietro. La regista ha affermato che Palimpsest “è la storia di due persone a cui viene data l’opportunità di fare qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima: invertire il proprio orologio biologico e ricominciare da capo. La domanda implicita in questo concetto è: ‘quali difficoltà ci sono a costruirsi una nuova vita mantenendo ricordi e relazioni di una già vissuta?’ Cosa succede quando si è la prima generazione messa di fronte a qualcosa di mai tentato, e che altri poi seguiranno? Come comportarsi senza strade tracciate da altri, spinti solo da desideri e pulsioni?”.
79.MIAC, 2022 Finlandia REGIA Hanna Västinsalo LINGUA Finlandese INTERPRETI Riitta Havukainen, Antti Virmavirta, Krista Kosonen, Leo Sjöman, Emma Kilpimaa, Kaisu Mäkelä SCENEGGIATURA Hanna Västinsalo FOTOGRAFIA Henry Dhuy MONTAGGIO Tarek Karkoutly SCENOGRAFIA Jonathan Maxwell COSTUMI Mert Otsamo MUSICA Linda Ilves SUONO Samuli Kivelä PRODUTTORE Cyril Jacob Abraham – Thinkseed Films Oy
CONTATTI cyril@thinkseedfilms.com
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Film
Biennale College Cinema
Hanna Västinsalo
Cyril Jacob Abraham
REGIA
PRODUZIONE
Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in genetica molecolare presso l’Università di Helsinki, Hanna ha studiato regia all’American Film Institute Conservatory di Los Angeles, in California, per il quale ha ricevuto una borsa di studio della Sloan Foundation. Ha tenuto una conferenza allo TEDxHelsinkiUniversity 2018, dove ha parlato del rapporto tra narrazione e scoperta scientifica. Il suo ultimo film in realtà virtuale, Man under Bridge, è stato presentato in anteprima internazionale alla 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Dopo essersi diplomato all’American Film Institute (AFI), Cyril ha prodotto una trasmissione televisiva, Ismo, per la televisione finlandese, e il documentario pubblicitario Juhani’s Minimani. È stato anche produttore associato di The Journey is the Destination, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2016. Nello spazio della realtà virtuale, Cyril ha prodotto Man under Bridge.
Dieci 2012–22
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Горный лук / Mountain Onion
Eldar Shibanov
Palimpsesti / Palimpsest
Hanna Västinsalo
VR prodotti con il grant Biennale College
Chromatica
Sofia vive in un mondo in bianco e nero; una malattia rara l’ha resa incapace di percepire la bellezza dei colori. Trascorre le sue giornate leggendo libri di poesie e visitando musei, finché un giorno la sua quiete monocromatica viene interrotta dall’arrivo di un nuovo vicino: Vincent, un pianista che con la sua musica le restituisce la capacità di vedere i colori. La meraviglia di questo viaggio di scoperta si trasforma in una fusione di due anime in una danza eterna. Chromatica è un viaggio nei colori, dalla loro assenza alla loro presenza totale. Un viaggio dal nero al bianco attraverso gli occhi di una ragazza timida; una scoperta della meraviglia che i colori regalano al mondo ma anche l’incontro con un’anima affine e la forza dell’amore che questa unione genera.
74.MIAC, 2017 Italia, 18′ REGIA Flavio Costa LINGUA Inglese INTEPRETI Camilla Diana, Christian Burruano SCENEGGIATURA Nicola Papagno, Flavio Costa, Laura Catalano FOTOGRAFIA Claudio Napoli
DISTRIBUZIONE
Italia, Paesi Bassi, Canada, Cina, Giappone, Argentina, Messico
MONTAGGIO Flavio Costa
FESTIVAL
HALO Awards – VR Days Europe, Amsterdam; Trends Ventana Sur, Buenos Aires DiginoHub; Digital Innovation & Transformation Hub, Londra; HEROES Euro-Mediterranean Co-Innovation Festival, Maratea; Maremetraggio, Trieste
SCENOGRAFIA Marco Martucci COSTUMI Duska Nesic Drazic MUSICA Dario Giacovelli, Gianluca Masetti SUONO Davide Palmiotto, Franz Rosati, Alessandro Bianchi TECNOLOGO CREATIVO Sergio Ochoa EFFETTI VISIVI Felix Bueno, Sergio Ochoa, Jesus Rcp OPERATORI KATACLACK Montserrat Puertolas Turell, Roger Vilaseca Miro, Pau Bergada Esteve
CONTATTI laura.catalano@pr8duction.com +39 3282031381 — denitza.stefanova@pr8duction.com +39 3913738096 — amministrazione@pr8duction.com
PRODUZIONE Laura Catalano – 8 Production DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Yue Cheng Technology, Contraverse VR, Veer, Rai Cinema
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VR
Biennale College Cinema
Flavio Costa
Laura Catalano
REGIA
PRODUZIONE
Flavio Costa (Roma, 1980) si laurea in Cinema nel 2005 con una tesi multimediale su Charlie Chaplin. Ha realizzato video per TV e web e cortometraggi, alcuni dei quali hanno ricevuto diversi premi e riconoscimenti di critica sia in Italia che all’estero, tra cui Nessun vascello c’è (2007), Prima di poi cambio vita (2010), Deliziosa maledizione (2011), Per carità (2012), Ad occhi chiusi (2012), e Zanafill (2015).
Laura Catalano è una produttrice con sede a Roma. Nel 2013 fonda 8 Production, società di produzione indipendente, fortemente orientata alla creatività e alle nuove tecnologie. Lavora in VR dal 2016. Nel 2017 ha vinto, con Chromatica, il primo concorso della Biennale College sul Cinema VR. Da allora ha prodotto numerosi cortometraggi (Vittoria per tutti, 2018; H.O.M, 2020; La pescatora, 2021), documentari (Favolosa e Fading, entrambi 2022), serie web e progetti di videoarte selezionati in festival internazionali.
Dieci 2012–22
185
In the Cave
Il segreto della vita svelato attraverso la metafora della speleologia. Una vita si spegne, un ultimo saluto nella stanza di un vecchio speleologo. L’oscurità invade lo sguardo e sembra non lasciare scampo, ma inaspettatamente oltre l’oscurità c’è qualcosa, un nuovo inizio, un altrove da cui ripartire. Un mondo fatto di rocce e concrezioni millenarie. Una grotta piena di bellezza e mistero, dove nulla è come sembra. L’unica guida è una luce sulla testa, le cui ombre disegnano sui muri bagnati una nuova storia. Esplorando le meraviglie del sottosuolo e cercando la via d’uscita dall’oscurità eterna, lo spettatore sarà protagonista di un viaggio allegorico alla ricerca della vita e della rinascita. “In the Cave”, ha affermato il regista, “è un cortometraggio immersivo in VR dovuto alla fascinazione col mondo sotterraneo e alle sensazioni di bellezza, pericolo, protezione, perdita di senso di spazio e tempo che esso produce. Esplorare la metafora della grotta come grembo materno guida lo spettatore attraverso il mistero sconosciuto della vita prima della vita.”
75.MIAC, 2018 Italia, 15′ REGIA Ivan Gergolet LINGUA senza dialogo INTERPRETI Maruša Majer, Bruno Serban, Claudia Sfetez SCENEGGIATURA Ivan Gergolet FOTOGRAFIA Antonio Giacomin SCENOGRAFIA Anton Špacapan Vončina
DISTRIBUZIONE
COSTUMI Mateja Fajt
Italy, Slovenia
SUONO Massimiliano Borghesi
FESTIVAL
Venice Virtual Reality; Trieste Film Festival; Sofia Film Festival; Kyoto Historica Film Festival; ShorTS
TECNOLOGO CREATIVO Antonio Giacomin EFFETTI VISIVI AnotherworldVR PRODUZIONE Antonio Giacomin, David Cej – Transmedia Production
CONTATTI david@transmediaproduction.it +39 3293610641
186
VR
Biennale College Cinema
Ivan Gergolet REGIA
Ivan Gergolet (1977) ha iniziato la carriera come regista girando corti di finzione e documentari nei primi anni 2000. Il suo primo film Dancing with Maria è stato il primo documentario in assoluto selezionato nel programma del concorso della Settimana della Critica alla 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2014, ed è stato nominato Miglior Documentario agli European Film Awards 2015. Nel 2021 gira il suo primo film di finzione L’uomo senza colpa, in uscita nel 2022.
David Cej, Antonio Giacomin PRODUZIONE
David Cej inizia la carriera con il pluripremiato regista Matteo Oleotto come compositore della colonna sonora del documentario Sopra le macerie (2016). Dopo aver lavorato a Zgodbe iz kostanjevih gozdov (“Storie dal bosco di castagni”) di Gregor Božič, ha partecipato a diversi workshop internazionali, tra cui ReAct, MAIA Workshops, Puentes Italia e Biennale College Cinema VR. Da allora è produttore esecutivo dei progetti Lala di Ludovica Fales e L’uomo senza colpa di Ivan Gergolet (entrambi del 2022). Antonio Giacomin (1974) è un tecnologo creativo e video designer e ha iniziato a sperimentare con i media immersivi nel 2015 lavorando a vari progetti XR (Extended Reality, Realtà estesa). Nel 2017 diventa curatore della sezione VR del Trieste Film Festival e inizia a collaborare con la Casa del Cinema di Trieste organizzando eventi, workshop e panel sulla cultura XR. Nello stesso anno avvia il blog 360.fluido.tv e il primo podcast italiano sulla cultura XR Linea di stitching. Alterna l’attività di tecnologo creativo e video designer all’insegnamento.
Dieci 2012–22
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Chromatica
Flavio Costa
In the Cave
Ivan Gergolet
Elegy
Elegy racconta di un’anima perduta intrappolata nell’ascensore di un hotel di lusso, separata e invisibile ai vivi a eccezione di Bianca, la cameriera dell’hotel. Bianca non riesce a superare la perdita del suo amore tragicamente scomparso e crede che lo sfarfallio delle luci e gli sporadici guasti dell’ascensore siano un modo del suo amato per comunicare con lei. Ma non c’è spazio per un ascensore instabile in un hotel a cinque stelle e deve essere sostituito. L’anima è angosciata per le inevitabili conseguenze. Il regista ha affermato che “Elegy è il mio umile e fragile desiderio di condividere un’ossessione molto personale. Una volta evaporata dalla carne e aspirando a riposare in pace, un’anima si ritrova intrappolata tra i vivi. Si sente confusa, persa e impaurita, senza speranza di redenzione. Forse quest’anima è la mia. Forse è la vostra. Forse è la quintessenza di ciò che siamo”.
75.MIAC, 2018 Francia, 30′ REGIA Marc Guidoni LINGUA Inglese INTERPRETI Robert William Bradford, Madalina Constantin, Walter Dickerson, Julie Judd, Kester Lovelace, Charles Morillon, Natalia Pujszo, Dan Rosson, Gaya Verneuil
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Marc Guidoni
Brasile, Italia, Paesi Bassi, Francia, Germania, Cina
FOTOGRAFIA Fouzi Louhaem
FESTIVAL
Mostra del Cinema di Venezia; Berlinale; Amsterdam VR Days; Imagine Film Festival
MONTAGGIO Fouzi Louhaem SCENOGRAFIA Marie-Hélène Sulmoni COSTUMI Joanna Szybist MUSICA Agnès Vincent SUONO Florent Dumas PRODUZIONE Joanna Szybist – Komintern RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Wide Management (Maxime Montagne)
CONTATTI joanna.szybist@komintern.fr +33 614618502 www.komintern.fr
190
VR
Biennale College Cinema
Marc Guidoni
Joanna Szybist
REGIA
PRODUZIONE
Marc ha trascorso quindici anni occupandosi di gestione, sviluppo aziendale e marketing in importanti gruppi di media e telecomunicazioni. Nel 2005, ha intrapreso un’avventura imprenditoriale come produttore cinematografico e televisivo. Ha prodotto drammi e documentari acquistati dai principali canali francesi e stranieri, lavorando in particolare con Eric Guirado, Andrzej Zulawski e Abderrahmane Sissako. È lui il motore della rinascita, insieme a Marc Bonny, del cinema Comoedia, struttura di cinema d’essai a Lione.
Nata a Cracovia e residente a Parigi, Joanna Szybist ha doppia cittadinanza polacca e francese. Si è laureata sia all’Università Jagellonica che alla Sorbona. Ha 15 anni di esperienza nella ricerca analitica e gestione di complessi progetti internazionali nel mercato televisivo e digitale. Nel 2015 ha fondato la società indipendente Komintern, per sviluppare e produrre progetti cinematografici e televisivi. Komintern sta attualmente lavorando a diversi film in coproduzione internazionale.
Dieci 2012–22
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4 Feet: Blind Date
Juana è una diciottenne in sedia a rotelle coi capelli blu, ed è ansiosa di esplorare la sua sessualità. Sta andando a un appuntamento al buio con Felipe, un ragazzo che ha trovato sui social media. Non gli ha detto della sedia a rotelle. Dopo aver superato paure, dubbi e una città inaccessibile, finalmente lo incontra, e scopriranno insieme che sensazioni proverà il corpo.
75.MIAC, 2018 Argentina, 18′ REGIA María Belén Poncio, Damian Turkieh LINGUA Spagnolo
FESTIVAL
Mostra del Cinema di Venezia (Venice Virtual Reality); Sundance; Mostra Internacional de Cinema São Paulo; Mar del Plata International Film Festival; Dok Leipzig; Sheffield Doc; Doc Aviv; Cannes XR; SXSW; Melbourne VR Days; Jihlava; Transilvania Film Fest; Dead Center; Jeonju International Film Fest; Bucheon; Kaohsiung; Sand Box; Carlow, CPH DOX; Guanajuato Film Festival
INTERPRETI Delfina Diaz Gavier, Cristobal Lopez Baena, Elisa Gagliano, Candelaria Tapia SCENEGGIATURA Elisa Gagliano, Rosario Perazolo Masjoan
PREMI
SXSW – Best VR narrative; Guanajuato Film Festival – Best VR narrative; Dok Leipzig – Best VR narrative; Trieste GOShort – Best VR narrative
FOTOGRAFIA Marcos Rostagno MONTAGGIO Damian Turkieh, Maria Belen Poncio SCENOGRAFIA Guillermo Mena COSTUMI Florencia Nogue MUSICA Santiago Beltramo, Florencia Lucena SUONO Ariel Litvinov TECNOLOGO CREATIVO Gonzalo Sierra EFFETTI VISIVI Martin Lopez Funez, Maldito Maus PRODUZIONE Ezequiel Lenardon
CONTATTI ezequiellenard@gmail.com
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VR
Biennale College Cinema
María Belén Poncio, Damian Turkieh Ezequiel Lenardon REGIA
María Belén Poncio è una regista di Córdoba, in Argentina. Con la passione d’infrangere i limiti e raccontare storie d’impatto sociale e politico. Ha conseguito una laurea in Comunicazione Audiovisiva e un corso post-laurea in Documentari contemporanei, entrambi presso l’Università Nazionale di Córdoba. Dopo aver lavorato per alcuni anni come montatrice, nel 2018 ha diretto e co-sceneggiato il cortometraggio VR 4 Feet: Blind Date presentato in anteprima alla 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (Venezia Virtual Reality) e selezionato anche dal Sundance Film Festival e altri 15 festival internazionali. Il corto ha vinto il premio per la migliore narrativa VR al SXSW 2019, al Guanajuato Film Festival, a Dok Lipsia e a Trieste GOShort.
PRODUZIONE
Ezequiel Lenardon ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’UNC nel 2009. Ha anche completato gli studi post-laurea in Documentari contemporanei presso l’UNC, nel 2015. Dal 2011 ha creato e prodotto interventi artistici e progetti audiovisivi in varie città, gallerie e musei in Argentina, Brasile e India. Il suo principale interesse sono progetti creativi con impatto sociale e culturale.
Damian Turkieh si è laureato in studi audiovisivi presso l’Università Nazionale di Lanús, Buenos Aires. Ha anche conseguito una laurea in regia cinematografica presso l’Universidad Del Cine Buenos Aires. Ha diretto e partecipato a un’ampia lista di progetti cinematografici e negli ultimi otto anni si è concentrato sulle produzioni VR.
Dieci 2012–22
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Elegy
Marc Guidoni
4 Feet: Blind Date
María Belén Poncio, Damian Turkieh
Szepty / Whispers
Al confine polacco-ucraino il ritmo della vita è lento, ma sotto la superficie delle cose, la sua densità diventa incomprensibile. Vita e morte non significano qui la persistenza e la scomparsa dei processi biologici, ma sono forze impenetrabili che costituiscono la realtà. È qui che vive Colei che Sussurra. Guarisce usando il potere delle parole, dei gesti e delle immagini. Lungo in percorso per questo stato mentale, s’incontreranno natura aspra, cerimonie religiose e riti pagani.
76.MIAC, 2019 Polonia, 21′ REGIA Jacek Nagłowski, Patryk Jordanowicz LINGUA Ucraino INTERPRETI Irina Kotelnikova, Grzegorz Suchanicz, Olga Solarz, Miłosz Hermanowicz with Members of Metropolitan Choir at the Greek Catholic Metropolitan Council of St. John the Baptist in Przemyśl
FESTIVAL
Lublin Film Festival; Cinergia European Cinema Forum festival; GoEast Film Festival PREMI
Cinergia festival – Premio speciale per miglior VR polacco nella categoria documentari; Lublin Film Festival – Premio speciale degli organizzatori; GoEast Film Festival – Open Frame Award
SCENEGGIATURA Jacek Nagłowski FOTOGRAFIA Patryk Jordanowicz MONTAGGIO Maciej Gryzełko SCENOGRAFIA Paulina KorwinKochanowska COSTUMI Paulina and Urszula Korwin-Kochanowska MUSICA Anna Ujma SUONO Pierre Carsalade, Anna Ujma, Marek Titow EFFETTI VISIVI Anna Giemzik, Przemek Mastela PRODUZIONE Jacek Nagłowski – Centrala Distribution RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Wide Management
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CONTATTI naglowski@centralafilm.pl +48 697991639 centralafilm.pl
VR
Biennale College Cinema
Patryk Jordanowicz REGIA
Patryk Jordanowicz, direttore della fotografia, regista, artista XR. Ha studiato Cinema all’Università Jagellonica e Fotografia Cinematografica alla Krzysztof Kieślowski Film School. Direttore della fotografia di numerosi documentari e lungometraggi. Crea spot pubblicitari per grandi marchi, serie TV popolari e video musicali. Regista e direttore della fotografia di acclamate esperienze VR.
Dieci 2012–22
Jacek Nagłowski REGIA E PRODUZIONE
Jacek Nagłowski è produttore e regista di oltre 25 documentari e film di finzione spesso premiati in festival cinematografici internazionali. Dal 2019 dirige VR/AR Studio presso il Visual Narrations Lab della Scuola di Cinema di Łódź.
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Vajont
Vajont è un’esperienza VR interattiva, in prima persona, ambientata nell’omonima valle italiana. La vicenda è ambientata qualche ora prima del disastro avvenuto il 9 ottobre 1963 – una delle più grandi tragedie italiane dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: una frana scivolò nel lago artificiale che sovrastava la valle e generò un’onda devastante che distrusse quasi completamente i paesi limitrofi. L’esperienza è incentrata su un dialogo fra marito e moglie: la donna avverte il rischio e vuole allontanarsi; il marito respinge qualsiasi idea di pericolo. Cosa ci impedisce di lasciare i luoghi a cui sentiamo di appartenere? Saranno le scelte del partecipante a influenzare il futuro della coppia. La regista riflette: “Che cosa ci impedisce di abbandonare un luogo non sicuro? Il legame uomo/territorio è una questione universale: nel caso di molti disastri, più forte di qualsiasi istinto di sopravvivenza. Ritengo che queste domande ci conducano a un livello di coscienza pi. profondo: di che cosa siamo fatti noi esseri umani, all’infuori di ciò che ci appartiene?”
77.MIAC, 2020 Italia, 25′ REGIA Iolanda Di Bonaventura LINGUA Inglese SCENEGGIATURA Iolanda Di Bonaventura TECNOLOGO CREATIVO, GENERALISTA 3D, SVILUPPO UNITÀ Saverio Trapasso DISEGNI TECNICI Marco Montini GRAFICA PERSONAGGI, PROGETTAZIONE 3D Yuri Giordani LUCI 3D Iolanda Di Bonaventura ANIMAZIONE 3D Luca Chiari, Stefano Danieli CONCEPT, INTERAZIONE UTENTE Thomas Iuliano TEXTURE Irene Zappon, Iolanda Di Bonaventura ASSISTENTE CREATIVO Alessio Di Lorito MUSICA Giuseppe Tassoni SUONO Massimiliano Borghesi VOCI Valentina Beotti, Jacopo Giacomoni, Arianna Moro
CONTATTI saveriotrapasso@artheria.it www.artheria.it
PRODUZIONE Saverio Trapasso – Artheria
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VR
Biennale College Cinema
Iolanda Di Bonaventura Saverio Trapasso REGIA
Artista visiva e regista, nata a L’Aquila nel 1993, la sua ricerca è incentrata sul ruolo dell’ambiente come parte costitutiva dell’identità. personale, e sull’individuazione di nuovi linguaggi tecnici e creativi, che possano supportare l’espressione e la comunicazione artistica.
Dieci 2012–22
PRODUZIONE
Saverio Trapasso, nato a Catanzaro nel 1986, è da sempre interessato al mondo della ricerca e dello sviluppo in ambito tecnologico. Ha ricoperto diverse posizioni e si è dedicato a studi approfonditi su software 3D per applicazioni di realtà virtuale. Nel 2018 fonda la propria azienda, Artheria, specializzata in Realtà Virtuale. Nel 2020, Vajont - il primo film interattivo in VR da lui prodotto - ha ricevuto un grant di produzione dalla Biennale Cinema College - Virtual Reality.
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Szepty / Whispers
Jacek Nagłowski, Patryk Jordanowicz
Vajont
Iolanda Di Bonaventura
Lavrynthos
Lavrynthos trasporta gli spettatori nel cuore del labirinto di Creta, per raccontare la storia dell’incredibile relazione tra il Minotauro e la sua ultima vittima, una ragazza di nome Cora. Una tragedia greca contemporanea che rende omaggio alla culla della teoria drammaturgica moderna, e al contempo la mette in discussione, Lavrynthos interpreta in chiave ironica un mito di 3000 anni fa, aggiornandolo con l’aggiunta di temi e argomenti collegati ai nostri giorni e all’epoca contemporanea. Lavrynthos utilizza un modo innovativo di spostare il giocatore nella storia, trasformando un’area di 2x2 metri in un infinito labirinto non euclideo, capace di muovere lo spazio e il tempo. Lavrynthos sconvolge il senso dell’orientamento, di spazio e di equilibrio, con lo scopo di mettersi in comunicazione con chi in questi ultimi due anni si è sentito perso. “Ogni narratore dovrebbe svegliarsi tutti i giorni e pregare sant’Aristotele - queste le parole dei registi - il creatore della teoria drammaturgica moderna, il Robert Mckee originale. Non c’è dubbio che la Grecia sia stata la culla della narrazione come noi la conosciamo, espressa tramite il teatro. Rappresentando la più antica forma di narrazione unita a quella più moderna, cioè la VR, ci sembra di chiudere il cerchio. Utilizziamo la mitologia e lo stile narrativo delle belle tragedie di una volta, tipici degli antichi greci, e allo stesso tempo sovvertiamo le leggi del matematico greco più famoso, Euclide, grazie al nostro labirinto non euclideo. L’aspetto che più ci piace è che non raccontiamo semplicemente una vecchia storia, ma la aggiorniamo ai nostri tempi, e aggiungiamo temi e argomenti oggi molto rilevanti”.
78.MIAC, 2021 Brasile, Perù, 16′ REGIA Fabito Rychter, Amir Admoni LINGUA Inglese SCENEGGIATURA Fabito Rychter, Amir Admoni MOTION CAPTURE E SUONO Fabito Rychter ART DIRECTION E DESIGN Amir Admoni PROGRAMMAZIONE Owen Svelmoe MODELLAZIONE 3D Ivan Volchenko MODELLAZIONE 3D DEI PERSONAGGI Alex Liki, Rita Mirgo 3D TEXTURES Carol Fiorito PRODUZIONE Fabito Rycther Delirium XR DISTRIBUZIONE INTERNAZIONALE Delirium XR
CONTATTI fabitorychter@gmail.com www.deliriumxr.com.br
202
VR
Biennale College Cinema
Amir Admoni
REGIA E PRODUZIONE
REGIA
Fabito Rychter, nato nel 1979 a Rio de Janeiro, in Brasile, lavora da oltre quindici anni come sceneggiatore televisivo. Ha scritto più di quaranta episodi di sitcom, e ha sette anni di esperienza come sceneggiatore di sketch, corti e opere per il teatro. Ha collaborato con Amir Admoni ai pluripremiati cortometraggi Linear e Gravity, e a Mario, una serie di marionette. Nel 2016 ha fondato a Lima, in Perù, la DeliriumXR, casa di produzione specializzata in VR.
Amir Admoni, nato nel 1977 a San Paolo, in Brasile, è un regista, animatore, designer e artista brasiliano, che unisce varie tecniche di animazione, video e design, ai più disparati media, dal teatro alla realtà virtuale. Ha diretto sei cortometraggi di animazione presentati in tutto il mondo, aggiudicandosi più di centoventi premi. Nel 2020 l’ultima sua opera in VR, Gravidade VR, è stata presentata, tra gli altri, al Tribeca Film Festival, alla Mostra del Cinema di Venezia e al Marché du Film del Festival di Cannes, ottenendo otto premi.
Foto Nino Andres
Fabito Rychter
Dieci 2012–22
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Manus
Manus è un’esperienza VR intuitiva in cui due persone sono invitate a co-creare sculture cinetiche con il movimento delle mani senza alcuna comunicazione verbale. Come due musicisti che improvvisano e creano musica insieme, Manus dà la possibilità di co-creare coreografie coinvolgenti con uno sconosciuto usando solo le mani nude. L’intuitività delle interazioni fa sentire come ballerini professionisti o un musicisti virtuosi. Eppure c’è un’altra persona in ballo. Chi agisce per primo? O reagisce? O si crea qualcosa insieme? Il regista ha affermato che “in quest’esperienza c’è una certa sensazione che definiamo ‘creare armonie con l’altro musicista/ partecipante’. Emerge quando l’utente inizia a muoversi, creare e improvvisare insieme alla seconda persona senza alcuna comunicazione verbale. Il concetto di fidarsi del proprio corpo per sapere quali movimenti fare e di fidarsi che un altro ci risponda allo stesso modo in un mondo virtuale creerà questa connessione. Gli esseri umani sono prima di tutto esseri sociali, non importa dove si trovino, che si tratti di un mondo virtuale o del mondo reale. Crediamo che questo sia ciò su cui dovevamo concentrarci quando abbiamo scelto di fare di questa un’esperienza di cooperazione invece che di competitizione. Sappiamo che Manus è una piccola goccia in un vasto oceano, tuttavia pensiamo che la sua forza risieda in questa semplicità. Chiedendo agli utenti di fare affidamento gli uni sugli altri e di creare un sistema di fiducia reciproca, contiamo sul fatto che si allineino sulla stessa lunghezza d’onda. Indipendentemente dal background di ciascuno, Manus può essere uno spazio di celebrazione dell’altro per mezzo di una profonda co-creazione”.
79.MIAC, 2021 Paesi Bassi, 7′ REGIA Sjoerd van Acker LINGUA Inglese SCENEGGIATURA Sjoerd van Acker TECNOLOGO CREATIVO Sjoerd van Acker ART DIRECTOR Tolga Tarhan INSTALLAZIONI Nathan Saucier PRODUZIONE Fırat Sezgin e Ecegul Bayram – Institute of Time
CONTATTI firat@instituteoftime.com
204
VR
Biennale College Cinema
Sjoerd van Acker
Fırat Sezgin
REGIA
PRODUZIONE
Sjoerd van Acker alias NO FISH è un artista dei nuovi media e un tecnologo creativo che lavora con la realtà virtuale. Dopo aver studiato tecnologia dell’immagine e dei media presso l’Università delle arti di Utrecht (HKU), ha lavorato a molti progetti di realtà virtuale come tecnologo creativo dal 2020. Il suo primo progetto di realtà virtuale che ha diretto è stato rLung che ha realizzato come progetto di laurea. Il suo secondo progetto VR è stato selezionato alla Biennale College e sarà presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Fırat Sezgin è un produttore di cinema e nuovi media con un background nella produzione di lungometraggi e documentari. Si è laureato all’Emerson College con una laurea in Produzione per il cinema. Dopo aver lavorato nel settore per diversi anni, nel 2017 ha co-fondato Institute of Time per lavorare su produzioni indipendenti. Floodplain, la sua prima opera VR, è stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Il suo ultimo documentario è stato presentato in anteprima mondiale all’IFFR 2020; il suo ultimo lavoro VR è stato presentato in anteprima all’IDFA 2021.
Dieci 2012–22
205
Lavrynthos
Fabito Rychter, Amir Admoni
Manus
Sjoerd van Acker
Film sviluppati nell’ambito Biennale College
Rabih / Tramontane
Rabih, un musicista cieco, attraversa il Libano alla ricerca del proprio certificato di nascita. Incontra persone ai margini della società che gli raccontano le proprie storie e suscitano domande sulle sue origini. Calandosi nel nucleo stesso della sua esistenza, si confronta con una nazione incapace di raccontare la propria storia.
Libano (in co-produzione con Francia, Qatar, UAE, USA, Germania), 105′ REGIA Vatche Boulghourjian
DISTRIBUZIONE
Francia, Benelux, Regno Unito, Turchia, Libano, Medio Oriente e Africa del Nord
LINGUA Arabo INTERPRETI Barakat Jabbour, Julia Kassar
FESTIVAL
Tramontane è stato proiettato in oltre 100 festival tra cui: Cannes; Karlovy Vary Film Festival; Mostra Internacional de São Paulo; BFI London Film Festival; Goa International Film Festival; Thessaloniki International Film Festival
SCENEGGIATURA Vatche Boulghourjian FOTOGRAFIA James Lee Phelan
PREMI
MONTAGGIO Nadia Ben Rachid
COSTUMI Lara Mae Khamis
Cannes Film Festival – Grand Rail d’Or – Premio del pubblico; Pula Film Festival – Menzione Speciale della Giuria; Festival du Film Francophone de Namur – Prix Découverte; Bratislava Film Festival – Miglior film; Dubai Film Festival – Miglior Attrice (Julia Kassar); Festival du Cinéma Méditérranéen de Bruxelles – Premio Speciale della Giuria
MUSICA Cynthia Zaven
VATCHE BOULGHOURJIAN / REGIA
SCENOGRAFIA Nadine Ghanem
Ha scritto, diretto e prodotto documentari, cortometraggi indipendenti, film sperimentali e installazioni video. I suoi lavori sono stati proiettati ed esposti in tutto il mondo. Tra suoi progetti recenti un film sulle storie orali di Byblos (Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO).
SUONO Rana Eid PRODUZIONE Rebus Film Production, Abbout Productions, Le Bureau Films
CAROLINE OLIVEIRA / PRODUZIONE
PRODUTTORI Caroline Oliveira, Georges Schoucair
È una produttrice brasiliana con sede a Los Angeles. Ha prodotto film pluripremiati in festival in tutto il mondo. È anche showrunner e produttrice di diversi documentari e serie TV.
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Le Bureau Films (International Sales), Ad Vitam (Distribution)
GEORGES SCHOUCAIR / PRODUZIONE
È il fondatore e amministratore delegato di Abbout Productions. Ha sviluppato e prodotto film indipendenti acclamati dalla critica e pluripremiati. Ha contribuito attivamente allo sviluppo del cinema libanese. CONTATTI vmb@rebus-i.com
210
Film
Biennale College Cinema
A morte de J.P. Cuenca / The Death of J.P. Cuenca Brasile, 90′ REGIA João Paulo Cuenca LINGUA Portoghese INTERPRETI Ana Flavia Cavalcanti, João Paulo Cuenca, Leonilce Torato, Geraldo Margela, Fabio Roque, Paulo Roberto Pires, Ivo Raposo, Lincoln Cortez da Silva, Marilza Solange de Carvalho, Renisson Raimundo Santos, Willian Alves, Rodrigo Duque Estrada FOTOGRAFIA Pedro Urano MONTAGGIO Marina Meliande SCENOGRAFIA E COSTUMI Mariana Jannuzzi MUSICA Daniel Limaverde SUONO Felippe Schultz Mussel, Bernardo Uzeda, Ricardo Cutz PRODUZIONE Duas Mariola Filmes
Nel 2008 la polizia identificò un cadavere con il certificato di nascita dello scrittore João Paulo Cuenca in un edificio occupato a Lapa, nel centro di Rio de Janeiro. Ispirato da questo fatto, A morte de J.P. Cuenca indaga sul furto d’identità in una città fantasmagorica in costante cambiamento. Se le pagine dei romanzi e di cronaca nera sono piene di vivi che rubano l’identità dei morti per iniziare una nuova vita, quello che abbiamo qui è il caso opposto: qualcuno che ruba l’identità a un vivo per morire al suo posto. DISTRIBUZIONE
Brasile
FESTIVAL
CPH:DOX; New Horizons IFF; Montreal Festival du Nouveau Cinéma; Mostra de SP 2015; Festival do Rio 2015; BAFICI 2015 JOÃO PAULO CUENCA / REGIA
João Paulo Cuenca è uno scrittore e regista argentino-brasiliano nato a Rio de Janeiro, in Brasile. È autore di sei libri e alcuni suoi romanzi sono stati tradotti in otto lingue. Descobri que estava morto (Ho scoperto di essere morto) ha vinto il Premio Machado de Assis per il miglior romanzo dell’anno, assegnato dalla Biblioteca Nazionale del Brasile nel 2017. A morte de J.P. Cuenca, il film collegato al libro, è stato presentato in anteprima in CPH:DOX ed è stato selezionato per festival come Bafici, New Horizons IFF e Montreal Festival du Nouveau Cinéma. MARINA MELIANDE / PRODUZIONE
Marina Meliande è regista, produttrice e montatrice. Ha studiato all’Università Federal Fluminense e allo Studio National de Arts Contemporains – Le Fresnoy, in Francia. Ha prodotto e diretto film presentati in festival quali Cannes, Berlino, Locarno, Sundance, Venezia e Rotterdam. Ha debuttato in televisione nel 2021 con due serie come regista principale e showrunner: Anjo Loiro (Canal Brasil) e Sentença (Amazon Prime).
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Duas Mariola Filmes CONTATTI dmfilmes@gmail.com marinameliande@gmail.com www.duasmariola.com.br
Dieci 2012–22
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La substància / The Substance A Xiamen, nella Cina orientale, è stata costruita una copia di Cadaqués, il paese di Salvador Dalí. Costruita in una baia nebbiosa, la replica è impreziosita da torri, tutte con vista, per accogliere i tanti che desiderano godersi le attrazioni del gigantesco complesso edilizio. Tingting, una giovane donna d’affari, è una di queste. Alla ricerca di calma, autenticità e semplicità, ha acquistato un appartamento nella torre numero 6. Vessata dal lavoro, trova rifugio lì, durante un fine settimana, in uno degli scenografici appartamenti. Ma tutto è vuoto, freddo, artificiale, noioso...
Spagna, 87′ REGIA Lluís Galter LINGUE Catalano, Cinese, Inglese INTERPRETI Tingting, David Krings, Juan Manuel Tajadura
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Lluis Galter, Ivan Pintor, Irene Masdeu
Spagna FESTIVAL
L’alternativa, Barcellona; Sevilla Film Festival; Visions Du Réel, Nyon
FOTOGRAFIA Jordi Figueras MONTAGGIO Lluis Galter, Oriol Cid
LLUÍS GALTER / REGIA
Lluís Galter nasce nel 1983 a Figueres in Catalonia (Spagna). Ha diretto Caracremada (2010), Venezia Reloaded – Untitled (2013), H (2013), La substància (2016), Aftersun (2022).
MUSICA Mumu SUONO Diego Casares, Jonathan Darch, David Lipka
SERGI MORENO, TONO FOLGUERA, PACO POCH / PRODUZIONE
Suro (2022), Alcarràs (2022), Mediterráneo (2021), Costa Brava, Lebanon (2021), Libertad (2021), The Days To Come (2019), Anchor And Hope (2017), Julia Ist (2017), La Substancia (2016), 10.000 Km (2014), Caracremada (2010).
PRODUZIONE Sergi Moreno, Tono Folguera, Paco Poch
CONTATTI adot@lastormedia.com +34 934430769
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Film
Biennale College Cinema
Nervous Translation
Filippine 89′ REGIA Shireen Seno LINGUA Tagalog INTERPRETI Jana Agoncillo, Sid Lucero, Angge Santos SCENEGGIATURA Shireen Seno FOTOGRAFIA Albert Banzon, Jippy Pascua, Dennese Victoria MONTAGGIO Shireen Seno, John Torres SCENOGRAFIA Leeroy New COSTUMI Kim Perez MUSICA Itos Ledesma SUONO Mikko Quizon PRODUZIONE Los Otros RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Cinema One Originals
Fine 1988, Filippine post-dittatura. Yael, otto anni, timida all’estremo, vive chiusa nel suo mondo. Lasciata a se stessa mentre la madre lavora in un calzaturificio, Yael si cucina pasti in miniatura, dimenticandosi a volte degli avanzi di cena in frigorifero. Del padre conosce solo la voce, attraverso cassette spedite ogni tanto a casa dall’Arabia Saudita. Una notte per errore registra sopra un messaggio destinato alla madre. DISTRIBUZIONE
Regno Unito, Brasile FESTIVAL
International Film Festival Rotterdam; Hong Kong International Film Festival; New Directors/New Films, BAFICI; Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente; Seattle International Film Festival; Olhar de Cinema - Curitiba International Film Festival PREMI
International Film Festival Rotterdam – NETPAC Award; Olhar de Cinema - Curitiba International Film Festival – Premio dei Critici; Shanghai International Film Festival – Premio ai Nuovi Talenti Asiatici per il Miglior Sceneggiatore; Pacific Meridian International Film Festival of Asia-Pacific Countries in Vladivostok – Menzione Speciale della Giuria; Jogja-NETPAC Asian Film Festival – Silver Hanoman Award SHIREEN SENO / REGIA
Artista e regista filippina. I suoi film hanno vinto premi a Rotterdam, Shanghai, Olhar de Cinema, Vladivostok, Jogja-Netpac, Lima Independiente e sono stati proiettati in festival come New Directors/New Films, Yebisu International Festival of Art & Alternative Visions e istituzioni come Tate Modern, UCCA Center for Contemporary Art, NTU Center for Contemporary Art Singapore, MMCA Seoul. JOHN TORRES / PRODUZIONE
Regista, scrittore e musicista di Manila. Nel 2006 ha ricevuto il Dragons & Tigers Award for Young Cinema a Vancouver per il lungometraggio, Todo Todo Teros, che ha anche vinto i premi NETPAC e FIPRESCI al Singapore International Film Festival e la menzione speciale della giuria al Jogja-NETPAC Asian Film Festival. CONTATTI shireen@los-otros.com
Dieci 2012–22
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Maagh / The Winter Within A Srinagar, nel Kashmir, Nargis lavora come collaboratrice domestica per una famiglia della classe media. Suo marito, Manzoor, si è unito subito dopo il matrimonio alla ribellione armata contro il dominio indiano. Nargis lo cerca invano, certa che sia vivo e perde il lavoro quando il datore di lavoro si scopre del coinvolgimento del marito nella ribellione. Nargis torna al suo villaggio e riceve aiuto da Yaseen, ammiratore e commerciante di artigianato che le fornisce i materiali per tessere scialli per poi rivenderli. Manzoor riappare una notte, all’improvviso.
India, Francia, Qatar, 98′ REGIA Aamir Bashir LINGUE Kashmiri, Urdu INTERPRETI Zoya Hussain, Manzoor Bhat, Shabir Lone
AAMIR BASHIR / REGIA
SCENEGGIATURA Aamir Bashir, Shanker Raman
Nato a Srinagar, Kashmir, Aamir Bashir è attore e regista con sede a Mumbai, in India. Dopo aver lavorato in televisione come corrispondente e conduttore di programmi di viaggio, Aamir si è trasferito a Mumbai nel 1998 per intraprendere la carriera di attore, con diversi crediti in film sia indipendenti sia commerciali. Harud ha vinto il Don Quixote Award al Fribourg International Film Festival nel 2011 e il prestigioso National Award per il miglior film in urdu nel 2013.
FOTOGRAFIA Shanker Raman MONTAGGIO Shan Mohammad ART DIRECTOR Zahoor Ahmad Najar
CLAIRE LAJOUMARD / PRODUZIONE
COSTUMI Mehak Jamal
Claire Lajoumard ha creato Acrobates films nel 2002. Lavora nell’industria cinematografica francese dal 1990. Dal 2007 lavora come esperta presso Produire au Sud – Les 3 Continents, Ties that bind, SEAFIC. Dal 2016 al 2019 è stata docente all’Università di Valenciennes. È co-produttrice di The Day I Lost My Shadow di Saudade Kaadan (Miglior film d’esordio a Venezia); A Yellow Bird di K. Rajagopal (Settimana della Critica di Cannes); Don’t Be Afraid, Bi! del regista vietnamita Phan Dang Di (Settimana della Critica di Cannes).
MUSICA Naren Chandavarkar, Benedict Taylor SUONO Vinod Subramanian, Roman Dymny PRODUZIONE Sangbaaz Films, Acrobates Films
CONTATTI claire@acrobatesfilms.fr
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Film
Biennale College Cinema
La mujer de los perros / Dog Lady Argentina, 90′ REGIA Laura Citarella, Verónica Llinás LINGUA Spagnolo INTERPRETI Verónica Llinás SCENEGGIATURA Laura Citarella, Verónica Llinás, Mariano Llinás FOTOGRAFIA Soledad Rodriguez MONTAGGIO Ignacio Masllorens SCENOGRAFIA Laura Caligiuri, Florencia Caligiuri COSTUMI Carolina Sosa Loyola MUSICA Juana Molina SUONO Marcos Canosa PRODUZIONE Mariano Llinás – El Pampero Cine
Una donna cammina per il campo. Intorno a lei, i cani corrono, volteggiano, rotolano e si diffondono per tutta l’inquadratura, scucendo la finzione come la leggendaria tela di Penelope. Più in là, il mondo, e le periferie. Stagioni, giorno e notte e le diverse versioni del cielo. FESTIVAL
Rotterdam Film Festival, BAFICI, New Films / New Directors, Viennale PREMI
Rotterdam Film Festival – Tiger Award Competition; BAFICI – Miglior attrice concorso internazionale; New Films / New Directors; Viennale LAURA CITARELLA / REGIA
Nata a La Plata nel 1981, Citarella si è laureata all’Universidad del Cine nel 2004. Dal 2005 fa parte della casa di produzione El Pampero Cine. Le sue produzioni includono Storie straordinarie, La flor e altri di Mariano Llinás e Castro, El Escarabajo de Oro, La Vendedora de Fosforos, La Edad Media e altri di Alejo Moguillansky. Nel 2011 ha diretto il suo primo lungometraggio, Ostenda. VERÓNICA LLINÁS / REGIA
Nato a Buenos Aires nel 1960, Llinás ha studiato teatro con Agustín Alezzo, mimo alla Scuola argentina di mimo, acrobazia con Osvaldo Bermúdez e canto con Carlos Capdevila. Dal 1996 ha lavorato per una dozzina di opere teatrali. Ha lavorato in oltre venti film, tra cui: Balnearios (2001) e Storie Straordinarie di Mariano Llinás; Colla (2006) di Alexis Dos Santos e Cerro Bayo (2010) di Victoria Galardi. EL PAMPERO CINE / PRODUZIONE
El Pampero Cine è stata fondata nel 2002 a Buenos Aires. Più che una società di produzione, è un gruppo di persone desiderose di portare sperimentazione e innovazione nelle procedure e nelle pratiche cinematografiche argentine. El Pampero Cine è composto da Mariano Llinás, Laura Citarella, Agustín Mendilaharzu e Alejo Moguilansky e dal 2002 ha partecipato alla realizzazione di dieci lungometraggi.
CONTATTI produccion@elpamperocine.com.ar
Dieci 2012–22
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La Barracuda / Barracuda Sinaloa, una giovane inglese giunta in Texas per la morte del padre cantante country, vi trova la sorellastra Merle. Presto Merle ne resta affascinata. Il suo modo di cantare risveglia qualcosa in Merle e cancella i dubbi sulla loro parentela comune. Ma questo è accompagnato da un caos fin troppo familiare, che presto inizia a distruggere la sua stabilità. E mentre l’eredità musicale ha portato questa sconosciuta in città, nelle sue canzoni s’intrecciano motivi più oscuri, con barlumi di una violenta rabbia accumulata per anni.
USA, Polonia, 100′ REGIA Julia Halperin, Jason Cortlund LINGUA Inglese INTERPRETI Allison Tolman, Sophie Reid, JoBeth Williams
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Jason Cortlund
Stati Uniti, Canada, America Latina, Cina, Regno Unito, Polonia
FOTOGRAFIA Jonathan Nastasi
FESTIVAL
SXSW; Cairo International Film Festival; IFF Boston; Oak Cliff Film Festival; Hill Country Film Festival; Indie Memphis
MONTAGGIO Eva Claire
PREMI
SCENOGRAFIA Diz Jeppe
Oak Cliff Film Festival – Gran Premio della Giuria/Miglior Lungometraggio Narrativo; Hill Country Film Festival – Miglior Lungometraggio; Tucson Film Festival – Premio del Pubblico; US-InProgress – Premio alla Post-Produzione
COSTUMI Laura Hamilton MUSICA Colin Gilmore, Butch Hancock, Bob Livingston, Richard Bowden, The Mastersons, The Harvest Thieves, Chris Brokaw
JULIA HALPERIN, JASON CORTLUND / REGIA
Julia Halperin e Jason Cortlund sono stati nominati per un Gotham Award come Breakthrough Director per Now, Forager (2012), presentato in anteprima a Rotterdam e al New Directors/New Films. Il film successivo, Barracuda (2017, con Allison Tolman) è stato presentato in anteprima al concorso narrativo al SXSW e alla Settimana della Critica al Festival del Cairo. Halperin e Courtlund sono stati borsisti della MacDowell Colony dal 2019 al 2020.
SUONO Paul Toohey PRODUZIONE David Hartstein, Nancy Shafer, Bruce Beresford
DAVID HARTSTEIN / PRODUZIONE
David Hartstein è produttore di documentari, fiction e pubblicità, vincitore di un Emmy e dell’Independent Spirit Award. Il suo lungometraggio Sister Aimee (2019) è stato presentato in anteprima al Sundance e poi distribuito in sala e su piattaforme digitali. I suoi crediti includono The Honor Farm (2017), The Sensitives (2017), Through the Repellent Fence (2017) e Where Soldiers Come From (2011).
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Samuel Goldwyn/Orion Pictures, MGM, Films We Like, Medialuna
CONTATTI smalldrama@gmail.com +1 5122975258
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Film
Biennale College Cinema
Imaculat / Immaculate
Romania, 114′ REGIA Monica Stan, George Chiper Lillemark LINGUA Rumeno INTERPRETI Ana Dumitrașcu, Cezar Grumăzescu, Vasile Pavel SCENEGGIATURA Monica Stan FOTOGRAFIA George Chiper Lillemark MONTAGGIO Delia Oniga SCENOGRAFIA Ana-Gabriela Lemnaru COSTUMI Sonia Constantinescu, Anca Miron SUONO Filip Mureșan, Vlad Voinescu PRODUZIONE Marcian Lazar / Axel Film RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Syndicado Film Sales
Quando Daria entra in un centro di riabilitazione per disintossicarsi dalle droghe, una dipendenza ereditata dal suo primo amore, la sua aura d’innocenza la salva dalle avances sessuali di altri pazienti, per lo più maschi, e le fa guadagnare la loro protezione. Dietro il piacere di tutte queste lusinghe, però, si nasconde un alto prezzo da pagare che la ragazza scoprirà presto. FESTIVAL
Venezia, Cairo, Stoccolma, Gijon, São Paulo, Angers PREMI
Mostra del Cinema di Venezia – Leone del Futuro - Miglior lungometraggio d’esordio & GdA Director’s Award; Premiers Plan Angers – Menzione Speciale della Giuria MONICA STAN / REGIA
Formatasi come psicologa, Monica Stan Lavora fa la sceneggiatrice da molti anni. Imaculat è sia una storia personale sia il suo debutto come regista. GEORGE CHIPER-LILLEMARK / REGIA
George Chiper-Lillemark è un direttore della fotografia e regista che vive a Copenaghen. Ha girato numerosi lungometraggi e cortometraggi, tra cui Touch Me Not (2018) di Adina Pintilie. Ha anche co-diretto il cortometraggio The Sandpit #186 (2009) con Adina Pintilie e il documentario The Man Who Would Be Free (2019) con Mihai Mincan. Il suo cortometraggio The Palm Lines (2009) è stato proiettato a Locarno e Rotterdam. MARCIAN LAZAR / PRODUZIONE
Marcian Lazar è di Bucarest (Romania) e ha prodotto tra gli altri: Imaculat di Monica Stan e George Chiper-Lillemark – Leone del Futuro a Venezia; Loverboy, il secondo film di Catalin Mitulescu selezionato a Cannes – Un Certain Regard; e Toto and His Sisters (2013), un documentario di Alexander Nanau.
CONTATTI marcian@axelfilm.ro +40 724041627
Dieci 2012–22
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Liu Lian Wang Fan / River of Exploding Durians
INTEPRETI Koe Shern, Zhu Zhi-Ying, Daphne Low, Joey Leong
Quando un impianto di terre rare inizia la costruzione vicino a una città costiera, i suoi abitanti cadono nella disperazione, temendo effetti radioattivi. Ming, uno studente delle superiori, è indifferente ai cambiamenti. Gli interessa solo trascorrere idilliaci pomeriggi con l’amica d’infanzia Mei Ann, di cui è segretamente innamorato. Nel frattempo, l’insegnante di storia, la signora Lim, ha avviato un gruppo di attivisti per protestare contro la centrale. Il suo studente preferito, Hui Ling, si unisce a lei, e l’idealismo di entrambi sarà messo a dura prova. Man mano che la costruzione va avanti, tutti saranno coinvolti in una catena di eventi che ne cambierà per sempre le vite.
SCENEGGIATURA Edmund Yeo
DISTRIBUZIONE
Malaysia, 128′ REGIA Edmund Yeo LINGUE Mandarino, Malese
MUBI, Amazon Prime
FOTOGRAFIA Kong Pahurak
FESTIVAL
Tokyo International Film Festival; International Film Festival Rotterdam; CAAMFest; Los Angeles Asian Pacific Film Festival; Singapore Chinese Film Festival; Green Film Festival, Seoul
MONTAGGIO Edmund Yeo SCENOGRAFIA Edward Yu Chee Boon
EDMUND YEO / REGIA
COSTUMI Wong Pui Kay
Edmund Yeo è un regista malese che vive e lavora tra Kuala Lumpur e Tokyo. I suoi cortometraggi, Kingyo (Mostra del Cinema di Venezia 2009) e Inhalation (vincitore del premio Sonje, Busan International Film Festival 2010) gli hanno assicurato la reputazione di promettente regista. Nel 2017 ha vinto il premio come miglior regista al Tokyo International Film Festival per il suo secondo lungometraggio Aqerat (We, The Dead). Il suo ultimo film è Moonlight Shadow, un adattamento del romanzo dell’autrice di fama mondiale Banana Yoshimoto, con protagonista la superstar giapponese Nana Komatsu.
MUSICA Wong Woan Foong SUONO Sorayos Prapapan PRODUZIONE Greenlight Pictures, Indie Works RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Good Move Media
WOO MING JIN / PRODUZIONE
Woo Ming Jin è socio fondatore di Greenlight Pictures e ha prodotto numerosi film acclamati come River of Exploding Durians nel 2014 e Aqerat (We, The Dead) nel 2017, entrambi diretti da Edmund Yeo, e The Barbarian Invasions (2021) di Tan Chui Mui. Woo è anche un acclamato regista, primo cineasta malese con film presentati a Cannes, Berlino e Venezia.
CONTATTI chan@goodmovemedia.com edmund@edmundyeo.com
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Film
Biennale College Cinema
Bashtata / The Father
Bulgaria, 90′ REGIA Kristina Grozeva, Petar Valchanov LINGUA Bulgaro INTERPRETI Ivan Barnev, Ivan Savov, Tania Shahova, Maria Bakalova SCENEGGIATURA Kristina Grozeva, Petar Valchanov FOTOGRAFIA Krum Rodriguez MONTAGGIO Petar Valchanov
Il giorno dopo il suo funerale, il marito in lutto Vassil e il figlio Pavel scoprono che Valentina continua con insistenza a cercare di telefonare al vicino. Amante del soprannaturale, Vassil parte per un viaggio per incontrare un famoso medium, costringendo il figlio riluttante a seguirlo e assicurarsi che il vecchio padre matto stia fuori dai guai. Il viaggio sconvolgente che segue li farà affrontare il senso di colpa che provano nei confronti della persona che hanno perso e riscoprire la propria relazione. DISTRIBUZIONE
Francia, Spagna, Polonia, Giappone, Cina, Svezia, Ungheria, Brasile, Turchia, Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, Serbia, Montenegro, Croazia, Macedonia, Bosnia-Herzegovina, Slovenia, Kosovo FESTIVAL
Karlovy Vary, Toronto, Valladolid, BFI London, Trieste, El Gouna PREMI
COSTUMI Ivelina Mineva
Karlovy Vary International Film Festival – Crystal Globe; Trieste Film Festival – Miglior Film; Golden Rose National Film Festival – Miglior Film, Migliori Attori, Miglior Sceneggiatura; Arras International Film Festival 2019 – Miglior Film, Premio della Critica, Premio Giuria Giovani.
MUSICA Hristo Namliev
KRISTINA GROZEVA, PETAR VALCHANOV / REGIA
SCENOGRAFIA Vanina Geleva
SUONO Ivan Andreev, Kostas Varympopiotis PRODUZIONE Bulgaria, Greece RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE WIDE Managment
Kristina e Petar sono una coppia di sceneggiatori-produttori-registi con sede a Sofia. Si sono incontrati all’Accademia Nazionale di Teatro e Arti Cinematografiche e lavorano insieme da allora. Nel 2009 hanno cementato questa collaborazione aprendo la casa di produzione Abraxas Film. Il loro obiettivo è produrre cortometraggi, lungometraggi e documentari con personaggi memorabili e trame avvincenti che siano in parti uguali divertenti, disturbanti e toccanti. Il loro cortometraggio d’esordio Jump (2012) è il primo film bulgaro mai nominato per lo European Film Award. Il loro primo lungometraggio indipendente The Lesson (2014) e il suo seguito Glory (2016) sono diventati due dei film bulgari più acclamati del 21° secolo.
CONTATTI abraxasfilm@abv.bg
Dieci 2012–22
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Querência / Homing
Nella campagna bucolica e serena di Minas Gerais, in Brasile, Marcelo, un tranquillo mandriano, sogna di diventare annunciatore di rodeo. Una notte, uomini armati lo costringono a lasciar rubare il bestiame. L’evento lo colpisce profondamente e per riprendersi si confida con sorella e amici. A poco a poco supera il trauma ed è pronto a sognare di nuovo, e sognare in grande: lanciare una propria compagnia di rodeo.
Brasile, Germania, 90′ REGIA Helvécio Marins Jr. LINGUA Portoghese INTERPRETI Marcelo di Souza, Kaic Lima, Carlos Dalmir, Márcia Rosa, Abadia do Amparo Pires do Maciel, Nivaldo Botelho, Vanessa Ribeiro, José Rones Trindade, Diélyka Souza Maciel, Antonio Pires do Maciel
DISTRIBUZIONE
Brasile, Cina, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Messico, Polonia, Portogallo, Corea del Sud, Stato di Palestina, Svizzera, Stati Uniti FESTIVAL
Berlinale – Forum; IndieLisboa International Film Festival – Concorso Silvestre – Focus Brasil; Jeonju International Film Festival – Concorso Internazionale; New Horizons Wroclaw – Scoperte; São Paulo International Film Festival – Concorso Brasiliano; Black Movie Geneva Independent Film Festival
SCENEGGIATURA Helvécio Marins Jr. FOTOGRAFIA Arauco Hernández
PREMI
Jeonju International Film Festival 2019 – Miglior Lungometraggio
MONTAGGIO Telmo Churro
HELVÉCIO MARINS JR. / REGIA
SCENOGRAFIA E COSTUMI Denise Sales Vieira
Helvécio Marins Jr. ha una laurea magistrale in Cinema. I suoi film hanno ricevuto numerosi premi in festival internazionali come Venezia, L’Avana, Nantes, Barcellona, e sono stati selezionati in festival e musei come Berlinale, Toronto, Rotterdam, San Sebastian, Sundance, Centre Pompidou e MoMA. Girimunho, il suo primo lungometraggio del 2011, è stato presentato in anteprima alla 68. Mostra del Cinema. Il suo secondo lungometraggio Querência, 2019, è stato presentato in anteprima alla Berlinale.
MUSICA E SUONO O Grivo PRODUZIONE Eliane Ferreira e Pablo Iraola – Muiraquitã Filmes, Helvécio Marins Jr. – Canabrava Filmes; in co-produzione con Walter Salles – VideoFilmes; Paulo de Carvalho e Gudula Meinzolt – Autentika Films
ELIANE FERREIRA / PRODUZIONE
Eliane Ferreira è la fondatrice della casa di produzione Muiraquitã Filmes. Il suo primo film da produttrice, Fish Dreams (2006) di Kirill Mikhanovsky, ha vinto il Prix Jeune alla Settimana della Critica a Cannes. Ha prodotto Querência di Helvécio Marins Jr., presentato in anteprima a Berlino nel 2019. Si è anche distinta come produttrice di documentari pluripremiati come Cinema Morocco di Ricardo Calil e I Owe You a Letter about Brazil di Carol Benjamin.
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE The Open Reel
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CONTATTI eliane@muiraquitafilmes.com
Film
Biennale College Cinema
O Bêbado / The Drunk
Portogallo, 120′ REGIA André Marques LINGUE Portoghese, Russo INTERPRETI Vítor Roriz, Ina Esanu, Teresa Madruga, João Pedro Vaz, Damian Victor Oancea, Gonçalo Norton, Jorge Vaz Gomes, Sofia Dinger, António Melo, David Pereira, Bastos, Flávia Gusmão, Ana Lúcia Palminha, Jorge Dias SCENEGGIATURA André Marques FOTOGRAFIA Manuel Pinho Braga MONTAGGIO André Marques, Pedro Augusto Almeida SCENOGRAFIA Flávia Lombardi, Maria Ribeiro COSTUMI Susana Moura SUONO Maurício D’Orey PRODUZIONE Alexandre Oliveira – Ar de Filmes
Contemplando il fallimento della propria vita, Rogério beve fino a perdere il controllo e si butta in una rissa da bar. La deriva alcolica lo porta al porto cittadino, dove si addormenta guardando le navi che passano. Quando, nella notte, appare una giovane donna che pare in fuga da qualcosa, Rogério si offre di aiutarla, ed entra in un incubo che non avrebbe mai immaginato potesse toccarlo. ANDRÉ MARQUES / REGIA
André Marques ha studiato cinema alla Scuola di Teatro e Cinema di Lisbona, ed è un apprezzato sceneggiatore/regista. La sua opera ha toccato vari generi – narrativo, sperimentale, documentario – con film e progetti selezionati in numerosi festival di fama internazionale come Berlino, Venezia, Palm Springs, per dirne alcuni. O Bêbado è il suo primo lungometraggio. ALEXANDRE OLIVEIRA / PRODUZIONE
Alexandre Oliveira ha studiato produzione alla Scuola di Teatro e Cinema di Lisbona. Ha lavorato come direttore di produzione e produttore esecutivo per importanti nomi dell’industria portoghese ed europea, tra cui João César Monteiro, Manoel de Oliveira, Paulo Rocha e Wener Schroeter. Negli ultimi anni, attraverso la casa di produzione Ar de Filmes, ha prodotto più di dieci film di João Botelho, inclusi documentari e lungometraggi, nonché di Margarida Gil, Ariel de Bigault e André Marques. RODRIGO AREIAS / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
Rodrigo Areias ha prodotto oltre 150 film, molti dei quali sono stati presentati in anteprima a Cannes, Venezia, Berlino, Locarno, Rotterdam e Annecy, e ha vinto oltre 350 premi internazionali, tra cui Miglior Opera Prima a Venezia e Locarno, Miglior film a Orizzonti e Miglior documentario a Venezia. È stato responsabile della produzione cinematografica di Guimarães 2012 Capitale della Cultura, attraendo autori come Jean-Luc Godard, Aki Kaurismäki, Peter Greenaway, Manoel de Oliveira, Pedro Costa, Victor Erice e Edgar Pêra.
CONTATTI ardefilmesgeral@gmail.com ardefilmes.org
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Peacock Lament
L’orfano singalese Amila, 19 anni, fa il muratore in un cantiere cinese per prendersi cura dei suoi 4 fratelli. Sua sorella Inoka si ammala di una grave malattia: la sua unica possibilità di sopravvivere è un costoso intervento chirurgico in India. Amila incontra Malini, che lo paga profumatamente per aiutarlo nel traffico di bambini. Amila manda le donne incinte in una baby farm illegale dove i neonati vengono venduti in adozione a coppie occidentali. Alla fine viene arrestato e i suoi fratelli vengono mandati in orfanotrofio. Malini aiuta Inoka ad arrivare in India e scompare.
Sri Lanka, 97′ REGIA Sanjeewa Pushpakumara LINGUA Singalese INTERPRETI Sabeetha Perera, Akalanka Prbashwara, Dinara Punchihewa, Mahedra Perera, Lorenzo Acquaviva
SANJEEWA PUSHPAKUMARA / REGIA
Flying Fish, il primo lungometraggio di Sanjeewa Pushpakumara, è stato presentato in anteprima a Rotterdam nel 2011 (nominato per il Tiger Award). Grazie alla Cinéfondation ha poi sviluppato Burning Birds, che è stato presentato in anteprima a Busan nel 2016, nominato per il New Currents Award. Il suo progetto successivo, Amma, ha vinto il Grant al mercato di coproduzione Open Doors di Locarno. Ha fondato la compagnia cinematografica Sapushpa Expressions nel 2007.
SCENEGGIATURA Sanjeewa Pushpakumara FOTOGRAFIA Sisikirana Paranavithana MONTAGGIO Giusepppe Leonetti con Ajith Ramanayake
CHIARA BARBO / PRODUZIONE
Chiara Barbo ha lavorato come story editor per Bianca Film e TPI in Italia, Plan 9 Projects, Corego Film, Prema Productions negli Stati Uniti. Ha scritto, diretto e prodotto documentari per Pilgrim e Bartlebyfilm, società da lei fondata. Ha prodotto Easy (di Andrea Magnani) candidato al David di Donatello nel 2018. È stata produttrice creativa di Paradise (Globo d’Oro 2021) e ora sta lavorando al nuovo progetto di Andrea Magnani.
SCENOGRAFIA Manjula Ayagama COSTUMI Ajantha Alahakoon MUSICA Cristian Carrara SUONO Lala Dissanayake, Nanda Nandini Jayakody, Eric Nardin
DOMINIQUE WELINSKI / PRODUZIONE
Nel 2012, dopo oltre 20 anni nella distribuzione, Dominique Welinski ha fondato DW, una società di produzione e consulenza. Ha prodotto o co-prodotto, tra gli altri: Burning Birds e Peacock Lament di Sanjeewa Pushpakumar, Oblivion Verses di Alireza Khatami, Road to Mandalay di Midi Z, The Dive and Decompression di Yona Rozenkier.
PRODUZIONE Sapushpa Expressions, Pilgrim, Amila Abeysundara, Suranga Handapangoda, Yuganthi Yasodara, Sangeetha Nilnadee Godagama, Chiara Barbo, Dominique Wellinski
CONTATTI sapushpa@gmail.com info@pilgrimfilm.it
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Film
Biennale College Cinema
Savage Youth
USA, 100′ REGIA Michael Curtis Johnson LINGUA Inglese INTERPRETI Grace Victoria Cox, Tequan Richmond, Will Brittain, Chloe Levine, Mitchell Edwards, Sasha Feldman SCENEGGIATURA Michael Curtis Johnson FOTOGRAFIA Magela Crosignani MONTAGGIO Matteo MarchiasanoAdamo, Michael Curtis Johnson SCENOGRAFIA Claire M. White COSTUMI Logan Upson MUSICA Jonathan Keeling SUONO Trey Johnson PRODUZIONE Michael Peluso, Charlene Lee RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE 1091 Pictures (USA)
Elena, artista, e Jason, aspirante rapper, s’innamorano. Gabe, un ragazzo intenso, convince il suo migliore amico Mike a spacciare droga insieme. Gabe si perde nella sua nuova vita di microcriminalità mentre la turbolenta storia d’amore tra Jason ed Elena precipita e brucia. Elena incontra Gabe e i due iniziano una relazione platonica. Un tragico triangolo amoroso nasce quando Jason scopre che Elena usciva con Jason: giovane, nero, ricco e carismatico. Jason cerca di vendicarsi di Gabe ma tutto va violentemente fuori controllo. Tratto da una storia vera. DISTRIBUZIONE
USA
FESTIVAL
Slamdance, Atlanta, Florida, Bushwick, BendFilm, Chicago Underground, Cinetopia, Revelation PREMI
Florida Film Festival – Grand Jury Award MICHAEL CURTIS JOHNSON / REGIA
Il suo film Savage Youth è stato presentato in anteprima allo Slamdance Film Festival. Il suo primo lungometraggio Hunky Dory ha vinto i più alti premi di giuria e pubblico a vari festival tra cui Slamdance, Atlanta, Wroclaw (American Film Festival), BendFilm e Nashville. È stato selezionato per Berlinale Talents nel 2019. È preside della Facoltà di Arti Cinematografiche e Teatro della University of North Alabama. MICHAEL PELUSO / PRODUZIONE
Peluso si è diplomato in produzione presso l’AFI Conservatory nel 2008. In seguito ha lavorato in case di produzione tra cui la Scott Rudin Productions e la Smoke House Pictures di George Clooney. Più di recente, Peluso è stato produttore di numerosi programmi televisivi di successo tra cui The Voice (NBC), America’s Got Talent e The Taste (ABC).
CONTATTI mpeluso14@gmail.com
Dieci 2012–22
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Colewell
Nella piccola Colewell, in Pennsylvania, i residenti si riuniscono all’ufficio postale per la corrispondenza e i pettegolezzi, mentre le giornate trascorrono tranquille e serene. Questo finché non arriva la notizia che l’ufficio chiuderà, e Nora, l’impiegata a cui tutti vogliono bene, deve combattere per il suo lavoro e riflettere sulle scelte che ha fatto che l’hanno tenuta a Colewell per così tanti anni. Toccante, con un pizzico di malinconia, l’eloquente film di Quinn è un inno alla vita di una piccola città e alle tranquille emozioni che derivano dalla nostalgia e dai ricordi del passato.
USA, 77′ REGIA Tom Quinn LINGUA Inglese INTERPRETI Karen Allen, Kevin J. O’Connor, Hannah Gross SCENEGGIATURA Tom Quinn
TOM QUINN / REGIA
Il film d’esordio di Tom Quinn, The New Year Parade, ha vinto il Gran Premio della Giuria allo Slamdance, è stato proiettato al SXSW e al Torino Film Fest ed è stato nominato per un Gotham Award e un Independent Spirit Award. Colewell ha partecipato, tra gli altri, al San Francisco International Film Festival, ha vinto il premio come miglior lungometraggio al deadCENTER Film Festival e ha ricevuto due nomination all’Independent Spirit Award, tra cui quella a Karen Allen come migliore attrice protagonista.
FOTOGRAFIA Paul Yee MONTAGGIO Darrin Navarro & Tom Quinn SCENOGRAFIA Alan Lampert COSTUMI Annie Simon
CRAIG SHILOWICH / PRODUZIONE
Shilowich ha lavorato con David Gordon Green, Ted Hope, Todd Solondz e Wayne Wang. Ha scritto e prodotto Christine di Antonio Campos e prodotto Marriage Story di Noah Baumbach.
MUSICA Dara Taylor SUONO Richard Gould
MATTHEW THURM / PRODUZIONE
I lungometraggi di Thurm sono stati presentati a Venezia, Sundance e Berlino. La sua ultima fatica, Sylvie’s Love, è stata distribuita Amazon Studios.
PRODUZIONE Craig Shilowich, Alexandra Byer, Matthew Thurm, Joshua Blum
ALEXANDRA BYER / PRODUZIONE
Byer ha prodotto The Mountains Are a Dream that Call to Me di Cedric Cheung-Lau, Sollers Point di Matt Porterfield e Dark Night di Tim Sutton.
PRODUTTORE ASSOCIATO Marianne Fernsler RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Gravitas Ventures for Domestic (USA)
MARIANNE FERNSLER / PRODUZIONE
Fernsler vive di progetti ed esperienze coinvolgenti, che si tratti di scrivere/produrre/dirigere programmi televisivi per bambini, gestire marchi per reti via cavo o fare da guida in gallerie d’arte.
CONTATTI tomquinn1976@gmail.com
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Film
Biennale College Cinema
Dark Ages
Romania, Repubblica Ceca, 75′ REGIA Tom Wilson LINGUA Rumeno INTERPRETI Una Toma, Diana Gheorghian, Cosmina Lirca SCENEGGIATURA Tom Wilson, Loredana Novak FOTOGRAFIA Bogdan Filip MONTAGGIO Cătălin Cristuțiu SCENOGRAFIA E COSTUMI Sonia Constantinescu, Anca Miron MUSICA Aid Kid SUONO Miroslav Píbil, Michaela Patríková, David Titěra PRODUZIONE 42 Km Film, Cinémotif Films
Una anziana torna a casa dopo una lunga assenza e getta lentamente nel caos la vita della sua vicina, Angela, madre single di tre figli. La donna è Carmen, bohémienne ed eccentrica, rientrata in Romania per completare l’opera d’arte definitiva: una storia dell’arte alternativa che spera di smascherare un profondo complotto. Ha un fascino magnetico per Sara, figlia quattordicenne di Angela, che desidera ardentemente una via di fuga dalla madre. Carmen spera di usare Sara per attirare la polizia e i media per una resa dei conti finale, l’ultima prova della sua filosofia anti-artistica. TOM WILSON / REGIA
Sceneggiatore e regista. Ha studiato filosofia, politica ed economia a Oxford e ha lavorato come giornalista e regista di documentari per BBC, The Economist, The Times e Time Magazine. Il suo primo film a budget zero (The București Experiment) ha vinto il trofeo GOPO del Premio Cinematografico Nazionale della Romania per il miglior documentario. Ha diretto anche anche spot pubblicitari pluripremiati e ha creato campagne internazionali. CORNELIU PORUMBOIU / PRODUZIONE
Corneliu Porumboiu è sceneggiatore, regista e produttore. Ha studiato regia cinematografica presso l’Università Nazionale del Teatro e del Cinema di Bucarest. Con la 42 Km Film, da lui fondata nel 2004, ha prodotto sia progetti propri come sceneggiatore e regista, sia progetti di altri registi come Bogdan Mirică e Tom Wilson. TOMÁŠ MICHÁLEK / PRODUZIONE
Tomáš Michálek è un produttore che ha studiato alla FAMU. Specializzato in cinema d’autore indipendente, ha prodotto diversi progetti selezionati in festival cinematografici internazionali. MARCELA MINDRU (URSU) / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
Marcela Mindru (Ursu) ha iniziato a lavorare in produzione nel 2006 con Corneliu Porumboiu per il film 12:08 East of Bucharest. Per la 42 Km Film ha poi prodotto Police, Adjective (2009), The Second Game (2014), The Treasure (2015), Infinite Football (2018), The Whistlers (2019); Dogs (2016), e Boss (2022) di Bogdan Mirica; e Dark Ages di Tom Wilson nel 2022, che ha vinto importanti premi in festival come Cannes, Berlino e Locarno. CONTATTI office@42kmfilm.com
Dieci 2012–22
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Lala
Lala, Samantha e Zaga condividono le stesse sfide e gli stessi sogni. Le loro storie prendono forma in tre strati narrativi mutevoli: verosimiglianza, verità e realtà. Integrando con filmati d’archivio il materiale prettamente documentario e quello di finzione, la storia indaga le zone d’ombra delle leggi sulla cittadinanza attraverso le voci della ragazza, dell’attrice, del personaggio. Rinchiuso in un labirinto burocratico, il personaggio Lala riceverà soluzioni inaspettate dalla ragazza che ha ispirato la sua storia, dall’attrice che la impersona e dalla comunità che partecipa alla realizzazione del film.
Italia, Slovenia, 96′ REGIA Ludovica Fales LINGUE Italiano, Romaní, Rumeno INTERPRETI Zaga Jovanovič, Samanta Paunkovič, Ivana Nikolič, Fiorello Miguel Lebbiati, Daniel Fota, Leonardo Halilovič, Francesca Carducci
LUDOVICA FALES / REGIA
Dopo un master in regia documentaria alla National Film and Television School a Beaconsfield, in Inghilterra, Ludovica ha diretto diversi documentari, spesso incentrati sulla poetica della memoria e sulle stratificazioni dell’identità, che sono stati proiettati e premiati in festival di tutto il mondo. Con esperienza come produttrice associata per la BBC e produttrice per Al Jazeera, Ludovica ha sviluppato forti capacità di collaborazione, sia nel cinema sia nel VR. Lavora anche a progetti d’installazioni artistiche e insegna narrazione documentaria, sperimentale e interattiva presso lo University College London e l’università di Parigi 3.
SCENEGGIATURA Ludovica Fales FOTOGRAFIA Valentina Summa MONTAGGIO Adelina Bichis, Asher Tlalim SCENOGRAFIA Brunella de Cola
IGOR PRINČIČ / PRODUZIONE
Igor Princic, nato in Slovenia, vive in Italia, dove ha gestito sale cinematografiche negli anni ‘90 prima di fondare uno studio pubblicitario. Produce dal 2009, soprattutto progetti internazionali. Lavora e produce per due aziende, Transmedia e Arch production. I suoi progetti degli ultimi cinque anni sono stati presenti ai maggiori mercati e proiettati in anteprima a festival cinematografici internazionali.
COSTUMI Marco Piemontese, Sara Marcucci MUSICA Bruno Franceschini, Assalti Frontali SUONO Giandomenico Pennino, Roberto Ugo Ricciardi PRODUZIONE Igor Prinčič, David Cej
CONTATTI igorprincic@transmediaproduction.it david@transmediaproduction.it
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Film
Biennale College Cinema
Clementine
USA, 93′ REGIA Lara Jean Gallagher LINGUA Inglese INTERPRETI Otmara Marrero, Sydney Sweeney, Sonya Walger, Will Brittain SCENEGGIATURA Lara Jean Gallagher FOTOGRAFIA Andres Karu MONTAGGIO Alexander Morris SCENOGRAFIA Emily E.A. Baker COSTUMI Jayme Hanson MUSICA Katy Jarzebowski SUONO Noah Woodburn PRODUZIONE Aimee Lynn Barneburg, Davis Priestly, Lara Jean Gallagher, Kim Bailey, Isabel Marden, Karina Ripper RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Laura Voros
Una donna con il cuore spezzato rimane invischiata con una ragazza più giovane dopo aver fatto irruzione nella casa sul lago del suo ex. In parti uguali dramma psicologico e storia di formazione sessuale, Clementine è una tesa riflessione su chi valga la pena amare e come riuscire a dimenticare. DISTRIBUZIONE
USA, Regno Unito FESTIVAL
Tribeca, Frameline, Woods Hole, Vail, Portland, Local Sightings PREMI
Sidewalk – Menzione speciale della giuria per la recitazione (Sydney Sweeney); Local Sightings – Premio del pubblico, Miglior lungometraggio; Bend – Miglior lungometraggio narrativo, Miglior fotografia; Tallgrass – Miglior fotografia; DTLA – Breakthrough Performance Award (Otmara Marrero) LARA JEAN GALLAGHER / REGIA
Sceneggiatrice e regista, si è laureata in regia alla Columbia University. Clementine, suo film d’esordio realizzato con il supporto di Biennale College Cinema, Sundance Institute, Film Independent e Independent Filmmaker Project, ha avuto la prima a Tribeca nel 2019, candidato come miglior lungometraggio narrativo. AIMEE LYNN BARNEBURG / PRODUZIONE
Aimee è socia di Film Independent e Sundance Institute, e dei laboratori di Rotterdam e del Gotham Institute. Come produttrice, il suo interesse s’incentra sulle storie, e ha realizzato produzioni in vari budget e Paesi, da lungometraggi indipendenti, corti, video musicali a campagne pubblicitarie multimilionarie per Nike, Adidas, Amazon, Facebook e Google. KARINA RIPPER / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
Karina è una sceneggiatrice, regista e produttrice messicano-statunitense. Ha esordito come produttrice associata per National Geographic WILD, HBO e A&E Films. Ha diretto video musicali e cortometraggi, tra cui il documentario La Tienda, che ha ricevuto un Vimeo Staff Pick ed è andato in onda su PBS come parte di The Latino Experience. CONTATTI contact@larajeangallagher.com
Dieci 2012–22
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소리도 없이 (Sorido eopsi) / Voice of Silence Due uomini lavorano per un’organizzazione criminale per far pulizia sulle scene di delitti. Un giorno ricevono un ordine inaspettato.
Corea del Sud, 99′ REGIA EuiJeong Hong
DISTRIBUZIONE
LINGUA Coreano
Mongolia, Vietnam, Indonesia, Giappone, Cina, Taiwan, Thailandia, Cambogia, Filippine, Malaysia, Singapore, America del Nord, Hong Kong, Laos, Myanmar, Brunei
INTEPRETI Yoo Ah-in, Yoo Jae-myung, Moon Seung-ah
FESTIVAL
Asian Film Awards; Fantasia Film Festival; Udine Far East Film Festival; Fribourg International Film Festival; Faro Island Film Festival; Golden Carp Film Award
SCENEGGIATURA EuiJeong Hong FOTOGRAFIA Jung-hun Park
PREMI
Asian Film Awards – Miglior regista esordiente (Hong Eui-jeong), Miglior attore (Yoo Ah-in); Fantasia Film Festival – Cheval Noir al Miglior film (Hong Eui-jeong), Miglior attore (Yoo Ah-in); Golden Carp Film Award – Attore preferito giapponese e coreano (Yoo Ah-in)
MONTAGGIO Meeyeon Han SCENOGRAFIA Minkyung Chung COSTUMI Hyun-seo Yang
EUIJEONG HONG / REGIA
EuiJeong ha studiato cinematografia alla London Film School e il suo cortometraggio Better than Tomorrow è stato proiettato in vari festival cinematografici. Il corto successivo, Habitat ha avuto una candidatura al Busan International Film Festival nel 2018. Nel 2020, il suo primo lungometraggio Voice of Silence è stato distribuito in molti paesi e ha ricevuto numerosi premi tra cui Cheval Noir Award al Fantasia Film Festival.
MUSICA Hyukjin Chang, Yong Jin Chang SUONO Kyoung-ho Kim PRODUZIONE Lewis Pictures, Broedmachine Productions, Broccoli Pictures
LEWIS TAE-WAN / PRODUZIONE
Lewis Tae-wan, a capo della società di produzione Lewis Pictures, ha prodotto molti film acclamati tra cui Okja di Bong Joon-ho e Inrang di Jee-woon Kim.
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Contents Panda, Danny Lee, Claire Jung, Peter Lee, Jenny Kim
AFOLABI KUTI / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
Afolabi Kuti è un produttore vincitore del BAFTA e uno dei “50 Future leader nel cinema” di Screen International. Si è occupato di distribuzione, pubblicità e istruzione cinematografica. È poi passato alla vendita di film internazionali prima dedicarsi alla produzione. Con la sua società Broedmachine, lavora in TV, progetti pubblicitari e cinema e ha collaborazioni con Sky Studios, Film4, BFI/ Ffilm Cymru e Ingenious. CONTATTI lewis@lewispictures.net
228
Film
Biennale College Cinema
This Town
Nuova Zelanda, 93′ REGIA David White LINGUA Inglese INTERPRETI David White, Robyn Malcolm, Alice May Connolly, Rima Te Wiata SCENEGGIATURA David White, Henry Feltham FOTOGRAFIA Adam Luxton MONTAGGIO Paul Wedel, Francis Glenday, Megan Woods SCENOGRAFIA Josh O’Neil COSTUMI Briar Vivian MUSICA Sam Scott, Lukasz Buda, Conrad Weddel SUONO James Hayday PRODUZIONE Pamela Harvey White, Oliva Shanks PRODUTTORI David White, Aaron Watson, Kelly Martin PRODUTTORE AL WORKSHOP James Ashcroft RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Film Sales Company
Dieci 2012–22
Sean, appena assolto, cerca di rifarsi una vita, mentre Pam, un’ ex poliziotta che fa la guardia in uno zoo cerca di dimostrarne la colpevolezza. A cinque anni dal crimine, Sean cerca di andare avanti, facendo quello che farebbe un qualsiasi millennial: appuntamenti online. Incontra Casey, una giovane donna che crede nella sua innocenza. Insieme si spingono ai limiti dell’amore post-crimine, ma ad ogni passo in avanti Pam cerca di riportarli indietro. Illustrando le conseguenze sublimi e imbarazzanti di una tragedia in una piccola città, This Town è una commedia toccante e contorta sulla ricerca dell’amore in un mondo che ci rema contro. FESTIVAL
Seattle International Film Festival; Tallinn Black Nights Film Festival (PÖFF) DAVID WHITE / REGIA
Ha prodotto e diretto un vasto numero di documentari e opere teatrali che hanno riscosso un notevole successo; This Town, dall’uscita, si è attestato per 21 giorni al numero uno al botteghino neozelandese ed è stato acclamato dalla critica. KELLY MARTIN / PRODUZIONE
Kelly è amministratore delegato e produttore esecutivo di South Pacific Pictures, una delle società di produzione più grandi e rispettate della Nuova Zelanda. AARON WATSON / PRODUZIONE
Produttore neozelandese. Il suo primo lungometraggio, The Inland Road (di Jackie van Beek), è stato presentato in anteprima alla Berlinale nel 2017 e ha vinto il Premio Speciale della Giuria a Seattle. HENRY FELTHAM / PRODUZIONE
Henry Feltham è stato scrittore, editore, postino, autore di storie per videogiochi, marito, padre e sceneggiatore. È direttore di produzione per Deep Field Games. JAMES ASHCROFT (NGATI KAHU/NGA PUHI) / PRODUZIONE
Il suo esordio alla regia di un lungometraggio, Coming Home in the Dark, è stato presentato al Sundance Film Festival nel 2021, prima di un lungo tour del circuito festivaliero. Attualmente è in pre-produzione con il suo secondo film Devolution. CONTATTI david@whitebalancepictures.com
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Dos Estaciones
La cinquantenne María García è la proprietaria di Dos Estaciones, una maestosa fabbrica di tequila che lotta per rimanere a galla e ultimo residuo di generazioni di stabilimenti di tequila di proprietà locale negli altopiani del Jalisco; tutto il resto ha chiuso o è di proprietà straniera. Un tempo una delle persone più ricche della città, María sa che la sua attuale situazione finanziaria è insostenibile. Quando una dura pestilenza e un’inondazione inaspettata causano danni irreversibili, Maria è costretta a fare tutto il possibile per salvare la principale fonte di sostegno e orgoglio della sua comunità.
Messico, 99′ REGIA Juan Pablo González LINGUA Spagnolo INTERPRETI Teresa Sánchez, Rafael Fuentes, Tatín Vera, Manuel García-Rulfo SCENEGGIATURA Juan Pablo González, Ana Isabel Fernández, Ilana Coleman
FESTIVAL
Sundance – World Cinema Dramatic Competition; True/False; New Directors New Films; New Horizons; Latin Wave – Museum of Fine Arts Houston; Outfest
FOTOGRAFIA Gerardo Guerra MONTAGGIO Lívia Serpa, Juan Pablo González
PREMI
Sundance – Premio speciale della giuria: Interpretazione (Teresa Sánchez); True/False – True/Vision (Juan Pablo González)
SCENOGRAFIA Marianne Cebrián
JUAN PABLO GONZÁLEZ / REGIA
Juan Pablo González è il direttore di Dos Estaciones (Sundance 2022), Caballerango (IDFA 2018), Las Nubes (IFFR 2017), Las Espera (SXSW 2016) e The Solitude of Memory (Morelia 2014). Scrive e spesso monta tutti i propri film. Ha vinto premi da IMCINE, True/False e il Premio Vilcek alla Promessa Creativa.
COSTUMI Constanza Martínez Mejía MUSICA Carmina Escobar SUONO Filippo Restelli, Aldonza Contreras, Jean-Guy Véran
JAMIE GONÇALVES / PRODUZIONE
Jamie Gonçalves ha prodotto, tra gli altri, Dos Estaciones, Caballerango, Las Nubes di Juan Pablo González, e Killing Them Safely (Tribeca 2015), Balloonfest e The Waterslide (Atlantic). È inoltre membro del Sundance Institute (come produttore creativo), Impact Partners e l’IFP Cannes Producers’ Network.
PRODUZIONE Jamie Gonçalves, Ilana Coleman, Bruna Haddad, Makena Buchanan (Sin Sitio Cine) in coproduzione con Louise Bellicaud e Claire CharlesGervais (In Vivo Films) e Makena Buchanan (Paniolo Films) RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Lux Box, Cinema Guild, Interior XIII
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CONTATTI jamie@sinsitiocine.com +1 8474181393
Film
Biennale College Cinema
Huo Zhe Chang Zhe / To Live to Sing Cina, Francia, Canada, 105′ REGIA Johnny Ma LINGUA Cinese
Zhao Li dirige una troupe dell’Opera del Sichuan che vive e si esibisce in un teatro fatiscente alla periferia di Chengdu. Quando riceve un ordine di demolizione, lo tiene nascosto, temendo sia giunta la fine. Per tenere unita la ‘famiglia’, Zhao Li inizia la ricerca di un nuovo teatro. Mentre lotta con la burocrazia, i personaggi del mondo dell’opera iniziano a infiltrarsi nella sua vita reale...
INTERPETI Zhao Xiaoli, Gan Guidan
DISTRIBUZIONE
SCENGGIATURA Johnny Ma
FESTIVAL
Francia, Canada, Cina
FOTOGRAFIA Matthias Delvaux
Festival di Cannes – Quinzaine des Réalisateurs; BFI London Film Festival; Shanghai International Film Festival; Thessaloniki International Film Festival; Cairo International Film Festival
MONTAGGIO Ana Godoy
PREMI
SCENOGRAFIA Zhang Xueqiang COSTUMI Adam Lim MUSICA Jongho You, Jimin Kim, Reggie Ba-Pe III SUONO Guido Berenblum, Sheng Yong PRODUZIONE Shenzhen Ming Culture Communication, IMAGE X Productions, Shanghai Tongyue Industrial, House on Fire RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Films Boutique
Shanghai International Film Festival – Premio ai nuovi talenti dell’Asia – Miglior Film, Miglior Attrice (Zhao Xiaoli); International Film Festival & Awards Macao – Nuovo Cinema Cinese – Miglior Sceneggiatura, premio NETPAC; Guanajuato International Film Festival – Menzione onoraria JOHNNY MA / REGIA
Nato Ma Nan a Shanghai, Johnny è emigrato a Toronto a dieci anni. Il debutto alla regia Old Stone (2016) ha avuto la prima alla Berlinale ed è stato premiato come miglior opera prima canadese al Toronto Film Festival. To Live to Sing (2019), il suo film più recente, è stato presentato in anteprima a Cannes. WU XIANJIAN / PRODUZIONE
Conosciuto affettuosamente come “Awu”, Wu è passato al cinema narrativo dopo più di quindici anni come produttore pubblicitario. Tra i suoi lavori, tre film di Johnny Ma: A Grand Canal, Old Stone e To Live to Sing. JING WANG / PRODUZIONE
Jing Wang è un produttrice cinematografica indipendente con sede a Pechino. I suoi crediti includono Are You Lonesome Tonight? di Wen Shipei (2021); Old Stone e To Live to Sing di Johnny Ma; e Heavy Craving di Pei-Ju Hsieh (2019). Ha conseguito la laurea magistrale in produzione creativa presso la Columbia University. CONTATTI fdemilywong@gmail.com
Dieci 2012–22
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Besos Negros / Black Kisses Un esorcista iperprotettivo cerca di liberare dall’ex marito una donna tradita; uno stregone satanico gay prega per il suo fidanzato geloso: quattro adoratori del diavolo che vivono in mondi opposti e nel medesimo inferno amoroso.
Colombia, Spagna, 70′ REGIA Alejandro Naranjo LINGUA Spagnolo
ALEJANDRO NARANJO / REGIA
Regista colombiano (1985), ha iniziato lavorando a documentari creativi e da lì ha esplorato forme ibride di espressione cinematografica. Nel 2008 è stato socio fondatore di DirtyMacDocs, collettivo colombiano di produzione cinematografica indipendente. Risale al 2015 la sua opera prima The Inflated Jungle.
INTERPRETI Gladys Rodríguez, Andrés Tirado, Edgar Kerval, Rick Nekro SCENEGGIATURA Alejandro Naranjo, Omar Al Abdul Razzak
OMAR AL ABDUL RAZZAK / PRODUZIONE
Omar Al Abdul Razzak è un regista delle Canarie formatosi a Madrid, Parigi e Montréal. Nel 2017 ha partecipato a Berlinale Talents e Biennale College e nel 2018 a Torino Film Lab Up & Coming. Ha prodotto più di dieci film. Ha diretto i documentari Paradiso (2014) e La tempestad calmada (2016) e il cortometraggio Los espacios confinados (2019). La prima cosa, il suo ultimo cortometraggio documentario animato, è stato presentato in anteprima mondiale all’Annecy International Film Festival nel 2021.
FOTOGRAFIA Alejandro Naranjo MONTAGGIO Omar Al Abdul Razzak, Alejandro Naranjo MUSICA Arte Calavera, Danicattack SUONO Emilio Garcia PRODUZIONE Alejandro Naranjo, Omar Al Abdul Razzak
CONTATTI o.razzak@torumaletfilms.com alejandro@dirtymacdocs.com
232
Film
Biennale College Cinema
Ćmy / The Moths
Polonia, 67′ REGIA Piotr Stasik LINGUA Polacco INTERPRETI Tomasz Wygoda, Adrian Sztuba, Hubert Jasinowski, Antoni Urbaniak, Jakub Krzykowski, Tymoteusz Skorupka, Baltazar Grześkowiak, Jakub Jasinowski, Konstancja Oleszczuk SCENEGGIATURA Piotr Stasik FOTOGRAFIA Nicolas Villegas / Piotr Stasik MONTAGGIO Piotr Stasik, Dorota Wardęszkiwiecz SCENOGRAFIA Piotr Stasik COSTUMI Agnieszka Wawoczny MUSICA Paweł Mykietyn SUONO Katarzyna Szczerba, Irena Suska PRODUZIONE Centrala Film
Il film è un’audace e poetico racconto di sopravvivenza a più livelli. Racconta una storia d’infanzia di un gruppo di ragazzi tra gli 8 e i 15 anni fuggiti da un ritiro nei boschi senza accesso a computer e internet. Dopo venti giorni di ricerca, sono stati ritrovati in una fabbrica abbandonata. Non si scambiavano una parola. Muti. Sconcertati. Un ragazzo era scomparso. The Moths è un misto tra finzione e documentario. Una storia su come le disgrazie private, la vergogna e le concupiscenze nascoste possono portare, attraverso l’autoindulgenza emotiva, all’autoannientamento. DISTRIBUZIONE
Polonia FESTIVAL
New Horizons; Tallinn Black Nights Festival PREMI
Style film festival award; Tallinn Black Nights Festival – Rebels with a cause – Gran Prix PIOTR STASIK / REGIA
Regista, direttore della fotografia, montatore. Ha diretto sei documentari tra cui 7 × Moscow, Last Day of Summer (Centrala Film) e 21 × New York, che sono stati proiettati nei festival di tutto il mondo. Ha ricevuto premi internazionali sia come regista che come direttore della fotografia. Candidato all’European Film Award (2016). Laureato alla Andrzej Wajda Film School e all’Università di Varsavia (Istituto di Scienze Sociali Applicate). The Moths sarà il suo esordio alla regia di un lungometraggio. PAWEL KOSUN / PRODUZIONE
Produttore e coordinatore di produzione, i suoi film sono stati presentati a festival internazionali, quali Cannes, Sundance, Berlinale, Locarno, Karlovy Vary. La sua esperienza professionale comprende film come Lipstick on the Glass di Kuba Czekaj, Pardon dell’acclamato regista polacco Jan Jakub Kolski (Montreal 2019), e Tower: A Bright Day di Jagoda Szelc (Berlinale 2018).
CONTATTI kosun@centralafilm.pl
Dieci 2012–22
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Le proprietà dei metalli / The Properties of Metals Un paesino di montagna nell’Italia degli anni settanta. Pietro, bambino cresciuto dal padre vedovo, un uomo burbero con problemi di denaro, inizia a manifestare doni misteriosi: può piegare il metallo semplicemente toccandolo. Uno scienziato inizia a studiarlo. Gli esperimenti porteranno il bambino a contatto con il mondo invisibile, dove le leggi della fisica lasciano il posto ai desideri più profondi.
Italia, 90′ REGIA Antonio Bigini LINGUA Italiano INTERPRETI Martino Zaccara, David Pasquesi, Antonio Buil Pueyo, Edoardo Marcucci, Enzo Vetrano, Cristiana Raggi, Marco Cavalcoli
ANTONIO BIGINI / REGIA
Antonio Bigini (1980) ha co-diretto i documentari Ella Maillart – Double Journey (2015) e Formato ridotto (2012). Ha scritto il film Anita (2012) di Luca Magi. Dal 2014 è curatore associato della Cineteca di Bologna per la quale ha curato diverse mostre sulla storia del cinema. Le proprietà dei metalli è il suo primo film di finzione.
SCENEGGIATURA Antonio Bigini FOTOGRAFIA Andrea Vaccari
CLAUDIO GIAPPONESI / PRODUZIONE
Claudio Giapponesi (1980) è uno dei fondatori di Kiné, società che si occupa della produzione di documentari creativi e film d’autore. Negli ultimi dieci anni ha prodotto più di quindici film, presentati nei più importanti festival in Italia e all’estero, come Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, Karlovy Vary Film Festival, Vision du Reél, Torino Film Festival, Festa del Cinema di Roma.
MONTAGGIO Ilaria Fraioli SCENOGRAFIA Paola Bizzarri COSTUMI Bettina Pontiggia MUSICA E SUONO Simonluca Laitempergher PRODUZIONE Kiné
CONTATTI claudio@kine.it +39 3315701223
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Film
Biennale College Cinema
El ladrón de perros / The Dog Thief Bolivia, Cile, Messico, Francia, Italia, Ecuador, 100′ REGIA Vinko Tomičić LINGUA Spagnolo INTERPRETI Alfredo Castro, Franklin Aro, Julio Cesar Altamirano, Teresa Ruiz, María Luque, Ninón Davalos SCENEGGIATURA Vinko Tomičić FOTOGRAFIA Sergio Armstrong MONTAGGIO Urzula Barba Hopfner SCENOGRAFIA E COSTUMI Valeria Wilde SUONO Juan José Luzuriaga PRODUZIONE Álvaro Manzano, Gabriela Maire, Edher Campos, Nadia Turincev, Matias de Bourguignon, Pavel Quevedo, Francesca Van der Staay
Martín è un lustrascarpe quindicenne di La Paz, in Bolivia, che ha passato tutta la vita per strada con la speranza e il desiderio di ritrovare suo padre. Preda alla fantasia, Martín inizia a sospettare che uno dei suoi migliori clienti sia suo padre. Il signor Novoa, un sarto solitario che ha come unico legame affettivo il suo cane, Astor, un bel pastore tedesco di cui si prende cura come un figlio. Martín, tormentato da questo desiderio, escogita un piano per rapire il cane, coll’intenzione di provocare e avvicinarsi a quest’uomo che – cosí crede – lo ha respinto per tutti questi anni. VINKO TOMIČIĆ / REGIA
Vinko Tomičić ha studiato Design dell’immagine e del suono all’Università di Buenos Aires. Il suo film d’esordio El Fumigador (Cockroach), ha vinto come Miglior Film al SANFIC ed è stato presentato in anteprima internazionale al PÖFF, Black Nights Film Festival, Estonia. Il suo ultimo cortometraggio Aicha è stato selezionato a Biarritz e ha fatto parte anche delle proiezioni della Locarno Academy. Perros (successivamente El ladrón de perros) è stato selezionato nel corso della lavorazione per la Cannes Cinéfondation Residence e ha vinto il Premio CNC Cinéfondation per il Miglior Pitch a Cannes. ÁLVARO MANZANO / PRODUZIONE
Álvaro Manzano è un produttore cinematografico boliviano. Le sue produzioni più recenti sono: Chaco (diretto da Diego Mondaca, presentato in anteprima all’IFF Rotterdam e premiato in vari festival tra cui Valdivia, Ficunam, Amburgo e Gijón); El corral y el viento (regia di Miguel Hilari, premiato a Fidocs, Cinema du réel e Bafici, tra gli altri); e Perros (regia di Vinko Tomičić, attualmente in post-produzione col titolo El ladrón de perros, “Il ladro di cani”. Il progetto ha partecipato a Biennale College Cinema, Cinéfondation Residence e EAVE Puentes).
CONTATTI alvaro@colormonster.tv gabriela.maire@gmail.com nadia@easyridersfilms.com vin.tomicic@gmail.com
Dieci 2012–22
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VR sviluppati nell’ambito Biennale College
On Off
In Francia il processo di morte di una persona si svolge spesso all’interno di un ospedale. La tecnologia avanzata associata alla terapia intensiva è al centro delle ultime speranze della nostra civiltà avversa alla morte. Formatosi per salvare vite umane, il personale di terapia intensiva ha ormai assunto la funzione delle pompe funebri. Questo progetto mostra quanto sia difficile per medici, infermieri, assistenti, e studenti di medicina affrontare e ‘gestire’ giorno per giorno la morte. Le persone rispondono con franchezza, coi loro sogni, emozioni e idee etiche o mediche, e questo ci permette di scoprire la moltitudine di domande che devono affrontare.
Francia, 25′ REGIA Isabelle Foucrier, Camille Duvelleroy LINGUE Francese, Inglese SCENEGGIATURA Isabelle Foucrier FOTOGRAFIA Sergio Ochoa
DISTRIBUZIONE
MONTAGGIO Guillaume Salasca
Francia, Cina
SCENOGRAFIA Laurent Duret
FESTIVAL
Varilux Cinema Frances; We are one Festival
MUSICA Antoine Colonna
ISABELLE FOUCRIER / REGIA
Dopo aver fatto la giornalista tra Parigi, Berlino e Bonn, Isabelle Foucrier si è specializzata in temi sociali e culturali. Ha vinto il Prix Jeune talent du Journalisme franco-allemand nel 2013, ha scritto in collaborazione il documentario web 14, Breaking News (Arte – Golden Fipa 2014). Dal 2016 ha diretto diversi documentari, è stata sceneggiatrice capo della serie di documentari Topoï ed è ora caporedattrice di Invitation au voyage (Arte).
SUONO Audiogaming TECNOLOGO CREATIVO E EFFETTI VISIVI Sergio Ochoa PRODUZIONE Laurent Duret
CAMILLE DUVELLEROY / REGIA
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Bachibouzouk
Camille lavora da molti anni nella produzione transmediale. Inventa, scrive e affina narrazioni in cui l’esperienza è strutturata intorno all’interattività. Escogita idee per interfacce in grado di dare vita ai messaggi e poi trova chi può creare soluzioni su misura. Finora ha lavorato a oltre quindici programmi interattivi per documentari, musei e lungometraggi. LAURENT DURET / PRODUZIONE
Dopo aver prodotto documentari e progetti interattivi per varie società tra cui Les Films d’Ici, Laurent Duret ha fondato la sua Bachibouzouk 2015. Produce documentari di alta qualità, sperimenta forme narrative innovative, ed è guidato soprattutto dalla voglia di avventurarsi nel mondo, col sorriso sul volto e la curiosità nel cuore, per capirlo meglio. CONTATTI laurent@bachibouzouk.net
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VR
Biennale College Cinema
Dinner Party
USA, Puerto Rico, 13′30″ REGIA Angel Manuel Soto LINGUA Inglese INTERPRETI Malcolm Barrett, Sarah Sokolovic SCENEGGIATURA Charlotte Stoudt, Laura Wexler FOTOGRAFIA Sam Gezari MONTAGGIO Eric F. Martin SCENOGRAFIA Stephanie Hamilton COSTUMI Bryn Carter MUSICA Liam Fox O’Brien SUONO Greg Townley TECNOLOGI CREATIVI Angel Manuel Soto e Sam Gezari EFFETTI VISIVI David Witters PRODUZIONE Ryot, Telexist, Skybound
Dinner Party è un’esperienza di realtà virtuale 3D basata sulla storia vera di Betty e Barney Hill, una coppia interrazziale che nel 1961 riportò il primo rapimento UFO conosciuto a livello nazionale. Non essendo in grado di ricordare e accordarsi sui dettagli di quell’evento inspiegabile, la coppia prova l’ipnosi. A una cena ne farà poi sentire le registrazioni agli amici, ed è qui che gli spettatori seguono i resoconti individuali e radicalmente diversi del rapimento. DISTRIBUZIONE
Globalmente (Within); USA (Installazioni via WONDERSPACES) FESTIVAL
Sundance, Tribeca, SXSW, GIFF, Raindance, Adelaide, MIFF, BIFF, Cannes XR, True/False, Kaohsiung Film Festival, North Bend Film Festival, Fantastic Fest, San Diego Film Festival, Fantasia Film Festival, Festival du Nouveau Cinéma, Havana Film Festival, Belfast film festival, Cinequest, LA Film Festival, NYFF Convergence, Arles Film Festival, Savanah Film Festival, 360 Film Festival, Australian VR Film Festival, Sitges, VIFF, e molti altri PREMI
Raindance – Migliore esperienza cinematografica; , Fantasia Film Festival – Migliore esperienza VR; Arles Film Festival – Premio della Giuria; 360 Film Festival – Gran Premio ANGEL MANUEL SOTO / REGIA
Acclamato regista portoricano pluripremiato il cui lavoro è stato proiettato al Congresso del Stati Uniti, a Cannes, Tribeca e Sundance; il suo primo lungometraggio La Granja ha vinto Miglior Opera Prima al Festival di Guadalajara; Charm City Kings ha vinto un premio speciale della giuria al Sundance, ed è stato acquisito da HBO Max. Ha creato diversi pezzi narrativi VR innovativi come Dinner Party e Bashir’s Dream. RYOT / PRODUZIONE
RYOT è una società americana di media immersivi fondata nel 2012 da Bryn Mooser, David Darg e Molly DeWolf Swenson, con sede a Los Angeles. È specializzata nella produzione di documentari, pubblicità, realtà virtuale e realtà aumentata. CONTATTI angelmanuelsoto@me.com +1 7874619006
Dieci 2012–22
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Meet Mortaza
Meet Mortaza ricorda il viaggio di Mortaza Jami, un giovane afgano costretto a fuggire dal suo paese. L’esperienza immerge il pubblico nei ricordi di Mortaza, condividendone l’intimità, i sogni, i dubbi e la lotta per la libertà. Meet Mortaza è una forma poetica di documentario che affronta i temi dell’esilio e dell’asilo in modo intimo e positivo. Seguendo le tracce del suo viaggio, l’esperienza prepara gradualmente il pubblico alla scoperta di Mortaza stesso.
Francia, Belgio, 13′ REGIA Joséphine Derobe LINGUE Francese, Inglese INTERPRETE Mortaza Jami
DISTRIBUZIONE
SCENEGGIATURA Joséphine Derobe, dal romanzo Je savais qu’en Europe on ne tire pas sur les gens di Mortaza Jami
Francia FESTIVAL
Venice VR Expanded; Festival du Nouveau Cinéma; Stereopsia; Fipadoc; SXSW; Go Short; Aesthetica Short film; Ji.hlava International Documentary Film Festival; Guanajuato International Film Festival; Chelsea Film Festival; Festival Courant 3D; Docville International Film Festival
FOTOGRAFIA Sergio Ochoa MONTAGGIO Cyril Curchod, Joséphine Derobe
PREMI
MUSICA Interzone Serge Teyssot-Gay & Khaled Al Jaramani
Chelsea Film Festival – Miglior documentario VR; Festival Courant 3D – Menzione speciale della giuria; Scam – Bourse Brouillon d’un rêve; Sunny Side of the doc – Miglior Pitch Creativo Digitale
NARRAZIONE Mortaza Jami
JOSÉPHINE DEROBE / REGIA
Artista e regista, Joséphine esplora forme narrative e immersive in diversi campi. Nel cinema, ha realizzato i cortometraggi Journal d’un Frigo e Souviens-moi. L’installazione Portrait (é)Mouvant e il cortometraggio Selfie-me sono stati presentati in anteprima al CDA Enghien. In VR ha co-diretto The Wedding at Cana (Arte Trips). Ha scritto e diretto Moi Fauve, un LBE interattivo in fase di sviluppo.
DESIGN DEL SUONO Come Jalibert – CoSounders TECNOLOGO CREATIVO Sergio Ochoa PRODUTTRICE Oriane Hurard
ORIANE HURARD / PRODUZIONE
Negli ultimi dieci anni Oriane Hurard ha lavorato come produttrice nel campo audiovisivo e digitale. In particolare ha prodotto Isle of the Dead (2018) di Benjamin Nuel e ha vinto il premio Miglior Soggetto VR a Venezia. Più recentemente The Passengers, un’esperienza narrativa VR multiutente, è stata selezionata per le edizioni 2021 SXSW e Tribeca. Nel 2021 è entrata a far parte del pluripremiato team di ATLAS V come senior producer.
COPRODUZIONE Les Produits Frais, Dancing Dog Productions, Le Cube RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE ASTREA
CONTATTI orianehurard@gmail.com www.meetmortaza.com
240
VR
Biennale College Cinema
Feather
Giappone, 12′ REGIA Keisuke Itoh LINGUA senza dialogo SCENEGGIATURA Keisuke Itoh MUSICA Yui Morishita ASSISTENTE ALLA PRODUZIONE Tetsuya Ohashi PRODUZIONE Katsutoshi Machiba RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE CinemaLeap
Feather è la storia di una bambola che sogna di diventare ballerina. È ambientata in una casa delle bambole, in una vecchia soffitta. Gli spettatori possono interagire passando alla bambola una piuma. Quando la bambola è in difficoltà, la piuma appare davanti allo spettatore. Quando riceve la piuma, la bambola cresce e può perseguire il suo obiettivo di diventare ballerina. DISTRIBUZIONE
Piattaforme: VIVEPORT; Deutsche Telekom & Orange (Germania & Francia); Softbank (Giappone). Sale (LBE): Konica Minolta Planetaria Tokyo Virtualink (Giappone); Beyond Reality VR Cinema (Corea) FESTIVAL
Venezia; Busan; Ginevra; Gangneung; Bucheon; Cinequest, California; SIGGRAPH KEISUKE ITOH / REGIA
Keisuke Itoh è un regista VR. Dopo aver lavorato come grafico è diventato artista in computer grafica. Feather è stato presentato alla 76. Mostra del Cinema nella sezione Biennale College, primo film giapponese nella categoria VR. Nel 2020 e nel 2021 i suoi Beat e Clap sono stati selezionati in competizione sempre a Venezia. KATSUTOSHI MACHIBA / PRODUZIONE
Katsutoshi Machiba appartiene all’ufficio di pianificazione strategica XR di Supership. Organizza il primo festival del Giappone dedicato a XR, il Beyond the Frame Festival. Ha lavorato come regista televisivo e come produttore in lingua giapponese per la 20th Century Fox Home Entertainment Japan ed è responsabile di Gear VR presso Samsung Electronics Japan. TETSUYA OHASHI / PRODUZIONE
Nel 2019, Tetsuya Ohashi ha fondato CinemaLeap Inc, che produce e distribuisce esperienze VR. Clap (2021), Beat (2020) e Feather (2019) diretti da Keisuke Itoh sono state presentate alla Mostra di Venezia. Nel 2021 CinemaLeap ha avviato Beyond the Frame Festival. Ohashi e CinemaLeap esplorano nuove forme d’arte grazie a creatori amanti del rischio che utilizzano nuove tecnologie. CONTATTI tetsuya.ohashi@cinemaleap.com +81 9061664801
Dieci 2012–22
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Il Dubbio / The Doubt
Avete mai messo in discussione quanto valete? Vi siete mai messi alla prova rispetto a una forza invisibile? I più grandi maestri di tutti i tempi mancavano di convinzione e dubitavano di sé stessi. E se il dubbio fosse stata la chiave della loro genialità? Il Dubbio è un’esperienza interattiva di Realtà Virtuale che esplora il dubbio all’interno del processo creativo. Si tratta di un viaggio nella mente e nella bottega di Leonardo e di tre artisti contemporanei che esercitano il dubbio nella loro pratica creativa. L’esperienza porta alla luce la sensazione di cui non si parla ma che spesso definisce alcuni dei segreti della creatività.
Italia, 20′ REGIA Matteo Lonardi LINGUE Inglese, Spagnolo, Cinese SCENEGGIATURA Matteo Lonardi MUSICA Vittorio Giampietro
DISTRIBUZIONE
TECNOLOGO CREATIVO Javier Garcia Lajara
Regno Unito, Italia, Giappone FESTIVAL
EFFETTI VISIVI Fernando Perez Alonso
Raindance; VRE Roma; Venice VR Expanded; Boyond the Frame Festival, Tokyo
PRODUZIONE Francesco Lonardi – ReframeVR
MATTEO LONARDI / REGIA
Matteo Lonardi è fotografo, cineasta e regista VR e lavora con artisti visivi di tutto il mondo. Ha prodotto due film, che sono stati presentati a Kaleidoscope, World VR Forum, Milano Film Festival, Torino Film Festival, Sunny Side of the Doc, Raindance e Venice VR. FRANCESCO LONARDI / PRODUZIONE
Francesco Lonardi è un produttore VR che lavora tra Milano e Madrid. Ha cinque anni di esperienza in progetti interattivi VR e film a 360°. Con ReframeVR ha prodotto Reframe Iran, Reframe Saudi e due episodi de Il Dubbio. È molto presente in conferenze e dibattiti sulla Realtà Virutale, di cui è un forte sostenitore; è intervenuto a Cannes Marchè du Film, Ars Electronica, Biennale College e Science Gallery di Venezia. I progetti da lui prodotti sono stati selezionati nei programmi di sviluppo VR presso Cinemart, Rotterdam Film Festival, Biennale College e DevLab. Oltre al lavoro in realtà virtuale, è produttore di programmi TV di fama internazionale su CNN e Discovery Channel. Ha prodotto numerose serie televisive e documentari internazionali.
CONTATTI +34 654819181
242
VR
Biennale College Cinema
1939 / 1939: Scitovszky Villa Cortometraggio / VR experience
Ungheria, Germania, 30′ (short film) / 15′ (esperienza VR) REGIA Zsolt Magyari, Claudia Benkő LINGUA Ungherese INTERPRETI Levente Molnár, Anikó Für, László Gálffi, József Gyabronka, Kata Bartsch, Miklós Béres, László Márk Sipos, József Kovács S., Edina Dömök SCENEGGIATURA Zsolt Magyari, Alexandra Kocsis, Claudia Benkő FOTOGRAFIA Zsolt Magyari MONTAGGIO Gergely Roszik SCENOGRAFIA Viola Cserkuti, Jennifer Gindele COSTUMI Janka Szokolai MUSICA Barabás Lőrinc SUONO Bálint Zándoki TECNOLOGO CREATIVO E FOTOGRAFIA VR Michael Geidel PRODUZIONE Good Kids Productions, Actrio Studio
Il 3 settembre 1939 una donna scompare dalla residenza dell’ex ministro degli Affari esteri ungherese. Sul caso indaga un investigatore privato. Che fine ha fatto Ilonka? Si sta nascondendo dal marito violento? È coinvolta in un movimento politico illegale? Si è innamorata ed è fuggita dal Paese? Oppure è diventata una spia? Ciascuno nella villa ha una teoria. Questa storia poliziesca ci permette di sbirciare in una società divisa all’estremo e sull’orlo di un cataclisma globale. ZSOLT MAGYARI / REGIA
Narratore cinematografico; direttore della fotografia, stereografo e regista, è il co-fondatore di Stereographer. Ha studiato fotografia cinematografica e conseguito una laurea magistrale scientifica in Geodesia, Fotogrammetria e Sistemi Informativi Territoriali. CLAUDIA BENKŐ / REGIA
Attrice e studentessa di regia teatrale. Ha lavorato come regista nel programma Textúra della Galleria Nazionale Ungherese, nella produzione Secondhand del Teatro Örkény e nel progetto “La notte della letteratura”, tra gli altri. È membro dell’ETC Artist Residency Program a Berlino. MICHEAL GEIDEL / PRODUZIONE
Pluripremiato produttore e regista di progetti multimediali. Ha fondato Actrio Studio e ha realizzato molti progetti innovativi che vanno da documentari web, esperienze AR e VR, film e giochi a 360° a produzioni internazionali di lungometraggi, documentari e commedie, che sono stati invitati a festival di prestigio e proiettati nei cinema di tutto il mondo, e poi venduti a HBO e Netflix. PATRICIA D’INTINO / PRODUZIONE
Ha lavorato alla Pioneer Stillking Films, è stata produttrice associata di Another News Story, presentato a Karlovy Vary, e ha co-prodotto Granny, presentato al DOK Leipzig, a Hot Docs e a CPH DOX. Ha fondato Good Kids, volta al supporto di registi emergenti. TAMÁS OLAJOS / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
È un artista digitale multidisciplinare. Esplora esperienze di realtà aumentata combinate con animazioni 3D . La sua società, Stellar Circus, fornisce servizi di produzione cinematografica e fotografica in Ungheria per clienti internazionali. CONTATTI patricia@goodkids.tv
Dieci 2012–22
243
Sublimination
Sublimation è un’esperienza di realtà virtuale interattiva sulla danza butoh e la metafora della creazione. Butoh è una forma di danza contemporanea giapponese che è stata sviluppata da Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno in reazione al bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, e a rifiuto delle norme sociali e politiche conservatrici. La mostra esplora la nozione metaforica di arte e crea un’esperienza poetica con risultati individuali per ogni visitatore.
Germania, 15′ REGIA Karolina Markiewicz, Pascal Piron LINGUA Inglese INTEPRETE Yuko Kominami
DISTRIBUZIONE
Germania, Italia, Lussemburgo, Svizzera, Polonia
MUSICA Kevin Muhlen
FESTIVAL
SUONO Stefan Bock, Stefan Zaradic
Mostra del Cinema di Venezia – Venice VR Expanded PREMI
TECNOLOGO CREATIVO Fabrizio Palmas
Moovy Tanz Film Festival Köln – Selezione ufficiale KAROLINA MARKIEWICZ, PASCAL PIRON / REGIA
DESIGN ESPERIENZA UTENTE Stefan Laimer
Karolina Markiewicz ha studiato scienze politiche, filosofia e teatro e lavora come regista cinematografica e teatrale. Pascal Piron ha studiato arti visive e lavora come artista e regista. In collaborazione realizzano opere che creano legami tra cinema, arti visive e teatro. Al centro c’è l’individuo singolo come parte di una comunità, che oscilla tra rassegnazione e speranza.
EFFETTI VISIVI Antoine Thiry VOCE Elisabet Johannesdottir PRODUTTORE CREATIVO Astrid Kahmke
ASTRID KHAMKE / PRODUZIONE
Ha ideato l’European Creators’ Lab, un corso di formazione per creatori XR finanziato da Creative Europe Media. Sublimation VR è nato nel Lab, e Astrid ha contribuito al progetto in qualità di produttrice creativa. Con la sua azienda YONDERS, si concentra sulla curatela, il networking internazionale e la consulenza con l’occhio del produttore.
PRODUTTORE ESECUTIVO Sönke Kirchhof PRODUZIONE INVR.SPACE
SÖNKE KIRCHHOF / PRODUZIONE
RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE INVR.SPACE
Sönke Kirchhof è amministratore delegato e produttore esecutivo del pluripremiato VR Full Service Studio INVR.SPACE. Da oltre quindici anni lavora nei settori della VR, del cinema stereoscopico, della postproduzione di effetti visivi e computer grafica, nonché della ricerca e sviluppo nelle arti e nella tecnologia. È anche fondatore di reallifefilm international. CONTATTI distribution@invr.space www./invr.space
244
VR
Biennale College Cinema
Goliath: Playing with Reality Regno Unito, 25′ REGIA Barry Gene Murphy, May Abdalla LINGUA Inglese INTERPRETI Tilda Swinton, Jon aka Goliath Games TV SCENEGGIATURA Oliver Bancroft, Barry Gene Murphy, May Abdalla MUSICA Aaron Cupples SUONO May Abdalla, Aaron Cupples, Owen Parnell DESIGN ESPERIENZA UTENTE Mike Golembewski, Eoghan Kidney SVILUPPO Mike Golembewski, Joe Bain, Asim Bhati REGIA TECNICA Alexandra Adderly ARTISTA TECNICO Leon Denise PRODUTTORE TECNICO Armando Sepulveda ANIMATORI Ollie Patricio, Kimon Matara, JJ Shim, Toby Auberg, Benjamin Vedrenne PRODUZIONE Anagram, Floreal Films RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Anagram
Dieci 2012–22
Goliath: Playing with Reality segue la storia di un uomo che perde i genitori ed è dichiarato schizofrenico. Viene ricoverato in un ospedale psichiatrico dove trascorre molti anni, per lo più in isolamento, sotto potenti farmaci. Al suo rilascio, riesce a interagire con gli altri solo attraverso videogiochi online. Combinando conversazioni sincere, animazioni ipnotizzanti e interazioni tattili, entrate nel mondo di Goliath in cui slittate e scivolate tra mondi reali e irreali. Goliath esplora cosa significa sentirsi in disaccordo con il mondo e com’è possibile creare una realtà condivisa per trovare un proprio spazio. DISTRIBUZIONE
Oculus store FESTIVAL
Tra più di venti festival: Mostra del Cinema di Venezia; South by Southwest (SXSW); Sundance Film Festival; Tribeca Film Festival; Red Sea Film Festival; Festival di Annecy PREMI
Mostra del Cinema di Venezia – Gran premio della Giuria per la migliore opera VR; Adelaide Fringe Festival – BankSA Best Film & Digital, Interactive; Luxembourg Film Festival – Miglior esperienza immersiva insieme a We Are At Home BARRY GENE MURPHY / REGIA
Barry Gene Murphy (1978) è un artista multimediale che lavora nell’intersezione tra arte e tecnologia, prima come animatore e regista e più recentemente in Realtà Virtuale. MAY ABDALLA / REGIA
May Abdalla (1983) ha realizzato documentari per BBC, Channel 4 e Al Jazeera sul problema degli alloggi, rivoluzione e musica punk. È la co-fondatrice di Anagram. ANETTA JONES / PRODUZIONE
Anetta Jones è produttore capo dell’esperienza narrativa VR Goliath di Anagram, cofinanziata da BFI, Oculus Quest, CNC France, Creative XR e StoryFutures. Prima di Goliath, Anetta ha prodotto altre pluripremiate esperienze narrative VR. È attualmente senior producer presso ScanLAB Projects. CONTATTI kirsty@weareanagram.co.uk katayoun@florealfilms.com www.goliathvr.io
245
Queerskins: Ark
Leggendo il diario del figlio morto di AIDS, e con cui aveva un rapporto difficile, una madre cattolica che vive nelle zone rurali del Missouri trova un modo per trascendere se stessa e il suo dolore immaginandolo vivo e innamorato. Con esibizioni strazianti in video volumetrico e il potenziale narrativo del suono spaziale, Ark consente all’utente di entrare nell’immaginazione della madre e co-creare la danza intima degli amanti attraverso la posizione e i movimenti del proprio corpo.
USA, 18′ (variabile) REGIA Illya Szilak, Cyril Tsiboulski LINGUA Inglese INTERPRETI Hadley Boyd, Michael DeBartolo, Christopher Vo
DISTRIBUZIONE
Viveport, globalmente; Versione video 360°, Oculus
SCENEGGIATURA Illya Szilak
FESTIVAL
DAL ROMANZO DI Illya Szilak
Venezia, Tribeca Immersive, Cannes XR
FOTOGRAFIA Cory Allen
ILLYA SZILAK, CYRIL TSIBOULSKI / REGIA
Illya Szilak è scrittrice, artista, regista e produttrice creativa. Ispirata alle sue esperienze di medico, la sua pratica artistica transdisciplinare riccamente collaborativa esplora mortalità, incarnazione, identità e trascendenza in un mondo sommerso dai media e sempre più virtuale. Da molti anni Cyril Tsiboulski è il suo partner artistico. La loro prima opera di realtà virtuale Queerskins: A Love Story ha ricevuto un Peabody Futures of Media Award per il transmedia. Attualmente hanno in produzione il corto Fly Angel Soul, girato in VR, patrocinato dalla Jerome Foundation. Illya continua la sua pratica medica, prendendosi cura dei detenuti della Rikers Island Correctional Facility a New York.
MUSICA Wilbert Roget, II SUPERVISIONE AL SOUND DESIGN Andrew Martin TECNOLOGO CREATIVO Cyril Tsiboulski DESIGN ESPERIENZA UTENTE Elliot Mitchell
KATHLEEN FOX / PRODUTTORE PRESENTE AL WORKSHOP
EFFETTI VISIVI Mike Florio
Kathleen Fox è una produttrice vincitrice del Peabody Award con oltre un decennio di esperienza nella produzione, regia, scrittura e creazione di contenuti video e a stampa per campagne nazionali e globali. Esperta nella produzione di contenuti in VR, documentari brevi e servizi speciali per social media, web e televisione. Un documentario che ha co-prodotto, Lydia Lunch: The War is Never Over di Beth B, è attualmente in sale selezionate in tutto il mondo ed è stato acclamato dalla critica.
PRODUTTORI ESECUTIVI Diego Prilusky, Illya Szilak, Sarah Vick SUPERVISORE ALLA PRODUZIONE Kathleen Fox PRODUTTORE ASSOCIATO Allen Yee PRODUZIONE IntelStudios, Cloudred
246
CONTATTI vr.queerskins.com/ark
VR
Biennale College Cinema
Affiorare / Surfacing
Italia, Portogallo, 20′ REGIA Rossella Schillaci LINGUA Italiano INTERPRETI donne incarcerate e i loro figli SCENEGGIATURA Rossella Schillaci FOTOGRAFIA Federico Biasin MONTAGGIO Enrico Aleotti MUSICA Norina Liccardo, Rodolfo Mongitore SUONO Rodolfo Mongitore, Marco Marasciuolo EFFETTI VISIVI Matteo Barbeni ILLUSTRAZIONI Beatriz Bagulho 2D/3D COMPOSITING Matteo Barbeni, Carlo Cagnasso, Gabriele Pastè, Fabrizio Bonaga, Fabrizio Rumore LABORATORIO D’ILLUSTRAZIONE E RITRATTI FINALI Anna Forlati PRODUZIONE Mybosswas, Laranja Azul
Un documentario in realtà virtuale ambientato in un carcere. Come in una fiaba, lo spettatore è immerso nella quotidianità di madri e ragazzini che vivono in prigione. Le riprese a 360° ad altezza occhi dei bambini e le animazioni ci portano in un viaggio dove i protagonisti ci raccontano – in modo profondo e poetico – le loro prime impressioni. La loro percezione del carcere come mondo sommerso è rispecchiata da illustrazioni (realizzate in collaborazione con madri e figli) che ne ritraggono i ricordi e i sogni. Un racconto di dolore ma anche di resilienza e di speranza, tra realtà e immaginazione, che aiuta a ritrovare ricordi personali d’infanzia. DISTRIBUZIONE
Francia FESTIVAL
Festival internazionale del film d’animazione di Annecy ROSSELLA SCHILLACI / REGIA
Cineasta e antropologa visiva. Dopo la laurea a Manchester ha diretto documentari premiati in festival internazionali e trasmessi da ARTE, RAI, Sky e Al Jazeera. Tra i suoi ultimi film, Les enfants en prison è stato coprodotto e trasmesso da Arte e ha vinto l’Étoile de la Scam. Tiene seminari universitati in antropologia visiva e cinema documentario. FEDERICO BIASIN / PRODUZIONE
Nel 2011 ha fondato Mybosswas, che ha preso parte alla produzione di film distribuiti a livello internazionale. È stato direttore della fotografia e produttore di Beautiful Things (vincitore della Biennale College Cinema 2016). Ha prodotto cortometraggi, spot pubblicitari, contenuti multimediali e installazioni per musei ed eventi culturali. CATARINA MOURÃO / PRODUZIONE
Ha studiato musica, giurisprudenza e cinema all’Università di Bristol. È la fondatrice di AporDOC, un’associazione portoghese di documentari, e insegna Cinema e Documentario dal 2000. Insieme a Catarina Alves Costa ha fondato Laranja Azul, una società di produzione indipendente di documentari creativi. CONTATTI hello@mybosswas.com mouraocatarina@gmail.com doc@azulfilm.com
Dieci 2012–22
247
Mono
Una torna dal lavoro, entra in casa e la percorre spogliandosi di tutto; si trascina in giardino, dove eliminerà le cattive energie e riprenderà a respirare e a vedere a colori. Mono si propone di raccontare la storia con candore e semplicità di contenuto, linee del disegno e messa in scena. Si parla anche della Natura come salvezza spirituale e dell’alienazione che l’essere umano si infligge per sopravvivere, la triade nascita-lavoro-morte. Lo stile grafico si ispira alla poetica visione ad acquerello del pittore e scrittore Gao Xingjian.
Italia, 10′ REGIA Chiara Troisi LINGUA Italiano, Inglese SCENEGGIATURA Chiara Troisi MUSICA E SUONO Guglielmo Diana
CHIARA TROISI / REGIA
ART DIRECTOR TECNICO & SUPERVISIONE GRAFICA VR Maurizio Marseguerra
Chiara Troisi è una giovane regista, autrice, regista e fotografa. Nata ad Asti nel 1994, si è laureata in scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Torino, e dal 2016 al 2018 ha frequentato il master in sceneggiatura e regia alla Scuola Holden. È attiva dal 2013 con esperienze su set di cortometraggi, lungometraggi, documentari e spot pubblicitari. Ha scritto e diretto alcuni cortometraggi e spot pubblicitari indipendenti sia in live action che in animazione.
STORY EDITOR & SUPERVISORE DI PRODUZIONE Federico Lagna ANIMAZIONE Francesca Amoroso
FEDERICO LAGNA / PRODUZIONE
Federico Lagna (Torino, 1977) è produttore, regista e montatore. Da sempre interessato alla narrazione visiva, ha realizzato i suoi primi cortometraggi negli anni ‘90. Nel 2018 ha diretto e prodotto Dorothy, un cortometraggio thriller, ed è stato finalista con il lungometraggio Hominarius, attualmente in pre-produzione, al programma di alta formazione Biennale College Cinema. Attualmente sta lavorando alla produzione dell’esperienza VR Mono, finalista anche alla Biennale College Cinema VR.
CHARACTER RIGGING Lisa Acabo CONCEPT ART Chiara Troisi 3D CHARACTER ART Silvia Pasquetti CG GENERALIST Cristiano Caria PRODUZIONE PRODUTTORI ESECUTIVI Alice Drago, Matteo Fresi e Federico Lagna for Epica Film, Maurizio Marseguerra
CONTATTI federico@epicafilm.it info@epicafilm.it +39 3930040579
248
VR
Biennale College Cinema
Chroma 11
Hong Kong, 13′ REGIA Tsang Tsui-shan LINGUE Inglese, Cantonese INTERPRETI Wong Thien-pau, Khek Ah-hock SCENEGGIATURA Tsang Tsui-shan FOTOGRAFIA Jason Lam, Michael Chu, Desmond Liu, Bobby Lee MONTAGGIO Jason Lam SCENOGRAFIA E COSTUMI Iv Chan MUSICA Eunice Martins SUONO Benny Chan TECNOLOGO CREATIVO E DESIGN ESPERIENZA UTENTE Jason Lam EFFETTI VISIVI Jerry Tsang, Harry Hung COREOGRAFIE Wong Thien-pau PRODUTTORI Kattie Fan, Teresa Kwong
Chroma 11 è un’esperienza immersiva di realtà virtuale basata su una storia vera d’amore perduto. Come estensione del documentario di danza Ward 11 – che racconta gli ultimi giorni strazianti del danzatore Khek Ah Hock e del suo partner Wong Thien Pau – il progetto Chroma 11 espande i confini delle immagini in movimento con la tecnologia VR. Attraverso clip di ricordi riorganizzati e video volumetrici catturati da DepthKit, il team cerca di ricostruire un incontro di anime separate sotto forma di ballo di coppia nell’aldilà. TSANG TSUI-SHAN / REGIA
Tsang Tsui-Shan, miglior regista esordiente del 31° Hong Kong Film Award nel 2012. Il suo film d’esordio Lovers On the Road (2008) ha vinto il Premio per miglior film drammatico dell’8° South Taiwan Film Festival. Big Blue Lake (2012), il suo secondo film, ha vinto il Premio Speciale della Giuria del Golden Koala Chinese Film Festival e il Premio della Giuria ai Nuovi Talenti dell’Asia del festival di Shanghai. Trai le altre opere, il documentario franco-hongkonghese Flowing Stories (2014), il film Scent (2014) e The Lady Improper (2019). KATTIE FAN / PRODUZIONE
Kattie Fan è curatrice, produttrice, art manager, educatrice nel campo del cinema, delle arti multimediali, della cultura e della tecnologia. Attualmente è direttrice del Festival di ifva, uno dei festival di cortometraggi e arti multimediali più importanti dell’Asia. TERESA KWONG / PRODUZIONE
Teresa Kwong è curatrice di pratiche artistiche interdisciplinari. Attualmente direttrice del programma dell’Hong Kong Arts Centre, è anche produttrice cinematografica con titoli pluripremiati tra cui Suk Suk presentato alla Berlinale del 2020.
PRODUTTORI ASSOCIATI Geoffrey Stitt, Elissa Rosati COORDINATORI DI PRODUZIONE Kate Lau, Catherine Chan RAPPRESENTANTE COMMERCIALE/ DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE ifva, Hong Kong Arts Centre
Dieci 2012–22
CONTATTI kfan@hkac.org.hk klau@hkac.org.hk
249
Origen / Origin
Origen è un viaggio narrativo, interattivo e poetico attraverso la foresta pluviale amazzonica e le sue memorie per testimoniare il visibile e l’invisibile all’interno di questo territorio ancestrale. Nel nostro viaggio, le interazioni in prima persona tessono la trama d’incontri e insegnamenti imbevuti di trascendenza. Journey to the Heart of the Amazon è il primo capitolo di una serie VR co-creata con i suoi protagonisti, che unisce territori diversi e celebra il dialogo profondo tra tutti gli esseri viventi e Madre Terra.
Argentina, Perú, 17′ REGIA Emilia Sánchez Chiquetti LINGUE Spagnolo, Inglese INTERPRETI Wilder Antonio Muñoz Sánchez
PREMI
Unity for Humanity
SCENEGGIATURA Wilder Antonio Muñoz Sánchez, Emilia Sánchez Chiquetti
EMILIA SÁNCHEZ CHIQUETTI / REGIA
Formatasi presso l’Università Nazionale delle Arti di Buenos Aires, si dedica alla creazione di opere teatrali e audiovisive. Appassionata di narrazioni immersive e dell’incrocio dei linguaggi, ha fondato Presencias, una società di produzione focalizzata sulla creazione di esperienze immersive che esplorano interazioni simboliche e narrazioni spaziali. Ha diretto opere a 360° in diversi paesi del mondo e ha coordinato un laboratorio performativo presso l’Università Nazionale delle Arti.
ART DIRECTOR Natalia Conti TECNOLOGO CREATIVO Javier García Lajara MAIN DEVELOPER Javier Martínez de Velsaco
ANDRE WEISBERG / PRODUZIONE
DESIGN ESPERIENZA UTENTE Leocricia Sabán
Andre Weisberg si è laureato in Media presso ORT Argentina e ha continuato a formarsi in Design dell’Imagine e del Suono presso l’Università di Buenos Aires. Ha creato, prodotto e sviluppato vari contenuti per canali come Discovery, MTV, Travel Channel, Film and Arts, National Geographic, Discovery Home e Health & Animal Planet. Ha fondato Virtual 360, uno studio immersivo di sperimentazione con le nuove tecnologie.
TRADUZIONI Natalia Erazo MUSICA Pedro Canale PRODUZIONE Presencias Producciones
CONTATTI info.presencias@gmail.com
250
VR
Biennale College Cinema
VR realizzati da film con grant Biennale College
Denoise
Denoise è un viaggio di parole, suoni e geometrie in cui perdersi. L’esperienza della realtà virtuale consente agli spettatori d’immergersi in mondi di difficile accesso nella vita reale. Un giacimento petrolifero in Texas, la sala macchine di un mercantile oceanico, un’immensa camera anecoica in Svizzera. Questi luoghi sono alla base della nostra esistenza quotidiana perché gli oggetti con cui amiamo riempire la nostra vita iniziano e finiscono il loro viaggio in questi mondi isolati e sconosciuti, attraverso un processo di creazione, trasporto, commercializzazione e distruzione. I protagonisti conducono esistenze solitarie e silenziose, lontane dal nostro stile di vita, ma le loro confessioni ci fanno sentire parte di un unico disegno. Denoise è uno dei progetti satellite del lungometraggio Beautiful Things e fa parte del progetto multidisciplinare Beautiful Things, un modo per indagare, attraverso diversi mezzi espressivi, persone e luoghi sconosciuti ma fondamentali.
Italia, 13′ REGIA Giorgio Ferrero, Federico Biasin LINGUE Italiano, Inglese, Tedesco, Tagalog INTEPRETI Van Quattro, Andrea Pavoni Belli, Danilo Tribunal, Vito Mirizzi SCENEGGIATURA Giorgio Ferrero FOTOGRAFIA Federico Biasin MONTAGGIO Giorgio Ferrero, Federico Biasin, Filippo Vallegra
DISTRIBUZIONE
Germania, Danimarca, Australia, Regno Unito, Stati Uniti, Canada, Messico, Francia, Svizzera, Corea del Sud, Paesi Bassi, Belgio, Argentina
SCENOGRAFIA Filippo Vallegra
FESTIVAL
COSTUMI Anna Neretto
Venezia, Sydney, Melbourne, Dok Liepzig, RIDM Montreal, B3 Biennale di Frankfurt, Ventana Sur, Festival dei Popoli, Hot Docs Toronto, Oberhausen SFF, Shorts, Trieste, In Edit Barcelona
MUSICA E SUONO Giorgio Ferrero, Rodolfo Mongitore TECNOLOGO CREATIVO E DESIGN ESPERIENZA UTENTE Giorgio Ferrero PRODUZIONE Federico Biasin RAPPRESENTANTE COMMERCIALE / DISTRIBUTORE INTERNAZIONALE Filmotor
CONTATTI hello@mybosswas.com
254
VR
Biennale College Cinema
Giorgio Ferrero
Federico Biasin
REGIA
REGIA
Giorgio Ferrero è regista, compositore, fotografo italiano. Ha composto colonne sonore di decine di film, spettacoli teatrali e installazioni e ha collaborato con artisti come David LaChapelle, Stephen Amidon, Paolo Giordano. Nel 2020 è stato selezionato come direttore creativo multimediale del Museo David di Firenze. Nel 2021 ha scritto e diretto il film L’importanza di essere un architetto commissionato dal famoso architetto italiano Antonio Citterio. Con Federico Biasin e Rodolfo Mongitore dirige il premiato studio multidisciplinare MYBOSSWAS.
Federico Biasin è direttore della fotografia, produttore e regista. Nel 2011 fonda MYBOSSWAS con Giorgio Ferrero e Rodolfo Mongitore. Nel 2013 ha co-diretto e girato il cortometraggio Riverbero in competizione a Roma, Glasgow e Brooklyn, ha girato spot pubblicitari per i marchi Nike, Alfa Romeo, Barilla, Technogym, Condé Nast. Ha prodotto decine di cortometraggi, contenuti multimediali e installazioni per musei ed eventi culturali internazionali.
Dieci 2012–22
255
Selyatağı / Floodplain
Una squadra di soccorso è alla ricerca di una persona che si è persa in una foresta, ma finisce con lo smarrirsi nella vegetazione. Un gruppo, formato da civili e poliziotti che sta evacuando un villaggio e una zona di foresta da abbattere per permettere l’edificazione della zona, si mette alla ricerca della squadra di soccorritori. Un vecchio albero libera un sonnacchioso incantesimo che colpisce tutti quelli che si trovano alla sua portata. Selyatağı si basa sul mondo di Yuva, il film della Biennale College Cinema. “Selyatağı – racconta il regista – si contrappone alla crisi ambientale innescata dall’uomo e analizza i rapporti che abbiamo tra noi con la fine della natura. Se non possiamo più essere ciò che eravamo, possiamo diventare qualcosa di nuovo? Possiamo essere una foresta o una pietra, possiamo essere una moltitudine di organismi, possiamo essere nulla? Possiamo essere qualcosa che non sappiamo ancora di poter essere?
Turchia, 16′ REGIA Deniz Tortum LINGUA Turco INTERPRETI Okan Bozkuş, Berk Akman, Turgut Ekinci, Çağdaş Akar, Nihat Can Tınas, Muharrem Balkaya SCENEGGIATURA, FOTOGRAFIA E MONTAGGIO Deniz Tortum SCENOGRAFIA Osman Özcan SUONO Bora Kasırga EFFETTI VISIVI Ergin Şanal, Enes Çağlar PRODUZIONE Anna Maria Aslanoğlu - istos , Fırat Sezgin Institute of Time
CONTATTI annamaria@istosfilm.com www.istosfilm.com — firat@instituteoftime.com www.instituteoftime.com
256
VR
Biennale College Cinema
Deniz Tortum REGIA
Deniz Tortum (1989) lavora nel cinema e nei nuovi media. È stato ricercatore presso il MIT Open Documentary Lab e docente all’ Harvard Film Study Center. Le sue opere sono state proiettate in vari festival tra i quali SxSW, Sheffield, True/ False, Sharjah Biennial Istanbul e Dokufest. È uno dei fondatori di Institute of Time, una società di comunicazione con sede a Istanbul.
Dieci 2012–22
257
Denoise
Giorgio Ferrero
Selyatağı / Floodplain
Deniz Tortum
Apparati Apparati Apparati Appara Appara Appara Appara
Tutor
262
Apparati
NOME COGNOME
Amra Baskic-Camo Violeta Bava Michael Barngrover Sarah Beaulieu Julien Bercy Pénélope Biessy Martin Boege Hans Bruch Vincenzo Bugno Raquel Cabrera Sarah Calderon Pierre Cattan Antoine Cayrol Avinash Changa Mathias Chelebourg Agustina Chiarino Ambre Ciselet Toby Coffey Nekisa Cooper Allison Crank Coline Delbaere Iolanda Di Bonaventura Marta Donzelli Daan Doornink Amy Dotson Giacomo Durzi Diana Elbaum Martje Friedrich François Fripiat Eve Gabereau Espinar Gabriel Justine Gamez Huckabay Lapo Germasi Tristan Goligher Carl Guyenette Samm Haillay Steye Hallema Mathilde Henrot Aida Holly Nambi Doede Holtkamp Rasmus Horskjær Benjamin Hoguet Pablo Iraola Ioulia Isserlis Christina Kallas Michel Kammoun Titus Kreyenberg Amaury La Burthe Chiara Laudani Antoine Le Bos Mao Lee-Tzu Tomas Leyers Biennale College Cinema
RUOLO
EDIZIONE BCC
EDIZIONE BCC VR
PAESI
Produttore creativo 4–10 Bosnia-Herzegovina Produttore creativo 3, 4, 7–10 Argentina Tecnologia creativa 6 USA Sviluppo soggetto 6 Francia Produttore di linea 6 Francia UX designer Francia Direttore della fotografia 3 Messico Relatore 1, 2 Belgio Responsabile di gruppo 7 Italia Marketing 6–10 Spagna Marketing 2–5 Spagna Relatore, sviluppo soggetto 1 3 Francia Produttore VR 1 Francia Consulente visivo, tecnologo creativo 3–5 Paesi Bassi Consulente visivo 3 Francia Produttore creativo 5–10 Uruguay Consulente suono 6 Belgio Consulente visivo 1, 2 Regno Unito Relatore 1 USA Consulente UX 5, 6 Francia Consulente visivo 3 Francia Sviluppo soggetto 5 Italia Produttore creativo 6 Italia Stratega 1 Paesi Bassi Produttore creativo, 1–10 4 ITA USA responsabile di gruppo Consulente sceneggiatura 2–7 Italia Produttore creativo 2 Belgio Produttore creativo 2 Francia Consulente suono 4 Belgio Produttore creativo 8 Canada Marketing 6–10 Spagna Sviluppo soggetto 4 USA Tecnologo creativo 5 Italia Produttore creativo 1, 2 Regno Unito Tecnologo creativo 1–3 Regno Unito Produttore creativo 3–7 Regno Unito Sviluppo soggetto, tecnologo creativo 1, 4 Paesi Bassi Distributore 2, 3 Francia Responsabile di gruppo, sviluppo soggetto 9 3–5 Uganda/Kenya Produttore VR 6 Paesi Bassi Consulente sceneggiatura 8 Danimarca Sviluppo soggetto 4 Francia Produttore creativo 6, 7 Portogallo Tecnologo creativo 4 Germania Consulente sceneggiatura 9, 10 Grecia Responsabile di gruppo 10 Libano Produttore creativo, 2, 3, 6, 7 Germania responsabile di gruppo Consulente visivo, tecnologo creativo 1–3, 5 Francia Consulente sceneggiatura 9, 10 Italia Consulente sceneggiatura 1 Francia Sviluppo soggetto 4 Cina Relatore 1 Belgio Dieci 2012–22
263
Marc Lopato Fouzi Louahem Nicola Lusuardi Scott Macaulay Janine Marmot Fanette Martinie Tupac Martir Alina Mikhaleva Christian Möller Katie Mustard Marc-Andre Nadeau Amir Naderi Alysha Naples Ossi Nishri Sergio Ochoa Opeyemi Olukemi Raphael Penasa Rajiv Rainier Eilon Ratzkovsky Jon Reiss Franz Rodenkirchen Naomi Roth Mike Ryan Max Sacker Michael Salmon Leen Segers Ian Sellar Ludwik Smolski Mary Stephen Terry Steven Olivia Stewart Mathieu Taponier Stefano Tealdi Tosca Teran Lorna Tee Saverio Trapasso Celine Tricart Yorgos Tsourgiannis Michele Turnure Salleo Paul Tyler Helle Ulsteen Nick van Breda Gino Ventriglia Joana Vicente Alec Von Bargen Marietta von Hausswolff von Baumgarten Barbara Von Lombeek Françoise von Roy Anita Voorham Vincent Wong Flaminio Zadra Meinolf Zurhorst 264
Apparati
Biennale College Cinema
Consulente distribuzione 2–4 Francia Tecnologo creativo 4 Francia Consulente sceneggiatura 1 Italia Responsabile di gruppo 1, 3, 4, 6, 7 USA Produttore creativo 6, 8 Regno Unito Produttore di linea 1–5 Francia Consulente visivo, tecnologo creativo 1–5 Regno Unito Produttore VR 5 Russia Tecnologo creativo 1, 2 Germania Relatore, produttore di linea 1–9 USA Consulente UX 4 Canada Relatore 1 Iran Consulente visivo 4 Consulente sceneggiatura 6, 7 Israele Tecnologo creativo 1–3 Spagna Sviluppo soggetto 1 USA Produttore VR 5 Francia Marketing e distribuzione 2, 3 USA Consulente sceneggiatura, 5–10 Israele produttore creativo Relatore 1 USA Consulente sceneggiatura 1 Germania Sviluppo soggetto 2,3 Francia Produttore creativo 1–6, 8–10 USA Tecnologo creativo 4 Germania 6 Regno Unito Progetto e realizzazione scenografia su piattaforme social Tecnologo creativo 3 Belgio Consulente sceneggiatura 2 Regno Unito Consulente sceneggiatura 8 Regno Unito Tutor montaggio 1–10 Hong Kong/Francia Relatore 1 Regno Unito Relatore 1 Regno Unito Consulente sceneggiatura 4 Francia Tutor pitch 1–8, 10 1, 3, 4 Italia Direttore artistico 6 Canada Produttore 3 Malesia Tecnologo creativo 5, 6 Italia Sviluppo soggetto 4 Francia Produttore creativo 8–10 Grecia Responsabile di gruppo 6–10 USA Visualizzatore 2, 4–10 1–6 Regno Unito Produttore creativo 2–4 Svezia Relatore 5 Paesi Bassi Responsabile di gruppo, 1–10 1, 2, 4 Italia sviluppo soggetto Relatore, responsabile di gruppo 1, 4, 7 USA Consulente visivo 4–10 USA Consulente sceneggiatura 1–3, 5–7, 9, 10 Svezia Pubbliche relazioni 5, 6 Consulente sceneggiatura 6–10 Germania Consulente sceneggiatura 1–5, 8, 9 Paesi Bassi Produttore creativo 2 Francia Produttore creativo 7–9 Italia Responsabile di gruppo 8–10 Germania Dieci 2012–22
265
Cifre in evidenza
2.167 331 NUMERO TOTALE DI DOMANDE RICEVUTE IN 10 EDIZIONI BCC
NUMERO TOTALE DI DOMANDE RICEVUTE IN 6 EDIZIONI BCC VR
266
Apparati
Biennale College Cinema
148 78 42 39 104 NUMERO TOTALE DI PROGETTI SELEZIONATI IN 10 EDIZIONI BCC PER IL PRIMO WORKSHOP
NUMERO TOTALE DI PROGETTI SELEZIONATI IN 6 EDIZIONI BCC VR PER IL PRIMO WORKSHOP
NUMERO DI PROGETTI REALIZZATI CON GRANT
34 lungometraggi + 8 VR
NUMERO DI PROGETTI REALIZZATI SENZA GRANT
26 lungometraggi + 13 VR
NUMERO DI TUTOR COINVOLTI NEI WORKSHOP
47 donne (45,20%) / 57 uomini (54,80%)
Dieci 2012–22
267
52+74 37+31 16+20 2+2 NUMERO DI DONNE PARTECIPANTI NEI WORKSHOPS BCC
52 registe su 148 (35,13%) / 74 produttrici su 148 (50%)
NUMERO DI DONNE PARTECIPANTI NEI WORKSHOPS BCC VR
37 registe su 78 (47,43%) / 31 produttrici su 78 (39,74%)
NUMERO DI DONNE DI PROGETTI REALIZZATI CON GRANT BCC
16 registe su 34 (47,05%) / 20 produttrici su 34 (58,82%)
NUMERO DI DONNE DI PROGETTI REALIZZATI CON GRANT BCC VR
2 registe su 8 (25%) / 2 produttrici su 8 (25%)
268
Apparati
Biennale College Cinema
48 NUMERO DI PAESI DEI PROGETTI SELEZIONATI PER I WORKSHOP BCC
34 NUMERO DI PAESI DEI PROGETTI SELEZIONATI PER I WORKSHOP BCC VR
Dieci 2012–22
Argentina Australia Azerbaijan Bolivia Brasile Bulgaria Canada Cile Cina Corea del Sud Cuba Danimarca Ecuador Egitto Filippine Finlandia Francia Germania Giappone India Iran Israele Italia Kazakhstan Libano Lesotho
Macedonia Malesia Malta Messico Norvegia Nuova Zelanda Paesi Bassi Pakistan Polonia Portogallo Regno Unito Romania Ruanda Serbia Sud Africa Spagna Sri Lanka USA Tailandia Turchia Ungheria Venezuela
Argentina Brasile Cina Cuba Danimarca Filippine Francia Germania Hong Kong India Iran Irlanda Israele Italia Giappone Lussemburgo Norvegia Paesi Bassi Palestina Polonia Porto Rico Regno Unito Repubblica Ceca Repubblica Slovacca
Romania Russia Serbia Spagna Stati Uniti Taiwan Turchia Turkmenistan Ungheria Venezuela
269
LA BIENNALE DI VENEZIA
UFFICIO ATTIVITÀ EDITORIALE E WEB RESPONSABILE Flavia Fossa Margutti SAGGI Paolo Baratta Alberto Barbera Glenn Kenny Federica Polidoro Savina Neirotti Michel Reilhac Jane Williams Stephanie Zacharek INTERVISTE E SCHEDE FILM Francesco Giai Via REDAZIONE La Biennale di Venezia Valentina Bellomo e Maddalena Pietragnoli Coordinamento Francesca Dolzani Giulia Gasparato Federico Sanna PROGETTO GRAFICO Tomo Tomo TRADUZIONI Federico Sanna STAMPA Esperia srl, Lavis (TN)
Prima edizione: Luglio 2022 © La Biennale di Venezia 2022 Tutti i diritti riservati Senza regolare autorizzazione è vietata la riproduzione, anche parziale o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.
Finito di stampare: Luglio 2022
Dieci Dieci Dieci Dieci Dieci Dieci I rischi di un progetto ambizioso e concreto al tempo stesso erano sin dall’inizio evidenti e molto elevati: era davvero possibile produrre film di valore con queste restrizioni di budget e di tempo? In sintesi, questi dieci anni della Biennale College Cinema e Virtual Reality hanno prodotto 83 opere audiovisive, realizzate da altrettanti team composti da un regista e un produttore, provenienti da ogni continente e da 48 Paesi. ALBERTO BARBERA E SAVINA NEIROTTI
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