Pepi Merisio - mostra antologica

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Pepi Merisio mostra antologica



Pepi Merisio mostra antologica


Pepi Merisio - mostra antologica 4 Febbraio 2012 - 1 Aprile 2012 Labottega - Marina di Pietrasanta

a cura di Serena Del Soldato Libero Musetti collana “Grandi mostre FIAF”

in copertina: Valle di Mello (Sondrio), 1962 in quarta di copertina: Boscaioli del Monte Misma (Bergamo), 1966

progetto grafico Arch Luca Calvanese, Serena Del Soldato © Labottega, 2012 © per le fotografie, Pepi Merisio Tutti i diritti riservati


introduzione di Giorgio Tani



Perchè Merisio?

…forse perché ce n’è bisogno. Quante volte ci siamo guardati attorno, soprattutto oggi, in questa attualità, dove l’uomo occidentale è debole fino a non conoscere o disconoscere la propria storia e le proprie tradizioni territoriali, culturali e religiose. La fotografia, o forse è meglio dire l’immagine a base fotografica, oggi deve essere eclatante, deve trasmettere in modo forzoso o retorico una comunicazione, che in qualsiasi modo deve sedurre, far vendere l’oggetto, la persona, il prodotto, condizionare le opinioni. Ecco dunque che immagini pure, oggettivamente descrittive di un’umanità che ci è stata madre e che abbiamo ormai dimenticato nelle strette sequenze orarie della modernità quotidiana, divengono nuove, come nuove sono le fiabe perché sempre hanno una morale. Pepi Merisio appartiene al mondo che ha fotografato, a quella civiltà che ha potuto guardare con la macchina fotografica e riprendere, nella sua semplice e sacrosanta verità senza contraffare o cambiare niente, senza adattare le inquadrature a idee ed opinioni altrui.

L’inizio amatoriale ha certamente influito sui temi delle sue ricerche. E’ come un prendere nota di tutto ciò che è degno di uno scatto e poi farne racconto, elegia, poesia, documento. C’è, in questa raccolta che presentiamo, una dimensione temporale sempre presente, lo scorrere dei giorni verso il passato, e il passato che ritorna trasformato in immagine. Il tempo lavora anche sulle fotografie, le nobilita di quella consistente patina di ricordo, di momenti vissuti, di emozione interiore che solo ciò che è irrimediabilmente lontano, quasi perduto, riesce a darci. La civiltà contadina, la gente montanara, i sensali, il lavoro artigianale, le professioni, la famiglia, il vestito della domenica, la religione... tutto c’è ancora. Si, ma in quale rapporto con l’individuo? In quale trasformazione epocale e ambientale? E allora la fotografia del “come eravamo” ha ancora qualcosa da dire. Ogni fotografia di Merisio è un contenitore di mille informazioni, di dolci e amare testimonianze: il piccolino sulle ginocchia della madre, il bimbo al banco di scuola con grembiule nero e colletto bianco, la sposa vestita di bianco che si guarda una smagliatura della calza, la veglia funebre nella vecchia camera matrimoniale. E’ questa, se la consideriamo una piccola sequenza di fotografie diverse ma collegate tra loro dall’universalità dei simboli, la storia essenziale della vita, quella che tutti più o meno abbiamo percorso o percorreremo, intersecandola


con quella di altre persone. Le variazioni esistenziali sono nelle cose che riempiono la fotografia come migliaia e migliaia di parole non riuscirebbero a fare e nel contempo la fissano rendendola unica: un fiocco bianco al collo di un bambino, i disegni alla parete con le scritte in corsivo: giglio, gnomo, ghianda, cervo – La parete, la candela accesa, l’attesa, le mani appoggiate sul petto, i fiori sul comodino, la fissità della morte, la stasi della veglia – E i volti di donne, l’intensità del credere, il rosario tra le mani, il segno della Croce. Merisio ha questa grandezza, ripetere nelle fotografie la forza dei sentimenti più semplici, più umani, più nostri perché più legati a quelle radici che amiamo, che ci hanno cresciuto e che a volte, per insipienza, tendiamo a ripudiare. Eppure eravamo qui, dentro a queste fotografie, senza accorgercene perché ora abbiamo bisogno di quattro ruote con quattrocento cavalli per essere uguali agli altri, di jeans finto-strappati e finto-consumati per sembrare, e non è necessario perché lo siamo sempre di più, conformemente simili agli altri. Qual’è il sapore del latte munto, del pane abbrustolito, l’odore del fieno, del concime che fuma? Oppure quell’odore di antico che sanno i mobili vecchi, mille volte lucidati con l’olio di gomito e la cera delle api. Mi raccontava Merisio che tanti anni fa. Quando fotografava le persone, dall’abito ne distingueva la professione, l’avvocato, l’impiegato, il farmacista, il contadino, e così via.

…e poi il senso immanente della religiosità, questi miseri preti di campagna, un po’ allampanati, e un po’ ombre scure che si staccano sulle pietre antiche dei palazzi di città… e quei momenti magici in cui il “fotoamatore” riesce a cogliere la semplice, umana, sorridente espressione Papale – Merisio fotografo di Papa Paolo VI – il volto, la figura controluce, la finestra, l’abito appeso all’attaccapanni. Sintesi, impressione, ricordo, documento, creazione artistica, pensiero che si materializza in immagine. Che cos’è veramente la fotografia? Non lo so. Forse non lo sapremo mai o forse è solo una reazione chimica che la luce provoca su alcuni materiali sensibili. Ciò che è importante è il raccolto. Questo è un libro che ci dà una grande lezione sulle consuetudini che, come valori, hanno accompagnato la vita dell’uomo in quella nicchia spazio temporale che Merisio ha ripreso. Ma filosofia, letteratura,cinema e fotografia ci hanno insegnato che ciò che appare minore o circoscritto, in realtà è universale. Storie di vita, intreccio di destini. E’ un continuo raccontare ciò che vediamo. Pensiamo ad un contemporaneo delle foto di Merisio, a Zavattini sceneggiatore del neorealismo, a “Un paese” di Strand… e sfogliamo “Un altro paese” e poi “Per le antiche strade”. Sono questi, due titoli di recenti libri di Merisio. Molte di quelle immagini le ritroviamo qui, in queste pagine, a tracciare una linea di continuità tra il passato e il presente. Sostituendosi alle parole, ci parlano di valli, di monti, di pievi e di cattedrali, di lavoro e di tradizioni, ci


mostrano sorrisi, speranze, rassegnazioni e, nel loro susseguirsi, compongono un racconto che ci riguarda e ci appartiene.

Giorgio Tani



intervista a Pepi Merisio a cura di Giorgio Tani



Merisio - 158 fotografie”, vinse un premio a Padova. A quei tempi i premi erano di valore, vere medaglie d’oro e premi consistenti che invitavano a dedicarsi seriamente alla fotografia. T: Come è entrato nel professionismo ? E’ una luminosa giornata semi invernale. Merisio ci fa strada nella sua bella casa di Bergamo bassa. Ci sediamo al tavolo di un salotto ampio; alle pareti libri, stampe, ricordi. Ed è proprio con i “ricordi” che inizia l’intervista. T: Quando e perché si è interessato alla fotografia ? M: Io prima sono stato un dilettante, un socio Fiaf, un Afiap. La mia passione è nata per caso: ero al mare, nel ’47, avevo 16 anni, ho comprato un libro di fotografia. Mio padre aveva una vecchia 6x9 ed ho cominciato a fare fotografie. Mi sono costruito un’ingraditore di compensato, ho trovato degli amici a Caravaggio, io sono di Caravaggio, ed abbiamo messo insieme una specie di gruppo. Spesso andavamo a Milano, al Circolo Fotografico Milanese. A cavallo degli anni 50 ho comprato altre macchinette e poi la Leica senza telemetro. Il modello economico e poi, via via, tutte le Leica. Ho seguito l’iter del fotoamatore, in quegli anni vincevo premi con le fotografie che adesso, girano da per tutto. La “maternità” copertina del libro “Pepi

M: E’ stato proprio questo passaggio amatoriale, i vari premi, e infine il Premio Fermo al reportage lo “In morte dello zio Angelo”. Lo seppe Sampietro, direttore di Epoca, che mi chiamò e da li, nel 1963, è iniziato il professionismo vero e proprio, prima avevo praticato un semiprofessionismo con riviste varie. T: Quali sono stati i servizi fotografici più importanti ? M: Il primo servizio è “Una giornata col Papa”. Sono stato a Roma una quindicina di giorni e avevo accesso ai luoghi abituali dove il Papa passava, fino a fotografarlo mentre impartisce la benedizione dalla finestra del suo studio. In particolare la foto di quando si gira dalla finestra, ritengo sia una delle foto più intense che io abbia fatto a Paolo VI. Poi ho seguito i suoi viaggi per tutto il pontificato. A Milano ho conosciuto il suo segretario, Don Macchi. Mi ha sempre stimato come una persona onesta nel senso che ogni foto che facevo era visionata da lui. Era un rapporto molto chiaro e di fiducia.


T: Avete stabilito quasi un contratto verbale.

l’operaio, l’avvocato, il prete, come modo di essere, adesso l’avvocato è vestito come un play boy e magari il play boy M: Si, un contratto verbale per cui poi certe foto io le ho come l’avvocato, il prete come ragioniere. In questo senso date al Papa, che le ha date agli artisti per far dei quadri. per la fotografia è dura. Oggi la riconoscibilità del soggetto Nella Galleria Vaticana di Arte Moderna ci sono delle ope- quasi non esiste più. C’è bisogno delle didascalie per dare l’identità alle persone. re ispirate a mie fotografie. Per Epoca ho fatto, nello stesso periodo, altri servizi tra cui quello, nel ’64, su Genco Russo, un personaggio della mafia T: Quanto è durato il periodo di Epoca. di allora, che avevano confinato qui a Lovere e bisognava M: Quasi 10 anni fino al ’73, poi dopo ho intrapreso il fotografarlo. Non fu facile. Ad Epoca ero collaboratore fisso con libertà di fare altre cammino dei libri. Ho lavorato sulle regioni italiane in colcose. Allora ho cominciato una collaborazione col Turing laborazione con la casa svizzera Atlantis, con la Bolis, la Club Italiano realizzando libri della loro collana: la Liguria Zanichelli, l’Electa, la Pizzi, ecc…. e l’Abruzzo da solo, il Lazio in collaborazione con Berengo T: Quanti libri ha fatto? Gardin. T: Quali sono gli argomenti prediletti?

M: Un centinaio tra seri e ….riempitivi, per la pagnotta.

M: Nel ’69 ho pubblicato “Terra di Bergamo” per il centenario della Banca Popolare di Bergamo, primo esempio coraggioso di una banca che, per ricordare una celebrazione, si è rivolta ad un fotografo. Questo lavoro mi ha dato la possibilità allora di vedere il mondo contadino e della provincia italiana che stava scomparendo. Fino ad allora fotografavo in Ciociaria le donne con le cioce, cinque anni dopo non c’era più niente. Bisognava far presto. Tutto si stava omologando. Negli anni 50 ognuno aveva il suo abito,

T: Che figura era Papa Paolo VI? M: Straordinaria, non sarà mai compreso abbastanza. T: Il viaggio in Terra Santa come fu? M: Una grande avventura nel senso che è stato il primo. Era tutto organizzato ma nessuno sapeva che gli arabi hanno un altro modo di pensare le cose. La prima sera a


Gerusalemme fu una terribile confusione! A Manila inve- fotografica e se non vuole non lo fotografo. ce, tanto per dire come i fotografi possano essere testimoni, io ero ad un metro dal Papa e, nella confusione, non mi T: Un modo di lavorare onesto. accorsi dell’attentato; anche se in seguito ho fotografato il M: Quando ho fatto le foto al Papa nel giardino di Castel corpetto insanguinato. Gandolfo, il Segretario mi ha detto “lei si nasconda nei cespugli, il Papa sa che c’è, ma non si faccia vedere, non è T: Che cosa significa per lei la parola fotogiornalismo? bello”. Ed io mi nascosi. Ad un certo punto sento Paolo VI M: Che cosa significava. Oggi fotogiornalismo è sinoni- che dice “Merisio venga fuori, fotografi pure”. Quelle foto mo di televisione, in ogni senso è immagine elettronica. posate non le ho mai pubblicate. Oggi pensare che un giornale invii un fotogiornalista per Quando siamo andati in Terrasanta, Nando Sampietro, di un evento, è inutile. È tutto organizzato c’è solo da scegliere Epoca, mi telefona: “so che lei ha delle foto del Papa”. Io sullo schermo quel che il giornale vuole. Quindi bisogna avevo foto scattate in precedenza quando era Cardinale. tornare indietro 10/15 anni fa. Il fotogiornalismo spiccio- Avevo una foto dove lo si vede in preghiera, fu pubblicata lo c’è sempre, però quello classico è finito in quegli anni. a doppia pagina , tagliata un po’ di sopra per nascondere Continua solo come approfondimento di argomenti, come il copricapo. L’importante erano le mani. Con opportuna documentazione culturale a cura dei vari Enti. Quando ho didascalia divenne la foto di apertura del servizio in Teriniziato con Epoca il fotografo era un personaggio consi- rasanta. derato. T: Che cosa ne pensa dei calendari che vengono fatti in continuazione? T: Quale suo lavoro le ha dato più soddisfazione? M: Il fotografare il mondo contadino, forse l’humus cattolico. E poi la provincia italiana. Tutti i miei libri hanno quel taglio o contengono anche questo aspetto. Una cosa che tengo a dire è che il mio rapporto con la gente è chiaro immediato, chi sta di fronte a me vede che ho la macchina

M: Alcuni sono bellissimi, altri, è evidente, sono solo per far soldi. T: Perché nasce un libro di fotografia? Qual è la genesi interna nel fotografo?


M: Ci sono filoni diversi. Tante volte è un tema che il fo- Una lunga testimonianza che tocca ciò che eravamo e ciò tografo a seguito negli anni e propone ad un editore. Altre che siamo. volte nasce in accordo con l’editore. Un libro io lo faccio pian piano. Ci sono tre o quattro idee che si realizzano Giorgio Tani contemporaneamente. A volte ci sono scadenze da rispettare, esempio il Natale, per libri strenna. T: Quali le sue più importanti mostre? M: Ritengo importante la mostra dell’80 alla Helmaus di Zurigo organizzata per celebrare gli ottanta anni della casa editrice Atlantis. La mostra era intitolata “Italia”. Altre poi a Roma, “Pepi Merisio - 158 fotografie”, a Rimini, a Milano all’Arengario. Ultimamente mi sono dedicato ad una ricerca sulle “pietre”. Questo è il titolo dell’ultima mostra. T: Quale quella ancora da fare? M: Un mio sogno è fotografare l’Appennino perché lega montagna, collina e pianura. Girare un mese per l’Appennino, cominciare da Savona, andare, tornare indietro, girovagare liberamente alla ricerca di soggetti umani, paesaggi, tradizioni. ….Finisce così, con la voglia di fotografare ancora, l’intervista a Pepi Merisio. La sua è una delle più prestigiose presenze nella fotografia italiana degli ultimi cinquanta anni.




mostra antologica


1. Campagna di Altamura (Bari), 1976



2. Boscaioli del Monte Misma (Bergamo), 1966



3. La fiera di Serina (Bergamo), 1965



4. Malga del Lago Rotondo (Bergamo), 1967



5. Alpe Campascio (Sondrio), 1969



6. Valle di Mello (Sondrio), 1962



7. Valle di Cogne (Aosta), 1959



8. Colli Albani: gli sposi (Roma), 1967



9. La sposa a Villa d’Adda (Bergamo), 1965



10. La piazzetta di Porto Maurizio (Imperia), 1969



11. La morte dello zio Angelo, a Peia (Bergamo), 1963



12. Pellegrinaggio al Monte Autore (Roma), 1966



13. Cascina a Mapello (Bergamo), 1968



14. Interno a Tabellano (Mantova), 1973



15. I burattini a Bonate (Bergamo), 1966



16. Interno a Grosio (Sondrio), 1975



17. San Giacomo di Valtellina (Sondrio), 1966



18. Il forno di Sezze Romano (Latina), 1967



19. Elezioni a Fino del Monte (Bergamo), 1965



20. Monastero di Monteoliveto Maggiore (Siena), 1964



21. Venditore ambulante a Crema (Cremona), 1968



22. Fonderia di Campane ad Avegno (Genova), 1968



23. Nel maglio di Clanezzo (Bergamo), 1965



24. Miniere di Schilpario (Bergamo), 1966



25. Ragusa Ibla, 1979



26. Piazza del Mercato a Lucca, 1969



27. San Martino al Cimino (Viterbo), 1966



28. Rione Stella a Napoli, 1973



29. Ponte di barche sul Po a Spessa (Pavia), 1971



30. Nel porto di Genova, 1968



31. Nella Filanda Fumagalli a Sotto il Monte (Bergamo),



32. Il macellaio di Borgo Pignolo a Bergamo, 1965



33. Palazzo di Diamanti a Ferrara, 1962



34. Vaticano, in attesa dell’ udienza papale, 1964



35. Paolo VI dopo la benedizione dell’Angelus, 1964





BIOGRAFIA

Pepi Merisio è nato a Caravaggio nella bassa bergamasca nel 1931 e comincia a fotografare da autodidatta nel 1947. Progressivamente protagonista del mondo amatoriale degli anni cinquanta, ottiene numerosi e prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero. Nel 1956 inizia la collaborazione con il Touring Club Italiano e con numerose riviste: Camera, Realité, Photo Maxima, Pirelli, Look, Famiglia Cristiana, Stern, Paris Match e numerose altre. Nel 1962 passa al professionismo e l’anno seguente entra nello staff di Epoca, allora certamente la più importante rivista d’immagini italiana. L’ambito ideale della poetica di Merisio è, insieme con la grande tradizione contadina e popolare della provincia italiana, anche il variegato mondo cattolico. Nel 1964 pubblica su Epoca il suo grande servizio “Una giornata col Papa”, avviando così un lungo lavoro con Paolo VI. Dello stesso anno è il suo primo libro dedicato all’amico scultore Floriano Bodini. Da questo momento, mentre continua la collaborazione con le grandi riviste internazionali (celebri i tre numeri monografici di “Du” sul Vaticano, su Siena e sull’Italia cattolica) avvia un’intensa attività editoriale.

Caposaldo, dichiarazione d’intenti e summa preventiva della sua attività di narratore per immagini è l’opera “Terra di Bergamo” in tre volumi, edita nel 1969 per il centenario della Banca Popolare di Bergamo. Da allora ha pubblicato oltre un centinaio di libri fotografici con editori diversi tra i quali Atlantis, Bar Verlag, Conzett e Huber, Orell Fiissli, Zanichelli, Electa, Silvana, Bolis, Editalia, Pubbliepi, Monte dei Paschi, Grafica e Arte, Lyasis e l’ECRA di Roma. Nel 1988 viene nominato dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) Maestro della Fotografia Italiana. Con Mario Luzi ha pubblicato nel 2002 il volume “Mi guarda Siena “ e, nel 2003, per il Centro Studi Valle Imagna, il volume “Per le antiche strade”. Nel 1972 la RAI gli dedica una puntata della trasmissione “Occhio come mestiere” curata da Piero Berengo Gardin. Nel 1979, per la Polaroid, esegue un reportage ora conservato nella Collection Polaroid International di Boston. Particolarmente significative le numerose mostre allestite in Italia e all’estero. Da ricordare le mostre alla Helmaus di Zurigo per i 50 anni di Atlantis (1980); 158 fotografie al Teatro Sociale di Bergamo (1985) e a Palazzo Barberini a Roma (1986); il Duomo guarda Milano all’Arengario (1986); la Valtellina alla Fiera di Milano (1988). Nel 1982 è l’Editoriale Fabbri che lo accoglie nella collana Grandi Fotografi; anche “Progresso fotografico” e “Foto Magazin” gli dedicano due numeri monografici.


Professionista di assoluta affidabilità , autore ormai affermato e consacrato, Merisio si identifica perfettamente con i propri temi elettivi: da Bergamo (dove dal 1959 vive con la moglie, due figli e sei nipoti...) egli parte per il mondo riportandovi poi sempre le proprie immagini di solida classicità , compatte ed essenziali in una configurazione che è specchio del suo stile.



Labottega viale Apua 188 - 55045 Marina di Pietrasanta, Italia www.labottegalab.com



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