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Non è mai troppo tardi per tornare a casa
Shimtihun Lyngwa
In India ci sono numerose associazioni che stimolano la conversione o la riconversione all'induismo, come il Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), ma non sono state queste a influenzarmi. Ho deciso di abbandonare il cristianesimo per tornare alla religione autoctona del popolo khasi non perché qualcuno aveva cercato di convincermi o perché era successo qualcosa che mi aveva indotto a cambiare idea. L'ho fatto perché ho capito che quella non era la mia casa.
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Due anni fa mi pareva assolutamente impensabile abbandonare la fede cristiana, ma oggi no. La mia decisione è stata accolta da reazioni contrastanti. L'idea di parlarne con qualcuno mi terrorizzava, perché temevo che la mia scelta avrebbe potuto guastare i rapporti con gli amici e con i parenti. Per molti cristiani, infatti, coloro che lasciano questa religione sono oggetto di un forte ostracismo, come se non fossero più brave persone o se fossero indegne della loro amicizia.
Ho conosciuto molti khasi cristiani che definivano "non credenti" coloro che seguivano la fede autoctona e parlavano di loro con ostilità, come se la presenza di questi "non credenti" tra-sformasse la nostra comunità in un luogo sporco, privo di religione e pieno di depravazione. "Siamo khasi, ma non facciamo parte della comunità khasi" è una frase a effetto che ho sentito spesso, e pur apprezzando coloro che hanno inserito certi valori cristiani nella propria condotta non volevo che la gente pensasse a me come "uno della comunità khasi" quando pensavano che questa fosse priva di valori religiosi.
Avevo molta paura di dirlo alla gente. Quello che ho capito, però, è che certe persone si erano allontanate a causa delle mie opinioni religiose, e che non volevo avere rapporti con loro. Volevo essere amico di persone che mi amassero indipendentemente dal mio credo religioso. E sono molto felice di avere ancora amici cristiani: le nostre credenze sono molto diverse, ma questo non ha inciso sui nostri rapporti. Altre persone, invece, hanno scelto di allontanarsi da me, o mi hanno detto che li avevo delusi, o mi hanno addirittura chiamato ipocrita, mentre altri ancora mi hanno detto che andrò all'inferno, o hanno cercato di "riconvertirmi".
Molti dei cristiani che conosco si sono serviti della Bibbia per giustificare la schiavitù. Non so come interpretare le storie bibliche dove Dio ordina alla gente di commettere dei genocidi, distrugge interi popoli e cancella intere culture, dove causa un diluvio che sommerge il mondo risparmiando soltanto una famiglia e un gruppo di animali. Ma anche andando avanti veloce fino a oggi, molti dei cristiani che ho incontrato hanno preso dalla Bibbia soltanto quello che legittimava il loro comportamento. In questo Stato le varie confessioni cristiane usano due pesi e due misure, e per questo le chiese non sono aperte a tutti. Un giorno, mentre parlavamo dell'aborto, alcune persone mi hanno detto che se una ragazza viene violentata deve tenere il bambino. So che queste idee riflettono l'aspetto fondamentalista del cristianesimo, ma si trattava di persone che conoscevo bene e non avrei mai pensato che potessero dimostrare una simile intolleranza. La mia morale mi vieta di seguire una religione che giustifichi questo odio. So che molti cristiani fanno del bene e aiutano le persone svantaggiate e oppresse, ma vorrei che fossero più critici nei confronti delle ingiustizie legittimate dalla Bibbia. Quindi forse dovrei essere io a promuovere un simile dibattito, ma ormai ho capito che questo odio è profondamente radicato nella cultura cristiana di questo Stato.
Molte confessioni alimentano la divisione: i fedeli sono talmente convinti che la loro interpretazione della Bibbia sia quella giusta che rifiutano di dialogare e cercare di capirsi. E io, nonostante tutto, non posso oppormi a una convinzione così forte: per loro è la dottrina della Chiesa, indiscutibile e immutabile. Ma perché ho deciso di tornare a casa, di abbracciare nuovamente la mia fede originaria? Mi sono ricordato di quando fui "mosso da una presenza travolgente" mentre salivo a Lum Sohpetbneng (monte sacro della religione khasi, ndt), dove tutto sembrava così diverso e sen-
tivo una sacralità che permeava tutto. Ho sentito quella presenza sacra ogni volta che sono stato lì e non posso dimenticare quella sensazione. Ma credo di non essere l'unico. Ci sono molti cristiani khasi che non hanno avuto la possibilità di fare una scelta. Molti pensano che se non sono più cristiano io non creda più in Dio, ma invece io ci credo e voglio ancora dialogare con i miei fratelli. La diversità religiosa non deve stimolare lo scontro, ma deve darci l'opportunità di imparare gli uni dagli altri. Come ho imparato tanto tempo fa, è difficile, ma anche così bello poter sbagliare ed essere disposti ad imparare gli uni dagli altri, e, come quell'oratore che ha parlato a Lum Sohpetbneng, avere il coraggio di tenere la propria fede e le proprie idee in una mano aperta e vedere veramente di cosa sono fatte.
Una volta il Mahatma Gandhi chiese a dei missionari cristiani: "Se pensate che la conversione al cristianesimo sia la sola via della salvezza, perché non cominciate da me o da Mahadev Desai (segretario personale di Gandhi, ndt)? Perché insistete sulla conversione dei poveri, degli analfabeti, degli indigeni? Queste persone non possono distinguere tra Gesù e Maometto e non sono in grado di capire le vostre prediche. Sono muti e semplici, come le mucche. Questi semplici, poveri, Dalit (intoccabili, ndt) e abitanti delle foreste che si convertono non lo fanno per Gesù ma per il riso e il loro stomaco".
Queste parole del Padre della Nazione hanno costretto molti cristiani a riflettere. Se avessimo fatto una domanda simile ai missionari cristiani che vennero sulle colline khasi all'inizio del diciannovesimo avremmo potuto evitare questa conversione religiosa di massa. Ma non è mai troppo tardi per tornare a casa. Io l'ho fatto; dovreste farlo anche voi.
Khasi e gallesi, fratelli per sempre
In certe occasioni i missionari cristiani hanno rifiutato di schierarsi con i colonialisti e hanno difeso i popoli che questi volevano soggiogare. Un caso esemplare è quello dei metodisti gallesi che nel 1841 si stabilirono nel Meghalaya (India nordorientale) per convertire il popolo khasi. Ma erano missionari diversi dagli altri, perché anche loro appartenevano a una minoranza discriminata. Infatti il governo britannico contrastava in ogni modo l'uso del gallese, arrivando a punire i ragazzi che lo parlavano a scuola. Questa affinità creò un legame speciale fra missionari e indigeni, che trovarono nella musica un ulteriore punto di contatto. Il cantautore gallese Gareth Bonello, meglio noto come The Gentle Good, ha compiuto una lunga ricerca su questi legami musicali, ma non si è limitato a questo, perché li ha rivitalizzati e ne ha creati di nuovi. Il documento di questo lavoro è il CD Sai-thain ki Sur (vedi recensione a pagina 39), che Bonello ha inciso insieme a nove musicisti khasi e alla moglie Jennifer Gallichan. Il profondo legame fra i due popoli era già stato evidenziato nel libro Gwalia in Khasia (Gomer, 1995),dove lo scrittoreNigel Jenkins (1949-2014) aveva ricostruito la storia della missione. Figura centrale della cultura gallese, Jenkins è stato uno dei curatori della Welsh Academy Encyclopaedia of Wales (University of Wales Press, 2008).