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PIANCAVALLO

magazine

PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura - Inverno 2014-15


Cohen L. © 2014 Patagonia Inc.

TOFFOLI SPORT PIAZZALE XX SETTEMBRE N° 21 PORDENONE PIANCAVALLO TEL. 0434 520524


Editrice: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 33170 Pordenone Tel. 0434 240000 Fax 0434 208445 info@lacitta.pordenone.it www.lacitta.pordenone.it Direttore Responsabile: Flavio Mariuzzo

Foto Ferdi Terrazzani

PIANCAVALLO magazine Periodico di informazione, approfondimento e cultura n.17 Supplemento n.1 al n.74 La Città (ottobre 2014)

SOMMARIO SOMMARIO 5.

Editoriale

6.

Tra fantasia della neve e vera storia friulana

8.

Economia turistica, l’industria delle emozioni

11. Dolomiti, un romanzo di rocce 17. Turismo a macchia di leopardo. Tiene la neve formato famiglia

HANNO SCRITTO IN QUESTO NUMERO: Sergio Bolzonello, Clelia Delponte, Stefano Del Cont Bernard, Sandro Del Pup, Giulio Ferretti, Ciro Antonio Francescutto, Piergiorgio Grizzo, Flavio Mariuzzo, Federico Stelè, Ferdi Terrazzani, Vanni Tissino, Mario Tomadini, Sabina Tomat, Michela Zin

21. Tecnica libera tutti 24. Dalla Sicilia per sciare a Piancavallo 31. È qui la neve più sicura 32. Su Nevelandia c’è sempre un sole che ride 35. Ciaspole, che passione!

PROGETTO GRAFICO: Francesca Salvalajo

39. Un inverno di sport, emozioni e divertimento 40. Estate ghiacciata

FOTO: Ivan Centazzo Castelrotto, Alvise Berti, Marianna Corona, Matteo Corona, Angelo Leandro Dreon, Ferdi Terrazzani, Mario Tomadini, Archivio Piancavallo Magazine IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor Pordenone Si ringraziano per la collaborazione: Nicoletta Collauto Bozzer, Pino Rosenwirth, Mario Sandrin, Cristina Santarossa, Enzo Sima

43. Scivolare che passione! 45. L’epopea del ghiaccio targato Zanussi 46. Un giorno da pastore 49. Matrimonio en plein air tra arte e natura 53. La medicina del movimento 55. Val di Croda, la culla degli scalpellini 56. A 90 anni in bici da Aviano a Piancavallo 58.

Cai di Pordenone, in vetta da 90 anni

63. Sentiero Frassati: da Poffabro alla Casera senza nome 68. Le pietre ritrovate 70. Il bucaneve della solidarietà 75. Valcellina, piccolo mondo antico 82. Turismo slow, ambiente e ristorazione

In copertina: particolare di un faggio con la neve (Foto di Ferdi Terrazzani)

84. Pedemontana: una locomotiva per il turismo 87. La Venezia delle Nevi

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EDITORIALE

Decreto Cultura ed Expo, due occasioni da non perdere per migliorare l’offerta alberghiera L’Italia siede sulla propria ricchezza. Il Belpaese è circondato da migliaia di chilometri di coste e possiede i due terzi del patrimonio artistico mondiale. Da sempre si sente dire che l’arte e l’ambiente sono il petrolio italiano. Peccato che la trivella per estrarlo sia perennemente inceppata. Ebbene, oggi, finalmente, qualcosa potrebbe cambiare. Il condizionale resta d’obbligo, ma il Decreto Cultura, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, apre la strada a quel miglioramento dell’offerta turistica di cui si parla da anni. Fortemente voluto dal ministro Franceschini, il provvedimento si configura come un volano per il rilancio della cultura e del turismo, utilizzando soprattutto lo strumento delle agevolazioni fiscali. In pratica, per interventi di ristrutturazione edilizia ed abbattimento delle barriere architettoniche, agli alberghi sarà riconosciuto un credito d’imposta del 30% delle spese sostenute fino ad un massimo di 200mila euro per l’anno fiscale in corso e i due successivi (quindi sino al 2016). All’interno di questo plafond, una quota pari al 10% del limite massimo complessivo può essere dedicata all’acquisto di mobili e componenti di arredo che devono essere destinati, in via esclusiva, all’immobile oggetto della ristrutturazione. Insomma, misure concrete finalizzate a sostenere la competitività del turismo italiano e anche a favorire la digitalizzazione del settore. Tra le spese per l’ammodernamento dei servizi al turista, infatti, sono comprese pure quelle per l’acquisto di siti e portali web e per ottimizzare i sistemi di comunicazione mobile, inclusa la pubblicità per la promozione su siti e piattaforme web specializzate. Ciò costituisce una grande opportunità per la nostra montagna. Storicamente non possiamo contare sui flussi turistici di altre località dell’arco alpino, più rinomate e più alte delle nostre. La marginalità, tuttavia, non deve diventare un alibi tale da giustificare l’immobilismo. Perché da troppi anni la nostra offerta turistica, soprattutto quella alberghiera, salvo rare eccezioni, fa segnare il passo. E restare fermi oggi non significa mantenere le posizioni acquisite, significa perdere inesorabilmente terreno nei confronti di un mondo che corre veloce e si rinnova continuamente. Il 2015 sarà per l’Italia l’anno dell’Expo. È previsto l’arrivo di milioni di visitatori da tutto il mondo. Tutti soggiorneranno per diversi giorni entro un raggio di qualche centinaio di chilometri dalla città di Milano, sede dell’Esposizione. Qualche milione ne approfitterà per vedere Venezia, ma anche Verona e Trieste. Se anche la provincia di Pordenone e la zona montana ambiscono ad intercettare qualche flusso di questa pacifica invasione devono attrezzarsi al meglio dal punto di vista dell’accoglienza. Flavio Mariuzzo

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COMUNE DI AVIANO

Tra fantasia della neve e vera storia friulana luogo stagionale a insediamento montano attivo tutto l’anno. Per questo motivo di concerto le Istituzioni locali e regionali stanno operando per favorire il consolidamento dell’impiantistica sportiva e, compatibilmente i vincoli di finanza pubblica, per programmare la riqualificazione dei servizi pubblici ed ambientali a fine di migliorare le caratteristiche di ospitalità di Piancavallo. Ospitalità in particolare a misura delle famiglie. Piancavallo si inserisce nelle Prealpi Friulane, le montagne dolci che anticipano il grande Parco delle Dolomiti Friulane. Piancavallo è il mondo dei pascoli e delle grandi faggete, luoghi magici dove la neve disegna paesaggi fantastici alla portata dei bambini, dove le favole del bosco prendono vita, dove le luci dell’alba e del tramonto si trasformano in quadri che infondono profonde emozioni. Benvenuti quindi a Piancavallo, dolce montagna friulana, sempre pronta ad accogliere i tanti visitatori che cercano non solo lo sci ma anche un contatto con un mondo fatto di fantasia della neve e di vera storia friulana, magari accompagnata da un sorso di buon vino e dai prodotti tipici della nostra montagna.

Il sentiero della storia porta a Casera Capovilla

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abato 26 luglio 2014 la Sottosezione di Aviano del Club Alpino Italiano ha inaugurato IL SENTIERO DELLA STORIA - CASERE E CASERANTI NEL PIANO DEL CAVALLO. Si tratta di percorso storico dedicato agli alpeggi che ha trovato la sua indovinata sistemazione nella stalla della malga Capovilla 6

in Piancavallo. Ciascun oggetto è accompagnato da una didascalia che ne illustra l’uso e le caratteristiche e così il visitatore potrà ammirare vecchie slitte, le zangole per il burro, la fedele ricostruzione di un focolare con la caldiera, campanacci e decine di altri oggetti che sono stati testimoni di un’attività che oggi è quasi del tutto

Foto Ferdi Terrazzani

NOVITÀ

Stefano Del Cont Bernard (*Sindaco di Aviano)

Foto Ferdi Terrazzani

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on grande piacere porto il saluto e la partecipazione dell’amministrazione comunale, oltre che dell’intera comunità di Aviano, per l’avvio della nuova stagione invernale nella stazione turistica di Piancavallo. Piancavallo come stazione turistica attrezzata nasce negli anni Sessanta sull’onda del boom economico di quegli anni e, a quel tempo, rifletteva il cambiamento degli stili di vita e l’affermazione del turismo invernale ed estivo come fenomeno di massa. Ma Piancavallo esisteva ben prima di allora, luogo di montagna frequentato nei pascoli estivi, popolato da malgari, carbonai, raccoglitori di stelle alpine e tanti altri. Dagli anni Sessanta ad oggi molto tempo è passato, con esso sono cambiate le forme del turismo, sono cambiati gli usi, le aspettative, i desideri del cittadino viaggiatore. Nuove sensibilità sono emerse, l’attenzione per l’ambiente, il gusto per le esperienze enogastronomiche, la curiosità per la storia dei luoghi. Piancavallo si pone oggi in sintonia con questa evoluzione del turismo e lo fa da una lato portando in luce la sua storia di luogo di montagna e, dall’altro lato, programmando uno sviluppo sostenibile. Lo sviluppo sostenibile passa attraverso la trasformazione del paese di Piancavallo da


Foto Ferdi Terrazzani

scomparsa. Ventidue pannelli di grandi dimensioni offrono immagini delle casere dell’altopiano del Cavallo e di alcune famiglie di caseranti. Le fotografie sono tratte dal volume I PASCOLI DEL SILENZIO di Mario Tomadini, edito dalla nostra Associazione La Voce di Pordenone e presentato a Pordenonelegge 2011. Alcune teche

Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani

Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani

Foto Ferdi Terrazzani

Foto Ferdi Terrazzani

Foto Ferdi Terrazzani

La magia dei colori autunnali a Piancavallo e lo scintillio della neve

custodiscono documenti d’epoca ma anche le pubblicazioni relative alla storia passata e recente del Piancavallo. La stalla dell’alpeggio Capovilla, recentemente riportata all’antico splendore, si è dimostrata la “location” perfetta per un’immersione nell’antico Piano del Cavallo, un tempo terra di pascoli e malghe. 7


Foto Ferdi Terrazzani

REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

Economia turistica, l’industria delle emozioni Il Piano del Turismo varato dalla Regione punta a creare le basi per un’economia turistica moderna e rilanciare le destinazioni del Friuli Venezia Giulia. Nel 2015 verranno emanati appositi bandi per le imprese del settore finalizzati all’utilizzo dei fondi comunitari

Il

Foto Ferdi Terrazzani

Piano del Turismo 2014-2018 della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, approvato quest’anno, rappresenta il documento di pianificazione strategica per l’intero territorio e per il complessivo settore turistico regionale. L’obiettivo fondante è la trasformazione del territorio in un sistema turistico integrato, in grado di far dialogare le molteplici identità che caratterizzano la regione, facilitando la fruizione della vacanza come esperienza di vita e conoscenza di luoghi; al contempo la costruzione, attraverso la collaborazione tra operatori, di prodotti turistici differenziati secondo l’ottica di mercato.

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Per questi obiettivi il modello turistico adottato trova riferimento nell’articolazione di tre concetti-chiave: competitività, attrattività e sostenibilità. Tre elementi determinanti oggigiorno per creare un’economia turistica al passo con i tempi, in grado di migliorare ed innovare l’accoglienza dei singoli operatori e rilanciare così le destinazioni turistiche del Friuli Venezia Giulia. Il consolidamento della riconoscibilità del Friuli Venezia Giulia diverrà, così, il miglior contributo del comparto turistico all’economia regionale. Partendo da tali fondamentali presupposti, in questi mesi, si sono poste in essere una serie di azioni finalizzate a consentire


Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani Foto Ferdi Terrazzani

Da sinistra a destra, in senso orario, una fase di gioco del mini rugby; Giorgio Barban, vincitore della 1° edizione del rally di Piancavallo disputato nel 1980, i piccoli tifosi alla presentazione del Pordenone Calcio, la partenza della 2° edizione del Trofeo Pianca Bike e un passaggio del Rally Piancavallo 2014

una veloce attuazione delle strategie indicate. Si è così proceduto ad individuare le migliori forme di organizzazione interna relativamente alle strutture regionali competenti (Servizio Turismo e Agenzia Turismo FVG), al fine di costruire ed affinare un’adeguata struttura di management ed a programmare una serie di incontri formativi rivolti al personale, che sarà strategicamente ed operativamente impegnato nello startup delle attività. All’interno dell’Agenzia Turismo FVG si stanno definendo i piani operativi che consentiranno di individuare i prodotti turistici più significativi nel contesto territoriale regionale, per opportunamente promuoverli sul mercato nazionale ed internazionale. A partire dai primi mesi del 2015 sarà già possibile notare i cambiamenti che caratterizzeranno non solo le prossime campagne promozionali, ma soprattutto i diversi flussi informativi nei confronti degli operatori turistici e di tutti gli stakeholders presenti sul territorio. Gli info point saranno, quindi, destinati a cambiare ed a evolversi verso forme di informazione e di personalizzazione dedicate al turista, ma anche affermarsi come strutture di supporto e formazione nei confronti degli stessi operatori locali. Un’attenzione particolare verrà rivolta sull’utilizzo dei fondi comunitari, sia emanando entro il 2015 appositi bandi per contributi destinati alle imprese del settore turistico nell’ambito del POR FESR (sono previsti 10 milioni di euro da destinare ad azioni di miglioramento del livello qualitativo dei servizi forniti al turista), sia individuando i migliori prodotti turistici sui quali

concentrare gli sforzi nella predisposizione dei progetti da presentare nell’ambito della programmazione europea Italia – Croazia, Italia – Slovenia, nonché nell’ambito del GECT (Gruppi Europei di Cooperazione territoriale) e delle strategie per le aree alpina e adriatico-jonica. Anche le nuove forme di aggregazione tra imprese acquisteranno maggiore incisività, grazie ai contributi previsti per le “reti di imprese”, che saranno resi disponibili con apposito bando da parte di Unioncamere entro la fine del 2014. Infine il Piano ha posto le basi per la fusione tra Promotur e Agenzia Turismo FVG con l’obiettivo di realizzare una più efficace promozione turistica mediante la razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse. Si tratta di un percorso difficile che si sta ancora definendo, ma che pensiamo di portare a termine entro la metà del 2015. Non appena si saranno definiti tutti gli aspetti dell’operazione, sarà portata all’attenzione del Consiglio Regionale la norma istitutiva per questa nuova realtà, con la chiara evidenziazione degli organi, delle funzioni e delle attribuzioni. La nuova e precisa formulazione normativa terrà sicuramente conto delle passate esperienze delle singole agenzie, ma considererà necessariamente le future sfide che il nuovo soggetto dovrà affrontare in un quadro normativo ben definito e con mercati turistici in continua evoluzione. Sergio Bolzonello Vicepresidente Regione Friuli Venezia Giulia

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L’INTERVISTA

Dolomiti,

un romanzo di rocce

di MICHELA ZIN

Giuseppe Verdichizzi rappresenta la Provincia di Pordenone all’interno della Fondazione Dolomiti Unesco nata nel 2010 per assicurare la gestione coordinata di un bene naturale che si estende sul territorio di cinque province. Nel 2016 ci sarà l’ispezione generale per confermare o meno il riconoscimento a patrimonio dell’umanità

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ra il 26 giugno 2009 quando le Dolomiti vennero inserite tra i siti Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Paesaggi mozzafiato, vette spettacolari, contesti di eccezionale bellezza divennero a tutti gli effetti un bene da salvaguardare. Quanto accadde ormai cinque anni fa, era il risultato di un lungo percorso di candidatura che vide tra gli attori protagonisti l’amministrazione provinciale con il suo assessore competente Giuseppe Verdichizzi. È proprio con lui che ripercorriamo le fondamentali tappe di questo importante risultato e tracciamo le prospettive future. Cosa ricorda di quel 26 giugno? Ho un ricordo molto chiaro perché il riconoscimento delle Dolomiti a Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO, coincideva con il giorno della mia nomina ad Assessore Provinciale con delega a seguire l’importante e delicato tema delle Dolomiti. La gioia fu

immensa soprattutto perché ha premiato l’impegno, la professionalità e la passione del Settore Pianificazione Territoriale della Provincia di Pordenone che, già dal lontano 2004 e assieme alle altre quattro Province coinvolte in maniera attiva e partecipativa, ha contribuito all’ottenimento di questo straordinario riconoscimento che tocca le nostre montagne pordenonesi per circa 11% di territorio Dolomitico. Ricordo con gioia il momento ufficiale del riconoscimento avvenuto ad Auronzo nel mese di agosto alla presenza del Capo dello Stato Presidente Napolitano, con il quale a sorpresa ho avuto l’onore di presenziare per conto della Provincia di Pordenone alla cerimonia ufficiale, nonché anche l’onore di poter pranzare a tavola con il Presidente, i ministri dell’epoca ed i rappresentanti del territorio. Cosa scaturì da questo riconoscimento? Per rispondere a questa domanda basti pensare a come è

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Lo straordinario anfiteatro naturale delle Dolomiti Friulane con il Campanile di Val Montanaja che si staglia ieratico al centro della scena (foto Ferdi Terrazzani)

composto il bene che l’UNESCO ha riconosciuto: si tratta di 9 aree, denominati sistemi, che fluttuano nel mare delle Dolomiti. Questi nove sistemi sono geograficamente distanti tra di loro e sono amministrativamente inseriti in cinque province diverse, due delle quali a statuto speciale, e due regioni, una delle quali a statuto speciale, ognuna con un suo sistema amministrativo e giuridico. Questo è il quadro che emerse il giorno dopo il riconoscimento e in questo quadro si è cominciato un lento e progressivo lavoro di reciproco avvicinamento. Il primo passo è stata la nascita della Fondazione “DolomitiDolomiten-Dolomites-Dolomitis UNESCO” e il secondo l’organizzazione di una governance che tenesse conto delle diversità di cui sopra e mirasse a far lavorare insieme tutti gli enti e le organizzazioni che operano nei vari territori. Si è scelto di lavorare a rete affidando a ogni Provincia la responsabilità di un argomento di quella che dovrà diventare la Strategia di Gestione delle Dolomiti UNESCO: questo obbliga tutti gli interlocutori a dialogare tra di loro e con i territori, anche non propri, riconoscendone diversità e peculiarità. Quali sono gli obiettivi della Fondazione Dolomiti UNESCO e da chi è composta? La Fondazione, costituitasi per obbligo di legge da parte dello Stato Italiano e dell’UNESCO nel maggio 2010 e istituita dalle Province coinvolte nel riconoscimento, si pone l’obiettivo di assicurare il governo coordinato di un bene articolato sul territorio, come abbiamo

detto, di più realtà istituzionali, anche diverse per ordinamento. La Fondazione dunque, quale referente unico nei confronti dell’UNESCO, è garante attraverso i Report Triennali della coerenza tra la strategia di gestione generale e il mantenimento dei valori universali. La strategia di governance del bene Dolomitico si concentra su tre assi-indirizzi (Conservazione, Valorizzazione, Comunicazione) intorno a cui sviluppare il piano di coordinamento delle gestioni locali. La strategia è tesa a creare una rete di collaborazioni tra territori ed enti già competenti al governo dell’area Dolomitica, al fine di garantire l’efficacia e l’adeguatezza delle misure di protezione delle Dolomiti per la trasmissione dei valori UNESCO Estetico - Paesaggistici (criterio settimo) e Geologico Geomorfologici (criterio ottavo). Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione è composto dagli assessori delegati di ogni singola Provincia e il Consiglio Direttivo dai Presidenti delle Province e delle Regioni. Quali sono i progetti in atto? Attualmente tutte le risorse della Fondazione e delle Reti funzionali sono concentrate nella predisposizione di quegli strumenti conoscitivi che sono indispensabili per costruire un quadro unitario del Bene e che poi saranno la base di quella che è stata chiamata la Strategia di Gestione del Bene. La Rete dello Sviluppo Socio – Economico e del Turismo Sostenibile ha prodotto, in collaborazione con l’EURAC, un istituto di ricerca di Bolzano, tre studi:

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• Turismo sostenibile nelle Dolomiti. Una strategia per il Bene Patrimonio UNESCO; • Turismo sostenibile nelle Dolomiti, approfondimento dell’analisi. Report finale; • I Passi Dolomitici. Analisi del traffico e dei suoi impatti e proposte di misure di gestione. Ci sono risultati tangibili raggiunti in questi anni frutto dell’importante riconoscimento ricevuto? Allo stato attuale non è facile valutare le ricadute di questo riconoscimento, se non in una visione complessiva di tutto il Bene: alcuni primi dati empirici farebbero infatti pensare che qualche cambiamento sia già avvenuto (si sentono nuove lingue tra i turisti che percorrono i territori Dolomitici). Per ora si può comunque dire che la prima e più grossa ricaduta sia la riapertura di un dialogo, non solo amministrativo, tra i territori Dolomitici con il risultato che molte buone pratiche e saperi migrano da una provincia all’altra e, nello stesso tempo, tanti miti e modi di dire si stanno sgretolando davanti al confronto tra operatori e cittadini che ne popolano i diversi sistemi. Cosa sono i Dolomiti Days? L’iniziativa ideata è attuata dalla Provincia di Pordenone “Dolomiti Days - Settimana delle Dolomiti Friulane patrimonio dell’UNESCO”, e rappresenta il modo con cui la Provincia di Pordenone celebra l’anniversario dell’iscrizione delle nostre Dolomiti, assieme agli altri otto sistemi montuosi, nella lista dei beni UNESCO Patrimonio dell’umanità, avvenuta appunto il 26 giugno 2009 a Siviglia. L’iniziativa, ormai giunta alla quarta edizione, vuole condividere con le popolazioni locali le peculiarità di questo territorio montano, eccezionale nei suoi aspetti paesaggistici riconosciuti di eccezionale valore universale, ma anche nelle sue arti, nelle tradizioni e nei sapori. È anche il frutto di un impegnativo ma appassionante lavoro condiviso con le Amministrazioni locali, i Comuni di Cimolais, Claut, Erto e Casso, Tramonti di Sopra, Andreis, Barcis, Frisanco e Montereale Valcellina, il Parco Dolomiti Friulane e le varie Istituzioni ed Associazioni coinvolte. L’intento è quello di fare rete locale collegandola a quella più ampia delle cinque Province protagoniste di questa avventura (Belluno, Bolzano, Trento e Udine, oltre appunto a Pordenone) e sotto l’egida della Fondazione Dolomiti UNESCO. Le responsabilità che impone il riconoscimento UNESCO comportano una maggiore coscienza del territorio montano, un maturare consapevolezza e doveri a cui tutte le comunità sono chiamate a rispondere. Proprio per questo si promuovono, tra fine giugno e luglio, i “Dolomiti Days” in cui si alternano momenti di confronto, vedi i convegni tipo “Vivere in Montagna” a Tramonti nel 2012 e “Fare impresa in montagna” a Claut nel 2013, oppure quello di Erto, sempre nel 2013, che ha fatto il punto della situazione sugli aspetti geologici, geofisici e geomorfologici del Vajont (anteprima del Convegno mondiale che si

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è tenuto in autunno a Longarone); ad altri di carattere ludico-sportivo, vedi il raduno di canyoning a Claut; ad altri ancora di carattere musicale. Importante spazio viene anche dato all’arte contemporanea, in collaborazione con Dolomiti Contemporanee che gestisce il Nuovo Spazio espositivo di Casso, ricavato in quelle che erano le ex scuole elementari del paese e dove si sono svolte varie mostre di risonanza anche nazionale. Altri momenti importanti sono stati la serata evento, in collaborazione con la Fondazione Dolomiti UNESCO, in cui è stato possibile portare Philippe Daverio a Claut; ma si sono realizzati anche laboratori didattici per i bambini a Casso, come non vanno poi dimenticate le varie Mostre Fotografiche, in collaborazione con il CRAF di Spilimbergo, che caratterizzano l’offerta dei Dolomiti Days. Tra queste, particolare rilievo ha riservato quella dedicata al Concorso internazionale di Fotografia “la cartolina delle Dolomiti - premio Dino Buzzati”, cui hanno partecipato 652 fotografi da tutto il mondo con 2826 fotografie inviate. Oltre a questo ci sono tutte le iniziative escursionistiche e sportive che il Parco Dolomiti Friulane offre ai turisti, per non parlare di quelle che i Comuni stessi e la Comunità Montana del Friuli Occidentale già annoverano nel loro calendario estivo, dalle più genuinamente enogastronomiche a quelle legate alle arti e tradizioni locali. La Provincia svolge un ruolo di coordinamento e amplificazione dell’offerta che viene dal territorio: in sostanza questo evento cerca di favorire le relazioni tra le comunità ed i territori montani. Delle località del nostro territorio quali sono quelle che hanno “sfruttato” al meglio il riconoscimento UNESCO e in che modo? La Provincia di Pordenone sino ad oggi è stata attrice protagonista e presente nelle varie attività che riguardano il bene Dolomitico: l’auspicio è che tutto il lavoro sin qui prodotto venga mantenuto, nonché consolidato e ampliato da chi guiderà questo Ente per il futuro. Se dovesse fare un augurio per il futuro alle Dolomiti, quale sarebbe? L’augurio che mi sento di esprimere è la speranza che tutte le relazioni e le attività avviate con tutte le altre Province, anche al di fuori dei confini provinciali e regionali, proseguano con lo stesso spirito collaborativo-propositivo e di squadra, questo anche perché nell’anno 2016 ci sarà l’ispezione generale da parte dell’UNESCO per confermare o meno il riconoscimento a patrimonio dell’umanità delle Dolomiti, “le più belle costruzioni del mondo, un romanzo di rocce che hanno dato vita alla nascita della terra oltre 280 milioni di anni fa”. Il 2016 sarà anche l’anno in cui la Provincia di Pordenone (se esisterà ancora...), come da Statuto della Fondazione, dovrà assumere la Presidenza della Fondazione stessa per il triennio 2016-2019.


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PUNTO NEVE

Turismo a macchia di leopardo Tiene la neve formato famiglia

La Val Sughet innevata

testo di SANDRO DEL PUP foto di FERDI TERRAZZANI

Come andrà il prossimo inverno? Ecco un’analisi pragmatica della situazione, con il supporto del report di “Skipass Panorama Turismo”*, in equilibrio tra ipotesi, speranze e realtà. Con qualche buon auspicio per Piancavallo

Le

ultime notizie lette oggi prima di scrivere questo articolo riguardano l’ennesimo licenziamento da parte di una grande azienda, il probabile aumento dell’iva e l’allarme dell’UE per il debito pubblico italiano. In un momento in cui ogni notizia di carattere socio-economico sembra essere l’ennesima sferzata di disillusione, diventa un po’ difficile tentare l’analisi di un settore che negli ultimi anni ha già manifestato una chiara tendenza alla contrazione. Nel tentativo di non sbilanciarci verso un pessimismo fatalistico, né tantomeno verso un ottimismo schizofrenico, ci limiteremo ad analizzare la realtà con l’aiuto dell’annuale ricerca condotta da “Skipass Panorama Turismo” (Modena Fiere – JFC). Tranne poche chiare tendenze, quest’anno la ricerca riporta una situazione italiana molto complessa, a “macchia di leopardo”, con situazioni disomogenee tra le varie località (anche limitrofe) e, all’interno delle località, tra operatori

diversi. Ecco una sintesi dei dati più significativi. Inverno 2013-2014 positivo, nonostante tutto La scorsa stagione invernale ha dato segnali incoraggianti. A dichiararlo è l’indagine 2013-2014 di Skipass Panorama Turismo (Modena Fiere – JFC), che ha rilevato un andamento decisamente positivo dei primi mesi invernali rispetto all’anno precedente. Nel periodo che va da Natale 2013 all’Epifania 2014, il 50,7% dei operatori ha dichiarato un fatturato “stabile”, il 25,3% un fatturato “in crescita” ed il restante 24% un fatturato “in diminuzione”. In generale, il periodo natalizio ha fatto registrare un +3,7% di presenze e 1,6% di fatturato. Un po’ più complesso l’andamento del resto della stagione, con i flussi turistici nazionali in netta diminuzione, ai quali fa da contraltare l’incremento delle presenze straniere soprattutto da Russia, Polonia, Repubblica Ceca ed Ucraina.

In attesa di un segnale Gli effetti “dell’onda lunga” negativa dell’estate turistica montana non sembrano finiti. I dati di Skipass Panorama Turismo infatti descrivono una situazione di preoccupante “immobilismo” da parte delle stazioni turistiche, timorose di sbilanciarsi negli investimenti strutturali o nelle attività promozionali. E’ possibile quindi che l’unico settore di innovazione sia quello dei “servizi”, settore che comporta ovviamente investimenti minori rispetto al settore strutturale. Ma per la prima volta dopo diversi anni, gli operatori riducono il budget per gli investimenti promozionali, i quali saranno rivolti in prevalenza ai turisti stranieri, gli unici (a detta degli operatori) in grado di colmare il calo dei turisti italiani. Sempre meno lavoro Nell’inverno 2014/2015 il personale dipendente che lavorerà nel comparto della montagna bianca italiana nelle

*Lo Studio “Situazione Congiunturale Montagna Bianca Italiana Inverno 2014-2015 – Previsioni e Tendenze” è stato condotto da JFC srl per conto di Skipass Panorama Turismo nel periodo settembre/ottobre 2014, con rilevazioni dirette ed indirette. Skipass Panorama Turismo svolge la propria attività di Osservatorio nei confronti di un panel composto da 56 destinazioni montane italiane.

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Fiaccolata dei maestri di sci e, nel riquadro, prove di ginnastica artistica al Pala due

varie attività (ricettività, impianti di risalita, scuole di sci, ristorazione, pizzerie, bar, discoteche, società di noleggio attrezzature, etc.) sarà pari a 344.1609. Rispetto alla passata stagione invernale si prevede quindi una riduzione di 14.560 unità, pari al –4,1%, dato rilevante se si considera che negli ultimi due anni la riduzione è stata pari al -6,3%. Nel periodo inverno 2012/13 – inverno 2014/15 si sono persi, nel settore della montagna bianca italiana, ben 38mila dipendenti. Stranieri salvatori della (nostra) Patria Come dicevamo, dallo studio emerge una situazione a “macchia di leopardo” e l’intervista agli operatori ha riscontrato notevoli contrarietà: c’è chi si aspetta un incremento delle settimane bianche e (al contrario) chi ha aspettative solo dai weekend; chi indica che solo nel periodo di Natale e capodanno vi sarà il tutto esaurito e chi (al contrario) indica un netto miglioramento delle prenotazioni per i mesi di gennaio e febbraio; chi afferma di avere già diverse richieste di prenotazioni provenienti dall’estero e chi (al contrario) dichiara di non avere

ancora alcuna prenotazione. La situazione è di equilibrio instabile e ci fa comprendere come siano differenti le aspettative tra i vari territori e, all’interno dei medesimi, anche tra i vari operatori. Però su alcuni elementi gli operatori sono concordi: un’ulteriore leggera riduzione del mercato nazionale ed un incremento delle presenze degli ospiti stranieri, che lo scorso anno avevano già raggiunto quota 53,4% sul totale. Ma con una preoccupazione in più: il possibile calo del mercato russo, oggi condizionato dai delicati rapporti internazionali Russia-Europa e dalla svalutazione del Rublo. L’ottimismo sulla carta In questa situazione instabile, gli indicatori previsionali della stagione invernale 2014-2015 non possono comunque dirsi negativi. Skipass Panorama Turismo prevede un fatturato complessivo del “sistema montagna bianca Italia” intorno ai 9,9 miliardi di Euro. L’incremento

degli arrivi e delle presenze sarà simile: +3,2% per gli arrivi e +3,8% per le presenze, mentre il fatturato sarà di poco sotto al +2%. La differenza che intercorre tra l’incremento delle presenze e quello del fatturato è dovuta, in particolar modo, alla sempre agguerrita politica dei prezzi che gli operatori sono costretti a praticare per rimanere sul mercato, andando così a ledere – seppure in maniera lieve – la propria marginalità. Quelli che… sciare? No grazie Sono in aumento i turisti che vanno in montagna non per praticare uno sport, bensì per il semplice piacere di stare in montagna, per puro relax. Quindi, più gente sulla neve ma per leisure, per pranzare in un rifugio o trascorrere qualche ora alla terrazza-solarium. Se infatti

La segmentazione del mercato italiano in base alle discipline praticate (Skipass Panorama Turismo, Modena Fiere – JFC)

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I dipendenti del settore “montagna bianca” italiana (Skipass Panorama Turismo, Modena Fiere – JFC)

sciare è una passione per un numero comunque limitato di Italiani e stranieri, il “piacere” di un po’ di relax è un desiderio di tutti e la

La previsione dell’andamento dei prezzi per la stagione 20142015 (Skipass Panorama Turismo, Modena Fiere – JFC)

montagna è individuata quale luogo “attraente, rilassante e benefico”. Skipass Panorama Turismo calcola in ulteriori 780mila gli Italiani che sarebbero disposti – per la prima volta – a trascorrere un soggiorno nella “montagna bianca”, gustandone i piaceri (enogastronomici, di shopping, di relazioni sociali, di visita ai rifugi, etc.) senza però mettere mai gli sci ai piedi. Si calcola un nuovo fatturato di circa 268Milioni di Euro per quelle località montane italiane che saranno in grado di pensare alla “neve” non solo come “piste di sci”. Gli operatori sono avvisati.

l’identikit delle località che concentrano le loro attenzioni verso il target delle famiglie con bambini. Nascono così le destinazioni in Il fatturato di vendita sci+scarponi negli ultimi dieci anni si è quasi dimezzato, cui tutto è declinato su passando da 106 a 55 milioni di Euro (dati Pool Sci Italia, ottobre 2014) questo target: dall’hotel alle piste, dai ristoranti ai trattenimento dei bambini, con negozi, dall’animazione snowtubing, scivoli sulla neve, piste alle discipline sportive. I maggiori sforzi per slittini, gonfiabili, asili sci con sono concentrati in due settori: animazione, scuole di sci specializ- settore “ospitale”, i cui alberghi si zate, etc. strutturano con servizi dedicati ai Le stazioni organizzate in questo piccoli ospiti nelle camere ed al rimodo sentiranno in misura minore la storante, un’animazione professionacontrazione del mercato nazionale. In le, attività promozionale con offerte fatto di “child-friendly”, Piancavallo è speciali soprattutto per garantire spesso all’avanguardia, ma gli operatori ai bambini di poter sciare gratuitaesperti ed attenti sanno che c’è ancora mente; molto da fare. - settore “neve”, creando dei veri e propri “parchi” dedicati all’in-

Famiglie e bambini, baluardi del mercato interno Altitudini non eccessive, località di medie/piccole dimensioni, spazi vivibili. Questo può essere 19


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SOTTO LA LENTE

Tecnica libera tutti Lo sci è innanzitutto libertà d’espressione, nel rispetto e nei limiti delle leggi fisiche. La tecnica esiste solo sulla carta e si concretizza in mille modi diversi, a seconda degli attrezzi, della neve, del tipo di curva che intendiamo fare. Lo stile viene dopo

di SANDRO DEL PUP

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no sciatore dev’essere dotato di molteplici qualità: forza, equilibrio, agilità, coordinazione, intuito. Più sono sviluppate, più lo sciatore è bravo. Egli dovrà però tener conto del tipo di attrezzi che ha a disposizione: sci lunghi, corti, più o meno sciancrati, scarponi rigidi o morbidi,… Ma non basta. A complicare le cose c’è anche il terreno (più o meno ripido, più o meno accidentato) e la neve (soffice, compatta, ghiacciata,…). Dall’infinita combinazione di queste variabili nasce il gesto tecnico appropriato. Detto così, sembra una cosa logica. Ma a volte, anzi spesso, si crede che esista una ed una sola tecnica, un gesto fondamentale, un atteggiamento di base utile in ogni situazione. La tecnica viene banalizzata a presunti gesti fondamentali. Meglio sarebbe dire: a pochi “non gesti”, visto che spesso si crede di dover acquisire delle “posizioni” più che dei movimenti. Nella realtà invece, sciare significa non eseguire mai una discesa uguale all’altra, mai una curva uguale alla precedente, ogni momento è una nuova sintesi di equilibrio, ogni metro è la risultante di nuove forze, agenti e reagenti. LA TECNICA ESISTE? Si, esiste come “concetto”. La tecnica esiste come “adattamento dei movimenti ad un particolare scopo, in un particolare contesto, con l’uso di determinati attrezzi”. Dunque è un vero e proprio processo di accomodamento a molte variabili e alla fine ne scaturisce un movimento unico ed originale. Un esempio. Lo stesso sciatore, volendo fare una curva stretta, farà movimenti diversi a seconda che abbia uno sci corto o uno sci lungo. In pratica userà due tecniche diverse. E se lo stesso sciatore volesse eseguire la curva suddetta con scarponi diversi? O a velocità di avanzamento diverse? O su nevi o pendii diversi? Ogni condizione determinerà

La tecnica inconfondibile di Leo Gasperl. La necessità di un atteggiamento molto avanzato era dovuta agli sci molto lunghi e rigidi, alla scarpa molto bassa ed al tallone poco vincolato allo sci (“Introduzione al discesismo”, C. Mollino, ed. Mediterranea, 1950)

un’esecuzione tecnica diversa. In sostanza, se da un punto di vista teorico la tecnica è un concetto ben definito, da un punto di vista pratico la tecnica… non esiste. Ciò che si può fare, nel tentativo di semplificare l’analisi, è cercare di raggruppare le variabili principali. LE TANTE VARIABILI Le variabili ambientali: neve e terreno In un bel libro del 1950, l’architetto e Maestro di sci Carlo Mollino descriveva una “posizione di base” che però doveva essere adattata a molteplici tipi di neve.

A prescindere dalla posizione di base descritta, riporto uno stralcio dell’indice circa i tipi

In pista, lo sciatore che si è già garantito un buon equilibrio, può permettersi di tenere gli sci come vuole, anche uniti.

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Su terreno ripido è spesso necessaria una gestione perfetta delle inerzie di rotazione: da qui la necessità di controllare in modo opportuno busto e braccia.

di neve descritti: neve fresca, farinosa, leggera; neve pesante: bagnata, fresca o vecchia; nevi primaverili, fradice e pesanti; neve crostosa ventata e simile; neve battuta, di pista, gelata, ghiaccio verde, rotaie. Mollino descriveva una vera e propria declinazione della posizione di base in funzione di ogni tipo di neve: un lavoro di rara bellezza espositiva. Oggi, con le piste perfettamente battute ed uniformi, tendiamo a sottovalutare quanto il manto nevoso possa influire sulla Lo sciatore agonista ha sempre bisogno di una solida base di appoggio distanziando gli sci.

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meno flessibili, possono essere più o meno alti sulla gamba e possono anche deformarsi lateralmente. Le numerose combinazioni strumentali fanno sì che ogni sciatore abbia una situazione strumentale unica in un dato momento. Egli, quindi, sarà fortemente condizionato dagli attrezzi che ha a disposizione (e dal loro stato), i quali determineranno i limiti fisici di movimento dello sciatore. In altri termini: alcune esecuzioni tecniche sono concesse, altre no. E ciò che saremo in grado di imparare dipenderà necessariamente dall’attrezzatura, oltre che dalle nostre capacità. Le variabili finalistiche: l’obiettivo dell’azione Ogni tecnica è anche frutto dell’obiettivo che ci si prefigge. Una sequenza di curve a raggio corto determina una serie di inerzie diverse da una sequenza di curva a raggio lungo. Ed ancora: un raggio (lungo o corto) può avere archi diversi: aperto (profondo) oppure chiuso (arrotondato) Fuoripista è spesso necessario avvicinare gli sci (usando sci normali “da pista”). Come sui pendii ripidi, è spesso importante la direzione generale di avanzamento controllata da busto e braccia

nostra tecnica esecutiva. Ma tutti gli sciatori hanno ben presente la differenza tra la neve delle otto del mattino e quella delle tre del pomeriggio! La neve cambia di ora in ora e noi dovremmo essere pronti ad adattare la tecnica. Gli sciatori esperti lo sanno (gli scialpinisti in particolare): ogni volta che la neve cambia si dev’essere pronti a modificare l’incidenza degli spigoli, la posizione sui piedi, la distanza degli sci, il carico su uno o su due piedi.

in funzione del tempo che dedichiamo alla curva. Inoltre, tutte le citate situazioni sono fortemente condizionate dalla velocità di avanzamento. La tecnica cambierà quindi in funzione del tipo di raggio-arco-velocità. Il focus dell’adattamento si orienterà di volta in volta sul controllo delle inerzie di rotazione del corpo, sulla gestione degli sci in conduzione o in sbandata, ovvero sui movimenti di piegamento e distensione (a volte indispensabili, a volte inutili). Ed ogni obiettivo, ossia ogni intenzione di azione, necessiterà di un adattamento tecnico ad hoc. E’ il bello dello sci, sempre diverso da se stesso.

Le variabili strumentali: sci e scarponi Sci e scarponi influenzano pesantemente la tecnica esecutiva. Per fare un esempio banale: avete provato a correre con un paio di zoccoli di legno e poi con un paio di scarpe da ginnastica? Anche se non l’avete mai fatto è facile immaginare che sia impossibile eseguire gli stessi appoggi del piede, ottenere le stesse spinte, ecc… Tutto sarà diverso. Ciò che cambia è il tipo di vincolo tra scarpa e terreno e tra piede e scarpa. Nello sci, il vincolo tra sci e neve è ulteriormente diversificato dalla lunghezza dello sci, dalla sciancratura, dalla deformazione longitudinale e dalla torsione. Per non parlare dello stato delle lamine. Già a questo punto le variabili sono moltissime. Gli scarponi poi possono essere più o meno aderenti al piede, più o

TECNICA O STILE? Tecnica innanzitutto, nel senso già espresso prima e nel rispetto delle leggi fisiche. Lo stile viene di conseguenza. Quando abbiamo assolto al problema della fisica e della biomeccanica possiamo permetterci di “interpretare” la sciata a nostro piacimento. Ad esempio, se non ho problemi di equilibrio posso decidere di tenere gli sci uniti invece che distanziati, se non ho problemi di inerzie di rotazione posso permettermi di tenere busto e braccia dove mi pare. In sostanza, lo stile è tutto ciò che mi riesce di fare dopo che mi sono garantito l’equilibrio e l’obiettivo. Solo a quel punto posso dedicarmi all’espressività e alla creatività, “liberando” la tecnica dai movimenti inutili. Buone sciate a tutti!


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LE NOVITÀ DELLA STAGIONE 2014-2015

Dalla Sicilia per sciare a Piancavallo testo di PIERGIORGIO GRIZZO foto di FERDI TERRAZZANI

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all’Etna al Piancavallo inseguendo la neve. Perché se la stazione sciistica avianese ha le sue belle gatte da pelare in fatto di innevamento degli impianti (sempre risolte grazie allo zelo e alla professionalità del personale di Promotur), c’è anche chi sta decisamente peggio. Sul vulcano non nevica quasi più, così come sull’Aspromonte, tanto che il Comitato siciliano, in virtù dell’ottima accoglienza ricevuta l’anno scorso, ha già messo in programma anche per questa stagione invernale una decina di gare, sia di fondo che di discesa, all’ombra di cima Manera dal 9 al 14 marzo (in aggiunta anche lo svolgimento di un “modulo” per maestri di sci dello stesso comitato). Il che porterà sulle piste del “Pianca” non meno di un centinaio di atleti e tecnici provenienti dalla Trinacria, mentre dovrebbe aggiungersi anche il comitato calabrese. Siamo partiti dalla “nota di colore” di questo strano gemellaggio Etna – Piancavallo per raccontare delle tante novità all’orizzonte, che interesseranno la stagione invernale 2014-15. “In termini di strutture – spiega Enzo Sima, ormai storico direttore Promotur del polo sciistico di Piancavallo – abbiamo portato a compimento l’ultimo step verso la completa autonomia idrica della stazione: la realizzazione di un nuovo bacino, che raccoglierà le acque piovane provenienti dai palazzetti del ghiaccio e dello sport e dall’Albergo 1301. Quest’opera ci consentirà di garantire al meglio la funzionalità degli impianti di innevamento artificiale”.

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Originale gemellaggio tra Etna e Cima Manera: nel mese di marzo un centinaio di siciliani sulla neve pordenonese. Sima: “Con il nuovo bacino completa autonomia idrica per l’innevamento programmato�. Dal 20 al 22 febbraio evento clou con la tappa del mondiale Master di sci alpino. Snowboard e musica con la festa Snow Sonic

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Il lago è stato collocato vicino all’anello illuminato del fondo, che è stato a sua volta ampliato e dotato di impianto di innevamento. La sua fruibilità sarà da quest’anno portata a due serate settimanali, in giorni da concordare con i club che si dedicano allo sci nordico. “Per quanto riguarda le manifestazioni in calendario – riprende Sima – l’evento clou sarà

il ritorno della Fis Master Cup, una tappa del circuito mondiale riservato ai Master, prevista dal 20 al 22 febbraio. Una kermesse che si articolerà su gare di Gigante, Slalom e SuperG e che vedrà in lizza non meno di 500 atleti. Organizza lo Sci Club Sacile”.

Il 21 e 22 marzo sarà la volta della finale nazionale del “Trofeo delle Società”, di fatto il campionato italiano dei club che vedrà in gara Giovani, Senior e Master. Organizza lo Sci Club Monte Canin. Sima è anche membro del consiglio nazionale della Fisi, all’interno del quale è il responsabile della commissione snowboard. “Piancavallo – spiega - coltiva da anni una spiccata vocazione per la tavola da neve. Quest’anno ospiterà per la prima volta la nuova disciplina dello ski cross (ora anche nel programma olimpico), specialità che si ispira al boardercross dello snowboard, con i concorrenti che scendono appaiati, in quattro alla volta, ma che si pratica con gli sci da discesa. Il 14 e 15 febbraio, in

Sci alpino, sci nordico, snowboard: la neve per tutti i gusti e tutte le età

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occasione del Pinocchio sugli sci, si terranno i campionati regionali per le categorie dagli Allievi-Ragazzi in su e poi una tappa del circuito veneto e trentino”. Non mancheranno neppure gli eventi a metà strada tra lo sportivo e il mondano. Su tutti lo Snow Sonic, che ritorna a Piancavallo dal 6 all’8 marzo (epicentro, ovviamente allo Snow Park). La manifestazione, nata dall’idea di un

intrattenimento artistico e sportivo. Nel marzo del 2014 ha fatto registrare il sold out negli alberghi di Piancavallo e fino a fondovalle, riempiendo la cittadina di giovani che per tre giorni hanno popolato le piste da sci, gli alberghi, i ristoranti e i locali. “Lo Snow Sonic – spiegano gli organizzatori - vuole continuare ad essere una fonte di divertimento, ma si vuole contraddistinguere

Il nuovo bacino per la raccolta dell’acqua piovana tra Palaghiaccio e Hotel 1301 Inn

gruppo di amici, appassionati di snowboard, musica e street art, ha come obbiettivo la promozione di un nuovo look della montagna, più giovane ed accattivante, attraverso proposte musicali e varie forme di 28

per la qualità musicale. Per questo ha sempre voluto proporre artisti conosciuti a livello internazionale, ai quali si affiancano i creativi della street art con il live painting ed altri spettacoli o flash mob.

CARNEVALE CON PINOCCHIO Grande appuntamento sulle nevi di Piancavallo il 15 febbraio 2015 quando scenderanno in pista oltre 400 ragazzi per la selezione regionale del Trofeo Pinocchio sugli sci. “Si va dalla categoria Baby, 10 anni, fino agli Allievi, 14 anni - spiega Elena Predieri, presidente dello Sporting Piancavallo che organizza da sempre la manifestazione - Di questi 10 femmine e 14 maschi accederanno alla finale dell’Abetone in programma nel mese di marzo”. Per il Pinocchio si tratta della 34esima edizione, un vero e proprio record di longevità per il grande happening ideato da Giancarlo Predieri e Giancarlo Giannini, allora presidente dell’Agenzia di Promozione Turistica di Pistoia. “Si incontrarono a Londra in una fiera di settore - ricorda Elena - decisero di dar vita a una manifestazione giovanile in memoria di Collodi, l’autore del personaggio di Pinocchio. Fu subito un successo a livello nazionale, grazie alle seguitissime selezioni regionali. Lo spirito è sempre rimasto quello della promozione sportiva”.




SICUREZZA

È qui la neve più sicura di FEDERICO STELÉ

Piancavallo è una delle stazioni sciistiche italiane con il minor numero di incidenti in pista rispetto al numero di passaggi. L’82% sono cadute accidentali. Il 44% si verificano nella fascia oraria 10-12 La stagione invernale 2013-2014 ha visto intervenire i soccorritori e pattugliatori FISPS nella stazione di Piancavallo, per 93 volte, ricordando che il tempo atmosferico ha molto condizionato le aperture del polo e che conta uno dei più bassi coefficienti tra incidenti in rapporto ai passaggi in tutta Italia. Dalle nostre statistiche emerge che per ben 76 volte si è trattato di caduta accidentale ovvero l’82%! Nella maggioranza dei casi il soccorso necessita di un invio in pronto soccorso o in ambulatorio. Le fasce orarie in cui si verifica un picco degli incidenti è dalle 10 alle 12 (circa il 44%) e dalle 13 alle 15 (circa 30%). Ma allora sci e snowboard sono sport pericolosi? Se si consultano i dati nazionali offerti dall’Istituto Superiore della Sanità, dei 12.000 infortuni acquisiti dal Sistema di Sorveglianza SIMON, la maggior parte è senza gravi conseguenze, in linea per di più con la media di incidenti che si verificano in altri sport praticati all’aria aperta. Come pattugliatore Fisps voglio aggiungere un’altra serie di considerazioni, affermando a voce alta che lo sci è gioia, relax e contatto con la natura. Bisogna tenere ben presente che, come molti altri sport, anche lo sci diventa pericoloso, se non viene esercitato nei luoghi e nei modi corretti. E’ infatti il comportamento scorretto delle persone ed il mancato rispetto delle leggi e normative che ne determinano la pericolosità. Altri rischi connessi sono la scarsa consapevolezza dei propri limiti tecnici e fisici, la scarsa attenzione alla segnaletica presente e la scarsa capacità di muoversi in un ambiente dinamico. Troppo spesso c’è ignoranza da parte della persona che affronta le piste, sul decalogo della sicurezza secondo le norme dettate dalla Federazione Internazionale Sci: quali ad esempio il

rispetto per gli altri sciatori, la padronanza della velocità, la scelta della direzione, il sorpasso, la sosta… Rispettare la segnaletica è importante, come pure prestare soccorso in caso di incidente. In quest’ultimo caso avvicinate la persona a terra e chiedete se ha bisogno di aiuto, fermate un altro sciatore e chiedetegli di avvisare un operatore della stazione, fornendo indicazioni precise sulla pista in cui si è verificato il problema. Saprà lui come allertare gli uomini del soccorso. E’ consigliabile praticare lo sci cercando anche di essere in buona forma fisica. E’ molto imprudente lanciarsi sulle piste senza un adeguato allenamento. Chi si mantiene in forma durante tutto l’anno non avrà problemi, mentre per chi non è abituato all’attività fisica il consiglio è quello di fare un po’ di presciistica. Anche l’attrezzatura ha la sua importanza e non è da trascurare: prima di partire per le cime innevate fate un inventario di tutte le cose necessarie, sostituite quelle vecchie o rovinate in base alle norme di sicurezza. Controllate o fate controllare gli sci e gli attacchi in un negozio specializzato dove verranno regolati in base alle vostre esigenze e capacità sciistiche. Lamine arrugginite non vanno bene! Infine, piccoli e preziosi consigli per i genitori che accompagnano i propri figli: avendo meno massa corporea degli adulti soffrono maggiormente le temperature basse e gradiscono sganciare gli sci dagli scarponi per ritrovare un po’ di tepore in un rifugio e in una cioccolata calda. Nessuna obiezione, dunque, deve essere mossa dai genitori innanzi alla richiesta di una pausa da parte dei bambini. Questo li porterà ad avere un rapporto più sereno con lo sport, che non deve essere costrizione, bensì puro divertimento.

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PRIMA NEVE

Su Nevelandia c’è sempre

un sole che ride Il parco giochi sulla neve è un vero fiore all’occhiello dell’offerta turistica di Piancavallo. Divertimento assicurato per le famiglie ma anche avvicinamento graduale al mondo della neve e degli sport invernali nella massima sicurezza foto e testo di FERDI TERRAZZANI

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Nevelandia anche per quest’inverno le previsioni danno in quota esplosioni di felicità di bimbi che si divertono sulla neve. Cosa c’è di meglio nella vita nel vedere un bimbo sorridente? Nel mondo fantastico di Nevelandia nel periodo invernale è la norma percepire tra i numerosi giochi, immersi nella suggestione della neve e baciati dal sole, la felicità dei bimbi. Un luogo incantato dove la famiglia intera incontra la natura. Un’area in località Collalto, completamente ristrutturata e modificata in un attrezzato parco giochi sulla neve concepito per bambini e famiglie; un vero fiore all’occhiello della stazione sciistica di Piancavallo. Momenti di sano divertimento per i più piccoli e di relax per i genitori

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L’APPELLO DEL MAGO UNTRA!

Tutto è pensato per il massimo divertimento dei piccoli, senza mai scordare l’aspetto della sicurezza, preminente per il direttore tecnico di Promotur-Piancavallo Enzo Sima. Nevelandia è stata ideata allo scopo di realizzare un graduale avvicinamento al mondo della neve e dello sci. La sua configurazione è il prodotto di un quarto di secolo di esperienza nella gestione dei bimbi, della loro crescita psicomotoria, del loro divertimento. Nata per permettere ai piccoli di fare i primi passi sulla neve in completa sicurezza ed armonia con l’ambiente circostante, nel corso degli anni si è sviluppata ed ha ampliato i propri orizzonti. I frequentatori di questo parco ora possono passare, grazie alla dotazione di un tappeto corto ed uno lungo, dalle prime esperienze

con gli sci alle curve e alle prime gobbette ed i primi “saltini” controllati. Tutto questo sotto la supervisione dei maestri della Scuola sci Aviano Piancavallo, ideatrice del parco, che ha una sede in zona. Nel lato occidentale della pista i piccoli si cimentano con le tavole da snowboard e, anche per questa disciplina, l’area è perfetta. Il lato orientale invece è riservato a tutte le varianti della vecchia slitta: bob, snowtubing, scivolamenti vari. I “gattisti”, gli operatori della neve, di Piancavallo si sbizzarriscono quotidianamente ad allestire piste di varie dimensioni con paraboliche, gobbe, montagne russe che permettono il massimo del divertimento in sicurezza. Sul versante meridionale troviamo le baby-piste, spazi per tutte le tipologie: dalle mamme alle neomamme, alle nonne, tutti

Nevelandia offre la possibilità di osservare i piccoli che gioiscono solo per il fatto di essere in mezzo ad un mare di neve, con l’opportunità di scorrazzare in lungo ed in largo senza freni. Nevelandia è un mondo bellissimo, dove la famiglia ritrova il piacere di stare insieme. Mamme e papà accompagnate i vostri figli a respirare aria fresca e pulita, a rigenerarsi dallo smog accumulato in settimana! Non fatevi frenare da una nuvola o da previsioni di tempo incerto. A Nevelandia c’è sempre il sole: è la luce che brilla negli occhi dei bimbi felici e riscalda tutti. Un abbraccio dal mago Untra

sono attratti dai più piccoli che sperimentano le prime emozioni sulla neve cavalcando le slitte di gomma, i giochi, i gonfiabili, la tenda indiana e il pungiball. Ovviamente a Nevelandia i problemi non mancano e sono tutti concentrati nell’orario di chiusura serale dell’impianto. I bimbi non ne vogliono sapere di interrompere i giochi, un vero “problema” per i gestori che per evitare “sommosse” sono ben felici di mediare!

Nevelandia, le magie del mago UNTRA

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L’INTERVISTA

Ciaspole, che passione!

Piancavallo non è solo la palestra a cielo aperto per eccellenza. È anche il luogo dove gustare la natura immergendosi in ambienti incontaminati e panoramici. Le ciaspole sono un “mezzo di trasporto” ideale. L’offerta di “ciaspolate” organizzate, diurne e notturne, è molto ricca

testo di SABINA TOMAT foto di FERDI TERRAZZANI

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ltre allo sci e alle classiche attività invernali, le ciaspolate più di tutte sono le attività che appassionano sempre di più giovani e meno giovani, famiglie, singoli, comitive, bambini. É un’attività che permette uno stretto contatto con la natura alla portata di tutti. Incontriamo Franco Polo, guida naturalistica, escursionistica ed ambientale nonché socio fondatore dell’Associazione Guide Dolomiti Friulane.

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Scorci mozzafiato sulla pianura pordenonese e sulle montagne circostanti: il premio per la fatica dei ciaspolatori

Franco Polo ha fatto proprio di Piancavallo una delle sue basi preferite per uscite organizzate con le ciaspole. Assieme al collega Giovanni Bertagno propone ogni anno un ricco calendario di iniziative per tutti i gusti e le esigenze. Franco, da dove viene questa tua passione per Piancavallo? Appassionato dell’ambiente invernale

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da sempre, nel 2003 ho scoperto la progressione con le racchette da neve che apre a tutti la possibilità di scoprire l’ambiente affascinante e magico dell’inverno montano. Tanta era la passione che ho deciso da subito di inserirlo nei miei programmi anche professionali, proponendo itinerari facili, alla portata di tutti, e soprattutto lontani

da pericoli oggettivi. Mancava solo il terreno ideale dove praticarlo con sicurezza, così tra ricerche e prove nel 2008 sono approdato a Piancavallo e ho scoperto un ambiente ideale per proporre delle uscite in ciaspe in tutta sicurezza. Qual è la particolarità della nostra località rispetto ad altre?


Piancavallo si presta per la sua accessibilità e per la sua biodiversità alla pratica delle racchette da neve, vuoi per la vicinanza ai centri e alle città, vuoi per l’abbondanza di neve che qui non manca in nessun inverno. É il terreno ideale per scoprire l’ambiente invernale in tutta sicurezza, soprattutto per il grande pubblico e per l’esigenza di natura che qui c’è. Sbaglia chi vede Piancavallo unicamente come centro in cui si pratica lo sci. Il centro offre anche molti itinerari alla scoperta dell’altopiano del Cavallo. Chi viene a ciaspolare qui ritrova i ritmi perduti della foresta e i panorami aperti verso il gruppo del Cavallo, le Dolomiti Friulane e la pianura fino al mare. Cosa c’è in programma per la stagione invernale 2014-2015? Programmi personali si intersecano con il calendario di Turismo Fvg. Anche quest’anno ad iniziare dal 21 di dicembre proponiamo diversi tipi di ciaspolate. La classica ciaspolata diurna, di 3 o 4 ore, adatta per

conoscere i luoghi più reconditi dell’altopiano del Cavallo e della foresta. Più brevi, ma non meno interessanti, le ciaspolate che si effettuano al crepuscolo, dove si scoprono la varietà dei colori e come tutto muta con il gioco delle luci. Per chi poi volesse scoprire la vita notturna degli animali e le sensazioni che la notte invernale può dare, le ciaspolate notturne sono sicuramente quelle che regalano le maggiori emozioni. In un paio d’ore è possibile vivere la magia della notte innevata e, se si è fortunati, seguire le ombre della luna che quassù crea impagabili giochi di luce. Quali sono le iniziative di maggior richiamo? L’anno scorso abbiamo introdotto la “Ciaspole 24 Ore”: dal 21 dicembre al 6 gennaio (giorno di Natale escluso) c’è l’opportunità di provare le ciaspole a tutte le ore, tutti i giorni, dalle 10 alle 22. Le uscite avvengono in tre fasce orarie: al mattino dalle 10 alle 14, al pomeriggio dalle 15 alle 18 e in notturna dalle 20 alle

22. Sicuramente un buon modo per venire incontro a tutti e per contribuire ad animare la località. Collaborate anche con le attività ricettive di Piancavallo. Certo. Tra le tante, abbiamo ad esempio l’iniziativa “Ciaspolata con cena”: dopo l’uscita ci si ritrova tutti a mangiare assieme per scambiarsi idee ed impressioni e, ovviamente, degustare ogni volta specialità diverse. Qualche iniziativa per i più piccoli? Con l’aiuto di esperti educatori abbiamo in programma eventi che coinvolgono le scuole. Spieghiamo la neve ai più piccoli in modo inedito e divertente, istruendoli su come è fatta e sui pericoli che si incontrano frequentando l’ambiente invernale. Il tutto ovviamente su terreno sicuro. Per info ed altro si può contattare il 334-8149598 oppure il 335 5269762 o consultare il sito www. mountainsharing.com, dove si potrà trovare queste ed altre iniziative buone per tutte le scarpe.

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INTRATTENIMENTO

Un inverno di sport, emozioni e divertimento Un ricco programma di iniziative per tutti, quello della Cooperativa 1265 per questa stagione invernale Ogni Lunedì Pattinaggio su ghiaccio assistito Una persona esperta assisterà i principianti in modo attivo e dinamico Ogni Martedì e Giovedì Sci nordico in notturna Con assistenza gratuita di un maestro di fondo Ogni Mercoledì NEVELANDIamoci Nevelandia aperta fino alle 19:00 Winter Nordic Walking Passeggiata su itinerari non impegnativi (max 2 ore) con intermezzo enogastronomico Ogni Giovedì WeakMilk Suggestiva fiaccolata seguita da fuochi artificiali e festa con dj nei locali sulle piste Ogni Venerdì GARone Gara dedicata a coloro che hanno fatto i corsi di sci settimanali ma aperta anche ai turisti, con una formula innovativa che alterna una discesa su un tracciato “tradizionale” ad attività quali ad tiro al bersaglio e corsa con le ciaspole Inoltre Tutti i giorni durante le vacanze scolastiche (Natale, Carnevale, Pasqua) e tutti i week end (sabato e domenica) Miniclub Miniclub con baby sitter dalle 17:00 alle 19:00 e dalle 20:30 alle 22:30 Palasport Apertura del Palasport nei pomeriggi (anche al mattino in caso di maltempo) con utilizzo gratuito delle strutture al suo interno, dai campi di basket, pallavolo, calcio a 5, alla palestra di bouldering, alla palestra pesi, ai tappeti elastici propedeutici al freestyle e allo snowboard.

Giornate speciali CAPODANNon ice Festa di capodanno sul ghiaccio con animazione e musica con DJ SCIaGRATIS A inizio stagione (circa metà dicembre) una giornata nella quale gli ospiti possono cimentarsi al loro sport (fondo, sci, snowboard) a costo zero! Si offre ski pass, maestro, noleggio, attrezzatura. Altre iniziative Presso le attività ricettive di Piancavallo sarà inoltre possibile vivere divertenti serate in compagnia all’insegna di musica, animazioni e naturalmente buona cucina. La Genzianella propone tutti i sabati sera musica dal vivo. Inoltre il 7 e 8 marzo SnowSonic in collaborazione con Asd Fwdmotion. Sempre presso La Genzianella, da venerdì 13 a domenica 15 marzo 2015, il tradizionale appuntamento con “Shark in the Mountain”, con la collaborazione dello Chef Daniele Valmarin dell’Hosteria ai 3 Magnoni di Trieste. Tutti i giovedì sera, infine, fiaccolate in collaborazione con Piancavallo 1265. Al termine della discesa, festa con dj e vin brulè per tutti. Baita Arneri e Rifugio Val dei Sass propongono un super inverno all’insegna dell’allegria, con cene in alta quota a base di piatti tipici e specialità di pesce (rinomato ormai il pacchetto cena+seggiovia), nonchè animazioni speciali per bambini in collaborazione con Zero13 Ski Team. Roncjade offre, nei suoi rinomati spazi ideali per grandi gruppi, ogni sabato sera e durante le Feste, cene a base della miglior carne alla griglia e a seguire dj set. In tutti gli altri locali iniziative con musica e animazioni per tutti i gusti. Info: Cooperativa Piancavallo 1265 Via Barcis 5, Piancavallo Tel/Fax: +39 0434 655586 cooperativapiancavallo1265@gmail.com

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PATTINAGGIO

Una pattinatrice della nazionale russa

Estate ghiacciata foto e testo di FERDI TERRAZZANI

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iancavallo ha vissuto dal 15 giugno al 6 luglio 2014 venti giorni da “brividi” grazie alle evoluzioni della nazionale russa di pattinaggio su ghiaccio. La località turistica ha ospitato, oltre ai campioni del team russo composto da 26 persone, anche la gemma più pregiata del pattinaggio artistico su ghiaccio russo e mondiale, l’oro olimpico invernale di Soci 2014: Adelina Sotnikova. Piancavallo è stata scelta dalla formazione sovietica di pattinaggio su ghiaccio per gli allenamenti estivi in preparazione alle gare invernali. In una

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conferenza stampa di benvenuto alla presenza del vicepresidente delle regione FVG Sergio Bolzonello, dell’assessore al Turismo del Comune di Aviano Carlo Tassan Viol e del presidente delle Cooperativa 1265 Piero Toffoli sono stati illustrati i programmi d’allenamento, di preparazione atletica, le modalità di valutazione delle performance sportive, l’alimentazione seguita dagli atleti nonché le visite effettuate dal team sul territorio. Bolzonello nel suo intervento, si è espresso sottolineando l’importanza dell’evento: “Siamo onorati di ospitare qui in Friuli Venezia

Adelina Sotnikowa alle prese con un selfie

La nazionale russa di pattinaggio su ghiaccio l’estate scorsa si è allenata al PalaPredieri. Grande entusiasmo per l’esibizione dell’Oro olimpico di Soci Adelina Sotnikova


Adelina durante l’esibizione al Pala due; nel riquadro con Giorgio Busetto

Foto ricordo della delegazione russa con Igor Andreev e Mario Sandrin

IGOR ANDREEV: IL GIOCO DI SQUADRA HA FUNZIONATO “Collaboro con la Federazione russa di pattinaggio artistico dal 1996 e ogni anno organizzo degli stage in Trentino – spiega Igor Andreev, noto allenatore e giudice di origini russe residente a Vajont – Inizialmente la richiesta era stata rivolta a Cortina ma l’indisponibilità di quest’ultima ha aperto una grande opportunità per Piancavallo che l’ha saputa cogliere e sfruttare. Ciò è potuto accadere grazie al gioco di squadra di persone che amano la montagna pordenonese, come il commercialista pordenonese Giorgio Busetto che ha avuto un ruolo fondamentale nel curare gli aspetti contrattualistici. Sapevo che Piancavallo avrebbe ben figurato perché ho lavorato nella località dal 1995 al ’98, quando c’era ancora Giancarlo Predieri che mi aveva voluto come responsabile dell’allora nuovo palaghiaccio. Le potenzialità e il know how ci sono per organizzare iniziative di alto livello. Bisogna crederci”.

Giulia una nazionale di così alta caratura. Fare sport significa fare turismo e la presenza di personaggi illustri fa da traino per tutto il territorio, in questo caso in particolar modo per Piancavallo che ha tutte le carte in regola per accogliere queste iniziative. Bisogna riportare la località al centro di alcuni percorsi significativi e questo rappresenta lo spunto giusto per costruire un pacchetto turistico legato al ghiaccio in regione. La pista di pattinaggio è di ottimo livello, come ha assicurato la giovane campionessa olimpica e l’opportunità di vedere da vicino campioni dello sport internazionali negli allenamenti aperti al pubblico e gratuiti di Adelina Sotnikova, arricchiscono l’offerta della località e possono costituire per il turista una forte motivazione nella scelta della propria vacanza”. Adelina Sotnikova, minuta nella vita di tutti i giorni ma imperiale quando scende in pista, ha festeggiato con sobrietà con i “colleghi” in Piancavallo un traguardo importante, i suoi diciotto anni. Nel penultimo

giorno di ritiro il 4 luglio la formazione russa ha messo in scena la tanto attesa esibizione in anteprima mondiale del programma agonistico della prossima stagione invernale. Un evento al quale un migliaio di appassionati non hanno voluto rinunciare. Una vera ovazione ha accolto l’entrata di Adelina, l’intera esibizione è stata accompagnata dall’entusiasmo del PalaPredieri ma anche di: Maxim Kovtun, campione russo in carica, numero 4 al mondo, Artur Gachinski, bronzo ai Mondiali 2011, Zhan Bush, quarto all’Universiade invernale “Trentino 2013”, Aleksander Samarin, numero 4 in Coppa del mondo junior e altri atleti della Cska di Mosca, allenati da Elena Buianova Vodorezova e Svetlana Sokolovskaya. Anche in questa occasione il polo turistico avianese, con la professionalità dei suoi operatori, ha saputo coniugare lo sport al turismo dimostrando che Piancavallo ha tutte le carte in regola per ospitare eventi di questa portata. 41


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NOVITÀ

Scivolare che passione! Un nuovo punto di riferimento per gli appassionati degli sport del ghiaccio: è nata l’Associazione Ghiaccio Pordenone. Sede di allenamento e attività il PalaPredieri di Piancavallo

di FLAVIO MARIUZZO

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ordenone riscopre gli sport del ghiaccio. Su iniziativa di Flavio Carlini, imprenditore trentanovenne di Fontanafredda, e di sua moglie Elisa Battistutta è nata l’Associazione Ghiaccio Pordenone, affiliata alla Libertas. L’obiettivo del neonato sodalizio è quello di coltivare i molti segnali di attenzione registrati a livello amatoriale e farli crescere in modo organizzato offrendo un servizio a chi vuole avvicinarsi al pattinaggio artistico, allo short track e all’hockey su ghiaccio. Eccezion fatta per le attività svolte in Valcellina sulla piastra di Claut, per il pubblico pordenonese si tratta di una novità, che avrà come punto di riferimento e sede di allenamento e gara il PalaPredieri di Piancavallo.

“Le prime manifestazioni di interesse le abbiamo avute l’inverno scorso – spiega Flavio Carlini – Con degli amici mi recavo a Piancavallo a giocare a hockey a livello amatoriale. Un po’ alla volta mi sono reso conto che il giro intorno a noi stava crescendo: avevo una sessantina di numeri di telefono da contattare per ritrovarci. Allora mi sono chiesto: perché non dar vita ad un’associazione sportiva che possa costituire un punto di riferimento per questi appassionati?”. “In definitiva – continua Carlini – quello che ci ha portati alla creazione dell’associazione è la passione che abbiamo per questa disciplina. Abbiamo visto adulti iniziare per gioco a pattinare e appassionarsi moltis-

simo fino a partecipare alle gare di Oberdorf. Abbiamo visto adulti che non sapevano stare in piedi sui pattini ma volevano provare a giocare a hockey, impegnarsi e divertirsi, e alla fine pattinare e giocare. Vogliamo che questo sia la norma anche a Pordenone e che non si debbano fare centinaia di chilometri per praticare uno sport così bello”. “Due anni fa io e altre tre persone ci trovavamo a Piancavallo alle 7 di mattina per giocare a hockey, proprio giocherellare. Lo scorso anno abbiamo chiesto se era possibile avere l’orario dalle 12 alle 13.30 e ci è stato dato. Molti ci vedevano entrare, chiedevano di provare, e via! Al pari Elisa pattinava e la gente chiedeva come si faceva e... chi riesce a dir di no!”. “L’interesse per questo sport c’è da parte della gente, manca chi riesca a farlo praticare in maniera continuativa. Purtroppo le difficoltà di sono, la pista è aperta solo pochi mesi all’anno, ma speriamo che avendo atleti sia possibile allungare questo periodo. In fondo a Padova hanno fatto lo stadio del ghiaccio ed è aperto da Settembre a Maggio!”. Al momento le attività dell’Associazione Ghiaccio Pordenone si concentreranno su pattinaggio di base (adulti e bambini), pattinaggio progressione (adulti e bambini), hockey amatoriale adulti e corso natalizio. Intanto, per il 3 gennaio è stata organizzata una manifestazione con musica dal vivo e partecipazione di pattinatori di alto livello al PalaPredieri. Per informazioni e iscrizioni: tel. 388 8564065 – agpasd@gmail.com 43


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CURIOSITÀ

L’epopea del ghiaccio targato Zanussi L’Hockey Cortina Rex conquistò il titolo di campione d’Italia nel 1964, ’65 e ’66. A rappresentare la Zanussi nella dolce vita della Perla delle Dolomiti il giovane Alvaro Cardin

di CLELIA DELPONTE

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ndustria, montagna e sport. È stato un connubio riuscito, quello tra la Zanussi, Cortina e gli sport invernali durante gli anni Sessanta, nato sull’onda dell’entusiasmo delle Olimpiadi Invernali, svoltesi nella perla delle Dolomiti nel 1956. La Zanussi sponsorizzò col proprio marchio Rex la Sportivi Ghiaccio Cortina, che comprendeva la squadra di hockey, il pattinaggio artistico, il pattinaggio di velocità e il bob. La squadra di Hockey Cortina Rex conquistò il titolo di campione d’Italia nel 1964, nel 1965 e nel 1966. E si distinsero anche Sandra Brugnera, campionessa di pattinaggio artistico originaria di Venezia e Renato Deriva, campione italiano di pattinaggio di velocità che conquistò 31 titoli gareggiando su diverse distanze dal 1958 al 1968. Erano gli anni in cui si facevano le prime campagna pubblicitarie (tra cui quella ideata da Arsenio Scalambrin con il galletto che scappava dal frigorifero) e la Zanussi volle sposare gli sport invernali cortinesi. A rappresentare la Zanussi durante le varie manifestazioni a Cortina era il giovanissimo Alvaro Cardin allora collaboratore dell’ufficio Pubbliche Relazioni e Comunicazione dell’azienda. L’incontro più interessante fu quello con Sylva Koscina, che era una frequentatrice di Cortina e anche un’appassionata di

sport invernali. “Abbiamo assistito assieme – racconta Cardin, che la ricorda al centro delle attenzioni di tutti, vestita di chiaro con tessuti elaborati – a qualche partita allo stadio del ghiaccio. In una occasione eravamo seduti a fianco sulla panchina: io, lei e Guido Zanussi. Quando le scivolò in terra la coperta tutti si precipitarono a raccoglierla, ma il più lesto fu proprio Guido Zanussi, che gliela sistemò con gesto galante e un po’ birichino”. E c’è anche un altro aneddoto simpatico relativo a quella esperienza che comprendeva party e feste in un’atmosfera spensierata. “In un articolo uscito sul Gazzettino di Belluno – ci confida Alvaro Cardin divertito – nel riferire le mie parole ad un incontro pubblico, le attribuirono al dott. Alvaro Cardin. Lino Zanussi, persona estremamente rigorosa, quando tornai a Pordenone mi convocò nel suo ufficio, chiedendomene conto”. Questo fu il dialogo che si svolse tra noi, risolvendosi con un sorriso. “Ciò Cardin, no te son miga laureà?”. “Vede, qualcuno per laurearsi ci mette 5 anni a Padova. Io ci ho messo 5 giorni a Cortina!”.

Alvaro Cardin negli anni ’60 una giovane Sylva Koscina a Cortina e la squadra di hockey su ghiaccio sponsorizzata Rex

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SOTTO LA LENTE

Un giorno da pastore Da mestiere antico a professionista della montagna. Oggi l’eroe senza tempo che accompagna mandrie e greggi deve rispettare gli standard della produzione industriale, ma nella giungla del mercato il valore aggiunto del prodotto di malga viene poco tutelato e valorizzato testo di MAURO FRACAS foto di FERDI TERRAZZANI

La

letteratura e l’arte ce li mostrano immersi in paesaggi bucolici intenti a declamare idilli e a modulare “canti silvestri sul flauto sottile”, ma la loro realtà è ben diversa. I pastori, infatti, sono professionisti della montagna quotidianamente alle prese con le inclemenze della natura e con i meccanismi ancora più spietati della globalizzazione. Quello che doveva essere un incontro volto a ripercorrere il diario quotidiano di chi ancora pratica un mestiere antico, come Carlo Tassan, si è trasformato presto nello sfogo amaro di chi si sente oggetto di troppe promesse non mantenute. “La nostra situazione sta diventando ogni giorno meno sostenibile. La stampa ci celebra come eroi senza tempo, mentre il sistema economico ci lascia dei margini perché non rispettiamo gli standard della produzione industriale”. Per fortuna, non li rispettate... Quella industriale è una produzione seriale, mentre la vostra è ancorata a modalità, tempi e luoghi ben specifici. “Quella industriale è anche una produzione artificiale in ogni suo aspetto. Faccio un esempio: quanta carne di importazione proviene da paesi dove l’uso di estrogeni è consentito? Si tratta di 46


ormoni che accelerano in modo innaturale l’accrescimento della massa corporea di un animale, eppure nel giro di due giorni non vengono più rilevati dalle analisi e dunque la carne che è frutto di questo trattamento viene ritenuta commercializzabile. È ancora propriamente carne di mucca quella in cui l’animale viene nutrito da mangimi artificiali, gonfiato da ormoni e vive confinato in un box per il corso della sua esistenza? Eppure ha dalla sua un sistema

economico che muove ingenti interessi e... il cartellino del prezzo”. Non avete un vostro pubblico di estimatori? Buongustai che hanno una cultura gastronomica e che sanno apprezzare la peculiarità dei vostri prodotti. “Le aspettative nei confronti del cibo sono cambiate. Fino a pochi decenni fa si comprava un prodotto perché era sano e buono, perché eravamo ancora gli eredi di una cultura rurale un tempo dominante. Adesso si acquista un alimento perché è

pronto subito ed è economico. Abbiamo industrializzato non solo la produzione, ma anche il consumo del cibo. Prodotti di origine sconosciuta hanno esiti imprecisati sul nostro organismo. Ci preoccupiamo di respirare aria salubre ed ingeriamo inquinanti dal sapore contraffatto”. L’accresciuta consapevolezza ambientale non vi aiuta? “L’educazione alimentare adesso la fa la macchina pubblicitaria, alla quale abbiamo ben poco da contrapporre. Ci servirebbero dei canali paralleli di promozione e distribuzione che tengano in considerazione, anche dal punto di vista economico, il valore aggiunto conferito dal fatto di essere prodotti di malga”. Questo presupporrebbe un intervento più ampio, comprendente non solo la sfera economica ma anche quella istituzionale. Come si stanno evolvendo i rapporti da questo punto di vista? “Vi è stata ultimamente una rivalutazione delle malghe come centro di attrazione turistica, il che non risolve di per sé il problema economico. Una via delle malghe dovrebbe essere anche una via del gusto, aperta alla degustazione e all’acquisto. Tuttavia qui nascono problemi, perché la nostra attività è stata sottoposta ad una serie di vincoli, quali l’installazione di potabilizzatori o l’allestimento di zone refrigerate che accrescono gli oneri ed il rischio di impresa senza contropartite significative”. Val ancora la pena allora intraprendere la via della montagna ed adottare uno stile di vita così radicale come quello del malgaro? “Per alcuni il pastore è chi intende allontanarsi dalle consuetudini del vivere civile, per altri, invece, questa figura rappresenta un ritorno alla natura. A dire la verità la natura non sempre ci è amica e il contatto con la gente ci offre un tepore che la montagna a volte ci nega. Ad ogni modo, il sudore del malgaro ha un prezzo e sono sempre di meno quelli disposti a pagarlo”.

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SOTTO LA LENTE

Matrimonio en plein air tra arte e natura

L’edizione 2014 di Humus Park, l’esposizione internazionale di Land Art, ha coinvolto il Parco archeologico del Palù tra Caneva e Polcenigo portando all’attenzione del mondo uno degli angoli più incantevoli della pedemontana pordenonese foto e testo di FERDI TERRAZZANI

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umus Park: esposizione internazionale di Land Art, l’arte che si sposa con la natura. Quando l’artista realizza le proprie composizioni servendosi dei materiali che la natura stessa generosamente gli mette a disposizione nella formula del comodato d’uso, con la precisa riserva di riappropriarsene con il trascorrere del tempo. Humus Park nasce nel 2008 come meeting internazionale di Land Art da un format proposto dai pordenonesi Gabriele Meneguzzi e Vincenzo Sponga al Comune di Pordenone. La manifestazione, a carattere biennale, ha raggiunto in breve fama internazionale trasformandosi in un vero appuntamento per gli artisti del settore. Per l’edizione 2014 Humus Park si è sdoppiato nel progetto coinvolgendo oltre al sito di Pordenone

Gabriele Meneguzzi, uno degli organizzatori di Humus Park

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Marisa Bidese alle prese con la preparazione del suo progetto

anche il prestigioso Parco del Palù ubicato nei Comuni di Caneva e Polcenigo. Nel suo duplice percorso Humus Park nel Palù ha amalgamato le proprie creazioni ai reperti neolitici scoperti in quell’area umida così ricca di storia e natura. Infatti, il Palù di Livenza è il più antico insediamento di palafitte del Friuli Venezia Giulia, tra i maggiori d’Italia, unico nel suo genere tanto da essere messo sotto tutela dall’UNESCO come patrimonio. Le opere che qui sono nate e qui si trasformeranno e moriranno secondo i ritmi biologici della natura (e l’artista rispettando il decalogo ha rinunciato a possedere) hanno visto esprimere il talento di oltre settanta creativi provenienti da 12 paesi del mondo. La trasformazione di elementi naturali come rami, canne di bambù, sassi, foglie, cortecce, ecc. in vere opere d’arte contemporanee ha richiamato nel sito Palù del Livenza

un numero elevato di visitatori a percorrere la galleria en plein air per tutta l’estate. Tra architettura e design si colloca l’opera di Bertossi e Valvassori che rendono suggestiva una scena di quotidiana banalità allestendo una originale distesa di panni messi ad asciugare sulle sponde della Livenza realizzati con sterpi. Peter Hess e Marie Helene, svizzeri, alle prese con la costruzione di un portale, un varco verso una dimensione più naturale. Marisa Bidese sapientemente riproduce le rotondità di una sfera utilizzando foglie ricoperte da liane. Visitare l’Humus Park, durante l’esecuzione delle opere con la opportunità di osservare gli artisti al lavoro o osservarle successivamente ha dato a molti la possibilità di beneficiare di questa forma d’arte naturale inserita nell’archeologia, scoprendo così uno degli angoli incantevoli del territorio della pedemontana pordenonese.

Sotto, a sinistra, panni stesi sulle sponde della Livenza; a destra, Peter Hess e Marie Helene svizzeri durante la costruzione di un portale

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SALUTE E BENESSERE

La medicina del movimento

L’iniziativa di un medico pordenonese che “somministra” il movimento come “farmaco” ai pazienti. Dal 2011 ha iniziato a disegnare percorsi ad anello nella pedemontana pordenonese di lunghezza e difficoltà crescente. Oggi sono 150 con 18 punti di partenza. Ma c’è anche la nuova frontiera del turismo salutistico-sportivo per prevenire e curare le malattie di CIRO ANTONIO FRANCESCUTTO

“Vola solo chi osa farlo”

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iò che principalmente determina la salute delle persone non sono i sistemi sanitari, ma lo stile di vita, in cui un ruolo cruciale è giocato dal movimento e dall’alimentazione. In modo particolare il movimento andrebbe considerato non solo come uno sport, un passatempo o un divertimento, ma anche come un farmaco, utile sia per prevenire che per curare molte malattie. Per questa ragione dal 2011 mi sono adoperato

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per renderlo disponibile, dosabile e prescrivibile a chiunque lo volesse utilizzare. Ho iniziato a disegnare dei percorsi ad anello della pedemontana pordenonese di lunghezza e difficoltà via via crescente, adatti a chi voglia percorrerli camminando, correndo o pedalando. Ad ogni percorso, oltre ad una dettagliata presentazione con mappa, altimetria e descrizione, ho associato un tema alimentare dove si può visualizzare a quanti grammi di alimento corrispondono le calorie consumate e le caratteristiche macroalimentari dei cibi descritti (zuccheri, proteine, grassi). Ho individuato 18 punti di partenza, da cui originano 150 percorsi finora disegnati, ma il mio obiettivo è di arrivare a mapparne 365. Hanno una lunghezza che varia da un minimo di 1km fino ad un massimo di 50, per un totale di 1.500km con un dislivello positivo globale di 90.000 metri, un lavoro di 1.700 ore che ho attinto dal mio tempo libero, animato dall’idea di fondo del progetto, alla base del quale ci sono concetti quali la gratuità, la passione e l’attaccamento al proprio territorio. A margine di questi “percorsi metabolici”, inoltre, propongo degli incontri per illustrare le caratteristiche di questo “farmaco” e motivare così le persone al cambiamento del proprio stile di

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vita cercando in modo particolare di incentivare il passaggio da una vita sedentaria ad una vita attiva. Nel 2013 ho presentato 41 serate pubbliche nei vari Comuni della Provincia ed incontrato circa 1.500 persone incoraggiando e stimolando i presenti a provare ad assumere questa “medicina” economica, ecologica ed alla portata di tutti. La pedemontana pordenonese si presta in modo perfetto alla realizzazione di questo progetto in quanto è uno splendido ambiente naturale facilmente raggiungibile: offre percorsi di tutti i tipi, pianeggianti (semplici), collinosi (moderati), montani (difficili), adatti alle esigenze di ogni persona. Anche Piancavallo, grazie al grande contributo di Carlo Cappettini è stato contagiato dall’idea: esso potrebbe diventare non solo un luogo caratterizzato dall’offerta turistica legata alla neve, ma anche dall’emergente disciplina della corsa in montagna. Carlo stesso ha individuato e descritto 18 percorsi per un totale di 137km e 8848 metri di salite (…abbiamo l’Everest a portata di mano, senza andare in Nepal!). Un’idea dunque che potrebbe aggiungere valore al turismo, caratterizzandolo anche dal punto di vista salutistico-sportivo. In provincia di Pordenone da

tempo tiene banco la discussione sulla realizzazione di un nuovo ospedale, un’opera da numerosi milioni di euro. Io invece propongo di costruirne uno per ogni paese della provincia con poche migliaia di euro: una decina di percorsi per Comune, la possibilità di incontrare e convincere le persone ad essere più attive. Pochi sanno che considerando i soli tumori di colon e mammella, se riuscissimo a trasformare questa nostra provincia da sedentaria, qual è oggi, ad attiva, risparmieremmo ogni anno a 86 persone la diagnosi di questo tumore! Quanti ospedali dovremmo costruire per ottenere un simile risultato? Quante oncologie saprebbero fare di meglio? Quali i costi degli “ospedali” e quali dunque quelli della prevenzione? E se poi volessimo misurare anche gli infarti evitati, gli ictus mancati, le cadute prevenute, gli umori innalzati…quale impatto andremo a misurare? Continueremo ad investire su una sanità che cura i mali quando i sintomi sono manifesti… o avremo la lungimiranza di cercare di prevenire l’insorgenza degli stessi? Vi invito a visitare il sito www. curaticonstile.it dove è già possibile trovare alcuni percorsi ed alcuni spunti utili a chi desidera… curarsicon-stile.


RECUPERI

VAL DI CRODA,

la culla degli scalpellini Interessante recupero del canaletto, detto “ruial”, che trasportava una piccola quantità d’acqua del torrente Artugna dentro gli abitati di Budoia e Dardago a uso delle maestranze che lavoravano con le crode (pietre)

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recupero del canaletto che trasferiva una parte della portata del torrente Artugna a Dardago e Budoia ha rinnovato l’interesse verso la vallata dove corre quel corso d’acqua. Il percorso dell’Artugna inizia sulle pendici del Monte Cavallo e, inizialmente, prende un altro nome: rio Stua, toponimo che testimonia nel passato l’attività di fluitazione del legname mediante formazione di sbarramenti denominati “stua”, dove venivano posti i tronchi per poi aprire le paratie per far scendere il legname verso valle. Più avanti l’Artugna viene chiamato torrente Cunaz che riversa le sue acque da una piccola forra, poco distante dalla chiesetta di San Tomè che si trova a circa 500 metri s.l.m. In quell’ambiente il torrente prende finalmente il nome principale, fino alla sua tormentata affluenza nel fiume Livenza a San Giovanni di Polcenigo. Le acque del torrente infatti scendono verso valle in superficie per un tratto breve, perché vengono assorbite presto dal profondo materasso di sassi e ghiaie del suo letto. Per questo motivo anche la valle di San Tomè presenta un altro nome: “val di Croda”, per i molti sassi che contiene (crode), che sono stati una ricchezza per le popolazione dei dintorni. Nel passato infatti quei materiali del torrente venivano messi all’asta per costruire case, chiese, stalle e strade e basta guardarsi attorno, a Dardago e a Budoia per rendersene conto.

di GIULIO FERRETTI

La stessa titolazione della chiesetta di S.Tomè (S.Tommaso), ha una stretta relazione con l’ambiente circostante per il fatto che il santo è patrono degli scalpellini, maestranze molto attive in quel tratto della pedemontana, per la presenza nel posto di grandi quantità di pietre. E sono stati proprio loro, nel passato, a realizzare il ruial, piccolo canaletto che trasportava una piccola quantità d’acqua dalla zona nei pressi di S.Tomè per portarla fino all’abitato di Dardago e Budoia, per alimentare fontane, lavatoi fino alla frazione di

Santa Lucia. In realtà quell’opera venne realizzata nella seconda metà del ‘600, per ottenere l’energia idraulica per far funzionare un “orsoglio alla bolognese”, un particolare meccanismo di lavorazione della seta, il primo in Regione, che operava nel centro di Dardago. Successivamente le veloci acque del ruial vennero sfruttate per far girare le macine del mulino Bronte che si trova poco a monte dell’abitato di Dardago. Da lì inizia il sentiero che permette la risalita della vallata e che costeggia il percorso del ruial, ristrutturato recentemente da un folto gruppo di volontari locali, che hanno ottenuto le risorse necessarie da Montagna Leader, all’interno del progetto Liquenzia. I punti più interessanti del percorso, oltre le osservazioni floristiche, la cascatella e successivamente quella più grande che creava lo sbarramento, per deviare la portata verso il canaletto. Proseguendo, si raggiunge la chiesetta, che ha origini molto antiche, forse paleocristiane, che si trova ai piedi del “crep” la ripida parete di roccia, frequentata per attività di scalata da parte di diversi appassionanti. Chi si è stancato di quella passeggiata potrà rifocillarsi nei vari locali attivi nella zona, dove si può ammirare il paesaggio della vallata fino alla pianura, di cui uno ha ospitato anche il presidente degli Stati Uniti, Clinton, quando ha visitato la vicina base di Aviano. 55


CURIOSITÀ

A 90 anni

in bici da Aviano a Piancavallo

Per il pordenonese Marcello Nardin, classe 1924, il tempo sembra essersi fermato. Il segreto? Innanzitutto una corretta alimentazione. Da 30 anni non sale in auto e non prende medicine di VANNI TISSINO

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P

er Marcello Nardin, classe 1924, il tempo sembra essersi fermato. Non è certo da tutti salire in bicicletta sino al Piancavallo. Se poi a farlo è un arzillo novantenne come Marcello, il fatto diventa veramente fuori dal comune. Per saperne di più siamo andati ad intervistare il protagonista di queste imprese. Marcello, può rivelarci il segreto per rimanere così in forma alla sua età? “In realtà non possiedo alcun segreto: mi limito a seguire il senso profondo della frase attribuita ad Ippocrate “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”, che può essere anche tradotta nel detto che “noi siamo ciò che mangiamo”. Quindi ciò che fa la differenza è seguire una alimentazione sana? “I cibi da preferire sono rappresentati dalla frutta (in maggior percentuale) e dalla verdura. Entrambi questi tipi di cibi devono però essere di stagione e provenienti da agricoltura biologica. Solo così infatti, si possono tenere lontani dal nostro corpo le migliaia di prodotti tossici prodotti dalle industrie chimiche e che, in misura più o meno grande, sono presenti negli alimenti”. C’è dell’altro? “Bisogna aggiungere una continua attività fisica e mentale. Io, ad esempio, ogni giorno percorro almeno 30 km in bicicletta e 5 a piedi. Leggo libri, seguo documentari e, se ne ho l’occasione, non disdegno di farmi qualche partita a scacchi. Quello che non faccio da almeno 30 anni è di guidare un’auto e non a caso sono tra i soci fondatori di Aruotalibera e mi batto perché ci siano sempre meno macchine, con i loro fumi, nelle strade”. Quando è stata l’ultima volta che ha preso qualche medicina? “Nella primavera del 1982. All’epoca ero gravemente ammalato e non trovando risposte dai medici, decisi di sospendere completamente l’assunzione dei tanti farmaci che mi erano stati prescritti. Volevo lasciarmi morire per porre fine alle mie sofferenze. Invece, grazie a questa astinenza, pian piano abbandonai i miei malanni. Da allora non ho più preso nessuna medicina e, seguendo i consigli del professor Luigi Costacurta, mi posso ora permettere non solo di salire in Piancavallo ma anche di andare in bicicletta fino al mare e tornare a casa senza essere stanco dopo oltre 140 km.


La manifestazione è inserita in uno scenario che ci riporta in epoche di altri tempi, con intrattenimento musiche antiche, stand enogastronimici tipici e anche qualche consiglio di esperti del settore per meglio apprezzare le offerte degli espositori


L’ANNIVERSARIO

Cai di Pordenone, in vetta da 90 anni

Era il 9 gennaio 1925 quando da una costola del Cai di Treviso nacque la Sezione pordenonese. Il legame con la montagna veneta, e Cortina in particolare, resterà sempre molto stretto di PIERGIORGIO GRIZZO

Il

Cai di Pordenone viaggia verso il traguardo volante del novantennale dalla fondazione. Una tappa importante per una sezione che conta oggi oltre 1600 iscritti, espressione di una passione, quella per il mondo della montagna, che fa parte della nostra cultura e del nostro vivere. Il nostro territorio è dominato da un anfiteatro di “strane” montagne, che si alzano senza preavviso, come un muro di cinta. Su tutte spicca il massiccio del Cavallo, il nostro Kilimangiaro, con il profilo affilato di Cima Manera e le

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altre quattro cime gregarie. Pordenone non è in montagna, ma la montagna è lì, a portata. È l’alter ego della città e della pianura, oggi abbondantemente urbanizzata. È il nostro legame con il passato ed allo stesso tempo è luogo di evasione, di contemplazione, ma anche di sport e di piacevoli giornate passate all’aria aperta. Novanta anni, dicevamo, da quando gli alpinisti di Pordenone riuniti in una sottosezione del Cai di Treviso, decisero, il 9 gennaio 1925, in assemblea di costituire la nuova Sezione di Pordenone,

Il gruppo del primo corso roccia (21 luglio 1963). Sopra, il Rifugio Pordenone a Piancavallo



Il giovane Carlesso impegnato nel trofeo Lancia

Sciatori pordenonesi i Valbruna

forte di 100 soci. Il primo presidente fu Rino Polon. Giancarlo Del Zotto, Istruttore Nazionale di Alpinismo e sci alpinismo, ne è la memoria storica (“per questioni anagrafiche più che per merito”, scherza), dopo esserne stato presidente per due mandati negli anni Ottanta. È anche presidente, fin dalla fondazione, avvenuta nel 1963 della Scuola di Alpinismo, Scialpinismo e Arrampicata “Val Montanaia”, che oggi conta una quarantina di qualificati Istruttori nelle varie discipline. Il Direttore è attualmente Claudia Colussi. “Iniziai ad andare in montagna giovanissimo – racconta - con mio padre Carlo e con un suo amico, Francesco Chechi Maddalena, il secondo socio di Pordenone, dopo Raffaele Biri Carlesso, a diventare Accademico del Cai”. “All’epoca le nostre palestre erano gli Spalti di Toro, i Monfalconi, il Duranno, il gruppo del Cavallo. Ma non di rado si andava anche nella zona di Cortina. Il legame tra gli alpinisti pordenonesi e quelli della “Perla delle Dolomiti” è di lunghissimo corso. Nacque per l’appunto nei ruggenti anni Cinquanta e, attraverso una miriade di amicizie e rapporti personali, oltre che sportivi, si perpetua ancor oggi. “Tutto iniziò durante le esercitazioni del Soccorso Alpino”. I pordenonesi strinsero amicizia con i famosi Scoiattoli di Cortina, il club di fortissimi alpinisti, che annoverava anche Lino Lacedelli, uno dei conquistatori del K2. “Ancor oggi – continua Del Zotto – io e altri vecchietti del Cai di Pordenone manteniamo ottimi rapporti con Lorenzo Lorenzi, storico gestore del rifugio Scoiattoli, di fronte alle Cinque torri, e con le altre leggende cortinesi”. In quegli anni furono proprio due personaggi storici del Soccorso Alpino di Pordenone Redento Toffoli e Bruno Coran che intensificarono con i cortinesi collaborazioni e amicizia. Da una costola della sezione Cai, è nato negli anni Settanta anche lo Sci Club Pordenone. Sempre nel 1925 era stato costituito il Gruppo Sciatori Monte Cavallo poi diventato Sci Cai Pordenone. Infine, su proposta di Giancarlo Predieri, “anima” di Piancavallo negli anni d’oro, ci fu

la costituzione dello Sci Club Pordenone uno dei più quotati della nostra Regione. Oggi come allora il Cai di Pordenone, attualmente presieduto da Alleris Pizzut, è un continuo fervore di attività. Nella sede di piazzetta del Cristo in città c’è anche una fornitissima biblioteca di montagna, fruibile da tutti, non solamente dai soci. Oltre alle attività istituzionali, seguite direttamente o attraverso la Scuola “Val Montanaia”, che della Sezione è una filiazione, c’è di recente una forte attenzione per l’alpinismo giovanile. E c’è anche un fortissimo interesse dei giovanissimi nei confronti della montagna. La Scuola “Val Montanaia” gestisce nella struttura sportiva dell’ex Fiera, in centro a Pordenone, una palestra di arrampicata dove si insegnano le tecniche di base della scalata. La conoscenza della montagna avviene anche con escursioni per bambini dagli otto anni in su. Un avvicinamento dolce a questo mondo, attraverso uscite nelle faggete del Cansiglio o al Piancavallo nei pressi della casera del Medico, o lungo il ciglione che domina la nostra pianura. “La montagna – spiega Del Zotto – è un mondo nel quale entrare in punta di piedi, con conoscenza, consapevolezza e rispetto. Cose che vanno trasmesse ai giovani fin dall’età scolare”. “Non può essere teatro di agonismi esasperati, né del turismo di massa. L’Everest è diventato come un luna park. Vanno su a centinaia e gli incidenti mortali sono in crescente aumento. Addirittura, è notizia di poco tempo fa, è stata messa una corda fissa in uno dei tratti più esposti della salita. Una corda fissa sull’Everest, come in cima Manera...” “C’è bisogno di un cambiamento culturale – conclude – per conoscere la montagna ci vuole gradualità, ci vogliono i giusti tempi. Non bisogna correre, è uno spazio di libertà che va vissuto con intelligenza”.

Francesco Maddalena

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Giancarlo Del Zotto


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ESCURSIONISMO

Sentiero Frassati: da Poffabro alla Casera senza nome Un percorso nella Val Colvera dove fede e storia camminano con passo lento e sicuro Testo e foto di MARIO TOMADINI*

In

attesa che l’inverno si manifesti come vuole la tradizione e che la neve scenda a coprire i sentieri di fondovalle, ci prendiamo mezza giornata salendo il sentiero che da Poffabro porta verso la Pala Barzana. La quota non impegnativa e il dislivello più che accettabile rendono quest’escursione adatta a tutti gli uomini, alle donne e ai bambini di buona volontà. Detto questo, è inutile indugiare oltre e allora partiamo dal cuore di Poffabro salendo Via Taviela, la stradina che nasce lastricata per divenire nel breve volgere di pochi metri un viottolo sterrato che ospita le stazioni della Via Crucis. In circa dieci minuti arriviamo al Monastero di S. Maria e così poco meno di cento metri di dislivello sono già alle spalle. Scendiamo per altri cento metri (stavolta lineari) lungo la strada asfaltata fino a quando sulla destra notiamo un tratturo; il cartello conferma che è la strada giusta da seguire almeno fino a quando questa si annulla in un ruscello. Superato il rio, si segue il sentiero che si dirige senza perdere neppure un metro di quota verso Borgo Rioni del quale ammiriamo le case e i prati ben curati. La località Pian delle Merie non è lontana, le sue case si scorgono in basso ma la prima sosta, previa brevissima deviazione, è dedicata alla Chiesa della Madonna della Salute che si erge in posizione solitaria e rilevata rispetto alla borgata. Dall’edificio sacro scendiamo nei gradoni

Il segnavia che si nota sulla destra scendendo dal Monastero

L’ultima stazione della Via Crucis; sullo sfondo il Monastero S. Maria

lastricati e questo ci permette di entrare in un sentiero che infilandosi nel bosco poco dopo incontra un altro rio. Per arrivare fin qui abbiamo impiegato una cinquantina di minuti ma il tempo non conta nulla e se è menzionato, lo è solo per la statistica. Ora la buona traccia corre tra muretti a secco e terrazzamenti ormai sfumati, testimonianze di operosità montanara che non saranno ripetibili. Una rampa ci avvicina a due guadi che scavalchiamo in rapida successione con irrisoria facilità. Dopo la seconda acqua (con temperatura sotto

La Chiesa della Madonna della Salute, eretta nel 1873, si trova poco sopra l’abitato di Pian delle Merìe

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zero attenzione alla formazione di ghiaccio) il sentiero che fino a quel momento è stato abbastanza pigro finalmente si scuote guadagnando quota con alcuni tornanti che terminano con una diagonale che ci porta davanti alle pietre di un rudere (località I Larsc) avvolto in un’inservibile solitudine. Siamo in viaggio da più di un’ora quando passiamo accanto a un altro edificio, anche lui orfano del tetto e colonizzato al suo interno da alcuni spavaldi frassini che il tempo ha voluto al posto degli uomini. Arriva la pendenza perfetta che termina in un terreno aperto e da poco disboscato. In seguito ci avviciniamo a una colata di ghiaie che scendono dalle pendici del Raùt dove un segnale bianco rosso si è stiracchiato in una pietra per ricordarci un sentiero e un numero che ci porterebbe molto più in alto. Rifiutiamo quell’offerta che ci vedrebbe sudare e imprecare arrancando in un ghiaione che dal basso sembra senza fine. La nostra traccia invece procede in terreno prudente e protetto dal bosco. Appaiono i mughi e non è una visione. Fatichiamo da un’ora e mezza quando la morfologia ci obbliga a scendere tra ghiaie e massi per superare un canalone, seguito da un altro molto più stretto che embra una via di favore per slavine di ogni tipo. Si guadagna la costa successiva e dopo pochi metri di erta e qualche altro minuto di traccia ci troviamo in un terreno sconvolto dall’opera di taglio e di esbosco di resinose e latifoglie. Cingolati e gommati e altri mostri a dodici cilindri hanno trasformato quello che fino a un anno fa era un buon viottolo erboso in un’autostrada sterrata senza corsia d’emergenza. Ormai la casera di quota 952 (la cartografia ufficiale non l’ha ritenuta neppure degna di uno straccio di nome) è a un tiro di schioppo ma con noi non abbiamo portato nemmeno una fionda. L’edificio versa in abbandono e non ve più traccia del pascolo che permetteva la monticazione di ovini e armenti. In un locale scopriamo il “casellin del fogo” svuotato del suo calore. Un tempo era il focolare, il cuore della casera dove il malgaro trasformava il latte in formaggio, burro e ricotta. Le

Essenze legnose trascinate a valle dalle slavine

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Il “relitto” pastorale de I Larsc

Un tratto del nostro sentiero CAI 899, ricordato anche come Frassati

piante di noce hanno dato il “si salvi chi può” alle foglie e queste obbedendo alla gravità si sono accomodate a terra permettendoci un discreto colpo d’occhio. Davanti a noi il Monte Jouf in veste autunnale, mentre sopra le nostre teste le pareti del Raùt non assecondano le stagioni. Nate in grigio, moriranno dello stesso colore. Non è più tempo per romanticismi; la contabilità preme. Per arrivare fin qui ci abbiamo messo quasi due orette e questo mi sembra il tempo giusto che ci permette di camminare, sostare e osservare anche i minimi particolari. Solo un bradipo con un ginocchio

Il bivio che invita, quasi fosse una delle sirene di Ulisse, alla cima del Raùt, ma la nostra metà è meno ambiziosa


COMINBLU


La casera senza nome, ovvero quella a quota 952 metri s.l.m.

dolente ci metterebbe di più. Non rimane che scendere (sull’opportunità di salire fino alla Casera di Pala Barzana per ammirare il lago di Barcis e il Massiccio del Col Nudo-Cavallo scriverò un’altra volta) e quindi o torniamo nei nostri passi per vedere come una salita diventa una discesa, oppure assecondiamo la forza di gravità calandoci nello stradone preparato dai boscaioli che si ferma molto vicino alla strada che dal valico di Pala Barzana scende a Poffabro. Arrivati all’asfalto, non possiamo perdonarci la mancanza di saggezza e lungimiranza, poiché con il senno di poi solo adesso comprendiamo che avremmo dovuto lasciare preventivamente un’autovettura nei

Un moderno relitto nel nostro percorso. Si tratta di un argano a motore naufragato nel bosco di faggio

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pressi di Pala Barzana e quindi volta scesi fino al grigio bitume ci saremmo accomodati nei sedili in finta pelle invece di tornare a valle con il cavallo di S. Francesco. Dimenticavo: poco prima di poggiare le scarpe nella strada della Barzana ci sarebbe qualcos’altro da vedere; non è molto ma un vecchio argano a motore abbandonato e un tris di edifici mantenuti in buon stato valgono senz’altro qualche scatto della nostra digitale. *Accademico dell’Istituto d’Arte e Cultura Alpina. G.I.S.M. (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna)

La “casa dei conti” si trova un paio di chilometri a valle dal valico di Pala Barzana



STORIA

Le pietre ritrovate Seguendo il filo della storia si entra in un passato che sembra appartenere a un’altra dimensione. È il caso del ricovero per l’alpeggio sorto sul prato dei Larsc nei pressi di Poffabro testo e foto di MARIO TOMADINI

Ciò che rimane della costruzione eretta in località I Larsc (quota 770 metri s.l.m.) alla fine dell’Ottocento dai fratelli Roman Rioni

N

Avrei potuto accontentarmi di un toponimo ma la elle vallate ci sono decine di ruderi cadenti cartografia della zona mostra tutti i suoi limiti e mi nega e lasciati in balìa del tempo; finita l’epoca anche quella piccola soddisfazione; inizia così una sfida degli alpeggi, rimangono cumuli di pietre i che richiederà caparbietà e tempo. cui contorni si fanno sempre più incerti, simulacri di Tanto per cominciare chiedo a chiunque mi sembri esistenze che definire tribolate è riduttivo. abbastanza vissuto da poter darmi una risposta e tra i Ogni tanto la coscienza dell’escursionista ha un sussulto tanti non so e non ricordo finalmente spunta una traccia e ravviva una curiosità mai del tutto sopita, come una e dietro di essa si materializzano persone e famiglie dal favilla dormiente destata da un alito di vento. cuore ancora pulsante. E’ successo così anche per il La signora Maria Roman rudere che ho incontrato in Rioni Colussi, nata nel 1915, un tratto del sentiero Frassati, si prepara a festeggiare i suoi proprio quello descritto in 99 anni; la incontro nella questo stesso numero del sua casa di Frisanco e capisco Magazine. subito che la sua memoria è Tutto inizia con lo scatto di prodigiosa. una digitale poco più che Dopo pochi minuti il rudere economica; normalmente è che ha catturato il mio solo un gesto promosso dalla interesse ha un nome ma consuetudine, ma in questo soprattutto una storia che ha caso è sufficiente che il sonno Un’altra immagine della costruzione dei Roman Rioni circondata dal attraversato guerre, dittature e tardi ad arrivare perché nasca chissà cos’altro ancora. il desiderio di saperne di più. bosco di frassino

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I fratelli Andrea (a sinistra) e Valentino Roman Rioni (cortesia sig.ra Maria Colussi Roman Rioni)

Tutto aveva avuto inizio con i fratelli Andrea, Valentino e Giacomo Roman Rioni, nati nell’omonima località che si trova poco sopra il Pian delle Merìe, la borgata che si sfiora percorrendo la strada che da Poffabro sale al valico della Barzana. I tre nascono sudditi del Regno d’Italia, mentre il matrimonio dei loro genitori era avvenuto con i timbri dell’aquila asburgica. Sono loro, quando in Europa le classi abbienti si crogiolano nel mito della “Bella Epoque”, ad accumulare pietre nel prato de I Larsc. Serviva un edificio per condurre al pascolo da giugno a settembre un paio di bovini accompagnati da una capra e da qualche pecora; perché risparmiare foraggio durante l’estate permetteva d’attendere l’inverno con il fienile pieno. Ai Larsc la fatica fisica è un tributo costante e quando il pascolo diventa poco redditizio è naturale cercarlo a quote più elevate e allora è necessario caricarsi la losia (slitta) sulle spalle e salire verso la Pala Barzana. Si scende solo quando è strapiena di foraggio, ma proprio nelle discese si deve trattenerla per evitare che prenda velocità ma rallentare la losia non è un’impresa facile, ci vuole forza e abilità.

L’interno della stalla dei Roman Rioni. La solidità dei muri perimetrali stride con le misere condizioni delle parti lignee che non hanno potuto opporsi all’azione del tempo

Un particolare della stalla dei Roman Rioni che denota l’abilità dei fratelli Andrea, Valentino e Giacomo

Nella stalla dei Larsc il piano terra ricovera gli animali mentre nel piano rialzato i cristiani si riposano in giacigli ricavati nel fieno. Il piano terra presenta un piccolo locale con focolare e mussa, il braccio girevole che permette di spostare di avvicinare e allontanare la caldiera dal fuoco. Si vive frugalmente cibandosi di polenta, ricotta e formaggio ma nessuno dei familiari si sottrae a quella “villeggiatura” estiva. La signora Maria sale per la prima volta ai Larsc all’età di tre anni quando la Grande Guerra è finita da alcuni mesi. Con lei, la mamma Angela Roman Ros e i fratelli Primo e Rino. Naturalmente c’erano nonno Andrea e altri familiari. Maria ricorda i prati falciati fino

all’ultimo stelo, le notti trascorse nel fieno, le slitte che ai suoi occhi di bambina appaiono immense, le sedonere delle Valli del Cellina e del Vajont che vendono gli utensili di legno, i tacchini che tengono a distanza le serpi e tutte le incombenze quotidiane che da sempre si legano alla disagevole vita d’alpeggio. E’ una condizione ineluttabile che si sopporta dignitosamente grazie alla rassegnazione ereditata dalle generazioni precedenti. La stalla de I Larsc rimane “viva” fino agli Anni Trenta del secolo scorso; dopo tale data i destini dei protagonisti si dividono in mille rivoli. La scomparsa dei patriarchi, i matrimoni, le nascite, l’emigrazione, la guerra con i giovani spediti a morire nel Fronte Greco e nella Campagna di Russia, la lotta partigiana e l’occupazione da parte dei cosacchi che per sopravvivere razziano anche quello che non c’è, causano l’abbandono della costruzione che il tempo consegna alla natura. E così, dopo più di ottanta anni di solitudine, rimangono solo i frassini ad ascoltare la voce delle pietre, l’unico accento che racconta un passato che arriva da un’altra dimensione. 69


STORIE DI MONTAGNA

Dopo quarantadue anni il Piancavallo Magazine è riuscito a riunire i protagonisti di un’avventura che ha coniugato altruismo e solidarietà. In piedi da sinistra: Renato, Ottavio, Gigi, Claudio. Seduti, da sinistra: Elio, Adriano, Egidio, Lucio

Il bucaneve della solidarietà

Grazie all’assistenza dei compagni di avventura nel febbraio del 1972 un giovane di Maniago ha potuto resistere per quarantasei ore con la gamba fratturata nella montagna di Claut, in un mare di neve e di gelida nebbia, prima dell’arrivo dei soccorsi di MARIO TOMADINI

S

pesso, parlando di montagna, si ricordano escursioni che per la loro bellezza o per l’asprezza del percorso sono rimaste per lungo tempo nella memoria di chi le ha vissute. Normalmente è la fatica oppure una disavventura che permette d’instaurare nuove amicizie ma soprattutto di consolidare quelle già collaudate. Per questo, quando ho saputo di un singolare episodio accaduto quarantadue anni fa nelle nostre montagne, ho voluto proporlo ai lettori del Piancavallo Magazine perché da quell’avventura è scaturita una miscellanea di virtù, prima tra tutte la “solidarietà” che dovrebbe essere il valore principe che anima gli esseri umani ma soprattutto quelli che praticano la montagna, ambiente ostico per eccellenza. Veniamo ai fatti. Un sabato del febbraio 1972 otto giovani di Maniago (la loro età oscilla tra i 18 e i 22 anni) decidono di dare corpo a un sogno a lungo cullato: la traversata in sci lago di Selva-Claut, via Forcella Clautana. 70

Dopo aver ben assicurato le pelli di foca alla soletta degli sci, dal bacino lacustre salgono in un tratturo innevato. Gli attrezzi scivolano con cadenza leggera e l’umore è quello giusto. Si scherza, si ride, si pregusta un’avventura attesa da tempo. Il giorno decide di spegnersi proprio quando la truppa è in vista delle Tronconere e proprio in quella sperduta località gli otto amici si fermano per la notte. La scelta, peraltro obbligata, cade su una costruzione saltuariamente utilizzata come ricovero di fortuna da escursionisti e cacciatori; la sistemazione è spartana ma nessuno si lamenta anche perché il tepore della legna di faggio che si consuma nel fogolar contribuisce a scaldare corpo e anima. La mattina seguente il gruppetto sale verso la Forcella Clautana con l’obiettivo di scendere a Claut. La progressione non è difficile, anche se la giornata non


è bellissima; la temperatura è piuttosto alta e il cielo va sempre più assumendo una tinta grigiastra tanto che si confonde con il manto nevoso. Otto paia di sci incidono una neve resa molle dalla nebbia che, manco a dirlo, nel frattempo è calata per nascondere i contorni di cime e crinali. La forcella è ormai a un tiro di schioppo e gli amici già pregustano la discesa verso Casavento quando improvvisamente dal pendio si stacca una massa di neve umida che travolge Adriano e Ottavio; quest’ultimo è trascinato a valle e termina la sua caduta contro un carpino. L’impatto è violento e i suoi lamenti fanno capire che è

rimasto seriamente ferito; Ottavio, infatti, ha patito una frattura al femore della gamba sinistra. La situazione è preoccupante ma nessuno si perde d’animo; il giovane è disteso in un materassino e l’arto è immobilizzato con mezzi di fortuna, subito dopo è posto all’interno di un sacco a pelo, mentre alcuni rami arcuati sostengono un telo che funge da riparo. Ottavio è accudito e sostenuto dal fratello Egidio e dai compagni Lucio, Adriano, Renato e Gigi che non lo abbandonano neppure per un istante, mentre Elio e Claudio si sono già fiondati a Claut per allertare i soccorsi.

Un quotidiano locale aveva proposto la notizia dell’incidente di montagna nell’edizione del lunedì. In realtà le notti trascorse all’addiaccio saranno due, poiché le condizioni meteo non permetteranno all’elicottero di alzarsi in volo nella giornata di lunedì

SOTTO LA LENTE

ERWIN ROMMEL IN FORCELLA CLAUTANA Scrivendo sull’episodio accaduto nel 1972 nei pressi di Forcella Clautana, è giusto ricordare che quel valico posto tra Claut e la Val Silisia nei primi giorni del novembre 1917 è stato teatro di uno scontro tra le truppe italiane e quelle austriache del 22° Schutzen Division affiancate per l’occasione da quelle tedesche del Wurttenbergische Gebirg Bataillon. Di quest’ultime fa parte il tenente Erwin Rommel che venti anni più tardi sulle sabbie nord-africane si guadagnerà il titolo di “volpe del deserto”. E’ proprio Rommel, infatti, a guidare una compagnia di soldati dell’Alpenkorps bavarese alla conquista della Clautana, tentativo peraltro vanificato dalla resistenza opposta dai resti del 58° Bersaglieri, da un reparto di Arditi e dalle Compagnie 34ma-35ma e 36ma del Battaglione alpino “Susa”.Il primo contatto tra gli opposti schieramenti avviene la sera del 6 novembre; l’attacco si ripete all’alba del giorno dopo. Le incursioni, i colpi di mano e le sortite si protraggono fino a sera ma gli italiani non cedono neppure un metro di terreno. Nei suoi diari così Rommel ricorda quegli eventi: ….sono scocciato. E’ il primo assalto dall’inizio della guerra che mi va male. Duro lavoro di

Erwin Rommel

ore andato in fumo. Una ripetizione dell’azione sembra senza speranza. Verso le 4 del 8 novembre ai difensori arriva l’ordine di ripiegare. Nel più assoluto silenzio e con il favore delle tenebre la colonna scende a Casavento e quindi a Claut per poi proseguire verso la Valle del Vajont e Longarone. Quando gli esploratori di Rommel s’accorgono che la forcella non è più presidiata, gli italiani si sono sganciati già da un’ora e grazie a quel vantaggio non saranno più raggiunti. I nostri riusciranno a raggiungere il grosso dell’esercito italiano che sta approntando l’ultima linea di difesa sulle rive del Piave e sul Monte Grappa dove il Battaglione alpino “Susa”combatterà strenuamente. Un anno più tardi, siamo ormai al 3 novembre 1918, il “Susa” libera il paese di Pejo in Val di Non e ventiquattro ore dopo la guerra contro gli Imperi Centrali è ufficialmente dichiarata finita con l’armistizio. Nelle file del “Susa” combatteva il clautano Angelo Lorenzi che quel mattino del novembre 1917 scendendo dalla Forcella Clautana aveva avuto modo di dare un fugace saluto ai suoi paesani per riprendere la marcia con i suoi commilitoni. M.T.

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da una squadra del soccorso Alpino. La solitudine è La notte tra domenica e lunedi trascorre così, con i finalmente spezzata. giovani stretti l’un l’altro attorno all’amico sofferente in un Ormai per la salvezza dei quattro naufraghi della neve è dormiveglia che può dare solo un po’ di riposo. Intanto questione di pochi minuti. la nebbia penetra nelle ossa e i fiocchi di neve aumentano Il ferito è imbarcato e con lui salgono nell’aeromobile d’intensità. anche il fratello Egidio, Renato e Adriano. Nasce il sospetto che Elio e Claudio non abbiano potuto Dopo aver lasciato Ottavio in Comina dove è atteso da allertare le squadre di soccorso e così, tanto per fugare un’autolettiga che lo trasporta all’Ospedale di Pordenone, qualsiasi dubbio, nel primo pomeriggio di lunedi Gigi e l’elicottero trasferisce gli ultimi tre protagonisti di questa Lucio scendono verso a Claut in compagnia di una fitta estenuante avventura nella base di Casarsa. nevicata. Il lungo calvario può dirsi terminato. In realtà Elio e Claudio avevano portato a termine la Con il contributo di tante persone ma soprattutto grazie missione e al Campo Base di Cimolais tutto era pronto all’assistenza prestatagli dai suoi compagni di avventura, per l’azione di salvataggio; purtroppo nevica per tutta la Ottavio ha potuto resistere per quarantasei ore in un giornata e l’elicottero non può alzarsi in volo. mare di neve e di gelida nebbia nella montagna di Claut Le condizioni meteo e la scarsa visibilità negano quello che nonostante le sue difficili condizioni fisiche. in condizioni normali sarebbe stato un veloce recupero. Nel 1972 il Soccorso Alpino della montagna In quella situazione difficile e con la continua assistenza pordenonese non aveva certo i mezzi e i materiali di dei compagni, Ottavio trascorre anche la seconda notte oggi, tuttavia già in quegli anni nelle sue fila prestavano caratterizzata da un muro di nebbia che avvolge la la loro opera uomini coraggiosi che facendo di necessità montagna e trasforma gli alberi in una processione di virtù gettavano fantasmi che il cuore oltre sembrano l’ostacolo. muoversi in ogni In quel febbraio direzione. di quarantadue Nonostante che anni fa che aveva la condizione visto concludersi del tempo siano positivamente proibitive, il l’azione di ferito e i suoi soccorso, i tre compagni quotidiani resistono al freddo locali avevano e all’umidità di seguito tutte le un’altra notte che tappe di quella sembra non aver disavventura mai fine. menzionando Si scruta verso i giovani oriente con protagonisti ma la speranza di anche Giancarlo scorgere i primi Martini, Redento timidi segni Toffoli, Bruno del chiarore Coran e gli altri antelucano perché volontari che con mai come in il loro spirito di quest’occasione Un sospiro di sollievo per tutte le squadre del Soccorso Alpino, sia quelle operanti nella zona servizio hanno l’alba è attesa con dell’incidente, sia quelle che stazionavano nel Capo Base di Cimolais. Dopo quarantasei ore di gettato le basi trepidazione e con trepidazione le operazioni di recupero si possono definire concluse per permettere la speranza che il all’attuale nucleo di Soccorso Alpino, oggi guidato da nuovo giorno sia risolutivo. Roberto Sgobaro, di distinguersi per professionalità e La mattinata del martedi promette una schiarita che è competenza. immediatamente sfruttata dall’elicottero dell’Ale Rigel di Non va dimenticato che in questo frangente i principali Casarsa (l’equipaggio è composto da Gamboz, Mulloni, attori della commovente rappresentazione che ha Forino e Maurutto) che si alza dal campo sportivo di coniugato amicizia, sacrificio e altruismo sono stati i sette Cimolais e raggiunge l’infortunato dalla Val Tramontina compagni di Ottavio che con la loro umanità hanno che in quel momento essendo libera dalla nuvolaglia offre scritto una nobilissima pagina nel grande Libro della una maggiore sicurezza per il volo. montagna. Intanto il gruppo di Ottavio è raggiunto via terra anche

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TRADIZIONI

Valcellina, piccolo mondo antico Come si viveva nella valle pordenonese durante i rigidi inverni in cui per 40 giorni il sole non batte. La vita scorreva scandita dalla ritualità. La comunità era un’unica grande famiglia. Oggi nel Museo della Casa Clautana rivivono costumi, abitudini, mestieri e oggetti di quel periodo di SABINA TOMAT

Ci

sono circa quaranta giorni in inverno durante i quali in gran parte della Valcellina non batte il sole. Può sembrare poca cosa rispetto alla spettacolarità che questo paesaggio esibisce durante tutto il resto dell’anno. Ma per chi qui è nato e vi continua a vivere, quei giorni senza sole rappresentano qualcosa di più di un noioso mese di strade ghiacciate e natura immobile. Sono i giorni in cui la mente torna ad un’epoca in cui il tempo era scandito dalla ritualità di una vita quotidiana oggi quasi inimmaginabile. Molti bambini, specialmente quelli che abitavano nelle frazioni più lontane dai centri principali di Barcis, Claut e Cimolais, la mattina presto si caricavano in spalla i grossi contenitori con il latte da vendere alla latteria del paese, nonché alcuni pezzi di legno che servivano per fare fuoco e scaldare l’aula di scuola. E così carichi affrontavano a piedi le strade innevate, mentre a casa gli uomini sistemavano la grassa, il letame che serviva per concimare il terreno in primavera. 75


Oppure lavoravano il legno creando oggetti e utensili che poi le donne sarebbero andate a vendere in pianura nella bella stagione. In cucina mamme e nonne preparavano il pestíth, un piatto a base di rape arricchito con carne di maiale e farina di mais, oppure semplici zuppe con cereali e, naturalmente, la polenta. I dolci come li intendiamo

noi ora non erano contemplati, salvo per alcune tradizionali preparazioni come il petùt clautano, a base di frutta secca, burro e farine varie. I bambini, una volta rientrati a casa e dopo aver aiutato nelle faccende domestiche, giocavano sulla neve con il tradizionale slittino (la luóítha) e con il treno. Appena calava il buio ci si ritrovava tutti in cucina sotto il canfin, un grande lume a petrolio, predecessore del lampadario. Dopo cena, attorno allo spoler (la stufa di mattoni), qualcuno sgranava i fagioli, qualcun altro intrecciava gerle. Le donne lavoravano a maglia, filavano la lana, preparavano gli scarpéth (le tipiche calzature della Valcellina), le calze e gli scapins (la parte inferiore dei calzini, quella che copre il piede e che per prima si logora).

POESIA DENÈR A nevigéa, a nevigéa a nevigéa sui mónth a nevigéa sule aneme. D’intórn citin, galif. La tèra inthinta de un inviérn dut cialt e bianc la spiéta de partorine dornade e gnuóth pi lustre e luónge da vèrve sfissidure stónfe de speranthe.

GENNAIO Nevica, nevica nevica sui monti nevica sulle anime. Attorno silenzio, uniforme. La terra incinta di un inverno tutto caldo e bianco attende di partorirci giornate e notti più luminose e lunghe di aprirci fessure impregnate di speranze.

E poi tutti a letto, sotto le imbottite di lana e stracci, ognuno nel suo pajon fatto con le foglie di granoturco. Scorci di vita lontani ma estremamente vivi nel cuore di chi della Valcellina ha vissuto gioie e dolori, prima che lo spopolamento e il turismo cambiassero la percezione di questo magico territorio ancora oggi ricco di suggestioni multisensoriali. Come ci ricordano le poesie di Bianca Borsatti, clautana doc nata nel 1941, molto conosciuta in Valcellina e in tutto il Friuli per i suoi componimenti. Vincitrice di numerosi premi e riconoscimenti, è curatrice del Museo della Casa Clautana da cui sono tratte le foto di questo articolo.

Oggetti e tradizioni che ricordano il calore e la poesia della vita in montagna

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Un vecchio quaderno con un tema e, nel riquadro, Mario Tinor

NA

MUSEO DELLA CASA CLAUTA Il nostro viaggio nel tempo prosegue e si conclude con la testimonianza di Mario Tinor, classe 1943, fondatore dell’Agriturismo Pian dei Tass di Barcis (presso la località Pentina), che ci apre la porta dei ricordi e racconta come si viveva il periodo natalizio ai tempi della sua infanzia. “Di questi tempi i tigì e i giornali non fanno che parlare di ondate eccezionali di gelo, venti siberiani, correnti polari….quasi come se in passato il freddo non fosse mai esistito! Il freddo c’era, eccome, e c’erano anche metri di neve compatta, pesante, ghiacciata. Quella neve che tenti di spazzare via ma è pesante e ti rimane attaccata al badile e

più spali e più ce n’è. E allora sapete cosa si faceva? Si prendeva il grasso del maiale e si spalmava ben bene la pala, poi ci si passava il grasso anche sugli scarponi e così si diventava belli impermeabili e la neve scivolava via senza fatica. Ricordo che in occasione dell’uccisione del maiale c’era una vera e propria festa in ogni famiglia. Si cominciava la mattina presto, le donne mettevano sul fuoco un pentolone di acqua, ci si riuniva tutti quanti per l’evento, papà o chi per lui (più avanti, dal 1958 in poi, la bestia veniva soppressa dalla guardia comunale) eseguiva il rito e poi subito tutti a dividere le parti: le donne lavavano i

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LE RICETTE

AL PESTÍTH

Macinare delle rape, meglio senza gambi. Mettere in un tegame olio e burro, una cipolla tagliata sottile e le rape. Salare e pepare aggiungendo un bicchiere o due di acqua o brodo. Si può aggiungere anche della salsiccia o alcune costicine di maiale. Cucinare lentamente per circa due ore. Un quarto d’ora prima del termine della cottura aggiunge un mestolo di suf (la farina di mais tolta dal paiolo prima di addensarla per fare la polenta).

AL PETÙT CLAUTANO

budelli e le interiora per fare gli insaccati, gli uomini tagliavano il resto e il giorno stesso ci si abbuffava di spezzatino con le patate. Erano i giorni più corti dell’anno, questi del maiale. I giorni più crudi, i più duri da sopportare, quelli in cui bisogna darsi da fare per prepararsi alla fine dell’anno, quando si ha già l’anno vecchio sulle spalle. Ma era bello il pomeriggio ritrovarsi per i consueti lavori. Mi piaceva guardare come si intrecciavano i listelli del legno per costruire le gerle. Ricordo che usavamo il corniolo e l’ontano per gli intrecci, mentre il nocciolo, più malleabile, si usava per le bande orizzontali. Con il sorbo, infine, si facevano le bretelle. Qualcuno poi portava a casa un ramo di pino e quello era il nostro albero di Natale. Le decorazioni? Non c’era molto per decorare, e così noi ragazzini ci divertivamo ad avvolgere dei sassi con la carta colorata e poi li appendevamo al ramo, orgogliosi. Naturalmente i regali non esistevano: a volte la mamma e la nonna cucivano dei maglioni o delle sciarpe che poi davano a noi bambini. Il vero regalo, per tutti, era il pranzo di Natale: finalmente tutti insieme attorno alla tavola. C’era la carne in umido (pollo, coniglio, maiale) con la polenta, e poi il panettone. Era bello mangiare così tanto tutti assieme, e poi nel pomeriggio andare giù in paese a fare gli auguri, a trovare gli amici, ad ascoltare le storie degli emigranti che per le feste tornavano dalle miniere del Belgio, 80

Ingredienti 300 g di farina di segale 200 g di farina di granoturco gialla 100 g di farina di frumento 00 6 uova intere 100 g di zucchero 200 g di burro 2 bicchieri di latte Una presa di sale Scorza di limone 250 g di uvetta 250 g di fichi secchi Due mele Tre cucchiai di grappa Mezza bustina di lievito

Lavorare il burro ammorbidito con lo zucchero, aggiungere le uova intere in modo da ottenere una crema; poi una presa di sale, la scorza di limone, il latte, il lievito, la farina, la grappa, la frutta secca precedentemente ammorbidita in acqua tiepida e le mele a fettine. Cuocere in forno caldo per un’ora, lasciare l’impasto coperto con carta da forno per i primi 40 minuti.

dalla Francia e dalla Germania. Era in questo giorno che ci si sentiva come una grande famiglia: tutti in strada, tutti nei bar, i balconi delle case aperti, le stufe accese, i profumi… Ora quando passo in auto per le vie dei paesi mi chiedo: dove sono andati tutti quanti? Chi si nasconde dietro quelle porte chiuse e quei cancelli blindati? Perché due persone che si incrociano distolgono lo sguardo

o fissano il marciapiede sotto i loro piedi? Quand’è che gli squilli dei telefoni hanno sostituito il fragore delle risate? Dove sono i giochi dei bambini, le chiacchere delle mamme, i canti delle nonne? Dov’è andata a finire la vita?” Un particolare ringraziamento a Fulvia De Damiani per il prezioso contributo nella raccolta delle informazioni.


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INTERVISTA

Turismo slow, ambiente e ristorazione La montagna diventi officina del benessere Secondo il sindaco di Budoia il rilancio di Piancavallo e del comprensorio con le Valli e la Pedemontana passa attraverso una nuova visione, che non può più essere ancorata alla neve di MAURO FRACAS

In

seguito alla prima entusiasta fase di sviluppo avvenuta a partire negli anni ’60, seguita da un periodo di consolidamento, il Piancavallo ha conosciuto momenti di incertezza che hanno sfidato i piani di rilancio che si sono susseguiti nel tempo. Per poter dare uno sguardo più comprensivo alle prospettive di futuro di questa località, è stato interpellato Roberto De Marchi, Sindaco di Budoia, comune nel cui comprensorio è situato parte del Piancavallo. Qual è a suo avviso il polso della situazione al Piancavallo? “Questa località sta conoscendo una perdurante crisi, tamponata all’occorrenza dalla possibilità di accedere a risorse economiche ormai non più disponibili. È necessario un ripensamento complessivo della sua identità per dare a questo polo turistico una concreta possibilità di continuare a competere”. Da cosa dipende la precarietà della condizione di questa località? “Il Piancavallo come località turistica è figlia del suo tempo, un’icona del periodo di boom economico e di una idea di modernità che preludeva al dominio dell’uomo sulla natura e che concedeva un credito illimitato all’iniziativa umana. Si è così realizzato un centro sciistico ad una quota relativamente bassa ed in una zona esposta al sud, quindi poco

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favorevole alla neve e particolarmente vulnerabile nei confronti degli eventi meteorologici e dei cambiamenti climatici cui stiamo assistendo in questi tempi”. Cosa ne pensa dell’offerta turistica fino ad ora proposta? “Piancavallo fino ad ora ha fondato le sue fortune sullo sci da pista, quindi si tratta di un turismo stagionale che presuppone il mantenimento di adeguate condizioni climatiche. Eppure questo centro turistico ha costi di gestione altissimi, che dovrebbero essere ammortizzati con una offerta più comprensiva che si possa declinare per tutto l’anno. È dunque necessario abbandonare l’ostinazione verso il turismo sciistico e prendere in considerazione modelli che ripercorrano l’esigenza dell’uomo di aprirsi alla natura”. Sci ma non solo dunque? “Oltre allo sci da pista vi è quello da fondo, oppure versioni ancora più soft, come le ciaspole, e in estate il Nordic-walking, ma anche la MTB o semplicemente, le passeggiate. Si deve pensare all’ambiente come principale

elemento di attrattività e dunque ad una offerta turistica più comprensiva e meno aggressiva di quella formulata fino ad ora, capace di dar vita anche ad un turismo slow, che sappia coniugare tempo libero ed interessi di tipo naturalistico e gastronomico, tenuto conto dell’eterogeneità ambientale che caratterizza il comprensorio del Piancavallo. Qui potrebbe inserirsi anche il turismo di tipo scolastico, che fino ad ora ha svolto un ruolo marginale e che andrebbe promosso sistematicamente con pacchetti ad hoc per i diversi gradi di scuola. Tutto ciò, tra l’altro, favorirà lo sviluppo di variegate figure professionali dedite allo svolgimento di queste attività, con positive ricadute in termini occupazionali”. E come dovrebbe configurarsi il connubio uomo-ambiente? “Costituendo il Piancavallo come presidio ambientale di un più ampio comprensorio, le cui specificità andrebbero identificate ed integrate all’interno di un progetto organico. Vi sono le piste da sci, ma anche con pari dignità le zone pascolo, che sono costellate da malghe, attorno alle quali costruire proposte gastronomico-alimentari coerenti con il territorio. In quest’ottica il Piancavallo diventerebbe un modello di ristorazione ed accoglienza, una autentica officina del benessere. I confini del comprensorio del Piancavallo dovrebbero essere


Foto Ferdi Terrazzani

senz’altro allargati al Cansiglio da una parte e a Barcis dall’altra. Così, se consideriamo il Piancavallo come un wellness-center o una sorta di luogo di cura dallo stress quotidiano nel cuore di un territorio che fa sistema con il Cansiglio, la Valcellina e che gode di una vista su Venezia ed il mare, allora il messaggio sarà: “ci si reca a Piancavallo per stare bene” e non solo per sciare. In tal modo si verrà guidati a riconsiderare il proprio rapporto con la natura, che verrà sempre più vissuta come teatro di attività sananti

di tipo sportivo, culturale alimentare e quant’altro. Ma questo non basta, è anche molto importante andare al Piancavallo solo con i mezzi pubblici, come in un’isola a cui non hanno accesso le auto e “lo stress della vita moderna”. Il mezzo pubblico è il modo più immediato per cambiare la percezione di tutto il contesto con l’obiettivo di calare sul Piancavallo un nuovo modo di sentire il tempo”. Quale contributo può dare Budoia per la realizzazione di queste linee di sviluppo e per il rilancio della

località? “Il problema del Piancavallo eccede le risorse dei comuni di pertinenza, e non può essere affrontato che attraverso una azione sinergica che coinvolga la Pedemontana, la Valcellina ed il Cansiglio all’interno di una visione condivisa. Forse questa località non potrà diventare quella regina delle nevi di cui si è favoleggiato nei tempi passati, ma rappresentare un valore aggiunto al territorio sì. Il che non mi sembra un passo indietro, anzi...”.

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PROGETTI

La Pedemontana vuole il trenino turistico La linea ferroviaria Sacile-Pinzano da oltre due anni è un binario morto. La Regione ha affidato uno studio di fattibilità per riattivare la tratta. “Iniziativa sostenibile se diventa anche un’attrazione per turisti, scuole e famiglie”

Quale miglior occasione di questa per trasformare una linea ferroviaria tanto suggestiva dal punto di vista ambientale in un moderno e originale vettore turistico ad integrazione delle esigenze lavorative dell’utenza pendolare. Un Trenino della Pedemontana, con tutti i servizi per i turisti, per esempio il trasporto biciclette, ma anche la descrizione dei luoghi attraversati e delle peculiarità artistiche e gastronomiche, attrattivo per le famiglie e le scolaresche in gita, all’interno di un percorso didattico che tocchi chiese, centrali idroelettriche, zone di guerra. È pretendere troppo?”. Questo è il pensiero di molti operatori della fascia pedemontana pordenonese sul possibile riutilizzo in chiave turistica della linea ferroviaria Sacile-Pinzano. La linea ferroviaria in questione è stata interrotta da una frana il 6 luglio 2012, con relativo sviamento di un treno nei pressi di Meduno. Successivamente sono stati effettuati i lavori di ripristino e consolidamento, conclusi nel maggio 2014. A tutt’oggi, però, le Ferrovie dello Stato, società che gestisce in concessione la tratta, non ha ancora provveduto a ricollocare i circa 300 metri di binario asportati per eseguire i lavori. Risultato? Un binario morto. Considerata la trascurabile entità della spesa per il ripristino del binario (rispetto a quella sostenuta in precedenza per i lavori di messa in sicurezza a seguito della frana), tutto lascia supporre che non vi sia una reale volontà di rimettere in esercizio la linea, evidentemente per ragioni di scarsa convenienza economica. Nel frattempo, il servizio di pubblica utilità sulla tratta,

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stante l’inadempienza delle Ferrovie dello Stato (che avrebbero l’obbligo di “garantire la piena utilizzabilità e la costante manutenzione delle linee e delle infrastrutture ferroviarie”, recita l’atto di concessione) , viene assicurato dalla Regione che ha messo a disposizione un servizio di autocorse sostitutivo. Servizio che la Regione paga di tasca di propria e la cui qualità risulta fatalmente inferiore. In questo periodo i pendolari orfani del treno si sono organizzati in Comitati spontanei e hanno fatto sentire la propria voce attraverso il tam tam dei social network. Il 14 gennaio 2013, la Regione ha richiesto formalmente il trasferimento della linea per gestirla autonomamente e ha affidato, con specifica delibera, uno studio di fattibilità alla società partecipata Ferrovie UdineCividale per il recupero e rilancio della linea ferroviaria Sacile-Gemona. Ma un protocollo d’intesa tra gli enti che finanzieranno il progetto non è stato ancora sottoscritto. L’impressione comune è che nessun rilancio sostenibile potrà essere effettuato senza il trasferimento della proprietà dallo Stato alla Regione, operazione a costo zero già fatta per la Udine-Cividale. L’obiettivo, inoltre, non deve essere soltanto la linea, ma anche le risorse che annualmente lo Stato riconosce a FS, in base al contratto di programma per la manutenzione e la gestione. Soldi che oggi vengono trasferiti altrove, dato che la tratta è chiusa. F.M.


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LA STORIA

LA VENEZIA DELLE NEVI La storia di un nobile belga, di una misteriosa “madame” e di un villaggio mai realizzato

di MARIO TOMADINI

Dardago - Valle della Stua, estate 1967. La strada della Venezia delle Nevi è ormai una realtà. (Archivio Missinato)

Dardago, primi Anni Sessanta del secolo scorso. E’ il tardo pomeriggio di fine settembre. Quando gli ultimi raggi di sole che arrivano di sghimbescio da occidente tentano di allungarsi sulle pietraie della Val Grande, un’auto chiara dalla lunga eleganza supera la piazza di Dardago e sale verso la Val di Croda incuneandosi tra le case della borgata. I frazionisti ammirano quel passaggio seguendolo fin dove è possibile, poi le loro fronti si aggrottano con la speranza che quell’apparizione non si trasformi in un mistero senza soluzione. Quegli uomini, semplici d’animo e d’intenti, dimostrano una curiosità comprensibile, poiché mai prima di quel momento un tale veicolo era stato visto in paese. Affrontando la carrareccia l’auto ha un sussulto, la velocità diminuisce e la guida si fa più attenta. L’auto procede lentamente cercando d’assecondare le asperità del terreno. Il motore è spento davanti a quella che un tempo era la casera S. Tomè, nel luogo un tempo chiamato il “Ciamador della Val di Croda” dove partivano carbonai, caseranti e montanari che nelle slitte assieme a legna, carbone e fieno caricavano anche le loro pesanti esistenze. Il conducente scende e con gesti essenziali apre la portiera posteriore dalla quale spunta un uomo che veste con eleganza. La sua signorile figura sembra stridere con la crudezza di una valle prealpina che Madre Natura ha voluto

comprimere tra colate di ghiaie e pendii accidentati. Intanto, forse per gratificare l’ospite, le Crode di S. Tomè tentano d’accendersi dei colori caldi e armoniosi dell’enrosadira dolomitica ma è solo una speranza, poiché non basta la presenza di una persona così distinta per nobilitare le pietre che la storia ha voluto umili e sconosciute. Poco dopo anche una giovane donna abbandona il sedile e trasferisce tutto il suo charme nel terreno accidentato. Alta, bionda e con un foulard di seta colorata che le nasconde collo e spalle, ondeggia in precario equilibrio. I due uomini si precipitano a sostenerla. Il terzetto si ricompone ed è in quell’istante che l’autista allungando il braccio verso la montagna indica la boscaglia e le cime soffermandosi su una traccia che scompare nel bosco e riappare in un pendio dove arbusti e massi sembrano opporsi alla legge di gravità. Ormai il sole è scomparso e la valle scivola nel buio. Non c’è più tempo ma forse neppure la voglia per osservare. La brezza che scende dalla Val Grande accarezza i visitatori. L’aria si carica di una freschezza elettrizzante che obbliga l’uomo ad alzare il bavero della giacca mentre la giovane donna s’immerge ancora di più nel foulard. Il conducente è già in auto e avvia il motore. I fanali fendono la carrozzabile illuminando ora una pietra ora il bosco. Poco dopo il fascio di luce rimbalza tra le case di Dardago riguadagnando la pianura.

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La rotabile della Venezia delle Nevi arriva alla Baracca del Saùc. (collezione dell’Autore)

Mi

piace immaginare che le vicende che hanno visto nascere e morire nel breve volgere di un paio d’anni il progetto de La Venezia delle Nevi, abbiano avuto inizio con l’arrivo in Val di Croda del conte belga Daniel D’Ursel che aveva lasciato il suo castello di Hingene, nei pressi di Anversa, per realizzare un villaggio turistico tra Casera Campo e le pendici del Saùc. Il nuovo insediamento avrebbe dovuto coniugare lo sport dello sci con la villeggiatura estiva nei lidi adriatici; non a caso per quell’ardita iniziativa era stato ideato un logo

I lavori per la costruzione della strada Venezia delle Nevi avevano favorito l’apertura dello Chalet Belvedere. In questa immagine il proprietario Alfredo Janna. Alle sue spalle il cartello che prometteva di arrivare, in soli 15 minuti di dolce salita, in quello che doveva diventare il comprensorio Saùc-Campo. (cortesia famiglia Basso-Janna)

che presentava il ferro di prua di una gondola veneziana assieme a un cristallo di neve stilizzato. Per Budoia La Venezia delle Nevi era la risposta agli avianesi che proprio in quegli anni stavano creando la loro stazione turistica nel campo carsico del Cavallo. La rotabile che collegava Aviano con il Piancavallo era una realtà e lo stesso non lo si poteva dire per Budoia che per realizzare il suo sogno avrebbe dovuto passare per la Val di Croda e arrivare molto più in alto. Il progetto era ambizioso ma altrettanto oneroso se consideriamo l’asprezza dei luoghi che fino a

In questa cartolina postale degli Anni Sessanta appare il logo della Venezia delle Nevi, composto dal ferro di gondola e da un cristallo di neve. (cortesia sito www.artugna.it)

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La parte terminale della strada Venezia delle Nevi con la diagonale che sale verso Casera Campo (cortesia famiglia Basso-Janna)

quel momento erano conosciuti solo dai montanari locali. In ogni caso la Venezia delle Nevi aveva trovato uno stuolo d’estimatori nel Mandamento di Pordenone tanto che in molti avevano affidato i risparmi alla società costituita dal conte belga. L’architetto francese Raymond Martin aveva previsto ben 285 lotti nei quali edificare altrettanti villini seguendo lo stile tipico, così almeno si era detto allora, della montagna friulana. Gli acquirenti non mancavano; pordenonesi a parte, la caparra era stata versata da francesi, tedeschi, austriaci, americani e naturalmente da alcuni connazionali del D’Ursel. La Venezia delle Nevi aveva bisogno di acqua potabile ed energia elettrica ma la necessità primaria era una strada e per tracciarla la Ditta Sartor e Mayer aveva profuso impegno e professionalità seguendo le disposizioni di Edgar Ovart, il direttore generale della Società. Fatto sta che per i diciasette chilometri e rotti se ne erano andati venti miliardi di lire. Quella cifra era stata diluita in un‘infinità di tornanti ai quali era stato affidato il compito di rendere accettabile la pendenza, ma quel denaro era soprattutto servito per rintuzzare gli attacchi del meteo che nelle stagioni autunnali 1965 e 1966 aveva rovesciato tonnellate d’acqua su pendii che i “vecchi” di Dardago consideravano instabili. Ad ogni modo dopo aver superato, o forse è meglio scrivere mascherato alcune difficoltà, il 18 settembre 1967 un gruppo d’autorità, tra le quali c’era anche l’industriale Lino Zanussi, avevano assistito all’inaugurazione dell’arteria montana che partiva dallo Chalet Belvedere, l’attività di ristorazione aperta da Alfredo Janna. A quel punto sembrava che La Venezia delle Nevi potesse navigare in acque tranquille e invece il naufragio era prossimo. La costruzione della 90

strada aveva assorbito gran parte del capitale societario e per di più in patria il D’Ursel aveva patito un rovescio finanziario che tra gli investitori aveva minato la sua affidabilità. I finanziatori si era progressivamente dileguati e di conseguenza anche la gondola della Venezia delle Nevi era stata risucchiata in un mare d’incertezze. Oggi a testimoniare quell’improbabile iniziativa rimane una rotabile a fondo naturale che con numerosi tornanti guadagna quota arrivando a quello che fino a pochi anni or sono era il ristoro “Baracca del Saùc” per proseguire verso Campo e Friz. In alcuni tratti la strada, peraltro interdetta al traffico motorizzato, è ridotta a poco più di una mulattiera frequentata da podisti, escursionisti e appassionati di mountain-bike che trovano in quel sogno mancato un buon terreno d’allenamento. Alla quota di 1000 metri s.l.m. circa, ci si può ancora dissetare con lo zampillo che sgorga dalla Fontana Tarabin (denominazione mutuata dal nome della famiglia di Dardago Zambon Tarabin) conosciuta anche come Fonte del Grillo. Il versante opposto invece è nobilitato dalle pareti delle Crode di S. Tomè e dalla forra del torrente Cunath o Cunaz, un gioiello acqueo che salta e rumoreggia a due passi dalla pianura. Più in sù, verso oriente, le antenne della Castaldia danno la certezza non di non essere tanto lontani da quel Piano del Cavallo che nel 1967 aveva vinto l’impari sfida con la Venezia delle Nevi senza dannarsi l’anima. Un passaggio dall’alpeggio Saùc è doveroso; qui sostavano gli sciatori e gli escursionisti che tra il 1925 e il 1943 salivano al Rifugio Policreti e così con l’animo attento al passato possiamo camminare con sicurezza nel presente.


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me z z a g iornata

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km d i per corr enz a.


ph. Pentaphoto

te ca, pis i t n e t au zia bella e n Fr iuli Vene ra ù i p e op ei i nev ina la i e veloci. S n, Forni di S he, g a m m n ic a iulia. I anti moder tto-Zoncol r istiche un iva G a i z pi tu cle ene or t r iuli V llate, con im allo, Ravas di attività picata sp r ian F l e d sibe arram piste zione ancav i af f o Viv i le urate e ma a Nevea, Pi ne e l’emo c walking, trainate da hiaccio ll e ,c ag di ag sicure Tar visio, Se ostre mont , come nor gi con slitt ing nei pal i meno l d n a r ag ia Giulia . Scopr i le chi non sc lle nevi, vi cor si di cu Giulia spen s , e i a i r r o d i e Sau anche pe n il gatto pattinagg r iuli Venez F , te co pensa escur sioni ob, slittino ché solo in b r r, indoo da cavalli, spolate, pe a o i husky enticabili c m i o ind r ti di più. ve e t i di


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