La Città
LA CITTÀ • Numero Settantacinque • Dicembre 2014 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCI PORDENONE • Copia in omaggio Direttore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, Viale Trieste, 15 • Telefono: 0434-240000 • e-mail: info@lacitta.pordenone.it • Sito web: www.lacitta.pordenone.it
EDITORIALE
L’ora della verità La figura di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, è sufficientemente valorizzata nella città che porta il suo nome? Quali iniziative si potrebbero ragionevolmente intraprendere per valorizzarla maggiormente? Abbiamo rivolto queste domande ad alcuni opinion leader locali in una sorta di forum virtuale per fare il punto della situazione dopo la provocazione lanciata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi a Pordenonelegge e la successiva apertura del presidente degli Industriali pordenonesi, Michelangelo Agrusti, a lavorare su una grande mostra dedicata al nostro maggior artista. Avvertiamo fin da subito il lettore a caccia di polemiche che qui non ne troverà. La nostra volontà è quella di offrire un contributo alla riflessione su questo tema. Per questo abbiamo raccolto i pareri di amministratori, esperti e opinionisti che, a vario titolo, possono intervenire con cognizione di causa. Tutte persone che magari non hanno nell’immediato la possibilità di incontrarsi e sedersi attorno a un tavolo per discutere del Pordenone. In questa come in altre occasioni il nostro giornale esercita una funzione di servizio nei confronti di una città che fatica a dialogare (manca la famosa “cabina di regia” di cui spesso si è parlato in passato senza mai riuscire a realizzarla stabilmente). I punti di vista di Claudio Pedrotti, Claudio Cattaruzza, Sergio Bolzonello, Michelangelo Agrusti, Luciano Padovese, Paolo Goi, Caterina Furlan, Giovanni Lessio, Lionello D’Agostini, Giancarlo Magri, Alessandro Ciriani e Giuseppe Ragogna sono una buona base di partenza per incominciare a ragionare in modo serio su un progetto, che per essere credibile e realizzabile dev’essere necessariamente condiviso e partecipato da tutti questi signori e, prima ancora, dai cittadini pordenonesi. Da questa tribuna esprimiamo solo un concetto, articolato in alcuni paletti secondo noi imprescindibili. Primo: un’eventuale grande esposizione sul Pordenone deve tenersi a Pordenone e non a Villa Manin o altrove. Ha ragione Sgarbi quando dice che la mostra
del 1984 ci fu scippata. È così. La stessa mostra poteva essere allestita in città (in Fiera o alle Scuole Gabelli), e sarebbe stato anche meglio rispetto a portare un artista rinascimentale nella cornice di una villa veneziana settecentesca. Ma allora per avere i finanziamenti si dovette cedere al “ricatto”. E fu l’ennesima vittoria della politica udinese. Secondo: sono assolutamente da evitare i grandi “spot”, costosissimi e poco utili dal punto di vista delle ricadute territoriali. Il grande evento “chiavi in mano” dà lustro solo a chi lo organizza, ma dopo la fiammata non resta niente. Meglio un progetto alla “pordenonelegge”, del territorio per il territorio, con una serie di link ai luoghi pordenoniani e alle altre peculiarità culturali, ambientali, gastronomiche. Terzo e ultimo: chi paga? Sono tutti bravi a parlare per andare sui giornali, ma se non si chiarisce subito questo aspetto conviene stare fermi. Altrimenti poi si finisce con le solite guerre dei poveri. Guardare per credere al progetto del Centro multimediale dedicato al de’ Sacchis, promosso per la verità dall’unica azienda privata veramente munifica di questo territorio, Banca FriulAdria, e poi “dimenticato” dagli altri partner al momento di tirare fuori il conquibus, sempre con l’alibi della crisi. Un evento di spessore e risonanza internazionale deve essere inserito con largo anticipo nell’agenda culturale della Regione, come fatto per la mostra del Tiepolo a Udine. Da lì devono venire almeno i due terzi delle risorse. E gli Industriali di Pordenone, per una volta, devono entrare pesantemente in gioco, non con le briciole di una piccola sponsorizzazione come sono abituati a fare (e neanche sempre), bensì con una partnership che si sposi, perché no, con le loro esigenze di marketing aziendale. Se i padiglioni, le infrastrutture, le dotazioni tecnologiche e tutto il resto dei materiali occorrenti per la grande mostra sul Pordenone dovessero portare il marchio delle più importanti imprese locali nessuno avrebbe qualcosa da ridire. Anzi. Buone feste a tutti. Flavio Mariuzzo
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Dopo la provocazione di Sgarbi la città s'interroga sulla valorizzazione del suo maggiore artista
Pordenone, città ingrata?
Giovanni Antonio de' Sacchis, detto il Pordenone, è stato uno dei più grandi artisti del Rinascimento, eppure la sua città sembra averlo dimenticato. Quali iniziative si potrebbero intraprendere per valorizzarlo maggiormente? L'abbiamo chiesto agli opinion leader locali, raccogliendo pareri contrastanti. C'è chi spinge per la mostraevento e chi punta sugli itinerari pordenoniani. Un progetto identitario condiviso dovrebbe vedere la luce nel 2015 Il servizio alle pagine 3-4-5-6
Il Pordenone, schizzo a grafite e acquerello, Alberto Magri 2010
SCRITTI CORSARI
IL MIO NATALE
Luci e ombre di un anno da dimenticare
Quell’Altrove che sgomenta
di ALBERTO CASSINI
di CHINO BISCONTIN
Oddio, diranno gli inquilini del Palazzo, è tornato: tranquilli, è solo un’incursione corsara nelle cronache degli ultimi mesi. Ed è anche una risposta alla pattuglia di nostalgici (della vecchia rubrica, s’intende) che continuano a frequentare la mia rustica bohéme. Ho sempre scritto solo per il lettore (non certo per Lorsignori che continuano a fottersene), il suo è dunque il solo giudizio che conta. E veniamo a lui, Matteo Renzi, il protagonista assoluto, nessuno – riconosciamolo – riesce a tener meglio la ribalta. Dilaga
La festa del Natale evoca in me un ricordo commovente, di diversi anni fa. Ero andato a trovare una coppia di sposi che da poco avevano avuto una bambina. Fui accolto dal papà, che con un cenno del capo mi invitò ad entrare. Tra le braccia teneva la bambina addormentata, e aveva le gote bagnate da lacrime. Deve aver notato la mia preoccupazione, perché mi ha subito rassicurato: non era capitato nulla di male. Solo che da un bel po' teneva in braccio la sua bambina e non riusciva a trattenere le lacrime. Ne guarda-
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SCRITTI CORSARI
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Dopo un anno sabbatico l’avvocato Alberto Cassini riprende la collaborazione con il nostro giornale
Gattopardismo Renzistyle Per molti il renzismo è una provvidenziale mutazione genetica. Però, dobbiamo ammetterlo: nel lazzaretto della politica nostrana serviva l’energico scossone della generazione Erasmus continua dalla prima
nella rete e nei salotti televisivi, deborda dai teleschermi, si guadagna le copertine dei rotocalchi, il renzismo rischia di divenire un anestetico di massa, un antidoto alla crisi, una sorta di nuovo conformismo. Si libra nel gran barnum della politica come un acrobata sul filo: meglio comunque dei tanti clown che ci hanno propinato negli ultimi vent’anni. E senz’altro (per dirla alla toscana) un po’ bischero, un abile prestigiatore che fonde sogni, promesse ed aspettative in una seducente melassa (e se non seguiranno poi i fatti rischia davvero parecchio). M’è comunque simpatico, ha restituito alla politica un tocco di goliardica spregiudicatezza. Nelle riforme (spesso improvvisate e discutibili) si basa su opinabili consensi e su improbabili richiami evangelici (il Nazareno è solo un toponimo) ed è costretto a ricorrere sistematicamente alla fiducia per non venir disarcionato. Dileggia i cosiddetti poteri forti, ma purtroppo si circonda di sbiadite comparse; insiste ad emarginare la vecchia guardia (concordo, lo scrivo da anni) salvo poi scegliersi gli interlocutori nel cronicario della politica: non mi sembra che Berlusconi e Verdini profumino di lavanda e vantino limpide credenziali. Il Renzistyle sta contagiando anche gli ambienti tradizionalisti, dalla finanza alla grande industria. Per molti è una provvidenziale mutazione genetica: se non ora, quando? E se non lui, chi altro? S’affac-
cia sulla scena la generazione dell’Erasmus, ma -dobbiamo ammetterlo- nel lazzaretto della politica nostrana serviva un energico scossone. Con Renzi i partiti rischiano l’eutanasia. Gli va riconosciuto che –nonostante certe disinvolte millanterie (talora par d’assistere ad una televendita)
e ai troppi eccessi tribunizi– all’europee ha doppiato Grillo. Come movimento il grillismo si sta rivelando un’avventura protestataria e trasgressiva che difficilmente reggerà all’usura del tempo. E gli altri? Erano convinti di lasciare un’impronta della storia, faticano invece a reggere i ritmi della cronaca, “in un mondo di nani – ghignava Andreotti – c’è spesso la tentazione di considerarsi dei giganti”. Assistiamo alla sconcertante esibizione di tre populismi. Il
primo è quello del “ganassa meneghino” (“nessuno sulla scena mondiale può confrontarsi con me”) ma ormai ha imboccato anche per ragioni anagrafiche il viale del tramonto; il secondo infiamma le piazze come un demiurgo di talento, il terzo affronta con giovanile baldanza improbabili sfide.
A tutto ciò s’aggiunga il populismo spicciolo dei cespugli che cavalcano la rabbia e la protesta, ripudiando l’Euro e contestando l’Europa. Stiamo assistendo anche alla scomparse del bipolarismo, che è una tipica invenzione italica con i Guelfi e i Ghibellini (ed anche allora si prendevano a randellate). La destra si sgretola, risucchiata da una deriva minoritaria con la zeppa al piede di un leader quasi ottuagenario. La sinistra è asimmetrica, un’equivoca commistione di inconciliabili consorterie alla ricerca di un’identità comune senza la quale diverrebbe un reperto di modernariato. Tutti auspicano larghe intese ma in pratica sembrano condividerle solo nella spartizione del bottino. Riflettiamo sull’Expo, sulla mafia capitolina, sul Mose: non sono solo marce le mele, ma anche il cesto s’è guastato. E in questo clima tutti tendono a rinfacciarsi i torti subiti, raramente riconoscono gli errori commessi e a pagare è sempre il cittadino con gli indici economici che peggiorano di mese in mese. Hanno declassato il rating ad una stentata tripla B, il nostro debito pubblico è a rischio spazzatura. Per affrontare la crisi non basta tuttavia uno straordinario solista, vivace ed effervescente, se si circonda d’una modesta squadra di governo. Com’era prevedibile sono anche esplose le tensioni sociali. Il governo sbertuccia il sindacato e le più agguerrite confe-
derazioni mobilitano la piazza: non è un bello spettacolo specie se finisce a randellate. Quello dei politici sembra un ineluttabile destino, non c’è modo di sfrattarli, sono come la risacca: tornano. Paiono cocainomani allo stadio terminale, non si rassegnano: D’Alema s’è sgomitato per un
incarico europeo, Fini tenta di riguadagnare il proscenio, Mastella ringhia per la mancata rielezione, l’inossidabile ottuagenario De Mita è il primo cittadino di Nusco. In quest’angolo del remoto Nord Est giubilati e rottamati scaldano i muscoli per la prossima passerella elettorale, sembrano i boys della Osiris, non sanno rinunciare alle paillettes ed ai lustrini. Dovremmo piuttosto riflettere sugli scialbi personaggi che il Friuli negli scorsi lustri ha piazzato nelle istituzioni. Cosa potevamo aspettarci? È gente che ha ben poco da dire e spesso non saprebbe neppure come dirlo. Potevano solo tornare nel nulla da cui provengono, finire nell’umiliante cono d’ombra dei desaparecidos, ma a lenirne il congedo c’è spesso (purtroppo per noi) un generoso vitalizio. Come nella canzone di Ella Fitzgerald “i tempi sono bui”, ma dobbiamo confidare nei giovani. Ricordate l’incipit del Nievo nelle Confessioni: “nacqui veneziano… e morirò per grazia di Dio italiano”. Io vorrei dire “diverrò cittadino d’Europa” ma per il resto temo non cambi nulla. Gl’Italiani – lo scrisse Indro Montanelli - hanno sempre preferito allo sforzo della risalita un morbido e languido declino. Temo abbia ragione Altan “perché tanta fretta, nessuno ci corre dietro, siamo già gli ultimi”. Prosit. Alberto Cassini
IL RICORDO
Ritratto di un amico
S’è congedato com’era vissuto: schivo, riservato e discreto. Per i cinquant’anni di toga dedicai a Giovanni Sandrin un ritrattino in punta di penna, con quel tocco impertinente che solo una lunga ed amichevole consuetudine giustifica. Finse – era di ruvida corteccia, ma solo all’apparenza – di risentirsene, so che in fondo l’apprezzò. Uomo di limpide scelte e di severi principi, alle luci della ribalta ha preferito la penombra delle quinte e a quel suo cliché è sempre rimasto fedele. Nel diffuso trasformismo d’una classe politica spesso disposta ad imbrancarsi con il vincitore, ha tenuto la rotta con rara coerenza. Era nato il 18 maggio 1929 e crebbe nel cuore della città antica, in quella piazza della Mota che con i suoi scorci magati ha ispirate le tremule incisioni di Giorgio Florian e le dialettali suggestioni di Ettore Busetto. Giovanni Sandrin aveva frequentato l’Università Cattolica di Milano e di quegli anni serbava un’indelebile traccia: era un’Italia intrisa di passione civile, tesa al riscatto dopo l’umiliazione della guerra ed esaltata dal miracolo economico. Ricordava di quel periodo l’assidua frequentazione con figure (fra gli altri Misasi e De Mita) che calcheranno poi da protagonisti la scena nazionale. Laureatosi nel 1954, abbinò all’esercizio della professione un’intensa milizia nelle file del cattolicesimo popolare sulle orme del padre Alberto, che di quel
movimento fu autorevole esponente nel secondo dopoguerra. Eletto consigliere comunale, fu per due mandati membro della giunta, vicepresidente vicario del Mediocredito, componente del Comitato provinciale di controllo, consigliere d’Amministrazione di importanti gruppi imprenditoriali e presidente dell’Istituto Mattiussi. Di singolare spicco fu anche il ruolo rivestito in ambito bancario: amministratore per venticinque anni della Banca Cooperativa Operaia, ne divenne presidente e dopo la fusione con la Popolare (l’odierna Friuladria) sedette nel consiglio di questo istituto, superstite alfiere di una “pordenonesità”) che purtroppo va sempre più sbiadendo. Questa intensa partecipazione alla vita pubblica gli guadagnò l’incondizionato apprezzamento dei propri concittadini. Anche nel quotidiano esercizio della professione si ispirò ad identici principi di rigore. Un lungo rapporto di collaborazione lo legò a Gustavo Montini, che di fatto – durante i due mandati al Senato e l’incarico di governo – gli affidò la gestione dello studio. Quei due erano fatti per intendersi, appartenevano a quella schiera (di ‘sti tempi vocata all’estinzione) di chi ha servito le istituzioni senza mai abusarne nè servirsene. L’avvocato Giovanni Sandrin non amava galloni, pennacchi ed orpelli, suo malgrado quindi – a suggello del tenace impegno nelle istituzioni e nella società civile- venne insignito dell’onorificenza di Grand’Ufficiale della Repubblica. Vorrei dire a Giovanni come il poeta antico “posi lieve la terra sulla tempia canuta”. A.C.
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Riflessioni sul Pordenone. Mostra-evento o itinerario pordenoniano permanente? La città s’interroga
Quel Pordenone sepolto vivo nelle chiese chiuse di GIUSEPPE RAGOGNA
Una città ha il dovere di valorizzare il proprio patrimonio culturale. Noi abbiamo invece dei “buchi neri”. La questione è stata sollevata dalle bastonate di Vittorio Sgarbi: “Dove avete nascosto il vostro pittore più importante? Vi siete dimenticati del Pordenone, il prolifico artista rinascimentale che ha lasciato ovunque testimonianze del suo genio. Meriterebbe la massima attenzione”. Probabilmente, Sgarbi lavora per se stesso, con l’obiettivo di curare una grande mostra. Lui ha i suoi canali, nei prossimi mesi misureremo la concretezza dell’idea. Resta il fatto che la dimenticanza è grave. Le lacune sono evidenti, a partire dallo studiolo dell’artista, in piazzetta San Marco, da anni in condizioni di degrado, ancora oggetto di un’estenuante trattativa tra il proprietario e la Fondazione Crup che è interessata all’acquisto per metterlo a disposizione della città. Non ha avuto seguito neppure la sollecitazione per l’allestimento di una sezione multimediale, magari all’interno dei musei, con l’utilizzo delle tecnologie più innovative per ricostruire la storia del Pordenone, catalogare le sue opere, proporre degli itinerari turistici. Giovanni Antonio de’ Sacchis rappresenta il “marchio” di un intero territorio. I suoi capolavori sono sparsi in giro per il Friuli. Il Pordenone lasciava preziosi segni del suo passaggio, in certi casi abbondanti, come nella nostra città, a Spilimbergo e in alcune chiese della pedemontana: Travesio, Vacile, Valeriano, Pinzano. Se ne rilevano le tracce nelle guide turistiche più importanti, ma i luoghi più appartati sono colpevolmente inaccessibili. Le piccole chiese, anche se sono parrocchiali, restano chiuse, tranne che in occasione delle funzioni religiose (massimo una volta alla settimana). Vincono le paure: i ladri, le messe nere, gli atti vandalici. L’insicurezza paralizza ogni buona azione: “Perché non aprire
I grandi eventi hanno costi milionari e non risolvono il problema della valorizzazione permanente. Servono strategie di sviluppo. Un “percorso pordenoniano”, in grado di collegare le varie chiesette affrescate, avrebbe il fascino di una caccia al tesoro. Il problema è che restano chiuse per paura di ladri, atti vandalici e messe nere
Travesio - chiesa di San Pietro: affresco della volta
Travesio - chiesa di San Pietro
al pubblico gli scrigni dell’arte? Non se pol”. Le cause sollevate sono di natura economica: “Non possiamo permetterci il lusso di avere un sacrestano retribuito”. In realtà, molti edifici di culto hanno incassato finanziamenti pubblici per lavori di recupero e di ristrutturazione. Eppure restano chiusi, perché prevale essenzialmente la questione della sicurezza su ogni altra ragione (culturale, religiosa e sociale). Ma di paura si muore. La pedemontana è costituita ormai da paesi in via di estinzione, che stanno perdendo l’anima. Per questo motivo dovrebbe aggrapparsi coraggiosamente a ogni opportunità di riscatto. Le piccole comunità potrebbero sviluppare, tutte assieme, strategie di promozione attorno
Vacile - sagrato della chiesa: busto del Pordenone
Vacile - chiesa di San Lorenzo
Valeriano - chiesa di Santa Maria dei Battuti
agli elementi più forti di identità. E l’arte è un valore aggiunto. Un po’ tutto il Friuli è terra di affreschi, di colori, di armonie. Perché non costruire “percorsi” per attrarre visitatori? Perché non osare di “proporre turismo”? Da una parte, le parrocchie potrebbero organizzare dei corsi per la formazione di gruppi di persone in grado di gestire il patrimonio culturale. Dall’altra, Turismo Fvg (ente di emanazione regionale) potrebbe favorire alcune soluzioni per l’accesso alle chiese periferiche. Per esempio, perché non coinvolgere (almeno nei mesi estivi) gli studenti universitari con qualche borsa di studio? Basterebbe copiare ciò che funziona in altre realtà. Le chiese non sono corpi morti. Forse sarebbe il caso di non attendere
LA LETTERA
“Un artista con lo stesso nome della città è un valore aggiunto” Caro direttore, premetto che non sono un esperto d'arte e, di conseguenza, la mia è una serie di semplici considerazioni. Partiamo dalla consapevolezza che avere un artista che porta il nome di Pordenone è importantissimo per l'identità del territorio. Quante città possono infatti vantare di avere un artista che si chiama come loro? Questa caratteristica unica gioca subito a nostro favore perchè ci mette nelle condizioni di non dover cercare slogan per accomunare personaggio e luogo. Se però noi facessimo un sondaggio locale probabilmente tutti saprebbero che il Pordenone è un artista "nostrano". Ma quanti potrebbero indicarci il nome di qualche sua opera o dove è custodito il suo lavoro? Pordenone è infatti una città che necessita di sviluppare il suo aspetto culturale, ben oltre il ragionamento legato al Pordenone. Certo, questo non significa che in città non ci siano manifestazioni di interesse, ma piuttosto che la loro presenza non è associata ad un progetto ragionato e ampio di sviluppo del territorio. Ovvero, la quasi totalità delle manifestazioni che si svolgono da noi avvengono nel
Pinzano - chiesa di San Martino
disinteresse del "mondo" che le circonda: negozi chiusi, servizi fermi, istituzioni ed enti poco coinvolti, nessun evento collaterale. Ci si limita quindi ad usufruire della sola manifestazione, ma attorno ad essa c'è poco o niente. Perchè invece non prendere spunto da altre città d'arte? Non intendiamo certo paragonarci a Firenze o Roma ma fare in modo che Pordenone diventi una piccola capitale della cultura, proporzionalmente al nostro territorio. E questo al di là dei talenti, piuttosto sviluppando temi, creando percorsi, collegando le risorse locali tra loro, coordinando idee e peculiarità territoriali. Quello che dovrebbe contraddistinguerci è la tipologia di turismo, non quello delle grandi masse, che non siamo in grado di catalizzare e che probabilmente non siamo nemmeno interessati ad avere. Ci interessa piuttosto chi visita la mostra, individua itinerari a tema e magari li percorre in bicicletta, vuole scoprire cosa si mangia di tipico, intende comprare locale e genuino, dorme nelle nostre strutture, piccole ma curate e caratteristiche. Alessandro Ciriani
l’organizzazione di grandi eventi (dai costi milionari) per attivare alcune strategie di sviluppo. Una mostra non è tutto, anche se curata in ogni minimo dettaglio. Un “percorso pordenoniano”, in grado di collegare le varie chiesette affrescate, ha il fascino di una caccia al tesoro, che può sollecitare la curiosità dei turisti amanti della cultura. D’altronde, quelle opere ormai così fragili non potrebbero mai essere utilizzate per una grande esposizione. Non resta che ammirarle nei luoghi di origine, dove sono collocate in un contesto “naturale”. Sono elementi di uno straordinario paesaggio di bellezza. Generano emozioni. Ecco perché i siti che le raccolgono rappresentano una risorsa che i vari paesi potrebbero sfruttare.
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Riflessioni sul Pordenone: hanno accolto l’invito del nostro giornale a confrontarsi sul tema Caterina Furlan, Pao LA DOMANDA DEL NOSTRO GIORNALE
Pensa che la figura del Pordenone sia sufficientemente valorizzata nella città che ha dato il nome all’artista? Quali iniziative si potrebbero ragionevolmente intraprendere, a suo avviso, per valorizzarla maggiormente?
UNIVERSITÀ DI UDINE
CENTRO CULTURALE CASA ZANUSSI
“Sul Pordenone c’è ancora molto da dire a da scoprire”
Padovese: “Il museo multimediale avrebbe rafforzato l’identità pordenonese”
demica “Nel 2016 concluderò la mia carriera acca studi di olta racc una e e con un corso sul Pordenon iative iniz a orto supp da ire serv che mi auguro possa future”
di CATERINA FURLAN In genere l’interesse delle amministrazioni e delle istituzioni pubbliche per i personaggi e gli artisti che hanno dato lustro al proprio luogo d’origine coincide con qualche ricorrenza centenaria: così è stato nel 1939, allorché si sono celebrati i quattrocento anni dalla morte del Pordenone; così è avvenuto nel 1984, data coincidente grosso modo con i cinquecento anni dalla nascita (1483-1484). Essendo stata testimone diretta e in parte anche compartecipe di molte delle manifestazioni organizzate nell’occasione, posso dire che all’epoca si è fatto uno sforzo davvero notevole per la valorizzazione della figura e dell’opera del Sacchiense: due mostre (a Passariano e a Pordenone); la costruzione di un grande “cubo” ligneo in piazza della Motta per permettere al pubblico di poter ammirare, attraverso la proiezione di diapositive a ciclo continuo, la produzione superstite di un artista che si qualifica essenzialmente come un “freschista”; due convegni di studio, la predisposizione di itinerari dei luoghi pordenoniani e di una terza mostra di arte contemporanea, conferenze, incontri gastronomici, ecc. Il risultato? Circa 80 mila presenze e un’attenzione della stampa nazionale ed estera che ha proiettato per alcuni mesi la nostra città in una dimensione internazionale. Certo da allora sono passati trent’anni e la percezione dell’importanza di questo artista - specie tra le più giovani generazioni - si è indubbia-
mente affievolita per varie ragioni, su cui non è ora il caso di insistere. Per fortuna, a fronte di questa perdita di interesse, gli studi hanno conosciuto significativi progressi, che forse varrebbe la pena di far conoscere e divulgare oltre la ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Per quanto riguarda la creazione di un Centro multimediale e Laboratorio di arti visive dedicato al Pordenone, l’idea era senz’altro buona, tanto più che nella sua formulazione iniziale si configurava come un progetto per il territorio. Tuttavia evidentemente qualcosa non ha funzionato e d’altra parte la crisi che ha investito il Paese ha contribuito non poco all’attuale situazione di stallo. Non so se e in che termini questo progetto sia ancora recuperabile. Comunque sono certa che sul Pordenone c’è ancora molto da dire e da scoprire. Ritengo che di qui al 2019, anno di una nuova ricorrenza centenaria (i quattrocentottanta anni dalla morte), una serie di piccole mostre, incentrate su singole opere, interventi di restauro e nuove acquisizioni, potrebbe consentirci di arrivare preparati all’eventuale celebrazione di questo anniversario. Per quanto mi concerne, nel 2016 concluderò la mia carriera accademica con un corso sul Pordenone e una raccolta di studi che mi auguro possa servire da supporto a iniziative future. Questo solo per ricordare che qualsiasi forma di valorizzazione è imprescindibile da una seria e approfondita attività di ricerca.
San Francesco riceve le stigmate, opera del Pordenone appartenente alla collezione privata di Banca FriulAdria ed esposta al Museo Civico
ACCADEMIA SAN MARCO
Goi: “Il Pordenone è il più grande, ma ci sarebbe molto altro da valorizzare”
"L'idea di una mostra sul Pordenone mi lascia interdetto – è il pensiero di Paolo Goi, presidente dell’Accademia San Marco e conservatore del Museo diocesano di Arte Sacra – Il pittore ha già avuto nel 1984 una seconda mostra, un convegno, studi territoriali, precisazioni, aggiunte al catalogo; il genero ha beneficiato di una recente bella mostra a San Vito e il territorio di guide più o meno informate, mentre l'ambiente dal lato storico-culturale è stato esplorato in manifestazioni, cataloghi e convegni a Pordenone e Portogruaro: ciò a buona memoria. Stando questi i fatti, non vi è alcuna urgenza per una ulteriore rassegna che - eventualmente - dovrebbe venir dilazionata nel tempo e programmata in termini del tutto diversi, privilegiando piuttosto al momento l'impegno per una valorizzazione e la conoscenza della produzione artistica del Sei, del Sette e Ottocento nel Friuli occidentale, periodi ben poco conosciuti ad eccezione di qualche nome come ad esempio il Grigoletti. A meno che non si voglia continuare a friggere il fritto e consacrare l'ovvio".
“Negli stessi pordenonesi non c’è una grande percezione della grandezza del de' Sacchis e questo lo si vede in tante cose – osserva monsignor Luciano Padovese, presidente del Centro culturale Casa Zanussi – Bisognerebbe lavorare di più con le scuole e investire sui giovani. Qualcosa era stato fatto dalla Provincia con gli itinerari pordenoniani. Il problema è che poi si arriva nelle chiese affrescate dal Pordenone e le trovi o chiuse o senza neanche un depliant illustrativo. Personalmente guardavo con grande favore al progetto del museo multimediale che mirava a rafforzare l’identità pordenonese in maniera strutturale, come la Biblioteca e come la Casa dello Studente. Era un’iniziativa meritevole, peccato che non tutti ci abbiano creduto. Secondo me si è persa una bella occasione per dar vita a un museo che, partendo dal Pordenone, poi avrebbe potuto occuparsi anche di altro”.
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Magri: “Le opere non mancano per allestire una grande
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“Sono come minimo una sessantina le opere del Pordenone presenti nel circondario che potrebbero convergere, senza grossi problemi, in città per una grande mostra sul nostro maggior artista – spiega Giancarlo Magri, restauratore ufficiale di tele e affreschi del de' Sacchis – Penso alle ante d’organo del duomo di Spilimbergo, alle opere del duomo di Udine, ad almeno una decina di dipinti veneziani, alle chiese di Torre e Vallenoncello, al duomo di Pordenone, al battistero, alle opere del Museo civico e molte altre ancora. Senza contare che altre opere si possono fotografare e che se allarghiamo la prospettiva al suo tempo e agli altri
artisti con cui il Pordenone rivaleggiava, allora avremmo davvero problemi di abbondanza. Insomma, mi pare proprio che la materia prima ci sia per una grande mostra. E se a curarla fosse un critico esperto e brillante come Vittorio Sgarbi sarebbe davvero il massimo. Sgarbi afferma che il Pordenone ha recepito delle cose di Michelangelo senza vedere la Cappella Sistina, mentre fra Pordenone e Tiziano il primo era sicuramente superiore perché era un innovatore. Oltre alle tele abbiamo il vantaggio di avere in provincia tutti gli affreschi più importanti della regione. Quindi, oltre alla mostra, si potrebbero facilmente organizzare degli itinerari che tocchino le parrocchiali di Pinzano, Valeriano, Montereale, Travesio, Lestans, Rorai Piccolo e poi, in città, Rorai Grande, Villanova, lo Studiolo, Casa Ferraro e, naturalmente, il duomo. Credo che la cosa potrebbe funzionare perché non è vero che i pordenonesi hanno dimenticato il Pordenone: la recente mostra organizzata a Cavasso Nuovo sui restauri delle sue opere ha avuto un buon afflusso di visitatori”. “In questi ultimi anni, insieme ai miei figli Giovanni e Alberto, ho avuto modo di effettuare su incarico della Soprintendenza una verifica manutentiva dei vari cicli
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olo Goi, Luciano Padovese, Giancarlo Magri, Lionello D’Agostini, Giovanni Lessio e Michelangelo Agrusti FONDAZIONE CRUP
D’Agostini: “Pronti a rilevare lo Studiolo, ma la proprietà non ci sente”
Valeriano - Chiesa di Santo Stefano: trittico del Pordenone (1506), raffigurante San Valeriano, San Michele arcangelo e Giovanni Battista - foto inedita di Giancarlo Magri, autore del recentissimo restauro
UNINDUSTRIA PORDENONE
Agrusti: “Una mostra come evento rifondativo dell’identità pordenonese”
Presidente Agrusti, dopo la provocazione di Sgarbi a Pordenonelegge si parla con insistenza di una grande mostra sul Pordenone: può spiegare meglio di cosa si tratta? L’idea è quella di un evento rifondativo dell’identità pordenonese da organizzare nel momento in cui alcune istituzioni provinciali vacillano e perdono peso. In quest’ottica riallacciare il filo con le eccellenze del passato diventa fondamentale e strategico. Lei come presidente degli Industriali ha risposto subito presente. Significa che questa volta assisteremo a un pesante coinvolgimento delle aziende locali? Gli industriali non si sono mai tirati indietro e faranno la loro parte come sempre. Però non sarà la nostra
categoria ad avere il ruolo predominante. Altri sono le istituzioni e gli enti deputati a sostenere e organizzare eventi culturali. Come ci si sta muovendo? Chi ha la regia di questa iniziativa? Per il momento sta nascendo un laboratorio di idee e successivamente occorrerà dar vita a un comitato allargato sul modello di Pordenonelegge. La scelta del curatore e del luogo in cui allestire la mostra vengono dopo. Ma per la curatela si pensa a Sgarbi? È prematuro dirlo, come è prematuro parlare di costi. Certamente il nome di Sgarbi darebbe un valore aggiunto notevole. Quali tempistiche prevede per organizzare il tutto? Lavorandoci sodo si potrebbe ipotizzare entro la fine del 2015.
mostra sul Pordenone” affrescati dal Pordenone e dalla sua scuola, opere che avevo già restaurato dopo il terremoto del ’76. In questi giorni abbiamo appena completato il restauro di revisione del trittico nella
chiesa di Valeriano raffigurante San Valeriano, San Michele Arcangelo e San Giovanni Battista. Si tratta della prima opera firmata dal Pordenone e risale al 1506.
“Per Fondazione Crup il tema della valorizzazione del Pordenone è strategico – interviene il presidente Lionello D’Agostini – Da anni siamo concentrati sul progetto di restituire alla città lo Studiolo del de' Sacchis, che si trova al secondo piano dell’edificio. Purtroppo fino ad oggi non è stato possibile acquistarlo per l’opposizione dei proprietari, che sono stati obbligati dalla Soprintendenza a garantirne l’accesso qualche giorno alla settimana. Nel frattempo abbiamo rilevato i locali al primo piano, anch’essi appartenuti alla famiglia del Pordenone. Non appena arriverà il nulla osta dalla Soprintendenza inizieranno i lavori per la ristrutturazione delle parti co-
muni e per il piano di nostra proprietà, che potrebbero concludersi entro il 2015”. “A prescindere dallo Studiolo, Fondazione Crup si è sempre impegnata per il recupero delle opere di questo grande artista anche fuori città. Riguardo all’ipotesi di una grande mostra sul Pordenone, se esistono le condizioni, un tentativo va fatto. La strada ragionevolmente percorribile è quella che la Regione programmi l’evento e lo sostenga finanziariamente. Poi sarebbe più facile trovare le risorse a completamento”.
TEATRO VERDI
Lessio: “Centro multimediale trampolino per un’azione di marketing territoriale”
Sulla figura di Giovanni Antonio de' Sacchis mi ero fatto portavoce di un progetto che puntava alla creazione di un Centro Multimediale per concentrare gli studi, la ricerca e la valorizzazione della vita e delle opere del Pordenone. Sono ancora convinto che la riscoperta di questo nostro grande artista rinascimentale non abbia soltanto una valenza di carattere culturale ma possa diventare rapidamente un elemento "identitario" strategico per la creazione di un network pubblico-privato in grado di promuovere una incisiva azione di marketing territoriale che coniughi con identica preoccupazione gli aspetti culturali e identitari con quelli di sviluppo economico. La realizzazione di un Centro Multimediale dovrebbe fornire uno spunto innovativo alla concezione stessa di “museo” per offrire, soprattutto ai giovani, motivi di rinnovato interesse ad approfondire aspetti storici e culturali con i mezzi e i linguaggi oggi in larga parte utilizzati. Potrebbe inoltre valorizzare la parte “narrativa” di un’opera o di un artista creando così maggior attrattività ma anche interattività nonché motivo di attrazione in città e sul territorio provinciale. La presenza a Pordenone di un corso di laurea in tecniche e linguaggi multimediali potrebbe fungere da ideale collegamento tra il mondo della formazione superiore e quello culturale oltre a quello imprenditoriale. Con una tecnologia in continuo e forte cambiamento se il territorio sapesse offrire risposte a questa “domanda” di nuova imprenditorialità – così come sta avvenendo in territori vicini – anche la competitività di sistema potrebbe avvantaggiarsene. Ci vogliono idee, capacità e spirito imprenditoriale: ma non erano proprio queste le caratteristiche della classe politica e imprenditoriale pordenonese?
L'affresco della Natività dipinto dal Pordenone nel 1527 nella chiesa di Santa Maria dei Battuti a Valeriano
C.so Vittorio Emanuele, 12 - Pordenone Tel. 0434-27070 APERTO TUTTI I GIORNI DAL MARTEDÌ AL SABATO in orario continuato e TUTTI I LUNEDI POMERIGGIO
TTA EL NATALE È FA LA BELLEZZA D ABBRACCI.... I ANCHE DI CALD RBIDO CASHMERE. O M IN SE MEGLIO ETTA!! SP A TI I ER FALCON Gesu bambino, particolare della Natività (Santa Maria dei Battuti, Valeriano)
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La Città
PRIMO PIANO
Dicembre 2014
Riflessioni sul Pordenone. I punti di vista delle istituzioni locali: Comune, Provincia e Regione COMUNE DI PORDENONE
PAROLA MIA
Pedrotti: “Il progetto del centro multimediale aveva dei limiti”
“Un progetto serio deve superare gli schemi del passato”
Il sindaco e neo presidente della Provincia Claudio Pedrotti spiega perché si è arenato un progetto strategico per la città Sindaco, fino a poco tempo fa si parlava del centro multimediale dedicato al Pordenone: che fine ha fatto quel progetto? Proviamo a fare un esercizio di realismo legato ai tempi che stiamo vivendo e che sono diversi – e quanto – da quelli in cui l’idea è nata. L’attuazione del progetto di museo multimediale dedicato al Pordenone costerebbe da sola, su per giù, un milione di euro. Quali erano, a suo avviso, i limiti di quel progetto? In primis la difficoltà di individuare il target di pubblico a cui rivolgersi: un centro di documentazione per studiosi e studenti oppure una sorta di show room con effetti speciali per attrarre turisti e curiosi? Il progetto aveva, ed ha, certamente, una sua valenza dal punto di vista della catalogazione e dell’offerta di occasioni di studio delle opere ma la parte tecnologica, che si presentava già un po’ debole sarebbe comunque oggi ampiamente superata dagli ulteriori
progressi tecnologici. Inoltre, il tenere costantemente aggiornato un museo multimediale del genere, che di per sé prevede l’impiego delle tecnologie più evolute, oltre all’investimento iniziale, comporterebbe un impegno assai importante di risorse con ritorni per la comunità locale tutti da definire. Va da sé, quindi, che oggi, con lo stato della disponibilità di risorse pubbliche che ci è dato registrare come amministrazione comunale, l’operazione non presenta i necessari caratteri di fattibilità. E’ evidente che se dovesse nascere l’opportunità di concrete sinergie, non staremo certamente alla finestra. L’iniziativa, però, aveva un valore identitario ed economico: era legata allo sviluppo di un distretto della multime-
dialità. Quello dello sviluppo del distretto della multimedialità è certamente un tema che sta a cuore all’amministrazione, che ha peraltro operato con finalità di promozione di queste attività, anche con l’istituzione universitaria del territorio. Resta da dire che il tema di un’identità in cui la comunità si riconosce non può certo essere limitato a questa proposta. Forse quel tema può essere svolto altrettanto, se non più, efficacemente facendo riferimento ad altre e diverse peculiarità pordenonesi. Mi riferisco, solo ad esempio, alla storia ed all’attualità del nostro settore manifatturiero, al design e all’innovazione industriale. È in questi ambiti, a mio avviso, che risiede il vero posizionamento della nostra città e del nostro circondario. Qual è a suo avviso la strada per valorizzare maggiormente il Pordenone e Pordenone? È noto che Pordenone non possiede molte opere del suo maggior artista, che per altro ha molto operato con la tecnica dell’affresco ed in molte località diverse da Pordenone; ma è altrettanto vero che esiste nel territorio provinciale una sorta di museo diffuso che andrebbe valorizzato di più. È su questo versante che dobbiamo insistere e impegnarci tutti insieme per dar vita a degli itinerari che comprendano le diverse eccellenze: artistiche, ambientali, gastronomiche. Ritengo che la scelta migliore possa essere quella di impegnarsi, in forma coordinata con le altre istituzioni e, perché no, in collaborazione con il privato, per dar vita ad un progetto di promozione delle eccellenze che il territorio può offrire nei diversi ambiti e che, partendo dalla città, possa diventare volano per un’attenzione e per una conoscenza più diffuse, e meno superficiali, dell’intero territorio. F.M.
del mercato turistico, sempre più “Negli ultimi anni sono state nusensibile a tali proposte. Concremerose le iniziative di marketing tamente significa creare connesculturale incentrate su celebri arsioni, con la consapevolezza che tisti; per citare un esempio vicino solo in questo modo si possono a noi, geograficamente parlando, attivare quelle necessarie sinergie Conegliano ha promosso un indispensabili oggi per avviare progetto fortemente connesso progetti così articolati. Per comal suo territorio, dedicato al suo prendere il Pordenone bisogna pittore Cima da Conegliano. di SERGIO necessariamente conoscere le sue Giovanni Antonio de' Sacchis, BOLZONELLO (*) terre d’origine; gli scorci, i paedetto il Pordenone, rappresenta sicuramente un’importante opportunità per saggi e i volti presenti nelle opere di questo artista devono divenire il palcoscenico per i nostri luoghi per costruire un progetto orveicolare i contenuti del nostro territorio. ganico che sappia da una parte illustrare lo Per realizzare un progetto di marketing terspessore artistico di questo grande pittore, ritoriale è fondamentale dotarsi di un’unica dall’altra articolare un’azione di promoregia in grado di associare le componenti zione diffusa del territorio. Un’azione che storico – critiche con quelle promozionali. deve superare mere logiche autoreferenziali, Un progetto dedicato al Pordenone rapvalide solo per tempi passati, bensì riuscire presenta un’opportunità per tutto l’ambito a creare un dialogo fra arte, paesaggio, traprovinciale, ma è necessario, e lo ribadisco, dizioni, storia e patrimonio agroalimentare. L’obiettivo è offrire esperienze di conoscenza superare schemi del passato e sviluppare invece progetti complessivi e condivisi. culturali in senso ampio, che sappiano veicolare tutte le peculiarità del nostro terri(* Vicepresidente Regione Friuli Venezia Giulia) torio e raccogliere così le moderne esigenze
COMUNE DI PORDENONE
Cattaruzza: “Puntiamo su un museo territoriale” La proposta di un itinerario che partendo dalla nostra città porti il visitatore a conoscere le chiese e i luoghi del territorio dove il Pordenone espresse la sua arte (fm) Assessore Cattaruzza, una grande mostra sul Pordenone a Pordenone è ipotizzabile? Le opere del Pordenone in città non sono molto numerose. È stato un grande affrescatore che ha lavorato sul territorio e anche in luoghi piuttosto lontani da casa. Riunire le sue opere e presentare ciò che non può essere movimentato se non avvalendosi di avanzati supporti tecnologici necessiterebbe di un investimento molto elevato. Si pensi che la mostra del 1984 ebbe un costo di un miliardo di lire. Oggi ci vorrebbe molto di più e il Comune non ha le risorse per poter affrontare un simile impegno. Uno sforzo del genere andrebbe condiviso con diversi attori (Regione, sponsor privati ecc). Eppure nelle vicine province di Udine e Treviso queste imprese riescono: perché a Pordenone no? Mi limito a dire che nella nostra Regione le grandi mostre sono state promosse e organizzate a Villa Manin direttamente dalla Regione stessa. Il caso della mostra dedicata al Tiepolo ha avuto una sorta di sezione complementare e autonoma a Udine, così come era accaduto per la mostra del Pordenone cui ho accennato. A Treviso, una volta ridotto il determinante intervento della Fondazione Cassa Marca, sono venute meno anche le grandi mostre. Purtroppo in un momento di difficoltà come questo non sono le idee che scarseggiano bensì le disponibilità finanziarie. Qualcosa di più piccolo?
Qualche tempo fa abbiamo sondato la possibilità di avere in prestito temporaneo dal Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli, La disputa dell’Immacolata Concezione, un olio su tavola del Pordenone che sarebbe stato bello presentare in città, ma il suo spostamento e la relativa assicurazione si sono rivelati molto onerosi per le nostre disponibilità e ci hanno indotto a desistere. In ogni caso, Il Pordenone non è un autore trascurato in patria. Oltre ad essere studiato, su di lui si è scritto molto e bene, basti ricordare tra gli altri l’approfondito lavoro di Caterina Furlan, è oggetto di continua attenzione degli studenti dei diversi istituti scolastici che partecipano ai laboratori didattici del Museo Civico. Attualmente il Museo Civico ospita una mostra dei disegni originali dell’artista Stefano Jus tratti dal libro Intento in cose de prospectiva. Disegni e parole su alcuni aspetti di Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone. Nell’ambito delle ulteriori iniziative che potrebbero essere promosse per valorizzarne l’opera e la conoscenza anch’io come il sindaco vedrei bene la realizzazione di una sorta di “museo territoriale”, attraverso la proposizione di un itinerario che partendo dalla nostra città portasse il visitatore a conoscere le chiese e i luoghi del territorio dove Il Pordenone espresse la sua arte. Questo, però, dovrebbe essere un progetto di rete condiviso e adeguatamente promosso da diversi enti ed istituzioni.
La Città
IL CASO
Dicembre 2014
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Roberto Ungaro, il barbiere di piazza della Motta, ricorda il compianto Giovanni Scrizzi
“Il peso della vita e non la burocrazia ha schiacciato l’oste di Pordenone”
LO SPIGOLO
Della paura e dell’insofferenza di NICO NANNI
Foto di Jean Turco
“Se questi pensano di farmi fuori si sbagliano di grosso!”. Così Com’era il cliente Scrizzi? Lo conoscevo da dodici anni. Veniva qui soprattutto per farsi Giovanni Scrizzi commentava da Roberto, il suo barbiere la barba. di fiducia sul lato opposto di piazza della Motta, la vicenda Un servizio dal sapore antico. dell’esclusione dalla gara per la gestione del Caffè Letterario, Infatti, ma lui era un artista e amava le cose belle. Radere e l’osteria-atelier che aveva fondato nei primi anni Duemila. curare una pelle è in una certa misura una forma d’arte se Con chi ce l’aveva? viene fatto con rispetto e amore. Su questo ci capivamo bene. “Lo sfogo, in realtà, non aveva un bersaglio preciso – spiega Lui era un appassionato di sauna, di aroma-terapia, di cultura Roberto Ungaro, il cinquantenne barbiere di origini venete a 360 gradi. Per tagliare una barba bisogna conoscere bene la ma pordenonese d’adozione – probabilmente si rivolgeva alla società attuale, con la quale aveva dei conti in sospeso. Nell’ul- persona e la sua pelle. È come confezionare un abito sartoriale. Devi capire il pelo come nasce, il tipo di pelle, devi utiliztimo periodo la vita non era stata tenera con lui”. zare la schiuma della consistenza giusta, devi fare l’impacco Cosa lo tormentava? caldo e freddo per aprire i pori e poi chiuderli affinché tratten“Era una persona sola e con problemi di salute legati alla gano il disinfettante. Scrizzi adorava questa liturgia. depressione che lo aveva colpito. Era stanco, è vero, ma non Una morte troppo spettacolarizzata? credo che il lavoro sia stata la sua principale preoccupazione. Sicuramente non fino al punto di togliersi la vita. E tutti que- Ci vedevamo praticamente ogni giorno. Ci univa una sorta di sti amici che poi l’hanno voluto ricordare, intorno a lui non si rispetto per le rispettive passioni. Sono stato uno degli ultimi ad abbracciarlo e ad accarezzargli la testa. Tutto il can can mevedevano”. diatico fatto all’indomani della sua scomparsa mi è parso fuori Di cosa parlava quando veniva qui? luogo perché ha restituito un’immagine distorta del perso“Era spesso arrabbiato con il mondo, con un sistema che tonaggio. Che non si è arreso a un problema burocratico, bensì glie la voglia di lavorare anche a chi ama il proprio mestiere”. è rimasto schiacciato dal peso della vita, che per una persona Ha mai fatto nomi e cognomi? diventata così vulnerabile, era diventato evidentemente inso“Una sua riflessione, che io condivido, è che i veri colpevoli stenibile. del malessere siamo noi che abbiamo costruito una società F.M. con queste regole e con questa politica. E continuiamo ad alimentarla”. IL LANTERNINO
AUTOPSIE DELLE ANIME la nostra personalità. Come nessun altro diritto, quello alla riservatezza (o alla Ma almeno contro queste più o meno invasive e nocive intruprivacy), sebbene consacrato per la prima volta solo verso la sioni nella sfera privata è possibile, se pur con fine dell’800, ha subìto nella nostra epoca, sodifficoltà e magari tardivamente, difendersi o, prattutto per effetto del più recente progresso quantomeno, reagire. Ciò evidentemente non tecnologico e dei mezzi di comunicazione, una può succedere allorché viene pubblicamente straordinaria trasformazione. esposta, analizzata e commentata l’intimità di Originariamente concepito come diritto a chi non c’è più. E non può dunque difendermantenere segreti i fatti propri e di impedirne si. E la cui personale dignità, che sopravvive la conoscenza agli estranei, ha assunto in seguinel ricordo degli altri, proprio per questo to una funzione dinamica per cui il cittadino, meriterebbe un rispetto anche maggiore da prendendo atto dell’importanza che nella vita tutti coloro che partecipano, attivamente e sociale ed economica assume la circolazione di NINO SCAINI passivamente, al processo comunicativo. delle informazioni decide se, quando, in che Ed è, a tal proposito, sconcertante constatare misura e a quali condizioni mettere quelle che come le notizie di cronaca e relativi commenti, quando rilo riguardano a disposizione altrui. guardano eventi tragici o delittuosi, spesso indugino su fatti, Ultimamente però il processo di trasformazione sta producomportamenti e caratteristiche personali delle vittime, anche cendo effetti degenerativi che, oltre a porsi in contraddizione se privi di reale significato rispetto all’accaduto, ma comunlogica tra loro, tradiscono il principio fondante (etico oltre que capaci di stimolare l’attenzione della massa. che giuridico) di tale diritto: il rispetto della dignità umana. Ciò è stato favorito, specie nel nostro paese, dall’insufficiente Il culmine dell’ oltraggio alla personalità dei defunti, infine, si raggiunge allorché alle insondabili ragioni di chi ha scelto di radicamento di una autentica cultura della privacy. È difficile infatti non rilevare come la specifica normativa legale - di fat- togliersi la vita non viene riservato un compassionevole silento dettata al nostro legislatore da quello europeo - venga vista zio, ma se ne fa invece oggetto di interpretazioni arbitrarie e spesso squallidamente strumentali. e vissuta dal cittadino secondo un profilo prevalentemente formale e burocratico. Con conseguenze spesso aberranti; per Per riuscire a spiegare il senso di queste “autopsie delle anime” (autopsia = guardare coi propri occhi) è probabilmente cui, ad esempio, ci si preoccupa del rispetto delle procedure connesse all’informativa o al consenso e non ci si rende conto necessario ricorrere a Freud. Perché tutti ne comprendano la come attraverso l’utilizzo delle carte di pagamento o di fedel- sconvenienza bisognerà forse attendere si sviluppi, al di là e al di sopra di quella della privacy, una cultura del rispetto della tà, per non dire dei motori di ricerca in internet o dei social dignità degli uomini e della loro memoria. network, si finisca per affidare a chicchessia le informazioni più intime e delicate circa le nostre idee, le nostre abitudini, (assinvicti@gmail.com)
C’è chi scrisse “Dei delitti e delle pene”, noi ci limitiamo a parlare della paura e dell’insofferenza, ormai le costanti del nostro vivere. La paura. È quella che prende i cittadini (o alcuni di loro) di fronte a tutto e a tutti, ravvisando nel prossimo il male; se poi quel prossimo è straniero o di colore esso è perciò stesso “male” a prescindere. Basta vedere un negozio etnico (spesso unico punto di incontro di questi nostri nuovi concittadini) perché si scateni una caccia alle streghe che ben lungi dal portare da qualche parte, non fa altro che inasprire gli animi, creare disagio anche laddove non ci sarebbe, assumere atteggiamenti non solo di “auto-difesa” ma anche di “propaganda” della propria paura, esagerando o “rivedendo” in ottica personale certi fatti. Magari trovando in qualche organo di stampa la cassa di risonanza di situazioni che spesso nulla hanno a che fare con la criminalità, la prostituzione o altro. Si sente dire (o si legge) “Non esco più di casa perché ho paura”: ecco l’unica cosa da fare in questi casi è proprio il contrario: ovvero uscire, frequentare la vita sociale, culturale, sportiva della comunità e magari si scoprirà che il mondo non è così brutto e malvagio di come ce lo raffiguriamo. A meno che – vedi cosa è accaduto in altre città, non
certo nella nostra “civile” Pordenone – a soffiare sul fuoco della paura non sia qualche interesse politico. L’insofferenza. È quella che tocchiamo con mano tutti i giorni a fronte di eventi vari: di essi la colpa è sempre degli altri, specie della politica (la quale – sia chiaro – ha le sue colpe, ma non è l’unica ad averne). Prendiamo il caso dei gravi danni che il maltempo ha provocato un po’ ovunque in Italia e ha fatto tenere col fiato sospeso anche le nostre zone. Ebbene, di fronte alle morti, ai danni, alle devastazioni abbiamo sentito un po’ tutti scagliarsi contro le istituzioni, i politici e quant’altro. Che il territorio sia particolarmente fragile è un dato di fatto; altrettanto lo sono la sua non-cura e la cementificazione; che i cambiamenti climatici ci stiano mettendo del loro è altrettanto indubitabile. Ma siamo sicuri che di tutto ciò la colpa non sia un po’ anche nostra, che magari abbiamo premuto per rendere edificabile (o per condonare) ciò che non lo era? Colpa della politica, certo, che non ha avuto il coraggio di opporsi; ma anche di noi cittadini che abbiamo anteposto il vantaggio individuale al bene comune. Ad esempio: perché si è costruito oltre Noncello, in aree alluvionabili?
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La Città
IDEE PER LA CITTÀ
Dicembre 2014
L’innovativo progetto del professor Marinelli dell’Isia potrebbe essere sperimentato a Pordenone
Largo Cervignano, una cittadella temporanea per ristrutturare le case Ater
SOTTO LA LENTE
di CLELIA DELPONTE
È stato presentato a Barcellona allo Smart Cities Expo World Congress e ha vinto il primo premio al 23.mo salone dell’Urban Design di Belgrado, e se venisse realizzato farebbe di Pordenone un vero e proprio laboratorio sperimentale. È il progetto Transition Town che il professor Giuseppe Marinelli ha elaborato assieme ad Isia Roma Design con l’apporto di un interior design giapponese, promosso da Isia, Polo Tecnologico, Ice (Italian Trade Agency), Comune di Pordenone e alcune aziende del territorio. Partiamo dalla teoria. Transition Town affronta le problematiche della casa e degli insediamenti urbani integrando architettura, design, sostenibilità, domotica, agricoltura verticale, management urbano e marketing dello sharing abitativo, favorendo nel contempo le reti d’impresa. L’idea è quella che un ente pubblico possa costruire case o quartieri di alto livello qualitativo a carattere sperimentale e innovativo (soprattutto nella direzione della sostenibilità e delle tecnologie smart), che dia risposte alle criticità sociali emergenti (giovani, anziani, disoccupati, famiglie separate…), creando una forte coesione sociale e un’identità urbana. Alla base del baratto ci sarebbe un patto: io ti do (per un periodo limitato) un posto dignitoso dove vivere, in cambio tu dai le tue competenze e il tuo tempo alla comunità (dai lavoretti manuali all’aiuto a fare alla spesa, dal baby sitting all’insegnamento di una lingua o uno strumento…).
Vediamo la pratica, calandola nel contesto urbano di Pordenone. L’Amministrazione Comunale, dovendo ristrutturare le case Ater di Largo Cervignano (dove già sono presenti un asilo, la biblioteca di quartiere, la sede della Circoscrizione e un centro di aggregazione giovanile), ha individuato nel progetto Transition Town la risposta ideale per coniugare la riqualificazione architettonica (energetica e strutturale) con quella sociale. Procedendo nella restaurazione a lotti, gli assegnatari degli alloggi troverebbero collocazione temporanea (per la durata dei lavori) in una struttura elaborata secondo i principi del design dei sistemi, ovvero con un progetto aperto e flessibile, allestita nello spazio centrale tra le case, senza subire nessuno sradicamento. In cambio si stringerebbe un patto per la costruzione di un profilo di comunità e potrebbero trovare accoglienza anche altri soggetti in difficoltà. A questi vantaggi si aggiungerebbe anche la creazione di un indotto economico per la realizzazione delle case e la possibilità di un loro riutilizzo in altre zone della città, essendo temporanee e mobili. “Condividiamo questo percorso – commenta l’assessora Martina Toffolo – e speriamo che si possano trovare i giusti interlocutori istituzionali e finanziari per poterlo realizzare”. “Il cluster tra enti pubblici e privati c’è, il progetto è pronto – conclude Marinelli - mancano solo i finanziamenti”.
Il corso di design sforna i primi laureati (cd) Sono una settantina i ragazzi ammessi al terzo ciclo dell’Isia (che si struttura in 3 anni) a Pordenone, mentre tra i primi laureati (luglio 2014), uno su due ha già trovato lavoro. “Attualmente gli studenti sono complessivamente 180 – afferma Marinelli – ma il nostro obiettivo è arrivare a 210, ispirandoci ancor di più alla sensibilità delle aziende del territorio, principalmente nei settori del legno arredo e della meccanica”. Intanto è stata inaugurata Isia lab: centro di ricerca per le aziende, dove studenti laureati lavorano in gruppo con i loro docenti e professionisti del territorio. “L’Isia (Istituto Superiore per le
Industrie Artistiche - Disegno industriale) – sottolinea sempre Marinelli – sostiene le aziende che sentono l’esigenza di superare la dimensione del terzismo e della subfornitura. A fronte della situazione attuale è necessario un cambio di paradigma mentale e per fare questo all’Isia Design week 2015 inviteremo un grandissimo intellettuale a livello internazionale. Per uscire dalla crisi di un’industria muscolare dobbiamo andare verso un’industria smart, interconessa, sistemica, coraggiosa, intuitiva e spavalda. Il design in questo processo è fondamentale perché crea il linguaggio delle cose”.
ECONOMIA
Nuova Manifattura, verso un’economia della conoscenza I temi emersi dalla prima fase di indagine su un centinaio di aziende industriali di Udine e Pordenone saranno ora inviati a Ocse per avviare un confronto con realtà analoghe di altri Paesi che con successo hanno già operato una riorganizzazione industriale L’incertezza, economica e normativa, e la burocrazia, viste come nemiche dell’impresa e della ripresa. L’internazionalizzazione invece come opportunità concreta di crescita, dalle fiere internazionali al presidio di nuovi mercati, con l’ausilio delle categorie economiche. Le imprese friulane cercano anche forme di collaborazione più efficaci, di filiera e rete, e chiedono più flessibilità nel mondo del lavoro e nel potere dei sindacati, su cui serve un’intesa sia in entrata per favorire le assunzioni a seconda delle necessità produttive, sia in uscita. Servirebbe poi una riorganizzazione dei finanziamenti, per premiare i progetti più meritevoli e non le aziende più “furbe”, e contemporaneamente andrebbero favoriti l’accorpamento e la riorganizzazione di associazioni ed enti pubblici, con un sostegno concreto e preciso alle imprese. Sono queste alcune delle considerazioni manifestate nella prima fase di “screening” dalle imprese manifatturiere delle province di Udine e Pordenone, quasi un centinaio di realtà aziendali, coinvolte nel progetto Nuova Manifattura. Il percorso, ramificazione di Friuli Future Forum, è promosso dalle Camere di Commercio di Udine e Pordenone, con l’assessorato alle Attività Produttive della Regione. Curato a livello locale dalla docente del dipartimento di management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Chiara Mio, che ha seguito passo passo proprio questa prima fase d’indagine, il progetto è coordinato dall’Ocse di Parigi, sulla scorta
dell’esperienza del suo programma Leed, che si occupa proprio dello sviluppo dell’economia e dell’occupazione delle comunità locali. I temi emersi da questo primo confronto con le imprese sono stati presentati in conferenza stampa, in Sala Economia della Cciaa di Udine, dalla stessa professoressa Mio, presente assieme ad Andrea Billi di Ocse e introdotta dai presidenti delle due Cciaa, Giovanni Da Pozzo e Giovanni Pavan, nonché dal project manager di FFF, Renato Quaglia. La fase di indagine è in completamento proprio in questo periodo e la relazione finale della Mio sarà inviata all’Ocse, che avrà il compito di individuare interlocutori istituzionali e imprenditoriali di altri Paesi, con situazioni analoghe a quella friulana, ma che hanno già messo in atto con successo percorsi di riorganizzazione e innovazione produttiva. Una volta in contatto, l’obiettivo è far nascere dal confronto e dallo scambio reciproco nuove strategie e progettualità da mettere in campo sul territorio regionale – in particolare delle province di Udine e Pordenone – per dare nuovo impulso e sviluppo al comparto manifatturiero. Un po’ com’è avvenuto con Manchester, su cui la strategia coordinata dall’Ocse ha registrato un consenso crescente. L’approccio ha consentito di riportare l’industria tessile nella città inglese, che dopo essere stata un driver nell’economia locale per secoli aveva subito un declino apparentemente inarrestabile. Un ritorno, però, organizzato tramite la trasformazione, verso un’economia della conoscenza, l’innovazione, la tecnologia, la competizione e gli investimenti.
La Città
IDEE PER LA CITTÀ
Dicembre 2014
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A cinque anni dalla scomparsa, l’opera del fotoreporter Aldo Missinato è ancora poco valorizzata
Elefanti del Circo Magiaro, si abbeverano alla fontana di Piazza Risorgimento, nell’aprile del 1966
Operaie in posa presso il cotonifico di Torre, aprile 1966
La partenza della Pordenone Pedale del 1978
Aldo Missinato, l’eredità di un testimone È auspicabile una riscoperta, non tanto per celebrare il personaggio ma perché le sue foto hanno ancora molto da insegnare. Perché non dedicargli una mostra permanente in uno dei tanti contenitori culturali cittadini? di DAVIDE CORAL
«Scrivo da un paese che non esiste più», così esordiva Gianpaolo Pansa da Longarone, raccontando il disastro del Vajont. Ma più forti ancora di queste drammatiche parole, sono le immagini. E le prime immagini di quel mare di fango ed acqua le ha scattate un nostro concittadino, Aldo Missinato. Cinque anni fa se n’è andato, senza fragore, come il rumore discreto dell’otturatore della sua Rolleiflex. I suoi scatti hanno raccontato più di 40 anni della nostra provincia: dalla prima auto targata “PN” al parcheggio in piazza XX settembre, dalle lotte sindacali ai funerali di Lino Zanussi, il suo archivio è la memoria storica di un’intera comunità. Ma prima che un bravo fotografo, Missinato era un grande comunicatore. Facciamo un passo indietro e torniamo ai giorni che sconvolsero per sempre la nostra terra: la mattina del 10 ottobre 1963 Aldo è a Longarone, poche ore dopo il disastro. Le bare scoperchiate, il paese cancellato dalla forza della natura e dalla cupidigia dell’uomo. E tanti, tantissimi cadaveri. Sono anni in cui non esistono telefonini o social network e i due canali televisivi esistenti si vedono solo la sera. Aldo sente il richiamo della responsabilità civile ed umana, corre a sviluppare i rullini e li espone a Sacile, davanti alla propria bottega, per testimoniare cosa aveva visto. Da quando suo padre, pittore veneziano, baratta dei quadri per regalargli la prima macchina fotografica, la vita di Aldo è votata al lavoro, sacrificando per molti aspetti i propri affetti. Persino nella foto che lo ritrae il giorno del suo matrimonio, si nota al collo la sua macchina fotografica: le notizie, prima di tutto. «Capitava spesso che mio padre mi svegliasse nel cuore della notte per uscire con lui a fotografare fatti di cronaca» spiega Michele, l’ultimo dei sei figli di Aldo. «Il giorno dopo, a scuola, mi addormentavo sul banco. Ma la maestra aveva talmente rispetto di mio padre che invitava gli altri bambini a non svegliarmi. Diceva loro: “Non svegliate Michele, deve aver lavorato con il suo papà”. Il frutto di questa dedizione è un racconto, il racconto di una Pordenone che vive il boom economico ma non lo sa gestire, che sacrifica al cemento prati e rogge e ne paga il peso ancora oggi. Una città di acque e fabbriche, di piccole rivincite e grandi contraddizioni. Perché riparlare oggi del lavoro di
Aldo Missinato
La tragedia del Vajont
Il presidente Saragat sfila per il centro di Pordenone, nel 1966
Missinato? Per molti motivi. É un esercizio utile per riflettere sul ruolo del fotoreporter, sempre più ostaggio di contratti atipici e esigenze di budget. E poi perché a 5 anni dalla sua scomparsa, la sua eredità è ancora lontana dall’essere metabolizzata dalla nostra città. Dal bianco e nero al colore, dalle pellicole al digitale, Missinato ha messo a fuoco passaggi epocali, trasformazioni profonde nel tessuto urbano e sociale della nostra terra. Riguardare le foto del suo archivio, equivale a mettersi in discussione, a leggere in maniera critica il nostro passato. Perché Missinato non era un artista ma un manovale della cronaca, sempre al servizio di un’oggettività che, per sua natura, la fotografia non ha. Ironia linguistica massima quella per cui la macchina ha un obiettivo: di obiettivo, una foto, ha poco e nulla. È l’occhio del fotografo che coglie sfumature e racconta la storia, che sceglie cosa inquadrare e cosa escludere. E Missinato ha saputo come pochi altri cogliere l’essenza
Giovani si tuffano nella fontana di Piazza Risorgimento per festeggiare la vittoria dell’Italia sulla Germania per 4 a 3. Sono i mondiali del 1974
dell’essere pordenonesi, di appartenere ad una città dalla storia antica ma dalla memoria corta. E allora lanciamo una provocazione: perchè non dedicare una mostra permanente a queste immagini? In una città dai tanti contenitori culturali, una città con pregevoli sale espositive e nuovi musei, è possibile trovare uno spazio per questo, affascinante, racconto per immagini? O ancora: perché non trovare le risorse per digitalizzare tutto il prezioso archivio costruito negli anni? Non si tratta di un costo per la comunità ma di un investimento. Sepulveda diceva che un popolo che non ha memoria è un popolo che non ha futuro. Forse è arrivato il momento, per garantirci un futuro, di investire nella nostra memoria. E quella memoria, a Pordenone, ha un nome e cognome: Aldo Missinato. Questo articolo nasce grazie al contributo di Michele ed Emanuele Missinato, figlio e nipote di Aldo. Li ringraziamo anche per la concessione delle foto pubblicate in queste pagine.
Operai del cotonificio veneziano scioperano nel 1970
Piazzetta San Marco viene asfaltata, nel 1970
Nel 1956 la star di “Lascia o Raddoppia” è una pordenonese minorenne, Paola Bolognani Diventò un volto notissimo rispondendo a domande sul calcio. Missinato la seguì a lungo prima di immortalarla mentre prende il treno per dirigersi negli studi Rai
Il giro d’Italia passa per Pordenone, nel 1970
la vecia osteria del moro 30° La Grotta s.a.s. di Sartor I. & C. p.i. - c.f. 00575100938 Via Castello 2,0434|28658 [pn] laveciaosteriadelmoro.it info@laveciaosteriadelmoro.it chiuso la domenica
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LA NOSTRA STORIA
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La Città
Il recupero della Corderia Corai di via Dogana Vecchia riporta alla luce un simbolo del passato industriale IL MIO NATALE continua dalla prima
Quell’Altrove che sgomenta
Canaletti seconda turbina
Casa prima turbina
Laghetto Corai
Dalle nebbie del Noncello riemerge la Corderia fantasma
Nel passato si producevano molte corde per l’agricoltura, per i cotonifici e per la navigazione fluviale. In Borgo Corai aveva sede l’Antica Corderia che oggi la famiglia sta recuperando a proprie spese di GIULIO FERRETTI
Il libro sull’archeologia industriale a Pordenone, pubblicato dal Comune e realizzato a due mani dagli esperti Flavio Crippa e Ivo Mattozzi, che ha come sottotitolo “Acque e fabbriche dal XV° al XX° secolo”, non ha mancato di descrivere l’attività della costruzione delle corde. Nella più che apprezzabile opera ci si è dimenticati però della presenza, nel Borgo Corai, del luogo dove era attiva l’Antica Corderia in via Dogana Vecchia n.5 e della presenza delle strutture utilizzate nel passato dai cordai pordenonesi. In particolare, si tratta delle attrezzature per realizzare le corde che sono state utilizzate, dalla seconda metà dell’800 fino agli anni Settanta del ’900, quando, per necessità di espansione della piccola fabbrica, si era chiesto un ampliamento nella stessa area. Il Comune diede però parere negativo, perché l’area era stata perimetrata, dal Piano Regolatore, come zona verde e fu giocoforza da parte del titolare, Daniele Corai, trasferirsi altrove, ovvero a Cordenons, dove continuò l’attività con l’aiuto della figlia Ketty e il cognato Denis. Certo oggi l’uso delle corde tradizionali in canapa, sisal, lino e manila non è più comune come una volta. Nel passato si producevano molte corde per l’agricoltura, per i cotonifici e per la navigazione fluviale. Nel ventennio successivo alla seconda guerra mondiale, si diffusero le corde fatte a macchina, realizzate con le fibre artificiali che costavano molto meno rispetto a quelle realizzate a mano. Ma la
realizzazione di corde artigianali è sopravvissuta fino ad oggi, per esigenze speciali e l’attività, pur in tono minore, continua. Da poco Daniele Corai ha risposto a un ordine di corde necessarie a un film girato a Cinecittà da una troupe americana. Lo spostamento a Cordenons negli anni ’70 dello scorso secolo ha di fatto decretato l'abbandono delle strutture di via Dogana Vecchia che, col tempo, sono state quasi nascoste dalla vegetazione spontanea. La vecchia casa di abitazione della famiglia è stata però da poco recuperata e la figlia di Daniele, Anila, con il marito Gabriele Pitton e con il figlio Pierandrea, sono tornati nel vecchio borgo ed ora si stanno adoperando, a proprie spese, per ricuperare il più possibile quanto è rimasto delle strutture che nel passato servivano alla realizzazione delle corde. Si è cominciato con il ricupero del laghetto principale, alimentato dalla roggia Cappuccini che scorre a cielo aperto solo dalla proprietà Corai fino al Noncello, con l’eliminazione della fanghiglia che si era depositata nel fondo e il diradamento della vegetazione in eccesso sulle rive. Successivamente si opererà sulle paratoie che deviavano l’acqua verso le turbine, procurando l’energia idromeccanica per attorcigliare le corde e il ricupero della piccola costruzione che le contenevano. Il programma futuro prevede la formazione
del laghetto più piccolo, che si trovava a monte del principale, realizzato per ottenere l’energia, sempre con una turbina, poi sostituita con quella più potente che, a valle, si avvaleva di un dislivello maggiore. Anche quel vecchio impianto idraulico era contenuto in una piccola costruzione, sopravvissuta nel tempo e si trova ancora in riva alla roggia nei pressi della piccola diga. Molto si è detto pubblicamente sulla valorizzazione delle rogge di Pordenone, ma non molto è stato fatto a riguardo e l’iniziativa privata dei Corai, sulla loro proprietà e a proprie spese, costituisce un esempio che si spera venga seguito da qualcun altro, magari un ente pubblico.
Casa Corai Pitton
va i piedini minuscoli, le manine così piccole che ogni tanto si muovevano, sentiva il respiro regolare, guardava il piccolo volto dolcissimo. E trovava incredibile che quel tesoro assolutamente incomparabile fosse affidato proprio a lui, fosse “suo”. Aveva l’impressione che stava accadendo un miracolo, e che quel miracolo avveniva proprio lì, tra le sue braccia. Era consapevole che quella creatura, tanto desiderata, era uscita dal corpo di sua moglie e dal suo. Che fosse una bambina l’avevano saputo molto presto. Così ne avevano deciso il nome, avevano preparato il corredo con i colori adatti. Sembrava tutto molto normale, molto familiare: quella creatura era la loro bambina. Ma ora che l’aveva in braccio si rendeva conto che quella piccina veniva da “Altrove”. Attraverso le piccole espressioni del volto capiva che la sua bambina stava sognando, ma lui, là nel suo sognare, non l’avrebbe mai potuta raggiungere: l’aveva in braccio, eppure era "Oltre"! Un Altrove e un Oltre misterioso, tale da incutere timore e persino smarrimento, ma che si manifestava nel corpicino dolcissimo di una neonata, la sua bambina, e diventava perciò incredibilmente vicino e mite. Per questo non poteva trattenere le lacrime: quel fagottino tiepido che gli dormiva in grembo gli appariva come una fenditura della realtà da cui ci si poteva affacciare sull’Infinito, così immenso e insieme così prossimo. Quando torna la festa del Natale del nostro Signore Gesù Cristo, torna nella memoria quel ricordo. E nel mio cuore mi diventa chiaro che ogni bambino e bambina che nascono sono figli di Dio. E come tali dobbiamo accoglierli e trattarli. Impareremo ad avere rispetto e amore per questa nostra vita, così precaria e ferita, così breve e sconclusionata, ma anche così preziosa da poter accogliere in sé i sogni di Dio. Chino Biscontin
IL CASO DI BORGO PANIGAI
“Tutela della Soprintendenza? No grazie!” FISIOTERAPIA
TERAPIE
STRUMENTALI
TERAPIE
MANUALI
PORDENONE Via Turati 2 Tel. 0434 364150
RIABILITAZIONE
RIEDUCAZIONE
MOTORIA
CORDENONS Via Nogaredo 80 Tel. 0434 542283
(fm) Il problema del patrimonio artistico del nostro paese non è solo quello del degrado e dell'abbandono ma, non di rado, anche quello del restauro a tutti i costi, della 'riqualificazione', dell'intervento 'conservativo', dettati non da effettiva necessità ma solo dalla disponibilità di un finanziamento, quasi sempre pubblico, da spendere in ogni modo, pena la perdita del contributo.
In questo modo i risultati sono spesso disastrosi. Ne è un esempio il borgo di Panigai, in comune di Pravisdomini, uno dei luoghi più conosciuti e, fino al 2009, tra i meglio conservati della provincia di Pordenone. Sulla piazzetta pre' Bortolo, al centro del borgo, si affacciano l'antica pieve di san Giuliano, il palazzo Panigai, la villa Ovio-Panigai, con il suo parco e i rustici chiusi da un alto muro. Un luogo che era rimasto fuori dal tempo, con l'erba tra i sassi, la piccola fontana, un grande faggio rosso dal fogliame rigoglioso, la breve scarpata con le piante di bosso dalla piazza al sagrato della chiesa, che fungeva anche da cimitero del borgo. Oggi Panigai è irriconoscibile. La scarpata erbosa tra il sagrato e la piazza è stata sbancata per fare posto a un labirinto di muri in cemento
e graniglia, parapetti sghembi, enormi fioraie squadrate, gradinate da stadio oratoriale che culminano in un parallelepipedo lastronato di pietra grigia, che non si capisce se voglia essere una panchina o un loculo fuori terra. Quanto alla piazzetta, dov'era l'erba adesso c'è una spianata di 'ciottolo spaccato', e il posto della fontanella è stato preso da un manufatto bicolore, che ricorda i vecchi astucci portapenne. Il faggio rosso, brutalmente spostato, è morto. Accanto alla chiesa è stato realizzato un parcheggio pavimentato a blocchetti forati. All'avv. Sebastiano Comis, che per conto di Legambiente si è interessato alle vicende di Panigai. abbiamo chiesto di raccontarci come si è arrivati a questo. Come si è potuto intervenire in modo così pesante in un luogo la
La Città
LA NOSTRA STORIA
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Prima di congedarsi l’amministrazione Ciriani ha intitolato la corte di Palazzo Pera al Beato Marco d’Aviano
PROVINCIA, ULTIMO ATTO NEL NOME DEL PADRE A Pordenone, oltre la corte ora intitolata, portano il nome di Padre Marco una via presso i giardini pubblici di viale Gorizia e la scuola primaria di via Noncello di MARIA LUISA GASPARDO AGOSTI padre marco 063.eps
Oltre duecento persone hanno affollato il 21 ottobre la corte di Palazzo Pera, sede con palazzo Sbrojavacca dell’Amministrazione provinciale, che l’ex presidente Alessandro Ciriani ha intitolato al Beato Marco d’Aviano. Questi, presiedendo la cerimonia, ha bene illustrato il ruolo di Padre Marco come uno dei protagonisti della nostra storia. Salvatore della civiltà cristiana dai Turchi nel 1683, figura “molto attuale, ma – ha affermato - oggi il nemico è interno all’Europa stessa, è lo sradicamento dalle proprie radici”. E’ seguito l’intervento di Piergiorgio Zannese a nome del presidente del Comitato per la causa di canonizzazione del Beato Marco, Gianni Strasiotto. Egli ha ricordato come questa figura sia stata a lungo dimenticata. Walter Arzaretti ha quindi declamato una breve biografia, prima della scopertura della targa in mosaico, realizzata dalla Scuola di Spilimbergo (era presente il direttore GianFranco Brovedani). Il vicario monsignor Basilio Danelon ha poi benedetto l’opera, accostando Padre Marco a San Giovanni Paolo II, che lo beatificò. Del Pontefice polacco ha citato le parole: “Non bisogna temere di prendere il Vangelo in mano”. Di papa Benedetto XVI invece: “Temo che l’Europa voglia congedarsi dalla sua esperienza di fede”. Espressioni che ci invitano a invocare più che mai la protezione del Beato Marco e a farlo conoscere. A questo lavora il Comitato con sede in città, impegnato a far apprezzare il Nostro cappuccino nel suo naturale contesto europeo, come evidenziato da uno studio diffuso durante la cerimonia e stampato dalla Provincia (il Comitato sta anche promuovendo e diffondendo via internet la vita del Beato in diverse lingue del continente (www. beatomarcodaviano.it). Eseguito pure l’inno del maestro Alberto Patron in onore del Beato da parte dei cantori di Ghirano di Prata, dove il 6 aprile scorso si era tenuta una cerimonia molto partecipata per l’intitolazione, deliberata sempre dalla Provincia, dei due ponti di Tremeacque alla confluenza tra il Meduna e il Livenza: questo per significare il ruolo di “ponte” avuto dal Nostro nelle complesse vicende storiche del XVII secolo in Europa. Nella corte era esposto un quadro del pittore alpino Andrea Susanna di Poincicco che ritrae Marco d’Aviano e sarà donato al convento dei Cappuccini di Fiume (Rijeka), dove il Comitato si è recato quest’anno a celebrare la festa del beato il 13 agosto. Pordenone è stata la sede del vicepostulatore della causa e
promotore del movimento di riscoperta di Padre Marco, padre Venanzio Renier, il quale ne ottenne la beatificazione il 27 aprile 2003. La vita di Padre Marco, dopo i natali ad Aviano nel 1631, registra significativi legami con la città di Pordenone. Qui abitava, presso palazzo Ferro, sua zia materna Elisabetta Zanoni, sposa del conte Francesco Ferro, podestà nel 1652 (anche un nipote del beato, suo omonimo, fu poi podestà della città nel 1735) e padrino di Carlo Domenico Cristofori al battesimo amministratogli lo stesso giorno della nascita dal parroco don Ermenegildo Gregoriis, pure oriundo di Pordenone. All’iniziativa della zia contessa si deve la conoscenza di uno dei pochi particolari noti della fanciullezza di Padre Marco, che fece presagire lo straordinario suo futuro: ci riferiamo al fenomeno che lo ebbe protagonista all’età di due o tre anni, quando il capo del bambino fu visto dalla madre, nella notte fra Natale e Santo Stefano, più volte circonfuso nella culla di una luce sfolgorante. Tanto l’episodio fu strabiliante che la zia si sentì in dovere di farlo registrare presso il notaio Giulio Linteriis di Pordenon con un atto pubblico datato 18 giugno 1686, controfirmato dai pordenonesi Santo Portolan e Gottardo Rossetto e dal provveditore e capitano veneto Gio.Batta Corner. Sappiamo che Padre Marco fu particolarmente legato alla Casa d’Asburgo, all’imperatore Leopoldo I, che il cappuccino guidò nella lotta contro gli Ottomani. Proprio di Palazzo Pera furono ospiti due imperatori d’Austria: Leopoldo II nel 1791 e Francesco I nel 1825, come dice una lapide apposta sulla facciata, la quale ricorda pure i familiari che quest’ultimo ebbe al seguito. A Pordenone, oltre la corte ora intitolata, portano il nome di Padre Marco una via presso i giardini pubblici di viale Gorizia e la scuola primaria di via Noncello, laterale di via Cappuccini, ove sorgeva un convento di frati, impreziosito dalla chiesa dedicata a San Gottardo con gli affreschi del Pordenone, andati purtroppo distrutti all’inizio dell’Ottocento. Qui il beato fece certamente visita il 15 giugno 1691, come egli stesso afferma in una lettera al fratello don Giovanni Battista Cristofori, pievano di Vigonovo, che egli convocò “a pranso a Pordenone”. Da ricordare pure che in 27 comuni della Provincia, su un totale di 51, esiste una via o un luogo pubblico dedicato al Beato Marco; altri seguiranno a cura del Comitato.
Come rovinare in due anni quello che era rimasto intatto per due secoli: è accaduto in comune di Pravisdomini. La denuncia dell’avvocato Comis di Legambiente cui integrità andava invece tutelata? La vicenda è paradossale. Nel 2007 Panigai è stato vincolato dalla Soprintendenza Regionale perché, si legge nella relazione che accompagna il decreto di vincolo, il luogo era rimasto esattamente come due secoli fa. Quindi un provvedimento ineccepibile Certamente. Ma dopo poco l'arch. Soragni è andato a fare il direttore regionale a Venezia e appena partito il Comune di Pravisdomini ha sentito il bisogno di “riqualificare” Panigai, cioè di mettere le mani su quello che era stato appena vincolato! E ha presentato al soprintendente di Udine, arch. Monti, il progetto che vediamo oggi realizzato. Allora il progetto era stato approvato? Non proprio. L'arch. Monti si era espresso “favorevolmente”, ma aveva dettato delle prescrizioni - nessun nuovo parcheggio, fontana “nelle forme tradizionali del paesaggio rurale”, ridurre la pavimentazione a pochi percorsi per i disabili, “preservare la naturalità a verde dell'ambiente”, niente luci a pavimento e altro – che in pratica comportavano il rifacimento totale del progetto. Insomma, un provvedimento schizofrenico. Dopo di che l'arch. Monti si è trasferito a Treviso ed è arrivato a Udine un nuovo soprintendente, l'arch. Rinaldi (adesso trasferito
in Piemonte), che si è completamente disinteressato di Panigai. E di questo continuo andirivieni di funzionari il Comune di Pravisdomini ha approfittato per realizzare praticamente senza modifiche il progetto originale, compreso il parcheggio che, mi ha assicurato la Soprintendenza di Udine, non può essere usato e quindi è... come se non ci fosse! Le firme di centinaia di persone, tra le quali i maggiori esponenti nazionali e regionali del FAI, hanno ottenuto solo la demolizione di quelle parti del muro, già costruito, che impedivano completamente la vista della chiesa. Un suo commento? Più che commento, una constatazione. E cioè che se la Soprintendenza non si fosse arrogata la 'tutela' di Panigai, l'attenzione dell'opinione pubblica più sensibile sarebbe bastata a bloccare – come era avvenuto pochi anni prima per il progetto di una circonvallazione, le autolesionistiche iniziative dell'amministrazione comunale di Pravisdomini, che invece in questo caso si è fatta forte di quello sciagurato “favorevolmente” e della successiva inerzia delle 'Belle Arti'. Il che dimostra, mi sembra, quanto sia assurdo mettere il nostro patrimonio ambientale nelle mani di burocrati itineranti, ignari del territorio, preoccupati prima di tutto di sovrintendere alla propria carriera.
L’INIZIATIVA
Borsa di studio in memoria di Abele Casetta Come promesso il Comitato Amici di Abele Casetta, guidato da Luciano Bortolus, realizzerà la borsa di studio in memoria dell’ex dirigente comunale noto per la sua professionalità e le sue analisi sulla ripartizione delle risorse pubbliche da parte della Regione Friuli Venezia Giulia. La finalità dell’iniziativa è dare continuazione, anche in ambito accademico, all’importante studio iniziato con “Trieste è lontana 2“, redatto ed elaborato da Abele Casetta e presentato due anni fa, un anno prima della sua scomparsa. La professoressa Clara Graziano del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Udine, con il professor Gian Nereo Mazzocco, ha presentato la studentessa che approfondirà nella sua tesi lo studio sulla ripartizione territoriale e assegnazione delle risorse economiche regionali. Il lavoro sarà presentato all’interno di un pubblico convegno da organizzarsi dopo la laurea della giovane studentessa. Il costo per la borsa di studio è stato preventivato in circa 4 mila euro. Per chi desiderasse partecipare e contribuire a questa importante iniziativa, segnaliamo il conto corrente bancario dove poter eseguire il versamento: conto corrente numero 415144/65 presso la Banca FriulAdria - Credit Agricole intestato a “Amici di Abele Casetta” IBAN IT 45 Y 05336 12500 000041514465. L’eventuale maggior contributo sarà destinato a una seconda borsa di studio riguardante l’assegnazione delle risorse economiche della Sanità regionale, sempre con l’intento di ricordare Abele Casetta.
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La Città
CRONACHE
Conversazione con il filosofo Nuccio Ordine a Pordenone a margine della consegna del Premio Cavallini
“La cultura è l’unica àncora di salvezza” Autore del best seller “L’utilità dell’inutile”, tradotto in 17 lingue, Nuccio Ordine difende ostinatamente il valore della conoscenza slegata dal profitto. “Le scuole devono formare eretici, ovvero persone capaci di un’autonomia di giudizio” di CLELIA DELPONTE
“Un umanista del XXI secolo, il più intellettuale tra i filosofi, curatore di diversi testi di filosofi e scrittori francesi in Italia, scrive sul Corriere della Sera ed è una figura vivace e piena di vitalità”. Così Vittorio Sgarbi ha presentato Nuccio Ordine, professore all'Università della Calabria, cui è stato conferito il Premio Cavallini (assieme a Raffaele La Capria) per il suo libro “L’utilità dell’inutile” (Bompiani), ai vertici delle classifiche nei paesi europei dove è uscito, e in corso di traduzione in 17 lingue tra cui cinese, giapponese, coreano e turco: un lavoro che difende quei saperi ingiustamente considerati inutili dalla nostra società, perché non producono profitto. “Questo libro – ci rivela Ordine – è nato dall’esigenza di spiegare ai miei studenti che non ci si iscrive all’Università per avere una laurea, ma per diventare migliori. E sono proprio i classici a farci capire che lo studio deve essere finalizzato ad acquisire una conoscenza, a diventare uomini e donne liberi, capaci di ragionare criticamente. Per questo affermo che scuole e università devono formare eretici, ovvero, secondo l’etimologia, persone in grado di scegliere. L’eretico è capace di dire di no, di reagire ai dogmi vigenti, non si fa condizionare da luoghi comuni o mode”. Qual è il valore della formazione? “Oggi il vangelo propinato all’intera società dice che è utile ciò che produce profitto e richiede tempi veloci, la forma-
Foto di gruppo al premio Cavallini
zione richiede invece lentezza, non può essere subordinata alla logica del guadagno. Per questo scuole e università non possono essere gestite come aziende e professionalizzare i loro percorsi guardando al mercato è una battaglia persa, perché il mercato cambia continuamente e molto velocemente”. Come possiamo affrontare il problema delle disoccupazione, dunque? “Il problema è a monte: oggi in borsa valgono le aziende che licenziano, non quelle che assumono. Prima degli anni Ottanta le aziende avevano una responsabilità sociale (penso a Olivetti per il quale il profitto era legittimo, ma non poteva essere fine a se stesso e l’utile doveva migliorare socialmente e culturalmente la società). Oggi l’unico obiettivo è moltiplicare i dividendi degli azionisti. Le aziende portano i soldi nei paradisi fiscali, ma quando vanno in crisi mettono in strada migliaia di famiglie. Negli anni ’50 un amministratore delegato
Nuccio Ordine
guadagnava 12 volte lo stipendio di un operaio medio, negli anni ’80 40 e oggi arriviamo anche alle 400: quanti giovani potrebbero essere assunti col surplus? I signori che hanno sfasciato l’Alitalia hanno avuto una buonuscita milionaria. Dunque il problema non è la formazione, ma un sistema economico, che crea disuguaglianza, laddove l’unico obiettivo è il profitto personale, invece che il benessere sociale e culturale del paese. E le diseguaglianze si riequilibrano solo con un’azione politica, il mercato non si autoregolamenta”. Come vede la crisi da questo punto di vista? “Non è economica, ma soprattutto morale. Considerati i 60-70 miliardi di
corruzione e i 180 miliardi di evasione fiscale, se avessimo servitori dello stato incorruttibili e cittadini che pagano le tasse saremmo uno dei paesi più ricchi del mondo. Possiamo partire proprio da scuole e università per formare giovani capaci di amare il bene comune e l’interesse collettivo. La cultura è l’unico strumento che abbiamo per creare un’umanità più umana. Ma la scure dei tagli di qualsiasi governo si abbatte sempre su cultura e formazione: questo vuol dire tagliare le radici dell’albero, dunque in definitiva farlo morire”. Lei è il più grande esperto di Giordano Bruno: qual è il messaggio che ci lascia in questo contesto? “Che la conoscenza non è dono, ma fa-
AMARA PIACE
Sulle tracce dei tesori enogastronomici della provincia di Pordenone
ticosa conquista e che la dignità dell’uomo non sta nei soldi guadagnati, ma nei grandi valori che abbraccia e difende”. Cosa possiamo fare? “Dobbiamo coltivare l’utopia, perché è sempre possibile trovare soluzione alternative. Non crediamo a chi ci dice: ce lo chiede l’Europa o non abbiamo alternative. Ci vogliono espropriare la capacità di scegliere. Chi ci governa non coltiva il bene della collettività, ma è al servizio della finanza e delle multinazionali. Questo danneggia anche la scienza, perché viene finanziata solo la ricerca applicata e non la ricerca pura, ma le grandi rivoluzione scientifiche sono nate da scienziati che seguivano la loro curiosità”.
di MARA DEL PUPPO
Cucina, cresce la fame di cultura del gusto Avviato a Pordenone un centro di formazione rivolto a professionisti (e non), una ricetta che dovrebbe permettere al nostro territorio di accrescere la cultura del gusto Scrivere un articolo in prossimità delle feste natalizie non è semplice. Tutti si aspettano dei consigli su cosa acquistare per fare regali, e, considerando che questa è una rubrica che si occupa di gusto, dovrei in teoria dare qualche dritta su prodotti o produttori. Invece no. Stavolta mi piacerebbe suggerirvi non di comprare un prodotto ma di regalare un’esperienza. La cronaca cittadina ha da poco raccontato di una nuova realtà che ha aperto i battenti per consentire a chi ama mangiare e cucinare di conquistare qualche competenza e trascorrere qualche ora felice. Parlo di Qucinando, una scuola di cucina che non ha niente da invidiare agli spazi presenti nelle grandi metropoli: dodici postazioni perfettamente attrezzate con piano cottura, lavello, forno a vapore, cappa aspirante e una moltitudine di attrezzi. Di fronte alle postazioni un ampio bancone destinato ad accogliere alcuni grandi nomi del panorama culinario italiano. Passando in rassegna il calendario dei corsi ce n’è per tutti i gusti, dalla pasticceria alla cucina vegana, rivolti ai professionisti, ai curiosi o ai più piccoli, perché questo spazio è stato pensato non solo per qualche appassionato ma anche per gli addetti ai lavori o per le scuole. Nato da un’idea di due fratelli imprenditori sensibili e illu-
minati, Silvia e Michele Moretto, il progetto ha preso corpo grazie anche alle idee e ai contributi di Gianna Buongiorno, volto di Slow Food e nota nel settore per varie esperienze nel mondo della cucina e del cibo, Fabrizio Nonis, il “bekér” abile non solo con i coltelli e Ezio Marinato pronto a mettere a disposizione la sua indiscussa esperienza nell’arte bianca. Il know how da un lato e la flessibilità di questo spazio dall’altro sono gli ingredienti base per creare una ricetta che dovrebbe permettere al nostro territorio di accrescere la cultura del gusto. Il progetto è molto ambizioso, l’investimento è importante e di questi tempi è sintomatico di grande coraggio. Per noi che viviamo in una provincia in cui elettrodomestici e attrezzature per la cucina sono stati per anni il motore trainante dell’economia del territorio, creare un centro di formazione rivolto a professionisti (e non) dovrebbe essere la naturale evoluzione di un glorioso passato, culla di tanti chef che hanno costruito carriere importanti nella vicina Venezia o addirittura oltre oceano. E’ l’opportunità di dimostrare che il cromosoma della cucina è ancora nel nostro dna, anche se si presenta in una forma diversa.
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Pordenonelegge si consolida grazie alla Fondazione diretta da Michela Zin e pensa già all'edizione 2015 PORDENONELEGGE TUTTOLANNO
Leggere il territorio, scrivere nuove storie Archiviata, con un po’ di nostalgia, una magnifica XV edizione del festival, pordenonelegge non si è mai fermata. Oltre alla collaborazione con Udine e Gorizia Fiere, con la curatela degli incontri con gli autori nell’ambito della manifestazione Idea Natale, in queste settimane è partito “Pordenonelegge il territorio”: il nuovo progetto messo a punto dalla Fondazione Pordenonelegge.it, che propone quattro intere giornate attraverso strade, autori, profumi e racconti, che rendono unici il territorio pordenonese. Un’esperienza davvero speciale, per guardare e conoscere i luoghi a noi vicini con gli occhi e la voce di scrittori del passato e del presente. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con FriulOvest Banca, Turismo FVG, Pordenone with love, UTE Pordenone e STI, ha visto il suo avvio lo scorso sabato 15 novembre, con una giornata alla scoperta dei luoghi in cui si incrociano scrittura, cultura, storia e sapori, nel segno del Friuli di Pier Paolo Pasolini, ma anche del Friuli ‘da bere’, quello dei vigneti della Grave. Una prima tappa che ha destato grande interesse ed entusiasmo nel pubblico numeroso che vi ha partecipato. Il prossimo appuntamento con “Pordenonelegge il territorio” sarà sabato 7 febbraio 2015 alla scoperta della Pedemontana pordenonese. Ma l’inizio del nuovo anno vedrà anche l’avvio della VI
edizione di “pordenonescrive”, la Scuola di scrittura creativa promossa dalla Fondazione pordenonelegge, con il Centro Culturale Casa A. Zanussi e il Centro Iniziative Culturali Pordenone, e curata da Gian Mario Villalta e Alberto Garlini, che, in più di 40 ore di lezione, dal 31 gennaio al 22 febbraio 2015, offrirà uno sguardo coinvolto e coinvolgente sulla passione di ascoltare e scrivere storie. “Giallo, rosa e nero. Come scrivere un romanzo di genere” è il tema dell’edizione 2015 di pordenonescrive. Al centro del lavoro sarà quindi il romanzo di genere, forma narrativa portante della letteratura contemporanea, analizzato attraverso otto incontri, con l’integrazione di quattro Seminari e due “Esperienze d’autore”: per illustrare anche sul piano pratico come l’arte del genere, laddove intelligentemente dispiegata, possa non solo creare incastri narrativi di forte presa, ma anche raggiungere il memorabile risultato della letteratura. Ospiti speciali del corso saranno, nei Seminari, Tullio Avoledo, Laura Pagliara, Andrea Maggi e Irene Cao e le Esperienze d’autore saranno affidate a Gianni Zanolin e a Fulvio Ervas. Tutte le informazioni e i dettagli di “Pordenonelegge il territorio” e della Scuola di scrittura creativa “pordenonescrive” nel sito www.pordenonelegge. it o presso la Fondazione pordenonelegge (tel. 0434.381605).
A Natale regala un “amico”!
Una nuova esclusiva idea di pordenonelegge, un regalo speciale da mettere sotto l’albero. Riparte in via eccezionale per i soli giorni prenatalizi (dall’1 al 24 dicembre) l’iniziativa di crowdfunding “Amico di pordenolegge” e sarà possibile, sostenendo il festival, regalare e regalarsi fin d’ora la possibilità di partecipare agli incontri, ai dialoghi, agli eventi dell’edizione 2015 di pordenonelegge. Dalla messa online del programma, chi avrà ricevuto il gradito regalo, oltre ai codici avrà diritto di precedenza nella prenotazione degli incontri con
una settimana di anticipo e in via esclusiva rispetto a tutti gli altri. Partecipare all’iniziativa A Natale regala “un amico” è semplice, anche grazie all’introduzione del pagamento attraverso il circuito Pay Pal: basta accedere al sito www.pordenonelegge.it e lasciarsi guidare dal sistema oppure recarsi negli uffici della Fondazione Pordenonelegge.it in via Castello 4/a (dal lunedì al giovedì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.00 e il venerdì solo dalla 9.00 alla 13.00). Invariate le tre possibilità di sostegno: 20, 30 e 50 euro per avere 4, 7 o 12 codici di prenotazione.
Pordenonelegge, primo bilancio positivo per la Fondazione Il presidente Giovanni Pavan traccia un bilancio del primo anno di vita della Fondazione Pordenonelegge, dal successo dell’edizione 2014 ai progetti per il 2015
Ha un anno, ma una storia che viene da lontano e soprattutto grandi ambizioni future. È la Fondazione Pordenonelegge.it che proprio un anno fa cominciava a muovere i primi passi uscendo dall›ala protettrice della Camera di Commercio di Pordenone per dare vita a una struttura snella, dinamica e autonoma. Una vera e propria agenzia culturale, insomma. Dodici mesi sono pochi per un bilancio ma alcuni segnali importanti da questa realtà sono già arrivati. È per questo che incontriamo il Presidente della Fondazione Giovanni Pavan. Presidente, se dovesse dare un voto alla Fondazione per questo primo anno di attività, che voto darebbe? Senza dubbio un 10. Quando abbiamo iniziato, le incognite erano molte e sapevamo di dover investire tutte le nostre forze per partire con il piede giusto. Eravamo pochi, senza una sede, con una struttura da avviare, con personale ridotto, collaborazioni da ridefinire. E con la più importante manifestazione culturale della città da organizzare a settembre. Ma non ci siamo persi d’animo. E abbiamo messo entusiasmo, professionalità e determinazione davanti a qualsiasi difficoltà. La XV edizione di pordenonelegge è stata un grande successo sia per il programma culturale veramente eccezionale che per la partecipazione di pubblico. E sotto l’aspetto organizzativo abbiamo fatto centro un’altra volta. Il Festival peraltro trova oggi sempre più il sostegno esterno dei soci-lettori attraverso l’”amico di pordenonelegge”. Un attaccamento dimostrato quest’anno da oltre un migliaio di persone. Un lavoro di squadra che vi premia ormai da molti anni... Abbiamo veramente un gruppo di lavoro di alto profilo. Il comitato artistico guidato da Gian Mario Villalta è ormai un garanzia per le scelte culturali sempre nuove, innovative e anche curiose. Un lavoro che spesso
a torto viene ritenuto banale o circoscritto a un determinato periodo dell’anno e che invece vuol dire essere costantemente con un libro tra le mani, attenti a quanto accade nel mondo per saperne cogliere gli aspetti più interessanti sui quali poi organizzare gli incontri. E al loro fianco ora abbiamo una struttura organizzativa guidata dal direttore della Fondazione Michela Zin che ha tutte le competenze per dare gambe veloci e sicure a progetti specifici. Ce lo hanno dimostrato in modo eccezionale quest’anno anche mettendo in campo la loro professionalità in altri territori. Senza dimenticare poi
la splendida realtà dei nostri “angeli” che tutti ci invidiano. Su quali fronti sarete impegnati nel 2015? Anzitutto vogliamo consolidare la nostra posizione di agenzia culturale proponendo altri appuntamenti durante l’anno. Cominceremo con la Scuola di Scrittura, proseguiremo con i percorsi culturali, consolideremo la nostra presenza ai saloni e ai festival nazionali. Ma spingeremo l’acceleratore su poesia, formazione, editoria proponendo anche una valorizzazione del nostro marchio ormai diventato un vero must in ambito culturale. Quello che però vogliamo fare è legare ancora di più la nostra Fondazione a questo territorio perché quello che accade nelle cinque giornate di settembre ha qualcosa di magico che vogliamo far proseguire magari per l’intero anno e che ha fatto accendere i riflettori su Pordenone in modo eccezionale. E per farlo abbiamo bisogno di tutti, istituzioni, privati, semplici cittadini, giovani. La Fondazione Pordenonelegge.it vuole diventare un patrimonio della collettività della quale essere orgogliosi tutti. Le nostre porte sono aperte, saremo orgogliosi di condividere il nostro percorso.
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ARTE E CULTURA
Fino all’8 marzo, alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, due mostre promosse dal Comune
Virgilio Guidi, il destino della figura Luigi Vettori, un’eredità spezzata L’accostamento può apparire immotivato, ma sono tanti i fili che s’incrociano. Inoltre, per Guidi ricorrono i 30 anni dalla morte, per Vettori il centenario (nel 2013) della nascita
Luigi Vettori, Pagliacci (Figure)
di NICO NANNI foto di ANGELO SIMONELLA
Due mostre in una o una mostra per due: sono quelle allestite (fino all’8 marzo) nella Galleria d’Arte Moderna “Armando Pizzinato” (Parco) di Pordenone e dedicate rispettivamente a Virgilio Guidi e a Luigi Vettori. L’accostamento può apparire immotivato, ma sono tanti i fili che s’incrociano: Guidi – all’Accademia di Venezia dal 1927 – fu maestro di Pizzinato (artista fra i più significativi del Novecento e originario di questa terra) e di Luigi Vettori, che non ebbe il tempo per esprimere appieno le proprie potenzialità artistiche; oltre a ciò, per Guidi ricorrono i 30 anni dalla morte, per Vettori il centenario (nel 2013) della nascita. Per il Comune di Pordenone, che ha promosso le mostre, si tratta, da un lato, di proseguire nella presentazione di personalità artistiche di primo piano (nel caso di Guidi) e nella valorizzazione di una personalità “locale” e di un patrimonio d’arte pubblico (le opere di Vettori fanno parte del Museo Civico per donazione della famiglia e per acquisizione). Virgilio Guidi Nato a Roma nel 1891 e morto a Venezia nel 1984, Virgilio Guidi fu “veneziano” dal 1927 al 1935 e dal 1944 (dopo il periodo bolognese) alla morte. Maestro del Novecento italiano, è noto ai più per le sue lagune: ecco, dato originale della mostra pordenonese – curata
Ogni volta che stampiamo un libro sappiate che l’abbiamo anche ripiantato. Stampare St Sta mp mpa mpare paare è il il n nostro ostro ost ro lav ro lavoro o e la or oro l car carta arrtaa è llaa nost arta n nostra ost stra tra ra ris rrisorsa ri o saa più ors più i pre p preziosa: ziosa: zio ssa: a:: p pe per er er q ques questo uessto abbiam ues ue abb abbiamo bbia iam a o scel sscelto cellto di celto d imp impegnarci mpegn mp egnarc eg egn arcii arc fav aavo voree dell’ambiente del d ell’aamb ell’a m ent mbi e e ottenendo ottte otte ttenen eendo laa cer ccertificazione ertifi erttifi ificcaz caazion ione one FSC, FSC, C il sistema C, si siste sste tem maa di d gestione gestio ges t nee forestale tio ffor orest es ale respo re rresponsabile. espo sponsa nsabil ns nsa bi e. bil e. a favore P r continuare cco ont nti tinua uaaree a offri u o ffr re ff ffri r un ser e viz vizio io all’altezza all ’al all alltez ezzza za delle de le vostre del vo tree es vos esige ige genze nze ze ne rrispetto isp s etto ett tto dell d el a n ell natu a ura atu r e dell d ell e ggenerazioni ell en ene neraz r ion raz io i ffuture. utu uture. ure. re. Per offrire servizio esigenze nell risp della natura delle
Virgilio Guidi, Adriana che legge, particolare
da Toni Toniato e Casimiro Di Crescenzo – è la scelta di presentare opere (dipinti e sculture) inerenti al tema della figura umana. Se agli inizi Guidi si rifà alla grande tradizione di Piero della Francesca, a Venezia viene colpito dalla luce che invade lo spazio. Nel periodo successivo, che coincide con il passaggio a Bologna e poi con gli anni della guerra, l’artista va verso una nuova visione: forma umana e colore trovano nella luce l’elemento unificatore. Ma quella luce si fa poi più metafisica, rimanda a un’entità superiore: l’umanità è lacerata dai conflitti, ma la luce unifica tutto e piano piano invade l’opera e allora ecco che la figura quasi scompare. Luigi Vettori Veneto di nascita (S. Lucia di Piave, 1913), Luigi Vettori fu pordenonese d’adozione sin dal 1923. Abile nel disegno, frequentò a Venezia il Liceo Artistico e l’Accademia (ebbe come insegnanti prima Saetti,
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Periodico di informazione e opinione della città di Pordenone Tiratura 7.000 copie
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poi Guidi e Cadorin). Il vivace ambiente artistico pordenonese dell’epoca (Pizzinato, Furlan e altri) ne favorì la vocazione artistica prima e la maturazione poi, rimasta però interrotta dalla prematura morte in guerra (fronte greco, 1941). Tuttavia, pur nella brevità della sua esistenza e della sua attività, le opere lasciate da Vettori rivelano il temperamento di un vero artista: la mostra – curata da Casimiro Di Crescenzo – mette quindi in luce (con i dipinti, i disegni e diversi documenti) tutte le sue potenzialità. I temi da lui trattati – nature morte, paesaggi, nudi, ritratti femminili, maternità – ci dicono dell’attenzione (non priva di sguardo poetico) all’ambiente quotidiano; il suo colore è ora vivace ora più disteso e luminoso. Entrambe le mostre sono accompagnate dal relativo catalogo, che approfondisce e rende ancor più scientifico il lavoro dei curatori.
EDITRICE: Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 (2°piano) Pordenone DIRETTORE RESPONSABILE: Flavio Mariuzzo
VIRGILIO GUIDI «IL DESTINO DELLA FIGURA» dal 08/11/2014 al 08/03/2015 Galleria d’arte moderna e contemporanea di Pordenone “Armando Pizzinato” Viale Dante 33, Pordenone Omaggio a Virgilio Guidi nella ricorrenza del trentesimo anno dalla scomparsa LUIGI VETTORI «UN’EREDITÀ SPEZZATA» dal 08/11/2014 al 08/03/2015 Galleria d’arte moderna e contemporanea di Pordenone “Armando Pizzinato” Viale Dante 33, Pordenone La singolare vicenda del pittore Luigi Vettori, una promessa dell’arte italiana tragicamente spezzata dalla morte prematura
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Sergio Bolzonello, Chino Biscontin, Alberto Cassini, Alesandro Ciriani, Davide Coral, Mara Del Puppo, Clelia Delponte, Maria Luisa Gaspardo Agosti, Giulio Ferretti, Nico Nanni, Giuseppe Ragogna, Cristina Savi, Antonino Scaini, Michela Zin
PROGETTO GRAFICO: Francesca Salvalajo FOTO:
archivio La Città, Marcello Norberto Anzil, Gigi Cozzarin, Luca D’Agostino, Ferdi Terrazzani, Italo Paties, Eugenia Presotto, Angelo Simonella
IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor PN
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Fino all’8 febbraio una grande mostra alla Galleria Sagittaria per celebrare il mezzo secolo del centro culturale
Casa Zanussi, da 50 anni una prospettiva di bellezza contro il provincialismo Un centinaio di opere di grandissimi artisti per la mostra-evento “Una storia a regola d’arte”. Dal 1965 allestite 426 mostre con la partecipazione di oltre mille artisti Una mostra importante per celebrare un anniversario importante: i ‘primi’ cinquant’anni del Centro Culturale Casa Zanussi di Pordenone. Un centinaio di opere di grandissimi artisti, da Mirko a Spacal, da Altieri a Zigaina, da Ciol a Zavagno, da Pizzinato a Cecere, Maniacco, Mascherini. Si tratta della mostra “Una storia a regola d’arte”, a cura di Giancarlo Pauletto su cordinamento di Maria Francesca Vassallo, visitabile fino a domenica 8 febbraio nella Galleria Sagittaria di Pordenone. Le opere esposte sono tutte inedite e per la maggior parte donate dagli stessi artisti - che avevano già esposto alla Galleria Sagittaria – oltre che da collezionisti privati. Da parte di tutti, dunque, un grande omaggio al Centro Casa Zanussi e, nella fattispecie, alla Fondazione Concordia Sette, alla quale affidano queste opere per ampliarne il già consistente patrimonio di arte contemporanea. “Perché una Galleria d’arte in quella che era stata costruita come la Casa dello Studente? Perché – spiega Luciano Padovese, direttore del Centro Culturale Casa Zanussi - da subito fu impostata e interpretata come un Centro Culturale per tutto il territorio, con in evidenza anche una attività artistica centrata sulla funzione di una Galleria che quasi subito si chiamò Sagittaria. Arte e bellezza, per un ambiente che doveva distinguersi dai soliti spazi giovanili. Così cominciai a collocare qualche quadro, allora di mia proprietà, sulle pareti. Una prospettiva di bellezza che aveva
un progetto ben preciso. Si trattava di dar vita anche a una Galleria d’arte per esposizioni che avrebbero dovuto essere caratterizzate dalla qualità: avremmo operato in provincia e dalla provincia, ma non in maniera provinciale: questa la nostra scommessa e il nostro sogno. Oggi, per costruire la nuova mostra così straordinaria per varietà e vastità, abbiamo avuto la pronta e generosa collaborazione degli artisti interpellati: nomi familiari a chiunque sia interessato all’arte contemporanea regionale e nazionale, ma anche internazionale”. “Vi possono essere diversi modi per raccontare questa mostra – racconta il curatore, Giancarlo Pauletto – Innanzitutto il percorso echeggia una storia d’arte lunga cinquant’anni, che si è sviluppata attraverso 425 esposizioni cui hanno partecipato ben più di mille artisti, della regione, dell’Italia e dell’Europa. Negli ultimi tempi alcuni collezionisti del territorio hanno donato alla Fondazione Concordia Sette un consistente nucleo di opere d’arte, tra le quali parecchie legate alla storia della Galleria stessa, che venivano quindi a costituire una sorta di base originaria per la mostra. Si è pensato di accostare, a queste opere già disponibili, un ulteriore nucleo di opere che avrebbe potuto provenire per donazione di altri artisti – sempre passati nella Galleria - interpellati a questo scopo. La risposta è stata pronta e generosa, tutti hanno compreso le ragioni della richiesta, dimostrando cordialità e fiducia”.
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Il “nuovo” battistero del Duomo, un tuffo nella storia dell’arte sacra e delle decorazioni Dal qualche tempo, originali di uno spazio entrando nel Duomo costituito da “zona Concattedrale di centrale di forma San Marco si ha la quadrata con volta sorpresa di vedere a crociera e voltine finalmente aperta la di fondo a pianta porta che un tempo poligonale a tre lati”. immetteva alla Elemento centrale sacrestia e che oggi si è il Battistero, qui apre su un ambiente ricollocato dall’attigua caldo e accogliente, Cappella Ricchieri: dove gli unici smontato e restaurato “arredi” sono il fonte dalla “Portomarmi” battesimale e l’affresco di Giulio Bornacin, cinquecentesco il manufatto è raffigurante la opera pregevole del Resurrezione Foto Giancarlo Magri 1506 del lapicida e (attribuito a Pietro scultore Giovanni Antonio Pilacorte, da Vicenza con possibile apporto del arricchito dagli sportelli dipinti giovane “Pordenone”). Dopo anni dal “Pordenone” (gli originali sono di lavori, infatti, si sono concluse le però custoditi nel Museo Civico). opere che hanno portato al ripristino Anche qui sono stati necessari del Battistero, mentre la “sacrestia interventi di restauro per liberare il ordinaria” è stata realizzata nel battistero (in marmo di Clauzetto – piano inferiore, da dove si accede Aurisina) da elementi spuri che ne alla “sacrestia del Vescovo e del Capitolo”. Insomma, l’antico Duomo compromettevano l’integrità; è stato ripulito ed è stata riportata in luce si sta adeguando alla funzione di anche la parte del basamento lapideo Concattedrale della Diocesi. prima inserito nel pavimento. Alla Ambiente caldo e accogliente, si statuetta di San Giovanni Battista che diceva: merito dei colori, delle si vede sulla sommità del battistero decorazioni e dell’illuminazione. Il e che ne costituisce il fulcro visivo, restauratore Giancarlo Magri, che ha è stata ridata integrità e dignità, operato coi figli Giovanni e Alberto, compromessa dal cattivo stato di ha risanato le murature, eliminato conservazione. gli interventi del passato, recuperato N.Na. quanto era possibile della struttura
VISITE E ORARI 426a mostra d’arte 29 novembre 2014 all’8 febbraio 2015 Galleria Sagittaria Pordenone, via Concordia 7 Martedì > Domenica 16.00 > 19.00 Chiuso 25, 26, 27 e 31 dicembre 2014, 1 e 6 gennaio 2015 Ingresso libero Catalogo in galleria www.centroculturapordenone.it facebook. com/centroculturapordenone.it youtube. com/culturapn Informazioni Centro Iniziative Culturali Pordenone via Concordia 7 telefono 0434.553205 cicp@centroculturapordenone.it
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Fiocco rosa a Palazzo Spelladi: è nata la Galleria “Harry Bertoia” Il restauro della facciata evidenzia la lettura dell’evoluzione dell’edificio costituito da quattro corpi di fabbrica. I due centrali sono i più antichi; dei due laterali, uno è stato ricostruito dopo il bombardamento del 1944, l’altro è di gusto tardo
quattrocentesco. Col restauro sono stati messi in luce i lacerti delle tessiture a finti mattoni fugati di cromia rosa e gialla, ripristinati senza operare un falso storico, evidenziando le lunette e gli archi pensili decorati.
Armando Pizzinato, Gabbiani, 1975
Foto Edoardo Fabris
(N.Na.) - Pordenone si è arricchita di un nuovo spazio culturale, la Galleria “Harry Bertoia”, nel Palazzo Spelladi di fianco al Municipio, che ospita fino all’11 gennaio la mostra fotografica di Pierpaolo Mittica. L’impianto originale dell’edificio risale al XIV-XV secolo: di esso, però, non rimangono tracce originarie per gli accorpamenti e le modifiche subiti nel tempo. Da una foto del 1913 si vede che esso si presentava a un solo piano soprastante il porticato e i negozi; nel 1936 fu sopraelevato di un piano; nel 1980 l’edificio fu acquisito dal Comune, che lo destinò a sede dell’Anagrafe (in precedenza ospitò anche aule scolastiche). Il recupero interno dell’edificio è stato realizzato pensando a spazi che mirano a privilegiare le aree espositive con le soluzioni tecniche e illuminotecniche migliori sia per le opere da esporre che per il pubblico. L’area espositiva si sviluppa su una superficie di quasi 240 metri quadrati su due piani con altezze tali da permettere l’esposizione di opere di oltre tre metri. Al terzo piano sono stati ricavati locali per gli archivi, i depositi e per le centrali tecnologiche.
UNA STORIA A REGOLA D’ARTE
ARTISTI E COLLEZIONISTI PER I CINQUANT’ANNI DELLA GALLERIA SAGITTARIA GALLERIA SAGITTARIA / PORDENONE / 29 NOVEMBRE 2014 - 8 FEBBRAIO 2015 CENTRO INIZIATIVE CULTURALI PORDENONE
FONDAZIONE CONCORDIA SETTE
REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA
PROVINCIA DI PORDENONE
COMUNE DI PORDENONE
Info
0434.553205 www.centroculturapordenone.it
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APPUNTAMENTI
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Come sempre ricco il calendario del Natale in città promosso dal Comune. Casette aperte fino all’Epifania
CASETTE DI NATALE, l’enogastronomia scende in piazza Degustazioni tutte le sere, compresa la notte di Capodanno quando in piazza XX Settembre si esibirà la band di Maurizio Solieri, storico chitarrista di Vasco Rossi
TEATRO
“Qui città di M.”, un ritratto spietato della vita nella giungla metropolitana Drammaturgia contemporanea in scena con Arianna Scommegna il 7 gennaio nell’ambito della rassegna Interazioni. Il 10 gennaio appuntamento con il mito Jordi Savall e il suo “Folias & canarios”
Foto Angelo Simonella
Ancora un Natale da passare insieme a Pordenone fino al 13 gennaio 2015 grazie al calendario di eventi approntato dall’Amministrazione Comunale in collaborazione con Sviluppo e Territorio e Pro Loco Pordenone, con il sostegno di Regione Fvg, Provincia, Ascom-Confcommercio, Camera di Commercio di Pordenone, Gea e Marcolin covering. Ci sono diverse novità per quanto riguarda Il mercatino natalizio composto da 21 casette. Di queste 11 sono dedicate all’enogastronomia con degustazione e somministrazione e rimarranno in piazza fino al 6 gennaio, notte di san Silvestro compresa. Anche gli orari saranno speciali: fino alle 22 nei giorni feriali e la domenica, fino a mezzanotte venerdì sabato e i prefestivi. Per tutto il periodo natalizio ad animare piazza XX Settembre ci saranno concerti, animazione per bambini (compreso Babbo Natale e il suo folletto), trampolieri, djset, laboratori creativi (con Julia Artico, l’8 e il 28 dicembre, e il 6 gennaio). Dalla musica sacra all’intrattenimento, dalle piazze alle chiese alle gallerie d’arte, il Natale in Città ha la sua colonna sonora per allietare lo spirito e rallegrare i cuori, e per i più piccoli al sabato c’è uno speciale baby care a tema musicale a cura del Cem: La Tana delle Note. Diversi eventi sono ospitati nella galleria d’arte moderna e contemporanea Pizzinato, tra cui la
presentazione del libro di Andrea Di Robilant, Sulle tracce di una rosa perduta (12 dicembre), e le poesie di Maria Pina La Marca (13 dicembre). La Biblioteca propone teatro e letture per i bimbi, oltre alla normale programmazione. Anche la chiusura del Natale in Città, il 13 gennaio è affidata ad un evento culturale: le letture dai Commentari urbani di Giovan Battista Pomo, che creeranno un salotto settecentesco a Palazzo Gregoris. Ricca è l’offerta espositiva, tra mostre già in corso: Ashes/Ceneri alla Galleria Bertoia, Virgilio Guidi/Luigi Vettori alla Galleria d’arte moderna e contemporanea Pizzinato, Mario Micossi per The New Yorker negli spazi espositivi della Biblioteca, Le macchine di Leonardo Da Vinci negli spazi espositivi di via Bertossi, Intento in cose de prospectiva, disegni e parole su alcuni aspetti di Antonio de’ Sacchis detto Il Pordenone, di Stefano Ius al Museo civico d’arte, Guardatemi in faccia, ritratti nella mente di Giordano Floreancig nel Convento di San Francesco, La casa in riva al mare (in collaborazione con la Casa Circondariale) al Museo di storia naturale. Il capodanno in piazza XX Settembre sarà come sempre in musica, con un ospite speciale: Maurizio Solieri, storico chitarrista di Vasco Rossi con la Solieri Gang. Prima di lui sul palco salirà la Piccola Orchestra Italiana diretta da Alessandro De Crescenzo (chitarrista di Cremonini), cantante Nicole Pellicani, per un fine anno a tutto rock e pop.
Concerto di FineAnno Centro Iniziative Culturali Pordenone presenta XXXV EDIZIONE
Orchestra Sinfonica della Radio Nazionale Ucraina di Kiev Larissa Alice Wissel soprano
Volodymyr Sheiko direttore Mercoledì 31 Dicembre 2014, ore 16.00 Teatro Comunale Giuseppe Verdi Pordenone www.centroculturapordenone.it
Si aprirà all’insegna della drammaturgia contemporanea e della grande musica il 2015 per il Teatro Verdi di Pordenone, dove l’eclettica Arianna Scommegna (Premio Hystrio 2011), il 7 gennaio, alle 20.45, nell’ambito della rassegna Interazioni, porterà in scena “Qui città di M.” un ritratto spietato della vita nella giungla metropolitana. Un racconto cupo, tratto dall’omonimo romanzo di Piero Colaprico, che tenta di descrivere la realtà dei dinamismi metropolitani con sguardo critico, ma mai giudizioso, verso i meccanismi perversi dei media. Diretto da Serena Sinigaglia, lo spettacolo narra le vicende di sette personaggi coinvolti in un duplice omicidio, oscillando tra toni ironici e drammatici, fiabeschi e noir. Sullo sfondo se ne sta la città di M., probabilmente la città natia di Sinigallia e Colaprico, Milano, probabilmente la fotografia esatta di qualunque città italiana. Qui la morte arriva imperterrita e oscena, nelle vesti di un becchino o di un killer, di un membro della scientifica o di un poliziotto; arriva deteriorando i rapporti umani e intasando comunicazioni mediatiche e televisive. Il 10 gennaio da non perdere, un mito come Jordi Savall (sul palco
con l’Ensemble Hespèrion XXI) e il suo “Folias & canarios”. La Folia (o Follia), danza popolare spagnola di origine portoghese, è elemento essenziale del repertorio strumentale europeo: per secoli questo tema ribattuto, nella sua fresca e vorticosa semplicità, ha affascinato tanti compositori, da Vivaldi a Corelli, da Marais a Rachmaninov. Figura eccezionale nel panorama musicale, Savall ha dedicato oltre trent’anni di ricerca e studio alla riscoperta di tesori musicali abbandonati. Per la prima volta a Pordenone, farà riscoprire la magia di un tema che le mille variazioni, anche le più virtuosistiche e le più ricercate, non riescono mai a intaccare. Una magia che sottilmente ipnotizza chi suona e chi ascolta. In occasione del concerto, dalle 19.30, in teatro torna anche l’happy hour, nel foyer del primo piano riallestito da Valcucine e attraverso il quale, con la ristorazione curata dal Ristorante Moderno, si vuole promuovere anche la qualità del cibo e della sana alimentazione. In collaborazione con Confcooperative, il pubblico potrà assaggiare i piatti preparati con i prodotti del territorio e a chilometro zero. Prenotazioni allo 0434 29009.
SOTTO LA LENTE
Dedica, Luis Sepùlveda in marzo a Pordenone Lo scrittore cileno Luis Sepúlveda sarà protagonista della XXI edizione di “Dedica”, che si terrà a Pordenone dal 7 al 14 marzo 2015. Cineasta, autore teatrale, Sepúlveda è soprattutto romanziere di enorme successo in tutto il mondo. E tuttavia il suo successo è la dimostrazione (già fornita, fra gli altri, per restare in àmbito sudamericano, da García Márquez o Vargas Llosa) che la qualità letteraria può tranquillamente andare a braccetto con la popolarità fra un pubblico vasto. Con il suo linguaggio asciutto e allo stesso tempo intensissimo, con la sua capacità di attraversare i generi letterari, Sepúlveda ha creato un universo narrativo pieno di humour e di
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speranza, affrontando temi come il viaggio e l’utopia, l’avventura e la politica, l’amore e la guerra, l’ironia e il mistero, l’amicizia e la lealtà, la passione e il rispetto per la natura. Gli appuntamenti costruiti attorno all’opera dell’autore condurranno il pubblico in un viaggio nel suo mondo, spaziando fra libri, conferenze, teatro, cinema, musica. Un percorso di conoscenza e approfondimento al quale parteciperanno, insieme al protagonista, personaggi di spessore internazionale, espressioni delle diverse declinazioni artistiche che comporranno il calendario del festival.
con soli
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