La Città
LA CITTA’ • Numero Sessantanove • Dicembre 2013 • Registrazione presso il Tribunale di Pordenone, n. 493 del 22-11-2002 • Copia in omaggio
Direttore responsabile: Flavio Mariuzzo • Editore: Associazione La Voce • Sede: Pordenone, Viale Trieste, 15 • Telefono: 0434-240000 • Fax: 0434-208445 • e-mail: info@domenicasport.org
Crisi del bianco, Letta e Renzi: ora fatevi sentire Nel 2007 l’Italia era il terzo paese al mondo per elettrodomestici prodotti, con circa 35 milioni di pezzi tra lavatrici, forni da cucina, stufe, fornelli, frigoriferi. Cinque anni dopo, nel 2012, la produzione si è più che dimezzata, crollando a meno di 17 milioni. L’Italia è scivolata al nono posto della graduatoria globale, ma il barometro volge ancora al brutto. Anche negli Stati Uniti si è verificato qualcosa di simile, ma lì la minor possibilità di delocalizzare i siti produttivi ha limitato i danni. L’Italia, invece, stretta nella tenaglia dell’alto costo del lavoro e della caduta della domanda interna, rischia di venire cannibalizzata dai Paesi “amici” dell’Unione europea. Un calo così marcato (e inatteso) dell’economia domestica, infatti, rende sempre meno sostenibile la produzione di elettrodomestici in Italia. Se stessimo parlando di un comparto marginale, la cosa avrebbe un significato relativo. Il problema è che stiamo parlando di uno degli asset sui quali si regge l’economia del Belpaese, il più importante dopo quello automobilistico. Il settore degli elettrodomestici Made in Italy occupa nel nostro paese circa 130 mila lavoratori, di cui circa 6 mila dipendenti da Electrolux. Lo scorso 25 ottobre la multinazionale svedese ha annunciato ai sindacati 1.129 esuberi in quattro stabilimenti italiani del gruppo, dei quali 295 nello storico insediamento di Porcia. Fino ad oggi non si è percepita né vista la necessaria attenzione sul caso da parte del governo e della politica nazionale. Al più abbiamo registrato delle azioni isolate come la lettera dei senatori Sonego e Sacconi al Ceo di Electrolux Keith McLoughlin o l’attivismo finora sterile del ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, che ha “minacciato” di recarsi di persona in Svezia. È chiaro che ci vuole ben altro. Occorre che della questione si faccia carico il presidente del Consiglio con il suo peso negoziale. Non è stato così per Fiat e Alitalia? Oltre agli esuberi nelle dipendenze europee (circa 2 mila in tutto) Stoccolma ha annunciato un’investigazione della durata di sei mesi sui costi e sulla competitività degli stabilimenti. Non facciamoci illusioni. Electrolux ha già deciso di ritirarsi dall’Europa occidentale ma ha bisogno di tempo per organizzare quello che si configura come un’epocale spostamento di truppe da un fronte all’altro (perché è di una guerra che continua a pagina 2
Pordenone alle prese con uno dei momenti più difficili della sua storia recente
Il servizio alle pagine 8 e 9
Giù le mani dalle nostre fabbriche Foto Michele Missinato
EDITORIALE
www.facebook.com/ lacittapordenone
Mentre il premier Enrico Letta continua a "vedere" la ripresa a portata di mano, la nostra provincia tocca il punto più basso dall'inizio della crisi. Pordenone, la capitale italiana dell'elettrodomestico, è di fronte a un bivio: rassegnarsi al declino oppure inventarsi un progetto di rilancio che diventi un modello per il sistema paese
LORSIGNORI
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PRIMO PIANO
L'avvocato Alberto Cassini si congeda con una lettera aperta
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SOTTO LA LENTE
Grillo: un progetto per rilevare la Zanussi
PAROLA MIA
CONTROCORRENTE
Ultima chiamata per il Sistema Paese
Pd pordenonese: somma di dirigenti o partito-guida?
di SERGIO BOLZONELLO
di GIUSEPPE RAGOGNA
La condizione della nostra società è il continuo mutamento. Il presente è oramai un organismo estremamente dinamico, che modifica costantemente i suoi riferimenti, economici e culturali. Mai come oggi la nostra società e comunità sono interessate dalla dimensione del cambiamento; il risultato è una modificazione costante di tutte le sicurezze su cui si fondano le nostre certezze e i nostri stili di vita. La crisi economica è ovviamente una delle manifestazioni più importanti e rilevanti di questa profonda trasformazione, perché ha implicazioni sociali profonde. Il nostro tessuto produttivo, fino a non molti anni fa ancora vitale, è interessato ora da una profonda crisi che ha ovviamente
Matteo Renzi ha stravinto con numeri schiaccianti (67,8%). A ogni livello. Ha dominato la scena, perché è un politico da primarie aperte. Poteva contare su una organizzazione già collaudata, sufficientemente esterna al partito. Ha sfruttato la potenza di motori già caldi, con scarico immediato di parole semplici ed efficaci, in sintonia con la richiesta di rinnovamento. Per esempio, la parola “rottamazione” ha ormai il suo fascino, perché alimenta la volontà di fare piazza pulita di una classe dirigente protagonista di stagioni passate tra delusioni e fallimenti. L'avversario più agguerrito, Gianni Cuperlo,
continua a pagina 5
continua a pagina 14
8-9
L'INTERVISTA
Emergenza italiani alla Caritas diocesana
12-13
Da 25 anni Pordenone ride con i Papu
FINO AL 12 GENNAIO 2014
GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA ARMANDO PIZZINATO Viale Dante, 33 - PORDENONE
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Catalogo
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La Città
LORSIGNORI
Dicembre 2013
Dopo 10 anni e ben 60 puntate si chiude la rubrica tenuta su questo giornale da Alberto Cassini
Giovani, adesso tocca a voi Ma guardatevi da Lorsignori Caro direttore, caro amico, è giunta anche per me l’ora del congedo: ogni storia finisce anche se devo ammettere susciti una vena d’intuibile melanconia. Sono oltre trent’anni che scrivo, dapprima sulle prestigiose pagine de “Il Noncello” (la più bella rivista che mai sia stata edita qui in Friuli), poi su “La Città” che fu per me sempre un’ospitale e disponibile ribalta. Sono rimasto un convinto assertore del primato della cultura sulla politica e ci vuole francamente poco dato lo spessore della prima ed il deprimente livello della seconda. Ho sempre creduto –torno a professarmi con intima convinzione “montanelliano”- in una liberaldemocrazia temperata a destra dal solidarismo cattolico e a sinistra dall’umanesimo laico e socialista. L’ho già scritto innumeri volte, ma citar se stessi –ne converrà- non è un plagio. È stata un’onesta battaglia, ma dobbiamo riconoscere d’averla perduta. Dicono in Spagna che la sconfitta sia il blasone dell’hidalgo coraggioso: sarà, ma mi sembra davvero una magra consolazione. Penso alla nostra Pordenone che lasciamo peggio di come la mia generazione l’avesse trovata: urbanisticamente grigia, economicamente in declino e comunque sempre in balia dei soliti boiardi arroganti ed incapaci.
Questa volta non ci sarà quindi l’abituale appuntamento con il lettore per il bilancio di fine anno, ma la mia non è comunque una diserzione
Non sarà forse il caso, ma così mi faccio qualche nemico in più. Scrissi molti anni or sono che Pordenone avrebbe contato in Regione come un remoto distretto della Tanzania ed i fatti purtroppo non mi hanno smentito.
Ora tocca ai giovani –cui auguro arridano ben altre fortune- combattere la loro battaglia. Si guardino tuttavia da Lorsignori, questi mascalzoni si arroccheranno (e non sarà facile stanarli) nella ridotta dei naufraghi, crogiolandosi con indennità e vitalizi che
han fatto ben poco per meritarsi e senza avvertire neppure la vergogna per come han conciato questa povera Italia. Qualcuno s’accinge ad indossare una nuova livrea (la sola che si addice ai servi ed ai lacchè) e rischiamo quindi di ritrovarceli alle prossime elezioni. Certe facce marmorizzate da museo delle cere, che praticano da decenni il più spregiudicato trasformismo, appartengono –come gli scaltri protagonisti della commedia dell’arte- al patrimonio genetico di questo disastrato Paese. Questa volta non ci sarà quindi l’abituale appuntamento con il lettore per il bilancio di fine anno, ma la mia non è comunque una diserzione. Tornerò –con un occhio al passato, visto com’è ridotto il presente- a quei libri che ho lasciato sinora incompiuti e attenderò che finalmente gli Italiani scendano in piazza. Appartengo ad una famiglia di tradizione bonapartista e m’è quindi rimasto nelle vene un certo estro barricadero. Ai giovani senza prospettive, agli esodati, ai cassintegrati, alla maggioranza silenziosa che non ne può più (cui ho cercato di dar voce in questa rubrica) vorrei accodarmi anch’io, sia pur nei ranghi (per ragioni anagrafiche) dei rottamati. Alberto Cassini
Gentile avvocato, credo sia doveroso in questa circostanza rivolgerle un pubblico ringraziamento. Dieci anni fa, decidendo di avviare la sua rubrica “corsara” su questo giornale, allora appena nato, ci ha onorato della sua collaborazione e della sua fiducia. La sua presenza elegante e coraggiosa è stata per noi un punto di riferimento importante e uno stimolo continuo a migliorarci, tanto che oggi La Città rappresenta una voce attesa e ascoltata. Molti sono i lettori che ad ogni uscita prendono in mano questo foglio e lo aprono subito a pagina 2 per “gustarsi” il suo corsivo sempre caustico e graffiante. Dalla prossima volta troveranno qualcosa di diverso. Abbiamo già in mente altre brillanti provocazioni, in perfetto stile “montanelliano” come piace a noi. Questa resterà la finestra dalla quale affacciarsi ogni volta che lo vorrà. F.M.
La Città Periodico di informazione e opinione della città di Pordenone Tiratura 7.000 copie
www.peressini.it
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
Sergio Bolzonello, Alberto Cassini, Davide Coral, Paola Dalle Molle, Sabrina Delle Fave, Mara Del Puppo, Clelia Delponte, Franco Giannelli, Enzo Marigliano, Nico Nanni, Giannino Padovan, Giuseppe Ragogna, Daniele Rampogna, Antonino Scaini
PROGETTO GRAFICO: EDITRICE: Francesca Salvalajo Associazione “La Voce”, Viale Trieste, 15 (2°piano) FOTO: archivio La Città, Gigi Cozzarin, Ferdi Terrazzani, Clelia Pordenone
Delponte, Italo Paties, Luca D’Agostino
DIRETTORE RESPONSABILE: Flavio Mariuzzo
IMPIANTI STAMPA: Visual Studio Pordenone STAMPA: Tipografia Sartor PN
EDITORIALE continua dalla prima
Crisi del bianco, Letta e Renzi: ora fatevi sentire stiamo parlando). In seconda battuta gli svedesi valutano il danno reputazionale, specialmente dopo che l’eterna rivale, l’americana Whirpool, dal 2006 gli hanno scippato la leadership mondiale. Attendere la fine dell’investigazione sarebbe come far scappare i buoi per poi chiudere la stalla. Bisogna muoversi subito, oggi, adesso. Non il sindaco di Pordenone, non il presidente della Regione, non i deputati per conto loro. È necessario che il governo riconosca la crisi dell’elettrodomestico in Italia e intervenga in maniera pesante e autorevole con tutte le leve a disposizione per scongiurare la delocalizzazione selvaggia degli impianti produttivi da un paese europeo all’altro. Anche il neoeletto segretario del Partito Democratico ha voce in capitolo: la faccia sentire. È un’occasione fantastica per far vedere al mondo che il paese sa fare sistema per difendere il lavoro e l’impresa. Il caso potrebbe fare scuola. Le strade che noi vediamo sono due: o si mette a punto in fretta (entro gennaio) un pacchetto di misure statali che renda ancora conveniente la permanenza in Italia di Electrolux. Oppure si cerca di favorire il riacquisto degli stabilimenti e dei marchi storici da parte di investitori locali, obbligando Electrolux a non fare ostruzionismo e, anzi, a collaborare alla riuscita del progetto. La terza strada, quella della desertificazione industriale, ovvero della chiusura delle fabbriche e della dispersione delle straordinarie competenze costruite nell’era Zanussi, non la vogliamo nemmeno prendere in considerazione. Flavio Mariuzzo
Le foto del servizio di Primo Piano delle pagine seguenti ci sono state cortesemente messe a disposizione da Michele Missinato, "storico" fotografo del Messaggero Veneto, testata per la quale sta seguendo tutti i momenti delle crisi aziendali Electrolux e Ideal Standard. A Missinato va il sentito ringraziamento della redazione de La Città.
La Città
PRIMO PIANO
Dicembre 2013
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Da ex manager Electrolux il sindaco di Pordenone conosce bene le dinamiche della multinazionale svedese
Un piano “B” non esiste Non possiamo assorbire altri 4 mila disoccupati
LO SPIGOLO
Parole al vento di NICO NANNI
Il sindaco Pedrotti durante una manifestazione in difesa del lavoro
Una cordata di industriali che rilevi l’azienda? Credo sarebbe il sogno di tutti noi, ma non vedo chi possa accollarsi la parte finanziaria. Era possibile obbligare Electrolux a rafforzare le competenze in Italia per fare un prodotto di alto livello? È quello che si è provato a fare, ma è andata male
Se gli svedesi decidono di “mollare” l’Italia che si fa? Non esiste un piano B. Come ha affermato di recente Sergio Bolzonello in un incontro tenutosi a Pordenone non ci sono alternative per questo territorio alla presenza di Electrolux. In un contesto come quello della nostra città e della nostra provincia non è pensabile passare dai 10 mila disoccupati che abbiamo oggi ai 14 mila che si paventano. Ciò determinerebbe un’emergenza sociale senza precedenti. Ci spieghi meglio. Se si esaspera il fatto che esiste solo una strada non è perché non si vogliano studiare alternative. Fino a cinque anni fa gli immigrati che arrivavano a Pordenone nel giro di poco tempo trovavano un’occupazione. Oggi siamo piombati con una velocità incredibile in una situazione in cui il lavoro non lo trova più nessuno, neanche gli italiani. Bisogna lanciare un messaggio chiaro e forte soprattutto verso chi pensa che qui un lavoro si trovi sempre e comunque. Non è più così. Perché si è arrivati a questo punto? Che si andasse verso una decrescita della produzione e un ridimensionamento delle fabbriche italiane lo si è visto e tutti gli accordi sindacali andavano in questa direzione. La cosa ha subito un’accelerazione inaspettata, per quanto
riguarda Electrolux, con il crollo del mercato italiano. La pesantezza della crisi in Italia ha sbriciolato quel basamento di certezza rappresentato dal mercato interno. La globalizzazione era un processo evidente, il “drop”, la caduta verticale dell’Italia no. Nell’ultimo anno in Italia non si è venduto niente. La vera considerazione da fare però è un’altra. Quale? Noi come Paese vogliamo continuare ad avere un’industria che non faccia software bensì manufatti? Sembra quasi che si voglia negare la tradizione manifatturiera dell’Italia! Facevamo circa 22 milioni di elettrodomestici all’anno, adesso siamo arrivati a 12. La Polonia ha fatto l’inverso, da 8 è arrivata a 18. Ma la Germania è rimasta sempre sui 12-14 milioni. Come è possibile? E nessuno discute che la Germania sia e debba restare un paese manifatturiero. Anche loro hanno delocalizzato in modo intelligente. Non è che la tedesca Bosch-Siemens, concorrente di Electrolux, non abbia le fabbriche in Turchia, ma le ha conservate pure nel suo paese. Allora c’è qualcosa che non funziona da noi come sistema paese. Non abbiamo mai avuto una politica industriale degna di questo nome. Non è quindi solo un problema di costo del lavoro. Il costo del lavoro è un problema dell’industria italiana, ma non è l’unica leva. Se noi arrivassimo a 18 euro all’ora saremmo già competitivi. Ora siamo a 24-25. Bisogna, tuttavia, ragionare su un mix di fattori. Occorre intervenire su infrastrutture, logistica, costi dell’energia, anche se Electrolux non ha una produzione particolarmente “energivora”. La prima cosa da portare a casa è la loro disponibilità ad avviare una trattativa a 360 gradi. Che ne pensa dell’ipotesi di riacquisto della fabbrica e dei marchi storici da Electrolux?
La ricchezza del nostro territorio sono le competenze a tutti i livelli che riguardano l’elettrodomestico, dalla conoscenza del prodotto e quindi dalla capacità di progettazione, alle capacità di vendita e gestionali. Noi sappiamo farle funzionare le fabbriche. Siamo sempre stati indicati all’interno del Gruppo come coloro che avevano le capacità gestionali più elevate nella produzione di qualità. Il patrimonio c’è, mancano gli investitori. O, comunque, qualcuno in grado di convincerli ad assumersi questo rischio. Pensare che il ruolo di investitore possa essere esercitato dalla Regione, secondo me, è utopistico. E se fosse una cordata di industriali? Sarebbe bello. Credo sia il sogno di tutti noi. A volte i sogni si realizzano, per carità. Ma al momento non vedo chi potrebbe accollarsi la parte finanziaria. Un intervento statale è possibile? Maurizio Castro ha lanciato un’idea di questo tipo: vista la crisi del settore si potrebbe ipotizzare una sorta di “statalizzazione” dell’elettrodomestico in Italia. Anche l’Iri è nata così, in una fase in cui c’era la necessità di sostenere e ricostruire. In fondo anche quella che stiamo vivendo è una guerra. Se il governo compisse uno scatto di reni di questo tipo dimostrando che non si creano solo carrozzoni ne sarei felice. Vorrebbe dire che si sta cambiando direzione, ma non ne vedo i segnali. Purtroppo. Cosa insegna questa storia? Sei competitivo e inattaccabile se hai delle grossissime competenze. Competenze che poi vengono trasferite nel prodotto. Se poi il prodotto è frutto di un elevato livello di competenza diventa difficile copiarlo e resti leader per tanto tempo. Era possibile obbligare Electrolux a rafforzare le competenze in Italia per fare un prodotto di alto livello? È quello che si è provato a fare, ma è andata male.
Buon Natale e felice Anno Nuovo
Grafica e stampa: www.sincromia.it
Il tema del lavoro sta scaldando il cuore del sindaco di Pordenone Claudio Pedrotti. Fino ad ora, da quando è stato eletto, il primo cittadino non si era mai visto così combattivo. Oggi la posta in gioco è troppo alta. Le crisi aziendali Ideal Standard ed Electrolux toccano corde profonde. I pordenonesi lo sanno che si sta giocando una partita decisiva per l’economia e la società locale. Così l’ex manager, ora alla guida della città, ha preso posizione sulle barricate insieme alle maestranze.
Illustrazioni di Lorenzon Marta lorenzon.martina@gmail.com
di FLAVIO MARIUZZO
Ci fu un tempo, nemmeno tanto lontano, diciamo tra il 2003 e il 2008, comunque in tempi non sospetti e a crisi ancora lontana, quando un esponente di spicco della politica regionale andava predicando la necessità che il sistema produttivo del Friuli Venezia Giulia si volgesse decisamente verso l’innovazione e quindi verso quei settori più avanzati pena la perdita – nel tempo – delle capacità fino a quel momento acquisite. Diceva in sostanza quel politico regionale che “l’università è il perno centrale su cui poggiare lo sviluppo economico, culturale, sociale del Friuli Venezia Giulia. Infatti, se è vero che stiamo vivendo nell’era della conoscenza, allora dobbiamo prepararci ad attuare il cambiamento rispetto all’era industriale”. E ancora: “Tecnologia e innovazione sono oggi il vero ‘core business’ delle imprese, ma ricerca e sviluppo non sono possibili senza personale qualificato; essere nell’era della conoscenza non significa però abbandonare certe produzioni, ma far sì che il valore aggiunto delle aziende sia determinato da un maggior grado di conoscenza e quindi di competitività”. “Per Pordenone – diceva ancora – la missione è certamente l’industria, che però deve cambiare per uniformarsi ai cambiamenti epocali che stiamo vivendo passando all’era della conoscenza e della globalizzazione”. Nulla di rivoluzionario, ci pare, eppure, davanti a queste e ad altre affermazioni, ci furono levate di scudi, riaffermazioni di principio, quando non anche barricate da parte degli illuminati reggitori – politici e non – di casa nostra: la parola d’ordine era “il manifatturiero non si tocca”. E cosa dicono oggi quegli illuminati personaggi davanti al fatto che il manifatturiero gli è stato sottratto e che pare non ci siano in giro tante alternative?
www.bccpn.it
Fatti, per crescere.
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La Città
PRIMO PIANO
Dicembre 2013
L’ex manager Mario Grillo capofila di un progetto che punta a valorizzare la capacità produttiva dell’azienda
"Riprendiamoci la Zanussi e investiamo sul prodotto" “Le competenze ci sono. Dobbiamo ripartire da zero, metterci in gioco fino in fondo, rinunciare al piatto di lenticchie che ci è stato offerto e farci riprendere dal desiderio di fare prodotti per la gente” di CLELIA DELPONTE
Già dirigente di alto livello alla Zanussi-Electrolux e Veneta Cucine, l’ingegner Mario Grillo, continua nonostante la pensione a dedicarsi come consulente alla sua grande passione: cercare di far andar bene o rivivere le aziende. La sua è dunque una vera e propria forma di resistenza allo tsunami che sembra stia per travolgere le imprese del Nord Est. Zanussi-Electrolux fa parte della sua storia professionale e fa parte della storia di Pordenone. A fronte delle prospettive di esuberi, chiusura e delocalizzazione ha detto: no, io non ci sto. E con lui una decina di ex dirigenti, che sono al lavoro per impedire che tutto ciò avvenga, per dire che non tutto è perduto, che non dobbiamo considerarlo un processo ineluttabile. Ma facciamo un passo indietro. Come si è arrivati, a suo avviso, a tutto questo? “Electrolux da azienda industriale è passata ad azienda finanziaria, ha perso la passione per il prodotto, una visione completamente fuorviante cui si è aggiunta la pseudo strategia secondo l’esempio americano di far realizzare il prodotto dove la manodopera costa meno. Ma io sostengo che il costo del lavoro non è IL problema. Basta guardare la Germania, dove gli operai guadagnano molto bene. I loro elettrodomestici sono fatti bene e investono sul prodotto. Per fare impresa bisogna avere il fuoco dentro, ovvero pensare di fare sempre qualcosa di meglio. Se pensi solo a spostare fabbriche da un paese all’altro hai completamente perso di vista l’obiettivo. La dimostrazione più lampante è che seguendo questa linea Electrolux è passata dall’avere il 24% del mercato europeo nel 2003 al 12% odierno. Si evita di lavorare per ottenere prodotti più performanti per pigrizia intellettuale. L’innovazione nasce quando si stimolano le persone a fare di meglio, dunque bisogna creare le condizioni perché ciò avvenga”. Il fatto che Electrolux sia una multinazionale certo non ci aiuta, perché non ha nessun legame “sentimentale” con l’Italia, dunque il destino dei lavoratori le è indifferente. Come avvenne il passaggio?
Lo striscione in testa al corteo dei lavoratori Electrolux per le strade di Pordenone (foto Missinato). In alto Mario Grillo
“La Zanussi ha subito, sotto Lamberto Mazza , un processo di diversificazione totalmente sbagliato. Poi fu “regalata” dal clan degli Agnelli all’Electrolux , per avere il controllo della Saab, cosa che poi non si è realizzato. Anche negli anni 2000 la Saab ha svolto un ruolo fondamentale nella politica dell’Electrolux. A fronte dell’acquisto da parte dell’Ungheria di 14 aerei Gripen (il caccia svedese prodotto
dalla Saab), per compensazione Electrolux non solo ha aperto nel paese danubiano uno stabilimento di frigoriferi e congelatori che oggi dà lavoro a più di 1.000 persone, ma vi ha anche trasferito l’intera produzione europea di aspirapolveri. Oggi l’Electrolux Lehel Kft è la più grande società industriale dell’Ungheria, dove considerando altri investimenti di aziende contermini sono stati creati
IL RETRO
Electrolux: quando a Stoccolma FISIOTERAPIA
RIABILITAZIONE
Nel 1986 gli svedesi diedero ampie assicurazioni alla Regione (tutte do
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Nell’ottobre 1986, dopo che a fine 1984 la multinazionale svedese Electrolux aveva acquisito il pacchetto di maggioranza di Zanussi, la Commissione Industria del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia compì un viaggio in Svezia per verificare diversi temi, primo dei quali una presa di contatto diretta con la dirigenza Electrolux dell’epoca per una verifica puntuale e “da vicino” delle intenzioni della multinazionale nei confronti della Zanussi. Di quel viaggio resta una relazione dettagliata che nel capitolo “I rapporti con la Electrolux” (redatta sulla base dei colloqui avuti) afferma che per la multinazionale
svedese “Zanussi costituisce una parte importante della strategia industriale ed è indispensabile per l’espansione del mercato mondiale degli elettrodomestici”. E continua: “Electrolux, quindi, è notevolmente impegnata nella Zanussi pur lasciando a questa industria la massima libertà. Fra i due gruppi, insomma, vi è sinergia di interessi e di politica industriale (…)”. Per i dirigenti svedesi “la Zanussi ha decisamente invertito il ‘trend’ negativo, sta dando nuovamente utili e ora deve completare il processo di risanamento attuando la ‘strategia del prodotto’ (che significa sempre maggiore qualità da raggiungere anche con stabilimenti
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PRIMO PIANO
Dicembre 2013
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Il costo del lavoro non è “il” problema. La Germania insegna: gli operai guadagnano e i prodotti sono fatti bene continua dalla prima
complessivamente 10mila posti di lavoro. È chiaro che a fronte di interessi e scambi di tale portata lo sforzo della nostra trattativa deve essere a livello molto alto e vedere in prima linea il Governo italiano, seguito da Regione Friuli Venezia Giulia e Regione Veneto unite in un fronte comune”. Ma che possibilità possiamo avere in questo scenario? “Dobbiamo convincere Electrolux che non è questa la strada giusta per l’azienda. Ad ogni modo io vedo due possibilità. La prima è non cedere, ma vendere cara la pelle attraverso un’azione congiunta di politica e sindacato. La seconda è quella di mettere in piedi un progetto alternativo che consenta di dare continuità ad un patrimonio di alto valore, che è quello cui stiamo lavorando. Le competenze in azienda ci sono. Con un buon progetto possiamo trovare un finanziatore e acquisire a prezzo simbolico fabbrica, macchinari e marchi che Electrolux considera obsoleti (come Rex e Zoppas). Il primo periodo dovrebbe essere di transizione con Electrolux che acquista i nostri prodotti, dopodiché si potrebbe tentare di essere autonomi. Sogno? Utopia? Noi ci crediamo. Abbiamo la capacità di lavorare e fare bene le cose. Dobbiamo ripartire da zero, metterci in gioco fino in fondo, rinunciare al piatto di lenticchie che ci è stato offerto e farci riprendere dal desiderio di fare prodotti per la gente. Chissà che questa situazione drammatica non ci risvegli dal sonno…”. Allarghiamo ora il focus al modello industriale del Nord Est, da tempo in sofferenza. Perché questo modello non funziona più? “È il contesto ad essere cambiato. Un tempo flessibilità e capacità di fare erano sufficienti, ora non basta più correre e fare tante ore, ora le nostre aziende devono strutturarsi, per rispondere a nuove sfide. Anche l’entrata nell’Euro ha fatto la sua parte, perché ci ha esposto alla concorrenza dei paesi con un costo del lavoro più basso, anche se non è questo il fattore determinante. Invitato come docente ad un master alla Bocconi, agli studenti dissi che dovevano diffidare delle ricette che venivano loro insegnate, perché nascevano da esperienze passate e nel frattempo la realtà era cambiata. Se avessero cercato di applicare quelle ricette forzando la realtà avrebbero fatto solo danni. Il segreto è guardare la realtà e cercare di capirla.
Chissà perché non mi chiamarono più… Io ho avuto la fortuna di fare tutta la gavetta. Mia madre quando avevo 15 anni mi ha mandato a fare il muratore e lì ho imparato il significato della fatica e mi è rimasto il gusto di toccare con mano le cose. La mia carriera l’ho costruita un passettino alla volta. Oggi nei posti di responsabilità ci sono persone che decidono su cose di cui non sanno niente. Al tempo dei Zanussi, dei Savio, dei Locatelli, dei Galvani c’era voglia di fare, oggi chi si siede è perduto. Gli imprenditori della vecchia generazione hanno fatto il loro tempo e si sono seduti sui loro successi, la gestione mono personale, con incapacità di strutturarsi e delegare soffoca l’azienda e le impedisce di girare a pieno ritmo. I loro figli, che magari hanno avuto l’opportunità di studiare, hanno perso il gusto e la voglia del lavorare, pensano di andare in azienda e di fare marketing, ma gli piace avere l’automobile grossa o altri status symbol”. Possiamo dire che è anche un problema culturale generale? “Assolutamente sì, questa congiuntura economica è anche frutto della nostra decadenza culturale caratterizzata dall’intrattenimento leggero, da una televisione volgare e superficiale, dalla cultura dell’apparire, dal proliferare di gratta e vinci e del gioco d’azzardo, dalla commercializzazione di tutto anche del corpo femminile. Abbiamo barattato la nostra identità per l’ultimo modello di telefonino. Siamo come anestetizzati, incapaci di agire e reagire. Bisogna ripartire dalle cose concrete, dalla terra, dalla vera economia e abbandonare la via della finanza”. Quali sono i punti cruciali su cui devono lavorare oggi le aziende per resistere o per risollevarsi? “Bisogna lavorare sul prodotto e sul mercato. Sul recupero dell’efficienza (la cosiddetta lean factory, che offre davvero ampi margini se pensiamo che il lavoro veramente utile è del 50%). Sul controllo dei costi di tutta l’azienda nel suo complesso, non accanendosi solo su quello del lavoro. Facciamo qualche esempio positivo? “La Foscarini, azienda di lampade di Mestre, la Brovedani di San Vito, che difatti ha puntato sul lean manufacturing, la Nidec, azienda giapponese che ha acquistato la ex Sole. Faccio inoltre notare che l’80% delle biciclette da corsa viene prodotto in Italia. Dunque, se vogliamo, abbiamo le possibilità per farcela”.
PAROLA MIA
Ultima chiamata per il Sistema Paese stabilimenti più produttivi d’Europa, radici strutturali, ma anche in parte quello di Porcia, dove Electrolux ha riferita ad una perdita di “progettualità portato a termine imprenditoriale”; in importanti pochi anni infatti, investimenti, la gran parte del corre il rischio di tessuto produttivo essere coinvolto del nostro territorio in un’inesauribile si è trovata incapace processo di di interpretare le ridimensionamento. mutazioni in atto a Il mondo corre, livello internazionale di SERGIO BOLZONELLO gli equilibri e adottare commerciali sono tutti conseguentemente nuove indirizzati ai nuovi paesi emergenti e strategie, in grado di sintonizzarsi sulle purtroppo noi ci troviamo, ora, nella nuove esigenze dei mercati. In rapido situazione di essere nella posizione tempo un’intera classe dirigenziale svantaggiata. Il prezzo della manodopera, imprenditoriale si è trovata disorientata il costo dell’energia e il livello della ed impreparata ad avviare processi burocrazia sono gli elementi con cui di trasformazione atti ad affrontare le Electrolux si confronta quotidianamente nuove sfide. Una situazione aggravata da una mancanza di politiche industriali e che oramai sono ingiustificati rispetto ad altre soluzioni produttive. Una nazionali, da una continua crescita degli situazione aggravata dalla tipologia oneri fiscali e da un quadro burocratico di prodotto, il free standing, che viene asfissiante. Il caso Electrolux, con le realizzata all’interno dello stabilimento, dovute differenze del caso rispetto alle maggiormente interessata a politiche caratteristiche medie del nostro tessuto concorrenziali basate sul prezzo. Questa produttivo, s’inserisce perfettamente indagine rappresenta pertanto l’esplicita in questo quadro generale ed è richiesta da parte dell’azienda svedese di testimonianza di un’esplicita richiesta ridefinire gli equilibri per una riduzione di nuove politiche industriali su scala sensibile dei costi di produzione. Una nazionale. Il settore produttivo legato richiesta, devo ammettere, diretta, all’elettrodomestico, il fautore della crescita economica della nostra Provincia non pregiudizievole, ma risoluta e a tempo. Sarebbe errato ora difenderci e della nostra Regione, è il secondo con slogan e con considerazioni come importanza a livello nazionale autoreferenziali, perché di fronte dopo quello automobilistico e vive ora abbiamo una logica imprenditoriale un indiscutibile momento di difficoltà, su scala internazionale. Ora ci vuole riflesso di una concatenazione di fattori. La decisione della multinazionale svedese realismo, determinazione e, aggiungo io, anche coraggio. Abbiamo la concreta Electrolux, di avviare nei prossimi mesi possibilità non solo di salvaguardare i un’indagine esplorativa sul destino dei posti di lavoro, ma avviare anche una quattro siti produttivi italiani, fra cui nuova fase di rilancio dell’azienda e quello di Porcia, è un ultimo segnale a del suo indotto. Electrolux ci chiede noi indirizzato, come “Sistema Italia”. azioni e noi dobbiamo essere in grado, È un indice rivolto ad un Paese che tutti assieme, di trovare soluzioni, con è fermo oramai da troppo tempo, una linea d’intervento corale dove incapace di dare segnale, prigioniero tutti i protagonisti partecipino senza di un’architettura organizzativa che ci protagonismi o idee preconcette. paralizza. Il risultato è che uno degli
OSCENA
consideravano Zanussi strategica
ocumentate) sul futuro del gruppo pordenonese. Oggi è cambiato tutto altamente specializzati per un unico tipo di produzione), riducendo i costi di organizzazione e investendo ingenti risorse nella ricerca e nell’innovazione tecnologica”. Nell’incontro vennero affrontati anche i problemi relativi all’occupazione: “Per quanto attiene alle preoccupazioni per i livelli occupazionali, la minor occupazione che può essere imposta dalle nuove tecnologie può essere compensata – sostenevano gli interlocutori svedesi – sia dai nuovi livelli quantitativi della produzione sia da nuove produzioni”. Infine l’indotto, che stava molto a cuore alla delegazione regionale: si insisteva perché Zanussi si
aprisse verso l’indotto del Friuli Venezia Giulia per avere “in loco” una significativa ricaduta “sia dell’impegno finanziario sostenuto dalla Regione per la Zanussi stessa sia degli investimenti che nel gruppo sono in atto”. Sembrano passati anni luce da quel 1986 e da quelle assicurazioni degli svedesi. D’accordo, quasi 30 anni sono una vita e alcuni di quegli impegni sono stati mantenuti nel tempo; nel frattempo, però, Zanussi come tale è sparita ed Electrolux ha fatto scelte diverse. Ora sta facendo le più drastiche. Di quella “importanza strategica”, insomma, non c’è più traccia. Nico Nanni
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Dicembre 2013
La Città
PRIMO PIANO
Considerazioni e proposte alla città da parte dell’ex segretario della Cgil regionale Giannino Padovan
“Non è una vertenza sindacale”
È un disegno chiaro: deindustrializzare l’Italia ed, in generale, il sud europeo. Un nuovo accordo sindacale è inutile. Bisogna incentivare Electrolux ad investire in nuovi prodotti in Italia. La trattativa va condotta ai massimi livelli come sistema Paese. Ma se non oseremo staremo col cerino in mano. Al Comune propongo di mettere a disposizione di tutti un luogo fisico che faccia da riferimento e coordinamento delle iniziative a difesa dell’industria”
di GIANNINO PADOVAN*
Da un decennio viviamo il declino industriale del “ricco” Nordest: percorrere Veneto e Friuli significa vedere fabbriche chiuse e capannoni in vendita; i parcheggi, oggi sono vuoti. Le fabbriche di Porcia e Susegana, perno del modello economico il cui fulcro era “Electrolux”, sono in crisi perché le produzioni dirottano verso Polonia e altri Paesi, non perché vi si facciano più investimenti in ricerca o prodotto, ma perché lì al momento la manodopera costa poco, tant’è che vi si producono elettrodomestici la cui gamma qualitativa è sempre più bassa ma che sono remunerativi tanto da ridurre al solo 17% la quota di presenza “Electrolux” in Italia. Lo scorso 25 ottobre – dopo anni di belligeranza tra “Electrolux” e Sindacato su carichi di lavoro ed occupazione – con un semplice comunicato stampa del Presidente Keith Meloughlin, “Electrolux” ha gettato la maschera tentando di realizzare la “soluzione finale”: andarsene dall’Italia nel più breve tempo possibile! Ciò comporta la desertificazione industriale del territorio, col dramma per migliaia di operai e loro famiglie, determinando un contraccolpo per l’indotto rappresentato da artigiani, piccoli e medi industriali e commercianti oltre che ricadute su altre aziende come “Ideal Standard”. Viviamo una crisi dalle molte facce, ma la cui causa principale sta nell’intreccio fra debito pubblico e crollo dei consumi delle famiglie il che ha trascinato a picco sia l’industria che il commercio. Il rigore imposto dalla Germania all’UE ci impedisce di sviluppare politiche di crescita dei consumi e degli investimenti, ma consente alla Germania di assicurare alla propria Lavoratori e istituzioni davanti ai cancelli di Electrolux (foto Missinato)
VISTO DA SINISTRA
Un territorio e migliaia di famiglie scaricati con un comunicato La vicenda “Electrolux” è nota per cui non entro nel dovranno misurarvisi. Ora si aprono interrogativi merito. Un solo elemento è stato poco commentato: inediti: quale regolazione del mercato è possibile se non su dimensione almeno continentale? il metodo utilizzato dagli svedesi per Non è giunto il momento per i Sindacati annunciare le scelte sugli stabilimenti di organizzarsi anche loro su scala almeno italiani: è bastato un comunicato stampa! europea? Infine una considerazione Almeno un tempo gli imprenditori, culturale, quasi ideologica: questa rubrica anche i più spericolati, convocavano i è intitolata “Visto da Destra e da Sinistra”. sindacati. Quest’atto fa capire, meglio Ricordate gli slogan di qualche anno fa? di mille discorsi, quale giudizio abbia la La crisi non esiste; i ristoranti sono pieni; multinazionale del nostro Paese, delle nostre istituzioni e quanto poco gli importi di VINCENZO le ideologie sono morte… La realtà ha delle relazioni sindacali. Eppure rischiano MARIGLIANO svegliato tutti dal sonno della ragione. I comportamenti delle multinazionali e del migliaia di posti di lavoro, il futuro delle grande capitale finanziario seguono una famiglie, il destino d’un territorio. Se poi loro logica; la tutela del mondo del lavoro ne segue sommiamo il futuro di “Electrolux” con “Ideal un’altra ed è l’essenza della solidarietà che anche Standard”, (altra multinazionale) e di decine di nel XXI secolo non è un disvalore. Insomma: destra medie e piccole imprese, questo comportamento e sinistra ci sono ed hanno visioni diverse della ha un valore ancor più pregnante. Viviamo un società e dell’economia e quanto più forte è la crisi, caso emblematico di effetti della globalizzazione tanto più tali differenze emergeranno. Ecco perché ove una multinazionale opera su scala mondiale i lavoratori delle fabbriche in crisi scoprono il velo considerando i singoli Stati come pedine su uno di colpevole silenzio: il loro grido di aiuto è rivolto scacchiere planetario. Certo indietro non si può all’intera società e nessuno può cavarsene fuori e non si deve tornare e le economie interconnesse perché la loro sconfitta sarebbe la sconfitta di tutti. sono inevitabili e tutte le future generazioni
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IL LANTERNINO
Dovevamo tenerle strette prima, quelle due benedette fabbriche! Nel corso degli anni i passaggi generazionali e di proprietà hanno interrotto il circuito lavoro, impresa, territorio. Riflettiamo sulla possibilità di ricreare un’economia a km zero di NINO SCAINI
Nel precedente numero de La Città segnalavo il pericolo di non considerare il lavoro per ciò che dovrebbe in effetti rappresentare per la vita degli uomini - cioè il “rapportarsi utilmente col mondo favorendo il miglioramento di sé e degli altri” - e di affrontarne quindi i recenti delicati problemi che lo affliggono utilizzando criteri di valutazione e decisionali prevalentemente se non esclusivamente quantitativi piuttosto che qualitativi. Venivano a tal riguardo stigmatizzati due particolari fattori che sempre più caratterizzano le politiche imprenditoriali, soprattutto (e, per certi versi, comprensibilmente) quelle della finanza e della grande industria, che alla finanza risulta ormai sottomessa; ma che pure sono stati in qualche modo avallati (ed è questo l’aspetto che più sconcerta e sconforta) dalla pressoché unanime e silente accettazione degli stessi lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali e politici.
Il primo è dato dalla vocazione finanziaria delle aziende, che sta soffocando quella economica e produttiva, portandole a scelte strategiche, anche vitali, basate sulla pura logica del profitto piuttosto che su quella dello sviluppo e della ricchezza. Il secondo, interdipendente col primo, consiste nella labilità del legame identificativo tra aziende, lavoratori e territorio, per cui le prime appaiono sempre più come organismi impersonali ed apolidi, privi di una propria base sociale e territoriale e dunque essi stessi privi di una reale identità. Non c’è stato quasi il tempo di esprimerlo, che si sono purtroppo manifestati (l’uno in modo virulento, l’altro in forma agonica progressiva) - e proprio nel nostro territorio - due drammatici casi che evidenziano e confermano in modo emblematico quanto abbiano pesato tali fattori nella probabile infelice sorte che accomuna due delle più grandi e storiche imprese pordenonesi. Due realtà di eccezionale rilievo nel
panorama non solo economico e non solo della nostra provincia e della nostra regione, che vogliamo chiamare, recuperando la loro “denominazione d’origine”, Industrie Zanussi e Ceramiche Scala, proprio perché figlie di questo territorio, generate dallo spirito di iniziativa e dalla creatività e cresciute con l’impegno, le capacità, i sacrifici e la solidarietà dei suoi uomini. Ma che ora rischiano di scomparire. L’una perché valutata non redditizia (o comunque non in grado di assicurare flussi remunerativi a breve termine) dal fondo d’investimento mobiliare che ne esercita il controllo (illuminante esempio di impresa finanziaria multinazionale sovrapposta a quella industriale locale). L’altra per la seduzione esercitata sulla casa madre svedese dall’ipotesi di delocalizzarla in paesi che garantiscono agevolazioni superiori e, soprattutto, costi di produzione (in primis quelli del lavoro) enormemente inferiori, senza che ne abbia a risentire l’appeal e la commerciabilità dei
prodotti. Scelte - se viste da lato aziendale o, meglio, secondo questo modo d’intendere l’impresa e il lavoro - di cui è francamente arduo contestare il senso e la coerenza anche da parte delle tante vittime (lavoratori, subfornitori, cittadini, sindacati, autorità politiche) e che affondano le radici proprio nell’atteggiamento poco lungimirante e passivo da molte di esse tenuto nelle fasi cruciali in passato vissute (per tutte i difficili passaggi generazionali e negoziali delle proprietà) da entrambe le società. Ogni possibile ottimismo rischia di essere illusorio e non restano, a questo punto, che due possibilità: quella di adeguarci in fretta alla globalizzazione (con connesse liberalizzazione e deregolamentazione) del mercato del lavoro. Oppure puntare sulla leva della domanda, orientandoci in maniera massiccia e sistematica all’acquisto dei prodotti delle “nostre aziende”. Quelli, per intenderci, “a kilometri zero”! (assinvicti@gmail.com)
industria lo “spazio vitale” (“lebensarum”). È un disegno chiaro: deindustrializzare l’Italia ed, in generale, il sud europeo. È in questo quadro che per “Electrolux” tale strategia rappresenta una sollecitazione ad abbandonare al proprio destino gli stabilimenti di elettrodomestici ritenuti non sufficientemente redditizi, scavalcando a piè pari Governo, Regioni e Sindacati. Solo tenendo presenti queste premesse può essere letto con chiarezza il comportamento “Electrolux”: una volta deciso di “spostare” le produzioni italiane, si sono sottoscritti ed immediatamente violati gli impegni assunti con i sindacati a partire da quello dello scorso marzo. Ecco perché credo non resti che riconoscere, dopo anni di “stop and go”, l’inutilità d’un nuovo accordo sindacale; semmai bisogna operare decisamente per un serio progetto di reindustrializzazione incentivando investimenti in nuovi prodotti che determinino il rientro in Italia delle produzioni recentemente spostate in Polonia, in altri Paesi e del Centro di ricerca in Svezia. Se si vuole contemperare l’obiettivo della produzione con quello occupazionale l’esigenza centrale credo sia di riportare l’orario di lavoro dalle attuali 6 alle 8 ore contrattuali. Non è un’utopia: lo si è fatto alla “Indesit” di Fabriano e l’ha fatto proprio “Electrolux” in Francia, costretta dal Ministro dell’Economia a rinunciare all’immediata chiusura della fabbrica di Revine. Diciamo le cose come stanno: parlare di “Electrolux” significa fare i conti con la famiglia Wallemberg, che opera nella telefonia (Ericcson),
nella farmaceutica (Zeneca) e nell’energia (ABB). Ne consegue che la piattaforma da mettere in piedi non è più solo sindacale, né tantomeno locale ma riguarda, semmai, il “sistema Paese”, il che significa che la trattativa con gli svedesi va gestita ai massimi livelli: il presidente del Consiglio Letta, il ministro Zanonato ed i presidenti delle regioni coinvolte, sul fronte istituzionale; i segretari generali di CGIL CISL UIL su quello sindacale. Solo una volta apertosi questo tavolo di confronto si aprirà la partita vera: quella più difficile! Da parte del governo e delle regioni, ciascuno per le sue competenze, si tratterà di avanzare proposte in materia di fiscalità, costi energetici ed infrastrutture di supporto; da parte dei sindacati in materia di costo del lavoro, flessibilità e contrattualistica. Dico di più: credo che, affinché la trattativa proceda con un calendario preciso, è necessario che almeno la nostra giunta regionale affidi ad un unico assessore in grado di concentrarsi su questo tema il compito di coordinare l’intera operazione di concerto con la Regione Veneto e col governo. Certo, è una pagina tutta da scrivere e non è semplice ipotizzarne i passaggi; ma se non oseremo staremo col cerino in mano. Solo imboccando questa via potremo vederne gli sviluppi a condizione che governo, regioni e sindacati trattino da pari a pari con gli svedesi. So bene che, in particolare sui temi della fiscalità a favore dell’industria, il dibattito è complesso, ma è inutile che Letta chieda alle multinazionali d’investire da noi constatando che
VISTO DA DESTRA
E pensare che eravamo la città in cui niente sembrava impossibile Le principali cause della caduta dell’Impero Romano furono che è rimasto bloccato su se stesso. Tra le molte cause della stagnazione economica che ha fagocitato l’Electrolux vi sono il calo demografico delle popolazioni italiche rispetto a l’elevatissimo costo del lavoro e dell’energia, lo svantaggio quelle germaniche, la crisi economico produttiva delle di un euro forte ma soprattutto la mancanza di campagne, la fuga dalle città divenute sempre investimenti stranieri causata da una giustizia più pericolose, la perdita della coesione sociale civile indescrivibile e dalle lentezze burocratiche per un forte squilibrio della ricchezza (lusso di una Pubblica Amministrazione impegnata solo per pochissimi e povertà per moltissimi), la a mantenere i privilegi di una classe intoccabile di mancanza di consenso al governo centrale burocrati e di politici incapaci di qualsiasi azione causata dalla degenerazione burocratica, dalla moralizzatrice. Dobbiamo quindi stringerci corruzione sistematica e dall’eccessivo peso attorno a chi lavora in Electrolux, ammirare fiscale. Difficile non ravvisare forti analogie con di FRANCO il loro coraggio e la loro tenacia ben sapendo gli attuali guai dell’Italia e, conseguentemente, GIANNELLI di non poter far nulla per loro e non servirà dell’Electrolux in un disastro annunciato che nemmeno attaccare la proprietà svedese che, ovviamente, viene da lontano, dalla crisi globale ma soprattutto dal deficit competitivo del sistema Italia che ci ha fatti star bene guarda al proprio tornaconto. Servirà continuare a ricordare chi ha sbagliato, denunciare le cause e le colpe che ci hanno fino alla fine del secolo scorso, molto meglio di quegli stati portati in questa drammatica situazione nella speranza che, oggi, rappresentano alternative produttive emergenti che le nuove generazioni vogliano risollevarsi da questa e che hanno un futuro migliore del nostro perché attirano nuova caduta dell’Impero Romano. Non so quando riavremo la delocalizzazione produttiva. Salvo rari casi, salvo i grandi un’altra Zanussi, quando risplenderà il suo indotto per marchi o le aziende che hanno saputo crearsi una nicchia vivere ancora quei fasti in cui, nella nostra città, tutto produttiva, l’Italia con tutta l’Europa del sud, NON si è sembrava possibile e faceva scrivere a Pasolini in una sua aperta verso nuovi mercati e determinando un capitalismo poesia … viers Pordenon e il mond. provinciale che non ha imparato a confrontarsi con l’estero,
quelle restanti si defilano a causa dall’assenza di serie politiche industriali. La manifestazione del 15 novembre e le agitazioni negli stabilimenti dicono che questa non è “solo” la battaglia dei lavoratori ma riguarda tutti; in particolare per “Electrolux”, essa riguarda la città. Avanzo alcune proposte: al Comune propongo di mettere a disposizione di sindacati, industriali, amministratori, rappresentanze di commercianti ed artigiani, stampa locale e nazionale “un luogo” fisico che faccia da riferimento, aggregazione e coordinamento delle iniziative a tutto campo a difesa dell’industria; alla Diocesi, ed in particolare a S.E. il Vescovo, che ha partecipato alla manifestazione, mi permetto di proporre un segno di ulteriore solidarietà facendo parlare una lavoratrice o un lavoratore nel corso della celebrazione del Natale in Duomo; ai Presidi degli Istituti superiori di ospitare un lavoratore o una lavoratrice di una qualsiasi delle tante (troppe!) fabbriche in crisi affinché illustrino ai ragazzi la situazione esistente; infine al “Teatro Verdi” propongo di promuovere un evento concertistico che comprenda anche qualche intervento dedicato a questi temi. Sarebbero segni concreti di coinvolgimento e vicinanza di tutta la comunità a chi in questo momento vede messo in forse il proprio futuro. * già Segretario Provinciale e Regionale CGIL del Friuli Venezia Giulia
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SOTTO LA LENTE
La Città
Viaggio al centro della crisi accompagnati da don Davide Corba e Andrea Barachino della Caritas diocesana
Foto Michele Missinato
Alla Caritas barconi d
Il gruppo dei volontari della Caritas diocesana di Pordenone
di PAOLA DALLE MOLLE IMMIGRAZIONE E SBARCHI
“Oggi il maggior numero dei casi riguarda situazioni di difficoltà vissute da italiani. Nell’ultimo anno richieste di aiuto raddoppiate”. “Il vero dramma per noi è dato dalle difficoltà di intercettare quelle persone che fuggono per orgoglio o per pudore dalla richiesta di aiuto. Per gli stranieri trovarsi in una condizione di precarietà economica è quasi normale, per molti italiani, invece, questa situazione è del tutto nuova”
“Dramma davanti al quale non si può restare insensibili” È difficile definire l’emergenza legata agli sbarchi. Si tratta di un dramma che ha modificato le caratteristiche dell’immigrazione. Concordano su questo aspetto Don Davide Corba e Andrea Barachino. “Da qualche tempo, la migrazione non è spinta solo da aspetti economici come accadeva in passato ma coinvolge persone in fuga da paesi dove sono in atto conflitti politici e dove si vive senza alcun rispetto dei diritti umani. Davanti a simili drammi, non si può restare insensibili. La situazione è complessa e non si tratta solo di controllare le frontiere. La Caritas si impegna in un’opera di sensibilizzazione degli enti coinvolti e dei cittadini ed è pronta a farsi carico anche dell’accoglienza degli immigrati nel caso ci sia bisogno. Pensavamo che l’allargamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), la cui capienza passerà da 3 a 16 mila posti per i prossimi tre anni come da decreto pubblicato dal Ministero dell’Interno, potesse rappresentare una risposta adeguata. Ma in questo momento occorre capire cosa succederà nel resto del mondo, se questo ponte sul Mediterraneo raccoglierà ancora sbarchi. In quel caso bisognerà affrontare questa emergenza dal punto di vista normativo. Più volte, infatti, la Caritas Italiana ha denunciato, ad esempio, la mancanza di un legge sull’asilo politico”. “C’è poca coscienza
nell’opinione pubblica - spiega Don Davide - del cambiamento avvenuto in questi ultimi anni: il mare non porta semplici barconi di migranti in cerca di lavoro ma, persone che sfuggono da paesi in guerra. I numeri sono cresciuti a dismisura ma le persone stentano a capire le origini di questo fenomeno che richiede anche nuovi strumenti di aiuto. Non si può respingere chi fugge perché la sua vita e quella dei suoi familiari è in pericolo. Oggi non siamo preparati ad accogliere sul territorio queste persone e dovremmo attrezzarci dal punto di vista normativo e organizzativo. Dovremo diventare coscienti della situazione globale del mondo: lo spostamento delle persone e l’interculturalità sono dati di fatto. Come italiani e pordenonesi, dobbiamo capire che non si tratta di un fenomeno passeggero ma di un trend inarrestabile”. “Nel dossier di due anni fa – afferma Barachino - il fenomeno era appena delineato ma emergevano due forme di miopia nella lettura dei dati. La prima che se non ci fossero stati gli immigrati la popolazione friulana sarebbe calata con un picco del tasso di anzianità che avrebbe portato con sé dei costi sociali molto alti. Senza dimenticar che gli immigrati sono stati indispensabili alla crescita produttiva delle imprese nel territorio. Dieci anni fa qui c’era una vera “fame di occupazione”.
Caritas di Pordenone, centro di via Revedole. Nell’ingresso l’attesa composta e silenziosa di persone che portano con sé un piccolo bagaglio. A vederle si potrebbe pensare a una piccola sala d’aspetto in un aeroporto, dove si attende la partenza. E forse, il ruolo di traghettatore verso la speranza in un viaggio che non ha confini, è legato oggi, alla Caritas, impegnata a trasformare il suo ruolo tradizionale e ad affrontare nuove emergenze. Tra queste, in prima linea, la povertà degli italiani, in netta crescita rispetto alle passate richieste dell’immigrazione. Ora l’impegno degli operatori è teso ad arginare l’onda anomala provocata dalla crisi industriale che si sta abbattendo su questo territorio. Gli sforzi si raddoppiano per alzare argini e organizzare aiuti destinati a questa terra che sta per affrontare una crisi economica senza pari. Ideal Standard ed Electrolux sono gli esempi più evidenti di un tracollo industriale che sta trasformando questo felice Nordest nell’epicentro dell’emergenza. Don Davide Corba, direttore della Caritas Diocesana e Andrea Barachino, responsabile delle Opere Caritas sono intervenuti per raccontare la nuova fisionomia dell’ente, i cui progetti di solidarietà e i finanziamenti oggi, si confermano i più efficaci per affrontare la crisi fra chi non ce la fa più. Italiani col fiato corto “I Centri di ascolto diocesano spiegano - rappresentano un servizio aperto nel 1995 per iniziativa della Caritas diocesana e delle Caritas
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Oltre ai problemi dell’immigrazione si conferma una nuova emergenza: la povertà degli italiani in crescita
di italiani alla deriva
La sede della Caritas in via Revedole
ed evidenziano ancora più questa resistenza verso i servizi sociali”.
parrocchiali di Pordenone. Contano sulla presenza di una ventina di volontari che, alternandosi nei cinque giorni di apertura, accolgono le persone e le famiglie nelle più diverse condizioni di disagio e povertà. Oggi il maggior numero dei casi riguarda le situazioni di difficoltà vissute da italiani. Un fatto che in passato non era così evidente non perché Caritas fosse chiusa a queste richieste, ma perché allora, erano in atto dinamiche sociali diverse. I dati di quest’anno, anche se non sono ancora stati analizzati e definiti, risentono della crisi economica che dura ormai da tempo. È espressivo il fatto che già a metà anno, abbiamo speso in contributi quanto l’anno precedente. Eppure, non siamo certo di manica larga nel dare aiuti! Si cerca, infatti, di intervenire dove ci pare che il nostro aiuto possa avere una reale efficacia. Il fatto che sia raddoppiata la richiesta, è un dato significativo”. Disoccupazione primo problema “La Caritas tende a lavorare in rete: con l’ambito, i servizi del Comune, la Prefettura e con altre realtà legate alla Chiesa. Si cercano sempre partner nell’intervenire. In questo periodo abbiamo partecipato a diversi incontri per creare un tavolo di lavoro utile ad affrontare la grave crisi economica che si sta abbattendo nel nostro territorio. Il primo problema oggi è l’occupazione, l’emorragia continua di posti di lavoro, l’esaurirsi degli ammortizzatori sociali, la contrazione del reddito per chi entra in cassa integrazione. Noi osserviamo con preoccupazione la condizione di chi non ha più uno stipendio, senza
dimenticare che i problemi si riflettono non solo sui singoli individui ma sulle famiglie e sui minori”. Povertà silenziose L’attività del Centro di ascolto della Caritas in questi anni, si è svolta in un contesto nel quale ha pesato una lunga crisi economica della quale non si riesce ancora a scorgere la fine. Il dato emergente porta alla luce lo scivolamento nelle condizioni di povertà per persone diverse da quelle attese e per soggetti che tempo fa, vivevano in condizioni di relativa sicurezza. Non solo stranieri e italiani di margine sociale, ma nuclei familiari che, con il protrarsi della disoccupazione o per la contrazione del reddito, si sono trovati per la prima volta a bussare alle porte dei centri. Ma il vero dramma per noi è dato dalle difficoltà di intercettare quelle persone che fuggono per orgoglio o per pudore dalla richiesta di aiuto. Le povertà silenziose che restano nell’ombra. Nel 2012, ad esempio, le persone incontrate sono state circa 750, con una crescita del 13 % rispetto l’anno precedente, ma nel concreto, rilevando il numero degli individui coinvolti nei bisogni, si tratta di oltre 2000 persone. Il 60% di loro bussa alla porta dei centri per la prima volta. Hanno un’età che va soprattutto dai 31 ai 45 anni. Chiedono aiuto coloro che si trovano a fare i conti con la perdita del lavoro e la mancanza di adeguate risorse economiche. Molte volte sono timorosi
Un mondo che gira al contrario “In questi anni è in atto un ribaltamento del senso della funzione di aiuto della Caritas. Ad esempio, una volta i centri di ascolto erano frequentati in prevalenza da stranieri che rappresentavano allora la frangia di maggiore fragilità sociale. Oggi la situazione si è capovolta. Per gli stranieri pensarsi in una condizione di precarietà economica è quasi normale poiché essa riflette situazioni già vissute e quindi note. Invece, per molti italiani, questa situazione è del tutto nuova e si inserisce in un clima di incertezza al quale essi non sono abituati. Senza dimenticare che la povertà segna profondamente la persona, soprattutto in questa società, dove il lavoro ha un ruolo distintivo nel tracciare un’identità sociale. Da qui, l’impegno degli operatori nell’intraprendere insieme ai richiedenti, programmi che insegnano nuovi stili di vita. Il dramma è che in questo periodo, riusciamo ad aiutare le persone su diversi fronti ma non sull’occupazione dove è maggiore la richiesta. Inoltre, si cominciano a conoscere le situazioni di piccoli imprenditori legati alla crisi, alle prese con difficoltà economiche che si riflettono sulla possibilità di fare fronte alla quotidianità”. Dove sono gli altri? “La solitudine è una brutta bestia che ormai come in un copione tristemente noto, circonda le situazioni più difficili e si evidenzia soprattutto fra gli italiani dove più volte, manca una vera rete di supporto sia familiare o parentale. Spesso la prima richiesta di chi arriva alla Caritas è legata all’ascolto, partecipe e attento, quello capace di fare sentire accolta una persona aldilà della richiesta che avanza. Esistiamo se qualcuno si ferma per ascoltare”.
CURIOSITÀ
Non trovando più lavoro i ghanesi rientrano in patria La comunità ghanese è molto numerosa in provincia e in particolare, nella città di Pordenone. Tuttavia, in questi ultimi due anni, il numero di ghanesi che si rivolge alla Caritas è in calo, anche se molte famiglie fra loro, sono colpite dalla crisi occupazionale e soffrono per il forte indebitamento con problematiche legate agli arretrati di affitto e utenze, in molti casi di sfratto. Nel 56% dei casi, tra l’altro, i ghanesi che hanno chiesto aiuti, vivono in una condizione di disoccupati visto che la crisi si abbatte su tutto il sistema produttivo locale senza differenze. Trova conferma, quindi, la percezione che questa comunità che non raggiunge più l’obiettivo legato alla ricerca di un lavoro, come avveniva circa dieci anni fa, scelga di spostarsi altrove. Infatti, stanno crescendo i casi di rientro definitivo in patria così altrettanto le richieste di rimpatrio volontario assistito che, in particolare, permette a queste persone di ricollocarsi nei loro paesi di origine, una possibilità che rientra a pieno titolo fra le politiche per l’immigrazione.
C.so Vittorio Emanuele, 12 - Pordenone Tel. 0434-27070 APERTO TUTTI I GIORNI DAL MARTEDÌ AL SABATO in orario continuato e TUTTI I LUNEDI POMERIGGIO
IL MESE DI DICEMBRE APERTO ANCHE TUTTE LE DOMENICHE ONERI o negozio FALC ov nu l ne ci ar ov Vieni a tr Natale re i tuoi regali di fa a o em er ut ai ti
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BUONE PRATICHE
La Città
La San Vincenzo de Paoli a Pordenone conta quattro Conferenze legate ad altrettante parrocchie di DANIELE RAMPOGNA
Prendo spunto dall’editoriale di Flavio Mariuzzo del numero dell’ottobre scorso per evidenziare una realtà cittadina di volontariato che per decenni ha testimoniato concretamente l’amore verso il prossimo e la carità evangelica, ed ultimamente, seppur con delle eccezioni, risente purtroppo la mancanza del ricambio giovanile. Si tratta della Società di San Vincenzo de Paoli che a Pordenone conta ben quattro Conferenze legate ad altrettante parrocchie cittadine. Nel 2013 si ricorda il bicentenario della nascita di Federico Ozanam, beatificato da Papa Giovanni Paolo II, durante le Giornate Mondiali della Gioventù a Parigi nel 1997. A vent’anni Ozanam, nato a Milano ma cresciuto a Parigi, è stato il fondatore nel 1833, assieme ad altri amici giovanissimi, delle Conferenze di Carità, nucleo originale di quella che nel 1845 divenne la Società di San Vincenzo de Paoli, che attualmente è un’associazione di ispirazione cristiana presente nei cinque continenti, in oltre 140 Paesi del mondo e gli associati (confratelli) sono quasi 800 mila riuniti in circa 45 mila Conferenze. “Il pensiero di Ozanam è ancora attuale – spiega Tatiana Pillot, presidente diocesana della Società – perché noi vincenziani siamo chiamati in prima persona a prendersi cura dei poveri e dei più sfortunati, prevenendo il disagio e l’emarginazione: l’esempio ci è dato dal progetto “Ero carcerato”, promosso fortemente da Giuseppe Laquatra, attuale vicepresidente, che promuove dei corsi di lavoro (piante aromatiche, rilegatura, ecc.) per un reinserimento dei detenuti. La sfida per l’avvenire è di intensificare maggiormente l’attività cercando nuovi volontari, camminando al passo con i tempi per seguire i rapidi cambiamenti della società attuale”. “Bisogna essere ottimisti per il futuro – dice Augusta Brusadin della Conferenza San Marco – grazie al rapporto di collaborazione con la Scuola del Vendramini: noi aiutiamo i ragazzi con borse studio e loro, durante la Quaresima, raccolgono generi alimentari per i poveri”. Paola Crovato responsabile di quella del San Giorgio ci spiega che il campo d’azione è vasto: dalle classiche borse spesa (che comunque garantiscono un primo contatto con la persona in difficoltà) alla gestione di un piccolo guardaroba in Ospedale per garantire un ricambio a chi non può permetterselo, fino a seguire alcuni casi di bambini segnalati dalla
Io come posso aiutare? La San Vincenzo “assume” volontari Chi vuole prendersi cura dei concittadini più poveri e sfortunati ha solo l’imbarazzo della scelta. Qui il lavoro non manca, ma i giovani scarseggiano: fatevi avanti, ragazzi, divertiamoci aiutando chi ha bisogno!
Qui sopra e in alto i volontari della San Vincenzo de Paoli di Pordenone
neopsichiatria infantile, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra genitori, ambulatori e servizi sociali. “Il servizio ininterrotto da 70 anni ci fa essere il gruppo più longevo del Don Bosco – racconta con orgoglio Matteo Bozzer presidente della Conferenza nata nello storico Oratorio cittadino, quella con l’età media più giovane della Diocesi – e nell’ultimo periodo ci siamo concentrati nella ricerca delle famiglie che, fino a qualche tempo fa, vivevano una condizione normale e che ora, sebbene in difficoltà, per pudore non chiedono il nostro sostegno”. La Conferenza San Paolo, nata nel 2009 grazie alla promozione di Paolo Pitton per vent’anni presidente
diocesano, è composta esclusivamente da ghanesi: Theresa Soglo, la responsabile, fa notare che, oltre al Progetto Ghana, che prevede il sostegno allo studio per numerosi bambini, l’aiuto economico ha visto coinvolte anche alcune famiglie italiane. L’esempio di questi volontari sia per tutti uno stimolo perché anche i giovani del terzo millennio, sul modello del Beato Federico Ozanam e grazie all’umiltà caritatevole di Papa Francesco, possano dimostrare che con l’impegno, la freschezza, la fantasia e l’attenzione ai poveri, si può veramente “cambiare il mondo, stringendolo in un’unica rete di carità”.
SOTTO L
Eligio Grizzo: “Rendersi utili è davvero facile e possibile” Attiva in città dal 1998 la Banca del Tempo di Pordenone gestisce lo scambio gratuito di servizi. Oggi ha 50 iscritti tutti over 60 (sdf) Il tempo è denaro, dice il proverbio. Ma il tempo può essere anche regalato e persino “scambiato”: lo sanno bene i volontari dell’Associazione Tempo Scambio di Pordenone, che dal 1998 ha portato anche nel nostro territorio l’esperienza delle Banche del Tempo nate negli anni ‘90 in Emilia Romagna e oggi diffuse in tutta Italia. La Banca del Tempo funziona come una specie di banca in cui non si deposita e non si investe denaro, ma tempo. Il principio su cui si basa è quello del baratto: gli iscritti all’associazione si mettono gratuitamente a disposizione per svolgere diversi tipi di servizi (dal cambiare una lampadina, a tagliare l’erba del giardino, a fare da baby sitter, ecc.), maturando così un certo “credito” di ore (certificato in appositi “assegni”) che potranno a loro volta far valere per ottenere servizi da altri iscritti. Anche a Pordenone, la Banca del Tempo nasce con l’intento di venire incontro soprattutto al bisogno degli anziani e dei pensionati di impiegare la grande quantità di tempo a loro disposizione e continuare a sentirsi utili alla società. “Fondatrice dell’associazione
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BELLE NOTIZIE
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I servizi per l’infanzia sono fondamentali per le donne che lavorano e non sanno a chi lasciare i figli
Mamme di Pordenone, nasce
la task force di mutuo soccorso Gli asili nido presentano spesso rette troppo onerose e orari vincolanti. Prendono piede anche a Pordenone servizi di accudimento alternativi come il nido domiciliare (ce ne sono già quattro) e gli scambi di servizi autogestiti frutto del tam tam sui social network
di SABRINA DELLE FAVE
La richiesta di servizi per la prima infanzia in provincia di Pordenone negli ultimi anni è aumentata. Secondo i dati raccolti dal Centro Regionale di Documentazione e Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza (le cui funzioni per il pordenonese sono svolte attraverso l’Osservatorio Politiche sociali della Provincia), i bimbi da 0 a 3 anni iscritti ad uno dei servizi di accudimento presenti nel nostro territorio sono passati dai 1459 del 2009 ai 1833 del 2012. Un balzo in avanti le cui cause possono essere molteplici, ma c’è un dato che risulta particolarmente interessante analizzare: quello che riguarda l’andamento dell’occupazione femminile. Pur in un quadro generale di contrazione dell’occupazione, infatti, gli avviamenti al lavoro nella nostra Provincia risultano comunque maggiori per la popolazione femminile rispetto a quella maschile, con l’importante precisazione che la maggior parte delle donne vengono inserite attraverso formule contrattuali a tempo parziale (dal 2008 al 2012 si sono dimezzati per le donne i contratti di lavoro a tempo indeterminato, mentre sono addirittura quintuplicati i tempi determinati e i contratti di lavoro intermittente o a chiamata). Sono dunque ancora molte a Pordenone le donne che lavorano, spesso precarie, certo, ma comunque occupate, e per lo più nella fascia d’età che va dai 25 ai 40 anni, quella in cui si fanno figli. E di figli, per fortuna, ancora se ne fanno, con la naturale conseguenza che servizi come i nidi d’infanzia sono ancora fondamentali per le mamme che lavorano e non possano (o non vogliano) lasciare il bimbo a nonni o parenti. Parallelamente, proprio negli ultimi anni, anche nel territorio pordenonese le tipologie di servizi alla prima infanzia si
stanno sempre più differenziando (come previsto dalla legge regionale 20/2005, intitolata, non a caso, “Sistema educativo integrato dei servizi per la prima infanzia”): i nidi d’infanzia non rappresentano più l’unica soluzione possibile, ma nascono altre forme di accudimento più vicine alle esigenze delle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Tra queste, ci sono i nidi aziendali (ne sono esempi quello nato da alcuni anni presso il Consorzio Zona Industriale Ponte Rosso di San Vito o quello dell’Azienda Ospedaliera di Pordenone), gli spazi gioco (che accolgono i bimbi solo per alcune ore durante la giornata), ma anche servizi che rappresentano delle modalità completamente nuove come i nidi domiciliari. Ispirati alle esperienze delle “Tagesmutter” diffuse nel Trentino Alto Adige e previsti anche dalla legge regionale del FVG, i nidi domiciliari prevedono che una donna o mamma crei nella propria abitazione un servizio per bimbi da 0 a 3 anni, per un massimo di 5 bambini compresenti. Quattro i nidi domiciliari censiti nel pordenonese nel 2012, a cui si aggiungono ora due nuove esperienze presentate di recente dalla cooperativa FAI di Pordenone. FAI è promotrice della Rete per l’innovazione nel sociale, che associa, in un progetto comune, tre imprese cooperative, Codess FVG, Duemilauno Agenzia Sociale e FAI, e che ha elaborato il modello di servizio educativo domiciliare denominato Nido Diffuso. “Il nido domiciliare” spiega Jessica Furlan, responsabile Progetto Nido Diffuso per FAI “viene gestito da un’educatrice che per legge deve essere qualificata (o perché già in possesso di titolo di educatrice d’infanzia o perché ha frequentato un apposito corso di formazione) e risponde a due tipi di esigenze: quella delle famiglie che hanno necessità di orari molto flessibili (i tempi di permanenza nel nido domiciliare, essendoci pochi bambini, possono essere concordati con l’educatrice); quelle dei genitori che esprimano particolari necessità per i loro bimbi (alimentari o religiose per esempio) o che semplicemente desiderino che il bimbo venga seguito in contesti più piccoli, familiari appunto”. Accanto alle rette dei nidi d’infanzia spesso molto onerose per le famiglie sempre più in difficoltà a causa della crisi economica, tra gli intoppi maggiori incontrati dalle mamme lavoratrici ci sono proprio gli orari fissi dei nidi, che spesso non coincidono
con quelli del lavoro e quindi costringono i genitori ad affidarsi a nonni o baby sitter semplicemente per andare a riprendere i figli. Di questi argomenti si discute anche in rete. È infatti nato da alcuni mesi su facebook il seguitissimo gruppo “Mamme di Pordenone”: un esempio di scambio di informazioni e commenti che ora dalla rete Internet intende spostarsi nel “mondo reale”. “Dopo tre anni di esperienza on-line abbiamo deciso di incontrarci”, spiega infatti la portavoce Milena Cozzarin. “L’idea è quella di conoscerci e auto-organizzare, magari divisi per quartiere, piccoli gruppi di genitori che si turnino, per esempio, per accompagnare o riprendere a scuola anche i figli degli altri o che comunque si supportino nelle necessità della vita di tutti i giorni”. Insomma, anche in questo ambito a Pordenone i cittadini si stanno organizzando per sopperire a esigenze che i servizi non sempre possono assicurare. Nascono nuove reti sociali. Ed è una buona notizia.
La Rete per l’innovazione nel sociale e la cooperativa FAI aprono due Nidi domiciliari a Pordenone: Il Piccolo Principe di Silvia Genovese (qui sopra) e il nido domiciliare di Karl&Ellie di Alessia Anese (in alto)
LA LENTE Provincia di Pordenone Assessorato alla Cultura
a Pordenone fu Imelda Clemente, oggi novantenne e ancora attivissima - racconta l’attuale presidente Eligio Grizzo - Ad oggi abbiamo 50 iscritti e tutti over 60. A dimostrazione della grande generosità dei nostri anziani, in quindici anni di attività abbiamo riscontrato che gli iscritti che offrono tempo sono molti di più di quelli che lo richiedono. Le idee e la voglia di fare si sono moltiplicate in questi anni e dalla nostra associazione sono nati progetti specifici a servizio degli anziani della nostra città. Tra questi, “Colora il tuo tempo”, che grazie ad una convenzione con il Comune di Pordenone vede i nostri volontari attivi nella spedizione delle Carte d’argento ai nuovi 65enni, nel rilascio delle tessere agevolate di Cinemazero, nella raccolta di iscrizioni ai corsi gratuiti di ginnastica. Dall’inizio del 2009, abbiamo inoltre avviato il progetto Nonni Ri-denti: presso la struttura di accoglienza per anziani Casa Serena è operativo un ambulatorio dentistico che fornisce agli ospiti
cure gratuite grazie alla disponibilità di personale medico specializzato che offre volontariamente la propria prestazione. Un nostro obiettivo è ora quello di coinvolgere i giovani nel volontariato: una straordinaria esperienza umana di cui i nostri ragazzi, spesso fagocitati dalle nuove relazioni “virtuali” della rete Internet, hanno a nostro parere grande bisogno”. E infatti, attraverso un progetto sostenuto dalla Regione FVG per favorire l’avvicinamento dei giovani al volontariato, che ha visto la collaborazione tra la Banca del Tempo e le associazioni Ictus onlus, San Gregorio e Scarabeo onlus, già lo scorso anno sono stati organizzati incontri di sensibilizzazione nelle scuole e circa 40 studenti provenienti dal Liceo Leopardi-Majorana, dall’Istituto d’Arte Galvani e dall’Istituto professionale Flora sono stati impegnati nei mesi estivi in attività di volontariato, affiancando i volontari della Banca del Tempo e delle altre associazioni. Un’esperienza che si ripeterà nel 2014.
AUDITORIUM CONCORDIA Palcoscenico della Provincia Pordenone, via Interna 2 Per informazioni: Ufficio Cultura della Provincia di Pordenone tel. 0434 231 366 www.provincia.pordenone.it www.facebook.com/teatro.concordia
Con il sostegno:
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La Città
L’INTERVISTA
Dicembre 2013
Ramiro Besa e Andrea Appi, in arte “I Papu” fanno ridere da 25 anni. Li abbiamo incontrati ai Pnbox Studios di DAVIDE CORAL
Da 25 anni esasperano vizi e virtù della nostra terra, deformano attraverso un caleidoscopio anziane improbabili e farmacisti pignoli: Andrea e Ramiro, per tutti “I due Papu”, sono un patrimonio artistico della nostra città. La loro comicità fugge la volgarità gratuita, strizza l’occhio ai grandi maestri come i Monty Python, si sorregge sulla parodia di un Nordest che è serio solo all’apparenza, ma ha dentro di sé una comicità che aspetta solo di essere scoperta. Li abbiamo incontrati ai Pnbox Studios, intenti a scrivere nuovi progetti. L’occasione è stata il pretesto per ripercorrere questo quarto di secolo, dagli esordi fino ad arrivare alla consacrazione televisiva con Colorado Cafè, passando per aneddoti curiosi e riflessioni sul rapporto fra tragedia e comicità.
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Ridere è una
Qual è stato il vostro primo spettacolo? Andrea: il primo spettacolo ufficiale me lo ricordo bene... A Pieve di Cadore. Ramiro: però ci sono stati dei precedenti... Ma non erano veri e propri spettacoli. Abbiamo iniziato con imitazioni e improvvisazioni. Mi ricordo un matrimonio al motel Spia e un bar a Fratta... Ma la vera coscienza di poter far ridere l’abbiamo
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La coscienza di poter far ridere l’abbiamo raggiunta mentre facevamo i muratori in un campo di Gesuiti: nelle pause abbiamo imbastito il primo spettacolo di fronte a degli sconosciuti
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raggiunta a Pian di Scò! Era un campo di gesuiti che volevano costruire una residenza estiva per dei disabili. Noi per un paio di estati siamo finiti lì, era l’ottantasei. Facevamo i muratori durante il giorno ma nelle pause, per la prima volta, abbiamo imbastito uno spettacolo di fronte a degli sconosciuti. A: il secondo anno siamo partiti in treno, vestiti da vecchiette, un tubo e un manubrio e fingevamo di essere arrivati in bicicletta! Quando avete avuto la coscienza che far ridere poteva diventare il vostro lavoro? R: nel 1990 siamo andati all’Associazione Piccoli Palcoscenici Italiani... A: …la APPI, la mia omonima! Una bella iniziativa nata a Milano, una specie di borsa dello spettacolo. Dal sabato alla domenica invitavano gestori di piccoli locali e davano la possibilità agli attori o alle compagnie di esibirsi per loro in cerca di un ingaggio. Noi ci esibivamo in un palco vicino Antonio Rezza.
La prima immagine ufficiale dei Papu in un folder degli esordi. Nel riquadro le mitiche Lidia e Fernanda
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forse per il fatto che per un attore R: non c’era Cos’è la comicità? maschio è il modo più facile di far ancora il web, ridere proporre una donna anziana che questa è stata Andrea: “per me è un tutte le parole! Io avevo una zia, un’esperienza istinto”. Ramiro: “per me storpia la zia Maria, che aveva vissuto molti importante anni in Venezuela, arrivava in negozio per vedere un sacco uno stile di vita dai miei e chiedeva una scatoletta di di gente. Partendo da “Sentimenthal”... Pordenone, abbiamo R: poi noi siamo andati un po’ oltre, le abbiamo fatte avuto modo di conoscere e di vedere un sacco di gente, capire cosa facevano gli altri attori, soprattutto vivere in modo diverso, siamo andati oltre i giochini di parole. i comici. Da lì sono partiti Silvio Orlando, la A: sono un esempio di commedia dell’arte, sono Finocchiaro, Aldo, Giovanni e Giacomo. Noi siamo personaggi che ci siamo calati addosso ma vivono piaciuti e ci hanno chiamato nel 91 a far parte di un di vita propria. Noi potremmo andare al mercato, gruppo di 5 comici, assieme ad Aldo e Giovanni, travestirci da Lidia e Fernanda e dopo poco ci che erano ancora staccati da Giacomo: c’era una confonderemmo con la folla. festa a Porta Romana, ci alternavamo su 5 palchi. La cosa divertente era che esattamente davanti al palco È stato un limite per la vostra carriera l’essere di passava il tram, quindi quando passava ci dovevamo Pordenone e parlare il nostro dialetto? fermare e interrompere lo spettacolo! A: io non credo. È vero che siamo abituati al napoletano, al romanesco… ma credo che se uno ha Come sono nate Lidia e Fernanda, le due anziane forza emerge comunque, se non ce la fa è per altri che mettete in scena? motivi. È come chi gioca a calcio: spesso si sente dire A: già nei primi spettacoli le abbiamo proposte,
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La Città
L'INTERVISTA
Dicembre 2013
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Dagli esordi ai giorni nostri, una storia esilarante e una colorata galleria di personaggi made in Pordenone
cosa seria! “Eh... se non mi fossi rotto i legamenti sarei in serie A!”, ad un certo punto smetti di dirlo e di crederci. Noi siamo qua, esistiamo con questa lingua qua. R: quando noi facevamo i ciclisti o Lidia e Fernanda, il pubblico rideva a prescindere dalla lingua che usavamo. Non abbiamo mai ostentato il dialetto, lo abbiamo portato fuori con parsimonia. Le “agne”, fuori da Pordenone, le italianizzavamo.
Avete avuto un periodo di celebrità a carattere nazionale con “Colorado”. Al contrario, qual è stato lo spettacolo più improbabile
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frutto della coincidenza di milioni di coiti casuali, da Adamo ed Eva in poi. Il pezzo termina dicendo che se uno di quei coiti fosse andato in maniera differente “... al posto mio ci sarebbe Corrado Augias!” R: io non ne ho una in particolare... Mi fanno ridere molto le battute di mio figlio Niccolò!
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della vostra carriera? R: in una occasione ci hanno fermati durante uno spettacolo per dirci “C’è stato un equivoco, noi avevamo chiesto due comici...”. A: a Brescia una volta siamo arrivati e il locale era appena stato sequestrato dalla Polizia... E ci è pure capitato a Forte dei Marmi di fare uno spettacolo in una discoteca: ci siamo esibiti ma forse solo alcuni si erano accorti che ci fossimo! Cos’è per voi la comicità? A: per me è un istinto, un tentativo di dar delle risposte che altrimenti sarebbero impossibili. R: per me è uno stile di vita. E io spesso faccio coincidere la comicità con la sorpresa, spesso una cosa che mi sorprende mi crea benessere. “Il comico è il tragico visto di spalle” diceva Genette e voi nel vostro ultimo spettacolo, Fratelli unici, toccate il tema della morte. Qual è il vostro rapporto con la tragedia? A: forse non c’è tutta questa distanza fra tragedia e comicità. Tecnicamente, a teatro, se tu affronti un argomento lo devi sbilanciare e deformare, sia che sia comico sia che sia tragico. R: Lidia e Fernanda erano già state in un cimitero, parlando della morte. Ma in quel caso passavamo attraverso il loro mondo. In Fratelli unici siamo più aderenti alla realtà, siamo Ramiro e Andrea. A: quindi per rispondere alla tua domanda... Penso che comicità e tragedia non siano poi così distanti, si può rendere comico qualunque testo! Qual è la battuta o il monologo che avreste voluto scrivere voi? A: a me viene in mente l’inizio dello spettacolo di Paolo Rossi su Rabelais, dove sostiene di essere lì per caso,
qualcosa quando ha qualcosa da dire! A: Posso dire anche Elio e le Storie Tese? Loro da 28 anni incarnano un esempio di comicità non dichiarato e sembra musica… ma è per costanza e livello simile ai Monty Python. R: il brutto è che molti comici finiscono per prendersi troppo sul serio e lì è la fine. Si tende a ricondurre tutto alla battuta da Zelig, adrenalinica che si esaurisce in pochi secondi.
Il problema, si dice, sono i soldi. A: ma basta vedere un paio di puntate di Report e, magicamente, i soldi sprecati in mille attività disorganizzate, se non addirittura fraudolente, sarebbero più che sufficienti ad eliminare il problema dei soldi! Come vivete voi questi venti di crisi? Come e quando ne usciremo? R: A questa domanda non so rispondere! A: Il vento di crisi lo sentiamo eccome. Cerchiamo di parare il colpo ampliando il ventaglio di attività, inventandoci nuovi stimoli, cercando di far conciliare ispirazioni e richieste senza perdere l’entusiasmo. Ne usciremo, credo, abbassando le pretese e aumentando l’umiltà; adattandoci a scenari in divenire senza troppo aspettare aiuti dall’alto ma aiutandoci a vicenda. Siamo tutti sulla stessa barca e, come si dice, mal comune...
Quali sono secondo voi i comici più bravi in Italia? A: a me piacciono molto Guzzanti e Paolo Rossi. R: anche a me piace Guzzanti, non è costruito, può permettersi di fare
Il Deposito Giordani? Uno spazio così figo è linfa vitale per chiunque abbia bisogno di una sala prove o di un luogo di incontro; si dovrebbe dare ‘aggratis’ a chiunque ne faccia motivata richiesta
discorso si ingigantisce e conduce al parlar di scuola, welfare e cultura. Tutti aspetti che, in questi tempi di spendig review, sono tralasciati e che secondo me sono prioritari.
Passate più tempo voi due assieme o passate più tempo con le vostre mogli? A: quale moglie? Io ne ho due! R: per quanto mi riguarda non ho dubbi: vedo molto più Andrea di mia moglie! Pordenone è una città comica? A: trovo che la nostra città sia piena di iniziative, varie e molto belle. Trovo che la comicità ci sia e sia ben presente, la trovo una città prolifica! R: ...ma c’è ancora molto lavoro da fare! [ride]
In questi 25 anni come avete visto cambiare la città? A: Pordenone è lo specchio di questo periodo, centri commerciali, sprechi amministrativi e furbetti dei vari quartierini inclusi. Ci sono però anche esempi virtuosi, come per esempio manifestazioni culturali di ampio respiro e di riconosciuto livello, volontariato forte e ben radicato e giovani eccellenze in molti campi, Hai citato Elio, anche in quello artistico (ho detto giovani, noi un cantante. Voi non c’entriamo, eh!). Le opportunità ci sono e vi siete cimentati non sono tutte a pagamento; abbiamo ancora la con tv, cinema, fortuna di vivere in un Paese che ci lascia libertà, teatro, avete anche sta a noi decidere quanto tempo trascorrere scritto un libro... davanti alle slot machine, in biblioteca, davanti ad Cos’altro vorreste un bicchiere di rosso o digitando furiosamente su provare? you porn. R: io vorrei fare R: io non vorrei vivere in un’altra città. Ma le l’orto, l’orto hai viste le altre? Parlo della vivacità culturale, sinergico! Metti le dell’intelligenza di chi dà opportunità di crescita ai suoi cittadini, piante giuste spesso a loro insaputa. Sta a noi decidere e loro si Godiamoci quello arrangiano! quanto tempo che abbiamo. Molti A: in grava alloggiati in città trascorrere davanti allora è pieno vicine vorrebbero di orti sinergici! Per alle slot machine, in essere al nostro posto! risponderti: stiamo già facendo cose particolari, biblioteca, davanti ad Quali sono secondo stiamo cercando di voi le cose di un bicchiere di rosso o mettere in piedi un da digitando furiosamente Pordenone progetto per usare la cambiare e quelle da teatralità e la narrazione su you porn coltivare? e metterla a disposizione R: Trovo che di enti e associazioni, la sinergia sia per essere poi usata, ad esempio, nei fondamentale. Ecco, coltiverei intensivamente il musei! coordinamento tra le istituzioni. A: C’è grossa crisi, diceva il buon Guzzanti. Avete mai pensato ad una carriera Al di là dei pipponi e più concretamente direi solista? di non incazzarci troppo per un ospedale: si R: ogni tanto facciamo cose diverse... faccia in modo che funzioni e che chi ci lavora Sono sicuro però che se non ci fossimo sia preparato e gratificato (nel pubblico la conosciuti, se avessi ad esempio fatto gratificazione non esiste e non sempre perchè non ragioneria come il test delle medie la merita!) E il Deposito Giordani? Uno spazio aveva suggerito e non avessi incontrato così figo e conosciuto a livello interregionale? Andrea, probabilmente non sarei Uno spazio così è linfa vitale per chiunque abbia diventato attore! bisogno di una sala prove o luogo di incontro; A: le cose fra di noi funzionano perché si dovrebbe dare aggratis a chiunque ne faccia abbiamo ancora obiettivi comuni, ma motivata richiesta. Lasciamo che il pubblico facciamo anche cose separate, e trovo sia pubblico in tutti i sensi, con regole ferree che sia salutare! ma pubblico, a disposizione di tutti. Ma qui il
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IL PROFILO
“I PAPU”, al secolo Andrea Appi e Ramiro Besa, debuttano nel mondo dello spettacolo nel 1989. Nel 1993 debuttano allo Zelig dove ritorneranno per molti anni. Finalisti a numerosi concorsi nazionali di cabaret, partecipano alle trasmissioni “Convenscion” “Quelli che il calcio”, “Le iene”. Da ottobre 2003 a maggio 2005 partecipano alla trasmissione ”Colorado cafè Live” con Diego Abatantuono in onda su Italia Uno, trasmissione della quale Appi è anche conduttore assieme a Rossella Brescia e presenta il caso umano Besa. Innumerevoli sono i programmi proposti sulle emittenti locali, così come gli spettacoli teatrali
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La Città
CONTROCORRENTE
Dicembre 2013
Straordinaria affermazione del sindaco di Firenze alle primarie del Partito Democratico. Ma Pordenone che fa? continua dalla prima
era considerato quello più funzionale alla conservazione dello status quo. E in un'Italia profondamente in crisi, descritta dal Censis come “un Paese sciapo e malcontento”, il popolo delle primarie è andato giù di piccone. Ha deciso di voltare pagina e basta. Così, se alla forza di Renzi si somma quella di Pippo Civati (il terzo incomodo), che puntava decisamente sulla discontinuità, la voglia di cambiamento assume valori plebiscitari. Il neo segretario ha colto a Pordenone (71,6%) il successo più brillante del Friuli Venezia (66,1%). È un risultato che potrebbe dare finalmente una scossa a un partito senza voce sui temi pordenonesi, che si infiamma soltanto in occasione delle primarie. Il Pd è infatti un'organizzazione sbiadita, con frammenti di progetto spesso contraddittori. Ha poca propensione al dialogo e all'ascolto. Eppure i suoi amministratori governano nei Comuni più importanti, capoluogo compreso, ma non comunicano tra di loro. Il Pd ha un'autorevole rappresentanza in Regione e da qualche mese anche due parlamentari. In realtà, è rappresentato da una sommatoria di dirigenti. Si fa fatica a percepirlo come partito-guida. Per chiarire
Troppe parrocchie e parrocchiette Questo Pd non morde i problemi La contraddizione di un partito che vuole essere guida ma poi si muove attraverso gruppi contrapposti. E non riesce mai a esprimere una posizione unitaria, neanche sui temi più scottanti
questi aspetti, voglio raccontare un episodio accaduto nella nostra città alla vigilia delle primarie. D'altra parte, anche una cosuccia può essere il sintomo di un disagio. Piccoli tormenti, in un partito sparpagliato, senza un solido filo conduttore. Ebbene, ho accettato volentieri di presentare il libro di Stefano Allievi, docente universitario di sociologia a Padova, perché il professore è anche opinionista del Messaggero Veneto. Il titolo era accattivante: “Chi ha ucciso il Pd”.
Una fucilata, senza neanche il punto interrogativo, che poteva suscitare interesse. D'altra parte è il racconto di un omicidio senza giallo. I colpevoli sono tanti. Costituiscono un blocco di potere compatto come il cemento. Ogni lettore può compilare il proprio elenco con nomi e cognomi. C'è l'imbarazzo della scelta. L'autore mette sotto accusa la nomenclatura, assolutamente autoreferenziale, che ha frenato l'energia riformatrice dei “nativi democratici”, i quali sono
i cittadini più lontani dalle vecchie strutture ideologiche e i più vicini a un partito completamente nuovo. L'iniziativa di un circolo renziano ha suscitato così il risentimento degli altri. E i dirigenti del Pd pordenonese hanno preferito starsene alla larga, perdendo un'occasione per cogliere il pensiero sulla politica di una parte della cosiddetta “società civile”. Tra l'altro, il libro non contiene soltanto critiche, ma completa l'analisi con interessanti proposte su come rimettere un partito moderno in dialogo con il Paese. Il sottotitolo è altrettanto esplicito: “Cosa si può fare per salvare quel che ne resta”. Eppure, la conversazione è corsa via tra pochi intimi, per giunta infreddoliti. In definitiva, che cos'è successo? Semplice. Il povero professor Allievi è rimasto impastoiato nel gioco spregiudicato dei veti incrociati, vittima predestinata di una forma di boicottaggio da parte di un partito che si muove attraverso gruppi contrapposti. E che pertanto non riesce mai a esprimere una manifestazione unitaria, neanche sui temi più scottanti. È un guaio per un territorio fragile come quello pordenonese. Questa è una situazione inconciliabile per una formazione-guida. Giuseppe Ragogna
SOTTO LA LENTE
Être, c’è tutto un mondo intorno all’abito Borgo Colonna si conferma officina creativa del commercio pordenonese. Su iniziativa di Cristiana Santarossa nasce il primo concept store
la vecia osteria del moro 30° La Grotta s.a.s. di Sartor I. & C. p.i. - c.f. 00575100938 Via Castello 2,0434|28658 [pn] laveciaosteriadelmoro.it info@laveciaosteriadelmoro.it chiuso la domenica
Questa è la storia di un progetto nato dal sogno nel cassetto di una giovane donna per la quale la moda è passione e non solo lavoro. A realizzarlo, Cristiana Santarossa che dopo avere lavorato con alcune delle più importanti aziende di moda italiane, ha deciso di aprire in un quartiere outdoor della città, uno spazio dove è possibile acquistare abiti ma anche dove si promuovono iniziative importanti. Non ultima Pink Week, la campagna per la prevenzione contro il tumore al seno che si è tenuta a novembre, coinvolgendo gli esercizi commerciali di Borgo Colonna in un ampio progetto solidale che ha permesso di raccogliere fondi destinati al Cro di Aviano per sostenere la ricerca. “Ho voluto creare uno spazio declinato al femminile - ha spiegato Cristiana - dove ho portato il mio background professionale. Qui le donne, le amiche possono incontrarsi e condividere progetti e iniziative. Ho pensato di ricreare un luogo dove lasciare spazio a pensieri e opinioni dove anche gli abiti sono legati ad un modo di essere. Uno spazio dove tutti si sentono a casa”. Nel suo biglietto da visita, il concept store di Borgo Colonna si definisce un po’ boudoir, un po’ galleria, un contenitore di idee, ma soprattutto Être - si legge - è un modo di essere. Uno spazio così metropolitano in un quartiere defilato dal cuore della città? “Per questa attività e per portare avanti al suo interno l’organizzazione di eventi - ha sottolineato Cristiana - c’era bisogno di avere una metratura importante. In centro sarebbe stato molto difficile”. Oggi, per trovare Être si entra in un piccolo e
amato quartiere pordenonese dove hanno sede diverse altre eccellenze tutte dall’aria “metropolitana”. “Vorrei raccontare una storia nella quale hanno importanza gli abiti ma altrettanto le nostre iniziative. In questa direzione sono supportata dai negozi vicini che portano avanti progetti innovativi”. Ed è questa la nota di cuore, l’anima e l’essenza di un luogo che rimane impressa nella memoria di chi lo visita anche per pochi minuti. Lo spazio diviso in due piani, ha ospitato in passato mostre come ad esempio quella dedicata alle illustrazioni “Elefanti inglesi da Orto” di Erika Pittis e il progetto “Parco di Sant’Osvaldo Udine” di agricoltura sinergica, presentazioni di libri e di progetti solidali come SeeMee di Caterina Occhio, l’imprenditrice che ha fondato un marchio con il fine di aiutare le donne turche vittime di violenza domestica e iniziative pordenonesi come “La Biblioteca di Sara”. Être ha creato l’occasione per affrontare diversi temi di attualità, ha ospitato la scrittrice turca Aysegul Turker Zanette che ha parlato del suo paese travolto dalle proteste di Gezi Park così come la blogger Marinella Copat che con la sua guida dedicata a Parigi ha illustrato tutti i nuovi progetti architettonici legati alla capitale francese. Infine, Pordenonelegge, il cui ricordo è ancora vicino. Una tappa importante che in settembre ha dato modo di incontrarsi intorno al grande tavolo di Être per parlare di donne con la scrittrice Margherita Remotti. Paola Dalle Molle
La Città
AMARA PIACE
Dicembre 2013
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Da Roma al Friuli Venezia Giulia: storia dello “sbarco” del primo tramezzino a Pordenone in Galleria Asquini
AMARA PIACE
CURIOSITÀ
Sulle tracce dei tesori enogastronomici della provincia di Pordenone
di MARA DEL PUPPO
Quando Pordenone si svegliò col tramezzino
Era il lontano 1965 quando Carisio Del Sordo lasciò la capitale e si spostò verso il Nord Est in cerca di fortuna. Faceva il rappresentante di attrezzature alberghiere, ma il suo sogno era aprire un’insegna tutta sua. Vide un paio di posti interessanti proprio a Pordenone, ma purtroppo non disponibili, finché non gli fu offerto un angolo all’interno della Galleria Asquini, dove, nel 1968, aprì il Bar Doney. Lo chiamò “Doney”, come un famoso – e ancora attivo – locale di Roma, pensando che gli avrebbe portato fortuna. Certamente l’insegna fu beneagurante perché il Doney si trova ancora lì e gode di ottima salute. Nato come torrefazione e degustazione di caffè, il bar dava un bel daffare. Una squadra di 6 persone: Carisio, la moglie, il figlio Luca e tre dipendenti, con un consumo giornaliero di caffè pari a 5 o 6 kg . Ma il nome non fu certo l’unica eredità che Carisio portò dalla sua terra d’origine. Anche per differenziare il suo locale dagli altri, fece la sua comparsa per la prima volta sulla piazza pordenonese quella che per molti sembrava
una strana preparazione: il tramezzino. Chi aveva mai assaggiato alla fine degli anni ’60 quello strano panino con il pane così pallido e morbido? Carisio scelse fin dal principio uno dei suoi più fidati fornitori: un panificio in grado di fornire ogni giorno il pane fresco, della giusta consistenza e morbidezza per preparare ogni mattina i suoi tramezzini, che si diffusero come la più accattivante delle mode in tutta la città. Sono passati 45 anni, ma l’insegna del Doney è ancora accesa. Luca, il figlio di Carisio, ha preso la gestione del locale ampliando ulteriormente l’assortimento di panini e snack, preparati ogni mattina, rigorosamente con il pane fresco dello stesso panificio che nel 1968 cominciò a rifornire Carisio. Il banco dei panini è ancora oggi la principale attrazione del locale. Carisio è ancora lì, dietro al bancone, dà sempre un occhio che tutto fili liscio e a chi come me si chiede quale sarà il futuro dei bar in un momento non certo semplice per le tasche di tutti, risponde “il bar è ancora l’unico posto in cui una persona può entrare ed investire anche solo 1 euro, reggeremo anche alla crisi!”.
Nel frattempo a Roma è arrivato il “trapizzino”! L’ultimo nato degli street food sposa la sfiziosità della pizza con la praticità del tramezzino
La creatività italica si sa non ha eguali. Mentre il tramezzino è diventato patrimonio comune di tutto lo stivale, nella capitale è sbarcato il trapizzino. Che cos’è il trapizzino? Uno street food che sposa gusto e prelibatezza della pizza con la praticità di consumo di un tramezzino. L’involucro esterno è un impasto realizzato con lievito madre, lievito di birra, farina e olio d’oliva, che viene lasciato riposare a lungo prima di essere lavorato. Gli step successivi sono finalizzati a dare al trapizzino la sua originale forma triangolare. Dopo alcuni passaggi di lievitazione, si prosegue appoggiando con delicatezza sulla teglia dove è disteso l’impasto, una griglia d’acciaio realizzata appositamente, con la funzione di delineare un reticolato di quadrati. Sulle linee che vengono in tal modo tracciate sull’impasto, si procede versando dell’olio, che, friggendo in fase di cottura, opererà una vera e propria
VISTO DALLA CAMERA
Contrasto agli illeciti economici e finanziari Ora c’è Ri-Visual, il database di Infocamere Si chiama Ri – Visual ed è il poderoso database di Infocamere che consente celermente di acquisire una serie di informazioni sulle imprese al fine di svolgere le complesse competenze istruttorie facenti capo agli organi di governo ed investigativi. A detto servizio, gratuitamente, potranno accedere anche la Prefettura di Pordenone e le forze di polizia (Guardia di Finanza, Questura e Arma dei Carabinieri) grazie al protocollo d’intesa sottoscritto tra Camera di Commercio e Prefettura per il tramite della quale viene messa a disposizione, gratuitamente, la massa di informazioni contenute in Ri –Visual. «Abbiamo voluto in questo modo implementare – ha detto Giovanni Pavan, presidente di CCIAA - forme di fattiva collaborazione già in essere tra l’Ente, organismo rappresentativo degli interessi generali delle imprese della provincia, e gli organi preposti alla tutela del mercato e al contrasto degli illeciti economico-finanziari. Ri - Visual consente di rappresentare i dati attraverso un'illustrazione grafico-visuale tale da fornire un'immediata percezione delle relazioni esistenti tra persone e imprese. È possibile
accedere alle informazioni in formato grafico dei soggetti cercati partendo dalle ricerche sulle imprese oppure sulle persone. Per le imprese si possono visualizzare le informazioni sulle persone (amministratori, sindaci, titolari di altre cariche), sui soci e titolari di quote oppure sulle partecipazioni o le unità locali. Per le persone si possono visualizzare le informazioni relative alle partecipazioni o alle cariche ricoperte, a cui vanno ad aggiungersi alcuni dati storici. Oltre alle rappresentazioni grafiche si possono comunque richiedere altri documenti, come la visura o la scheda partecipazioni, in formato testuale, per acquisire tutte le informazioni di dettaglio. Creando un quadro informativo completo dell'attività di ricerca, Ri - Visual può risultare di particolare interesse in tutti quegli ambiti in cui sia necessario semplificare la lettura dei dati del Registro delle Imprese: ad esempio quando si vogliano indagare interazioni complesse fra imprese diverse, o fra imprese e persone titolari di cariche o partecipazioni, oppure nel perseguire obiettivi di studio e approfondimento di particolari settori o fenomeni.
saldatura garantendo la massima tenuta dei bordi. I contorni vengono infine ripassati con una spatola ed i quadrati risulteranno completamente separati. Quando la teglia esce dal forno, i quadrati di pizza così ottenuti vengono separati uno ad uno con un coltello, prelevati singolarmente e infine tagliati con le forbici per due volte: la prima per dividere il quadrato in due triangoli e la seconda per creare la fessura nella quale verrà poi deposto il condimento. Il risultato è un triangolo croccante fuori e morbido dentro che viene riempito con una deliziosa farcitura, in alcuni casi tipicamente romana, come la coda alla vaccinara, in altri più comunamente italiche, come la parmigiana. L’inventore del trapizzino è Stefano Callegari, la sua mission è di portarlo in tutto il mondo. Vedremo stavolta chi lo porterà a Pordenone.
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La Città
APPUNTAMENTI
Dicembre 2013
Una carrellata sulle principali iniziative del Natale in Città curato come ogni anno dal Comune di Pordenone
Capodanno con la Filarmonica Per tutto il mese di dicembre le casette in piazza XX Settembre e numerose mostre d’arte in diversi punti della città
Una veduta di corso Garibaldi addobbato per le festività e le sculture in mostra sotto la loggia del Municipio (foto Angelo Simonella)
Anche quest’anno non poteva mancare il Natale in Città a cura dell’amministrazione comunale, realizzato in collaborazione con Associazione Sviluppo e Territorio, con il sostegno di Regione Fvg, Ascom-Confcommercio e Camera di Commercio di Pordenone. Un natale sobrio, ma sentito, con il mercatino solidale, le animazioni per i piccoli, concerti in piazza e nelle chiese, letture per riflettere e ritrovare il senso della solidarietà e tanta arte. Il mercatino in piazza XX Settembre, gestito da “C’entro anch’io” (Sviluppo e Territorio) con il sostegno della Provincia, rimarrà aperto fino al 26 dicembre tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e nel pomeriggio dalle 16 alle 19.30; le casette gastronomiche, invece, rimarranno aperte fino alle ore 20.30 nei giorni feriali e fino alle 22 nei week end. Nelle 21 casette di legno si possono trovare oggetti artistici e da regalo, ma anche prodotti alimentari con degustazione e somministrazione di prodotti tipici. La collaborazione con C’entro anch’io si estende anche all’allestimento delle luminarie, per il quale sono stati coinvolti i diversi Comitati di via, e all’addobbo dell’albero in piazza XX Settembre, cui contribuiscono anche Unindustria e Gea. Domenica 15 in piazza XX Settembre in mattinata ci sarà la coinvolgente esibizione della Fanfara dei Bersaglieri, che come ogni anno vogliono fare i loro speciali auguri in musica a tutta la cittadinanza. E un altro momento per vivere il Natale in musica sarà dato
dal concerto dell’Officium Consort, il 21 dicembre nella Chiesa di san Giorgio, dedicato al mistero della natività: Ecce Ancilla Domini. Il Capodanno si festeggerà in musica tutti assieme in piazza XX Settembre (grazie al sostegno di Veneto Banca, Euro Sporting, Perizieperte, Autopiù Pordenone) con la Filarmonica Città di Pordenone, Nicole Pellicani e la Nica band, con la partecipazione straordinaria di Francesco Bearzatti. Durante la serata un punto di ristoro con panettone e bevande calde verrà gestito dalla Pro Loco. Numerose sono le mostre d’arte: ¡Mira Cuba!, dedicata alla coloratissima grafica cubana negli Spazi Espositivi di via Bertossi (con apertura anche al sabato mattina); Caos Apparente di Gianluigi Colin alla Galleria d’arte moderna e contemporanea A. Pizzinato; Mario Moretti, la terra e le sue alchimie al Museo Civico d’Arte; La Bottega del sacro di Tiburzio Donadon: il maestro e Giancarlo Magri, l’ultimo garzone nel Convento di San Francesco (a cura dell’associazione Augusto Del Noce). Madre. Matria del pittore e poeta Loreto Martina in Biblioteca Civica. Il Natale in Città si chiuderà il 6 gennaio con il laboratorio creativo di Julia Artico in piazza XX Settembre dedicato alla costruzione di simpatiche befanine di paglia e materiali di riciclo. www.comune.pordenone.it/natale www.artemodernapordenone.it www.sviluppoeterritorio.it
LA MOSTRA
Virgilio Tramontin, la pittura Fino al 2 marzo alla Galleria Sagittaria per la prima volta in mostra il corpus della produzione pittorica del grande maestro incisore: un percorso espositivo che guiderà lo spettatore alla scoperta di un prezioso ciclo di inediti È un appassionato omaggio all'arte di Virgilio Tramontin, maestro incisore ma anche pittore di intensa liricità e grande raffinatezza, la mostra inaugurata lo scorso 30 novembre alla Galleria Sagittaria del Centro Culturale Casa Zanussi di Pordenone, dove resterà visitabile fino a domenica 2 marzo 2014. Virgilio Tramontin. La pittura propone un percorso espositivo capace di guidare lo spettatore alla scoperta di un prezioso ciclo di inediti, opere mai viste e mai uscite dallo studio dell’artista. Una insospettabile quantità di tavole, cartoni e tele di piccole e medie dimensioni di limpida e intensa poesia: opere che non hanno nulla da invidiare ai molto più noti, ed apprezzati, risultati dell’incisione. Come spiega il curatore della mostra, il critico d'arte Giancarlo Pauletto, “Tramontin è un artista tra i più noti nel Friuli Venezia Giulia, ed è inoltre uno dei più importanti incisori italiani del Novecento: cosa attestata non solo da molte mostre personali e di gruppo, tra le quali la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma, ma anche da una serie di riconoscimenti critici – da Pasolini a Manzano, da Puppi a Bartolini, Perocco, Trentin, Manaresi, Montenero, Bellini e molti altri - che non lasciano dubbi in proposito. Pochissimi sono al corrente dell'attività pittorica di Tramontin, perché molto rare
sono state le occasioni in cui egli ha esposto i propri oli, e sempre in termini settoriali o tematici, mai secondo una intenzione antologica, cioè un’intenzione che ne ricostruisse fin dall’inizio il percorso e la qualità. Doveroso dunque indagare questo settore della sua attività, con una mostra che propone circa una settantina di opere, cui sarà dedicato un ricco catalogo, a cura del Centro Iniziative Culturali Pordenone, che ha avuto ampia parte nella diffusione della conoscenza – in Friuli Venezia Giulia – dell’arte di Virgilio Tramontin. La mostra è organizzata dal Centro Iniziative Culturali Pordenone, con il sostegno di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, in collaborazione con il Centro Culturale Casa A. Zanussi di Pordenone e il patrocinio del Comune di San Vito al Tagliamento. Ingresso libero. Da sabato 30 novembre 2013 a domenica 2 marzo 2014: Martedì>Domenica 16.0019.00 / Chiuso 8, 24, 25, 26 e 31 dicembre 2013, 1 gennaio 2014. Catalogo in galleria. A richiesta sono previsti laboratori per le scuole e visite guidate per gruppi. Informazioni Centro Iniziative Culturali Pordenone Via Concordia 7 telefono 0434.553205 cicp@centroculturapordenone.it www.centroculturapordenone.it
TEATRO VERDI Centro Iniziative Culturali Pordenone|Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Comune di Pordenone|Provincia di Pordenone Con il concorso di Banca di Credito Cooperativo Pordenonese|Presenza e Cultura Università della Terza Età di Pordenone|Centro Culturale Casa A. Zanussi
Concerto Fin Anno XXXIV EDIZIONE
di
Siberian Symphony Orchestra Dmitry Vasilyev direttore
Martedì 31 dicembre 2013, ore 16.00 Teatro Comunale Giuseppe Verdi Pordenone Info: tel 0434.553205 - www.centroculturapordenone.it
A misura di famiglia: spettacolo, giochi, laboratori e merenda sana laboratori creativi, gestiti da professionisti Quattro spettacoli fra dicembre e del settore, mentre per i piccoli da 0 a 4 marzo e un lungo “dopo-spettacolo” anni sarà allestito “Il giardino incantato”. fatto di laboratori creativi e giochi, Dopo il pomeriggio inaugurale sulle orme merenda sana: si rinnova e si amplia di “Marco Polo e il viaggio delle meraviglie”, “A misura di famiglia”, l’iniziativa si prosegue domenica 12 gennaio con la attraverso la quale il Teatro Verdi proposta de La Baracca – Testoni ragazzi, “Il di Pordenone intende testimoniare libro della giungla”, domenica 9 febbraio con il suo particolare impegno per il Teatro del Buratto e “L’arca parte alle otto” la famiglia. Su questa strada, la e domenica 9 marzo, infine, con il Css Teatro consolidata proposta “Under 12” si stabile di innovazione del FVG e “L’acqua e il è trasformata nel progetto ideato dal mistero di Maripura”. direttore artistico prosa del Teatro Info: 0434 247624, www.comunalegiuseppeverdi.it Emanuela Furlan e si è rinnovato anche il supporto dell’Amico del Teatro, Friulovest Banca. “L’attenzione alle famiglie è una naturale declinazione dei principi ispiratori dello statuto della nostra Banca”, sottolineano il presidente Lino Mian e il con soli Puoi ricevere il giornale direttore generale di Giacomino Pasquin. Quattro, dunque, le domeniche di divertimento, nel segno a casa tutto l’anno! del “teatro aperto”, dove il pubblico potrà usare gli spazi Conto Corrente postale intestato a: della struttura in modo creativo. Alle 16 lo spettacolo in ASSOCIAZIONE LA VOCE sala grande; al termine tutti nei foyer per una merenda sana e golosa con le mele e le spremute di Melaquick, azienda di Spilimbergo, quindi per i bambini più grandi i
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